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I SEGRETI DI WUHAN
65 giorni che hanno cambiato il mondo
Longread Coronavirus
14 MAGGIO 2020
DI CARLO BONINI (COORDINAMENTO E TESTO), COSIMO CITO (ROMA), ANAIS GINORI (PARIGI),
ANTONELLO GUERRERA (LONDRA), TONIA MASTROBUONI (BERLINO), FEDERICO RAMPINI (NEW YORK),
FILIPPO SANTELLI (PECHINO). MULTIMEDIA A CURA DI REPTV E VISUAL LAB
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14/5/2020 Pandemia coronavirus, Cina, Wuhan: i 65 giorni che hanno cambiato il mondo | Rep
Sessantacinque giorni hanno cambiato la storia del mondo. Tra il 17 novembre del
2019 e il 20 gennaio del 2020, la Cina viene contagiata da un nuovo tipo di
coronavirus – sarà ribattezzato Covid-19 – di cui tace o comunque ritarda
informazioni che, probabilmente, avrebbero modificato il corso della pandemia, il
suo diffondersi su scala planetaria e, in ogni caso, concesso un maggiore tempo di
reazione a quei Paesi che ne sarebbero stati investiti.
Certamente, nessuno oggi può dire, sia pure con evidenze mediche a posteriori, in
che misura questo sistematico “cover-up” di Pechino abbia ritardato la reazione
alla pandemia. E dunque in che misura abbia contribuito al diffondersi del
contagio. È un fatto che in quel mese e mezzo che va dall’inizio di dicembre 2019,
quando nella città di Wuhan compaiono i primi casi di Covid, al 20 gennaio scorso,
quando il presidente cinese Xi Jinping annuncia l’emergenza nazionale, la storia
dell’epidemia venga scandita da una narrazione ufficiale, quella del canovaccio
scritto dalla propaganda di Pechino, e da una sequenza di fatti che la
contraddicono e che ora comincia ad illuminarsi. Una sequenza lastricata da
negligenza, pavidità, cinismo, e, in qualche caso, dolo.
Il primo
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21 NOV
Timeline JS OTT NOV
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UN VIRUS, TRE
IL PRIMO CASO
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14/5/2020 Pandemia coronavirus, Cina, Wuhan: i 65 giorni che hanno cambiato il mondo | Rep
La città di Wuhan
I giochi militari
Wuhan, a suo modo, è per altro una location perfetta. Spazi immensi,
infrastrutture d’eccellenza, grandi parchi lacustri. Magnifica ospitalità per 9 mila
atleti provenienti da 140 Paesi, che vengono accolti con l’inaugurazione di una
nuova linea della metropolitana cittadina e alloggiati in blocchi abitativi di dieci o
venti piani, con palestre, aree relax con videogiochi e laghetti. Oltre alle discipline
tradizionali, i giochi assegnano medaglie anche a discipline tipicamente militari:
pentathlon navale, paracadutismo, salvataggio, orienteering. Una grande festa che
regala alla nostra squadra azzurra, una delle più numerose (la delegazione conta
139 atleti e poco meno di 70 accompagnatori), diverse soddisfazioni: 4 medaglie
d’oro, 12 d’argento e 12 di bronzo, che valgono l’11° posto complessivo in un
medagliere dominato dalla Cina (239 podi).
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14/5/2020 Pandemia coronavirus, Cina, Wuhan: i 65 giorni che hanno cambiato il mondo | Rep
durante i Giochi a Wuhan, con un team dedicato composto da circa venti persone.
Non vi sono stati in seno alla delegazione francese casi dichiarati durante e al
ritorno dai Giochi assimilabili, a posteriori, a casi di Covid 19».Il canovaccio non
cambia con la delegazione spagnola. Il ministero della Difesa smentisce
ufficialmente che i Giochi siano stati l’occasione del contagio. Gli atleti ricordano
altro. Ad esempio, che quattro di loro vengono trattati in Cina con amoxicillina
dopo aver fatto registrare sintomi di carattere influenzale. O che, il 27 ottobre,
rientrando in Spagna con voli di linea Wuhan-Pechino-Madrid, o Wuhan-Parigi-
Madrid, in diversi si ammalano. Laringiti, febbre persistente. In un caso, una
polmonite.
Sicuramente, è pacifico che sono due gli sportivi svedesi rientrati in patria con
sintomi riconducibili al Covid 19. Ed è pacifico perché sono le autorità sanitarie
scandinave a sostenerlo. Così come è noto il destino che attende al suo rientro
negli usa negli Usa la “riservista” e ciclista 52enne Maatje Benassi, presente nella
prova in linea dei Giochi. Viene accusata, senza prove, di aver contratto il Covid
durante i Giochi e dunque di essere il "paziente zero" americano, il veicolo del
virus negli Stati Uniti.
Sulla caduta di Benassi a 15 km dal traguardo della prova a Wuhan si affollano una
serie di teorie complottiste. La congettura fiorisce su un video cliccatissimo su
YouTube. «È caduta perché aveva il fiato corto, stava male come tutta la sua
squadra. E al ritorno ha importato negli Stati Uniti il virus creato in Cina, in un
"complotto organizzato" con il marito». Lei e il marito lavorano per il governo:
Maatje è impiegata civile in una base dell'aviazione in Virginia, Matt lavora al
Pentagono. Tutta la famiglia è costretta a lasciare Fort Belvoir, la caserma in
Virginia dove vivono, per fuggire le numerose minacce di morte che arrivano
soprattutto attraverso i social alla 52enne riservista dell’Esercito.
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Maatje Benassi
Dunque – e conviene tenerne conto – non sono solo i Giochi militari di Wuhan a
dare da pensare. A suggerire una retrodatazione del contagio. Se è vera la
ricostruzione accreditata da un’inchiesta del network televisivo statunitense Abc –
ancorché smentita con forza da Casa Bianca e Pentagono - accade infatti che
intorno al Thanksgiving, la festa del Ringraziamento, 28 novembre 2019, qualcosa
si muova anche dall’altra parte del pianeta. Negli Stati Uniti.
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Il rapporto del NCMI viene fatto circolare prima tra i vertici del Pentagono e
quindi, dopo numerose verifiche, arriva alla Casa Bianca, proprio intorno a
Thanksgiving. Ne è destinatario il National Security Council (NSC), la cabina di
regìa della strategia militare e della politica estera al servizio del Presidente
Donald Trump. Che, tra i suoi compiti, ha appunto quello di presentare ogni
mattina al Presidente una selezione condensata delle principali informazioni
elaborate dall’intelligence. In quel President’s Daily Brief intorno a Thanksgiving
fa dunque capolino l’epidemia di quel virus che ancora non ha un nome. E’ un
warning. Non servirà.
La dottoressa Zhang
Tiriamo una prima riga. Diciamo pure che non esiste un’evidenza definitiva che gli
atleti che parteciparono in ottobre ai Giochi militari avessero contratto il Covid.
Anche se, lo abbiamo visto, i sintomi che affliggono alcuni di loro rientrando in
Europa sono compatibili con quelli che il mondo imparerà a conoscere e con i
tempi di incubazione del virus. E prendiamo pure atto della smentita di Pentagono
e Casa Bianca sull’esistenza di un rapporto di Thanksgiving.
E’ un fatto che, nella seconda metà di dicembre, nel reparto di Cure respiratorie
dell’Ospedale provinciale di medicina integrata dello Hubei, in pieno centro città,
a Wuhan, l’epidemia cessa di essere un segreto. Quantomeno all’interno dei
confini cinesi.
L’ospedale comincia ad accogliere una crescente teoria di pazienti che la prima
linea della medicina di prevenzione cinese – le piccole cliniche di quartiere - non
riesce più a contenere. Presentano sintomi di quella che appare come una normale
influenza: febbre, tosse e debolezza. La stagione, del resto, è quella. Se non fosse
che quei sintomi di influenza resistono a qualsiasi tipo di farmaco normalmente
utilizzato per quel tipo di affezioni. Nessuno sembra avere anche solo la curiosità
di mettere insieme quella sequenza di casi anomali. Di incrociare qualche dato
epidemiologico. Nessuno. Tranne una dottoressa.
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In attesa di una risposta che sa non sarà immediata, dispone che i malati ricoverati
in reparto vengano isolati e l’obbligo per il personale sanitario di indossare le
mascherine. E’ una decisione che le varrà, qualche mese dopo, un’onorificenza del
Regime e la consegnerà agli archivi della storia ufficiale della Repubblica popolare
cinese come il primo medico ad aver dato l’allarme sul Covid. Ma Zhangh non è
forse né la prima, né la sola. Soprattutto, è già troppo tardi. Il mondo ancora non lo
sa. Ma la peste si è già messa in viaggio. Ha già bussato alla porta di una casa di
Bobigny, banlieue a nord di Parigi. Ottomila e novecento chilometri a Ovest di
Whuan.
Il miracolato di Bobigny
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Amirouche Hammar
Oggi, che sono passati oltre quattro mesi da quel 27 dicembre, nel piccolo giardino
della sua casa, Hammar scherza giocando con un pallone: "Sono il Ronaldo del
Corona". Il che non è. E’ possibile piuttosto che sia il “paziente zero” francese. O,
comunque, tra i primi “pazienti zero” d’Europa.
Hammar si ammala il 20 dicembre, dopo che sua moglie ha già avuto una forte
tosse secca. Comincia a curare quella che pensa sia un'influenza con olio d'oliva,
limone e aglio. "È così che si fa a Cabilia, la mia terra", racconta. I rimedi delle
nonna, però, non bastano. Comincia a sputare sangue, a sentire dolori nel petto,
lancinanti “come pugnalate”. Il 27 dicembre si decide ad andare in pronto
soccorso.
"Pensavo fosse arrivata la mia ora", ricorda ora Hammar, che soffre di diabete e
asma. Ma non è così. Trascorre cinque giorni in terapia intensiva che lo strappano
alla morte. Torna a casa, dove comincia una lunga convalescenza e dove
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dimentica o forse ignora che il medico che lo ha salvato, il dottor Yves Cohen,
responsabile della terapia intensiva dell'ospedale di Bondy, lo ha sottoposto a un
tampone. Lo stesso che, conservato e riesaminato quattro mesi dopo, dirà la
parola definitiva su quella misteriosa malattia di fine dicembre. E’ Covid-19.
Il mercato di Huanan
Virus Cina, Santelli: Qui a Wuhan al mercato del pesce dove è iniziata l'epidemia -
videoreportage
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16 novembre 2019. Un giorno prima del primo caso accertato di Covid in Cina.
Dunque, l’epidemia in Francia ha cominciato a girare ancora prima di quella fine
di autunno. “Si – dice il dottor Schmitt - A questo punto, è verosimile che in Cina il
virus fosse in circolazione quattro, cinque mesi prima l'inizio ufficiale
dell'epidemia. Diciamo durante l’estate".
Whistleblowers
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Il medico Li Wenliang
Nonostante la precisazione di Li, il messaggio che passa è che quel virus che ha
aggredito Wuhan è “Sars”. Quella parola è una cicatrice profonda nella mente di
tutti gli asiatici. Un fantasma che all’improvviso torna a prendere corpo. Durante
la notte e la mattina successiva, l’allarme di Li, che contribuiscono a diffondere
anche altri sette medici, raggiunge e accende migliaia di smartphone. Lorenzo
Mastrotto, manager italiano che vive da anni a Wuhan con la famiglia, lo ricorda
bene. Come ricorda l’ondata di panico che attraversa immediatamente la città.
Comincia la corsa alle mascherine, che vengono rapidamente esaurite. Fino a
diventare introvabili.
Non è chiaro come la notizia delle polmoniti di Wuhan arrivi alle autorità di
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Pechino. Non fosse altro perché la versione ufficiale del Regime cinese è e resta
vaga. È possibile che siano i funzionari locali dello Hubei ad avvisare il centro,
come da protocollo. O, al contrario, che abbia ragione un noto economista cinese,
Hua Sheng. Se la sua ricostruzione coglie nel segno, è il direttore del Centro per il
controllo delle malattie di Pechino a imbattersi nella notizia rilanciata da Li che
fluttua in Rete e ad allertare la catena gerarchica del partito, la Commissione
sanitaria nazionale, equivalente del nostro ministero della Salute.
Il mondo ora comincia a sapere. Non troppo, a ben vedere.Non troppo da guastare
le feste di Capodanno di qualche miliardo di essere umani che abitano il pianeta.
Abbastanza per convincere le cancellerie europee che qualcosa in Cina non sta
andando per il verso giusto.
Il laboratorio BSL-4
Wuhan è la più francese delle città cinesi. Dal tempo in cui venne siglato un
partenariato tra il Generale de Gaulle e Zhou Enlai, il primo ministro francofilo di
Mao Zedong. Cento gruppi come Psa, Eurocopter, L'Oréal o Pernod-Ricard, hanno
sedi operative a Wuhan, che concentra circa il 40 per cento degli investimenti
francesi in Cina.
E’ anche per questo che è nella capitale dell'Hubei che l'ex premier Bernard
Cazeneuve ha inaugurato il 23 febbraio 2017 il laboratorio BSL-4, collegato
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all'Istituto di virologia e destinato a diventare il perno del dossier con cui la Casa
Bianca accusa Pechino. Il luogo dove il Covid-19 sarebbe stato coltivato e da cui
sarebbe tracimato per un catastrofico incidente. Il BSL-4 è in ogni caso un regalo
francese. Dopo l'epidemia di Sars, l'ex presidente Jacques Chirac aveva voluto
aiutare gli amici asiatici, mettendogli a disposizione la sofisticata tecnologia
necessaria per la ricerca sugli agenti patogeni più letali. In cambio, la Francia
otteneva un avamposto scientifico in Cina in caso di nuove epidemie.
La storia era andata e sarebbe andata diversamente. Dopo aver superato molti
ostacoli - dai dubbi sollevati dai Servizi segreti francesi alle proteste della
diplomazia americana - i vari governi francesi avevano accompagnato il progetto
fino al 2017, salvo interrompere subito dopo la collaborazione scientifica. Le
autorità cinesi non avrebbero mai accolto i cinquanta ricercatori francesi che
dovevano collaborare a formazione e progetti. I cinque milioni di euro che Parigi
aveva stanziato sarebbero rimasti congelati. Nel laboratorio, sarebbe stato
presente un solo rappresentante del patto bilaterale, nella persona del
microbiologo René Courcol.
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"Il problema della nostra intelligence, come di molte altre in Occidente, non è
l'assenza di informazioni, che sono persino troppe, ma la capacità di leggerle e
metterle in ordine di priorità", chiosa la fonte con Repubblica. In ogni caso, i voli
diretti tra Roissy e Wuhan continueranno regolarmente fino al 30 gennaio. E fino
a inizio marzo, come ha rivelato un’inchiesta di Le Monde, il ministero della Sanità
continuerà a distruggere scorte di milioni di mascherine perché scadute o lasciate
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Il 30 dicembre del 2019 è anche il giorno in cui si accende una luce a Berlino.
L’Istituto Koch (RKI), l’Agenzia governativa tedesca che centralizza i dati sulla
sanità, riceve un minuto prima della mezzanotte una mail che avvisa di una
“polmonite di origine ignota” che si sta diffondendo a Wuhan. Il mittente della
comunicazione è la ProMED-mail, un programma della Società internazionale
delle malattie infettive. La Promed rilancia la comunicazione ufficiale delle
autorità di Pechino, che parla di quattro casi, appunto, di una misteriosa
polmonite. Il “paziente uno”, si legge, “viene dal mercato del pesce di Wuhan”.
E tuttavia, secondo quanto Repubblica ha potuto raccogliere da una fonte
governativa, già a fine dicembre i servizi segreti interni tedeschi, il
“Bundesnachrichtendienst”, avrebbero ricevuto un allarmante mail da Wuhan che
racconta del pericolo di un nuovo virus. L’allarme – secondo la ricostruzione della
fonte – viene girato al ministero della Sanità e all’Istituto Koch. Che, tuttavia,
perdono giorni preziosi, restando inerti fino al 31 dicembre, quando Pechino
informa l’Oms e dunque il mondo.
Passerà un mese prima di censire il primo paziente Covid tedesco. Ammesso e non
concesso che quello sia stato il primo.
Tra Wuhan e Pechino, quelle tra il 30 e il 31 dicembre, sono ore infernali. Il lavoro
degli investigatori sanitari nello Hubei è convulso. I casi su cui indagano sono
diversi e localizzati in diversi ospedali. Ed è possibile, perfino naturale, che il loro
sguardo sia catturato dal filo che tiene insieme molti degli ammalati con la
frequentazione del mercato di Huanan. Si convincono che lì sia l’origine del
problema. E, in assoluta buona fede, trasmettono questa convinzione alle autorità
centrali.
Su una cosa, del resto, centro e periferia sembrano senza ombra di dubbio essere
d’accordo: la necessità di tenere sotto controllo le informazioni. Evitare una fuga
di notizie che metta in ginocchio il Paese e ne comprometta l’immagine nel
mondo. Nel giro di due giorni, la Commissione sanitaria di Wuhan e quella
nazionale mandano infatti un messaggio a tutti i centri diagnostici che hanno sino
a quel momento rilevato tracce di coronavirus, spiegando che i campioni della
misteriosa polmonite devono essere trattati come «microorganismi altamente
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La dottoressa Ai Fen
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Alla popolazione viene data notizia che il virus non si diffonde tra gli uomini.
Pechino è convinta che la scommessa contro il tempo possa essere ancora vinta.
Perché è vero che il Mondo ormai sa di una generica “epidemia di polmoniti di
origine sconosciuta”, ma potrebbe dimenticarla se la progressione di
quell’epidemia, così come le sue origini possono essere contenute e gestite.
E’ una scommessa che, almeno per altre tre settimane, funzionerà con il mondo
intero. Non con chi la Cina comunista la conosce bene e le è nemica. Con Taiwan,
la Cina democratica, dove, dal 3 gennaio, le autorità dell’isola cominciano a
prendere la temperatura a tutti i passeggeri che sbarcano da aerei in arrivo da
Wuhan. È una delle primissime mosse di prevenzione messe in campo al mondo. E
si rivelerà decisiva. Taiwan sarà uno dei pochi Paesi che è riuscito a contenere il
virus senza nessun lockdown.
Batwoman
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Lo smartphone di Shi vibra. La cerca il capo del suo laboratorio nello Hubei, quello
dell'Istituto di virologia. Le chiede di rientrare immediatamente, per indagare su
un nuovo focolaio di polmonite virale scoppiata negli ospedali della città. Shi sale
sul primo treno veloce e mette subito al lavoro la sua squadra per isolare il virus e
mapparne il genoma. E’ tormentata da un sospetto che si le toglie il respiro. Che
quel patogeno possa essere scappato per un incidente proprio da lì, dal
laboratorio.
Mesi dopo, racconterà di «non aver dormito per giorni», finché, con il genoma alla
mano, non avrebbe verificato che il nuovo virus non corrispondeva a nessuno di
quelli archiviati nelle sue provette. Lo giurerà sulla sua vita, prima di tutto ai suoi
concittadini: la pandemia non è inizia all’Istituto di virologia. Ma questo non
basterà, lo vedremo, a far si che quel cubo grigio nel Sud di Wuhan, dono dei
francesi, l’unico laboratorio di massima sicurezza biologica in Cina, non resti
oggetto di sospetto, e fulcro dell’atto di accusa che gli Stati Uniti si preparano ad
istruire contro Pechino.
La Cina rivendica la rapidità con cui i suoi scienziati, a cominciare da Shi, hanno
identificato il nuovo virus. Anche qui, però, la storia si muove su due piani. Quello
dell’ufficialità e quello della verità. Il 5 gennaio, infatti, nonostante non ne abbia i
requisiti, un laboratorio dello Shanghai Public Health Clinical Centre, diretto dal
professor Zhang Yongzhen, è il primo a isolare il coronavirus, a partire da un
campione ricevuto da un ospedale di Wuhan. Il dottor Zhang avverte subito la
Commissione sanitaria nazionale, raccomandando di adottare «misure di
prevenzione e controllo adeguate».
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14/5/2020 Pandemia coronavirus, Cina, Wuhan: i 65 giorni che hanno cambiato il mondo | Rep
La menzogna
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Ma, da quel momento, il numero dei nuovi contagi non viene più aggiornato per
giorni. Occultando così il dato che darebbe al mondo la prova che la situazione è
fuori controllo, la commissione sanitaria di Wuhan ha imposto criteri che
escludono dal computo dei nuovi contagiati molti degli ammalati. Può infatti
essere conteggiato solo chi ha visitato il mercato del pesce di Huanan o chi è
entrato in contatto con una persona che lo ha visitato. Uno scherzo, se non fosse
vero.
Il presidente cinese Xi Jiping per la prima volta in pubblico con la mascherina, il 10 febbraio
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Il 15 gennaio, persino l’Oms capisce che è meglio sfilarsi dall’abbraccio mortale con
Pechino prima che sia troppo tardi. Un funzionario dell’Organizzazione dice in
conferenza stampa che ci potrebbe essere «trasmissione limitata tra uomo e
uomo, potenzialmente all’interno delle famiglie» ed è a questo punto che anche la
Commissione sanitaria locale di Wuhan decide di allineare la sua
versione.Naturalmente, le voci rassicuranti non si spengono. Il rischio è «basso»,
viene ripetuto. E’ vero, a Wuhan, molti portano la mascherina, ma per il resto la
vita scorre normale.
Se il report del Thanksgiving alla Casa Bianca doveva suonare come un allarme
precoce, ha fallito. Nelle settimane che vanno tra la fine del 2019 e la prima metà
di gennaio, gli Stati Uniti dormono apparentemente tra due guanciali. Non fosse
altro perché quella misteriosa e lontana epidemia di polmoniti di origine ignota
nel cuore della Cina centrale cade in un momento politico peculiare. Washington
e Pechino stanno negoziando una tregua sulla guerra dei dazi. Il Presidente Trump
sta strappando a Xi Jinping delle promesse su un forte aumento delle
importazioni di prodotti made in Usa (molte decine di miliardi in derrate agricole,
e non solo). E, il 13 dicembre del 2019, è stata firmata una tregua della guerra dei
dazi tra i due Paesi – detta anche fase uno – che ha bloccato una nuova escalation
dei dazi, poi finalizzata nei dettagli in gennaio.
Covid-19, C'era una volta un virus: la Cina risponde alle accuse americane con un
video ironico
Nessuno in America mette in dubbio questa versione. Il New York Times si limita a
rilevare che mancano due settimane all’inizio delle vacanze del Capodanno
lunare, quando, in media, ben tre miliardi di esseri umani si mettono in viaggio in
Cina. Osserva che il mercatino di Wuhan è vicino alla stazione ferroviaria. E che
nella stessa data, a Hong Kong, ci sono già ricoverati, e che la Corea del Sud ha
messo in isolamento totale una donna arrivata da Wuhan. A tranquillizzare i più
ansiosi arrivano i primi elogi dell’OMS alle risposte della Cina.
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14/5/2020 Pandemia coronavirus, Cina, Wuhan: i 65 giorni che hanno cambiato il mondo | Rep
Laboratorio di analisi della provincia di Jiangsu, nella regione della città di Wuhan
Quei laboratori sono una “vecchia conoscenza”, per tante ragioni. Per anni, le loro
ricerche – originate dalla Sars – hanno ricevuto finanziamenti dagli Stati Uniti e
dalla Francia. E almeno uno di quei laboratori, il BSL-4, è finito sotto accusa da
parte degli stessi scienziati cinesi: un documentato rapporto pubblicato da Yuan
Zhiming sul Journal of Biosafety and Biosecurity denunciava “carenze e
negligenze” proprio negli esperimenti sui contagi da animale a uomo. Non solo.
Altri due ricercatori cinesi avevano lanciato l’allarme su incidenti in quel
laboratorio.
In due saggi pubblicati nel 2017 e 2019, un biologo di Wuhan, Tian Junhua, aveva
rivelato di essersi messo in quarantena dopo essere entrato in contatto con
dell'urina di pipistrello. C’era poi anche il giallo di uno studio pubblicato e poi
eliminato da due scienziati cinesi, Botao Xiao e Lei Xiao, del Politecnico di
Guangzhou. “Il coronavirus – si leggeva in quell’analisi – probabilmente ebbe
origine in un laboratorio di Wuhan. I livelli di sicurezza vanno rafforzati nei
laboratori di biologia batterica ad alto rischio”. L’intero articolo, apparso sul sito
ResearchGate, era stato rimosso dagli stessi autori.
L’NSC non è il solo a lavorare alla pratica Wuhan. Alla Cina cominciano a guardare
anche i “Five eyes”, “I Cinque occhi”, i servizi di spionaggio alleati dei paesi
anglofoni. E se è vero quello che Trump annuncerà solo tra aprile e maggio, le
prove che raccolgono sulla Cina sarebbero concludenti. "Hanno cercato – dice
Trump – di insabbiare le notizie, di nasconderle. E’ come cercare di nascondere un
incendio. Non ci sono riusciti".
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Epilogo
L’ultima spallata alla verità ufficiale la dà un nuovo team di esperti, il terzo inviato
dalle autorità di Pechino. A guidarlo è una gloria nazionale, l’83enne pneumologo
Zhong Nanshan, già in prima linea nella lotta contro la Sars. È informato dei casi di
Shenzhen, e gli bastano poche ore a Wuhan per vedere ciò che era già evidente a
molti, e che ora non si può più nascondere. In un ospedale della città, 14 membri
del personale sanitario si sono infettati durante un’operazione chirurgica. Ci sono
diversi focolai familiari e malati senza legami con il mercato di Wuhan. La
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relazione che Zhong e gli altri presentano alla Commissione sanitaria nazionale, e
che ipotizza già la misura estrema della quarantena, non lascia dubbi sulla gravità
della situazione: la trasmissione umana non può essere più negata.
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Di certo, il 20 gennaio, per la Cina e quindi per il mondo, è il giorno della verità
senza più infingimenti. Il presidente Xi Jinping parla per la prima volta
pubblicamente del virus, ordinando «sforzi risoluti» per contenerne la diffusione.
L’epidemia diventa la prima notizia di tutti i telegiornali, l’ossessione di ogni
funzionario comunista in ogni angolo della Cina. Poche ore dopo, alla televisione
nazionale, lo stesso Zhong Nanshan ha il compito di confermare la trasmissione
umana del virus.
Wuhan precipita nel panico. In città, abita Wang Fang, una delle scrittrici più note
di Cina, che, di lì in avanti, pubblicherà online un Diario della quarantena. In uno
dei post descrive lo choc e la rabbia per le informazioni ricevute quel 20 gennaio,
«del tutto in contrasto con quello che ci avevano detto fino a quel momento».
Qualcuno ancora non vuole credere, né rassegnarsi. La sera del 22, a poche ore dal
lockdown della città, mentre negli ospedali già vicini al collasso centinaia di
persone fanno la fila per farsi visitare, nei parchi coppie di anziani ballano ancora
al ritmo della musica tradizionale, stretti e senza mascherina.
Ruspe al lavoro nel cantiere dell'ospedale costruito a Wuhan per i malati di coronavirus
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La città viene chiusa la mattina dopo, 27 giorni dopo il primo allarme ufficiale, 18
giorni dopo che il coronavirus è stato isolato, diversi giorni dopo i primi indizi di
contagi tra membri della stessa famiglia. Soprattutto, dopo che 5 milioni di
residenti hanno già lasciato la metropoli per le festività del Capodanno. Uno
studio dell’Università di Southampton calcola che adottando le misure di
contenimento una, due o tre settimane prima, il contagio poteva essere ridotto del
66, dell’86 e del 95 per cento. E lo stesso Zhong Nanshan ha riconosciuto, parlando
a un media di regime come il Global Times, che c’è stato un «ritardo» senza il
quale i numeri dell’epidemia sarebbero stati inferiori.
Cambridge
La Cina non risponderà. L’Occidente continua a provarci. "Se prendiamo per vera
l’ipotesi che il virus sia arrivato direttamente dalla Cina nel 2019, allora ne deduco
che non si sarebbe diffuso in maniera efficiente. E questo anche sulla base di
un’altra considerazione. Le infezioni di oggi in Regno Unito e in Occidente sono
più del tipo più dominante di Covid-19", vale a dire la versione europea “G614”, più
letale, che si sarebbe sviluppata in Europa evolvendosi dal tipo base del virus
“D614”, più blando e presente in Cina a inizio epidemia.
A parlare a Repubblica è il professor Peter Forster, genetista dell’università di
Cambridge e autore di uno studio, pubblicato sulla rivista “Proceedings of the
National Academy of Sciences”, che individua il momento della prima
trasmissione del Covid-19 all’uomo in Cina "in un periodo di tempo tra 13
settembre e il 7 dicembre 2019".
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Columbia University, che forse potrebbe essere ancora più preciso in questo
senso. I risultati dovrebbero arrivare tra qualche settimana".
Il professor Forster è anche scettico sul fatto che il Covid-19 abbia avuto origine a
Wuhan: "Purtroppo non abbiamo molti dati. Ma dei ventitré campioni del virus
raccolti a Wuhan che ho studiato, solo tre sono del tipo primordiale 'A'. Mentre per
esempio, nel Guangdong, ben cinque su nove sono di tipo 'A'. E nello Hunan, uno
su uno. Ovviamente il campione complessivo è limitato. Ma questi pochi dati mi
fanno pensare che il Covid-19 forse non sia apparso nella regione dello Wuhan". Il
che smentirebbe anche l’ipotesi di virus “scappato” dal laboratorio.
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