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VICENDE E CULTURA DEL RESTAURO

Alessandro Conti

1.RESTAURO E CONSERVAZIONE
Si resta un po’ disarmati a veder tradurre con conservazione l'inglese conservation, che corrisponde al nostro
restauro. A conservazione corrisponde preservation. Scopo del restauro è fornire l'oggetto restaurato di qualità di
funzionalità, di estetica quanto più è possibile vicine all'originale. La conservazione dei materiali originali, la
reversibilità di quelli che si usano nelle operazioni di restauro sono criteri di orientamento. Un buon restauro
dell'Ottocento si poneva scopi diversi da un buon restauro degli anni cinquanta. Accanto ai restauri ben
programmati vi sono disgrazie ed incidenti, ma anche i risultati a cui portano una cultura non adeguata alle scelte
da compiere o la cattiva gestione.

2.FRA ADATTAMENTO E RESTAURO


Quando Domenico Ghirlandaio progetta una nuova cornice all'antica per l'Incoronazione Baroncelli di Giotto, il
maestro è una gloria nazionale celebrata. Questo adattamento si presenta come una nuova proposta di lettura
della composizione originale. L'intenzione è quello di recuperare la funzionalità figurativa dell'Incoronazione;
nonostante le piccole mutilazioni della pittura originale, l'intervento è perciò un restauro. È tale anche il
rifacimento dell'estremità destra del paesaggio nel Buongoverno di Ambrogio Lorenzetti da parte di Girolamo di
Benevento. I primi interventi eseguiti in vista del recupero della funzionalità figurativa di un opera sono raramente
distinguibili come nel caso dell'Incoronazione Baroncelli o del Buongoverno, da quelli volti solo all'efficacia
iconografica. Verso le sculture antiche già nel corso del Quattrocento si delinea con chiarezza un atteggiamento di
collezionismo, di interesse per le testimonianze di un passato verso il quale si ha coscienza di un distacco storico.
Questo porta ad interventi che tendono ad una restituzione dell'iconografia e composizione. Si interrompe la
tradizione medievale dell'adattamento di spoglie e frammenti ai propri programmi edilizi ed iconografici. Le statue
antiche si lasciano allo stato di frammento o si integrano in forma di soggetti tratti dal mito o storia antica. Gli
adattamenti a figure di santi divengono del tutto eccezionali. Il restauro che interpreta criticamente il frammento
antico celebra il suo trionfo con le prime proposte di integrazione del Laocoonte. L'inserimento abituale di statue
antiche in collezioni che sono un necessario simbolo di prestigio di gran personaggi romani fa perdere qualsiasi
passione filologica per il frammento. Le statue completate non ci mettono più davanti ad una figura menomata,
assumono perciò più grazia e si inseriscono più agevolmente in una collezione.

3.RESTAURI NELL'ETA DELLA MANIERA


Il restauro di interpretazione caratterizza gli interventi sulle sculture antiche. Per opere di Maniera moderna si
individuano già ripristini nel corso del Cinquecento in pitture che erano modello di stile. La Madonna del cardellino
di Raffaello viene ricomposta dopo il crollo che l'aveva travolta e Domenico Carnevale integra il Sacrificio di
Michelangelo nella volta Sistina dopo la caduta dell'intonaco. Con la tecnica del trasporto a massello si eseguono
non solo le facili operazioni che permettono di salvare il Domenico Veneziano di Santa Croce, il Ghirlandaio di
Botticelli, ma anche i trasferimenti di piccole calotte absidali affrescate dal Correggio a Parma. In rispetto per
l'autore, la difficoltà di imitare uno stile alieno alla propria maniera, l'impossibilita di accompagnare con colori
freschi quelli temperati per altra mano, impediscono a qualunque buon maestro di imbarcarsi con fiducia nel
restauro di un opera danneggiata. La protesta contro i rifacimenti maldestri diviene uno dei luoghi ricorrenti della
letteratura artistica.

4.FRA CLASSICISMO CATTOLICO E RESTAURI DI GALLERIA


L'esito del dibattito cinquecentesco sull’ uso delle immagini nei paesi non riformati e il rapporto organico che si
instauro fra pittura ed il suo uso cattolico. Fino al suo trionfo come alleata della chiesa e del potere monarchico che
si celebra con Rubens. Nella conservazione e nel restauro questa presa di coscienza e attestata con grande
chiarezza nei restauri promossi da Carlo Maratta per conservare le opere degli eroi del classicismo che avevano
insegnato il giusto uso dell'arte. Sono restauri che hanno sullo sfondo gli scritti di Bellori, divengono con ciò il punto
di incontro fra la speculazione culturale e la necessita di conservare le opere d’arte e pratiche di manutenzione e
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adattamento che si erano affermate presso i collezionisti. E attraverso gli arbitri di galleria che si individuano le
tecniche fondamentali nel restauro dei dipinti. La pittura di prestigio viene staccata definitivamente dalla tradizione
rinascimentale del mobile dipinto. Il quadro viene adesso inserito nella arredo mediante una cornice mobile che ha
la funzione di fargli perdere il suo spessore di tavola, di oggetto , di valorizzarlo solo come superficie. Gli
adattamenti sono diversi da quelli che nascevano nella manutenzione dell’ icona o del mobile dipinto. Prende corpo
un insieme di norme che ha presenti le caratteristiche e il comportamento della pittura ad olio. Si apprezza la sua
intonazione, la patina, il tocco impastato o leggero della sua stesura. Attraverso il filtro belloriano, la dignità di
Roma quale maestra delle arti, le tecniche di manutenzione nate in rapporto al collezionismo divengono momenti
necessari al tramando di una insostituibile patrimonio di beni culturali. Nasce la base teorica del restauro.
Il primo degli interventi descritti dal Bellori e quello sugli affreschi di Annibale Carracci in Palazzo Farnese, fu un
consolidamento della loggia e risanamento edilizio, curato da Carlo Fontana. E un intervento di manutenzione e
prevenzione volto soprattutto all’edificio. Diverso e il restauro della loggia di psiche alla Farnesina. Il restauro
consiste in rifacimenti e ridipinture che permettano alle figure di recuperare l’ aspetto originale. Per alcune delle
più rovinate il Maratta esegue anche studi sull’ antico. Il restauro del maratta si interessa della completezza dell’
ambiente in cui si trovano gli affreschi. Da loggia cinquecentesca lo trasforma in una galleria. L’ altro grande
restauro del maratta e la pulitura degli affreschi nelle stanze di Raffaello. L’intervento riguarda soprattutto i
basamenti lacunosi e danneggiati da graffiti. La pulitura degli affreschi viene eseguita da Pietro Tosini. Nei restauri
descritti da Bellori si individuano due livelli operativi: quello della pulitura, che richiede solamente buona pratica
artigiana, ed il risarcimento figurativo che avviene mediante rifacimenti e ridipinture e capire l intenzione
dell’originale. Il restauro e il momento di un analisi classicista, dell’opera d arte che deve ubbidire a regole. Chi le ha
acquisite può ricostruire le parti mancanti. Tale visione del restauro vale perché in queste opere le varianti di stile
restano sempre in un arco di classicismo che permette ad un buon professore di individuare e imitare gli aspetti
figurativi.

5.LA PROFESSIONE DEL RESTAURATORE


Chi restaura è quasi sempre un pittore. Gusto di Cassana diverso da Maratta, ma il modo di procedere è analogo,
che si spinge anche a quegli ingrandimenti e correzioni abituali nelle gallerie. All’inizio del ‘700 si trovano buoni
pittore disposti a restaurare. Sebastiano Ricci nel 1727 avrebbe affermato che “non si richiedevano meno teoriche
cognizioni a ripristinar un vecchio esemplare di quanta perizia aver duopoli l'autore di quello”. Una presa di
coscienza della dignità culturale proprio nelle operazioni meccaniche che permettono al restauratore di salvare i
capolavori del genio è quella che si incontra in Francia in occasione dei trasporti della Carità di Andrea Del Sarto e
del Grand Saint-Michel di Raffaello delle collezioni reali, eseguiti da Robert Picault tra il 1749 ed il 1751.

6.ROBERT PICAULT
Una presa di coscienza della dignità culturale proprio nelle operazioni che permettono al restauratore di salvare i
capolavori del genio è quella che si ha in Francia in occasione dei trasporti della Carità di Andrea del Sarto e del
Grand Saint Michel di Raffaello eseguiti da Robert Picault. Il lavoro del restauratore, osserva Picault, garantirà ai
grandi maestri l'immortalità attraverso l'aspetto stesso delle loro opere. Il trasporto su nuovo supporto, la
rimozione delle ridipinture, tutte le altre operazioni, avvengono attraverso semplici procedimenti fisici o chimici. Il
trasporto della tavola di Andrea del Sarto segna il momento di maggior successo di Picault. E la Accademia Reale
auspica che con il medesimo procedimento si salvi il Grand Saint Michel di Raffaello. Il successo di Picault
incomincia a declinare e la qualità della sua professione diviene oggetto di dibattiti e polemiche.

7.L'OGGETTO DEL RESTAURO


E' un risultato delle tradizioni di galleria che l’ intervento di conservazione sia volto alla pittura, alla testimonianza
del genio, non all'insieme del manufatto. La tavola non era che il prodotto di un artigianato che qualsiasi falegname
era in grado di riprodurre. Eliminabile, si considera, nelle tradizioni di galleria anche la cornice originale.
Per gli affreschi il figlio di Picault precisa che con il trasporto si liberano dai segni della cazzuola, dal carattere di
intonaco dipinto, si da loro tutta la nuova morbidezza della tela.

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Fra le obiezioni ai lavori di Picault ricorre l'osservazione che è inutile conservare il vecchio supporto ed è meglio
distruggerlo senza ricorrere ad operazioni rischiose per il colore, come dovevano essere le sue. Nasce da questo
dibattito il restauro di Jean Louis Hacquin. Le opere di Picault danno l’impressione di essere legate ancora alle
tradizioni di galleria. Hacquin sembra più incline ad un restauro che tende alla conservazione dell'immagine in
quanto tale.

8.LUIGI CRESPI ED ANDREA PASTA


In Francia l'attenzione è focalizzata sui quadri della collezione reale la cui manutenzione porta ad interventi che si
qualificano sempre come restauri. In Italia le testimonianze danno un panorama più variegato. Ci sono numerose
proteste e discussioni sulla conservazione delle opere d'arte che rivela varie tradizioni locali che si individuano tra
XVII-XVIII secolo.
La coscienza di una conservazione che avvenga attraverso operazioni di restauro rispettose appare sempre più
diffusa dalla meta del Settecento ed è testimoniata da due lettere di Luigi Crespi e dall'Introduzione alle Pitture
notabili di Bergamo di Andrea Pasta.
La critica di principio alle integrazioni e rifacimenti di Maratta nella Loggia di Psiche alla Farnesina porta Luigi Crespi
a negare la possibilità di buon ritocco su dipinti murali. Le sue osservazioni sul restauro dei dipinti ad olio sono più
coerenti ed è difficile non riconoscervi un legame con la tecnica del padre.
Siamo davanti a considerazioni legate ad una pratica pittorica non classicista nella quale la materia, le velature,
valgono per l’immagine che esprimono ma anche per la gestualità che ne guida la stesura.
Le due lettere di Crespi pongono come testimonianza interessante del disagio settecentesco davanti al trattamento
improprio delle pitture antiche, da parte di pittori poco interessati alla conservazione. Il pulitore di quadri auspicato
dal Crespi dovrebbe essere un artigiano specializzato che lavora con l’ approvazione della locale Accademia di belle
arti.
Le osservazioni di Andrea Pasta sono improntate da un chiaro spirito illuminista: le buone pitture servono di scuola
ai giovani artisti sono necessarie alla diffusione delle buone massime. Il Pasta accetta gli ingrandimenti delle pale da
altare ma non le loro mutilazioni, deplora le ridipinture devozionali, l'applicazione di corono metalliche. È contrario
alle vernici che con il tempo ingialliscono. La manutenzione accurata è il rimedio che Pasta si sente di raccomandare
per la tutela dei dipinti di pregio.

9.CHIMICA E RESTAURO
Con la seconda meta del secolo il restauro partecipa a quella translitterazione di linguaggio, di pensiero dovuta alla
definizione chimica dei materiali e del loro comportamento. Questo momento di passaggio che vede nascere tanti
trattati che illustrano come applicare la fisica e chimica alle varie arti. I restauratori più aggiornati cominciano ad
esprimersi in termini chimici, a cercare la collaborazione di sperimentatori scientifici.
Quello che differenzia il rapporto tra verifiche fisico chimiche e restauro nel XVIII-XIX secolo dalle sue applicazioni
attuali meno felici è il rimando costante di chi restaura alle nozioni di pratica pittorica e del comportamento dei
materiali.
Il restauratore pittore settecentesco verifica su principi scientifici fenomeni ai quali è abituato. Il cattivo
restauratore scienziato è invece un ricercatore che parte dalla conoscenza della struttura dei materiali e crede di
poter prescindere dal problema di presentarli nella maniera otticamente più appropriata. A queste nuove verifiche
si collega subito il consiglio di usare vernici non oleose per proteggere i quadri. La pratica del restauro attualmente
diffusa prevede la vernice come complemento, o male inevitabile per una buona conservazione. Nelle vernici non
oleose s'individua il mezzo migliore per restituire trasparenza ai dipinti prosciugati.

10.NUOVI ORIENTAMENTI NEL RESTAURO


Il restauro delle sculture si e distaccato dalla tradizione secentesca del completamento meditato o del pasticcio da
cortile o da giardino. Si considera sempre di più il frammento come un oggetto da portare alla giusta lettura, si
trattano le aggiunte in modo che sembrino frammenti originali ricomposti.
La professionalità del restauratore di quadri nella seconda meta del settecento viene pienamente distinta da quello
del pittore. Jean Michel Picault insiste su questa differenziazione non solo di conoscenze tecniche ma anche di

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diversa disponibilità verso ogni stile. Il pittore si pone solamente un modello da raggiungere, il restauratore deve
essere invece come i grandi attori che sanno rappresentare tanto l'ira di Achille che l'orgoglio di Agamennone.
Anche Pietro Edwards insiste su questa nuova posizione quando espone i vari punti che devono guidare il restauro
delle pubbliche pitture, ultima grande impresa commissionata dalla repubblica: non più nuovi dipinti ma
manutenzione del patrimonio di pitture che lo stato aveva raccolto.

11.PIETRO EDWARDS E LE PUBBLICHE PITTURE


Le Pubbliche pitture delle quali affronta il restauro sono quelle di diretta proprietà statale che adornavano il
palazzo ducale, gli uffici di rialto, le poche chiese erette per voto pubblico.
La tradizione era di affidare la loro manutenzione a pittori. Nel 1684 alcuni dipinti di Palazzo Ducale vengono
consegnati a Giambattista Rossi. L'incarico di sorvegliare e restaurare le pubbliche pitture dopo il Rossi passa
Vincenzo Cecchi poi è lo stesso collegio dei pittori che chiede l'incombenza della visita mensile e dell'esame dei
provvedimenti necessari alla loro conservazione. L'esecuzione dei restauri tocca ancora a pittori. Però durante i
lavori intrapresi nel 1762 Giuseppe Angeli rifiuta di affrontare un incarico dall'arte di dipingere distaccato.

12.PREVENZIONE E CONSERVAZIONE
La direzione del restauro delle pubbliche pitture viene affidata all'Edwards nel 1778. l'anno dopo inoltra un
resoconto generale del lavoro che aveva compiuto. Si ha così modo di mettere a fuoco le conoscenze scientifiche e
la visione che egli aveva delle possibilità e limiti del restauro.
Precisa che il deperimento dei quadri non è imputabile al tempo. Il tempo è solamente misura della durazione
nell'azione distruggitrice non meno che in quella con cui si preservano le cose. Le vere cause della rovina delle
pubbliche pitture e dipinti in generale possono essere esteriori, derivano dall'ambiente, dalle condizioni di
esposizione, da incidenti quotidiani, come infiltrazioni di umidità, il fumo dei camini, la disposizione su pareti
esposte troppo al sole o venti di tramontana, oppure l'allentamento delle tele, l'adesione della polvere, lo
sfregamento.
Ma il nemico peggiore delle pitture è l'olio stesso con cui furono legati i colori che porta all'annerimento, alla
perdita delle mezzetinte, gli fa perdere coesione.
Molte alterazioni si potrebbero impedire evitando il commercio dell'atmosfera col dipinto, come dimostrano le
parti che si trovano rimaste coperte dalle cornici.
Anche la cera non risponde a requisiti che ne garantiscono l’uso nel restauro delle pitture. Quindi non si aspettino
dal restauro miracoli. Però si ricorre lo stesso ad una serie di operazioni di restauro che rimediano spesso agli effetti
dell'inevitabile decadimento delle pitture. Il piano pratico si sofferma su tutti gli accorgimenti necessari perché in
Palazzo Ducale i dipinti subiscano meno danni possibile: dalla sorveglianza, le migliorie alle soffitte per evitare
infiltrazioni di acqua, al modo in cui prevenire affumicature, alla prescrizione di varie spolverature e puliture
superficiali. Sono operazioni che fanno comprendere l'importanza che l'Edwards attribuiva alla prevenzione dei
danni per la conservazione delle pitture.

13.IL LAVORO DI RESTAURO


Per eseguire il vasto programma di restauro di tutti i dipinti dei pubblici palazzi l'Edwards si garantisce l'esclusiva
del più stimato restauratore di Venezia, Giuseppe Bertani. Il suo compito principale, di Ispettore, consisteva
nell'inserire ogni dipinto in una classe da pagare secondo le quantità di lavoro eseguito, doveva poi sorvegliare gli
interventi e redigere preventivi preliminari e la relazione di ciò che era stato eseguito.
Il grandioso lavoro iniziato nel 1778 viene interrotto alla caduta della Repubblica. L'Edwards faceva notare di aver
rimesso in ordine 405 quadri.

14.CRITERI DI PIETRO EDWARDS


L'Edwards resta sempre uno dei protagonisti della tutela del patrimonio artistico di Venezia. Si attribuisce a lui il
peso relativo delle requisizioni napoleoniche nella città lagunare. Risalgono a lui le scelte di quadri dei conventi
prelevati per la galleria dell'Accademia.

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Dalle relazioni dell'Edwards emerge l'ammirazione per Giovanni Bellini. La norma nel restauro delle pubbliche
pitture è quella di non correggere mai i difetti dell'originale. L'Edwards osserva che correggendo l'immagine
avrebbe introdotto uno spirito di censura che facilmente degenererebbe in licenza pericolosa da parte del
restauratore, da evitare assolutamente. Nella pratica del restauro per privati non vigevano norme altrettanto
rispettose, le correzioni si sarebbero eseguite.
L'efficacia con cui l'Edwards contribuì a salvaguardare il patrimonio delle pitture di Venezia insinuano un giudizio
positivo anche sui lavori che aveva diretto.

15.I COLORI DI UN NUOVO GUSTO, I MONUMENTI DI UNA NUOVA STORIA


Nel corso del Settecento l'ingiallimento della pittura per eccellenza è divenuto un fatto acquisito. Si assiste alla sua
accettazione ma anche alla ricerca di tecniche che permettano una stabilità della gamma e variazioni cromatiche.
Alla morbidezza oscura della pittura ad olio che il Vasari indicava con entusiasmo come caratteristica della terza età
dell'arte, si preferirà il colore dei primitivi, delle tempere che non hanno quella ombrosità avvolgente.
La nuova moda porta ad infinite manomissioni di tutto quello che poteva impedire ad un dipinto antico di figurare
come quadro nell'arredo di una casa o nel programma di una pinacoteca. I polittici, le pale d'altare sono adattati in
modo da nascondere il loro carattere id arredo liturgico. Ma la grande novità si incontra nel restauro delle statue
antiche, ed è la mancata integrazione degli Elgin Marbles. Durante la visita del Conte di Elgin a Roma è Antonio
Canova che esclude la possibilità di un restauro. Il risultato finale è che il comitato che decide l'acquisto dei marmi
non ritiene necessario nessun restauro. In una pubblica istituzione come il British Museum potevano contribuire
all'educazione del gusto del pubblico e artisti.
L'ammirazione agli Elgin Marbles si volge alla loro eccezionale naturalezza, che significa perfezione anatomica. In
questo senso il Bello vi appare unito all'imitazione della natura. Si esce dalla norma di un modulo proporzionale che
il restauratore può imitare. Le sculture di Fidia mettono davanti ad un imitazione impareggiabile del corpo umano,
del bello naturale.
L'esito di questa nuova attenzione filologica è raramente quello del rispetto del frammento, della non integrazione.
Per i dipinti si risolve in un velo di segreto attorno ai rifacimenti a cui non è possibile rinunciare.

16.ESTRATTISTI E RESTAURI NAPOLEONICI


Le tecniche di intervento restano le stesse messe a fuoco nel settecento, anche lo strappo degli affreschi non e una
novità.
Il trasporto di una Madonna ghirlandaiesca eseguito a Firenze nel 1807 da Marie Barret, e che e sopravvissuto,
mostrano che l'atteggiamento contrario a questi esperimenti non era dettato solo dal timore che requisizioni di
tipo napoleonico si estendessero anche ai dipinti murali.
Spesso gli affreschi staccati vengono sottoposti a patinature ed ingrassaggi per farli somigliare a dipinti ad olio. In
Francia con i restauri napoleonici si è imposto un gusto che spesso lascia perplessi i conservatori italiani. I restauri
del Musée Napoléon danno al quadro un aspetto un po’ bruno, regolarizzano al massimo la sua superficie, si
orientano verso la conservazione di quelle che appaiono le qualità utili come modello per gli artisti.

17.RESTAURAZIONE PONTIFICIA
La risposta all'efficientismo del Musée Napoléon assume un carattere politico che vuol ribattere alla propaganda
che presentava la Francia come la salvatrice dei capolavori del genio dall'incuria clericale e molto significativo che
Carlo Fea rivendichi il ruolo direttivo dell'archeologo contro l'autore di un opuscolo ispirato dal Valadier. Le callose
mani di artigiani ed architetti non si mettano a scrivere di regole d’arte. Chi le conosce è solo l'archeologo.
L'involuzione può essere rappresentata dalle due diverse soluzioni adottate nel restauro del Colosseo da Raffaello
Stern per il lato verso il Laterano e dall'invecchiato Valadier nello sperone di mattoni verso il Foro.
Gli interventi diretti dal Camuccini mostrano una scelta molto attenta dei capolavori di ogni stile. Camuccini dirige
anche i restauri eseguiti dal laboratorio vaticano di mosaico. Si rimuovono le integrazioni a pittura, si restituisce ai
mosaici l'unita di materia e se ne ricostruisce l'iconografia. Alla supervisione dei restauri da parte di Vincenzo si
accompagna l'attività di restauro del fratello Pietro Camuccini. I restauri nelle chiese di Roma vengono affidati a
Giuseppe Candida e Pietro Palmaroli, figura di restauratore più nota di quest'ambiente.

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