GROTTASǪNGR
LJÓÐA EDDA
GROTTASǪNGR
- Il poema
- Le redazioni
- Genere e metrica
- Il tema del mulino cosmico
- Il Grotti e il mælström
Il poema
Il Grottasǫngr, la «canzone del [mulino] Grotti» è una composizione mitologica non presente nella raccolta
del Codex Regius [GKS 2365 4°], citata però da Snorri Sturluson nella sua Prose
Edda (Skáldskaparmál [52]). Per tale motivo, il poema viene solitamente escluso dalle antologie della Ljóða
Edda ed è piuttosto relegato tra le composizioni definite come «Eddica Minora». Ma a dispetto della
classificazione, il Grottasǫngr è un testo suggestivo e densissimo, sul quale gli studiosi hanno avanzato un
gran numero di interpretazioni.
Com'è noto, nello Skáldskaparmál, Snorri fornisce, nel dialogo tra Bragi ed Ægir, i miti che sono alla base
delle kenningar e degli heiti usati in poesia. In questo caso, la domanda è perché gli scaldi definiscano l'oro
«farina di Fróði». La risposta risiede in un racconto di cui Snorri riferisce gli antefatti e l'amarissimo finale.
Tale racconto è il contesto di una composizione poetica che lo stesso Snorri riporta integralmente nel testo, e
di cui fornisce il titolo di Grottasǫngr.
Fróði, mitico re dei Dani, possedeva un mulino, il Grotti, che poteva macinare qualunque cosa gli fosse
richiesta. Le pietre della macina erano tuttavia così grandi che nessuno poteva spostarle. Recatosi in
Svezia, Fróði acquistò perciò due possenti fanciulle giganti, Fenja e Menja; le incatenò al mulino e le
costrinse a macinare per sé oro, pace e prosperità. Tali fatti sarebbero avvenuti, stando a Snorri, al tempo in
cui l'imperatore Augusto aveva imposto la pace su tutta la terra, all'epoca della nascita di Gesù. «Ma
poiché Fróði era il re più potente di tutte le terre del nord, la pace venne chiamata con il suo nome in tutte le
lingue danesi e gli uomini la chiamarono dunque la Pace di Fróði».
Fenja e Menja (✍ 1893)
Carl Larsson (1853-1919)
Illustrazione (Sanders 1893)
Tale pace si basava però sull'ingiusto servaggio imposto a Fenja e Menja. Fróði, avido di ricchezze e sordo
ai loro lamenti, non concesse alle due donne un riposo più lungo del silenzio del cuculo o del canto di una
canzone. Così, un giorno, le due gigantesse presero a cantare per Fróði un canto di distruzione nel quale
venne predetta la fine del suo regno e la morte del sovrano. Così macinarono un esercito guidato dal re del
mare Mýsingr. Dopo aver infranto la pace danica e ucciso il re, costui caricò sulla sua nave il mulino Grotti
e ordinò alle due gigantesse di macinare sale. Esse lo fecero, e in tale quantità che la nave sprofondò sotto il
peso e, laddove si era trovato il mulino, si formò un gorgo marino (la parola mælström, nelle lingue
scandinave, vuol dire tuttora «gorgo che macina»). Ed è per questo, conclude Snorri, che il mare è salato.
Le redazioni
Il Grottasǫngr ci è pervenuta attraverso la Prose Edda di Snorri, che la cita nel suo Skáldskaparmál [52].
Dei quattro manoscritti snorriani, tuttavia, il poema è tramandato soltanto da due di essi, il Codex Regius [R]
e il Codex Trajectinus [T], che riportano anche l'episodio mitologico che contestualizza la recita del canto.
Il Codex Wormianus [W] presenta infatti una lacuna ai ff. 39-43, mancando proprio la parte che conteneva
probabilmente il Grottasǫngr, mentre questo è certamente assente dal Codex Uppsaliensis [U].
Dei due manoscritti contenenti il Grottasǫngr, il più antico è il Regius, che risale al 1325. La composizione
della Prose Edda da parte di Snorri Sturluson rimonta però a un secolo prima, agli anni 1222-1225, e queste
sono ovviamente le date dell'ultima redazione del poema, per mano dello stesso Snorri. Il Grottasǫngr è
tuttavia molto più antico, ed Einar Ólafur Sveinsson la assegna alla fase più alta nella produzione della
poesia eddica. In genere gli studiosi la ritengono composta tra la fine del IX e tutto il X secolo,
probabilmente in Norvegia (Prampolini 1949 | Sveinsson 1982 | Gunnell 2005).
Genere e metrica
Presentato entro una cornice narrativa, il Grottasǫngr possiede a sua volta una struttura composita. La
composizione in sé è un misto di narrazione e dialogo, secondo il metodo applicato dal sottogenere
della kvíða o «carme», dove si riporta sia il racconto dei fatti, narrato dall'esterno, sia le parole pronunciate
dai protagonisti. A uno sguardo più attento, tuttavia, quest'immagine si rivela fuorviante perché, se la
composizione è lunga complessivamente 24 strofe, ben quindici di esse [8-22] costituiscono il vero e proprio
monologo delle due gigantesse alla macina, le quali profetizzano morte e sventura a re Fróði. Tale sequenza
è il cuore della composizione ed è appunto ad essa, e non al poema in generale, che Snorri attribuisce il
titolo di Grottasǫngr «Canzone del Grotti».
Il poema ha carattere eroico-gnomico, trattando – nel solito stile oscuro ed ellittico tipico di questo genere di
composizioni – di fatti e personaggi legati alla regalità mitica della Danimarca. Si citano infatti re Fróði,
detto discendente di quello Skjǫld a cui si fa risalire la genealogia degli Skjǫldungar, mitici sovrani danici di
cui trattava la perduta Skjǫldunga saga, e si accenna ad altri sovrani leggendari come Gothorm e Hrólfr
Kraki, accennando alle loro imprese. Queste vicende vengono fornite, nel canto che Fenja e Menja rivolgono
a re Fróði, come profezie destinate ad avverarsi nei tempi futuri. Anzi, sono le stesse gigantesse che
«macinano» le future sventure dei re dei Dani, vendicandosi così nei confronti del sovrano che le ha ridotte
in una così dura schiavitù.
Il Grottasǫngr viene spesso associato al canzoniere eddico, sebbene più che un poema epico vero e proprio
abbia piuttosto le sembianze di un adattamento originato da un preesistente e antichissimo canto di lavoro,
che durante la tradizione orale è stato mitizzato e contestualizzato nell'ambito del mito di Fróði.
Il Grottasǫngr condivide comunque con il resto dei poemi eddici il metro, ovvero il fornyrðislag o «metro
antico», che possiede due accenti forti per ogni verso, insieme a due o tre sillabe atone. La struttura metrica
ed il ritmo, mesto e cadenzato, sono usati in modo costante sino alla fine del componimento.
Di seguito un esempio di divisione del primo verso:
—‿—‿ —‿—‿
Uno dei principali motivi d'interesse di questo poemetto è rappresentato dal soggetto, piuttosto originale e
del quale altrove si trovano soltanto allusioni piuttosto vaghe, sebbene siano diffuse
certe kenningar scaldiche che conservano tracce del mito di Fróði, del Grotti, di Fenja e Menja. Il mito del
mulino magico, dispensatore di fortuna e prosperità, è importante poiché molti indizi fanno pensare che sia
di origine antichissima e che provenga da un mitema comune ad altre culture diverse da quella germanica.
Questa immagine del mulino è rappresentata difatti in maniera più esplicita dalla mitologia dei Finni, popolo
geograficamente vicino agli scandinavi, nel loro mito del Sampo, raccontato nel Kalevala.
Vale la pena esaminare brevemente i tratti principali che caratterizzano il tema del mulino in queste due
culture, quella nordica e quella finnica, dal momento che rappresentano un buon territorio per approfondire
l'archetipo del mulino.
Sono molte le somiglianze fra il Grotti nordico ed il Sampo finnico: entrambi sono mulini prodigiosi, capaci
di produrre ricchezza e gioia per chi li possieda, e in entrambe le tradizioni il mulino che macina sale e rende
il mare salato è conservato pressoché identico. Il Grotti, come accade per il Sampo non è mai descritto in
dettaglio e non è mai chiarita per esteso la sua funzione. Ciononostante si tratta di un'espressione altamente
sviluppata del mito del mulino cosmico, il cui volgere e macinare simboleggia la fertilità, poiché al suo
interno possono nascere beni e ricchezze. La presenza del Grotti ben si identifica con l'«età dell'oro»
raccontata nella Vǫluspá e dallo stesso Snorri, ma la prosperità che il mulino produce non è del tutto
perfetta, poiché induce facilmente alla cupidigia e dunque alla rovina chi ne approfitti. Fróði in effetti fa
lavorare incessantemente le due fanciulle giganti e, a causa di tale eccesso, perde il mulino prodigioso,
mentre il suo regno viene invaso da un'orda di vichinghi evocati dalle gigantesse rese schiave.
Nel mito di Grόtti il mulino magico, a fianco alla capacità di produrre beni e ricchezze, possiede dunque un
aspetto negativo e punitivo nei confronti di chi si serva dei suoi prodigi in maniera smodata e innaturale,
proprio come fanno Fróði e Mýsingr, i quali entrambi vanno incontro alla rovina. Questo aspetto negativo è
invece del tutto assente nel mito del Sampo finnico, che non perde mai la sua funzione positiva anche
quando viene distrutto: secondo i runot finlandesi, i frammenti del Sampo daranno anzi origine a una nuova
fertilità per la terra e ricchezza per il mare.
Sempre in confronto col Sampo, a tale proposito è interessante notare come i due mulini abbiano origine
diversa nelle due culture: il Sampo è un artefatto, forgiato dal fabbro Ilmarinen, mentre il Grόtti non viene
creato: è qualcosa di già presente, in quanto composto da due rocce che fanno da palmenti ed è parte dunque
dello stesso mondo ctonio arcaico cui appartengono i giganti, che, come Fenja e Menja, rappresentano le
forze indomite della natura.
Sia nella cultura nordica che in quella finnica, si può inoltre osservare che all'ambito semantico del mulino e
dell'attività del macinare appartenga almeno una parola di dubbio significato e di etimologia ancora più
arcana. Il nome Grotti, innanzitutto, può essere riferito al termine grjót «pietre», da cui l'espressione verða
at grjóti «diventare di pietra». Grotti mostra anche un'indubbia somiglianza col sostantivo gróði «guadagno,
prosperità». Queste supposizioni possono far riflettere, dal momento che il poema parla di macine di pietra e
di ricchezze associate all'uso del mulino, ma non chiariscono di molto la vera origine di questo nome.
Nel Grottasǫngr si trova inoltre l'oscuro termine lúðr, usato per indicare il Grotti o una parte di esso. In
antico nordico la parola lúðr, secondo un'interpretazione largamente condivisa, indica la cassa, ovvero la
parte esterna del mulino che contiene le macine, ma tale significato è inferito più che altro dal contesto. Nel
poema lo si può dedurre dal verso leggjum lúðra [19], in cui sembra proprio che le due gigantesse abbiano
costruito la cassa attorno ai palmenti prima di mettersi a macinare. È inoltre assai probabile che lúðr sia una
metafora o un nome poetico del mulino, dal momento che in prosa non lo si ritrova mai (con una sola
eccezione, Gylfaginning [7b]), ma attorno al vero significato di questa parola e alla sua etimologia restano
ancora ampi margini di incertezza.
Dalla parte finnica della medesima penisola, l'origine del nome Sampo pone dubbi di portata non inferiore: è
riconosciuto un primo significato di «pilastro, colonna», come suggerisce Uno Harva per derivazione dalla
parola sampa «colonna» (Harva 1944), mentre Elias Lönnrot fa notare che la parola
finlandese maasampa viene usata nel senso di «pilastro del mondo» (Lönnrot 1958). Il
nome Sampo potrebbe dunque indicare una macchina il cui lavoro dipende dalla presenza di un sampa,
ovvero di un perno attorno al quale girano le macine.
Tornando all'ambito prettamente nordico, il tema del mulino cosmico sembra essere un archetipo di cui non
rimangono che echi nelle fonti eddiche che parlano dell'inizio della creazione. Fra questi, sicuramente
emblematico è l'episodio di Bergelmir raccontato nel Vafþrúðnismál [29], in cui centrale per la
comprensione della vicenda è il già discusso termine lúðr, che come ricordato indica il mulino o per lo meno
ne è un appellativo poetico. Secondo Hans Christiansen, la parola lúðr può significare anche «bara, cassa da
morto», per cui il gigante Vafþrúðnir, che racconta i primi tempi dell'universo, sta ricordando la morte
di Bergelmir (Christiansen 1952). A tale proposito sorge un lecito dubbio su questa interpretazione di lúðr,
dal momento che nella cultura scandinava non esisteva la pratica di inumare i morti entro bare e quindi tale
ipotesi sembra addirittura fuorviante, sebbene l'accenno alla morte di Bergelmir colga un aspetto importante
del racconto.
Il Grotti e il mælström
Il Grotti, come raccontato da Snorri, si presenta sotto tre differenti aspetti: come mulino della prosperità,
come mulino del sale e come mulino del gorgo marino. Di questi tre motivi, il poema cantato dalle
gigantesse racconta solo quello del mulino della prosperità, utilizzato da Fróði in maniera distorta, poiché il
re costringe le due gigantesse a lavorare senza sosta per lui e questo le porta alla loro vendetta, fino a
suscitare in loro il jǫtunmóðr, la tremenda furia distruttiva che prende i giganti e che porta alla distruzione
del mulino e alla fine dello stesso Fróði. Il temi del mulino del sale e mulino del gorgo vengono brevemente
accennati nel testo snorriano che introduce il poema, quando narra che Mýsingr, il «re del mare», prende
come bottino tutte le ricchezze di Fróði, compreso il Grotti, Fenja e Menja. Mýsingr utilizza il Grotti per
macinare sale e ne macina in quantità tale da affondare la propria nave e causare un gorgo. È probabile che
tale gorgo sia lo stesso comunemente noto col nome comune di mælström, in norvegese
detto moskstraumen, che è un reale sistema di vortici e gorghi che si forma in prossimità delle isole Lofoten.
La prima descrizione di questo gorgo fu data dal geografo greco Pitea di Massalia (odierna Marsiglia, III
sec. a.C.) e fu indicato col nome di Horrenda Carybdis sulla Carta Marina di Olaus Magnus nel 1539.
Hic est Horrenda Carybdis
Una drammatica rappresentazione del moskstraumen nella Carta Marina di Olaus Magnus (1539), insieme a
mostri marini e altre terribili insidie nei mari nordici
Fin dai tempi antichi, questo gorgo che nasce dall'incontro dei mari generò il mito di un mulino posto nelle
profondità degli abissi cui attribuire lo spaventoso fenomeno. Della relazione fra il Grotti e il gorgo marino
canta anche il poeta Snæbjǫrn, citato da Snorri nel Skáldskaparmál, che ha scritto questo lausavísa (poesia
di un'unica strofa), di cui diamo una traduzione molto letterale, spiegando di seguito le parafrasi
delle kenningar:
La poesia insiste sul tema del mulino, usando il nome di Grotti insieme a sostantivi specifici
come eylúðr «mulino di isole», ovvero il mare/oceano, líðmeldr, composto di meldr, che indica sia l'atto del
macinare quanto il grano o i cereali pronti ad essere macinati, quindi il «malto» e il verbo mala, «macinare,
girare la mola». L'immagine del gorgo viene resa da Snæbjǫrn proprio con un mulino, identificato per
metonimia con il Grotti, che viene mosso dalle onde del mare, le «nove fanciulle», ovvero le nove figlie
di Ægir e di Rán, madri di Heimdallr.
L'interpretazione di questa poesia, come accade per la maggioranza della poesia scaldica, è piuttosto difficile
ed è assai probabile che il compositore abbia ordito un complesso di significati ugualmente verosimili.
Questo esempio di Snæbjǫrn è comunque importante perché nei suoi multipli livelli di lettura conferma
proprio i vari attributi del mulino prodigioso narrati da Snorri nel mito di Fróði. Ad esempio «Grotti di
scogli», alle schiere crudelissimo» [Grotta | hergrimmastan skerja] può essere interpretato come mulino che
macina gli scogli, quindi kenning per il mare, oppure come mulino di scogli, che affonda le navi, per cui il
più crudele per gli eserciti (che navigano), o ancora un gorgo marino in cui sono presenti frammenti di
rocce, identificate coi frammenti di Grotti affondato nel mare. Ancora, è stato proposto di
interpretare hergrimmastan nel senso di Grotti quale mulino produttore di eserciti nati dal mare, alludendo
alla leggenda di Mýsingr.
Il tema del mulino quale causa del gorgo marino e della salinità del mare, che sono presenti nella parafrasi di
Snorri mentre invece mancano nel poema vero e proprio, appartengono in qualche modo al tema archetipico
del mulino, avendo le loro origini in altri miti che erano già antichi ai tempi di Snorri e che per noi sono
irrimediabilmente perduti.
Il faro di Stroma, posto ad avvertire della presenza del gorgo Swilkie vicino alle isole Orcadi
Questo mito del mulino è anche sopravvissuto in maniera indipendente nella letteratura popolare, soprattutto
nelle fiabe scandinave, come Perché il mare è salato, che fa parte della raccolta Norske Folkeeventyr di
Peter Asbjørnsen e Jørgen Moe. Nelle isole Orcadi il mito è ancora più vicino a quello originario di re Fróði:
c'è un gorgo situato a nord dell'arcipelago, chiamato Svelgr nella Orkneyinga saga. La leggenda narra che in
fondo al mare vi siano due gigantesse, Grotti-Fenni e Grotti-Menni, che macinano incessantemente sale e,
ove le acque incontrano il foro al centro della macina, si forma il gorgo. Nel manoscritto Litla Skálda il
gorgo viene collocato ove ne esiste uno realmente anche oggi, nel Péttlandsfjörðr, ovvero il Pentland Firth,
stretto di mare che separa le isole Orcadi dal nord della Scozia. Per avvertire le navi della presenza
dello Svelgr, oggi chiamato Swilkie Whirlpool, venne costruito nel 1896 il famoso Faro di Stroma, sull'isola
omonima.
Il Grottasǫngr assunse anche un grande significato sociale e politico nella Svezia del XX secolo, quando
Viktor Rydberg ne scrisse una versione in svedese moderno, Den nya Grottesången.
LJÓÐA EDDA
GROTTASǪNGR
- Prologo
- La schiavitù di Fenja e Menja (1-3)
- Canto delle gigantesse e discorso di Menja (4-6)
- Sprezzante risposta del re (7)
- Il canto del mulino Grotti (8-22)
- Distruzione del mulino (23-24)
- Versi di Einar Skúlason
- Versi di Egill Skallagrímsson
- Note
GROTTASǪNGR
LA CANZONE DEL GROTTI
Prologo (a) Hví er gull kallat mjǫl Perché l'oro è detto la farina di Fróði? A
Fróða? Til þess er saga sjá proposito di questo narra una saga che un
at Skjǫldr hét sonr Óðins figlio di Óðinn era chiamato Skjǫldr, dal
er Skjǫldungar eru frá quale sono discesi gli Skjǫldungar. Egli aveva
komnir. Hann hafði atsetu dimora e governava quelle terre che ora si
ok réð lǫndum, þar sem nú chiamano Danmǫrk, ma allora si chiamavano
er kǫlluð Danmǫrk, en þá Gotland.
var kallat Gotland.
(b) Skjǫldr átti þann son, er Skjǫldr aveva quel figlio che si
Friðleifr hét, er lǫndum réð chiamava Friðleifr, il quale regnò dopo di lui.
eftir hann. Sonr Friðleifs
hét Fróði.
(c) Mann tók konungdóm eftir Il figlio di Friðleifr si chiamò Fróði. Questi
fǫður sinn í þann tíð, er ereditò il regno dal padre all'epoca in cui
Ágústus keisari lagði frið l'imperatore Augusto impose la pace a tutto il
of heim allan. Þá var mondo e in cui nacque Cristo.
Kristr borinn.
(d) En fyrir því at Fróði var Ma poiché Fróði era il re più potente di tutte
allra konunga ríkastr á le terre del nord, la pace venne chiamata con
Norðlǫndum, þá var il suo nome in tutte le lingue danesi e gli
honum kenndr friðrinn um uomini la chiamarono dunque la Pace
alla danska tungu, ok kalla di Fróði. Nessun uomo noceva all'altro, anche
menn það Fróðafrið. Engi se avesse incontrato l'assassino del proprio
maðr grandaði ǫðrum, þótt padre o fratello, sia libero che imprigionato.
hann hitti fyrir sér Non c'erano ladri o briganti, tanto che un
fǫðurbana eða bróðurbana anello d'oro da tempo giaceva, intatto, sulla
lausan eða bundinn. Þá var piana di Jalangr.
ok engi þjófr eða
ránsmaðr, svá at
gullhringr einn lá á
Jalangrsheiði lengi.
(e) Fróði konungr sótti Re Fróði si recò ad una festa in Svezia presso
heimboð í Svíþjóð til þess quel re che era chiamato Fjǫlnir. Là egli
konungs, er Fjǫlnir er acquistò due serve che si
nefndr. Þá keypti hann chiamavano Fenja e Menja, le quali erano
ambáttir tvær, er hétu grandi e forti.
Fenja ok Menja. Þær váru
miklar ok sterkar.
(f) þann tíma fundust í A quel tempo si trovavano in Danimarca due
Danmǫrku kvernsteinar pietre da macina talmente grandi che nessuno
tveir svá miklir, at engi var era abbastanza forte da riuscire a muoverle.
svá sterkr, at dregit gæti. Tale era la natura di questo mulino, che esso
En sú náttúra fylgði produceva qualunque cosa che fosse prima
kvernunum, at þat mólst á stata richiesta da chi lo azionasse. Quel
kverninni, sem sá mælti mulino si chiamava Grotti ed Hengikjǫptr era
fyrir, er mól. Sú kvern hét il nome di colui che lo donò a re Fróði.
Grotti. Hengikjǫptr er sá
nefndr, er Fróða konungi
gaf kvernina.
(g) Fróði konungr lét leiða Re Fróði fece condurre le serve al mulino e
ambáttirnar til ordinò loro di macinare oro e così esse fecero:
kvernarinnar ok bað þær macinarono l'oro per primo e in seguito pace e
mala gull, ok svá gerðu gioia per Fróði. Allora egli non concesse loro
þær, mólu fyrst gull ok frið riposo o sonno più lungo del silenzio del
ok sælu Fróða. Þá gaf cuculo o del canto di una canzone. Si narra
hann þeim eigi lengri hvílð che esse poi intonarono quel canto che si
eða svefn en gaukrinn intitola Grottasǫngr e che, prima di
þagði eða hljóð mátti terminarlo, esse macinarono un esercito
kveða. Þat er sagt, at þær contro Fróði, cosicché quella notte giunse
kvæði ljóð þau, er kallat er quel re del mare che si chiamava Mýsingr, il
Grottasǫngr. Ok áðr létti quale uccise Fróði ed ivi trovò un grande
kvæðinu, mólu þær her at bottino. Fu allora che ebbe fine la pace
Fróða, svá at á þeiri nótt di Fróði. Mýsingr prese con sé il Grotti ed
kom þar sá sækonungr, er anche Fenja e Menja, e ordinò loro di
Mýsingr hét, ok drap macinare del sale. Quando fu mezzanotte esse
Fróða, tók þar herfang chiesero a Mýsingr se il sale fosse abbastanza.
mikit. Þá lagðist Egli ordinò di macinare ancora. Avevano
Fróðafriðr. Mýsingr hafði macinato giusto un altro poco, quand'ecco che
með sér Grotta ok svá la nave sprofondò e da allora vi fu un gorgo
Fenju ok Menju ok bað þær nel mare, ove le acque cadono nell'occhio
mala salt. Ok at miðri nótt della macina. Per questo il mare è divenuto
spurðu þær, ef eigi leiddist salato.
Mýsingi salt. Hann bað
þær mala lengr. Þær mólu
litla hríð, áðr niðr sǫkk
skipit, ok var þar eftir
svelgr í hafinu, er særinn
fellr í kvernaraugat. Þá
varð sær saltr.
La schiavitù di 1 Nú erum komnar Or siamo qui giunte
Fenja e Menja til konungs húsa del re nella casa
framvísar tvær, entrambe veggenti,
Fenja ok Menja. noi due, Fenja e Menja.
Þær eru at Fróða Son esse da Fróði,
Friðleifs sonar figliuol di Friðleifr,
máttkar meyjar possenti fanciulle
at mani hafðar. qual serve tenute.
2 Þær at lúðri Le donne al mulino
leiddar váru in ceppi fûr messe,
ok grjóts grjá i grigi macigni
gangs of beiddu. a fare girare.
Hét hann hvárigri Il re non concesse
hvíld né ynði, né agio o riposo
áðr hann heyrði se pria non udisse
hljóm ambátta. il canto servile.
3 Þær þyt þulu Mossero il gemito
þǫgnhorfinnar. del fugasilenzio.
“Leggjum lúðra, “Le casse posiamo,
léttum steinum.” lasciamo le pietre”,
Bað hann enn meyjar, diss'egli alle dame
at þær mala skyldu. ancor di molire.
Canto delle 4 Sungu ok slungu Cantaron tirando
gigantesse e snúðgasteini la pietra girante
discorso di Menja. svá at Fróða man ché i bravi di Fróði
flest sofnaði. dormirono, in molti.
Þá kvað þat Menja, Allor disse Menja,
var til meldrs komin: raggiunta la mola:
5 “Auð mǫlum Fróða, “Tesori per Fróði
mǫlum alsælan, moliamo fastosi,
mǫlum fjǫlð fjár moliamo fortune
á feginslúðri. dal gaio mulino.
Siti hann á auði, Sian seggio i tesori,
sofi hann á dúni, giaciglio al suo sonno,
vaki hann at vilja, si desti a piacere,
þá er vel malit. qualor sia ben volto.
6 Hér skyli engi Nessun qui potrebbe
ǫðrum granda, alcuno ferire,
til bǫls búa dolore arrecare
né til bana orka, né morte causare,
né hǫggva því né a filo passare
hvǫssu sverði, di spada fendente,
þó at bana bróður chi uccise il fratello
bundinn finni”. foss'anco legato”.
Sprezzante 7 En hann kvað ekki Parola non disse
risposta del re orð it fyrra: lui, salvo che questo:
“Sofið eigi þit “Non più dormirete
né of sal gaukar che i cùculi sopra
eða lengr en svá la sala, o più a lungo
ljóð eitt kveðak”. d'un carme cantato”.
Il canto del mulino 8 “Vatattu, Fróði, “Non fosti tu, Fróði,
Grotti fullspakr of þik, di vasta saggezza,
málvinr manna, degli uomini amico,
er þú man keyptir. le serve acquirendo.
Kaustu at afli La forza scegliesti
ok at álitum, ed il lor aspetto,
en at ætterni ma della lor stirpe
ekki spurðir. tu non domandasti.
9 Harðr var Hrungnir Possente era Hrungnir
ok hans faðir, ed anche suo padre,
þó var Þjazi però Þjázi era
þeim ǫflgari, di loro maggiore,
Iði ok Ǫrnir, Iði ed Aurnir
okkrir niðjar, ci furon parenti,
brǿðr bergrisa: giganti fratelli:
þeim erum bornar. da lor noi nascemmo.
10 Kǿmia Grotti Non Grotti sarebbe
ór gréa fjalli da grigia alpe giunto,
né sá inn harði né qui il duro masso
hallr ór jǫrðu dal cuor della terra,
né mǿli svá né dama gigante
mær bergrisa, l'avrebbe girato,
ef vissi vit se fossimo ignare
vætr til hennar. di questa sua sorte.
11 Vér vetr níu Per nov'anni fummo
várum leikur compagne di giochi,
ǫflgar, alnar cresciute, possenti,
fyr jǫrð neðan. giù sotto la terra.
Stóðu meyjar Compiron fanciulle
at meginverkum, imprese grandiose,
færðum sjalfar da sole togliemmo
setberg ór stað. macigni ai lor siti.
12 Veltum grjóti Un masso spingemmo
of garð risa, sul suol dei giganti,
svá at fold fyrir ch'avanti la terra
fór skjalfandi. fendeva tremante.
Svá sløngðum vit Così noi volgemmo
snúðgasteini, la pietra girante,
hǫfgahalli, la roccia possente
at halir tóku. perché uom prendesse.
13 En vit síðan E dunque noi due
á Svíþjóðu in terra di Svezia,
framvísar tvær entrambe veggenti
í fólk stigum. fra armate passammo.
Beiddum bjǫrnu, Gli orsi sfidammo,
en brutum skjǫldu, gli scudi frangemmo,
gengum í gegnum incontro alle schiere
gráserkjat lið. di grigio bardate.
14 Steyptum stilli, Un re rovesciammo,
studdum annan, un altro insediammo,
veittum góðum al fianco di Gothormr
Gothormi lið. il buono noi fummo.
Vara kyrrseta, Non ebbesi tregua
áðr Knúi felli. finché Knúi crollò.
15 Fram heldum því Così procedemmo,
þau misseri, in quelle stagioni,
at vit at kǫppum al par di campioni
kenndar várum. noi fummo famose.
Þar skorðu vit Noi due ferivamo
skǫrpum geirum con lance affilate,
blóð ór benjum a sangue ferendo
ok brand ruðum. e rosse le spade.
16 Nú erum komnar Or siamo qui giunte,
til konungs húsa del re nella casa,
miskunnlausar di grazia private
ok at mani hafðar. e qual serve tenute.
Aurr etr iljar, Argilla i piè rode,
en ofan kulði, il gelo ci assale
drǫgum dolgs sjǫtul. al chetabattaglie.
Daprt er at Fróða. È grama da Fróði!
17 Hendr skulu hvílask, Riposo alle mani,
hallr standa mun, la pietra si fermi,
malit hefi ek fyr mik, io ho macinato,
mitt of létti. la parte mia basti.
Nú muna hǫndum Per le mani ora
hvíld vel gefa non vi sarà sosta
áðr fullmalit finché sfarinato
Fróða þykki. ben Fróði ritenga.
18 Hendr skulu hǫndla Avremo alle mani
harðar trjónur, più dure le lance,
vápn valdreyrug. e l'armi cruente.
Vaki þú, Fróði! Or destati, Fróði!
Vaki þú, Fróði Or destati, Fróði
ef þú hlýða vill se udire vorrai
sǫngum okkrum i nostri cantari
ok sǫgnum fornum. e i canti degli avi.
19 Eld sé ek brenna Un rogo già vedo
fyr austan borg, ad est del maniero:
vígspjǫll vaka, un vento di guerra
þat mun viti kallaðr. che monito desta.
Mun herr koma Da lungi verrà
hinig af bragði la schiera veloce,
ok brenna bǿ ardendo la casa
fyrir buðlungi. dinanzi al sovrano.
20 Munat þú halda Non tu manterrai
Hleiðrar stóli, il trono di Hleiðr,
rauðum hringum gli anelli scarlatti,
né regingrjóti. né i sacri altari.
Tǫkum á mǫndli La presa stringiamo,
mær, skarpara, fanciulla, più salda;
eruma varmar calor non avremo
í valdreyra. dal sangue dei morti.
21 Mól míns fǫður Alacre la figlia
mær ramliga del padre mio volge,
þvíat hon feigð fira poiché ella ha veduto
fjǫlmargra sá. di molti la fine.
Stukku stórar Ceduto ha il mulino
steðr frá lúðri, nei grandi sostegni,
járni varðar. di ferro coperti.
Mǫlum enn framar! Ancor maciniamo!
22 Mǫlum enn framar! Ancor maciniamo!
Mun Yrsu sonr, Il figlio di Yrsa
niðr Halfdana nipote di Hálfdanr,
hefna Fróða. giustizierà Fróði.
Sá mun hennar Così della donna
heitinn verða sarà egli chiamato
burr ok bróðir. figlio e fratello.
Vitum báðar þat”. Entrambe sappiamo”.
Distruzione del 23 Mólu meyjar, Molivan, fanciulle,
mulino megins kostuðu, con sì sforzo immane,
váru ungar le giovani cadder
í jǫtunmóði. in furia gigante.
Skulfu skaptré, Il perno tremò,
skauzk lúðr ofan, si ruppe la cassa,
hraut inn hǫfgi schiantò in frantumi
hallr sundr í tvau. il grande palmento.
24 En bergrisa La donna gigante
brúðr orð of kvað: offrì la parola:
“Malit hǫfum, Fróði, “Molimmo noi, Fróði,
sem munum hætta, finché non finimmo,
hafa fullstaðit a lungo restaron
fljóð at meldri”. le dame alla mola”.
Versi di Einarr Einarr Skúlason kvað svá: Einarr Skúlason disse così:
Skúlason “Frá ek at Fróða meyjar “Sepp'io che le dame di Fróði
fullgóliga mólu forti giravan la mola
lætr stillir grið gulli lasciò il re pace per oro
Grafvitnis beð slitna. giaciglio di Grafvitnir.
Mjúks bera minnar øxar Le gote, a tal acero atte,
meldr þann við hlyn feldrar dell'ascia mia recan del re
konungs dýrkar fé Fenju la farina, esalta il timon
fǫgr hlýr bragar stýri”. dello scaldo l'opra di Fenja”.
Versi di Egill Svá kvað Egill: Così disse Egill:
Skallagrímsson “Glaðar flotna fjǫlð “Eserciti d’uomini lui desta
við Fróða mjǫl”. con la farina di Fróði, in festa”.
NOTE
a — Skjǫldr: «scudo». Mitico capostipite dei re dei Dani. Trattava di lui una Skjǫldunga saga, andata
perduta, di cui è rimasto un riassunto in latino di Arngrímur Jónsson (1568-1648). Snorri afferma
che Skjǫldr sia figlio di Óðinn (Edda > Formáli [4c]); costui sposò Gefjun dopo l'inganno da lei perpetrato
ai danni di re Gylfi, e i due vissero insieme a Hleiðr (odierna Lejre, Danimarca) (Ynglinga saga [5]). Tra i
primi storici danesi, anche Svend Aggesen e Saxo Grammaticus citano Skyoldus come un'antico re dei Dani,
eponimo della dinastia degli Skjǫldungar (Gesta Danorum [I: iii-iv]). Il personaggio compare come Scyld
Scēfing nel prologo del Bēowulf, dove si narra la curiosa leggenda del suo arrivo dal mare su una barca priva
di nocchiero. Il nome di Skjǫldr è invece sconosciuto al Chronicon Lethrense, che pone Danr come
capostipite della dinastia.
b — Friðleifr: «[colui che] vive in pace». Mitico sovrano danese. Snorri afferma fosse figlio di un
certo Fróði inn mikilláti («il magnifico») o inn friðsami («il fecondo di pace»), successore a sua volta
dell'eroe eponimo Danr. Friðleifr sale al trono alla morte del fratello Hálfdan, e gli succede a sua
volta Fróði inn frǿkni («il prode») (Ynglinga saga [25-26]). Saxo Grammaticus parla di un Fridlevus II,
figlio di Frotho III e padre di Frotho IV (Gesta Danorum [VI: i-iv]), rispecchiando in qualche modo la
successione genealogica già descritta da Snorri. I dati forniti sulle biografie dei personaggi non sono però
confrontabili.
d — L'espressione «in tutte le lingue danesi» [um alla danska tungu] significa qui «in tutte le lingue dei
popoli scandinavi»; dansk tunga altri non è che l'antica denominazione della lingua norrena.
e — Del re svedese Fjǫlnir e della sua amicizia con Fróði, trattano varie fonti. Secondo una leggenda,
riferita da Þjóðólfr ór Hvínir e ripresa anche da Snorri, Fjǫlnir morì proprio mentre si trovava nel Danmǫrk
quale ospite di Fróði: una notte, ubriaco fradico, precipitò da un ballatoio al piano rialzato del palazzo di
Hleiðr, finì in una botte colma di idromele e annegò. (Ynglingatal [1] | Ynglinga saga [11])
f — Hengikjǫptr, «mascella» o »guancia cadente», uno dei nomi di Óðinn riportato anche nelle þulur. — Re
del mare [sækonungr]: re il cui regno è il mare, probabilmente un condottiero vichingo.
3 — (b) «Fugasilenzio» [Þǫgnhorfinn]: si tratta di una parola composta di dubbio significato che
letteralmente significa «silenzio scomparso», «abbandonato dal silenzio» o «privo di silenzio» dal
verbo hverfa «girare, andarsene, abbandonare», da cui il participio passato horfinn «scomparso,
abbandonato», e da þǫgn «silenzio». Þǫgnhorfinn è generalmente accettata come kenning per il mulino col
valore di qualcosa di rumoroso, che cessa il silenzio per effetto del suo movimento. Il dizionario di Cleasby
e Vigfússon, alla voce Þǫgnhorfinn: «an epithet of a mill […] the passage is not quite clear, and an
alliteration seems to be wanting» (Cleasby ~ Vigfússon 1874). Si veda anche il Lexicon di Sveinbjörn e
Jónsson, alla voce Þǫgnhorfinn: «adj, forsvunden med hensyn til tavshed, hvis tavshed er borte, om den
surrende kværn (hvis ordet er rigtigt), þytr þǫgnhorfinnar» (Egilsson ~ Jónsson 1860).
5 — (d) «Gaio mulino»: kenning per il mulino di Fróði, dispensatore di pace e ricchezza. Si veda Cleasby-
Vigfusson, alla voce Feginn: «á fegins-lúðri, on the mill of joy (poët.)» (Cleasby ~ Vigfússon 1874).
13 — (e) «Orsi sfidammo»: espressione che non si riferisce ai veri orsi, ma ai guerrieri vestiti di pelle d'orso
[berserkir]. — (g-h) «Le schiere di grigio bardate»: schiere vestite di grigio, ovvero rivestite con armature di
ferro.
20 — (b) Hleiðr(a): si tratta dell'attuale Lejre nella regione dello Sjælland, in Danimarca. Hleiðr era l'antica
sede del cosiddetto Regno di Lejre, sviluppatosi durante l'età del ferro, che secondo le saghe e le leggende
era dominato dalla dinastia degli Skjǫldungar. È probabile che la Danimarca medievale abbia avuto origine
proprio da questo regno. Si pensa inoltre che Hleiðr fosse la sede ove sorgeva anche Heorot, il «Cervo»,
ovvero la sala di re Hroðgar nel Bēowulf. Effettivamente in questo luogo sono stati trovati molti resti
archeologici di antiche sale reali. Le leggende dei re di Hleiðr sono raccolte nel Chronicon Lethrense,
raccolta composta nel XII secolo, che racconta degli antichi re danesi di epoca pre-cristiana e delle loro
avventure. Fra questi re figura anche il famoso re Hrólfr Kraki.
22 — Ci si riferisce qui, con qualche variazione, a una truce leggenda narrata nella Hrólfs saga Kraka. In
questa versione, Fróði uccise suo fratello Hálfdanr e divenne re al suo posto. Tempo dopo,
tuttavia, Fróði cadde a sua volta, ucciso dai figli di Hálfdanr, Helgi e Hróarr, i quali vendicarono così loro
padre. In seguito, Helgi, si spostò in Sassonia e qui violentò la regina Oluf, dalla quale era stato respinto e
umiliato. In seguito la regina diede alla luce una figlia, a cui, per disprezzo, diede il nome della sua
cagna: Yrsa. Tempo dopo, Helgi tornò alla corte di Oluf e si innamorò di Yrsa, non sapendo che si trattasse
di sua figlia. Piena di rancore per lo stupro subito, la regina Oluf non gli rivelò la parentela,
così Helgi sposò Yrsa e dall'incesto nacque un figlio, il futuro sovrano Hrólfr Kraki (il quale è perciò
chiamato «figlio e fratello» di Yrsa). Si noti che nella versione della leggenda a cui accenna questa strofa
del Grottasǫngr, l'assassino di Fróði (identificato col re del mulino) sembra essere lo stesso Hrólfr
Kraki.
Versi di Egill Skallagrímsson — Come si narra nella saga a lui dedicata, lo scaldo vichingo Egill
Skallagrímsson (ca 900-992) compose il poemetto encomiastico-propiziatorio Hǫfuðlausn, il «riscatto della
testa», in una sola notte, per scongiurare l'ira di re Eiríkr Blóðøx «asciadisangue» contro di lui. Si tratta tra
l'altro della prima composizione islandese in rima. I versi citati da Snorri appartengono a una strofa che così
recita:
Fittissimo, il gioco delle kenningar: (a) “della spalla il segno” è il bracciale, l'armilla; (b) “della mano il pegno” è
l'oro; (c) “l'oblio del tesoro” è ugualmente l'oro; (d) “armillifrago” è il sovrano, che spezza le armille per donarne i
frammenti agli uomini a lui fedeli e agli scaldi che lo hanno immortalato nei loro versi; ( e-f) “nevischio di sassi che
alla riva del falco s'arresta” sono le armille (“nevischio di sassi”) che stanno sul braccio (“la riva del falco”); (h)
infine, “farina di Fróði” è l'oro. Parafrasi: «[Eiríkr blóðøx] spezza bracciali ed offre oro: il sovrano non deve essere
avaro di oro (non deve indugiare sulle proprie ricchezze), poiché ha molti bracciali (conquista molto oro) e può così
rendere felici i molti uomini al suo seguito».
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