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CULTURA, ARTE E COMMITTENZA

NELLA BASILICA
DI S. ANTONIO DI PADOVA
TRA OTTOCENTO E NOVECENTO

Convegno internazionale di studi


Padova, 22-24 maggio 2019

a cura di
LUCIANO BERTAZZO - FRANCESCA CASTELLANI
MARIA BEATRICE GIA - GUIDO ZUCCONI

PADOVA
CENTRO STUDI ANTONIANI
2020
Cultura, arte e committenza nella Basilica di S. Antonio di Padova
tra Ottocento e Novecento : Convegno internazionale di studi,
Padova, 22-24 maggio 2019 / a cura di Luciano Bertazzo, Francesca
Castellani, Maria Beatrice Gia, Guido Zucconi. – Padova : Centro
Studi Antoniani, 2020. – 491 p., [77] carte di tav. : ill.; 24 cm.
(Centro Studi Antoniani; 67)
ISBN 978-88-95908-18-2
1: Padova – Sant’Antonio – Sec. 19.-20. – Congressi – 2020
I: Bertazzo, Luciano II: Castellani, Francesca III: Gia, Maria
Beatrice IV: Zucconi, Guido
726.50945321 – Ed. 22.

ISBN 978-88-95908-18-2
f 2020 Associazione Centro Studi Antoniani
Piazza del Santo, 11 – 35123 Padova
email: info@centrostudiantoniani.it
www.centrostudiantoniani.it
FRANCESCO REPISHTI

IL DUOMO DI MILANO NELL’OTTOCENTO


E LA RICERCA DEL CARATTERE ‘‘GOTICO’’

L’attuale immagine cosı̀ ‘‘gotica’’ del Duomo di Milano, con un’afferma-


zione forse troppo perentoria, ma utile per entrare nelle questioni, si deve
soprattutto agli interventi operati nel corso dell’Ottocento, privi di ogni ri-
vendicazione patriottica o risorgimentale, ma fedeli a quel principio di
coerenza al progetto ideato per successivi aggiustamenti dalla fine del Tre-
cento. Una successione di scelte conformi al carattere definito fin dall’ini-
zio dai cosiddetti ‘‘antichi fondatori’’, quest’ultimi sempre evocati ogni-
qualvolta dovevano essere prese importanti decisioni sul proseguimento
dei lavori.
La constatazione è in parte dovuta al fatto che, nel corso dell’Ottocento,
il cantiere del Duomo risolve con notevole concretezza il problema della
sua facciata: all’inizio del secolo con la definitiva edificazione 1 e alla fine
dello stesso secolo con il desiderio di riformarla sulla base dell’esito di
due concorsi internazionali. Quello della facciata è un tema che ha inevita-
bilmente segnato tutti i racconti e tenuto impegnata da sempre la storio-
grafia, quasi oscurando tutte le altre questioni dibattute all’interno della
cattedrale. Occorre cosı̀, almeno in questo breve contributo, tralasciare la
trattazione di questo aspetto, se non per riassumere solo i fatti salienti e
accennare alle questioni sottese, soprattutto perché gli opposti atteggia-
menti che avviano queste due iniziative costituiscono il filo della narrazio-
ne che ci aiuta a comprendere le scelte relative agli altri interventi intrapre-
si nel corso dell’Ottocento.

Abbreviazioni:
AABMi: MILANO, ARCHIVIO DELL’ACCADEMIA DI BRERA.
AdM: BALERNA, ARCHIVIO DEL MODERNO.
ASMi: MILANO, ARCHIVIO DI STATO.
AVFDMi: MILANO, ARCHIVIO DELLA VENERANDA FABBRICA DEL DUOMO.
RSBMi: MILANO, RACCOLTA STAMPE A. BERTARELLI.
1
Cf. E il Duomo toccò il cielo. I disegni per il completamento della facciata e l’inven-
zione della guglia maggiore tra conformità gotica e razionalismo matematico (1733-
1815). Catalogo della mostra (Milano, 2003), a cura di E RNESTO BRIVIO - FRANCESCO RE-
PISHTI, Skira, Milano 2003.
148 FRANCESCO REPISHTI

Brevemente ricordo che Napoleone, alla vigilia dell’incoronazione a re


d’Italia svoltasi all’interno del Duomo 2 e in un successivo decreto emanato
nel giugno del 1805, ordina l’elaborazione di «un disegno nuovo per com-
pire la Facciata e i lati, che riduca la spesa alla minore somma possibile, e
che non ecceda la metà della spesa che importerebbe il disegno antico»,
senza «alterare il già fatto» 3. L’improvvisa morte di Leopoldo Pollack, il
13 marzo 1806, complica la fase progettuale, già avviata in verità nel prece-
dente decennio dall’Amministrazione austriaca, e determina il coinvolgi-
mento di Carlo Amati e Giuseppe Zanoia, il cui progetto è approvato nel
gennaio 1807 4. Amati e Zanoia propongono di conservare le strutture ar-
chitettoniche già realizzate – i pilastri che scandiscono la facciata in cin-
que comparti, il portale maggiore e quelli laterali, e le quattro finestre del
registro superiore – impostando su di esse un coronamento che corrispon-
de all’andamento decrescente dell’altezza delle navate interne. Rispetto al-
le proposte di Carlo Buzzi e Leopoldo Pollack, Amati accentua il carattere
analogico del progetto, inserendo tre finestroni archiacuti nei tre settori
centrali (una soluzione già suggerita da Felice Soave 5) e una galleria ad ar-
chetti pensili in corrispondenza del profilo terminale.
In soli sette anni con l’impiego di quasi cinquecento operai, tra Milano
e Presidenza dell, la facciata è completata, sulla base di un progetto in gra-
do di combinare «l’economia colla decente armonia delle parti al tutto on-
de riesce simmetrico quant’è possibile nella necessità d’innestarvi gli ordi-
ni moderni col gotico» 6; una soluzione che è rapidamente realizzata, ma

2
Il Progetto di cerimoniale per l’incoronazione di Sua Maestà l’Imperatore Napoleone
Re d’Italia è redatto dal Gran Maestro delle cerimonie dell’Impero e dal Maestro delle
cerimonie del Regno d’Italia; la regia esecutiva è affidata a Luigi Canonica. Cf. BARBARA
BOIFAVA, Incoronazione di Napoleone e festeggiamenti, in Luigi Canonica (1764-1844) ar-
chitetto di ‘‘utilità pubblica e privata’’. La cultura architettonica italiana e francese in epo-
ca napoleonica, a cura di FRANCESCO REPISHTI - LETIZIA TEDESCHI, Mendrisio Academy
Press, Mendrisio 2011, pp. 113-115.
3
Cosı̀ si esprime Giocondo Albertolli nella sua relazione datata 11 gennaio 1807
(AABMi, Carpi, A IV 30).
4
Il progetto è approvato il primo gennaio 1807 (AVFDMi, Archivio Storico, 137,
XVIII, 65bis). Cf. Annali della Fabbrica del Duomo di Milano dalle origini fino al presen-
te, VI, Tipografia sociale E. Reggiani, Milano 1885, p. 264 (d’ora in avanti Annali VI,
1885).
5
Nell’agosto 1790 l’architetto ticinese Carlo Felice Soave, da lungo tempo operante
a Milano, e che nel 1787 aveva fatto domanda di nomina ad architetto della Fabbrica, è
incaricato di dare un disegno per la facciata del Duomo; il disegno è approvato dal Ca-
pitolo il 4 luglio 1791. Soave è poi nominato architetto della Fabbrica nel 1795 in sosti-
tuzione di Galliori, e terrà la carica fino alla morte nel 1803. Si veda GIUSEPPE STOLFI,
Carlo Felice Soave. Progetto per la facciata del Duomo, in E il Duomo toccò il cielo, pp.
114-115, e PAOLA CAPOZZA, Carlo Felice Soave architetto neoclassico, New Press Edizioni,
Como 2017, pp. 106-120.
6
5 gennaio 1807; AABMi, Carpi, A IV 30. Lettera del ministro del Culto alla Regia
Accademia di Belle Arti.
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che si presenta fin da subito di mediocre ripiego, nonostante si chiudano


quasi tre secoli di dibattiti 7. L’incredibile breve tempo occorso per l’esecu-
zione è in parte dovuto anche a un cambiamento dell’amministrazione che
ininterrottamente regola dalla sua fondazione la vita del cantiere e dell’en-
te. Nel 1802 è infatti istituto il Ministero per il Culto con l’incarico degli af-
fari ecclesiastici, della disciplina del clero, delle corporazioni dirette all’e-
sercizio di religione, degli istituti pii e degli stabilimenti di pubblica benefi-
cenza. È proprio a questo ente che viene affidato l’incarico di nominare i
componenti dell’Amministrazione della Fabbrica creata in sostituzione
dei deputati del Capitolo Generale.
La scelta di completare la facciata, già iniziata in forme classiche e solo
in una piccola parte gotiche, e il più generale atteggiamento nei confronti
della preesistenza gotica è stato variamente interpretato o come l’inizio
della diffusione di un revival 8, oppure come l’espressione di un’azione poli-
tica di Napoleone, mossa dalla volontà di diffondere un’esperienza archi-
tettonica soprattutto francese applicandola a un monumento rappresenta-
tivo, identitario e centrale nell’assetto urbano. Altri hanno invece letto in
questa decisione, ribaltandone totalmente l’interpretazione, il desiderio
della corte di Vienna (che avvia e porta a compimento i lavori) di sviluppa-
re una storia e un’identità locale 9.
Se provassimo a rileggere complessivamente le opere avviate e conclu-
se nel corso dell’Ottocento ci accorgeremmo che, più probabilmente, la
scelta di un linguaggio gotico per la facciata è da inquadrare nel più gene-
rale tentativo di concludere fabbriche molto complesse con l’intenzione di
dare un aspetto di decoro alla piazza e alla città. La scelta del linguaggio
gotico, già presa nel Seicento, è soprattutto giustificata, come avviene per
tutta la storia della cattedrale dal momento della sua fondazione, da posi-
zioni del Capitolo che sostengono una soluzione di conformità con le altre
parti strutturali e che si oppongono a proseguire con quanto già realizzato
sulla base del linguaggio classicista nel Seicento da Fabio Mangone e da
Francesco Maria Richino 10. E dunque non si tratta in alcun modo di una
scelta di Napoleone in termini di ‘‘stile’’, né a precoci forme di revival.
Terminati i lavori, alla fine del secolo, negli anni ottanta, un cospicuo
lascito ereditario rende però ancora una volta possibile l’idea di ritornare

7
L’appalto per la costruzione delle dodici guglie sul coronamento della facciata è
datato 16 gennaio 1809 (AVFDMi, Archivio Storico, 137, XVIII, 63bis).
8
Cf. LOUIS GRODECKI, Introduction, in Le ‘‘gothique’’ retrouvé avant Viollet-le-Duc.
[Catalogo della mostra] (Paris, Hotel de Sully, 31 octobre 1979-17 fevrier 1980), Caisse
Nationale des Monuments historiques, Paris 1979, pp. 7-15.
9
Lettera di Kaunitz a Firmian (8 ottobre 1772; ASMi, Studi p.a., 378). Cf. G IULIANA
RICCI, Il più grande ornamento di questa Metropoli, in E il Duomo toccò il cielo, pp. 33-48.
10
Cf. La facciata del Duomo di Milano nei disegni della Fabbrica (1583-1737). [Cata-
logo della mostra, Milano, 2002], a cura di FRANCESCO REPISHTI, Unicopli, Milano 2002;
FRANCESCO REPISHTI - RICHARD SCHOFIELD, I dibattiti per la facciata del Duomo di Milano
(1582-1682). Architettura e Controriforma, Electa, Milano, 2004.
150 FRANCESCO REPISHTI

sul tema della facciata per modificare quanto costruito. Nel 1884 è cosı̀
bandito un concorso internazionale, previsto in due gradi che chiama gli
artisti e gli studiosi di tutto il mondo a risolvere il secolare problema, la-
sciando ogni libertà ai concorrenti nei criteri artistici e storici, ma richie-
dendo esplicitamente che il nuovo fronte si accordi armonicamente con
lo stile e con le forme organiche del Duomo. Esposti i progetti, la Commis-
sione nel maggio del 1887 passa in esame i disegni presentati da circa cen-
toventi concorrenti, scegliendone quindici da ammettere al concorso di se-
condo grado, bandito nell’agosto dello stesso anno, all’interno del quale si
richiede, come «condizione assoluta» che la nuova facciata si accordi
«con lo stile e il carattere decorativo delle sue parti più vecchie». Nell’otto-
bre 1888 il primo premio, contro ogni previsione, è assegnato al giovane
Giuseppe Brentano (1862-1889) 11, ma la sua morte improvvisa, a un anno
appena dal successo, rimanda le discussioni e affievolisce il desiderio di so-
stituire quanto già realizzato, un diverso atteggiamento dovuto anche alla
nuova posizione di fronte alle opere del passato 12.

1. OPERE
Gli interminabili dibattiti sulla facciata sembrano aver attirato le atten-
zioni degli studiosi e non tutti riconoscono il fatto che l’Ottocento è anche
il secolo del completamento della struttura architettonica e della definizio-
ne di quell’immagine ‘‘ultragotica’’ o ‘‘supergotica’’ che percepiamo oggi.
Sulle opere volte a costruire questa immagine, tra i materiali dell’Archivio
della Fabbrica e di quello di Stato e dell’Accademia di Brera, si conservano
centinaia di disegni, relazioni, annotazioni e anche un breve testo lettera-
rio (Dialogo sulla fabbrica del Duomo di Milano tenuto da un forastiere, da
un Milanese, e da un curioso istruito) composto nel 1810 da Carlo Amati 13

11
CAMILLO BOITO, Progetto dell’architetto Giuseppe Brentano per la nuova facciata del
Duomo di Milano, scelto per la esecuzione e la Relazione della commissione aggiudicatri-
ce dei premi, «Il Politecnico», 37 (1889), pp. 51-57; L UCA BELTRAMI, Giuseppe Brentano.
Nel X Anniversario di sua morte. XXXI dicembre MDCCCIC, Tip. U. Allegretti, Milano
1899, e LUCA BELTRAMI, Luca Beltrami e il Duomo di Milano: tutti gli scritti riguardanti
la cattedrale pubblicati tra il 1881 e il 1914, Ceschina, Milano 1964.
12
ERNESTO BRIVIO, L’epilogo del Concorso del 1888, in Il neogotico in Europa nel XIX
e XX secolo. [Atti del convegno, Milano-Pavia 1985], a cura di ROSSANA BOSSAGLIA - VALE-
RIO TERRAROLI, Mazzotta, Milano 1985, pp. 117-126.
13
Nella cartella 137 dell’Archivio Storico dell’AVFDMi si trova anche una breve in-
troduzione di Amati per un saggio storico dedicato al Duomo con correzioni apportate
da Casati. Il Dialogo sulla Fabbrica è stato pubblicato da Camillo Boito nella relazione
presentata al Ministro della Pubblica Istruzione. Cf. C AMILLO BOITO, Per la facciata del
Duomo di Milano. Relazione all’on. Ministro della Pubblica Istruzione, Sonzogno, Mila-
no 1909, pp. 27-32. Tra le critiche rivolte ad Amati ricordiamo la mancanza dei campa-
nili, che dovevano essere sostituiti da due torri sopra la sacrestia, e il non perfetto alli-
neamento tra le quote settentrionali e quelle meridionali. Nel 1866 è deliberata la di-
struzione della torre delle campane (20 agosto 1866; Annali VI, 1885, p. 397).
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in forma dialogica per affrontare una serie di critiche avanzate dai milane-
si sui lavori in corso 14.
Questa quantità consistente di disegni e documenti tratta soprattutto
dei lavori eseguiti sulla copertura e il suo apparato ornamentale 15: entro
la metà del secolo si realizzano infatti la maggior parte degli archi rampan-
ti e delle guglie, e si elevano i tre gugliotti mancanti, il gugliotto sud-ovest
su disegno di Pestagalli (1845), quello nord-ovest di Vandoni (1862-1890)
e l’ultimo a sud-ovest di Cesa Bianchi (1877-1904) 16. Tra il 1810 e il 1832
sono eseguiti i lavori alle terrazze 17, o a parte di esse, sono elaborati gli stu-
di della decorazione della falconatura, dei parapetti e degli archi rampanti
di cui si deve terminare urgentemente la costruzione e a cui è collegato an-
che il sistema di scolo delle acque. Si tratta di una soluzione abbastanza
particolare dove i cosiddetti archi rampanti non svolgono una funzione
strutturale, ma sono costruiti solo al termine del cantiere perché il loro
compito è soprattutto quello di contenere i canali per far defluire le acque
piovane dalle terrazze. Sono poi studiate le scale che collegano i diversi
piani delle terrazze stesse, e quest’ultime per Francesco Pirovano costitui-
scono «la parte [...] più ammirevole e sorprendente» dell’edificio 18.
A ciò si aggiunge il tema del restauro della guglia maggiore. Il cantiere
della guglia maggiore, posto a circa 65 metri da terra, aveva comportato
nel Settecento una complessa organizzazione e l’urgenza di ultimare il co-
ronamento del tiburio aveva portato a impiegare materiale non di qualità,
ponendo cosı̀ le premesse per un rapido degrado della struttura 19. Nel
1842, a seguito di preoccupanti lesioni, l’architetto della Fabbrica Pietro
Pestagalli propone di demolire la guglia maggiore e di ricostruirla secondo
un nuovo progetto; si oppone l’amministratore della Fabbrica, conte Am-
brogio Nava, che attraverso un restauro conservativo e superando le diffi-

14
Al Dialogo partecipano il curioso istruito che fa in realtà le veci dell’architetto e il
forastiere che ha il ruolo di far procedere la discussione. Ai due si aggiunge un terzo
personaggio, il Milanese, che si esprime in dialetto ed è funzionale a inserire i commen-
ti raccolti nella piazza sotto forma di diceria. Cf. GIULIANA RICCI, Il più grande ornamento
di questa Metropoli, in E il Duomo toccò il cielo, pp. 44-45.
15
Si veda tra gli altri GIOVANNI BATTISTA SANNAZZARO, Per il Duomo di Milano: disegni
dallo studio di Pietro Pestagalli, «Il disegno di architettura», 0 (1989), p. 35; G IOVANNA
D’AMIA, Il fondo di Pietro Pestagalli nell’Archivio del Duomo di Milano, «Il disegno di ar-
chitettura», 10 (1999), pp. 54-60.
16
Cf. la voce Gugliotti in GIULIA BENATI - ANNA MARIA RODA, Il Duomo di Milano. Di-
zionario storico artistico e religioso, Ned, Como 2003, pp. 295-300.
17
Si veda la documentazione in AVFDMi, Archivio Storico, 137, XVIII, 63bis.
18
FRANCESCO PIROVANO, Nuova guida di Milano, Dalla tipografia di Giovanni Silve-
stri, Milano 1822, p. 60.
19
Nel 1810 Amati segnala la difficoltà di aprire a Candoglia nuove cave per soppe-
rire alla mancata produzione di grandi quantità di marmo necessario per la facciata e
suggerisce di utilizzare la cava di Ornavasso per i lavori meno importanti (AVFDMi, Ar-
chivio Storico, 137, XVIII, 65).
152 FRANCESCO REPISHTI

denze della Commissione di Brera 20 riesce a evitare i temuti crolli e le de-


molizioni.
Un’altra ampia serie di lavori documentati riguarda la sistemazione
dell’interno: in particolare la realizzazione dei nuovi altari delle navate
laterali (Santissimo Crocifisso) e lo spostamento dei diversi monumenti.
Negli anni venti e trenta dell’Ottocento uno dei lavori che più impegna la
fabbrica è, per esempio, il rifacimento del pavimento, per il quale si studia-
no i disegni e si stima la quantità di lastre di marmo da ordinare per la loro
costruzione e il totale restauro del battistero. I lavori sul battistero vengo-
no documentati in due riprese, tra il 1827 e il 1829, legati al rifacimento
della pavimentazione attigua, e nel 1836-37 circa la decorazione interna
ed esterna della modanatura sotto la cornice.
Per quanto riguarda i lavori eseguiti all’interno del presbiterio, gli inter-
venti più consistenti riguardano la decorazione delle volte, il baldacchino, i
lettorini e le cantorie. Nel 1835 e 1836 viene intrapreso il rinnovamento del
baldacchino dell’altare maggiore: si studia principalmente la decorazione
della cornice e del drappeggio e la struttura di sostegno. Possediamo una
documentazione anche per i nuovi lettorini da collocare nel coro, dopo
un attento studio di quelli conservati nelle chiese di San Babila, San Fran-
cesco di Paola, San Vittore, San Marco e San Fedele. La costruzione delle
cantorie è affrontata in più momenti a diversi anni di distanza 21. Inoltre,
due altre attività che nell’Ottocento hanno lasciato il segno più forte nell’a-
spetto del monumento sono quella della decorazione delle volte con trafori
gotici e quella delle vetrate. Giovanni Battista Bertini e i suoi figli Giuseppe
e Pompeo, tra il 1829 e il 1858, eseguono molte vetrate nuove o sostituisco-
no antiche vetrate rovinate e consunte dal tempo con la tecnica di «pittura
a fuoco su vetro» 22. A più riprese, tra il 1806 e il 1836, vengono ristudiate
alcune finestre del lato settentrionale e quelle della sacrestia meridionale.
Infine, occorre ricordare che tra gli anni trenta e gli anni sessanta la
Fabbrica intraprende la costruzione del nuovo Palazzo nello spazio retro-
stante il Duomo sulla base del progetto di Pestagalli, abbandonando defini-
tivamente l’idea di realizzare un camposanto e un battistero, cosı̀ come
nelle intenzioni contenute nei progetti iniziali 23.

20
AABMi, Carpi, A I, 20. Il 2 dicembre 1843 la Commissione di Brera per valutare
meglio l’intervento di restauro alla gran guglia chiede a Nava di realizzare un modello
ligneo, oggi conservato al Museo della Fabbrica.
21
Sulle cantorie Cf. ADOLFO ZACCHI, La veneranda Fabbrica del Duomo: 1902-1960.
Documentario, Ceschina, Milano 1964.
22
ERNESTO BRIVIO, Le vetrate istoriate del Duomo di Milano, Ned, Milano 1980, pp.
31-49.
23
Su questo aspetto si veda GIOVANNA D’AMIA, Architettura e spazio urbano a Milano
nell’età della Restaurazione. Dal tempio di San Carlo a piazza del Duomo, Edizioni New
Press, Como 2001. Nella seduta del 14 aprile 1836 la Commissione d’Ornato, composta
da Canonica, Pizzala, Amati, Besia, Peveretti e Moraglia fu chiamata a esprimere un
parere sul progetto presentato dall’Amministrazione della Fabbrica del Duomo per la
IL DUOMO DI MILANO NELL’800 E LA RICERCA DEL CARATTERE ‘‘GOTICO’’ 153

2. NOVITÀ
Se fondassimo la nostra ricerca solo sulla compilazione di un elenco
delle centinaia di opere intraprese non potremmo che farci l’idea di una
fabbrica che prosegue, con un’incredibile continuità, il completamento
delle sue parti su modelli elaborati oltre quattro secoli prima. Un comple-
tamento documentato e descritto anche dalla contemporanea guidistica 24.
Tuttavia, credo che al di là della semplice elencazione di fatti si può prova-
re a ragionare su alcuni elementi di novità o di continuità che emergono e
che sembrano guidare e orientare le nuove scelte e la documentazione fi-
nora raccolta ci sembra che mostri una Fabbrica che si rinnova su almeno
cinque importanti aspetti.
1. In primo luogo, ciò che appare più evidente è la ricerca formale di
un linguaggio il più possibile conforme a quello che era riconosciuto come
gotico, senza però che fossero disponibili effettivi modelli di riferimento,
senza cioè modelli originali. Ciò che appare significativo è il fatto che gli
architetti della Fabbrica, in questa elaborazione di forme e modelli, non
attingano al repertorio italiano di altre fabbriche, ma neppure a quello
europeo. In sostanza, riscrivono un linguaggio gotico su quello già realiz-
zato nel cantiere, reiventando a volte forme su modelli già in precedenza
ibridi, perché per esempio elaborati soprattutto nel primo Cinquecento in
occasione della costruzione del modello ligneo.
Si pensi ad esempio al gugliotto di Amadeo costruito nei primi due
decenni del Cinquecento e divenuto modello ‘‘antico’’ per i successivi com-
pletati nella seconda metà dell’Ottocento. Dunque, un neogotico non nei
termini di ripresa o fedeltà, ma nel senso di creazione di neologismi
espressivi accompagnati da neologismi letterari come quando per definire
la facciata di Castelli si coniò il termine di «gottoromano».

nuova sede sull’area dell’ex Camposanto ed elaborato da Pietro Pestagalli. Nel corso di
quattro sedute (14, 21 aprile e 20 e 26 maggio) la Commissione, su indicazione di Luigi
Canonica e Andrea Pizzala, suggerı̀ la costruzione di un «edificio con porticato esten-
dendosi con un unico disegno dalla corsia dei Servi all’Arcivescovado, edificio che do-
vrà essere la prima opera di una nuova piazza del Duomo tutta cinta da portici». Suc-
cessivamente, all’interno del dibattito che vedeva contrapposte le soluzioni presentate
da Pestagalli e da Giuseppe Pollack, nell’aprile del 1837 a Canonica venne personal-
mente richiesto un parere sui progetti di sistemazione dell’area. Nella relazione, sotto-
scritta il 19 aprile 1837, Canonica approvò la scelta di un porticato continuo, come già
indicato dalla Commissione d’Ornato, ma suggerı̀ l’eliminazione dei corpi avanzati la-
terali riferendosi al modello di piazza San Marco a Venezia e la collocazione di colonne
sporgenti per 2/3 del diametro nel portico: «in tal modo le sole forme e le belle propor-
zioni della pura architettura greco-romana anche senza vistosi ornamenti e intagli co-
stituirebbe il pregio e la dignità dell’edificio» (AdM, Fondo Canonica, XLVIII, 588). Cf.
FRANCESCO REPISHTI, Parere sul palazzo dell’Amministrazione della Fabbrica del Duomo, in
Luigi Canonica (1764-1844) architetto di ‘‘utilità pubblica e privata’’, p. 191.
24
Francesco Pirovano, nel 1822, ricorda come le «aguglie terminate e abellite di
statue o di gotici arabeschi sono a quest’ora circa 70, oltre a 24 aguglie minori»: cf.
FRANCESCO PIROVANO, La nuova Guida di Milano, Giovanni Silvestri, Milano 1822, p. 90.
154 FRANCESCO REPISHTI

Rispetto a quanto avviene nel corso del Cinquecento, quando la preoc-


cupazione maggiore è quella di una coerenza strutturale e formale tra le
parti dell’edificio, nell’Ottocento possiamo affermare che si tratta di una
consapevole legittimazione del linguaggio gotico o di quello che potremmo
definire della ‘‘tradizione interna’’. Se nei precedenti secoli il principio di
conformità strutturale aveva, con alterne vicende, segnato la sua storia
per cinque secoli, accogliendo all’interno del cantiere una pluralità dei lin-
guaggi, con la definitiva approvazione del progetto di Amati e Zanoia que-
sto principio costituisce un dogma progettuale.
Un altro esempio, tra i più dibattuti, è quello della decorazione delle
volte interne sulle navate, realizzata sulla base di «un finto lavorerio di
marmo d’ordine tedesco, con molta fatica e industria di prospettiva» avvia-
to a partire dal 1824 nelle campate delle navate centrale e laterali 25. Dap-
prima affidate a Felice Alberti, dal 1830 realizzate sui modelli in chiaroscu-
ro di Alessandro Sanquirico 26 e dal 1832 a Francesco Gabetta 27. La preoc-
cupazione che si legge nei dibattiti è quella di realizzare interventi che
«possano reggere alla posterità più remota [...] conservazione di questo
monumento europeo» 28.
2. Come secondo punto di riflessione, credo sia interessante segnalare
che, anche nel cantiere del Duomo, non abbiamo solo nuove costruzioni,
ma si accenna ad alcune manutenzioni programmate per le quali si chiedo-
no nuovi fondi. Soprattutto con l’elezione di Pietro Pestagalli a nuovo ar-
chitetto della Fabbrica, avvenuta nel 1813 29, gli interventi di restauro e le
manutenzioni definite come «riparazioni ordinariamente occorribili» sosti-
tuiscono quelle indicate nei documenti come «riparazioni instantanee» 30,

25
16 ottobre 1830; si veda Annali VI, 1885, p. 309.
26
Ivi, pp. 323-324.
27
Ivi, p. 327.
28
Relazione di Gaetano Vaccani datata 31 agosto 1828 in AABMi, Carpi, A IV, 30:
«[Duomo di Milano] quanto di più grande, di più ricco, e di più maestoso ci abbia la-
sciato la gotica architettura [...]. Dunque se dal quel celebre architetto germanico tutte
le ordinazioni sortirono sublimi e se del pari le esecuzioni furono fedeli, se nulla si
scorge di declinante, non degeneriamo noi nel concetto presso i posteri che avranno
sempre materia a confronto d’epoche e se non possiamo immaginare in meglio, seguia-
mo almeno quelle savie, sovrumane tracce, che con tanta serena chiarezza ci lasciaro-
no chi ci ha preceduti». Interventi che «possano reggere alla posterità più remota [...]
conservazione di questo monumento europeo». Si veda anche il parere di Carlo Amati
datato 28 maggio 1828: «Sarebbe perciò mancamento inescusabile se taluno ardisse
manomettere in siffatti edifizi alterando qualsiasi parte che serba l’impronta originale
del primo inventore, sia essa di romana o gottica maniera».
29
Il passaggio di consegne tra Carlo Amati e Pietro Pestagalli avviene il 13 maggio
1813 (AVFDMi, Archivio Storico, 137, XVIII, 66).
30
Si veda ad esempio il prospetto generale delle riparazioni esterne e interne data-
to 7 settembre 1815 (allegato A) e quello delle «annuali riparazioni ordinariamente oc-
corribili tanto all’esterno che all’interno» (AVFDMi, Archivio Storico, 137, XVIII, 66).
IL DUOMO DI MILANO NELL’800 E LA RICERCA DEL CARATTERE ‘‘GOTICO’’ 155

avviate soprattutto per porre rimedio alle infiltrazioni d’acqua nelle volte.
Lo studio della documentazione del cantiere del Duomo conferma dun-
que la nascita, nella prima metà dell’Ottocento, del doppio concetto di ma-
nutenzione e la definizione della manutenzione ordinaria come un genere
d’intervento «di emergenza da condurre al più presto possibile per fermare
una causa straordinaria di degrado e riparare il danno subito», mentre la
manutenzione straordinaria risulterebbe invece «un genere di intervento
rivolto a ripristinare una parte dell’edificio che è venuta meno».
Su questo tema, che vede la nascita del concetto di ‘‘restauro conservati-
vo’’ in senso moderno, le vicende della guglia maggiore appaiono illumi-
nanti. Nel 1842, a seguito di preoccupanti lesioni, l’architetto della Fabbri-
ca Pietro Pestagalli propone di demolire la guglia maggiore e di ricostruirla
secondo un nuovo progetto restitutivo; a questa proposta si oppone Am-
brogio Nava, che attraverso un restauro conservativo riesce a evitare i te-
muti crolli e le demolizioni 31. Ambrogio Nava (1791-1862), amministratore
della Fabbrica e «dilettante di architettura», interviene sulla struttura della
guglia maggiore con una serie di interventi di consolidamento, sostituzione
di parti e inserimento di catene metalliche, cosı̀ come appare nel modello
della parte terminale della guglia oggi conservato nel Museo del Duomo.
3. Una terza novità, rispetto alle prassi plurisecolari del Duomo, è il
fatto che dal 1819 la Commissione di Brera, esterna quindi alla Fabbrica,
prescrive i criteri secondo i quali si debbano scegliere gli autori delle opere
di statuaria 32, per poi verificare i modelli e l’esecuzione finale 33. In verità,
tutti gli interventi sono soggetti a un controllo quindi esterno, mai accadu-
to durante la storia plurisecolare del cantiere. Per controllare meglio l’atti-
vità del cantiere l’Amministrazione, nel 1821, elabora anche un nuovo qua-
dro di regole da osservare con le istruzioni per gli artisti della Fabbrica del
Duomo. Le norme avevano lo scopo di formalizzare responsabilità, incom-
benze e comportamenti degli operai verso la Fabbrica: per primi ricevono
commissioni gli scultori più anziani, tra i quali bisogna preferire i più biso-
gnosi ed escludere quelli che non hanno eseguito l’ordine di lasciare le bot-
teghe 34. Ogni anno l’architetto sottoponeva all’Amministrazione la quanti-

31
Cf. AMBROGIO NAVA, Relazione dei ristauri intrapresi alla gran guglia del Duomo di
Milano nell’anno 1844 ed ultimati nela primavera del corrente 1845, Tipografia Valenti-
ni, Milano 1845.
32
Pietro Pestagalli, il 22 maggio 1815, comunica che per il completamento del
Duomo mancano 1045 statue di diverse dimensioni (AVFDMi, Archivio Storico, 137,
XVIII, 66). Si veda LAURA GUIDOLIN, Manutenzioni ordinarie alla Fabbrica del Duomo di
Milano, in La cultura architettonica nell’età della Restaurazione, a cura di GIOVANNA D’A-
MIA e GIULIANA RICCI, Mimesis, Milano 2002, pp. 117-126. Durante il mandato di Pesta-
galli l’Amministrazione impegna annualmente circa cinquanta persone come operai
addetti alla lavorazione del marmo per le opere di finitura e completamento.
33
Documentazione (1807-1877) conservata in AABMi, Carpi, A 1, 16-21.
34
Annali VI, 1885, p. 299.
156 FRANCESCO REPISHTI

tà, il tipo di opere e lo scultore a cui era assegnata. Il modello in terracotta


era poi sottoposto a un esame della Commissione dell’Accademia di Brera
che esprimeva le critiche e suggeriva eventuali modifiche 35. Anche la ver-
sione definitiva era rimandata al giudizio della commissione, che nel caso
poteva chiedere ulteriori modifiche 36.
Questo inedito processo di validazione è giustificato dalla contrapposi-
zione tra la continuità espressa da un cantiere gotico e le nuove strategie
per la riforma del gusto avviate con l’istituzione dell’Accademia 37. A partire
dal primo ingresso di Napoleone a Milano nel 1796, l’Accademia di Brera
arriva cosı̀ a soprintendere e validare tutte le vicende costruttive e le scelte
artistiche del Duomo.
4. Un quarto aspetto interessante è quello relativo al ruolo dell’architet-
to aggiunto, già esistente nel passato, ma i cui incarichi sono meglio defini-
ti. Giuseppe Pollack, architetto aggiunto per più di quarant’anni, aspira in-
vano al ruolo che era stato del padre Leopoldo tra il 1803 e il 1806. Egli
non ha mai compiti progettuali, ma di controllo e gestione delle maestran-
ze 38. Un ulteriore incarico affidato all’ ‘‘aggiunto’’ riguarda l’approvvigiona-
mento dei materiali. La maggior parte della sua attività è rivolta alle manu-
tenzioni, ai restauri dell’interno, come testimoniano i disegni del battiste-
ro, della pavimentazione, della disposizione degli altari, dei lettorini e dei
diversi elementi della copertura. La vicenda della costruzione del nuovo
Palazzo dell’Amministrazione è l’unica in cui Pollack tenta di emergere an-
che come progettista, rivelando al contempo forti attriti e gelosie con l’ar-
chitetto capo. Per esempio, nel verso di un disegno, sfoga la sua delusione
contro gli organi superiori che a suo parere avevano rifiutato i suoi proget-
ti per «maneggi» con l’architetto suo concorrente.
5. Infine, come quinto e ultimo punto che è possibile individuare tra le
novità che il cantiere del Duomo sembra presentare nel corso dell’Ottocen-
to, occorre inserire il mantenimento di alcune peculiarità, nonostante que-

35
Ivi, p. 295.
36
Si veda, a titolo di esempio dei molti giudizi, quello espresso dalla Commissione
nel 1809 su una statua raffigurante san Nazaro: «in generale un buon assieme: gli occhi
si trovano troppo socchiusi ed incassati, la nuca un po’ mancante e il collo un po’ trop-
po largo all’attaccatura col busto. Si desiderebbe maggior semplicità e leggerezza nei
calzari».
37
L’Accademia aveva il compito di operare su un ambiente architettonico ritenuto
ancora barbaro e «degradato da mille artifici e capricci» (RICCI, Il più grande ornamento
di questa Metropoli, p. 41).
38
Si veda GIOVANNA D’AMIA, L’attività di Giuseppe Pollack presso la Fabbrica del Duo-
mo di Milano, in Leopoldo Pollack e la sua famiglia: cantiere, formazione e professione tra
Austria, Italia e Ungheria. Atti del convegno internazionale di studi (Milano, Villa Reale,
16-17 dicembre 2008), a cura di GIOVANNA D’AMIA - GIULIANA RICCI, ISAL, Cesano Mader-
no 2009, pp. 195-209; ULDERICO DE PIAZZI, Il protocollo di tutte le promemorie di Giuseppe
Pollack: una fonte inedita per i lavori nel Duomo di Milano, in Leopoldo Pollack e la sua
famiglia, pp. 211-232.
IL DUOMO DI MILANO NELL’800 E LA RICERCA DEL CARATTERE ‘‘GOTICO’’ 157

sta ricerca di un’immagine il più possibile gotica fosse, come abbiamo vi-
sto, comunque di invenzione. Può valere come esemplificazione e chiari-
mento di questo punto quanto la risposta di Giulio Galliori, architetto della
Fabbrica, a Carlo Bianconi, segretario dell’Accademia di Brera, in relazio-
ne ad alcune osservazioni espresse da quest’ultimo sulla forma dei piloni
angolari della facciata. Galliori, nel 1790, risponde che il gotico del Duomo
è «tutto speciale» e pertanto non possono valere gli accostamenti proposti
da Bianconi con le cattedrali di Siena e di Orvieto 39.
Ciò appare evidente nella costruzione delle terrazze superiori del Duo-
mo, che sulla base di un’originalità milanese rispetto ai modelli gotici d’Ol-
tralpe poggiano su un sistema di doppie volte e non sulla consueta carpen-
teria lignea. Il sistema delle terrazze, oltre a consentire la percorribilità
delle coperture, garantisce una migliore impermeabilizzazione rispetto al-
le coperture tradizionali in coppi, e una maggiore facilità nelle opere di
manutenzione e riparazione.
In modo identico questa doppiezza formale e funzionale è riscontrabile
negli archi rampanti 40 o nei gugliotti che, costruiti tre secoli dopo la realiz-
zazione del tiburio, certamente non potevano assolvere alla loro funzione
strutturale.

3. CONCLUSIONI
Gli episodi ottocenteschi finora accennati hanno costituito un’impor-
tante prova per affrontare alcune delle questioni più generali che percorro-
no l’Ottocento. Appare evidente, fin dai desideri di Napoleone, che l’inces-
sante campagna di lavori possa essere inquadrata nella volontà di dare
completezza formale e figurativa a un monumento centrale dell’assetto ur-
bano, in previsione di un ridisegno dell’intera area, dunque con obiettivi
indipendenti dal contenuto religioso.
Un secondo aspetto è inevitabilmente ideologico e si lega al concetto di
rappresentatività o di identità, sviluppato soprattutto dopo l’Unità d’Italia,
ma che vede il Duomo di Milano, come attesta il Dialogo composto da Car-
lo Amati, precorrere temporalmente questo significato.
Tuttavia, a differenza di quanto altri hanno sostenuto negli anni, sem-
bra impossibile incanalare i fatti del Duomo in quel filone di nascita di
una coscienza storica degli stili e di studio filologico, se non per l’episodio

39
La risposta di Galliori (6 settembre 1790) è successiva al Promemoria di Bianco-
ni datato 31 agosto 1790 e precede quella di Felice Soave datata 11 settembre 1790
(AVFDMi, Archivio Storico, 136, 61, 5-7). Bianconi replica alle obiezioni di Soave e
Galliori, ma nel novembre dello stesso anno il rettore della Fabbrica lo invita a non pro-
seguire nella polemica.
40
Abbiamo anche già osservato come gli archi rampanti da un lato aiutino a com-
porre questa immagine e dall’altro svolgano la funzione di far defluire le acque piovane
dalle terrazze che sovrastano con un sistema di doppie volte le sordine.
158 FRANCESCO REPISHTI

del concorso internazionale del 1886, che invece va letto in questo senso
perché di fatto governato da una commissione ‘‘accademica’’ esterna alla
Fabbrica 41.
Dunque, il caso «Duomo di Milano», nonostante la vastità degli inter-
venti, costituisce un esempio, con rimandi alla memoria e alla tradizione,
grazie al quale è possibile misurare la costante fedeltà all’integrità dell’edi-
ficio rispetto alle sue forme primigenie e alle fisionomie originarie, anche
se ideate in secoli diversi 42.

SOMMARIO
La storia del cantiere ottocentesco del Duomo di Milano si apre e si chiude con
le note vicende relative alla costruzione della facciata (1807-15) e con i concorsi in-
ternazionali per la sua riforma (1886 e 1888). Si tratta di un tema che ha tenuto im-
pegnata la storiografia per molto tempo, quasi oscurando tutte le altre questioni di-
battute in questo secolo. In realtà nel corso del XIX secolo si portò a compimento
un’incredibile quantità di opere avviate nei tre secoli precedenti (vetrate, pavimenti,
altari, archi rampanti, decorazioni delle volte, terrazze esterne, guglie, restauri alla
guglia maggiore), riaffermando il carattere di ‘‘goticità’’ della Fabbrica ed elaboran-
do progetti non solo sulla base del principio di coerenza con quanto già realizzato,
ma ricercando un linguaggio ancora più caratterizzante. Sempre nel corso dell’Ot-
tocento la Fabbrica abbandonò l’idea di un Camposanto avviando e completando
su progetto di Pietro Pestagalli l’edificazione del nuovo Palazzo della Fabbriceria
(1835-66).

SUMMARY
The activities in the Cathedral of Milan during the 19 th century start and end
with the construction (1807-15) and the call for ideas to rebuild the façade (1886
and 1888). The topic engaged the historiography for a long time, in practice over-
hanging all the other questions discussed during the century in the building site. In-
deed the Fabbrica completed during the 19th century an incredible number of works
begun in the preceeding three centuries (glass windows, paviments, altars, flying
buttresses, decorations of voults, external terraces, spires, and the restoration of
the main spire). All these works were based on a strong gothic identity of the Fabbri-
ca, designing not only in coherence with the existing building, but looking for a style
much more gothic as possible. During the same century the Fabbrica abandoned
the idea of a Campo Santo, beginning and completing the realization of the new Pa-
lazzo della Fabbriceria (1835-66) designed by Pietro Pestagalli.

41
Si legga in questo senso il pensiero di Camillo Boito nella relazione del verdet-
to della giuria datato 27 ottobre 1888. Cf. B RIVIO, L’epilogo del concorso del 1888, pp.
117-121.
42
Continuità che è possibile rilevare anche nel corso del Settecento e che motiva le
scelte gotiche dei contributi al tema della facciata di Filippo Juvarra e di Luigi Vanvitel-
li, ai quali hanno dedicato la loro attenzione autorevoli autori come Paolo Mezzanotte,
Nino Carboneri e Karl Noehles.
Tav. 1: Veduta ottocentesca del Duomo di Milano
Tav. 2: GIUSEPPE POLLACK, «Metà della facciata del Duomo di Milano […]
in rustico», 1806; AVFDMi, Archivio Disegni, 219
Tav. 3: PIETRO PESTAGALLI, Ortografia della guglia maggiore, 1843;
Milano, Archivio della Veneranda Fabbrica del Duomo,
Archivio disegni, 370
Tav. 4: AMBROGIO NAVA, Planimetria con le catene in ferro per il restauro
della guglia maggiore, 1844; CRSBMi, Fondo Cagnola, 9401
Tav. 5: AMBROGIO NAVA, Sezione con le catene in ferro per il restauro
della guglia maggiore, 1844; CRSBMi, Fondo Cagnola, 9398
Tav. 6: Milano, Duomo; volta interna del tiburio con le decorazioni ottocentesche;
Milano, Civico archivio fotografico
(©Comune di Milano. Tutti i diritti di legge riservati)
Tav. 7: GIUSEPPE POLLACK, Arco doppio con la distribuzione dei lavori
«alli sei capi di compagnia per la Fabbrica del Duomo», 1831;
AVFDMi, Archivio storico, 478, 134

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