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I REGNI DI DARKOVER
(Thendara House, 1983)
Poco dopo avere terminato il romanzo The Shattered Chain (1976), ini-
ziai a scrivere, più che altro per mia soddisfazione personale, la storia di
Magda nella Loggia delle Amazzoni. In quel periodo io e Jacqueline Li-
chtenberg eravamo in regolare corrispondenza; fu lei a suggerirmi di rac-
contare anche le avventure di Jaelle nel campo terrestre, come sostituta di
Magda. Io le risposi che al momento quella particolare storia non mi inte-
ressava, ma che poteva scriverla lei, se voleva. Così, per nostro piacere,
scrivemmo complessivamente cinque o sei capitoli ciascuna, in vista di u-
n'eventuale collaborazione. Presto, però, ci dovemmo dedicare entrambe
ad altri romanzi che non riguardavano Darkover, e la carriera di Jacque-
line finì per prendere una direzione alquanto diversa. Del resto, ci erava-
mo accorte di non avere le stesse idee sullo sviluppo della storia, e con di-
spiacere, ma senza intaccare la stima reciproca, rinunciammo a quella
particolare collaborazione: lei ritornò ai suoi cicli di romanzi - Sime e
Molt Brother - e io ai miei, di Darkover e non. Quanto ai capitoli scritti in
collaborazione, erano finiti, forse per sempre, nel cassetto dei lavori in so-
speso.
CAPITOLO 2
JAELLE N'HA MELORA
CAPITOLO 3
MAGDA
CAPITOLO 4
L'INCUBO
Jaelle sognava. Il pozzo era buio: una macchia di fango scuro e di om-
bre, ma dietro le rocce cominciava a innalzarsi il sole. Lei era abbastanza
grande per capire quel che stava succedendo al di là del fuoco: aveva do-
dici anni, e a Shainsa una bambina di dodici anni portava già le catene e
aiutava durante il parto. Ma quelle donne senza catene, le Amazzoni, l'a-
vevano mandata vìa, come se lei fosse una bambina piccola. Sentiva la vo-
ce della madre, il dolore che la trafiggeva.
Jaelle! Sei libera, sei libera... ma Jaelle aveva ancora le mani incatena-
te e cercava inutilmente di liberarsi.
«Amore...» Peter le prendeva le mani, l'abbracciava. «È solo un brutto
sogno...»
Le giunse il pensiero di Peter: Un incubo. Un altro. Dio mio, ha un in-
cubo tutte le notti. Non so cosa fare.
Jaelle si allontanò da lui, senza sapere perché, e vide che aggrottava la
fronte.
«Kyril...» la donna mormorò. E poi: «No. Scusa. Per un momento ti ho
scambiato per mio cugino Kyril...»
Lui rise. «Un vero incubo, allora. Guarda, contami le dita. Cinque.» Ap-
poggiò la mano sulla sua, e lei sorrise nel ricordare l'episodio. Peter era i-
dentico a suo cugino Kyril Ardais, il figlio della Nobile Rohana: l'unica
differenza stava nel fatto che, come tutti quelli della sua famiglia, Kyril
aveva sei dita per mano.
Kyril aveva continuato a toccarla per tutta l'estate, finché lei, piangendo
di collera e d'umiliazione, l'aveva allontanato con le tecniche di lotta inse-
gnate alle Amazzoni. Un'Amazzone, diceva il proverbio, può essere uccisa,
ma non può essere violentata.
Per rispetto di Robana, aveva cercato di non fargli del male.
«Cara, stai bene?» chiese Peter. «Vuoi che chiami un medico? Hai avuto
un incubo ogni notte... da quanto tempo? Dieci, undici notti.»
Lei cercò di concentrarsi sulle sue parole. Non ricordava il sogno, ma
sentiva in bocca uno strano sapore, e corse in bagno a sciacquarsi i denti.
Quando ritornò, Peter le fece bere qualcosa.
«Comunque, domani ti porterò da un medico», le disse, mentre beveva
lo strano liquido gorgogliante che lui le aveva dato. Jaelle fece per posare
il bicchiere, ma Peter scosse la testa.
«No, bevilo tutto, ti metterà a posto lo stomaco.» Guardò il letto, mise a
posto il cuscino. «Deve essere il programma di studio che ti hanno dato, o
il corticatore onde-alfa è guasto. Può dare squilibri.» Osservò la macchina.
«Oppure ha stimolato eccessivamente qualche parte del tuo inconscio. Por-
talo al reparto Medicina, domani, e chiedi di controllarlo sull'elet-
troencefalogramma.» Per Jaelle, era come se parlasse dall'altro capo del
mondo: lei non capiva le sue parole e non voleva capirle.
Jaelle tornò sotto le coperte, ma non riuscì più ad addormentarsi. Che la
macchina per imparare nel sonno fosse davvero guasta? Ma i suoi incubi
erano iniziati quando ancora non usava quella macchina.
Poco prima che la sveglia suonasse, Peter cominciò ad accarezzarla, e
Jaelle si abbandonò a quel conforto, che era diventato tanto importante per
lei. Si lasciò eccitare, si lasciò stringere, prese parte al piacere di Peter nel
possederla. Non le pareva di essergli mai stata così vicina; tese la mente
per esserlo ancora di più e sentì i suoi pensieri:
La mia carne. La mia donna. Un figlio mio, l'immortalità... mio, mio...
Non erano parole, era qualcosa di più profondo, che stava alla base della
personalità maschile. Jaelle non conosceva i termini usati nelle Torri, gli
strati consci e inconsci della mente, la polarità maschile-femminile, ma lo
sentiva direttamente. Notava in se stessa il risveglio di sensibilità nuove,
opposte tra loro. E una parte staccata della sua personalità si ribellò, le ri-
cordò il Giuramento delle Amazzoni: "Mi concederò solo nel momento e
nella stagione da me scelti... non darò figli a nessun uomo per ragioni di
casato o di dinastia, di clan o di eredità, di orgoglio o di successione..."
Di orgoglio... di orgoglio...
In quel momento, fu quasi sul punto di strapparsi dalla sue braccia, ma
qualcosa, dentro di lei, le disse: No, non succederà niente, questa volta.
Non si staccò; si limitò a non rispondere più alle sue carezze: era troppo
bene educata per eccitare un uomo e per poi lasciarlo insoddisfatto. Ma
presto anche il desiderio di Peter si spense.
«Oh, mi spiace...» mormorarono insieme, nel separarsi. E Jaelle disse:
«Non è colpa tua... solo, si vede che non era il momento giusto».
Peter portò un recipiente e due tazze. «Ho qui del caffè, ti farà bene.»
Poi, mentre Jaelle lo beveva lentamente, le accarezzò il collo.
«Sei così bella. Mi piacciono i tuoi capelli, quando sono lunghi così.
Non tagliarli più.»
Lei sorrise e gi accarezzò la guancia. Peter non si era ancora fatto la bar-
ba e la sua pelle era ruvida. «Cosa diresti, se ti chiedessi di farti crescere la
barba?»
«Oh, via!» disse lui. «Vuoi scherzare.»
Jaelle rise. «Volevo solo dire che non te lo chiederei mai, perché la fac-
cia è tua. E i capelli sono miei.»
«Oh, al diavolo!» esclamò Peter. «Non ho nessun diritto, allora?»
«Diritti? Sui capelli miei?» Di nuovo, provò la sensazione che aveva
provato quando era entrata in contatto mentale con l'orgoglio di Peter. C'è
qualcosa che non va, si disse, e continuò a fissare la tazza di caffè, cercan-
do di mettere ordine nei suoi pensieri.
«Cara, sei sicura di stare bene?» le chiese Peter, di ritorno dalla doccia.
«Vuoi che ti prenoti un appuntamento dal medico?»
«No, oggi ho da finire un rapporto.» Si alzò e si diresse alla doccia;
quando cominciò a muoversi, si sentì meglio. Si vestì; ormai si era abituata
all'uniforme dei terrestri. Peter la abbracciò e si allontanò in fretta.
Quando eravamo ad Ardais, Peter era diverso, si disse Jaelle. Poi si af-
frettò a cancellare quel pensiero perché era troppo preoccupante.
CAPITOLO 5
CARILLA N'HA KYRIA
CAPITOLO 6
IL POTERE DEI COMYN
Jaelle studiò la faccia dell'uomo davanti a lei, la fronte alta, il naso aqui-
lino, i capelli spruzzati di grigio, e disse: «Sì, certo, nelle Terre Aride po-
treste passare per un abitante del luogo. Ma i problemi sono dati dai com-
plessi rapporti di clan e dalle abitudini della vita di tutti i giorni. Dovreste
dare troppe spiegazioni; sarebbe meglio fingere di essere un uomo di un'al-
tra regione, un mercante».
Kadarin annuì. Parlava perfettamente la lingua. Non lo si distingueva da
un darkovano. «Forse dovreste venire con me», disse l'uomo, «e infor-
marmi durante il viaggio.»
Mai! Jaelle scosse la testa. «Dovrei portare le catene e fingere di essere
di vostra proprietà», disse. «Il giuramento delle Amazzoni lo proibisce.»
«Cercherò di farcela», disse l'uomo. «Ma mi piacerebbe sapere di più.
Cholayna dice che siete vissuta laggiù fino a dodici anni.»
«Dentro le mura del palazzo di Shainsa», rispose lei, «guardata giorno e
notte dalle sorveglianti. Sono uscita dalle mura in due sole occasioni, du-
rante alcune feste solenni. E tutto quel che sapevo me lo avete tirato fuori
dalla testa con il vostro corticatore, o come diavolo si chiama!»
Sotto una leggera ipnosi, le erano riaffiorati ricordi che non sapeva di
avere. Lei che giocava con le altre figlie di Jalak: le bambine si legavano
nastri di seta ai polsi, fingendo di essere abbastanza grandi per portare le
catene come le donne. Un uomo che aveva cercato di entrare nelle stanze
femminili: frustato e legato a un palo, sopra un nido di scorpioni, e l'eco
delle sue grida; non poteva avere più di tre anni quando la bambinaia glie-
lo aveva fatto vedere inavvertitamente, e se n'era dimenticata fino a quel
giorno, sotto il corticatore. Jalak che accarezzava le sue favorite, nella sala
principale del palazzo. Sua madre, con una catena d'oro ai polsi, che la te-
neva sulle ginocchia. Quella volta che era stata punita perché si era affac-
ciata oltre le mura...
Cercò di allontanare i ricordi indesiderati; era finito, finito, salvo che ne-
gli incubi!
E sua madre che moriva dissanguata sulla sabbia del deserto...
«Non posso dirvi altro», concluse. «Vestitevi come un mercante giunto
da poco nelle Terre Aride, parlate piano, non offendete nessuno, e vedrete
che riuscirete a svolgere la vostra missione senza pericolo. Da un forestie-
ro si accetta quello che, se fosse fatto da una persona del luogo, sarebbe u-
n'offesa.»
Kadarin alzò le spalle. «A quanto pare, non ho scelta», disse. «Vi ringra-
zio. E posso chiedervi un'altra cosa, di natura più personale.»
«Potete chiederla», rispose lei, «ma non vi prometto di rispondere.»
«Che cosa ci fa, in mezzo alle Rinunciatarie, una dama dei Comyn, con
tutte le caratteristiche della sua casta?»
Per Jaelle, la parola Comyn era carica di tristi ricordi. Rispose: «Non so-
no dei Comyn», e non disse altro.
«Illegittima, allora, di qualche Grande Casa?» chiese l'uomo, ma Jaelle
si limitò a scuotere la testa. Non intendeva certamente dirgli che sua madre
era Melora Aillard, dotata di tutto il potere della sua casata, addestrata nel-
le Torri; rapita e portata nelle Terre Aride, costretta a sposare Jalak di
Shainsa... salvata poi dalle Amazzoni, e morta nel dare alla luce il figlio di
Jalak, nel deserto vicino a Carthon. Eppure, di fronte allo sguardo dell'uo-
mo, si chiese se non avesse anche lui il potere e non fosse in grado di leg-
gerle quelle cose nella mente.
Il potere! I terrestri avevano qualcosa di peggio del potere, avevano quel
maledetto corticatore che riusciva a smuovere tutti i suoi incubi! Inoltre, le
avevano detto di avere anche un'efficace macchina per leggere i pensieri,
ma lei si era rifiutata di sottoporsi a essa. Non aveva voluto aprire i suoi
pensieri a una Sapiente bene addestrata, quando le avevano chiesto di an-
dare in una Torre, e ora non voleva certo sottomettersi alle macchine rozze
e meccaniche di quei terrestri! Con sollievo, vide che Kadarin si accomia-
tava da lei, con un inchino. Da dove veniva quell'uomo, si chiese? Non a-
veva mai visto uomini come lui.
Accantonò quel pensiero. Doveva passare il resto della mattinata con
Alessandro Li - Aleki - per insegnargli i giusti modi di rivolgersi alle per-
sone.
Glieli stava già insegnando da vari giorni, a volte alla presenza del gio-
vane Montray - Monty - a volte soli. Per prima cosa, Aleki aveva letto tutti
i rapporti su Darkover. Gran parte di essi erano stati compilati da Magda
Lorne o da Peter Haldane, e Jaelle era rimasta stupita, nel vedere quante
cose avessero scoperto quei due! Quando andò da lui, vide che Aleki stava
leggendo il rapporto di Jaelle sul viaggio negli Hellers e lo paragonava a
quelli di Magda e di Peter. Quando Jaelle entrò, l'uomo si alzò per salutar-
la.
«Devo chiedervi un'informazione», disse. «Ma, prima di cominciare, vo-
lete bere qualcosa?»
Jaelle accettò un succo di frutta e si sedette. Aleki portò il bicchiere per
lei e, per se stesso, una tazza di liquido fumante.
«In questi tre rapporti», disse, «leggo che avete passato l'inverno al ca-
stello di Ardais, giusto?»
Jaelle annuì.
«Voi, un'Amazzone... e mi par di capire che una parte della società vi è
ostile... siete stata ospite al castello, con Haldane e Lorne, senza difficoltà?
L'ospitalità arriva a questo, sui monti?»
Quest'uomo è molto intelligente. Non devo sottovalutarlo. «Il Signore di
Ardais darebbe ospitalità a chiunque non avesse casa», rispose, «ma io so-
no stata accolta come consanguinea; la Nobile Rohana è... parente di mia
madre.»
«Allora, voi siete imparentata con i Comyn... perché mi sembra che gli
Ardais ne facciano parte. Non riesco a capire con esattezza la natura del
dominio dei Comyn», disse. «Dalla mia documentazione non si riesce a
capire perché la società, su Darkover, abbia preso questa impronta feudale,
o come l'aristocrazia dei Comyn sia giunta al potere. Naturalmente, la no-
stra conoscenza della storia di Darkover è molto incompleta...»
«In genere, anche i darkovani conoscono male la loro storia», disse Jael-
le, con cautela. «Di solito si dice che le origini della società di Darkover si
perdono in quella che è chiamata Età del Caos. A quell'epoca...» esitò a
parlare, perché gli Hastur avevano proibito di descrivere ai terrestri i giorni
di massimo fulgore delle Torri e dell'antica tecnologia delle matrici che per
poco non aveva distrutto Darkover. «La storia è ben documentata solo ne-
gli ultimi secoli, da quando la terra era divisa in un centinaio di regni.»
«È un territorio molto piccolo, per ospitare un centinaio di regni», osser-
vò Aleki, e Jaelle annuì.
«Certo, ma in genere i regni erano molto piccoli. All'epoca del Patto...
ne avete sentito parlare?» chiese.
«È la legge che vieta di usare armi che colpiscono a distanza, mi pare.»
«Sì», disse Jaelle. «Il Patto ha notevolmente ridotto il numero delle
guerre. Come dicevo, all'epoca del Patto ci sono stati alcuni conflitti chia-
mati Guerre Hastur, e lentamente gli Hastur si sono annessi tutti gli altri
regni, per poi suddividerli in sette regioni, gli attuali Sette Regni, dominati
dai sette rami degli Hastur, ossia dai Comyn. Gli Hastur di Hastur a est, gli
Elhalyn a Hali, gli Alton di Armida e Mariposa e così via.»
«Lo so», disse Aleki, «ma non capisco quale sia la fonte del potere dei
Comyn e perché la gente obbedisca loro senza fare domande. Visto che
siete parente della Nobile Rohana, dovreste conoscere la loro storia e le ra-
gioni del loro potere.»
«Conosco quello che sanno tutti», disse Jaelle, per sfuggire alla doman-
da, «e in questo paese c'è molta gente che ha un po' di sangue Comyn. Ne
ho io stessa, che, come avete detto voi, sono una semplice Rinunciataria.»
Ma Aleki non si lasciò convincere.
«Non riesco a capire perché la gente abbia tanto rispetto per gli Hastur.»
«Perché, i terrestri non obbediscono ai loro capi?»
«Sì, ma i nostri capi sono eletti da tutti», rispose lui. «Noi siamo una
confederazione, e abbiamo offerto a Darkover di entrare a farne parte.
Darkover manterrebbe il suo governo autonomo e manderebbe i suoi rap-
presentanti al nostro senato. Di solito i mondi sono lieti di entrare a far
parte della nostra confederazione, ma Darkover non ha accettato, e noi non
ne comprendiamo il motivo. Non sappiamo se sia la volontà della popola-
zione o se sia quella degli Hastur.»
Jaelle sentì che aveva parlato sinceramente, e che era perplesso. Gli
chiese: «Darkover ha avuto la possibilità di scegliere? Oppure siete arriva-
ti, vi siete installati qui e poi ci avete offerto di entrare a far parte della vo-
stra confederazione?»
«Darkover è una nostra colonia», disse Alessandro Li. «I darkovani sono
arrivati dalla Terra, molti anni fa. Quando siamo arrivati su Darkover, co-
noscevamo già la vostra origine; voi, invece, non ricordavate più la vostra
storia... forse a causa dell'Età del Caos di cui mi avete parlato. I Comyn
hanno deciso di non fare sapere al popolo queste cose, perché il popolo
non chieda l'annessione.»
Jaelle era tentata di riferirgli le obiezioni da lei udite, ma non voleva
prendere le difese dei Comyn. Inoltre, se avesse parlato, Aleki ne avrebbe
approfittato per ottenere da lei qualche ammissione. Tutte quelle spiega-
zioni, intuì, miravano a farle calare la guardia. Perciò, Jaelle non cadde nel
tranello.
«Personalmente non vedo perché Darkover debba entrare per forza a far
parte della vostra confederazione», si limitò a dire. «Ma io non conosco i
pensieri degli Hastur. Probabilmente hanno esaminato la proposta con at-
tenzione, e a me la loro decisione sta bene.»
«Non preferireste avere voce in capitolo?» chiese Li, «invece di obbedi-
re irragionevolmente agli ordini di un gruppo dominante?»
«Io non obbedisco irragionevolmente agli ordini di nessuno, né Hastur,
né marito, né Dio», ribatté lei. «Ma i Comyn hanno esaminato la cosa me-
glio di me. Peter mi ha spiegato il vostro sistema di votazioni, e mi sembra
un modo per affidare le decisioni a chi non è adatto a prenderle. Preferite
ascoltare la voce di mille sciocchi, o di un milione di sciocchi, oppure
quella di un singolo uomo saggio, che conosce bene le cose?»
«Be', non è detto che mille o un milione di persone comuni siano sempre
degli sciocchi, o che chi parla per l'aristocrazia sia sempre saggio», rispose
lui. «Inoltre, se i mille o il milione sono sciocchi, il saggio non ha il dovere
di istruirli?»
«Voi date per certa una considerazione che io non accetto», disse Jaelle,
«ossia che basti istruire uno sciocco perché diventi saggio. Da noi si dice
che potete mandare a scuola un somaro per cent'anni, ma che imparerà sol-
tanto a ragliare più forte.»
«Ma voi non siete un somaro. Perché pensate che gli altri non possano
imparare come avete imparato voi?»
«Io non sono ignorante», rispose Jaelle, «ma non posso vedere lontano
come i Comyn. Io non ho il potere, e anche se imparassi tutto quello che
c'è da imparare, non potrei leggere la mente e il cuore degli uomini, come
fanno loro, né vedere come loro il passato e il futuro. È questo che dà loro
la forza di governare, e che dà loro la saggezza che convince gli altri a se-
guirli.»
«Il potere», disse lui, subito. «Che cos'è veramente?» E Jaelle si accorse,
troppo tardi, di avere abboccato. Maledisse l'orgoglio che l'aveva spinta a
discutere con il terrestre.
«Ho detto potere?» chiese Jaelle, in tono indifferente. Ma Aleki aveva
certamente uno dei suoi maledetti registratori, e poteva ascoltare di nuovo
le sue parole.
«Sì, potere», disse l'uomo. «Naturalmente, conosco il significato di que-
sta parola, pronunciata con l'intonazione che le avete dato voi: i poteri
mentali, che secondo molti terrestri non esistono. La vostra gente crede
che gli Hastur abbiano questi poteri?»
Jaelle pensò che avrebbe fatto meglio a dire fin dall'inizio che era una
superstizione della gente ignorante. Ma Aleki non volle insistere.
«Penso che per oggi sia sufficiente. Non dobbiamo arrivare tardi al rice-
vimento.»
«Certo, dato che siete l'ospite d'onore», rispose Jaelle, e nel vedere la
faccia sorpresa di Aleki fece una smorfia; glielo aveva letto nella mente.
«Come lo sapete?» chiese l'uomo. «Avete anche voi i poteri mentali de-
gli Hastur?»
«Oh, no», rispose lei, «ma quando c'è un... ospite importante come voi,
non occorre il potere per capire che sarà l'ospite d'onore.»
«Spero di non avervi stancato con le mie domande», disse lui. «Andate a
farvi bella per il ricevimento. Rivedrò con piacere vostro marito. Già
quando ho letto i suoi rapporti ho pensato che fosse un uomo eccezionale,
e adesso ne ho la conferma, visto che è riuscito a farsi amare da una perso-
na competente come voi.»
Jaelle si sforzò di non arrossire. L'addestramento della Loggia avrebbe
dovuto insegnarle a non provare imbarazzo per quei complimenti. Rad-
drizzò la schiena, ricordando le parole di Lauria: Il linguaggio del tuo cor-
po è più eloquente delle tue parole. Se ti comporterai come una donna e
una vittima, sarai trattata come una donna e una vìttima; quando lavori
con gli uomini, cerca di stare dritta e di muoverti come un uomo. Rispose,
in tono pratico: «Sono certo che Peter ne sarà onorato», e si allontanò.
Doveva avvertire Peter di fare attenzione: quell'uomo era abilissimo nel
mettere insieme i particolari più insignificanti e nel giungere alla risposta.
Avrebbe voluto consigliarsi con Magda, ma non aveva tempo di rag-
giungere la Loggia: c'era il ricevimento, e Peter le aveva suggerito di re-
carsi nel reparto servizi personali per farsi pettinare.
Alzò le spalle e decise di fare come il marito le aveva detto. Del resto,
quel reparto la incuriosiva: era un rituale a cui si sottoponevano regolar-
mente tutte le donne del campo!
I servizi erano allo stesso piano del refettorio principale, e l'intero repar-
to era dipinto di un gradevole colore rosa, molto riposante. Jaelle sorrise.
In momenti come quello, il tempo da lei passato fra i terrestri le pareva so-
lo una curiosa avventura da raccontare con orgoglio alle novizie, negli anni
futuri...
Infilò nella prima macchina il tesserino di riconoscimento e si accese
una scritta: SEDETEVI, SARETE SERVITA SUBITO. Le parole spariro-
no immediatamente; per leggere gli avvisi dei terrestri occorreva essere a-
bituate alla lettura rapida, pensò. Si sedette e rifletté sugli avvenimenti de-
gli ultimi giorni: fino a quel momento non ne aveva avuto tempo. Il tempo!
Alessandro Li era estremamente avaro del suo tempo, ancor più degli altri
terrestri, che vivevano in base all'orologio. Jaelle aveva sentito i commenti
delle colleghe; Bethany diceva che, normalmente, un uomo importante
come lui iniziava a lavorare solo dopo il ricevimento ufficiale. Ma Li ave-
va incominciato a lavorare subito, e per gran parte del tempo aveva chiesto
l'assistenza di Jaelle. Quando lei arrivava a casa, era talmente tesa da non
riuscire a prendere sonno. Poi, non appena chiusi gli occhi, era già ora
d'alzarsi! Il tempo!
Alla Loggia, dove nessuna era la serva dell'altra, le sorelle sì aiutavano
in tutti i piccoli servizi che non si potevano fare di persona: allacciarsi un
vestito, tagliarsi i capelli. Ma al campo terrestre tutto era fatto da macchi-
ne. Dopo qualche minuto, Jaelle vide accendersi un'altra scritta: ENTRA-
TE, e si aprì una porta. Jaelle si fece coraggio e si avviò verso l'altra stan-
za; ma rimase bloccata sulla soglia.
Vide piani che si potevano inclinare da tutte le parti, sedie che si alzava-
no e che ruotavano, ganasce per tenere ferma la testa, cinghie per serrare la
vittima... Si sentì girare la testa e dovette afferrarsi alla porta. Le parve di
essere ridiventata bambina, di rivivere il momento in cui si era recata in
segreto in una stanza proibita, senza sapere che era la camera di tortura di
Jalak...
Per un attimo sentì il bisogno di piangere come allora, di correre fra le
braccia della madre...
Poi fu di nuovo una stanza terrestre piena di macchine che facevano con
dita meccaniche quello che carne e ossa avrebbero saputo fare meglio. Ma
ormai Jaelle non era più in grado di entrare in quella stanza. Fuggì dal re-
parto, uscì dall'edificio, senza ricordarsi di usare la galleria riscaldata, sen-
za accorgersi dei terrestri che la guardavano con stupore.
Non si fermò finché non fu arrivata a casa e non si fu gettata sul letto.
Per fortuna non c'era Peter, a chiederle spiegazioni, a dirle che la fuga del-
la moglie lo aveva messo in cattiva luce. Se così era, a Jaelle non importa-
va affatto dei suoi punti di demerito.
Poco più tardi, sentì suonare alla porta. Chi poteva essere? Peter che a-
veva dimenticato la scheda-chiave? Le chiavi e le porte chiuse, pensò Jael-
le, erano cose da laboratori di gemme matrici, da sotterranei... da camere di
tortura!
Ma alla porta trovò Bethany.
«Jaelle, state bene? Vi ho visto correre via. Quel senatore vi ha messo
sotto pressione? Non ha il diritto di farlo!»
Jaelle la invitò a entrare, e solo allora Bethany notò il suo aspetto.
«Che cosa avete? Non volete andare al ricevimento? Volevo pettinarmi
anch'io, pensavo che potessimo farlo insieme...»
Bethany si avvicinò alla toeletta di Jaelle e si guardò allo specchio. «Ho
i capelli in disordine, e Montray vuole che tutti siano in gran forma. Avete
qualche bigodino? O pensavate di andare dal parrucchiere?»
Jaelle rispose: «Ci sono andata... ma poi non sono entrata».
«Qualcuno vi ha offeso? Se qualcuno ha osato...»
«Oh, no», rispose Jaelle, sorridendo. «Laggiù non ho visto nessuno...
anzi, pensavo che facessero tutto le macchine!»
«Be', sì», rispose Bethany, sorridendo a sua volta, «ma ci sono anche gli
inservienti, a controllare le macchine. Vi siete fatta crescere i capelli. Co-
me pensavate di pettinarvi?»
«Non sono abbastanza lunghi per fare delle trecce; voi che suggerimenti
mi potreste dare?»
«Sedete», disse Bethany, «vediamo. Non avete mai usato le apparecchia-
ture della vostra toeletta, vero? Mostratemi il vestito che volete mettere,
troveremo la pettinatura adatta.»
Nei venti minuti successivi, Bethany le mostrò varie apparecchiature che
Jaelle non aveva mai usato. Le truccò il viso e le acconciò in eleganti ric-
cioli i capelli biondo-rossi. Per qualche tempo, Jaelle ebbe l'impressione di
trovarsi con una delle sue sorelle di Loggia, quando si preparavano per la
festa del solstizio d'estate. La nuova Jaelle che la guardò dallo specchio
non sarebbe stata riconosciuta da nessuna delle sue sorelle Amazzoni. Be-
thany le aveva fatto qualcosa che accentuava la sfumatura verde dei suoi
occhi, li rendeva profondi e misteriosi.
«Siete magnifica», le disse infine la ragazza. «Non mi ero mai accorta
che foste una simile bellezza, Jaelle!»
In qualche modo, però, le pareva di avere tradito la Loggia. Lisciarsi le
piume in quel modo, per un gruppo di terrestri! Eppure, anche quello rien-
trava nel suo lavoro: farsi bella... E la stessa Bethany si era complimentata
con lei. D'impulso, abbracciò la ragazza. «Grazie!»
Bethany esclamò: «Guardate l'ora! Arrivederci, devo correre! Del resto,
tra poco arriverà vostro marito...»
Bethany era uscita da pochi istanti, quando arrivò Peter.
«Cara, sei meravigliosa, hai fatto qualcosa ai capelli, vero? Sono venuto
a prendere il vestito, dovrò vestirmi laggiù. Montray mi vuole nel suo uffi-
cio tra dieci minuti. Sai che lavoro mi hanno fatto fare? Nei vecchi archivi.
La polvere! Dovrebbero darmi l'indennità di rischio.» Prese sul braccio il
vestito, ancora piegato. «Dove sono le mie scarpe?»
«Nell'armadio, credo», rispose Jaelle. Il complimento di Peter le aveva
fatto piacere, ma adesso lui non la guardava più.
«E allora dammele, per l'amor del Cielo! Sono in ritardo, e ho la barba
lunga...» Sparì in bagno, e Jaelle, furibonda, andò a prendergli le scarpe.
Aveva fatto tante cose, nella sua vita, ma non la cameriera. Se Peter pen-
sava di averne bisogno, che ne assumesse una! Dal bagno, le giunse un'im-
precazione di Peter, il colpo di un oggetto scagliato in terra.
«Jaelle! Sento parlare tutto il giorno di te, di come sei efficiente, e di
come fai bene i lavoretti che faceva Magda, e adesso scopro che mi hai la-
sciato senza schiuma depilatrice! Maledizione, non posso andare al rice-
vimento con la barba lunga come uno scaricatore del porto! E adesso devo
anche trovare il tempo di andare dal barbiere! Dammele!» Prese le scarpe
che Jaelle gli porgeva. «E cerca di non arrivare in ritardo!» Poi uscì, senza
un bacio, senza neppure guardarla.
Jaelle, tremante, si lasciò scivolare sul divano. Sentiva un vuoto dentro
di sé: un vuoto talmente grande da impedirle di respirare. Qualcosa si era
spezzato in lei: una cosa che lei stessa si era creata, la sua immagine negli
occhi di Peter. Dal volto le svanì la delicata bellezza che Bethany le aveva
dipinto sul viso: ridivenne la faccia dura, inflessibile, dell'Amazzone adde-
strata da Kindra.
Per un attimo fu tentata di non andare al ricevimento, ma poi allontanò
quel pensiero. Era un suo preciso dovere: "Obbedirò a ogni legittimo ordi-
ne del mio datore di lavoro". Magda, al suo posto, si sarebbe vista solo
come l'assistente dell'Ospite d'Onore e avrebbe cercato di fargli fare bella
figura.
Il refettorio era stato elegantemente addobbato ed era pieno di uniformi
dai vivaci colori. Grazie a Rohana, lei sapeva come comportarsi a un rice-
vimento ufficiale. Al suo ingresso, un uomo del suo reparto le offrì da bere
e lei accettò, scambiando con lui qualche parola.
«Jaelle?» le chiese qualcuno. Si girò e vide Wade Montray, che le rivol-
geva un inchino. «Siete bellissima. Sandro Li vi cercava. È laggiù, vicino
al Delegato.»
Lo ringraziò e si diresse verso Li, facendosi strada in mezzo alla folla.
La gente non le aveva mai dato fastidio, ma ora le sembrava che tutti la
guardassero. È la darkovana, la moglie di Haldane, deve appartenere alla
nobiltà locale, no era un'Amazzone, una donna-soldato, guardate la cica-
trice sulla guancia...
Aleki le rivolse un inchino. Indossava una strana uniforme che lei non
aveva mai visto, piena di alamari dorati e con numerose decorazioni sul
petto. Era molto diverso dall'uomo che lei aveva lasciato poche ore prima,
in ufficio.
«Vi avevo detto di farvi bella, ma voi ci volete abbagliare», disse con un
sorriso. Jaelle lo ringraziò con un inchino, ma sentì che l'uomo la desidera-
va fortemente, e l'Amazzone dentro di lei rabbrividì. Ma lui non aveva par-
lato; perché Jaelle era così aperta ai suoi pensieri? «Scusate, non ho sentito
le vostre ultime parole», disse poi.
«Già, c'è un gran chiasso», osservò lui, sorridendo. «Vi avevo chiesto se
avevate visto Peter Haldane.»
Jaelle si ricordò di non avere avvertito Peter di fare attenzione alle sue
domande. Cercò fra le gente della sala la figura del marito, e venne assalita
dalle voci mentali di tutti coloro che affollavano la stanza.
Come fanno i Comyn che hanno in pieno il Potere, come Rohana, a sta-
re in mezzo alla folla? Per la prima volta della sua vita, rimpianse di non
avere ricevuto il normale addestramento che i Comyn davano a tutti i letto-
ri del pensiero; ma a quell'epoca si era detto che il suo potere era troppo
limitato, che non valeva la pena di addestrarlo. Si mosse rigidamente tra la
folla, per non mostrarsi impaurita come un montanaro sceso in città per la
festa del solstizio!
Alla fine scorse una testa rossa: Peter. Lo raggiunse e gli toccò il brac-
cio.
«Alessandro Li vuole parlarti», disse.
«Allora, non facciamolo aspettare», rispose lui, prendendola per il brac-
cio.
Jaelle si scostò da lui. «Riesco a camminare da sola», disse.
«Amore, sei sempre arrabbiata con me? Cerchiamo di non litigare, al-
meno qui al ricevimento!»
Lei trasse un lungo respiro, poi disse: «Peter, ascolta. Li è molto curioso
a proposito dei Comyn; vuole sapere tutto quello che li riguarda. Da tre
giorni continua a farmi domande. Non sottovalutarlo, io mi sono già la-
sciata scappare troppe informazioni. Non so bene che cosa voglia, ma fa'
attenzione a quello che gli dici».
Peter sorrise e disse: «Non posso mettermi a fare i giochini con il rap-
presentante del senato. Devo collaborare con lui. Montray... il Coordinato-
re, non Monty, che è una bravissima persona... Montray ha minacciato di
allontanarmi da Darkover».
«Peter!» Jaelle dimenticò i loro litigi, al pensiero di non vederlo più.
«Come? E perché?»
«Hanno trovato un altro mondo come Darkover... feudale, senza tecno-
logia, eccetera... e dice che la mia esperienza sarebbe utile laggiù. Perso-
nalmente, credo che abbia paura che gli porti via il posto: conosco Darko-
ver molto meglio di lui, e Montray teme che qualcuno se ne accorga. Però,
se riesco a convincere Sandro Li che c'è bisogno di me per risolvere il mi-
stero...» Si girò verso di lei e le prese la mano. «Jaelle, qui lotto per la mia
vita, come quando tu e Magda avete incontrato l'uccello-spettro. Perché
non mi dai una mano? Voglio restare su Darkover... con te.»
In quella folla, piena di voci mentali che le entravano con violenza nella
testa, Jaelle non riusciva a pensare in modo chiaro. Si limitò a mormorare:
«Vieni. Attento a quello che dici. Anche ai vaghi accenni. Altrimenti, riu-
scirà a farselo dire da me».
Sandro Li accolse Peter con grande cordialità e fece sedere lui e Jaelle
accanto a sé.
Jaelle capiva, dalle voci mentali che ascoltava, che i terrestri guardavano
Li come la gente di Thendara avrebbe guardato l'erede Hastur: un'autorità
venuta a giudicarli. Peter disse a Li che conosceva Darkover meglio di o-
gni altro agente. Jaelle vide che Aleki era impressionato. Comprese anche
una cosa che non le era stata detta: dal rapporto di Li dipendevano non so-
lo i futuri rapporti fra Darkover e la confederazione terrestre, ma anche il
futuro del campo di Thendara. Toccava a lui decidere se lasciare laggiù so-
lo le poche persone necessarie per il funzionamento degli impianti, o se
aprire Darkover al commercio.
Il destino di Darkover era in mano a quell'uomo. Neppure gli Hastur po-
tevano avere voce in capitolo. È una responsabilità troppo grande per me!
pensò Jaelle. È una responsabilità troppo grande per chiunque!
A un certo punto, durante la cena, Aleki chiese: «Nelle vostre relazioni
ho visto citare molte volte i lavori della signorina Lorne. Perché non è qui?
Non è più su Darkover? Ho trovato il suo nome fra gli agenti inattivi.»
Cholayna Ares, che indossava un elegante abito rosso che metteva in ri-
salto i suoi capelli bianchi e la carnagione scura, disse: «È a Thendara, in
missione speciale, Sandro: è nella Loggia delle Rinunciatarie».
«Sono molto ansioso di incontrarla», disse Li. «Non potrei farla venire
qui per parlarle?»
«Non credo», disse Jaelle. «È nel suo periodo di ritiro presso le Amaz-
zoni; per tutto il periodo non può uscire dalla Loggia.»
«Che barbarie!» esclamò Li. «Imprigionare un cittadino terrestre...»
«Non lo definirei un imprigionamento», disse Jaelle, con calma, «dato
che se lo è scelto lei stessa, volontariamente.»
Peter si sporse verso Li. Disse: «Posso dirvi io tutto quello che può dirvi
Magda, Sandro. Gran parte delle missioni le ha svolte sotto la mia prote-
zione. Non sapete quante porte siano chiuse, qui, a una donna. Magda è un
ottimo agente: se fosse un uomo, sarebbe lei il Delegato, oggi come oggi!
Ma qui su Darkover nessuna donna potrebbe occupare quel posto: i darko-
vani non la accetterebbero. E adesso ha saltato il fosso, si è adattata agli
usi locali. Se vi occorrono dei chiarimenti sui rapporti di Magda, posso
darveli io, quasi tutti».
Li lo fissò con attenzione: «Sul serio?»
«Certo, e sarò onorato di farlo.» Peter si versò un altro bicchiere di vino.
«Allora, ci conto», disse Sandro Li, e si girò verso il Delegato, che stava
tenendo il discorso.
Un'ora più tardi, Jaelle fissava Peter, nella loro stanza di soggiorno. Lui
aveva bevuto molto, ma non tanto da poter dare la colpa delle sue azioni
all'alcool.
«Peter, non ti rendi conto? Quell'uomo vuole distruggere Darkover... il
Darkover che conosciamo... per trasformarlo in una delle tante colonie ter-
restri. E tu hai promesso di aiutarlo!»
«Mi pare che tu esageri. Comunque, non è come dici. È qui per control-
lare se il Coordinatore ha svolto bene il suo lavoro. Io devo collaborare
con lui. E anche tu e Magda. Se non ci fossero persone come lui, non ci sa-
rebbe una confederazione terrestre.»
«E sarebbe una perdita così grave?»
Lui la prese per le spalle e la girò verso di sé. Jaelle lo lasciò fare, anche
se una parte di lei voleva prenderlo a calci.
«Darkover può benissimo accettare la confederazione e mantenere quel
che c'è di buono nel suo stile di vita. Non c'è niente di male nel voler com-
battere l'ignoranza e la povertà. Senti, anch'io sono nato su Darkover e lo
amo... e voglio rimanere qui.» La abbracciò. «E lottavo per rimanere, come
qualsiasi uomo lotterebbe per la sua casa. L'ho fatto con le parole anziché
con la spada. Ma io sono darkovano. Ricordi cosa ha detto Cholayna del
nostro matrimonio?»
Jaelle lo ricordava. Cholayna aveva detto: «Con i vostri capelli rossi e
con quelli di Peter, avrete dei bambini bellissimi».
«Voglio un figlio», mormorò Peter. «Lo voglio come lo vorrebbe qual-
siasi altro uomo degli Hellers. Un figlio che viva su Darkover... sul nostro
mondo...»
La sollevò e la portò sul letto; Jaelle lo lasciò fare, e, in parte, provò an-
che piacere. Mentre la stringeva di nuovo tra le braccia, Peter le aprì del
tutto la mente, e Jaelle lesse nei suoi pensieri, come una ferita eterna, mai
rimarginata, il rifiuto di Magda di dagli un figlio.
E all'improvviso lo vide come Magda lo aveva visto. Peter era veramen-
te convinto di poterla trattare come una cameriera, una compagna d'armi,
un animale da riproduzione, e tutto questo semplicemente dominandola
grazie al suo modo di fare l'amore... Con ira, Jaelle si girò e lo spinse via
da sé, e lui rotolò sul letto, sorpreso e vulnerabile. Jaelle scattò in posizio-
ne di difesa, e lui la guardò senza capire.
«Cara, cosa c'è?»
«La prossima volta, chiedi a me, se voglio fare l'amore.» Nel vedere la
sua aria sorpresa, provò una sensazione di trionfo. «La prossima volta, po-
trei perfino accettare di darti un figlio. Ma devi chiedere. Non... non pren-
dere!»
Non riuscì a guardarlo. Peter era convinto che gli bastasse accarezzarla
per renderla schiava!
Peter si sedette sul letto, con aria avvilita. «Jaelle, cos'ho fatto? Dimme-
lo?»
Non lo sapeva neppure lei. Dov'era finito l'amore? Sentiva solo il desi-
derio di colpire Peter. Gli disse, con ira: «Non pensare mai... mai... di esse-
re il mio padrone, terrestre!» e corse nel bagno, sbattendo la porta dietro di
sé. Si mise sotto la doccia, aperta al massimo, e pianse fino a sentirsi vuota
e disperata. Quando uscì dal bagno, Peter si era addormentato. Vicino a lui
c'era una bottiglia vuota. Jaelle gettò la bottiglia nella spazzatura, prese
nell'armadio il proprio mantello, si avvolse in esso e si addormentò sul pa-
vimento, ai piedi del letto.
Si svegliò in ritardo: Peter se n'era già andato e lei non l'aveva sentito al-
zarsi. Meglio così.
CAPITOLO 7
IL FIGLIO DI BYRNA
CAPITOLO 8
IL RITORNO DI JAELLE
Nella Loggia non c'era un'ora precisa per il pasto di mezzogiorno: chi
aveva fame scendeva in cucina e si faceva dare pane e formaggio, o carne
fredda. Dopo qualche tempo, Magda, che era ancora abituata agli orari dei
terrestri e a mezzogiorno amava fare un pasto leggero, andò a bere una
tazza di tè - un infuso che veniva tenuto sempre sul fuoco: non era né il tè
né il caffè terrestre, ma era caldo - e a prepararsi una fetta di pane e for-
maggio. Si sedette a un tavolo e si chiese dove fosse finita Irmelin: in un
recipiente, la pasta del pane stava già lievitando, sotto una tovaglia pulita.
Magda era intenta a pulire il tavolo e a sciacquare la tazza che aveva usato,
perché chi si recava in cucina al di fuori delle ore dei pasti aveva l'ordine
tassativo di rimettere le cose a posto, quando Irmelin si affacciò alla porta.
«Oh, Margali. Ti avevo cercato nella tua stanza, disse la cuoca. Puoi an-
dare a fare servizio all'entrata? Byrna deve allattare.»
«Certo», rispose lei, e fece per allontanarsi, ma l'altra donna la fermò.
«Jaelle n'ha Melora non era la tua madre di voto?»
«Certo», disse Magda.
Irmelin annuì. «Mi pareva di ricordarlo. È venuta a trovare Lauria, e da
varie ore sono chiuse nella sua stanza...» Sollevò le sopracciglia e aggiun-
se: «Penso che Lauria l'abbia fatta venire per decidere cosa fare di te! Spe-
ro che ti permettano di restare, Margali! Secondo me, Carilla è stata troppo
severa... non tutte possiamo conoscere il codice d'onore dei mercenari, e
non vedo perché quel codice ci riguardi!»
Con quelle parole, Irmelin era riuscita a distruggere di nuovo la pace
mentale di Magda! Che la sua infrazione fosse così seria da far accorrere
Jaelle dal campo dei terrestri? Ma Irmelin la interruppe, con preoccupazio-
ne: «Va' all'ingresso: laggiù non c'è nessuna! Io devo infornare le pagnotte;
per festeggiare il ritorno di Shaya, voglio anche fare un po' di pane al mie-
le».
Magda andò a sedere accanto alla porta, e riprese a intrecciare la sua cin-
tura di corda. Ma era inquieta; continuava a tornarle in mente quel che era
successo l'ultima volta che era stata di guardia all'entrata: l'arrivo del mari-
to di Keitha e tutte le sue conseguenze. Quando sentì suonare la campanel-
la, trasse un respiro profondo, per prepararsi ad affrontare chissà che nuo-
vo guaio, e nel vedere sugli scalini un uomo con l'uniforme nera e verde
delle Guardie di Città, sporse il mento verso di lui, con aria aggressiva.
«Che cosa volete?»
«C'è Byrna?»
«Potete incontrarla nella sala delle visite, se volete», disse Magda.
«Oh, sono lieto che si sia già alzata!» esclamò l'uomo.
«Chi devo dire?»
«Sono Errol», spiegò l'uomo. Il padre del bambino. Era un uomo molto
alto e robusto, e aveva un'aria molto giovane, con la pelle del viso ancora
liscia e poca barba. «Mia sorella ha partorito da poco, ed è disposta a pren-
dersi cura anche del bambino di Byrna. Sono venuto a prelevarlo.»
Così presto! Ha solo dieci giorni. Oh, povera Byrna! Il giovane notò l'a-
ria desolata di Magda e disse, timidamente: «Ecco, mi ha sempre detto che
non poteva tenerlo, e che se lo avessi preso subito avrebbe sofferto meno il
distacco...»
«Vado a dirglielo.» Accompagnò il giovanotto nella sala delle visite, e si
chiese come dare la notizia a Byrna, ma proprio in quel momento si sentì
suonare la campanella: per fortuna la nuova venuta era Marisela.
«Come devo fare, Marisela? Il padre del bambino di Byrna è arrivato a
prenderlo!»
Marisela sospirò, ma disse solo: «Meglio adesso che poi. Vado a infor-
marla io, Margali; tu va' alla porta, bambina».
Magda obbedì; dopo qualche tempo vide Errol uscire dalla sala delle vi-
site: reggeva in braccio un grosso fagotto, con tutta la goffaggine degli
uomini non abituati ad accudire ai bambini. Marisela, al suo fianco, gli
parlava con attenzione, e Magda si allontanò per dare modo alla levatrice
di accompagnarlo alla porta. Le venne in mente che Byrna aveva proba-
bilmente bisogno di compagnia. Se qualcuno si fosse presentato alla porta,
pensò, gli avrebbe aperto Irmelin.
Byrna era nella sua stanza e piangeva, distesa sul letto. Magda non disse
niente; si sedette accanto a lei e le prese la mano. Byrna si gettò tra le sue
braccia e continuò a singhiozzare.
«È troppo piccolo...» disse Byrna. «Ha bisogno di me, lo so... ma l'avevo
promesso...»
Magda non sapeva cosa dire; per fortuna, dopo un po', arrivarono Mari-
sela e Felicia. «Speravo che qualcuna fosse venuta da lei! Misericordiosa
Avarra, come vorrei che fosse qui Ferrika!» disse la levatrice. Si chinò su
Byrna e le disse: «Ti darò qualcosa per farti riposare, sorella».
Byrna non riusciva a parlare. Aveva gli occhi gonfi, il viso arrossato.
Marisela le accostò alle labbra una tazza. «Tra poco dormirai.»
«Sorella», disse Felicia, «so cosa provi. Ricordi? L'ho provato anch'io.»
Byrna rispose, con voce roca, sconvolta: «Ma tu l'hai potuto tenere per
cinque anni, cinque interi anni, e il mio è ancora così piccolo, è appena na-
to...»
«Per me è stato molto più difficile», le rispose Felicia, gentilmente. A-
veva gli occhi pieni di lacrime. «Hai fatto bene, Byrna, e anch'io avrei do-
vuto avere il tuo stesso coraggio: consegnarlo subito alla donna che sarà
sua madre. Io l'ho tenuto qui per mia soddisfazione, e quando ha avuto
cinque anni l'ho dovuto portare tra estranei, dove tutto è diverso e si aspet-
tano che lui si comporti come un uomo...» Inghiottì a vuoto. «L'ho portato
da mio fratello, e ho dovuto staccarlo da me con la forza. L'hanno dovuto
tenere fermo, e l'ho sentito fin dalla strada, che gridava: "Mamma! Mam-
ma!"» Si asciugò le lacrime. «È molto meglio lasciarlo andare adesso che è
piccolo, e che tutto quel che conosce della madre è l'amore e la gentilez-
za... e se la sua nuova madre lo allatterà, lo amerà molto di più.»
«Sì, sì, ma lo voglio...» singhiozzò Byrna, e abbracciò Felicia, che a quel
punto scoppiò anche lei a piangere. Marisela uscì dalla stanza e portò con
sé Magda.
«Felicia può aiutarla più di ogni altra.»
Magda disse: «Avrei pensato che peggiorasse la situazione... non si rat-
tristeranno l'una con l'altra?»
Marisela circondò con il braccio le spalle di Magda e disse con gentilez-
za: «No, bambina, ne hanno bisogno tutt'e due: il dolore che non viene e-
spresso sotto forma di parole si trasforma in veleno. Byrna deve piangere
per la perdita del figlio, come se fosse morto. E può aiutare Felicia, che
non è stata capace di piangere per il suo. Adesso possono piangere insie-
me: il fatto di sapere che ognuna di loro capisce bene il dolore dell'altra le
aiuterà tutt'e due. Altrimenti si ammaleranno della prima malattia che pas-
serà vicino a loro, e Byrna potrebbe morire. Bisogna dare alla Dea quello
che le appartiene, bambina, anche se è solo il pianto. Tu non hai mai avuto
figli, altrimenti lo sapresti». La baciò gentilmente sulla guancia. «Un gior-
no anche tu riuscirai a piangere e a guarire del tuo dolore.»
Magda guardò con stupore la levatrice che scendeva lungo la scala. Pro-
babilmente, Marisela aveva ragione; Magda era giunta ad avere un grande
rispetto per lei. A modo suo, Marisela era altrettanto competente quanto i
medici dei terrestri, e pareva capire bene la parte psicologica della medici-
na. Tutti sapevano che lo stress poteva portare a malattie psicosomatiche,
anche se Magda era un po' sorpresa dal fatto che Marisela se ne rendesse
conto. Ma certo la levatrice si sbagliava su di lei: lei non aveva particolari
dolori, non aveva ragione di piangere! Aveva ragione di infuriarsi, certo.
Soprattutto negli ultimi giorni. Risentimento. Ma non dolore. Da quando
aveva raggiunto la maggiore età, aveva pianto meno di tre volte. Certo, a-
veva pianto quando Marisela le aveva ricucito la ferita senza anestesia, ma
quella era una cosa diversa. L'idea di avere un segreto dolore le pareva as-
surda.
Si udì una campana: quella che indicava che mancava un'ora al pasto
della sera, e che occorreva affrettarsi a fare il bagno e a cambiarsi. Magda
salì nella sua camera, e continuò a riflettere sulle parole di Marisela.
Quando passò davanti alla camera di Byrna, e vide che la porta era chiusa,
si augurò che avesse preso finalmente sonno.
Ero triste, ma non ho pianto, quando non sono riuscita a dare un figlio a
Peter; poi, quando ci siamo separati, ero lieta di non avere il peso di un
figlio. Che idea ridicola; Marisela dovrebbe farsi insegnare un po' di psi-
cologia dai terrestri.
Mentre si rivestiva, le venne in mente che in refettorio avrebbe rivisto
Rafi e che avrebbe dovuto di nuovo affrontare il silenzio e il risentimento
delle altre. Ma non poteva farci niente, e non voleva rimanersene nascosta
nella sua stanza: isolarsi era come ammettere che quell'ostracismo le dava
fastidio. Lei era una terrestre, e per di più era una Libera Amazzone, e sa-
rebbe riuscita a farcela, in un modo o nell'altro!
CAPITOLO 9
IL PROCESSO
CAPITOLO 10
IL CASTELLO DEGLI HASTUR
Jaelle era certa di aspettare un figlio, ma non l'aveva ancora detto a Pe-
ter. In cuor mio vorrei che lo capisse senza bisogno di dirglielo. Che me lo
leggesse nella mente come farebbe Kyril. Eppure, lei non poteva accusare
Peter di non essere quel che non era. Lei aveva sempre rifiutato i Comyn:
la prima volta quando, da bambina, aveva chiesto di entrare nella Loggia
invece di rimanere con Rohana. La seconda volta a quindici anni, quando
aveva preso il Giuramento invece di farsi addestrare in una Torre e poi di
sposare un Comyn. Non avrebbero voluto rinunciare a lei, perché era trop-
po vicina al capo degli Aillard... anche se Jaelle non si era mai preoccupata
di sapere quanto.
Il Giuramento è chiaro: vieta di avere figli per motivi di eredità o di or-
goglio. Ma, come lei stessa aveva chiesto nel corso della riunione alla
Loggia, come capire se voleva un figlio per se stessa o perché Peter lo de-
siderava? Ora, mentre si dirigeva verso l'ufficio di Cholayna Ares, pensò
che le sarebbe piaciuto parlarne con lei.
Ma Cholayna era il suo superiore, e non una sorella di voto o un'amica!
«Jaelle», disse Cholayna, «questa mattina devo parlare con una delle
Madri della Loggia. Lauria n'ha Andrea. Voglio che mi assistiate come in-
terprete.»
«Sarà un piacere», disse Jaelle, e pensò che Lauria non aveva certo perso
tempo. «Ma voi parlate bene la nostra lingua: non ne avete bisogno.»
Cholayna le sorrise. «So pronunciare le parole, ma voglio essere certa di
usarle bene.»
Jaelle ripeté che per lei era un onore, e Cholayna iniziò a parlare al suo
comunicatore. «Dite alla signora darkovana...» poi s'interruppe. «No, a-
spettate. Jaelle, saresti così gentile da andare tu stessa a prenderla? Tu la
conosci.»
Jaelle si affrettò a obbedire, e pensò che Cholayna capiva intuitivamente
quale fosse il comportamento giusto, il tocco personale, che occorreva per
trattare con i darkovani. Russell Montray non aveva quel genere di intuito,
ma l'avevano Peter e Magda, e anche Monty. E stava a lei fare in modo che
Alessandro Li imparasse ad averlo.
Lauria era in sala d'attesa, con le braccia tranquillamente incrociate: os-
servava l'ambiente, e ai suoi occhi azzurri non sfuggiva alcun dettaglio.
«Davvero un bel posto per lavorare, Jaelle, anche se queste luci così
chiare devono dare un po' fastidio, nei primi tempi», disse Lauria. Poi, nel
corridoio, chiese: «È giusto rivolgere un inchino alla tua datrice di lavoro,
come faremmo tra noi, o devo stringerle la mano? Carilla mi dice che i ter-
restri fanno così, quando si incontrano.»
Jaelle sorrise, perché Cholayna le aveva chiesto le stesse cose. «Per il
momento», spiegò, «un inchino è sufficiente. Conosce il nostro modo di
comportarci e sa che diamo la mano solo agli amici intimi.»
Ma quando le due donne si salutarono, Jaelle ebbe l'impressione che na-
scesse immediatamente tra loro una forte simpatia. Cholayna invitò Lauria
ad accomodarsi e le offerse da bere. «Posso offrirvi un succo di frutta, un
caffè?»
«Assaggerei il vostro caffè terrestre. Ne ho sentito qualche volta l'aroma,
dalle parti del porto franco», disse Lauria e, quando Cholayna riempì la
tazza al distributore, sorrise. «Grazie. Interessante meccanismo. Sarei cu-
riosa di sapere come arrivano queste bevande.» Cholayna le spiegò che
nella macchina c'era solo l'essenza: l'acqua veniva aggiunta al momento
della preparazione, calda o fredda.
Lauria annuì. «E queste luci così chiare? Siete abituati a un simile chia-
rore?»
«Quasi tutti», disse Cholayna. «Ma se vi dà fastidio, posso regolare le
luci della stanza.» Toccò un comando e le lampade assunsero immediata-
mente una colorazione rossiccia. Nel vedere che Jaelle rimaneva a bocca
aperta, Cholayna sorrise.
«È nuovo. L'hanno installato pochi giorni fa. Avrebbero potuto farlo in
tutto il campo, se qualcuno ci avesse pensato. Mi è venuto in mente che, se
devono venire dei darkovani, occorre trovare qualche compromesso. Per
me, tanto per dire, che sono abituata a una luce molto più forte, le normali
lampade sono un po' scure, e devo avere sulla scrivania una lampada parti-
colare. Suppongo che voi siate molto sensibili agli ultravioletti; per esem-
pio, penso che dobbiate fare attenzione al riflesso del sole sulla neve: po-
trebbe accecarvi.»
«Le donne che viaggiano negli Hellers dicono di avere effettivamente
questo problema», confermò Lauria, «e in quelle zone, come saprete, gli
occhiali da sole terrestri vanno a ruba.»
«Mentre io sono in grado di affrontare senza protezione il sole del deser-
to», disse Cholayna. «Mentre ho visto che Jaelle faticava ad adattarsi alle
luci del campo.»
«Sono venuta appunto per questo», disse Lauria. «Volevo vedere di per-
sona l'ambiente in cui lavoreranno le nostre donne.»
«Vi organizzerò una visita del nostro reparto medico. Abbiamo un rego-
lare programma di orientamento per persone provenienti da culture diver-
se. Finora non lo abbiamo applicato, perché i nostri impiegati darkovani
erano troppo pochi. Ma, naturalmente, quando arriveranno le allieve...»
s'interruppe e guardò prima Lauria, poi Jaelle.
La giovane donna disse: «Non conosco le parole "programma di orien-
tamento" e penso che non le conosca neppure la Madre Lauria».
Cholayna spiegò, e Lauria comprese subito.
«È come le sedute di dibattito a cui sottoponiamo le novizie; anche loro
devono cambiare vita e faticano ad adattarsi. Sarebbe meglio, Cholayna...»
Jaelle notò che Lauria non aveva alcuna esitazione a chiamare per nome la
direttrice del >Ì Servizio Informazioni; lei non si era ancora abituata a far-
lo, «... che veniste nella Loggia a parlare con le nostre giovani. Poi si po-
trebbe organizzare la visita al vostro campo e il programma di cui dite. Si
potrebbe preparare un analogo programma», aggiunse dopo un istante,
«per le vostre donne che, come Magda, devono viaggiare nel nostro mon-
do, perché sappiano come comportarsi e...» sorrise, «non corrano i rischi
che ha corso Margali... la signorina Lorne.»
Anche Cholayna sorrise. «L'avevo pensato anch'io. Ve ne saremmo mol-
to riconoscenti. Non è questione di spiarvi, ma, di tanto in tanto, le donne
del nostro reparto Esplorazione devono chiedere ospitalità in qualche casa,
a causa del cattivo tempo, ed è bene che conoscano il comportamento che
ci si aspetta da loro.»
Quando Lauria si alzò per fare ritorno alla Loggia, si erano accordate per
la visita di Cholayna. Entro una decina di giorni, Jaelle e la sua direttrice si
dovevano recare alla Loggia per parlare con Marisela e con le altre donne
che conoscevano un po' di medicina. Poi ci sarebbe stata, una riunione per
scegliere le donne da mandare ai terrestri. Mentre Jaelle la accompagnava
all'uscita, Lauria disse: «Quella donna mi piace. Temevo di trovare una
persona con una mentalità molto diversa dalla nostra».
«Io invece temevo che la giudicassi strana, a causa del suo aspetto», dis-
se Jaelle. Ma Lauria sollevò le spalle.
«Per il colore della pelle e dei capelli? Io sono stata nelle Terre Aride; so
che laggiù hanno la pelle scura per adattarsi al sole del deserto. Per lei è la
stessa cosa. Ma sotto la sua pelle scura è una donna come noi. Un cavallo
bianco e uno nero fanno lo stesso numero di leghe in un giorno, e non sono
così superficiale da giudicarla in base al modo in cui la pelle delle sue pro-
genitrici si è adattata al chiarore del sole. Mi hanno colpito i suoi abiti: so-
no estremamente pratici, per una donna che deve lavorare in mezzo agli
uomini.»
Jaelle abbassò gli occhi sulla propria uniforme terrestre e arrossì. «Stra-
no. Io continuo a pensare che questo modo di vestirsi sia indecente.»
«Ma tu sei nata e cresciuta nelle Terre Aride», disse Lauria, sorridendo.
«Per tutta la tua infanzia hai saputo che i vestiti delle donne servivano ad
attirare sul loro corpo gli occhi degli uomini. Sotto l'Amazzone, tu sei an-
cora una donna del deserto, Jaelle: noi tutte siamo figlie dei nostri anni
d'infanzia. Io sono nata sui Monti Kilghard, dove i vestiti delle donne ser-
vono a impedire loro di svolgere i lavori maschili. Ammiro le vostre uni-
formi perché vi permettono la massima libertà di movimento, senza falsi
pudori. Io sono contro un certo tipo di costrizione degli abiti femminili, e
tu contro un altro.»
Jaelle non disse niente. Le parole di Lauria erano identiche a quelle di
Cholayna: che la cosa fosse vera?
«Credevo di essermi scordata le Terre Aride», disse poi.
Lauria scosse la testa.
«Per tutta la vita, non le scorderai. Quando le hai lasciate, eri già quasi
una donna. Puoi decidere di non ricordare, come senza dubbio hai fatto;
ma i ricordi dovrebbero essere una scelta, non un fallimento.»
Per raggiungere l'uscita, passarono davanti all'ufficio Comunicazioni,
quello che Magda aveva definito "gabbia di matti". Quando si trovarono
davanti alla porta, ne uscì Bethany.
«Jaelle! Venivo a cercarti... ti vogliono nell'ufficio di Montray, il Coor-
dinatore. Per un aereo delle Esplorazioni che è stato ritrovato sui Monti
Kilghard. Occorrono degli esperti sugli usi di Darkover. Hanno chiamato
anche Peter.»
«Andrò subito, ma prima devo accompagnare Madre Lauria all'uscita»,
disse Jaelle, e fece le presentazioni.
Lauria le disse: «Porta le tue compagne, quando verrete a visitare la
Loggia. Non è giusto che le donne rimangano separate dalle differenze di
lingua e di cultura. È un tipo di differenza che fa il gioco degli uomini.»
Jaelle la ringraziò, ma non riusciva a vedere Bethany in mezzo alle A-
mazzoni, neppure in visita. Si girò per dire alla ragazza: «Avverti Chola-
yna che vado da Montray».
«Va bene», rispose lei, mentre Jaelle accompagnava Lauria alle scale
mobili. La Madre della Loggia disse: «Con le normali gonne non si riusci-
rebbe a usare un meccanismo simile! Vedi che le vostre uniformi hanno un
senso. Ma, Shaya, mia cara, se devi andare dai tuoi superiori, non farli a-
spettare. Io posso trovare la strada anche in questo labirinto!»
Jaelle la abbracciò con affetto. «Volevo restare con te ancora un poco...
sento molto la vostra mancanza», confessò.
«Allora, il rimedio è semplice», disse Lauria. «Vieni a trovarci più spes-
so.»
Ai piedi delle scale, Jaelle la guardò allontanarsi, in mezzo ai terrestri in
uniforme: l'unica persona diversa, in mezzo alle altre tutte uguali. Poi, con
un leggero capogiro, capì che tutte quelle persone avevano una propria i-
dentità separata, e che, se avesse potuto conoscerle individualmente, le a-
vrebbe trovate diverse l'una dall'altra.
Qualcuno che passava di corsa la toccò leggermente sul braccio, per far-
la spostare. Jaelle guardò chi era: una donna con la divisa scura delle guar-
die di sorveglianza. A una donna come quella, abituata a combattere, po-
trebbero interessare le Amazzoni, ma come cercarla, come fare amicizia
con lei? La osservò con interesse, mentre si allontanava in fretta dalla scala
mobile... e subito venne colpita da un'enorme confusione di voci, da
frammenti di pensieri che provenivano dalla donna delle guardie, dal sol-
dato che apriva la porta per fare uscire Lauria; sentì Peter chiedere dove si
fosse cacciata... era nell'ufficio del Coordinatore, e per la prima volta Jael-
le vide Peter con gli occhi di Russell Montray: il Coordinatore invidiava la
sua libertà di movimento, Haldane faceva il lavoro che gli piaceva, nel
luogo che gli piaceva, mentre lui era inchiodato a una scrivania in un posto
che non gli andava a genio. Quello che il Coordinatore amava, capì, era un
luogo pieno di luce, con un mare azzurro e piccole barche con grandi vele
bianche, mentre perfino suo figlio preferiva quel mondo buio dove ci si
doveva coprire di pellicce come gli animali... Tutti questi pensieri le passa-
rono nella mente in un istante: troppi, una quantità che nessuno sarebbe
riuscito a tollerare.
Jaelle scivolò a terra. Si accorse vagamente che qualcuno chiamava un
sorvegliante, con preoccupazione, e che qualcun altro le esaminava il car-
toncino di riconoscimento. Poi perse i sensi.
Quando riaprì gli occhi, vide Peter sopra di lei, e, dietro di lui, un medi-
co. «Un attimo», disse l'uomo. «Signora Haldane, sa dove siamo?»
«Reparto medicina.» Solo dopo averlo detto si accorse che l'uomo l'ave-
va chiamata con il nome del marito.
«Si ricorda che cosa è successo?»
Aprì un poco la mente... l'assalto di diecimila pensieri, un medico che
ricuciva un piccolo taglio, un uomo in preda all'ira... e si affrettò a richiu-
derla. «Mi girava la testa... Questa mattina non ho mangiato.»
«Questa potrebbe essere la spiegazione», disse il medico. «Niente di
grave, Haldane, se vuole ritornare al lavoro, può farlo. Se preferisce ripo-
sare, le firmo mezza giornata di permesso.»
«Dio, che paura mi hai fatto», disse poi Peter, prendendole la mano.
«Quando mi hanno avvertito che eri svenuta... Amore, non dovresti saltare
i pasti.»
«Ero in ritardo», disse lei, irritata. La sua unica preoccupazione è di non
far aspettare il Coordinatore! Ogni darkovano penserebbe subito al moti-
vo dello svenimento... Non riuscì a capire perché si irritasse: si era irritata
quando Peter aveva espresso il desiderio di avere un figlio, e adesso la irri-
tava la sua indifferenza. Si appoggiò a lui, ma dovette subito scostarsi per-
ché era stata di nuovo assalita dai suoi pensieri.
Peter chiese: «Ti gira ancora la testa?» e insistette per farle mangiare
qualcosa al distributore automatico. Si ricordò di sceglierle i cibi sintetici
che le piacevano, e Jaelle gliene fu riconoscente. Però, mentre mangiava, si
accorse che stava facendo di tutto per non toccare Peter.
Credo davvero che mi possa leggere nei pensieri, se lo tocco? Da dove
mi è venuta questa idea?
O lo faccio per non avere la conferma che non può farlo?
Però, il cibo la aiutò a vincere il sovraccarico di sensazioni. In un altro
momento, Jaelle avrebbe apprezzato la visita all'ufficio del Coordinatore,
da cui si vedevano i Monti Venza, dietro la città, fino al Castello dei
Comyn, e dall'altra parte la Pianura di Valeron. C'erano Montray, il figlio,
Cholayna Ares e varie altre persone, intente a guardare il panorama.
All'ingresso di Peter e Jaelle, Alessandro Li stava dicendo: «Avete un
bellissimo panorama, Russ!»
Il Coordinatore alzò le spalle. «Non è il tipo di panorama che piace a
me, ed è troppo buio. Non vedo niente», disse. Non capisco perché gli in-
digeni non sono diventati ciechi. A Jaelle occorse qualche istante per capi-
re che non l'aveva detto a voce alta. Maledizione, se cominciava a sentire
anche quello che pensavano, oltre a quello che dicevano, sarebbe stata una
riunione ben complicata!
«Bene, ora possiamo passare al nostro lavoro», disse Montray. «Alcuni
dei nostri ci hanno mandato un rapporto su un aereo caduto nei Monti Kil-
ghard. Credo che abbiano finalmente trovato Mattingly e Carr.»
«Ricordate, io sono qui da poco tempo», disse Li. «Chi sono Mattingly e
Carr?»
Gli rispose Wade Montray, Monty.
«Reparto Esplorazione», disse. «Tre o quattro anni fa. L'aereo è caduto
nei Monti Kilghard, e anche se abbiamo svolto ricerche, non siamo riusciti
a trovarlo. Abbiamo pensato che fosse stato sepolto dalla neve. Adesso, al-
cuni dei nostri l'hanno visto.»
«Posso indicarvi il punto esatto», disse uno degli uomini, mostrando un
grosso foglio di carta: una rappresentazione dei Monti, vista dall'aereo. In-
dicò un punto. «Dobbiamo raggiungere l'aereo prima che lo portino via gli
indigeni.»
«Perché?» chiese qualcuno.
Rispose Peter.
«Darkover ha pochi metalli», spiegò. «Chi trova quell'aereo, con il me-
tallo della fusoliera può diventare ricco. Non che la cosa abbia importanza
per noi. Ma ci interessano gli strumenti di navigazione... non vogliamo che
sappiano che tipo di apparecchiature di ricognizione montiamo.»
Li chiese: «Non hanno aerei?»
«Niente di importante. Nelle montagne hanno gli alianti, e li usano so-
prattutto per divertimento, anche se se ne servono per portare messaggi.
Come ho detto, non vogliamo dare troppa pubblicità alle nostre rilevazio-
ni: in base ai trattati non possiamo uscire da certe zone, anche se non sono
stupidi e s'immaginano certamente che abbiamo della gente sul luogo.
Dobbiamo sentire il loro rapporto», disse Peter, e l'uomo del reparto Esplo-
razioni annuì.
«Fate venire gli uomini.»
Cholayna disse: «Ecco il genere di cosa che vorrei fare apertamente con
i nuovi impiegati darkovani. Se le loro conoscenze geografiche sono pri-
mitive, forse potrebbero trovare utili le nostre mappe».
«Lo pensavo anch'io», disse il Coordinatore, «ma in tanti anni non sono
riuscito a combinare molto, in questo senso. Se c'è un posto dove amano le
cose primitive è proprio Darkover.»
«Non direi», obiettò Cholayna, ma Alessandro Li disse:
«Ascoltiamo il rapporto. Di trasformazioni culturali possiamo parlare
più tardi».
Gli uomini che entrarono sembravano dei normali darkovani, ma parla-
vano bene la lingua dei terrestri. Jaelle si chiese chi fossero, e trovò subito
l'informazione cercata. Erano i figli dei militari e dei tecnici terrestri e del-
le donne darkovane di Caer Donn: di solito donne molto modeste: came-
riere e sguattere delle osterie locali. I terrestri li avevano accolti al-
l'accademia del Servizio Informazioni e poi li avevano rimandati su Dar-
kover, come agenti sul campo. Per Cholayna era un sistema sbagliato, ma
non si poteva fare diversamente, perché le loro famiglie darkovane li ave-
vano rifiutati.
Gli uomini avevano scattato varie fotografie. Nel vederle, Jaelle disse:
«Conosco la zona. Sono passata nelle vicinanze». Indicò una particolare
configurazione dei monti: una vetta che assomigliava a una testa di falco.
«È nei pressi di Armida... della Grande Casa di Alton», precisò, vedendo
che Cholayna inarcava un sopracciglio. «Io e Rafi abbiamo accompagnato
laggiù una carovana.»
«Conoscete qualcuno, ad Armida?» chiese Li. Jaelle scosse la testa.
«No, davvero! Una volta, in città, ho visto il vecchio Nobile Esteban,
prima che perdesse la gamba, e un'altra volta, quando ero molto giovane,
sono stata ad Arilinn e ho visto la Nobile Callista, che era Guardiano di
quella Torre, in sella e con un falco sul polso. Ma conoscerli? Appartengo-
no alla più alta nobiltà Comyn, sono Hastur...» Rise. «Per loro, una Ri-
nunciataria è all'ultimo posto della scala sociale!»
«Sì, ma hai dei parenti tra loro», disse Peter. «Ad Ardais, Rohana ci ha
ospitato perché eravamo con te.»
Li la fissava, e Jaelle si limitò a dire: «Oh, Rohana è una persona più u-
nica che rara... non ha pregiudizi verso le Libere Amazzoni e altre basse
forme di vita! Inoltre, mia madre era sua cugina e credo che fossero ami-
che intime, quando erano ragazze, nella Torre. Ho dei parenti tra loro»,
terminò, ridendo, «ma nessuno di loro lo ammetterebbe!»
«Comunque», disse Russ Montray, «riuscireste a trovare quel posto?»
Jaelle prese la fotografia e la studiò.
«A meno che non venga di nuovo coperto da una tormenta», disse, «e la
cosa è tutt'altro che improbabile. Ma è un luogo difficile da raggiungere.
Non capisco come un aereo sia caduto fin laggiù. D'altra parte, non ho mai
capito come i vostri aeroplani stanno in aria, ed è giusto che non capisca
come cadono giù. Però, non abbiamo bisogno di andare a cercarlo», termi-
nò, «visto che ci hanno proposto di portarcelo loro.»
Russ Montray aggrottò le sopracciglia e chiese: «Come avete detto?»
Solo allora Jaelle si resoconto che aveva parlato di una cosa che nessuno le
aveva ancora riferito. «Non so chi vi abbia dato l'informazione, signora
Haldane, ma in effetti, poco dopo avere ricevuto questa notizia dai nostri
agenti sul campo, ci è giunto un messaggio da...» Aggrottò la fronte, cer-
cando le parole. Monty si affrettò a continuare:
«Da uno degli aiutanti di campo del Reggente Hastur. Anche loro hanno
visto l'aereo e si sono offerti di riportarci i corpi degli uomini in cambio di
una parte del metallo recuperato».
Il Coordinatore aggiunse: «Dovremmo dire loro di tenere lontane le ma-
ni! L'aereo è nostro, e chi si credono di essere, questi darkovani? Sono una
colonia come tutte le altre».
«Vorrei ricordarvi», disse Peter, «il Patto di Bentigne, in base a cui una
colonia perduta che si crea una propria cultura non è soggetta a unione au-
tomatica alla cultura madre se non c'è continuità culturale. E nel caso di
Darkover la continuità culturale è la più bassa finora incontrata.»
Monty disse: «Mi sembra una proposta accettabile. Allestire una spedi-
zione di recupero nei Monti Kilghard sarebbe costoso, ammesso e non
concesso di avere l'autorizzazione...»
«È un nostro aereo», insistette il Coordinatore. «Abbiamo il diritto di re-
cuperarlo! Non voglio che gli indigeni tocchino le apparecchiature... sa-
rebbero capaci di fonderle per recuperare il metallo!»
«La spedizione dovrebbe essere allestita dal Servizio Informazioni», dis-
se Cholayna, «anche se la cosa riguarda l'ufficio del Coordinatore. Che c'è,
Russ? Non vi siete preoccupato di chiedere il permesso per i voli di esplo-
razione e temete di venire accusato di rilevazioni illegali all'esterno delle
zone pattuite?»
Il solito pasticcio di Montray. Jaelle si accorse che Peter la teneva per il
braccio: lei gli stava leggendo i pensieri. Probabilmente, tutti i rapporti tra
terrestri e darkovani sono sempre partiti con il piede sbagliato perché
qualche burocrate si è voluto sbarazzare di Montray mandandolo qui. Era
difficile credere che una civiltà così grande commettesse errori così stupi-
di... ma forse, più grande la civiltà, più grandi gli errori.
«Comunque», disse Montray, accigliato, «siamo stati chiamati a collo-
quio con il Reggente, e voi, signora Haldane, conoscete il loro protocollo;
vi abbiamo scelta come interprete. Potete essere pronta entro un'ora?»
Senza staccare gli occhi da Jaelle, disse a Cholayna Ares: «Spero che sco-
priate l'autore di questa fuga di notizie. La signora Haldane non avrebbe
dovuto essere al corrente della cosa finché non gliela avessi detta io. Do-
vreste controllare meglio il vostro personale, Ares».
CAPITOLO 11
L'INCENDIO
CAPITOLO 12
RITORNO ALLA LOGGIA
CAPITOLO 13
IL BALLO DEI COMYN
All'interno del campo terrestre non c'era niente che distinguesse il giorno
della festa del solstizio d'estate da qualsiasi altra giornata. Né doni, né de-
corazioni, né allegria. Ma Jaelle riuscì a sorridere a Peter, quando lo vide
entrare.
Con un leggero imbarazzo, lui le donò uno dei cestini di frutta e di fiori
che si regalavano in quella stagione. Il gesto riuscì a commuovere Jaelle:
doveva essersi recato fino in città per procurarselo.
Peter la abbracciò e le disse: «Devi metterti il vestito più bello per il bal-
lo di questa sera, anche se, nelle tue condizioni, non penso che potrai balla-
re molto...»
«Non ho molta voglia di andare al ballo pubblico», disse lei. «È sempre
affollato, e c'è brutta gente... a volte un'Amazzone deve difendersi da uo-
mini che si sentono superiori a lei...»
«Ci sarò io, e poi non si tratta di andare al ballo pubblico», disse Peter.
«È una famosa prima occasione per Darkover, cara, e credo che sia merito
tuo. Il Consiglio dei Comyn ha mandato un invito per Montray e per una
delegazione terrestre; naturalmente hanno chiesto la nostra presenza: tu sei
darkovana, e io conosco la lingua e il protocollo. Vogliono cementare i
rapporti con alcuni membri scelti della direzione del campo...»
«Russ Montray sarebbe da escludere, allora», disse lei, acida. Peter scos-
se la testa.
«Purtroppo non si può lasciare a casa il Coordinatore, ma mi è stato co-
municato in modo ufficioso di stargli accanto per non fargli fare brutte fi-
gure. E naturalmente ci sarà anche Monty. Ma tu devi stare con Cholayna,
perché è la donna di grado più alto. Peccato, non poter avere l'aiuto di Ma-
gda. Ma tra tutti dovremmo riuscire a controllare Montray.»
Jaelle aggrottò la fronte. Se quell'uomo era inadatto alla sua carica, sa-
rebbe stato meglio destituirlo, o assicurarsi che non avesse potere, come
aveva fatto il Consiglio dei Comyn con molti recenti sovrani, e come pro-
babilmente avevano fatto con il Nobile Gabriel... tutti sapevano che da di-
versi anni era Rohana, a comandare ad Ardais.
«Che cosa ti metti?» proseguiva Peter. «Non puoi certo andare in uni-
forme, e neppure vestita da Amazzone.»
«Metterò il vestito verde che Rohana mi ha regalato per il solstizio d'in-
verno», rispose Jaelle. Ma Peter scosse la testa e disse:
«Te l'hanno già visto. Per un'occasione come questa, devi avere qualcosa
di nuovo e di speciale».
«Ho dei vestiti alla Loggia, ma adesso mi saranno stretti.» Si guardò
l'addome. «Ma io e Rafi ci siamo sempre scambiate gli abiti, e lei è più
grossa di me; adesso i suoi vestiti mi andranno perfettamente, e sarà felice
di prestarmi qualcosa.»
«Non puoi farti prestare dei vestiti usati da un'altra donna!»
«Peter, non dire assurdità. Le sorelle servono a questo.»
«Mia moglie non deve farsi prestare i vestiti, o mettersi roba vecchia!»
«Peter, Rafi ha dei bei vestiti, e quelli da sera li mette una volta sola.
Sono nuovi.» Le pareva che Peter avesse due personalità: a volte era l'uo-
mo che lei amava, a volte era quel pazzo terrestre che le stava davanti, pie-
no di pregiudizi. «Ragiona, Peter. A Thendara, dove possiamo trovare un
sarto che mi prepari un abito da sera in giornata, e proprio il giorno della
festa? Perciò, o mettere il mio vecchio abito verde... anche se non vedo
come possa essere definito vecchio un vestito messo una sola volta... o
chiederne uno a Rafi, o venire vestita da Amazzone!» terminò, ridendo.
«Non ci avevo pensato. È un preavviso davvero breve, no?» disse Peter,
aggrottando la fronte. Poi sorrise. «Trovato. Andiamo al reparto approvvi-
gionamenti e ti facciamo fare qualcosa; qui al campo non è festa. Piglia il
vestito verde; lo facciamo copiare in qualche altro colore. Ti va bene l'az-
zurro?»
La preparazione del vestito richiese l'intera giornata. Quando infine glie-
lo consegnarono, e dalla scatola uscirono braccia e braccia di stoffa, Jaelle
rimase senza fiato: era elegantissimo, lungo fino a terra, con ricami e con
guarnizioni in pelliccia. Poi, osservandolo più attentamente, vide che non
era seta, non era pelliccia... erano solo fibre artificiali, come tutti gli abiti
dei terrestri. Se fosse stato un vestito darkovano, sarebbe costato il reddito
annuale di una grossa tenuta, ma così com'era fatto, terrestre, era un ingan-
no, una vergogna.
Non poteva mettere un vestito tutto artificiale come quello... sarebbe
sembrata una terrestre travestita da darkovana... Be', è quello che sono.
Faccio parte della delegazione terrestre, si disse poi. Ma, quando provò a
infilarselo, l'odore di plastica del vestito le fece storcere il naso. Frugò tra i
suoi oggetti personali, per cercare il sacchetto ricamato che le aveva dona-
to Magda. Il suo primo lavoro di cucito, le aveva detto. I punti disuniformi
le fecero ricordare i suoi primi anni nella Loggia, quando Carilla aveva in-
segnato a cucire alla ragazzina venuta dalle Terre Aride.
Ho sempre pensato di crescere in catene. Ricordò che durante il suo
primo anno alla Loggia era divenuta donna. Per le Amazzoni era un'occa-
sione di festa, mentre a Shainsa le avrebbero messo, nel corso di una ceri-
monia, le prime catene. Ed eccomi qui, e sono ugualmente incatenata... e
provò orrore per se stessa. Kindra glielo aveva detto molte volte: meglio
portare catene vere che appesantirsi con catene invisibili e fingere di essere
libera.
«Che cosa stai facendo, cara?» chiese Peter. Lei gli mostrò il sacchetto, e
Peter annuì.
«L'ho visto fare molte volte a Magda. Quando poteva, acquistava gli abi-
ti in città... diceva che quelli fabbricati dall'approvvigionamento non hanno
il giusto odore... e prima di mettere via un vestito passava un'essenza sulle
cuciture. Ha insegnato a farlo anche a me.» Infatti, quando Peter prese il
mantello, Jaelle sentì il familiare odore di incenso.
«Questo è uno dei difetti del travestimento di Aleki», disse lei. «I suoi
vestiti vengono dall'approvvigionamento e non hanno l'odore giusto.»
«Vero, mi pareva che ci fosse qualcosa», disse Peter. «Glielo riferirò.»
Nell'attraversare la piazza del mercato, Jaelle cominciò a sentire l'atmo-
sfera della festa. Quando giunsero al cancello del palazzo, i musicisti ave-
vano già iniziato a suonare. Alcuni danzatori professionisti si stavano esi-
bendo e gli ospiti salutavano gli amici. Poi vennero aperte le danze e Peter
e Jaelle danzarono insieme.
Jaelle non aveva mai danzato al castello dei Comyn, ma pensò di nuovo
che quell'ambiente sarebbe potuto diventare il suo: bastava accettare il
seggio in Consiglio, come le aveva suggerito Rohana. E Peter ne sarebbe
stato così contento... con stupore, si accorse che per qualche istante aveva
preso davvero in considerazione quell'ipotesi, e si sentì girare la testa.
«Cara, che cosa c'è?»
Lei gli sorrise. «Che fastidio, la gravidanza! Ho bisogno di aria...»
«Siediti qui, vicino alla finestra. Ti porto qualcosa da bere», disse Peter,
e si allontanò verso il tavolo dei rinfreschi.
Jaelle si andò a sedere sul balcone, all'ombra, immersa nei profumi del-
l'estate che venivano dal giardino. Poi venne bruscamente distratta da una
voce che non faceva parte di quell'ambiente. Era Alessandro Li, che parla-
va in terrestre, con irritazione.
«Ve lo dicevo che l'avremmo trovato qui! Che fortuna!»
«Alessandro... Aleki... Jaelle non ve l'ha detto? È il genero del Signore
di Alton, e non potete accostarvi a lui per rivolgergli domande impertinenti
sulle questioni private dei Regni...» Era Magda! Che ci faceva, laggiù?
«No, non capite, Magda. Quest'uomo è la chiave di tutto. Sono giunto a
Darkover per chiarire determinati particolari, e solo lui può spiegarmeli!
Carr sa certo perché...»
«Quest'uomo è il Nobile Andra Lanart, e così dovete considerarlo», dis-
se Magda, con irritazione. «Non so se sia Carr o un altro...»
«Be', io lo so; ho controllato le fotografie. E chi altri potrebbe essere?
Voi stessa avete detto che è un terrestre!»
«Al diavolo le fotografie, allora!» disse Magda. Poi si udì la voce di
Monty:
«Sarà la persona che cercate, Sandro. Ma non potete parlargli ora, e que-
sto chiude la cosa. Portatelo a ballare, Magda; siamo qui per questo, non
per creare guai».
«Non voglio creare nessun guaio», disse Aleki, con irritazione. «Devo
soltanto parlargli; perché non mi aiutate a farlo, invece di essere così osti-
nata?»
«Se c'è una persona ostinata, qui, non sono io», disse Magda, con ira.
«Una volta per tutte, toglietevelo dalla testa, e smettetela di ragionare co-
me un terrestre, che pensa al lavoro perfino al ballo del solstizio!»
«Magdalen Lorne!» Era la voce del vecchio Montray; il tono era scher-
zoso, anche se un po' greve. «È questo il modo di parlare con un superiore?
E a un ballo? Vi trovo in piena forma. Monty, perché non mi hai detto che
l'avevi trovata e che l'avevi convinta a venire? Come tuo superiore, te l'a-
vrei tolta per prenderla come mia accompagnatrice!»
«Cholayna!» disse Magda, con sollievo. «Come siete elegante. Siete con
il Coordinatore?»
In tono neutro, gentile, Cholayna disse: «La gente mi fissa meno del
previsto. Non so se è per buona educazione o perché sono convinti che tut-
ti i terrestri debbano avere l'aspetto strano».
«Se devono fissare una persona per il solo fatto che ha la pelle più scura,
peggio per loro. Significa che sono dei barbari ignoranti», commentò Li.
«Salve, Haldane, dov'è la vostra incantevole signora?»
«Le mancava l'aria», disse Peter. «L'ho lasciata qui attorno, mentre an-
davo a prenderle da bere.»
Jaelle approfittò dell'occasione per rientrare. «Ero uscita. Là fuori si sta-
va bene.» Prese il bicchiere che Peter le porgeva, e vide che Magda aveva
il vestito che le aveva donato Rohana e una bellissima collana di pietre di
fuoco. Si chinò a esaminarla.
«Te l'ha imprestata Carilla? È molto bella», disse. «Me l'aveva fatta met-
tere il giorno del Giuramento.» Vide che Magda, nell'udire il nome di Ca-
rilla, pareva inquieta. Qualcosa la preoccupava? Poi Monty invitò Magda a
ballare, e Jaelle notò come il giovane le accarezzava il collo e come la te-
neva. Un modo sensuale... Che mi succede? Un tempo non davo alcuna
importanza a queste cose.
«Dobbiamo riavere tra noi quella ragazza», diceva intanto Alessandro
Li. «Senza offesa, Haldane, ma vale per dieci; quella ragazza è un genio,
non possiamo permettere che si perda così, in missioni sul campo. Si meri-
tava una vacanza, d'accordo, ma non possiamo correre il rischio che ci la-
sci! È quello che deve essere successo a Carr; quell'uomo non è certo in
servizio, e neppure in permesso! Eppure, ogni volta che ho cercato di avvi-
cinarmi a lui, Magda ha insistito perché la facessi ballare.»
«Magda ha ragione», disse Jaelle gentilmente. «Anche se volete parlare
con questo Carr, ci sono un modo giusto e un modo sbagliato di farlo. Non
potete piombare sul Nobile Andra Lanart e dirgli: "Olà, Andy, come va la
vita?"» Nel pronunciare la frase, imitò pesantemente l'accento terrestre;
Peter rabbrividì.
«Non vedo perché», disse Montray. «Non lo farei in maniera tanto roz-
za, ma penso di poter parlare con un mio vecchio dipendente... anche se
non era del mio ufficio... per chiedergli la cortesia di venire a regolarizzare
la sua posizione. Ci sono certe regole di comportamento anche tra i terre-
stri... benché voi, signora Haldane, non ne siate convinta. Mi spiace di a-
vervi dato un'impressione negativa di noi.» Quando Magda e Monty fecero
ritorno, il Coordinatore toccò sulla spalla Magdalen.
«Signorina Lorne, vorrei ricordarvi che io e Alessandro Li siamo vostri
superiori; intendo darvi un ordine ufficiale. Trovate un modo per farci par-
lare con Carr, questa sera stessa.»
Magda rispose, in tono gelido: «E io posso ricordarvi che sono in per-
messo e che sono venuta qui per fare un favore personale al signor Li?»
«Qui siete sotto i miei ordini, come ogni altro terrestre», disse Montray,
aggrottando la fronte, «e questo comprende anche Andrew Carr. Non so
perché trattiamo quest'uomo con i guanti. Dopotutto, è un cittadino terre-
stre.»
«No, non lo è», disse Magda. «Ci siamo presi la briga di controllare la
sua posizione ufficiale. È elencato come defunto, e con la dichiarazione di
morte ha perso la cittadinanza. Legalmente, la perdita dei diritti di cittadi-
no comporta anche la perdita di quei doveri.»
«Se la mettete sul piano legale», disse Montray, «a Carr manca ancora
un anno per essere considerato legalmente morto; la sua morte è presunta
per altri dodici mesi: solo alla fine di quest'anno sarà morto per la legge.
C'è differenza.»
«Per la legge di Darkover», fece notare Peter, «l'identità di un uomo è
quella che dà lui stesso, a meno che non abbia commesso un reato.»
«Non c'entra, e lo sapete anche voi», disse Montray. «Avete trascorso
troppo tempo su Darkover e cominciate a ragionare come un indigeno.
Quanto a voi, signorina Lorne, o obbedirete agli ordini, o vi sbatterò via da
Darkover. Tutto qui.»
Magda si accorse di essere in trappola. Con ira, rispose: «Se non volete
lo scandalo... e in tal caso la nostra sarà non solo la prima delegazione ter-
restre invitata qui, ma anche l'ultima... ritirate il vostro ordine. In una que-
stione di protocollo come questa, l'esperto ha il diritto di opporsi perfino a
un ordine di un ambasciatore, se l'ordine rischia di danneggiare la reputa-
zione della Confederazione terrestre. E questo, lasciatemi dire, è proprio il
nostro caso».
Montray la fissò senza parlare; intervenne Li, che chiese: «Come biso-
gna fare, allora, per avere un colloquio?»
«Per prima cosa, dovete essere presentati da un conoscente comune»,
disse Magda, «e il conoscente dovrà essere di rango superiore a quello di
tutt'e due. Quest'anno il Reggente di Alton non è qui... sua moglie è mala-
ta, a quanto so, e Andra presenzia come suo rappresentante personale...»
«È proprio per questo che vorremmo parlargli, prima che sparisca di
nuovo», disse Cholayna. «Un terrestre che riesce a introdursi così profon-
damente nella gerarchia di un regno... non ho la tua esperienza, Magda, ma
so che è una cosa straordinaria.»
Magda rispose, lentamente: «Se fa parte della corte del Reggente di Al-
ton, forse la soluzione migliore è di mandare qualcuno dei vostri agenti ad
Armida, per chiedere un colloquio privato con il Nobile Andra... non con
Andrew Carr... e di assicurarsi che il colloquio sia veramente privato; poi,
solo in un secondo tempo, affrontare il problema. Trattarlo come se fosse
un vostro agente sul campo e come se non voleste rivelare la sua vera iden-
tità».
«Non so se c'è il tempo di farlo...» disse Li, ma Cholayna lo interruppe:
«Potrebbe occuparsene qualcuno dei nostri».
«Mi sembra una cosa abbastanza semplice», disse Monty. «Carr... o il
Nobile Andra... non ha certo intenzione di fuggire. Laggiù è ben introdotto
ed è pienamente visibile.» Prese Magda per la mano. «E se staremo qui
tutta la sera a discutere, i darkovani penseranno che complottiamo contro
di loro. Sarebbe meglio ballare. Posso...»
Ma il vecchio Montray lo precedette. «Ordini superiori», scherzò. «È il
mio turno, Magda. Non oserei ballare con nessun'altra: soltanto voi riuscite
a evitarmi le brutte figure!»
Peter invitò Cholayna, e Jaelle rimase con Li, che la invitò a ballare.
«Vi dispiace, se vi dico di no? Sono senza fiato», rispose Jaelle, facen-
dosi aria e guardando i ballerini. La musica terminò; Jaelle vide che Cho-
layna e Peter si erano fermati accanto ai tavoli dei rinfreschi.
«Chi è quella dama che parla con Haldane?» chiese Aleki, e Jaelle vide
con sorpresa che Rohana aveva lasciato la fila delle vedove e aveva rag-
giunto Peter e Cholayna.
«E la mia parente... la sorella adottiva di mia madre», spiegò lei. «La
Nobile Rohana Ardais.»
«E l'uomo vicino a lei?»
«Suo figlio. Mio cugino Kyril. Una rassomiglianza straordinaria, vero?»
commentò, e in effetti la somiglianza tra lui e Peter era più forte che mai.
L'unica diversità era che Peter indossava l'uniforme terrestre di gala, e che
Kyril aveva i capelli più lunghi. Kyril rivolse un inchino a Cholayna... e al-
l'improvviso Jaelle ebbe l'impressione di trovarsi al fianco di Peter e di
sentire quel che Rohana gli diceva.
C'è Jaelle? volevo parlarle, dovrebbe prendere il suo seggio in Consi-
glio... vi ha detto che ha diritto al seggio perché è nella linea di successio-
ne del regno di Aillard?
Jaelle impallidì. Non voleva che Peter lo sapesse; gliene aveva fatto sol-
tanto qualche accenno vago. Le parve che la stanza si mettesse a ruotare;
un istante più tardi, Magda le prese il braccio.
«Che cosa c'è, sorella? Ti senti ancora girare la testa? Forse qui dentro
c'è troppa folla», le disse. «Sediamoci, parliamo un poco...»
Jaelle lesse i pensieri di Magda: Sei riuscita a fare quello che non ho sa-
puto fare io: dargli un figlio...
«Come lo sai?» chiese. «Te l'ha detto Marisela?»
Magda scosse la testa. «No, non è stata lei. Sei passata alla Loggia, re-
centemente?»
«Mentre eri fuori, a combattere l'incendio, sorella; ero preoccupata per
te», disse Jaelle.
«Che aspettavi un figlio, me l'ha detto Monty», spiegò Magda. «Oggi
sono passata al campo terrestre per fare rapporto.» Le spiegò che Monty
era passato a prenderla alla Loggia, e le riferì gli altri avvenimenti della
giornata. Non parlò di una certa mezz'ora privata tra lei e Monty, ma Jaelle
glielo lesse nella mente e ne rimase stupita. Perché Magda le diceva certe
cose? Ma in realtà Magda non gliele aveva dette. Era stata lei a leggerglie-
le nei pensieri. Di nuovo il potere. Non sapendo cosa dire, commentò:
«Proprio da terrestre: al lavoro perfino il giorno del solstizio!»
Ma Magda la interruppe: «Laggiù c'è Andria», disse, e Jaelle vide un
gruppetto con la livrea degli Alton, fra cui spiccava un uomo molto alto,
biondo come gli abitanti delle Terre Aride. Magda intendeva veramente di-
re che quell'uomo era il terrestre caduto con l'aeroplano e poi riapparso in
modo misterioso nelle terre degli Alton, al servizio del Reggente?
Mordendosi il labbro, Magda disse: «Devo parlare con lui; devo avver-
tirlo; ha detto che ripartiva domattina...» e Jaelle, a quel punto, non si pre-
occupò di chiederle come lo sapesse. Ma quando Magda si alzò per rag-
giungere l'uomo, lei la prese per il braccio.
«Hai appena finito di insegnare alla delegazione terrestre il modo corret-
to di comportarsi; come puoi pensare di andare da Andra...»
«Ma io lo conosco», disse Magda. «Mi ha salvato la vita durante l'incen-
dio della foresta. E questa mattina è venuto alla Loggia per accompagnare
Ferrika.»
«Non conosco Ferrika», disse Jaelle. «Ha prestato il Giuramento a Ne-
skaya, ma non è figlia di voto di Marisela? E viaggiava con questo Andra,
chiunque lui sia...» Jaelle aggrottò la fronte, confusa, ma Magda disse:
«Sorella, fidati di me. Ti spiegherò poi.» Si diresse verso Andra.
E in quel momento Jaelle poté constatare l'abilità di Magda. Nell'avvici-
narsi ad Andra, Magda si comportò come una dama di Darkover, estre-
mamente compita, a parte i corti capelli da Amazzone. Una dama di rango
secondario, che si inchinava davanti a un nobile Comyn e gli chiedeva il
permesso di parlargli.
Con un inchino, Andra le baciò la mano. Jaelle non riuscì a sentire le lo-
ro parole, e continuò a dirsi: Quest'uomo è certamente un nobile Comyn,
come lo si può scambiare per un terrestre?
Poi Magda lasciò l'uomo e fece ritorno accanto a Jaelle, che le lesse nel-
la mente la sua impressione di Andra, Comyn o terrestre che fosse: un uo-
mo alto e forte, non bello, ma dotato di grande sicurezza di sé e di un'im-
mensa energia. Le tornò in mente Lorill Hastur, il Reggente dei Comyn,
quando l'aveva visto da bambina. Un uomo tranquillo, non imponente, ma
che dava l'impressione di un enorme potere personale, tenuto perfettamen-
te sotto controllo. Il potere che Jaelle era abituata ad associare ai Comyn. Il
Nobile Gabriel non l'aveva mai posseduto, forse perché era un invalido.
Ma che potesse possederlo un terrestre?
«Guarda», le disse Magda, «se ne sta andando.» E infatti il Nobile An-
dra si inchinava in quel momento al Principe Aran Elhalyn come per pren-
dere ufficialmente congedo.
«La cosa non ha nessuna importanza, sai?» disse Jaelle. «Quell'uomo
potrebbe parlare per una giornata intera con Montray, o con Aleki, senza
fargli sapere più di quanto lui stesso non voglia dire.»
In quel momento, Magda si stava servendo una porzione di dolce. Jaelle
la guardò con invidia: non si fidava di mangiare, temeva che le venisse la
nausea.
Magda disse: «Sì. Ed è proprio per questo che preferisco tenerli separati.
Qualunque cosa dicesse Carr, non la accetterebbero. In realtà, Montray e
Li non vogliono da Carr una risposta: vogliono che i Comyn lo dichiarino
persona non gradita, per poi portarlo al campo terrestre e fargli dire quello
che sa. A quel punto si aprirebbe tra gli Alton e i terrestri un'ostilità che
durerebbe per varie generazioni.»
Poi esclamò: «Mio Dio!», e si lanciò in mezzo alla folla, mormorando
parole di scusa. Jaelle vide che Alessandro Li e Russell Montray, vana-
mente inseguiti da Peter, si dirigevano verso il gruppo di Carr. Peter riuscì
a raggiungere il Coordinatore e a dirgli qualcosa all'orecchio, ma Montray
scosse la testa.
Il Coordinatore arrivò davanti a Carr e gli disse alcune frasi a bassa vo-
ce.
Jaelle non sentì la risposta di Andra; vide solo la sua faccia cortese, ma
gelida. Allora Montray le ripeté a voce alta; le due guardie del corpo si fe-
cero avanti, pronte a difendere il loro signore da quello straniero presun-
tuoso.
Da un momento all'altro, la scena poteva richiamare l'attenzione dei pre-
senti. Montray disse, parlando forte: «Sentite, devo solo discutere per al-
cuni minuti con voi; non volevo farlo davanti a tutti, ma non mi lasciate al-
ternative».
Peter lo sollevò di peso e lo tirò indietro, mentre le guardie del corpo di
Andra si avvicinavano minacciosamente. Poi un mormorio corse tra la fol-
la; si fece avanti il Principe Aran, tra il suo aiutante di campo e il giovane
Danvan Hastur, mentre la folla si apriva rispettosamente per farlo passare.
Magda prese per la spalla Alessandro Li e gli mormorò qualcosa all'o-
recchio; Li si inchinò davanti ai nobili. Parlò in terrestre e Magda tradusse:
«Maestà, vi chiediamo umilmente perdono; la questione verrà risolta in
privato; ci scusiamo per il disturbo». Ma, ancor prima che Magda finisse,
il Principe Aran mosse la mano negligentemente e si allontanò. Alessandro
Li disse a bassa voce:
«Maledizione, Montray, ancora una parola e vi sbatto a schiacciare pul-
santi in una colonia penale!»
Intanto, in centro alla sala un gruppo di cadetti si era messo a eseguire
una danza delle spade; il Principe Aran andò ad assistere.
Andra e il suo gruppo si erano già allontanati. Peter scosse la testa. «Co-
sì, è fatta. Tutti sapevano com'era Montray, ma finora potevano fingere di
ignorarlo...»
Russell Montray continuava a mormorare: «Rivolgerò una richiesta uffi-
ciale agli Hastur. Quell'uomo è un cittadino terrestre, e io ho il diritto di
parlargli...»
«Lascia perdere, prima che ci mandino via», rispose Monty. «Haldane sa
cosa dice. E così pure Magda...»
Montray si voltò verso di loro, come una furia: «Ne ho abbastanza di
questi maledetti esperti!» ringhiò. «Finora ho sopportato, mentre voi lec-
cavate le suole a questi indigeni! Perché vi hanno appiccicato l'etichetta di
esperti, vi credete di poter fare quello che volete? Be', adesso basta. Al mio
ritorno al campo inoltrerò richiesta di trasferimento per voi, e vedrete che
non avrete più il permesso di ritornare indietro! Ho ancora l'autorità per
farlo, e avrei già dovuto farlo da tempo. Quanto a voi, Lorne, vi voglio al
campo questa sera, e a rapporto. Non domani. Questa sera.»
«Io sono ufficialmente in licenza», osservò Magda.
«Licenza annullata!» ribatté Montray. «Richiamata in servizio attivo
come previsto dal paragrafo 16.4.»
«Oh, al diavolo» disse Magda. «Mi dimetto. Cholayna, siete testimone.
Mi spiace, non ho niente contro di voi...»
«Magda», disse Monty, abbracciandole la vita. «Cara, ascolta. Calmate-
vi tutti.» Si rivolse al padre: «Questo non è né il momento né il luogo...»
«Mi sono calmato e ho ascoltato per l'ultima volta. Credete che non sap-
pia quello che mormorate tutti alle mie spalle, che nessuno mi deve dare
retta? Be', ora basta. Da quarant'anni continuiamo a trattare con i guanti
questa gente, ed è ora di smetterla. Qui deve cambiare tutto. Voglio altra
gente al Servizio Informazioni: gente fedele alla Confederazione. Non vo-
glio più avere nessuna delle vecchie persone. Quanto a voi, Haldane, avrei
dovuto mandarvi via quando avete sposato una darkovana. Ma adesso vi
manderò via tutti, anche se dovesse essere l'ultima cosa che faccio.»
«E lo sarebbe davvero», disse Alessandro Li. «I rapporti con Darkover
sono una questione politica di altissima importanza.» Ma Montray era
troppo incollerito per dargli retta.
«Allora, maledizione, forse è la volta che riesco a fare trasferire anche
me... da anni cerco inutilmente di andarmene!» Si allontanò.
«Buon Dio!» mormorò Peter, e si voltò verso Jaelle. «Cara, puoi tornare
con Li e Monty? Devo parlargli prima che inoltri la richiesta, o finiamo
tutti male. Si può fare ricorso, ma passa un mucchio di tempo...»
Monty prese la mano di Magda. «Non preoccuparti del Vecchio. Si cal-
merà. Non l'hai mai visto in collera?»
«Mi sono occupata per anni delle sue collere», disse Magda, stancamen-
te. «Ma questa è l'ultima volta. Parlo sul serio, Monty. Do le dimissioni. E
all'alba devo ritornare alla Loggia.»
«Vengo anch'io alla Loggia con te», disse Jaelle, ma Peter la prese per le
spalle.
«No, Jaelle! Per l'amor di Dio, fa' come ti dico. Non combattermi. Ritor-
na al campo terrestre, e aspettami. Lotto anche per te... per nostro figlio.»
Alessandro Li disse: «Vi accompagno io, Jaelle, e Peter corse dietro i
due Montray».
Jaelle non ricordò nulla del suo tragitto attraverso le strade di Thendara:
solo che erano piene di gente che rideva, beveva, gettava fiori. Quando
giunse nel loro appartamento trovò molti piccoli fiori nelle pieghe del ve-
stito finto in cui aveva danzato spensieratamente.
Si disse: Spero che lo mandino via da Darkover. Così non dovrò più ri-
vederlo. Ormai era certa: il matrimonio con Peter era stato un errore. Era
stata solo una breve infatuazione, e lei non l'aveva capito. Nella vita di Pe-
ter non c'era posto per una moglie.
Capiva anche perché tra Magda e Peter fosse tutto finito. Peter pensava
solo alla sua ambizione, e la moglie doveva sacrificargli la propria perso-
nalità. C'era qualcosa in lui che attirava le donne dal carattere forte, ma Pe-
ter a un certo punto sentiva la necessità di indebolirle e di schiacciarle,
perché temeva la loro forza.
Per fortuna, non si erano sposati di catenas, e il matrimonio terrestre si
poteva sciogliere facilmente. Lei, però si era impegnata a prendersi cura di
Aleki. E l'onore, come le aveva detto Rohana, stava nel mantenere i propri
impegni anche nei momenti difficili.
Senza aspettare il ritorno di Peter, indossò l'uniforme, controllò le varie
apparecchiature inserite nel colletto. Come aveva fatto in fretta a prendere
quell'abitudine! Pensava di andare a mangiare qualcosa alla mensa e poi di
recarsi nell'ufficio di Cholayna. In seguito sarebbe andata ad abitare con le
Amazzoni che dovevano venire a studiare medicina.
Si stava pettinando, quando sentì ritornare Peter. Era ubriaco, e Jaelle
rabbrividì. Una volta, Kyril si era ubriacato e aveva cercato di darle fasti-
dio: da quel giorno lei aveva sempre provato avversione per gli ubriachi.
Ma Peter, nel vederla, si limitò a mormorare un insulto.
«Peter, che cosa c'è? Cosa ha detto Montray? Dove sei stato?»
Lui la guardò negli occhi. «Che importa, a te?» disse, e andò a chiudersi
nel bagno. Poi aprì la doccia.
Una parte di Jaelle voleva rimanere, aspettare che gli passassero i fumi
dell'alcool, chiedergli spiegazioni. Un'altra parte era indifferente. Disse:
«Vero. Non me ne importa», anche se il rumore della doccia impediva a
Peter di sentire le sue parole, e se ne andò.
CAPITOLO 14
LA PARTENZA
CAPITOLO 15
LA FUGA
CAPITOLO 16
IL POLLINE DI «KIRESETH»
CAPITOLO 17
IL SALVATAGGIO
CAPITOLO 18
EPILOGO
Alessandro Li, che ancora doveva tenersi con le stampelle, riuscì a dare
l'impressione di chinarsi sulla mano di Magda, anche se in realtà non mos-
se quasi la testa.
«Vi sono infinitamente grato», disse. «E voi, Jaelle, spero che guariate
presto.» Aggiunse una frase che Magda riconobbe: un saluto nella sua lin-
gua materna, ma era una delle lingue della Confederazione che Magda co-
nosceva solo in modo superficiale. «Mio Signore...» un altro di quei gesti
che suggerivano un profondo inchino, adesso rivolto al Nobile Damon, «vi
ringrazio dell'ospitalità.»
La grande sala di Armida, con i suoi tronchi massicci e l'immenso cami-
netto, era calda e accogliente; ma all'apertura delle porte entrò un soffio
gelido. All'esterno, continuava a nevicare. Andrew mormorò: «Da questa
parte, signore», e Aleki lo seguì, zoppicando, accompagnato da un paio di
uomini per parte. L'avrebbero portato a Neskaya, dove sarebbe poi venuto
a prenderlo un elicottero dei terrestri.
La Nobile Callista disse piano a Magda, quando la porta gli si chiuse alle
spalle: «Spero che non ci dia fastidi con i terrestri», e Andrew, avvicinan-
dosi a lei, commentò:
«No, non ce ne darà.»
«Come puoi dirlo? Un conto è quel che ha fatto mentre era nostro ospite;
quel che farà al suo ritorno, potrebbe essere molto diverso...»
Andrew rise. «Non preoccuparti di Li», disse. «Conosco quelli come lui.
Per tutta la vita si farà bello con la storia del suo salvataggio in extremis su
un mondo primitivo e godrà la fama di esperto su Darkover... con obbligo
di dire che si è trattato di un'esperienza meravigliosa.»
«Comunque, ha promesso di allontanare da Darkover il Coordinatore
Montray», disse Magda, «e di far nominare un Delegato che conosca Dar-
kover e che lo ami. Si è perfino offerto di raccomandare me, se avessi vo-
luto il posto.»
«E tu avresti dovuto accettare, anche solo per mettere nell'imbarazzo tut-
ti», disse Jaelle. Indossava un'elegante vestaglia azzurra e aveva ripreso un
po' di colore, ma la malattia l'aveva prostrata, e fino a poco prima di partire
Aleki aveva cercato di convincerla a ritornare al campo terrestre per farsi
fare un completo esame medico. «È il minimo che possiamo fare per voi»,
aveva detto, ma Jaelle aveva sorriso e gli aveva detto di essere guarita.
Magda aveva sentito anche il resto della frase, quella che Jaelle non aveva
pronunciato: non aveva alcuna intenzione di ritornare fra i terrestri, né ora
né mai. - Magda non credeva che fosse guarita, ma ormai Jaelle aveva su-
perato il peggio. Quando l'avevano portata a Syrtis era molto grave, e, a di-
spetto di tutte le cure, pareva avesse perso la voglia di vivere.
Aveva cominciato a riprendersi quando Magda, che alla fine aveva capi-
to quale fosse la sua vera malattia, aveva parlato con la Sapiente che la cu-
rava. Avevano chiamato Callista, Damon e Andrew, e avevano formato un
cerchio di matrici per scoprire che cosa fosse successo a Peter Haldane nel
campo dei terrestri. Era vivo; quando l'avevano trovato era in coma e l'a-
vevano portato all'ospedale, ma ora si stava riprendendo.
«L'avete colpito con la mente, oltre che con le mani», disse Damon a Ja-
elle. «Avreste potuto ucciderlo. Per puro caso non è morto. Forse c'è un
dio che vi protegge più di quanto non pensiate.»
Da quel giorno, Jaelle aveva dormito senza incubi e aveva cominciato a
ristabilirsi.
L'ora passata da Magda nel cerchio delle matrici - e lei sapeva di averne
fatto parte - l'aveva fatta diventare uno di loro; Andrew e Callista la tratta-
vano come una sorella, e le pareva di conoscere Damon da sempre. Non
aveva la stessa confidenza con la Nobile Ellemir, che preferiva dedicarsi ai
bambini. Magda li aveva conosciuti, anche se non riusciva a ricordarseli
tutti. Damon ed Ellemir ne avevano uno, chiamato Domenic, di sette anni.
Callista aveva due figlie, e inoltre c'erano i figli adottivi: un figlio illegit-
timo di Andrew - cosa che stupì Magda, dato che lui e Callista sembravano
andare d'amore e d'accordo - e altri che avevano sangue Comyn ma che
appartenevano a famiglie di piccoli proprietari. Damon spiegò che li ave-
vano adottati per poter addestrare il loro potere. Ellemir, che amava i bam-
bini, faceva da madre a tutti, senza preferenze.
«Appartengo a una famiglia longeva», spiegò. «Avrò tutto il tempo di
entrare nel cerchio della Torre quando i bambini saranno cresciuti.
Jaelle sospirò nel sentire che la scorta di Li si allontanava. Disse: «Non
penso che Peter farà storie per il divorzio... ormai. Aleki ha promesso di
occuparsene, senza bisogno di farmi ritornare fra i terrestri». Era triste, e
Magda ne sapeva il motivo. Jaelle era depressa e piangeva spesso, ma El-
lemir aveva spiegato a Magda che col tempo le sarebbe passata.
«È la perdita del bambino», aveva detto Ellemir. «Lo so anch'io. Ne ho
perso uno poco prima del solstizio.» A Magda ritornò in mente Ferrika che
piangeva tra le braccia di Marisela. Da quando aveva fatto parte del loro
cerchio, Magda capiva il rapporto tra gli Alton e Ferrika, che era una com-
ponente vitale di quel cerchio di matrici: l'unico di Darkover che non fosse
nascosto dietro le pareti di una Torre.
Andrew disse: «Vado a controllare i cavalli, prima della tempesta. Chi
vuole venire con me?»
Tutti i ragazzini presenti si alzarono e lo accompagnarono. Per rivolgersi
a lui, si servivano della parola che significava zio, padrino, padre adottivo,
e si rivolgevano a Callista chiamandola zia. Solo Ellemir veniva chiamata
mamma da tutti.
Anche una delle bambine chiese il permesso di uscire, ed Ellemir disse,
scuotendo la testa: «Oh, Cassie...». Ma Andrew rise e se la issò in spalla.
«Venite anche voi, magistra», scherzò, e Callista spiegò:
«È la preferita di Ferrika, che dice sempre che ha lo spirito delle Amaz-
zoni! Andrew, non dovresti chiamarla così; finirà per prendere la cosa sul
serio!»
«E perché no?» osservò Damon. «Un giorno avremo bisogno di ribelli.»
Ma Ellemir rabbrividì e disse a bassa voce:
«No, Damon. Meglio aspettare».
Callista si sedette accanto al fuoco, tra Magda e Jaelle, e cominciò a
suonare il rryl. Disse: «Se avessi conosciuto in tempo le Amazzoni, forse
non sarei mai andata ad Arilinn!»
Damon rise e commentò: «Non ti avrebbero presa in una Loggia, Calli-
sta. Ero in Consiglio quando Rohana si è dovuta impegnare per Jaelle, per-
ché lei fosse libera di prendere il Giuramento...»
Jaelle cominciò a piangere al pensiero dei Comyn, e Damon disse piano:
«Be', dovete prendere il vostro seggio finché non deciderete... al momento
opportuno, come dite voi Amazzoni... di dare una figlia agli Aillard. E se
non lo farete, gli Hastur sopravvivranno lo stesso, come fanno da secoli».
Ma a Magda parve di vedere di nuovo una bambina dai capelli rossi, dalla
faccia simile a quella di Jaelle, che correva nel vento.
Il suo potere non era ancora del tutto sotto controllo. All'improvviso le
parve di vedere lo strano cerchio di donne vestite di nero e di sentire i ri-
chiami dei corvi...
Il bene dei Comyn non ci interessa, e neppure quello dei terrestri o delle
Amazzoni; noi dobbiamo pensare in termini di secoli. Troppi Comyn sono
fedeli solo alla loro casta, e le Torri sono diventate i loro strumenti, invece
di servire al bene di tutti. Per questo, ora come ora, ci serviamo degli Al-
ton e della Torre Proibita.
Magda chiese mentalmente: Chi siete?
Puoi considerarci l'anima di Darkover; o le Sorelle Nere.
«Magda?» chiese Jaelle, e la visione sparì, mentre aleggiavano nell'aria
alcune parole conclusive: Noi siamo gli strumenti del destino, esattamente
come te, sorella...
Callista prese la mano di Jaelle. «Sono stata Guardiana di una Torre
quanto basta per capire come vi sentite, Jaelle. Anch'io mi opponevo al
dovere di dare figli al regno...»
«Dovere?» chiese Ellemir, con irritazione. «Privilegio! Il sangue degli
Alton è un'eredità preziosa. Sono lieta di poterlo trasmettere.»
Jaelle disse, aggrottando le sopracciglia: «Parlate come Rohana. Eppure
siete una Sapiente, che è un po' come essere un'Amazzone, perché si ha u-
n'attività migliore di quella delle altre donne...»
«Non vedo perché debba essere migliore», disse Ellemir. «Una cavalla
da corsa sarà orgogliosa di vincere tutte le gare. Eppure, se non trasmette il
proprio sangue, tanto vale che rimanga nella stalla a mangiare il fieno. C'è
bisogno di lei sia come vincitrice di gare, sia come riproduttrice.»
«Farò anch'io il mio dovere», disse Jaelle. «Adesso ho capito perché de-
vo farlo.» Le donne sedute attorno al fuoco erano molto serene, pensò
Magda. Le ricordavano la tranquillità che faceva seguito alle tempestose
riunioni della Loggia, dopo le discussioni e i pianti. Callista aveva dovuto
lottare più di qualsiasi Rinunciataria, ma ora pareva più serena delle altre.
«Voi e Jaelle vi siete giurate eterna assistenza, Margali», disse Callista.
«Non vi darà fastidio, vederla con un uomo... dato che dovrà farlo, per a-
vere una figlia?»
Magda ripeté quanto aveva udito nella Loggia: «Andrew e Damon sono
fratelli di spada, ma non hanno rinunciato ad avere figli. Perché per le
donne dovrebbe essere diverso?»
Jaelle le prese la mano, riconoscente. Durante la sua convalescenza, si
erano scambiate tra loro i coltelli: il legame più forte che ci potesse essere
tra due uomini o tra due donne. Per quanto fosse amica di Rafi, Jaelle non
aveva mai scambiato il coltello con lei. Il legame era simile a quello del
matrimonio, perché ciascuna si impegnava ad allevare i figli dell'altra.
«C'è un solo legame più forte», disse Ellemir, piano. «Quello tra madre e
figlio...»
Jaelle chiese: «Forse, la caratteristica dell'amore di una donna è che le è
possibile amare senza desideri di possesso. Ogni donna sa che un giorno i
figli la lasceranno.» Per la prima volta, capì il senso delle ultime parole di
sua madre: Ne valeva la pena, Jaelle. Adesso sei libera. «Peter... voleva
possedere me e la bambina», disse.
Magda annuì, e Callista, continuando a suonare il rryl, commentò: «C'è
voluto molto tempo, perché Andrew se ne rendesse conto, ma adesso lo sa
anche lui».
E in quel momento tutte le donne riunite attorno al fuoco capirono che
sarebbe stato il padre della figlia di Jaelle. Un uomo che non aveva il desi-
derio di possederle, e che le avrebbe lasciate libere di seguire il loro desti-
no e la loro eredità Aillard. Il silenzio venne interrotto dalla risata di An-
drew.
«No, basta! Non sono una bestia da soma, scendete dalla mia schiena!
Andate in cucina a mangiare pane e miele, e lasciatemi parlare con gli a-
dulti! Sì, Domenic, tu e Felix verrete a cavallo con me, domani, se la neve
non sarà troppo alta. E anche tu, Cassilda, potrai venire. Ma adesso, per l'a-
mor del Cielo, lasciatemi respirare! Andate in cucina, ci sono delle mele!»
I bambini corsero via, e Andrew ritornò nella sala. Riferì qualcosa a
Damon sulla neve e sui pascoli, poi si sedette accanto alle donne. Magda
provò una strana sensazione di distacco da tutto. Le parve che si fosse
chiusa una porta, tra lei e le Amazzoni. Anche la sua vita di terrestre era
ormai lontana. Lei era legata a Jaelle, ma quel legame non le dava alcuna
sicurezza. E anche se conosceva la forza del cerchio di matrici, le pareva
che non fosse sufficiente.
Andrew le posò la mano sulla spalla.
«Non è nulla», le disse, con un sorriso fraterno. «Credetemi, so benissi-
mo quello che provate. Ma è nell'essenza della Torre Proibita, Magdalen.»
Solo Andrew la chiamava così. «Ciascuno di noi ha dovuto rinunciare alla
vita precedente e ricominciare daccapo. Damon, anzi, l'ha dovuto fare più
di una volta. Non è la stessa cosa della sicurezza», le sorrise, «ma ciascuno
di noi sa di poter contare sugli altri.»
E a Magdalen Lorne parve di sentire il richiamo dei corvi - o dei destini
- e il battito delle loro ali.
FINE