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Helmut Lachenmann: Analisi del n. 4 dei "Cinque pezzi per orchestra" op.

10 di
Anton Webern
Da Quaderni di musica nuova, n. 3, Torino, Compositori Associati, 1989

Nel secondo esempio, il quarto dei "Cinque pezzi per orchestra" op. 10 di Anton Webern
(Es.2, vedi partitura a fondo pagina), abbiamo apparentemente a che fare solo con le
rovine del vecchio ambito linguistico tradizionale. Questo campo di rovine rivela però di
essere un campo di forze altamente differenziato. Alla figurazione iniziale di sei note del
mandolino (a), fa riscontro, al capo opposto, la melodia di cinque note del violino,
ritmicamente piuttosto morbida, e metricamente non più così ben impiantata (b); tra queste
abbiamo una figurazione di quattro suoni della tromba (c), ed una locuzione di due note
del trombone (d).
Il caso estremo, ancora riscontrabile, di una locuzione melodica di una nota sola si trova,
all'inizio, nella viola (e); l'articolazione espressiva (cresc./dim.) dimostra chiaramente
questa ascendenza. Allo stesso tempo però quest'ultimo suono della viola rappresenta il
livello zero sotto il profilo dell'articolazione ritmica interna. Da questo punto di vista varianti
più movimentate possono essere i due interventi del clarinetto: la nota tenuta, ma sciolta in
trillo (f), ed il suono precedente, ripetuto sei volte in sincope regolarmente ritmizzata (g).
Infine questa scala di ritmizzazioni di suoni tenuti, iniziata da uno strumento ad arco e
proseguita da due varianti di uno strumento a fiato, termina con uno strumento a pizzico, il
mandolino, con una combinazione di due diverse regolarità di un suono ripetuto sette
volte: crome e terzine di crome alla fine del brano (h). Senza la mediazione di questa
figura del mandolino, già un po' irregolarmente ritmizzata, non sarebbe tanto facile
considerare come membri della stessa famiglia anche le altre ripetizioni di note, ancor più
irregolari ritmicamente, della cassa chiara, dell'arpa e della celesta. Converrà ripercorrere
a ritroso la scala ditali irregolarità a partire proprio dalla figurazione del mandolino. Allora
l'arpa, con i suoi cinque suoni che si susseguono a distanze estremamente diversificate,
rappresenta forse il massimo grado di irregolarità (i), vengono poi la cassa chiara con tre
colpi (k), ed infine non solo la celesta con le sue due seconde (1), che si lasciano ben
facilmente inserire, ma anche, all'estremo opposto di questa scala, di nuovo l'arpa, con un
unico accordo semplicemente pizzicato di tre suoni (m). L'arpa si colloca all'inizio, ai suoi
antipodi, e viene a giustapporsi, in modo non mediato, al suono tenuto della viola.
Proprio questi stessi gruppi di note rendono d'altro canto evidente che, in questo specifico
contesto, sonorità consuete si ridefiniscono per la percezione. Infatti il corpo
apparentemente estraneo costituito dalla cassa chiara (k) è inserito nel contesto in modo
non mediato non solo come elemento ritmico, ma anche quale caso limite di rumore, cui si
ricollegano le seconde minori dell'inciso della celesta, non più percosse, ma battute sui
tasti (I), gli impulsi pizzicati dell'arpa, secchi e poveri di risonanza trattandosi di suoni
armonici (i), ed infine il mandolino, suonato in modo normale in un pizzicato dalla sonorità
piena (h). In questi rapporti di reciproca mediazione in un ambito quantomai ristretto il
suono di ciascuno strumento vale come straniamento di un altro: all'energico impulso della
melodia iniziale rispondono la frase ancora relativamente energica della tromba, e,
all'ultima battuta, la melodia del violino, suonata con morbidezza.
Il trombone è uno straniamento della tromba, l'arpa è un mandolino vetrificato, e così via.
Tutto è consueto ed allo stesso tempo nuovo grazie alle proiezioni sovrapposte, dunque
grazie alla forma. Inoltre, preso nel suo insieme, questo brano non è altro che una
serenata al chiaro di luna dei suoni armonici, con un'eco che giunge da "Dove squillano le
belle trombe" (“Wo die schönen Trompeten blasen”: Gustav Mahler, 14 Lieder aus “Des
Knaben Wunderhorn” - Il corno magico del fanciullo) e risponde il trombone presago di
morte, finché il tamburo militare, suonando la ritirata, non viene a turbare l'idillio; allora
l'innamorato si allontana continuando a suonare il suo mandolino, mentre l'amata lo saluta
con un gesto del violino. L'ascoltatore non ha il tempo di abbandonarsi a tale idillio, come
sarebbe forse possibile in Mahler, cui mi sono ispirato nella scelta del vocabolario della
mia interpretazione.
Questo è un Mahler visto da un binocolo rovesciato, radicalmente ridotto a segnali minimi,
dato come un palloncino sgonfio, che dobbiamo gonfiare ognuno per conto proprio; in tal
senso la musica di Webern è, come esperienza interiore, tanto ampiamente dimensionata
quanto l'universo sinfonico di Gustav Mahler, ossia è infinita. Ma non è la ricostruzione
intellettuale dell'idillio ad essere determinante, quanto piuttosto il fatto che al tempo stesso
esso venga negato come momento di appagamento; in ogni caso è importantissimo
questo atteggiamento di concentrazione sul dato strutturale, da cui ricaviamo non solo il
senso di malinconica rinuncia, ma anche di una nuova forza espressiva, che Webern non
ci ha negato.
Come ogni opera in sè convincente questo brano non è solo una struttura sonora unica e
compiuta in se stessa (una definizione che finirebbe per ridurre le attività dello spirito a
puro e semplice archiviamento intellettuale del percepito); mi pare altrettanto calzante, e
mi è particolarmente cara, la definizione di "suono strutturato", in cui intuiamo un'identità di
sonorità ed espressione, ed in tale esperienza complessiva l'intuizione gioca un ruolo
dominante. E come in tale esperire l'esperienza della forma non si lascia scindere
dall'esperienza del carattere sonoro sovraordinato (quello che i musicisti pop
chiamerebbero "sound"), o, in altre parole, come costruzione ed espressione non si
lasciano separare, allo stesso modo è impossibile nell'ascolto separare l'intelletto
dall'intuizione: l'uno mette le ali all'altra.
Il termine "suono strutturato" che ho qui introdotto al posto di "struttura sonora" deriva da
un'idea di suono in cui il fatto sonoro, proprio come compagine multidimensionale di ordini
(Anordnungen) di introstrutture sonore, non si riduce a puro e semplice stimolo acustico,
ma si svela poco per volta, nel corso di un processo di esplorazione molteplice e
stratificato di una data costruzione sonora, le cui componenti si trovano in tipica
connessione tra loro. L'arpeggio mi sembra la più efficace visualizzazione ditale forma di
esperienza strutturale: se un arpista tocca un accordo sul proprio strumento, può, nel
succedersi dei singoli suoni, avere allo stesso tempo la percezione di se stesso; se invece
fa scorrere la mano dall'alto al basso (dal punto di vista tecnico si tratterebbe di un
glissando, ma lo si potrebbe anche vedere come una scala arpeggiata) ha la percezione
del suo strumento e del suo suono. Allo stesso modo un'opera musicale si manifesta allo
stesso tempo come struttura sonora e come suono struttura grazie ad una sorta di
immenso arpeggio sull'immaginario strumento sonoro e formale costruito apposta dal
compositore, che non si limiterà a scegliere ogni singola corda di quest'arpa immaginaria,
ma ne ricaverà una forma più o meno complessa a seconda dei mezzi a sua disposizione.
Anche la disposizione delle corde sarà parte essenziale di questa costruzione, e forse
alcune di esse potrebbero essere come dei fasci di corde più sottili, componendosi a loro
volta di interstrumenti. In virtù di particolari affinità tra corde vicine o lontane risultano
all'interno dell'arpeggio le più differenti modalità di collegamento. In tale procedimento di
esplorazione si manifesta non solo la struttura dello strumento, ma, indirettamente, anche
quella del costruttore e dello strumentista, persino quella del compositore.
Posso perciò continuare ad attenermi a quel modello di rappresentazione per cui struttura
è polifonia di ordinamenti (Anordnungen) esplorabili per mezzo della percezione, e
sperimentabili, nel corso ditale processo esplorativo, come idea sonoriale e strutturale,
nonché come espressione. Alla base di ogni ordinamento (Anordnung) si trova una scala,
come sempre verificabile, di accadimenti sonori, che, pur nella loro totale diversità, si
ricollegano tutti ad un'unica idea caratteristica, ad un'idea sonoriale che li accomuna. Non
sarà però tanto semplice ricavare tale idea dal singolo accadimento sonoro, così come un
singolo individuo non può essere realmente rappresentativo della famiglia cui appartiene.

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