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Glottodidattica - per una cultura dell'insegnamento linguistico

Didattica delle lingue straniere (Università degli Studi di Macerata)

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Capitolo 1: l’apprendimento di una lingua


L’apprendimento di una lingua materna avviene in modo spontaneo e in un contesto naturale; al contrario,
l’apprendimento di una lingua straniera può essere guidato per facilitarlo.
Con L1 si intende la lingua materna; con L2 possono intendersi sia la lingua seconda (lingua non materna
appresa spontaneamente in contesto naturale, ovvero nel paese in cui viene parlata), sia la lingua straniera
(lingua non materna appresa in contesto istituzionale).

L’apprendimento della lingua materna è il primo ad avere luogo ed è anche il più importante. Oltre ad
andare di pari passo con lo sviluppo cognitivo dell’infante, è anche collegato alla formazione della sua
identità come membro di una comunità sociale: impara a parlare prendendo parte ad interazioni sociali.
Un altro aspetto importante è che il bambino non procede dalla lingua ai significati, bensì dai significati alla
lingua in contesti situazionali.
L’apprendimento della lingua materna avviene tramite il processo di riduzione della complessità: ogni
bambino costruisce una grammatica della sua lingua adottando dei principi che ne riducono la complessità.
Usa una lingua telegrafica per poi arrivare nel lungo periodo ad acquisire la forma corretta della lingua.
In questa fase dell’apprendimento, il bambino trova utili anche le cosiddette frasi fatte che permettono
all’apprendente di scoprire la lingua e di farla sua piano piano.
Per questo risulta importante la ripetizione: ogni volta che il bambino viene a contatto con una nuova
struttura, il suo cervello la recepisce ma, per fare in modo che venga immagazzinata, c’è bisogno che questa
venga ripetutacostituzione di stabili strutture cognitive.
Al contrario, l’apprendimento della L2 può avvenire in momenti della vita diversi, anche da adulti, quando
la lingua materna è già ben consolidata e la persona è già matura cognitivamente. Nonostante queste
differenze, ci sono degli aspetti fondamentali dell’apprendimento che vengono utilizzati sia per la lingua
materna che per tutte le altre lingue seconde.

Il bambino impara a parlare interagendo con parlanti più capaci, gli adulti che, modulano i propri
comportamenti verbali in modo da renderli accessibili al bambino. Usano una lingua semplificata chiamata
baby talk, così come avviene tra parlante nativo e non nativo in cui si usa la foreigner talk.
Il linguaggio adulto usato con i bambini fa uso di un tono di voce più alto, ricorre a parole formate da
duplicazione sillabica, articolazione più chiara e velocità ridotta.
Sintatticamente gli enunciati sono brevi con meno verbi e aggettivi. Viene usato un vocabolario più ristretto
e si ricorre spesso alla descrizione degli oggetti circostanti. Inoltre, gli adulti tendono a porre molte
domande al bambino per attivare in lui una sorta di meccanismo. Il bambino in questo modo viene guidato
alla creazione di strutture orizzontali ovvero di una frase completa invece che di segmenti verticali.
Gli adulti forniscono un modello corretto, costruiscono un dialogo e mostrano interesse e partecipazione.

Apprendimento di una L2 molte situazioni di apprendimento che influenzano anche il processo stesso.
Per esempio, un lavoratore che si trasferisce in un altro paese con l’intenzione di rimanervi per sempre,
avrà un atteggiamento diverso nei confronti dell’apprendimento della lingua del posto rispetto ad un
lavoratore che resterà nello stesso paese per qualche mese.
Esigenze diverse portano inevitabilmente a tipi di apprendimento diversi.
Un altro tipo di apprendimento deriva dall’età degli apprendenti, del grado di esposizione alla lingua, se
l’apprendimento è in contesto naturale oppure istituzionale e ovviamente, rilevanti sono anche i contenuti
di apprendimento.
Wolfang Klein analizza le componenti principali del processo di apprendimento visto dall’ottica
dell’apprendente:
1. Scopo e ragioni di apprendimento di una lingua seconda.
2. Capacità linguistiche possedute dall’apprendente: sua predisposizione all’apprendimento
linguistico, conoscenze linguistiche già in suo possesso.
3. I dati linguistici cui l’apprendente ha accesso. Tipo di input e le occasioni di comunicazione. Variano
a seconda che l’apprendimento avvenga in contesto naturale o formale.
Queste componenti determinano come il processo sarà strutturato, il tempo necessario per lo sviluppo, il
risultato raggiunto quando l’interlingua si è stabilizzata dando luogo a fossilizzazione.

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*interlinguasistema linguistico di natura instabile che l’apprendente di una L2 costruisce dai dati in L2 cui
è esposto. L’interlingua è in un continuum tra la L1 e la L2 e cambia con il tempo essendo soggetta a
processi di accomodazione ai nuovi dati con cui il discente viene a contatto.

*fossilizzazione l’apprendimento della L2 si ferma ad un certo livello e non progredisce più.

Per quanto riguarda l’input modificato offerto all’apprendente bambino, sono state fatte delle ricerche ed è
emerso che la stessa importanza è assunta dall’input modificato del parlante nativo quando parla con un
non nativo.
Quest’ultimo tende ad utilizzare un linguaggio più semplice per facilitare la comprensione al non nativo.
Tuttavia, non si tratta necessariamente di una lingua priva di grammatica come invece avviene nel foreigner
talk. La non grammaticalità è dovuta a 3 processi: omissione, espansione e conversione.
Al contrario, nel caso del linguaggio semplificato, si ha una lingua grammaticalmente corretta ma usa una
sintassi meno complessa, pochi avverbi. Usa lessico ad alta frequenza, la dizione è scandita. Dislocazione a
sinistra, frequenti domande polari e decomposizione delle frasi.
L’attenzione deve essere data sia ai dati in entrata (quindi all’input fornito dal nativo e al suo
comportamento linguistico) che ai dati in uscita ovvero il comportamento del non nativo di fronte per
esempio alle correzioni del nativo.
 Input e contesti situazionali di utilizzo e apprendimento della lingua influiscono su quest’ultimo.
Apprendimento della L1 e della L2 sono similari ma differenti in alcuni aspetti.
In L2 dobbiamo imparare la struttura, il lessico, la formulazione di una domanda, ma non i concetti base; i
processi cognitivi si sono già sviluppati in L1.
Apprendimento della L1=sviluppo cognitivo e sociale del bambino; non avviene in L2.
Lingua madre e L2 vengono apprese in situazioni diverse. Il risultato di conseguenza differisce.
L’apprendente in L1 ha più tempo a disposizione per l’apprendimento; in L2 è limitato.
In L1 l’apprendente è immerso nella lingua in modo naturale; in L2 l’input viene selezionato.
In L1 gli errori sono permessi; in L2 vengono corretti
Il bambino ha forte motivazione ad apprendere la sua lingua madre; in L2 la motivazione è indotta
dall’esterno.
In L1, l’esposizione del bambino alla lingua porta all’apprendimento (anche se inconscio inizialmente); in L2
no.

Capitolo 2: ipotesi teoriche dell’apprendimento di una L2


Nel corso degli anni, i processi di acquisizione di L2 hanno suscitato sempre maggiore interesse ma risultava
difficile stabilire dei principi base per studiare la materia in modo completo.
Oggi sono molti gli studiosi che affrontano questa tematica basandosi su teorie diverse, psicologiche,
linguistiche e sociali.
Teoria comportamentista: anni Cinquanta, elaborata da Skinner. L’apprendimento della lingua materna
risulta dalla formazione di abitudini, di comportamenti che vengono ripetuti fino a diventare meccaniche.
Allo stesso modo, per l’apprendimento della L2 si mira alla formazione di nuove abitudini.
Analisi contrastiva: Lado afferma che gli individui tendono a trasferire le forme della lingua materna nella
lingua seconda. Occorre quindi studiare le due lingue in chiave contrastiva, mettendole a confronto per
sottolinearne le differenze ma anche le similarità. In questo modo si evitano le abitudini non corrette e si
limita la produzione degli errori. Questi ultimi vengono commessi a causa di interferenze negative tra la
lingua madre e la L2 soprattutto in situazioni di differenze. L’apprendimento è visto come un processo
lineare e cumulativo: ciò che si è appreso viene trasferito negli stadi successivi di apprendimento; se
all’origine c’è un errore, questo comprometterà l’apprendimento futuro. Per evitarlo, la produzione agli
stadi iniziali viene controllata in modo maniacale.
Ipotesi innatista: anni settanta. L’errore assume un’altra importanza. È frutto si dell’interferenza ma fa
parte dello sviluppo naturale dell’apprendente (non è quindi del tutto negativo).
L’ipotesi innatista è stata fondata da Chomsky che afferma: l’acquisizione della lingua madre non è il
risultato della formazione di abitudini quanto un processo di produzione di regole formali che vengono

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ipotizzate e poi verificate usando i dati in entrata. Gli esseri umani sono capaci per natura di imparare una
lingua grazie ad un meccanismo innato di acquisizione, il LAD che aiuta l’apprendimento. Il bambino già da
piccolo comprende delle frasi senza mai averle sentite o prodotte prima.
Ipotesi dell’interlingua: con Chomsky cambia anche la concezione dell’errore. Questo può essere dovuto sia
ad interferenze sia a strategia di apprendimento errate come la semplificazione o la sovrageneralizzazione.
Per esempio quando i discenti a livelli bassi non fanno caso alle eccezioni o usano in modo scorretto i
pronomi. Se è vero che lo stadio precedente influenza quello successivo, diventa importante tutta la
produzione linguistica del discente, non solo quella deviante. Per interlingua intendiamo appunto la lingua
durante il processo di apprendimento. La lingua che si fa, passo dopo passo; una lingua instabile e soggetta
a cambiamenti. Questa interlingua è molto semplificata, una sorta di lingua pidginizzata.
Si ha invece fossilizzazione quando non si verifica più nessun cambiamento all’interno dell’apprendimento
della lingua, non c’è più miglioramento.
Ipotesi dell’identità: considera l’apprendimento spontaneo di una L2 come eguale all’apprendimento della
lingua madre. Avvengono tramite processi universali. Si occupa dell’aspetto grammaticale della lingua che
serve per formulare ipotesi. Due caratteristiche: l’esistenza di stadi d’acquisizione; la non incidenza di
fattori esterni sull’apprendimento che è indipendente dalla lingua madre e da aspetti sociali e situazionali.
Teoria del monitor: teoria innatista; anni settanta e ottanta; elaborata da Krashen.
Cinque ipotesi: acquisizione vs apprendimento la prima è un processo volontario e inconscio; il secondo è
consapevole e sistematico. Si parte dall’acquisizione in contesti naturali e liberi per poi arrivare
all’apprendimento che prevede la formalizzazione delle ipotesi fatte durante la fase dell’ acquisizione.
Studia regole esplicite e corregge gli errori.
Ordine naturale esistono sequenze prestabilite e naturali che fanno in modo che una lingua venga
appresa in modo lineare e sistematico, secondo un ordine predeterminato. La lingua si sviluppa grazie
all’interazione tra l’individuo e l’input linguistico con cui viene a contatto.
Ipotesi dei monitor l’apprendimento consapevole è reso possibile da un monitor la cui funzione è quella
di controllare ed eventualmente correggere il messaggio linguistico prodotto. 3 condizioni: il discente deve
avere tempo per elaborare i dati; il messaggio deve essere basato sulla forma linguistica; il discente deve
conoscere la regola implicata.
Ipotesi dell’input l’apprendimento diventa tale quando il discente comprende l’input. Progredisce
quando riceve un input successivo che, pur essendo nuovo, viene capito sulla base dello stadio (acquisito)
precedente.
Ipotesi del filtro affettivo per poter elaborare l’input e farlo diventare apprendimento, il discente deve
trovarsi in un contesto tranquillo, rilassato, non ansiogeno.
L’apprendimento avviene sempre attraverso un meccanismo di monitoraggio che valuta la produzione del
discente e la comprensione degli input esterni.

Queste ipotesi hanno dato nascita a nuove metodologie didattiche.


Molti ritengono però che la distinzione tra acquisizione e apprendimento sia troppo netta e che si tratti
invece di un continuum.
Si afferma l’importanza dell’interazione nella pratica di classe così come della riflessione metalinguistica.

Anni ’70, evoluzione dell’interlingua.


Interlingua: sistema basato su principi funzionali di economicità ed efficienza. L’apprendente adotta
strategie che gli permettono di ottenere i migliori risultati in modo da partecipare all’interazione, alle
attività sociali in L2 con il minimo sforzo. Lo studio si focalizza soprattutto sul lessico, la grammatica e le
formule di base utili per soddisfare i bisogni primari comunicativi dei bambini che vogliono sentirsi accettati
all’interno del gruppo di coetanei stranieri.

Ipotesi relativa alle sequenze di apprendimento: modello multidimensionale elaborato nel 1983. Fu
elaborata un’indagine che prendeva in considerazione la sequenza di apprendimento della sintassi tedesca
da parte di emigrati italiani e spagnoli.
I risultati indicano 5 stadi di sviluppo che si susseguono in ordine che non permette all’apprendente di
attivare produttivamente una determinata struttura se non ha attivato quella che la precede.

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Teoria della processabilità: formula ipotesi linguistiche sulle sequenza di sviluppo dell’interlingua. Scopo di
determinare e spiegare le sequenze di sviluppo delle abilità processuali.

Gli effetti che questi studi hanno avuto sulla didattica sono stati molto rilevanti. Si tende da ora in poi a
creare una situazione istituzionale di apprendimento il più simile possibile alla situazione naturale. Questa
concezione presenta due questioni: l’organizzazione del sillabo e il trattamento dell’errore.
L’insegnamento di una lingua in contesto istituzionale avrà quindi successo se si segue l’andamento
naturale di acquisizione e non cercherà di forzarlo.
Il problema nasce però in relazione al tempo che ogni apprendente impiega per passare da uno stadio
all’altro: è soggettivo quindi risulta difficile creare percorsi di insegnamento che si adattino all’intera classe.
Qualcuno resterà inevitabilmente svantaggiato. Questa situazione ha messo in dubbio la tendenza a
selezionare i materiali didattici. L’acquisizione diventa competenza quando si usano le conoscenze acquisite
in modo consapevole per finalità intenzionali.
L’errore non è più visto come qualcosa di negativo, da evitare e sanzionare assolutamente. C’è maggiore
tolleranza soprattutto agli stadi iniziali. Ci si concentra a considerare le possibili cause della devianza e le
sue conseguenze. Non tutti gli errori infatti sono di uguale peso e di conseguenza portano a risultati diversi.

Ipotesi interazionista: pone in rilievo il ruolo dell’interazione nello sviluppo dell’interlingua. Importante è il
dialogo che viene costruito tra le persone, in contesti naturali ma anche istituzionali. In particolare come
l’apprendente non- nativo costruisca i suoi enunciati cercando di imitare il nativo secondo una
strutturazione verticale: parte da singole parole e poi, guidato dal nativo, riesce piano piano a costruire
l’intera frase, più o meno corretta. In questo modo si stimola la produzione ma non porta ad acquisire
forme linguistiche complesse.
Ipotesi dell’acculturazione: Schumann 1978. Si concentra sui fattori psicosociali che agiscono
nell’apprendimento. Cerca di indagare come alcuni apprendenti acquisiscano solo una variante pidginizzata
della lingua seconda. Dallo studio emerge che hanno posto un limite psicologico al loro apprendimento. Qui
entra in gioco la motivazione: se studiamo una lingua per esigenze temporanee, di conseguenza il nostro
apprendimento si fermerà prima del previsto, ovvero quando ci rendiamo conto di essere in grado di
comunicare in situazioni quotidiane. Allo stesso modo, l’apprendente è intimorito dalla cultura dominante,
si sente insicuro difronte a questa, attiva il filtro affettivo e l’apprendimento diventa fossilizzazione.
Ipotesi socioculturale: capacità dell’apprendente di relazionarsi con gli altri, di entrare in contatto con la
cultura e la lingua 2. L’apprendimento linguistico non è più autonomo e non si focalizza soltanto
sull’apprendimento di regole grammaticali. Coinvolge anche attività sociali e culturali in un apprendimento
situato in cui i discenti lavorano insieme al raggiungimento di obiettivi comuni, aiutandosi a vicenda.
Lavorare in collaborazione stimola l’apprendimento e ovviamente sviluppa la comunicazione, i rapporti
interpersonali.

Capitolo 3: la descrizione di una lingua


La lingua è spesso definita e vista come un sistema governato da regole, un oggetto statico, regolare,
focalizzato sulle strutture e non considera i fattori contestuali.
Tuttavia, questa definizione è considerata un limite e non rispecchia pienamente la vera natura della lingua
(e della linguistica di conseguenza).
I linguisti infatti, sanno benissimo che la lingua è un sistema con delle regole ma che queste variano a
seconda del contesto, dei partecipanti all’interazione e dei loro scopi comunicativi.
Allo stesso modo, la grammatica non riguarda solo la struttura linguistica della lingua ma anche l’insieme
delle componenti culturali che la determinano.
Leech propone una scala linguistica dei significati, basata sulla convenzionalità. I significati formali sono
quelli convenzionali; quando ci allontaniamo dalla forma per prendere in considerazione l’uso diventano
meno convenzionali. Sostanzialmente possiamo delineare lo schema come “enunciato formale e cortese”
fino a quello più quotidiano= raggruppamento funzionale.
Distingue:
 Significato referenziale, riferito all’entità extralinguistica. Si divide in significato formale (forma
delle frasi) e significato semantico (senso delle frasi).

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 Significato pragmatico: rende conto dell’effetto che il parlante vuole raggiungere con la produzione
dei suoi atti comunicativi. Significato degli enunciati in quanto azioni sociali. Esprime la sua forza
pragmatica in contesti di comunicazione reale.
Due sottotipi: significato primario che fa riferimento alla forza usuale che la frase assume,
l’intenzione del parlante è espressa; significato secondario fa riferimento alla situazione
comunicativa e al significato dell’enunciato in quel contesto (per esempio una frase ironica o
scherzosa).
 Significato discorsivo: significato del discorso o testo nella sua interezza.
Significato discorsivo sequenziale, relativo alla collocazione degli enunciati nel discorso. In questo
caso tutto quello che si dice viene detto in un contesto sequenziale. Ciò che un parlante dirà è
condizionato da quello che si è detto in precedenza. Serve per interpretare un enunciato all’interno
della conversazione. Poi c’è il significato relativo all’evento comunicativo nel complesso che viene
costruito seguendo regole convenzionali appartenenti alla cultura di riferimento e la comunità
linguistica applica tali norme. Può riferirsi sia al contenuto proposizionale (a cosa viene realmente
detto) che ai modi retorici adottati (come tale contenuto viene espresso, a seconda delle
situazioni).
Inizialmente la lingua era studiata quale oggetto formale, statico, governato da regole e indipendente da
qualsiasi altro sistema.
Con Ferdinand de Saussure si afferma un altro modo di concepire la lingua. Si da importanza sia alla langue
(ovvero il sistema lingua) sia alla parole che è la realizzazione pratica linguistica in contesti reali. Quindi
lingua determinata anche dalla cultura, dalla storia, dalle norme sociali.
Viene introdotta la nozione di competenza comunicativa da correlare con quella di competenza linguistica.
Competenza linguistica conoscenza delle caratteristiche formali della lingua
Competenza comunicativacapacità del parlante di selezionare, nell’ambito di tutte le espressioni
linguistiche a sua disposizione, le forme che riflettono, in modo appropriato, le norme sociali che governano
il comportamento verbale in situazioni specifiche.
In questo senso si studiano interi eventi comunicativi formati sia dal verbale che dai fattori che
compongono la situazione sociale in cui l’evento ha luogo.
Hymes, per spiegare questi fattori elabora il modello chiamato SPEAKING.
S (situazione), ambientazione dell’evento
P partecipanti all’evento e il rapporto esistente tra loro
E (ends) gli scopi dell’evento intesi come finalità ma anche come risultati realmente perseguiti.
A (act), forma e contenuto degli atti
K, chiave interpretativa dei messaggi determinata dal tono di voce, il ritmo, l’intonazione
I, mezzi o strumenti per trasmettere i messaggi (la lingua, il canale e il registro)
N, norme che regolano lo svolgimento dell’interazione
G, genere discorsivo adottato

Pragmatica
Una concezione di pragmatica riguarda gli studi sugli atti linguistici di Austin e Searle. Tali studi considerano
gli enunciati, scritti e orali, come l’esecuzione di atti, ad esempio: promettere, chiedere informazioni. Quindi
le persone quando parlano compiono delle azioni e la struttura dell’enunciato dipende da che tipo di atto
viene realizzato.
 Nuovo modello di lingua: ogni enunciato contiene quindi un verbo performativo che identifica la
natura dell’atto linguistico descritto dalla frase stessa.
Nonostante questo però, un enunciato non realizza solo un atto linguistico pragmatica interazionale. Si
interessa a ciò che avviene in un discorso e agli effetti di senso che esso produce. Studia la forza illocutiva
degli enunciati ma anche i suoi effetti. Comunicazione come prodotto comune tra gli interlocutori, processo
di costruzione di senso.

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Analisi della conversazione:


- Ha natura descrittiva
- scopo d’indagine è la struttura dei testi. Si cercano le regole della struttura di testi e discorsi, idea
della similarità, parallelismo tra struttura sintattica e del discorso.
- Mira ad identificare regolarità discorsive descrivendo il comportamento linguistico come ha luogo
in una cultura specifica.
- Considera il discorso come fattore che determina la struttura sociale ritenuta mutevole, ricostruita
dai partecipanti durante l’interazione.
- Adotta la prospettiva del parlante e focalizza l’attenzione su ciò che è rilevante di momento in
momento. Conversazione è costruita sequenzialmente.
- Offre una comprensione dei meccanismi quotidiani della vita sociale.
- Sviluppa la consapevolezza di pratiche discorsive locali.

Analisi critica del discorso:


- Indaga sul modo in cui gli interattanti producono ed interpretano i significati discorsivi tramite
processi basati su conoscenze generali e particolar; indaga le procedure che permettono la
produzione e l’interpretazione dei discorsi (che fanno riferimento a delle regole).
- Esplora i significati ideologici e culturali del discorso
- L’ideologia sociale è parte della lingua ed è riflessa nel comportamento dei parlanti
- Prospettiva dell’osservatore del prodotto testuale considerato espressione di caratteristiche
culturali, sociali e personali
- Incoraggia l’apprendente a identificare le assunzioni ideologiche tacite nel discorso; focalizza
l’attenzione sul rapporto tra produzione linguistica e valori culturali.

Capitolo 4: la descrizione dei processi comunicativi


Lingua come processo comunicativo: strumento di coordinamento tra i partecipanti ad uno stesso evento
linguistico. Concezione più ampia di comunicazione che comprende aspetti linguistici e aspetti non
linguistici compresi quelli metacomunicativi, relazionali, sociali e culturali. A questo si collega la nozione di
contesto che determina le modalità comunicative e l rapporto che si instaura tra gli interattanti.
3 studiosi (Watzlawick, Beavin, Jackson) teoria dei processi comunicativi
1. Non si può non comunicare, ogni azione linguistica e non è comunicazione
2. Ogni comunicazione presenta sia un aspetto contenutistico sia un aspetto relazionale. L’ultimo
determina il primo. Ad ogni trasmissione si interpreta l’informazione ricevuta.
3. La comunicazione determina il rapporto tra gli interlocutori
4. Contrapposizione tra comunicazione verbale (digitale) e non verbale (analogica). La prima
complessa ma con semantica inadeguata; la seconda l’opposto
5. Differenza tra scambi simmetrici e complementari in base al rapporto paritetico o non paritetico tra
gli interlocutori.
La comunicazione descrive la realtà ma allo stesso tempo la costruisce.
La lingua viene usata quindi per scopi e funzioni diverse a seconda della situazione e del rapporto tra chi
parla. Per dar conto a questa caratteristica, la sociolinguistica ha elaborato il concetto di varietà linguistica
che differenzia una lingua in base alle varie dimensioni e contesti in cui viene usata.
Per contesto si intende sia l’ambientazione spazio-temporale dell’evento comunicativo, sia la dimensione
culturale in cui l’evento si sviluppa e a cui fa riferimento.
Alla nozione di contesto possiamo legare quella di forza pragmatica degli enunciati: il significato che diamo
all’enunciato in base al modo e al luogo in cui viene pronunciato. Quindi è la funzione del contesto di
produzione e ricezione dello stesso. Non è possibile determinare la forza pragmatica univoca di un
enunciato se non si conosce il contesto. La situazione sociale dell’interazione comprende sia il setting,
l’ambientazione in cui questa si svolge, sia le relazioni che si creano tra chi parla.
Contesto situazionale: l’ambiente immediato dell’interazione
Contesto culturale: ambiente culturale

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Nozione delle 4 abilità linguistiche primarie: produzione, ricezione, oralità e scrittura. Il modello è
rappresentato da 2 assi cartesiani in interrelazione produzione/ricezione da un lato, oralità e scrittura
dall’altro.
Parlare e scrivere sono entrambe abilità produttive ma molto diverse tra loro. Non solo per il canale
attraverso il quale vengono create.
Il parlato presenta una strutturazione più semplice, fa uso di enunciati brevi e predilige l’organizzazione
paratattica con una sintassi semplificata. Nel parlato la coesione è ottenuta tramite mezzi prosodici.
In base al tipo di conversazione possiamo avere una maggiore funzione transazionale (importanza della
trasmissione delle informazioni) o al contrario una funzione interazionale (basata sui rapporti che si creano
tra i parlanti).
L’apprendente di L2, quando comunica in lingua seconda può incontrare diversi livelli di difficoltà dovuti
soprattutto alla sua poca padronanza del lessico, della sintassi della lingua straniera, ma non solo. Un altro
aspetto difficoltoso è dato dalla non conoscenza di elementi culturali quali le regole di assegnazione dei
turni, gli enunciati standard che si usano per aprire o chiudere una conversazione, capacità di negoziazione
dei significati, di comprensione di ciò che viene detto.

Lo scritto è molto più pianificato, complesso ed esplicito. Non si può fare ricorso ai mezzi contestuali che
vengono ricreati all’interno del testo stesso.
La peculiarità dello scritto è la sua condizione di permanenza, la possibilità per l’apprendente di tornare
sulla sua produzione ed eventualmente correggerla. Il discente deve possedere il controllo lessicale,
stilistico e testuale della L2. Anche in questo caso, la difficoltà principale è la non conoscenza della cultura
della lingua e delle differenze con la sua.

Le differenze tra comprensione della lingua orale e comprensione della lingua scritta derivano dalle
caratteristiche peculiari dei due modi di produrre.
Comprendere andare oltre l’informazione fornita; collegare l’informazione in arrivo con quella già
posseduta.
Psicologia della forma: ogni percezione è interpretazione.
Comprendere una lingua aver appreso le regole tramite cui estrarre significati da elementi linguistici.
Codificare quando si legge o si ascolta una rappresentazione del significato. Cercare di rendere esplicito ciò
che è implicito.
Comprensione come insieme di processi:
1. Analisi: permette di percepire i significati espressi da altri.
Divisa in: scandaglio lessicale attribuzione a parole e frasi il concetto cui gli elementi linguistici si
riferiscono. Il significato attribuito a ciascun elemento influenza il significato degli altri.
Identificazione di eventi processo che adatta i concetti ottenuti ad un evento.
2. Compiere inferenze: formulare ipotesi su ciò che il parlante ha voluto significare.
due sottoprocessi: riempire gli spazi vuoti colmare i vuoti informativi in base alle nostre
percezioni, alla nostra capacità di prevedere; identificare gli scopi- attribuire un motivo agli
eventi.
3. Connettere gli eventi: verificare se la nuova informazione ricevuta si adatta alle credenze o alle altre
informazioni che possediamo.

Capire processo non lineare che si costruisce su una serie di conoscenze ed informazioni già in possesso
dell’ascoltatore o del lettore.
- Informazione linguistica fornita dagli enunciati
- Informazione contestuale può derivare dalle conoscenze del mondo (fatti del mondo fisico, reale,
sociale, culturale. Sono stabili, fanno parte della cultura di appartenenza dell’interlocutore
- Possono essere motivo di incomprensione) o dal contesto situazionale dell’interazione ovvero
l’informazione che l’individuo può ricavare dal contesto situazionale. Tra le più importanti c’è la
percezione visiva di gesti, sguardi.

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- Informazione derivante dal co-testo informazione derivante dal contesto linguistico degli
enunciati. Quanto è stato detto precedentemente influenza quello che verrà detto dopo.
Queste 3 componenti si influenzano a vicenda.
La comprensione è resa più semplice dalla nostra capacità di previsione che restringe i significati di un
enunciato.
Nel processo di comprensione, giocano un ruolo fondamentale le caratteristiche culturali della lingua2 e la
non conoscenza della cultura, può dar luogo a fraintendimenti. Quello che rende difficile la comprensione è
la diversità tra le culture, i valori, i modi di esprimersi, le convenzioni.

Le 4 abilità linguistiche delineate sopra, non agiscono separatamente. Anzi, sono in continua integrazione.
Si pensi per esempio al prendere appunti partendo da un testo orale. Un altro tipo di integrazione è
costituito dal linguaggio dei nuovi media che mescola oralità e scrittura: si ha un testo scritto con
caratteristiche peculiari dell’oralità: sintassi semplice, frasi brevi, si scrive come se l’interlocutore sia
presente, cambio repentino di tema.

Capitolo 5: la pedagogia linguistica


Cambiamenti nella didattica linguistica. 2 momenti: una fase dinamica, di cambiamento; una fase statica,
gestionale.
Nella prima: ipotesi teoriche nuove e si tenta di sistematizzarle per arrivare a cambiare le pratiche di
insegnamento. Focalizzazione sul metodo; nella seconda fase si cerca di adattare le proprie pratiche
didattiche alla diversità delle situazioni. Focalizzazione sull’apprendente e sull’individuo.
Gli approcci metodologici cambiano per: motivi esterni e interni.
Esterni: fattori di ordine culturale, sociale e politico. Nonché derivanti dal periodo storico. Ad esempio
cambiamento della popolazione scolastica e grande afflusso di stranieri, rinnovamento del sistema
scolastico.
I motivi interni riguardano invece lo sviluppo della ricerca glottodidattica; il cambiamento dei processi di
insegnamento/apprendimento. Questi sono influenzati da ipotesi psicolinguistiche, linguistiche e
pedagogico-didattiche.
3 tappe nella didattica delle lingue straniere:
1. Focalizzata sulla descrizione degli elementi linguistici da apprendere; ipotesi descrittiva dei
contenuti di insegnamento.
2. Focalizzata sulla descrizione della competenza comunicativa, ovvero le microfunzioni
3. Descrizione dei profili individuali degli apprendenti, si focalizza sull’individualizzazione
dell’insegnamento. Orientamento centrato sul discente.
Prima tappa focalizzata sui contenuti di insegnamento, elementi strutturali e lessicali che si definiscono
fondamentali. Questi compongono la competenza linguistica che permette di generare frasi in lingua. Gli
elementi centrali sono determinati dalla loro frequenza. Elementi di cui un parlante necessita nella vita
quotidiana per soddisfare le sue esigenze comunicative. Verranno poi usati per creare programmi di studio.
Seconda tappa focalizzazione sui contenuti però intesi come microfunzioni e nozioni grammaticali che
servono per lo sviluppo della competenza comunicativa: la competenza che permette di sapere quando
parlare, che cosa dire e come comportarsi durante l’evento comunicativo.
Composta dalla competenza grammaticale, capacità di capire e produrre forme sintattiche, lessicali
corrette.
Competenza sociolinguistica, capacità del parlante di selezionare, tra le possibili forme corrette quella che
considera più appropriata all’evento comunicativo in atto. Abilità di usare una lingua in modo appropriato
ai contesti socioculturali.
Competenza strategica, capacità del parlante di organizzare il suo discorso nel modo più efficace possibile
per raggiungere i suoi scopi comunicativi.
La competenza comunicativa risulta essere molto importante in quanto per parlare una lingua bisogna
conoscere grammatica, lessico, strutture ma anche la cultura e i modi di comportarsi nell’interazione.
Insegnamento comunicativo: mira a rendere gli apprendenti capac di tutilizzare la L2 non soltanto in modo
corretto grammaticalmente ma anche appropriato a situazioni comunicative autentche. Importante è la
capacità di esprimere e negoziare significati.

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Versione forte: esclude la pratica formale della riflessione metalinguistica a favore dell’approccio
comunicativo.
Versione debole: integra attività relazionali con l’insegnamento grammaticale, la riflessione metalinguistica.
Molti insegnanti oggi affiancano l’insegnamento formale e la riflessione sulla lingua all’interazione tra
studenti. Offrono input comprensibili che stimolano l’apprendimento.
La grammatica è considerata in senso ampio: fornisce indicazioni su come comportarsi nelle varie situazioni
comunicative per guidare il discente nella comprensione e nella produzione. Norme con cui parlanti e
ascoltatori orientano i loro comportamenti. Prendono in considerazione anche i valori culturali che stanno
alla base di un determinato comportamento. Svilupperanno nel discente la consapevolezza del nesso tra
lingua e cultura. 2 approcci: esplicito o implicito.
L’approccio esplicito è basato sulla convinzione che l’apprendimento sia un processo imitativo, quindi si
fanno apprendere al discente delle regolarità pre-analizzate.
Il secondo approccio invece è di tipo costruttivista, propone la scoperta di regolarità presenti nella lingua e
una loro sistematizzazione progressiva. Quest’ultimo metodo dà impulso alla riflessione metalinguistica e
quindi alla discussione, alla riflessione. La struttura, le regolarità della L2 possono quindi incoraggiare la
comunicazione. Bisogna integrare i due aspetti.
Tutto questo però non porta all’integrazione della componente culturale soprattutto con apprendenti
principianti in cui per l’insegnamento si fa riferimento a situazioni convenzionali, stereotipate, poco
connotate culturalmente.
Terza tappa orientamento centrato sul discente, bisogna individualizzare gli scopi di apprendimento e
insegnamento. Il discente è al centro del processo, i contenuti non hanno la centralità. In questo senso, la
pianificazione del programma, verifica e valutazione non possono essere rigide.

Competenza di azione/didattica ecologica


Sviluppatasi negli anni novanta, in Nord Europa; insegnamento orientato all’azione. La pedagogia in questo
indirizzo si prefigge l’obiettivo di sviluppare le capacità necessarie alla conduzione di una vita socialmente
responsabile, partecipativa e volta alla società.
Concetto di azione: la comunicazione trasmette i messaggi, persegue gli scopi ed ottiene ei risultati.
Competenza di azione: capacità di interagire linguisticamente con altri individui in modo partecipativo ed
orientato al messaggio al fine di raggiungere determinati scopi.
- Cambia la concezione del ruolo dei partecipanti nel processo di insegnamento/apprendimento:
allievi ed insegnante sono partner che comunicano in un contesto personale e sociale con scopi
concreti.
- Accetta sorprese, incomprensioni
- L’allievo è un individuo completo
- I contenuti sono rilevanti
- La didattica è flessibile: interazione inizia in classe ma prosegue fuori
- Il discente si organizza come vuole
- Contesto non linguistico è importante
- Non pretende una produzione immediata, lascia tempo al discente
- Pretende invece molta partecipazione e interazione anche col mondo esterno alla classe.
Un modello dell’insegnamento orientato all’azione è quello dell’interazione centrata su temi. Nasce in
America come modello di terapia di gruppo. Il suo scopo principale è quello di eliminare la dicotomia tra
individualismo e collettivismo.
Gruppo è formato da:
- La persona singola
- L’interazione con i componenti del gruppo
- Il contenuto dell’attività di gruppo (tema)
- L’ambiente che circonda il singolo e il gruppo. Dell’ambiente fanno parte elementi esterni come
quelli spaziali e temporali, ed elementi interni come la biografia dei singoli che caratterizzano poi
tutto il gruppo.
Durante l’attività va mantenuto un equilibrio tra tutte le componenti.

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Scopi d’insegnamento:
- Totalità dell’esperienza educativa: il discente deve impegnare tutte le sue facoltà, non soltanto
quelle intellettive ma anche quelle relazionali, emotive. Vengono proposte attività creative.
- Sviluppo della dimensione affettivo-emotiva
- Allargamento dell’esperienza. Apprendimento basato sulla scoperta e sulla possibilità di fare nuove
esperienze.
Riflessi sulla prassi didattica:
- Importanza agli aspetti psicologico-affettivi e relazionali
- L’insegnante è l’animatore di processi creativi
- Il discente ha una parte di responsabilità
- è importante il “come”
- i contenuti di insegnamento sono funzionali
- il concetto di esercizio viene sostituito dall’attività (dal prodotto al processo)

La psicologia assume un ruolo sempre più rilevante negli approcci didattici. Prima la centralità era delle
teorie descrittive dell’oggetto d’insegnamento; adesso l’attenzione maggiore è rivolta alla figura
dell’apprendente, ai suoi bisogni e desideri.
Il discente deve sviluppare tutte le abilità a lui necessarie per ampliare l’apprendimento e ovviamente,
anche auto valutarsi.
Psicologia umanistica: concezione ottimistica della natura umana, costruttiva.
- Lo studente deve partecipare totalmente al processo e controllarlo
- L’insegnamento è basato su problemi sociali e personali
- L’autovalutazione è importante
Un ramo della psicologia umanistica è quello della psicologia direttivaal centro del processo di
insegnamento/apprendimento c’è la concezione dell’uomo, della società e dell’interazione con gli altri.
Psicologia direttiva: l’uomo sviluppa le sue abilità se gestisce il suo apprendimento. Sostiene l’interazione
tra esseri umani.
Si oppone alla pedagogia trasmissiva dove gli scopi di insegnamento sono definiti dagli insegnanti e non c’è
spazio per i desideri e i bisogni del singolo.
L’educatore non è al centro, non deve insegnare ma rende possibile e facilitare l’apprendimento.
L’insegnante deve promuovere lo sviluppo di autonome capacità da parte del discente.
1. Identificare il suo modo di apprendere
2. Sviluppare le strategie
3. Adottare obiettivi di apprendimento perseguibili, in tempi realistici
4. Sviluppare l’autovalutazione.
L’insegnante crea dei curricula differenziati che tengono conto dei bisogni del singolo apprendente, del suo
stile di apprendimento e del bagaglio di esperienze e conoscenze che possiede già.

In un contesto sempre più plurilingue, è importante che il discente impari almeno altre due lingue straniere
oltre alla sua lingua madre.
Allo stesso tempo è importante che sviluppi la competenza comunicativa interculturale: capacità di
relazionarsi con persone di altre culture, di parlare la loro lingua e anche di saper usare strategie adeguate
in ogni contesto. L’apprendimento in questo senso è supportato anche da altre attività: scambio culturale,
sviluppo di contatti linguistici, apprendimento CLIL. Tutte le modalità vanno coordinate e pianificate fino
alla valutazione.
Un aiuto per lo sviluppo della competenza interculturale viene dalle nuove tecnologie: sono un insieme di
risorse variegate e realistiche. Il discente ha ruolo attivo in quanto esplora le informazioni che trova e
scopre le diverse culture.
L’altro metodo è rappresentato da percorsi formativi CLIL in cui si integrano disciplina e lingua. Per
esempio, una porzione del curriculo può essere fatto in lingua in modo da sviluppare la lingua attraverso la
disciplina e viceversa.

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Oppure, in alternativa, si può operare in maniera contrastiva: mettere a confronto le culture delle diverse
lingue studiate prendendo spunto da testi che riflettono contesti e situazioni reali. Il discente anche in
questo caso ha ruolo attivo, si auto gestisce e sviluppa la sua autonomia.

Capitolo 6: il nesso lingua-cultura


In un mondo sempre più interconnesso è importante che le culture comunichino tra di loro. Questo ha
notevoli ripercussioni anche sull’insegnamento delle lingue straniere. La lingua non è più vista come un
sistema grammaticale, chiuso e stabile ma è un insieme di fattori che comprendono anche le tradizioni, la
cultura, i modi di comportarsi di una determinata società.
Nasce l’educazione interculturale che mira a sviluppare una competenza più ampia della semplice
competenza comunicativa o culturale: una competenza appunto interculturale. Bisogna abbandonare la
prospettiva centrata sulla padronanza di conoscenze e adottarne una focalizzata allo sviluppo della
competenza (in senso ampio).

Nei corsi di lingua, si insegnano non solo la struttura della lingua ma anche la cultura o civiltà.
Civiltà informazioni culturali scelte in base ai contenuti tematici finalizzati allo sviluppo della competenza
linguistica. Hanno lo scopo di sviluppare una familiarità con il contesto socioculturale in cui la L2 viene
usata. Le informazioni culturali sono strumentali all’insegnamento delle strutture linguistiche.

Tylor cultura e civiltà sono sinonimi: la cultura o civiltà è quell’insieme che include la conoscenza, le
credenze, l’arte, la morale, il diritto, il costume e qualsiasi altra capacità e abitudine acquisita dall’uomo
come membro di una società.
Altri studiosi invece affermano che si devono separare le due cose soprattutto se si parla in chiave didattica.
Nella classe di lingua straniera, ci sono due metodi per insegnare la cultura: dotando i corsi di lingua di
informazioni culturali oppure promuovendo periodi di permanenza nel paese di cui studiamo la lingua.
In questo senso, la cultura è intesa come prodotto, come produzione materiale e si divide in:
- Cultura alta: prodotti culturali di un popolo (es. produzione musicale, artistica)
- Cultura istituzionale: aspetti organizzativi di tipo collettivo (sistema politico, economico)
- Cultura quotidiana: stili di vita, abitudini e tradizioni.
Contrariamente a quanto si pensa, la permanenza nel paese straniero non produce necessariamente
apprendimento della cultura in quanto l’apprendente si trova immerso in una cultura che non conosce
senza prima aver ricevuto il giusto supporto per poterla esplorare.
La competenza interculturale quindi si sviluppa solo quando il discente è in grado di operare confronti tra la
sua cultura e quella del paese straniero e riflettere su di esse.
Cultura come processo l’insegnamento della cultura, secondo questo approccio, è finalizzato a rendere
gli apprendenti consapevoli del sistema di norme e valori, modi di vedere della comunità di cui studiano la
lingua, condivisi dalla comunità stessa. Il termine cultura si riferisce ad ideali, tradizioni e valori che
vengono accettati come giusti.
Il modo di comportarsi nelle diverse culture diventa di centrale importanza soprattutto per quanto riguarda
le interazioni con gli altri. La lingua e il discorso esprime appieno il rapporto tra lingua e cultura in quanto si
influenzano. Attraverso il discorso si possono individuare i modi in cui gli appartenenti ad una cultura
costruiscono i rapporti sociali, esprimono le loro intenzioni comunicative e le loro emozioni. La cultura
determina quali siano i registri e le varietà linguistiche appropriate alle varie situazioni.
 Sviluppare una competenza in cultura 2 significa acquisire si informazioni materiali e fattuali ma
anche conoscere l’insieme di regole che sta alla base dei comportamenti ritenuti socialmente
corretti.
Prospettiva interazionista: basata sulla nozione di competenza comunicativa introdotta negli anni 70 del
‘900. Critica la nozione di competenza linguistica focalizzata sugli aspetti grammaticali di una lingua e sulle
regole che la governano. Per conoscere una lingua è necessario aggiungere la competenza
sociolinguistica si realizza linguisticamente gli atti di una lingua seguendo gli aspetti socioculturali della
lingua stessa, a seconda del contesto.
Competenza comunicativa prende spunto dalla teoria degli atti linguistici di Austin. È la capacità di usare
gli atti linguistici, prendere parte ad eventi linguistici e comprenderli. Si integra con valori, attitudini e usi

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che riguardano la lingua. La componente culturale è quindi costituita dalle nozioni espresse tramite la
comunicazione linguistica.
Dimensione sociolinguistica e socioculturale della lingua
Competenza sociolinguistica= competenza comunicativa
Competenza socioculturale= contesto socioculturalecontesto più ampio. Non è possibile rapportare in
modo univoco le realizzazioni linguistiche a singole variabili situazionali o sociali. Il contesto socioculturale è
costituito da assunzioni implicite dei parlanti, dagli atteggiamenti, le credenze, il modo di pensare, i punti di
vista di una comunità. Ovvero valori secondo cui i discorsi che si realizzano possono essere interpretati e
prodotti.
Distinzione tra contesto del discorso e contesto della cultura.
Il primo formato da componenti socio situazionali individuabili nel momento stesso in cui si forma il
discorso, il testo; il secondo, formato da aspetto socioculturali non direttamente rilevabili, facenti parte di
una concezione più ampia che influenza i comportamenti comunicativi.

A livello pratico, è molto difficile realizzare una didattica interculturale. Ancora oggi, le scuole resistono a
questi cambiamenti drastici che invece sarebbero utili per affermare un nuovo modo di vedere le cose.
Insegnamento di una lingua 2: sviluppare competenza comunicativa e culturale ma anche promuovere
l’incontro tra differenze, sviluppare senso di empatia verso l’altro oltre che le abilità di riflessione e analisi
di lingua e cultura. Educazione alla tolleranza, al confronto= consapevolezza culturale critica. Sviluppare un
atteggiamento di disponibilità, curiosità e interesse per forme diverse di cultura, comportamenti, valori e
credenze.
Questa consapevolezza critica si sviluppa se il discente si chiede come la sua cultura si relazioni con la lingua
e la cultura straniere; dovrà integrare culture differenti nella propria.
L’interculturalismo però produce perdita di sicurezza nell’individuo e paura di perdere la propria identità.

Capitolo 7: educazione ai nuovi media


Lo sviluppo dei nuovi media e delle nuove tecnologie sta cambiando il nostro modo di vivere e anche di
insegnare. Non a caso vengono chiamate tecnologie didattiche in quanto modificano il processo di
insegnamento/apprendimento.
CMC/ insegnamento tradizionale:
- La comunicazione online può avere luogo sia in modalità sincrona (con la presenza di entrambi gli
interlocutori, per esempio la chat) sia in modalità asincrona; al contrario, la comunicazione
tradizionale è solo sincrona.
- Nella CMC si usa la lingua scritta come se fosse lingua orale. Questo può dar luogo a problemi in
quanto non sono presenti tutti gli elementi del contesto.
Il libro di testo è ancora oggi la risorsa principale da cui attingere per imparare. Ma internet mette a
disposizione tante risorse, differenziate e autentiche. Bisogna però stare attenti e imparare a valutare
queste risorse in modo critico: non tutte sono affidabili. Si deve fare un uso intelligente delle nuove
tecnologie per far in modo che siano un supporto all’apprendimento ben sapendo che i rapporti
interpersonali non possono essere sostituiti.
Nuove tecnologie=nuove forme di pensiero, modi di comunicare, modalità di apprendimento e nuovo ruolo
di insegnante e apprendente.
Metodi educativi tradizionali: organizzano i saperi in maniera statica, sequenziale e disciplinare; al
contrario, con l’aiuto di internet, il discente può orientarsi autonomamente all’interno delle risorse, deve
sceglierle in modo critico e si ritrova quindi ad avere ruolo attivo nella scelta del materiale.
Gli insegnanti invece, devono sviluppare nuove abilità per far fronte a questo cambiamento. O meglio, si
tratta di abilità rimodulate:
- Creatività: saper affrontare problemi mai incontrati prima
- Capacità di indagine: saper trovare ciò che serve, operare scelte e valutare i materiali in maniera
critica
- Apprendere nella relazione: capacità di acquisire nuove conoscenze mettendosi in relazione con
altri adottando un approccio collaborativo e cooperativo.
La rete può venire utilizzata in due modi:

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- Accesso individualizzato: navigare liberamente in Rete e sfruttare il patrimonio conoscitivo raccolto.


- Spazio di condivisione: interagire e condividere in un gruppo di interesse, informazioni, materiali,
idee, opinioni. Serve un grado molto alto di collaborazione tra i partecipanti. Es. forum.
Uso della telematica nella didattica: strumento di supporto allo studio, risorsa con cui arricchire,
differenziare la didattica tradizionale, anche in gruppo.
Uso della telematica per la didattica: realizzare moduli online su specifici argomenti o interi programmi.
Attraverso l’e-learning o il blended learning (modalità integrata, condivisa e in presenza).
Vanno definiti gli obiettivi e individuate le strategie idonee per realizzarli. Questo tipo di apprendimento
coinvolge una rete di relazioni tra individui o gruppi cambiamento delle strategie di apprendimento:
modalità cooperativa costruzione discorsiva della conoscenza; valorizzazione del lavoro di gruppo e aiuto
tra pari.
Apprendimento cooperativo piccoli gruppi di studenti lavorano insieme per portare a compimento
specifici compiti pedagogici e gli insegnanti hanno ruolo di facilitatori.
Gli apprendenti lavorano insieme, si instaurano rapporti di fiducia; condividono i compiti per raggiungere
un obiettivo comune; discutono e risolvono problemi.
Importante in questa prospettiva è il lavoro tra pari ovvero l’aiuto che i compagni si offrono a vicenda.
Inoltre, ogni approccio metodologico vede l’insegnante in modo diverso:
- Gli approcci tradizionali mettono l’insegnante in ruolo dominante, unico responsabile
dell’andamento della classe.
- Approcci pedagogici non direttivi: focalizzati sulla comunicazione e partecipazione attiva
dell’allievo: l’insegnante deve rendere possibile l’apprendimento, ha funzione di guida.
- Apprendimento cooperativo: l’insegnante facilitatore, un consulente che interviene a richiesta
degli alunni. Questi ultimi sono i soggetti principali del percorso.
L’insegnante deve acquisire determinate conoscenze e competenze tecniche, che riguardano l’uso degli
strumenti telematici e informatici; ma anche conoscenze di tipo pedagogico-didattico focalizzate
sull’organizzazione dell’apprendimento, la coordinazione e la collaborazione con gli alunni.
Competenza digitale competenza trasversale che consiste nel saper utilizzare facilmente e con spirito
critico le nuove tecnologie.
Formata da:
- Dimensione tecnologica: conoscenze e abilità tecnologiche di base
- Dimensione cognitiva: saper valutare criticamente le informazioni raccolte, valutando la pertinenza
al tema trattato e l’affidabilità delle fonti
- Dimensione etica: responsabilità sociale che ogni componente di un gruppo o comunità di assume
nel relazionarsi ad altri quindi riguarda la capacità di agire dell’individuo con gli altri in modo
corretto, collaborativo e costruttivo.
Insomma la tecnologia inserita nei programmi di apprendimento deve essere un valore aggiunto. Renderà
stimolante l’approccio, genera nuove forme di interazione tra gli apprendenti portandoli a collaborare.

Capitolo 8: l’organizzazione di un corso di lingua


Curricolo indica tutti gli aspetti di pianificazione, implementazione, verifica e valutazione di un
programma di insegnamento linguistico. È un procedimento lineare che va dalla pianificazione, definizione
degli obiettivi, scelta dei contenuti e dei materiali didattici fino alla fase di valutazione.
Questo modello viene sostituito da uno ciclico in cui la valutazione non costituisce solo la fase finale del
processo, ma deve essere fatta in qualunque momento per verificare l’andamento della classe e l’efficacia
del metodo utilizzato in modo che si possano apportare delle modifiche.
Curricolo pianificato: pano di azione di ciò che si vuole raggiungere e di come si intende farlo.
Curricolo attuato: quanto è stato effettivamente fatto
Curricolo valutato: descrizione di ciò che gli apprendenti hanno imparato.
Queste tre dimensioni non coincidono quasi mai.
Sillabo parte di attività curricolare che si riferisce ai contenuti di insegnamento, in termini sapere e saper
fare.
- Sillabo proposizionale: considera le conoscenze e le capacità di acquisire come sistematiche: regole,
strutture, schemi.

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 Sillabo formale (o grammaticale): focalizza l’attenzione dell’apprendente sul codice


linguistico. Lingua è vista come sistema basato su regole di funzionamento. L’obiettivo è di
far raggiungere l’accuratezza formale nella produzione linguistica. Seleziona i contenuti dal
più facile al più difficile .
 Sillabo funzionale: si basa sulla teoria degli atti linguistici; focalizza l’attenzione sulla
realizzazione degli atti e sulle relazioni che intercorrono tra gli interlocutori ad una
conversazione. Si inizia con usi linguistici basici fino ad arrivare a quelli specifici. L’obiettivo
è quello dell’appropriatezza e della fluenza.
Un buon sillabo deve essere un insieme di questi due aspetti.

- Sillabo processuale: considera i procedimenti o le operazioni che sottostanno ai saper fare.


Rappresentano i modi in cui si comunica e i modi in cui si impara a comunicare. Pongono il discente
al centro del processo. Importanti sono i suoi bisogni comunicativi, sociali e psicologici.
 Basati su dei compiti: compiti comunicativi e compiti di apprendimento. I primi focalizzano
sui significati della comunicazione; i secondi incentrati sull’esplorazione di come la
comunicazione ha luogo e di quali abilità vengono messe in campo. Questi compiti si
integrano a vicenda.
 Processuali veri e propri: aggiungono un forte interesse per la situazione di classe, per
come si sviluppano comunicazione e apprendimento e la relazione tra questi aspetti.
Entrambi i sillabi processuali sono costituiti da un piano che contiene le decisioni da prendere. Queste
ultime vengono prese in collaborazione tra insegnanti ed allievi. Infine una banca di attività che devono
essere svolte. Valutazione continua dei risultati che determina il tipo di lavoro da fare. Discussione collettiva
sulla pianificazione=comunicazione autentica. La lingua da usare viene negoziata.
Fasi:
preparazione del compito: rende nota la natura del compito
compito: svolto singolarmente ed ha uno scopo espresso
feedback: indica al discente in quale modo ha portato a termine il compito.

Didattica per competenze: sviluppo di un sillabo che mette al centro le competenze da sviluppare.
Competenza intesa come abilità ma anche atteggiamento. Potenzialità o messa in atto di prestazione che
comporti l’impiego congiunto di atteggiamenti e di motivazioni, conoscenze, abilità e capacità finalizzata al
raggiungimento di uno scopo.
Caratteristiche: organizzazione, articolazione, contestualizzazione, flessibilità.
Le competenze hanno carattere multidimensionale, evolutivo e mutevole nonché interdisciplinare. Il
possesso di competenze non è direttamente verificabile ma soltanto inferibile dalle prestazioni, dalle azioni
complesse.
Curricolo centrato sull’apprendente:
il punto di partenza è un’analisi dei bisogni comunicativi e delle caratteristiche individuali dell’apprendente.
Ne viene fuori una sorta di portfolio.
Un aspetto importante è la formazione dei gruppi classe: solitamente il gruppo viene costituito secondo
parametri rigidi (età, livello di conoscenza della lingua). Questi parametri però spesso sono demotivanti
perché non permettono al discente di svilupparsi. Si predilige lo spostamento dell’allievo da un gruppo ad
un altro.
I contenuti del sillabo sono negoziati tra insegnanti ed allievi.
Si focalizza l’attenzione su come insegnare e queste modalità sono frutto di negoziazione. Spesso
insegnante ed allievi hanno visioni completamente diverse: le attività che per gli insegnanti risultano utili
all’apprendimento, non è visto di buon occhio dalla controparte. Per entrambi però è importante la
conversazione.
La valutazione non deve essere necessariamente l’ultima fase del procedimento bensì un momento
ricorrente utile sia agli allievi che agli insegnanti. I primi si rendono conto di cosa hanno appreso, i secondi
verificano che il loro metodo sia efficace. In caso contrario, si possono negoziare metodi diversi.

Capitolo 9: l’analisi dei bisogni dei discenti

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Discente: ruolo centrale all’interno della programmazione del curricolo. Adesso è necessario indagare sulle
sue necessità, bisogni e desideri cooperazione tra insegnanti e discenti= apprendimento mirato e utile al
discente.
Analisi dei bisogni si arriva ad obiettivi specifici di insegnamento. Quest’area di ricerca nasce negli anni
settanta del secolo scorso quando il Consiglio d’Europa ha dato inizio ad un progetto di riferimento per
tutte le lingue, che divide i materiali linguistici in unità raggruppabili in modo diverso a seconda dei fini di
apprendimento del discente. (valutato oggettivamente tramite i livelli soglia livelli minimi di conoscenza
linguistica per comunicare in situazioni quotidiane).
Inizialmente era indirizzata ad un pubblico adulto che sapeva con precisione quali fossero i suoi desideri e
bisogni comunicativi utili per organizzare al meglio il corso.
Ci si basava sulle situazioni comunicative che il discente doveva affrontare e le operazioni (atti comunicativi)
che si realizzano.
Successivamente sono stati inseriti anche studenti; sono stati classificati ed è emerso che l’analisi dei loro
bisogni comunicativi aiuta nella creazione dei materiali didattici. Si costruiscono sillabi nozionali-funzionali e
non soltanto grammaticali.
La nozione di bisogno in questo senso però, è vista come una cosa statica e determinata. Non si tiene conto
del possibile cambiamento. I bisogni infatti cambiano col tempo e le circostanze. Sono state mosse delle
critiche nei confronti dei repertori, dei materiali didattici che non tengono conto di questa caratteristica.
Adesso si tende a considerare i bisogni linguistici non come regole grammaticali da imparare ma come
operazioni, processi, abilità che serviranno poi al discente per comunicare in L2 in situazioni reali. Si parla di
bisogni comunicativi invece che di bisogni linguistici.
La lingua è un mezzo per arrivare ai veri obiettivi, ovvero i comportamenti. Bisogna quindi sviluppare abilità
e competenze che sottostanno alla performance linguistica.
L’insegnante dispone di vari strumenti con cui controllare e analizzare le motivazioni, necessità e i bisogni
dei discenti in modo soggettivo.
L’analisi viene fatta a diversi livelli:
- Globale: individua i contesti e le situazioni in cui gli studenti necessitano della L2 e le attività
linguistiche che mettono in atto
- Tipi di testo e discorso: individua i testi e i discorsi che ricorrono nelle situazioni identificate
- Strutturale: i modi in cui la forma linguistica costruisce l’informazione.
Tra gli strumenti più utilizzati ci sono l’intervista e il questionario. Entrambi servono per aiutare gli studenti
a riflettere sui loro bisogni e renderli consapevoli di questi bisogni. Allo stesso tempo, servono
all’insegnante per conoscere i suoi allievi.
Analisi dei bisogni racconta e analisi di informazioni utili all’organizzazione e alla gestione di un corso di
L2 destinato ad un particolare gruppo di discenti. Le informazioni sono utili per scegliere i contenuti, le
abilità e le competenze da privilegiare, nonché le attività da proporre.
I discenti in questo modo si sentono più coinvolti, più motivati perché trovano nell’insegnante un supporto.
Inoltre, il cambiamento dei bisogni durante l’apprendimento è motivo di discussione e confronto.

Capitolo 10: le attività esercitative e la gestione della classe


La lingua si impara meglio in modo spontaneo piuttosto che all’interno della classe ma l’apprendimento
istituzionale di solito focalizza l’attenzione sugli aspetti problematici della lingua per aiutare gli allievi. Non è
così scontato però che questo metodo produca apprendimento. Il metodo innovativo dà importanza anche
alle capacità relazionali, comunicative e interazionali della classe, a coppie o in gruppi.
Classificazione delle attività: che cosa si richiede all’apprendente di dire; come si intende che lo dica. I due
parametri non hanno sempre lo stesso peso.
Si predilige un orientamento all’attività ovvero sul modo in cui dire le cose. Molto spesso però queste
attività sono esercizi meccanici (per niente comunicativi) che mirano appunto a la ripetizione di modelli
formali allo scopo di rendere meccanica la conoscenza di una struttura tramite la sua memorizzazione.
Quello che succede in contesti reali è molto diverso.
Ci si deve quindi muovere dall’esercitare al conversare.

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Un miglioramento di questi esercizi può essere la contestualizzazione delle frasi che vengono riferite ad una
stessa situazione. Si creano così esercizi di domanda/risposta, risposta/commento: si usa la stessa formula
ampliando però il contesto.

Una forma di pratica comunicativa è la creazione dei cosiddetti compiti tipo di esercitazione da portare a
compimento in coppia o piccoli gruppi. Bisogna trasmettere un’informazione di cui l’interlocutore
necessita. Ovviamente tra i due c’è divario informativo. Non come nelle attività tradizionali in cui
l’insegnante poneva domande delle quali conosceva già la risposta (poco motivante).
Progetto nozione da intendere in 2 modi: sviluppo di una didattica comunicativa basata su un insieme
coordinato di compiti; oppure una didattica a sé che mira ad un’educazione autonoma dell’apprendente
che agisce per raggiungere uno scopo.
Progetto come connessione di compiti: progetti di 3 tipi
- Testuali
- Di scambio di corrispondenza
- Di ambiente
I primi due tipi sono condotti in classe; il terzo ha bisogno di un contatto diretto con i parlanti nativi e la L2 è
la lingua di comunicazione. Progetti intesi come mezzo per apprendere nuove conoscenze oppure un modo
per approfondire conoscenze già possedute. Sicuramente i progetti più complessi sono quelli del terzo tipo
in quanto sono ad alto grado di comunicazione, in situazioni reali. Ovviamente sono anche quelli più utili.
Oltre alla competenza linguistica, i discenti sviluppano anche quella organizzativa, relazionale e gestionale.
Alto livello di cooperazione. In questo modo i discenti diventano autonomi; modello didattico orientato
all’azione. Si ampliano le varietà di materiali e questo porta ad aumento di motivazione e interesse.
L’apprendimento non è più trasferimento di informazioni dall’insegnante al discente ma partecipativo sia
tra gli allievi che tra questi e l’insegnante che diventa una guida.
Il progetto rientra nella didattica attiva modalità educativa non mirata esclusivamente al prodotto, cioè
all’acquisizione di conoscenze disciplinari bensì alla crescita dell’individuo.
Nell’insegnamento tradizionale si presentano ai discenti i contenuti in modo sistematico, sequenziale. Nei
progetti si apprendono le conoscenze che servono per la conduzione del progetto stesso.
Caratteristiche della didattica per progetti:
- Rapporto tra progetto e contesto
- Modello organizzativo stabilito da portare avanti per tutta l’attività: fasi e tempi specifici
- Risorse: materiali ma anche umane
Cosa impara l’apprendente:
- A progettare
- Valutare e autovalutarsi
- Acquisisce strategie metacognitive
- Acquisisce capacità di comportamenti sociali e collaborativi
- Riflette sui propri punti di forza e limiti
- Apprende conoscenze procedurali
- Utilizza abilità in contesti reali e autonomamente
Nei contesti scolastici tradizionali, l’insegnante si pone sempre ad un livello superiore rispetto agli alunni e
non vengono incoraggiate le attività collaborative tra questi ultimi; adesso si sta affermando il modello
educativo contrario: la cooperazione tra allievi è fondamentale. Attraverso il lavoro di gruppo si
raggiungono risultati migliori e ognuno prende consapevolezza delle proprie capacità, riflette sulla propria
identità. A livello della classe, la cooperazione crea maggiori occasioni di uso linguistico, promuove la
negoziazione dei significati.
Concetto di pedagogia non direttiva: il compito dell’insegnante non è quello di insegnare ma quello di
rendere possibile l’apprendimento.
Capitolo 11: controllo e lavoro di riparazione
Nell’apprendimento di una L2 la fase del controllo, feedback e valutazione sono molto importanti perché
aiutano insegnanti e discenti a rendersi conto del livello raggiunto. Allo stesso modo però, bisogna stare
attenti a come queste correzioni vengono attuate: non tutti gli errori sono uguali, non tutti devono essere
per forza corretti.

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Errore deviazione da una regola o da una norma in vigore nella lingua e cultura 2. Inizialmente, le teorie
didattiche avevano etichettato l’errore come qualcosa da evitare assolutamente e da correggere in ogni
caso; col tempo si è scoperto che non è sempre così. Spesso l’errore risulta da un’ipotesi deviante che
l’apprendente fa riguardo alle regole della lingua. In questo senso, si vede l’aspetto creativo (e in parte
logico) della produzione di un errore; è quindi una riflessione del discente. Più l’interlingua viene sviluppata,
più sarà facile correggere gli errori ed evitarne la produzione. Oppure l’errore può essere frutto di
interferenza con altre lingue.
La correzione degli errori è spesso dannosa per gli studenti perché sentono di aver fallito e si demotivano.

Lavoro di riparazione trattamento dei problemi che sorgono durante l’uso linguistico interattivo. Lavoro
di aggiustamento che ha luogo tra parlanti ed ascoltatori durante l’interazione. È un importante
meccanismo di feedback e di controllo per il discente. Evita di sottolineare l’errore che non viene
evidenziato. Questo tipo di mitigazione viene fatto soprattutto in comunicazione realistica, fuori dal
contesto didattico. Ma spesso viene utilizzata anche in classe per rendere tutto più accettabile da parte
degli studenti. Questi ultimi, attraverso la riparazione, sviluppano capacità metacognitiva e metalinguistica:
imparano cioè ad autovalutarsi.
3 macrocategorie di attività:
- Orientate al codice; focalizzano la struttura della L2
- Orientate al messaggio; trasmissione di informazioni
- Orientate all’attività didattica; focalizzate sull’organizzazione dell’ambiente classe
Tutti i tipi di attività possono dar luogo a:
- Riparazione conversazionale (o congiuntiva): mirante ad aiutare
- Riparazione mirante a valutare (disgiuntiva)

L’autoriparazione controllo messo in atto dagli interattanti, riguardo la propria produzione e


comprensione della L2. Consiste in un’analisi dei dati in entrata e in una comparazione tra essi e il proprio
comportamento verbale. Si scopre la differenza, e si procede poi alla riformulazione di un’ipotesi.

Nella comunicazione autentica, tra nativi e non nativi, ci sono diversi metodi con cui i primi possono
monitorare e correggere la produzione linguistica dei secondi. Le modalità dipendono dal tempo che
intercorre tra produzione deviante e riparazione e la forma che questa assume.
La riparazione può aver luogo quasi contemporaneamente al comportamento verbale e produce spesso
autocorrezione tramite per esempio parafrasi .
Il secondo tipo è leggermente in ritardo rispetto al comportamento ed è sottolineato dal nativo con segnali
di non comprensione oppure tramite la richiesta di riformulare l’enunciato.
Il terzo tipo è una riflessione, assume forma di metacomunicazione e non è immediata al comportamento.
La riparazione che un non nativo rivolge al nativo può avere forme diverse.
- Richiesta di aiuto: frequente negli stadi iniziali di apprendimento di L2. Avviene velocemente e
senza conseguenze sul proseguimento della discussione. È di natura lessicale.
- Richiesta di spiegazione: sequenze analitiche che interrompono il tema. Il parlante nativo in questo
caso prende il posto dell’insegnante formale e si addentra in una spiegazione molto dettagliata
delle strutture linguistiche.
Riparazione iniziata dal nativo:
è molto frequente e mira ad aiutare il non nativo nella comprensione o nella produzione di enunciati in L2
ma anche ad eliminare un elemento di disturbo, non per forza un errore.
- Riparazione ad incastro: non corregge un errore ma piuttosto un elemento disturbante per il nativo.
Avviene durante il turno del non nativo ma non fa deviare la comunicazione. Si manifesta con la
semplice ripetizione dell’elemento problematico; è poco esposta e non demotiva il non nativo.
Quest’ultimo procede sempre alla ratifica.
- Riparazione in forma di commento: elimina incomprensioni e ambiguità. Interrompe
temporaneamente il flusso del discorso con la ripetizione dell’elemento problematico e un
commento. È più esposta e potenzialmente minacciosa.
- Richieste di spiegazioni vere e proprie: il nativo richiede una ripetizione

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Strategie adottate dal parlante nativo quando diventa “insegnante”:


- Riparazione non immediata: il tempo di attesa per l’autocorrezione del non nativo è lungo.
- Riparazione selettiva: molti errori non vengono corretti. Si procede alla correzione solo quando la
deviazione compromette la discussione, hanno conseguenze sulla comprensibilità, appropriatezza
alla situazione.
Spesso si utilizzano tecniche indirette, senza sottolineare l’errore ma ripetendo soltanto la forma corretta
come se fosse un semplice indicatore di ascolto. Oppure, il nativo completa un enunciato che il non nativo
non riesce a completare.
Infine, il parlante nativo evita di interrompere l’interlocutore non nativo. Le spiegazioni dettagliate sono
rimandate alla fine dell’enunciato e vengono meglio accettate se si lavora su un contesto didattico piuttosto
che comunicativo.

Riparazione in classe:
- correzione in contesto istituzionalizzato è unidirezionale e quindi può provocare frustrazione.
- bisogna limitarsi nel correggere.
- gli insegnanti danno più valore all’errore piuttosto che alle forme corrette.
- gli errori non sono tutti uguali e nemmeno i contesti in cui appaiono. La riparazione deve variare a
seconda dell’attività.
- Non bloccare la produzione linguistica di un discente impedendogli di riflettere sulla sua produzione
e magari di correggersi.
- attuare meccanismi di riparazione attiva, di discussione tra insegnante ed allievi e promuovere la
cooperazione, l’interazione.
- correggere in maniera indiretta in modo che il discente abbia la possibilità di sviluppare
autocontrollo e autovalutazione per sviluppare la sua interlingua.
Due metodi per operare in questo senso:
- Registrare il roleplay attuato all’interno della classe; riascoltarlo e focalizzare l’attenzione degli
studenti sulle possibili deviazioni fatte, in modo che questi imparino a classificare gli errori e
possano riflettere sulle cause e conseguenze proponendo poi una possibile correzione.
- Automonitoraggio: in fase di valutazione, viene inserita la possibilità per il discente di commentare
la propria produzione.
Più autonomia porta a più capacità di autocontrollo= sviluppo dell’interlingua = miglioramento.

Capitolo 12: verifica formale e valutazione dell’apprendimento


Valutazione formale delle competenze: ha lo scopo di verificare se in un lasso di tempo o a conclusione di
un intero percorso, il risultato di apprendimento raggiunto dagli allievi è conforme agli obiettivi
programmati.
Inizialmente si verificava solo la competenza linguistica, considerata quella più importante. Oggi si ha una
visione più globale e si valuta la cosiddetta competenza comunicativa in base ai bisogni comunicativi dei
discenti.
Tipi di prove:
- Prove fattoriali: si focalizzano su un elemento o livello linguistico alla volta. Servono per accertare il
possesso di conoscenze isolate.
Criteri definitori: affidabilità il test fornisce risultati eguali ogni volta che viene somministrato;
validitàverifica effettivamente ciò per cui è stato creato; oggettivitàse prevede un’unica
risposta accettabile per ciascun quesito; quantificabile se permette la comparabilità dei risultati.
Possono verificare tutti gli aspetti formali della lingua; a livello comunicativo verificano la
conoscenza di singoli atti comunicativi e le loro caratteristiche. Di facile preparazione e correzione.
Le modalità più usate sono il vero/falso, risposta multipla, riempire gli spazi vuoti, costruzione di
frasi da elementi dati.
- Prove integrate: sono più globali, verificano più di un elemento alla volta. fanno uso di contesti
discorsivi più ampi. Ad esempio il cloze (riempimento), dettato, riassunto.
- Test pragmatici: verificano la capacità di interagire in L2, la cosiddetta competenza d’uso.
 Integrati

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 Richiedono agire linguistico: impiego di mezzi linguistici per compiere delle azioni
 I mezzi sono determinati dalle circostanze
 Si portano a termine compiti “naturali” fuori dal contesto classe
Sono valutati secondo una scala di naturalezza. Il test “naturale” permette all’allievo di costruire
l’interazione come preferisce. L’unica indicazione è una traccia, senza ulteriori precisazioni. Sono esercizi
difficili da preparare, correggere e valutare.
Sottocompetenza linguistica: valutata in modo parziale o integrato a seconda che vengano isolati punti
specifici della grammatica o che si verifichi la capacità globale.
Sottocompetenza sociolinguistica: capacità di capire e produrre atti linguistici senza riferimenti al contesto
di tali atti.
Sottocompetenza strategica: abilità di selezionare i mezzi efficaci per portare a compimento un atto
comunicativo. Un modo è far analizzare scambi comunicativi autentici per permettere agli apprendenti di
riflettere sulle modalità usate.
La produzione orale mette invece dei limiti alla comparabilità e quindi anche alla valutazione precisa. Sono
stati fatti degli esperimenti, delle ricerche per decidere quali competenze orali si dovesse verificare, quali
dovessero essere i criteri di valutazione. È emerso che si valutano competenze trasversali, ricorrenti in
molte situazioni comunicative. Il criterio valutativo era quello dell’intelligibilità ovvero la comprensibilità.
Se il compito non è stato portato a termine in maniera intelligibile significa che: la cattiva pronuncia, il
vocabolario insufficiente o inadeguato, l’incapacità di costruire frasi impediscono la comprensione.

Le abilità linguistiche possono essere verificate singolarmente oppure in combinazione.


Comprensione orale/scritta: ascolto o lettura di testi brevi in cui si deve capire l’informazione principale;
testi lunghi, ricerca del dettaglio.
Tecniche di verifica: risposte vero/falso, scelta multipla, completamento di griglie, tabelle.
Esempio di prova integrata ascolto e produzione scritta: ascolto di una lezione, presa di appunti che
serviranno alla stesura di una relazione.
Verifica delle abilità produttive attraverso completamento di enunciati, riassunti, elaborati.

Capitolo 13: ricerca in classe


Nuova visione di apprendimento= integrazione tra teoria e prassi didattica attiva.
La soluzione ai problemi va ricercata all’interno del contesto in cui sorgono; le soluzioni non sono
standardizzate, devono essere diversificate a seconda del contesto. Tali soluzioni, sono un’ipotesi di lavoro
quindi necessitano di ulteriori ricerche per poterle valutare.
Importanza dell’attività di ricerca intesa come un tentativo di trovare na risposta ad un determinato
problema raccogliendo informazioni in modo sistematico relativamente ad una situazione ricercazione.
Divisa per fasi, consiste nell’indagare cause ed effetti di una determinata situazione e proporre delle
soluzioni.
Scopi: indagare su fatti precisi; ricercare delle soluzioni o cambiamenti in collaborazione con gli stessi
soggetti osservati.
Nasce formalmente in Gran Bretagna come ribellione per l’eccessiva rigidità dei programmi curricolari che
dividevano l’apprendimento in unità determinate. Questo modo di vedere è stato sostituito
dall’apprendimento integrato. Quest’ultimo è considerato attiva produzione di significati, l’insegnante deve
facilitare l’apprendimento e non stabilirlo a priori. La selezione dei curricoli deve essere spinta dalle
motivazioni e necessità dei discenti.
Ricercazione:
- Risolvere un problema pratico ed immediato
- L’azione procede di pari passo con la riflessione sui risultati che questa provoca
- Si operano cambiamenti prima di aver compreso il problema per poter successivamente analizzare i
risultati e l’efficacia di tali cambiamenti.
- Prende in considerazione la soggettività dei contesti
- L’osservazione critica della classe è il punto di partenza. Permette di analizzare il discente, è un
feedback per l’insegnante ma anche per gli allievi.
Può assumere 2 prospettive:

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 Prospettiva descrittiva: cerca di capire come funzionano i meccanismi della comunicazione


di classe prescindendo dagli esiti
 Prospettiva pedagogica: indica agli insegnanti ciò che si deve o non si deve fare in classe
senza una ricerca empirica che controlli gli effetti dell’azione.
L’osservazione parte sempre da fatti concreti e applica a questi la teoria.
- Adozione di strumenti di indagine di tipo etnografico che focalizzano l’attenzione sul contesto
linguistico, cognitivo e sociale della classe adottando il punto di vista degli attori sociali.
- Adotta la ricerca qualitativa: indaga il comportamento umano, osserva la prospettiva dall’interno,
ricava dati, non generalizza.
- Approccio olistico: riconduce ogni nuova conoscenza acquisita con l’osservazione a saperi già
posseduti e infine alla situazione in generale.
È l’insegnante che sceglie l’aspetto da porre sotto osservazione in relazione ai suoi interessi e bisogni.
Procedure di rilevazione dei dati:
- Chiedere: questionari e interviste ai soggetti interessati
- Osservare: protocolli descrittivi delle attività osservate, registrazioni audio o video dei fenomeni.
l’osservazione deve essere sistematica seguendo una lista di aspetti da controllare.
Fase della riflessione l’insegnante riflette sui propri metodi, li valuta e propone dei cambiamenti. Questi
ultimi sono oggetto di controllo, di riflessione quindi. Con la riflessione si scoprono le origini, le cause delle
azioni e anche gli effetti= insegnamento riflessivo. Ha alla base il cambiamento inteso come sviluppo di
consapevolezza dei propri atteggiamenti e ovviamente anche di adozione di nuove pratiche didattiche.
La ricercazione è quindi uno strumento di comprensione più attenta dei problemi della classe, suggerisce
soluzioni e genera conoscenze.

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