L’apprendimento della lingua materna è il primo ad avere luogo ed è anche il più importante. Oltre ad
andare di pari passo con lo sviluppo cognitivo dell’infante, è anche collegato alla formazione della sua
identità come membro di una comunità sociale: impara a parlare prendendo parte ad interazioni sociali.
Un altro aspetto importante è che il bambino non procede dalla lingua ai significati, bensì dai significati alla
lingua in contesti situazionali.
L’apprendimento della lingua materna avviene tramite il processo di riduzione della complessità: ogni
bambino costruisce una grammatica della sua lingua adottando dei principi che ne riducono la complessità.
Usa una lingua telegrafica per poi arrivare nel lungo periodo ad acquisire la forma corretta della lingua.
In questa fase dell’apprendimento, il bambino trova utili anche le cosiddette frasi fatte che permettono
all’apprendente di scoprire la lingua e di farla sua piano piano.
Per questo risulta importante la ripetizione: ogni volta che il bambino viene a contatto con una nuova
struttura, il suo cervello la recepisce ma, per fare in modo che venga immagazzinata, c’è bisogno che questa
venga ripetutacostituzione di stabili strutture cognitive.
Al contrario, l’apprendimento della L2 può avvenire in momenti della vita diversi, anche da adulti, quando
la lingua materna è già ben consolidata e la persona è già matura cognitivamente. Nonostante queste
differenze, ci sono degli aspetti fondamentali dell’apprendimento che vengono utilizzati sia per la lingua
materna che per tutte le altre lingue seconde.
Il bambino impara a parlare interagendo con parlanti più capaci, gli adulti che, modulano i propri
comportamenti verbali in modo da renderli accessibili al bambino. Usano una lingua semplificata chiamata
baby talk, così come avviene tra parlante nativo e non nativo in cui si usa la foreigner talk.
Il linguaggio adulto usato con i bambini fa uso di un tono di voce più alto, ricorre a parole formate da
duplicazione sillabica, articolazione più chiara e velocità ridotta.
Sintatticamente gli enunciati sono brevi con meno verbi e aggettivi. Viene usato un vocabolario più ristretto
e si ricorre spesso alla descrizione degli oggetti circostanti. Inoltre, gli adulti tendono a porre molte
domande al bambino per attivare in lui una sorta di meccanismo. Il bambino in questo modo viene guidato
alla creazione di strutture orizzontali ovvero di una frase completa invece che di segmenti verticali.
Gli adulti forniscono un modello corretto, costruiscono un dialogo e mostrano interesse e partecipazione.
Apprendimento di una L2 molte situazioni di apprendimento che influenzano anche il processo stesso.
Per esempio, un lavoratore che si trasferisce in un altro paese con l’intenzione di rimanervi per sempre,
avrà un atteggiamento diverso nei confronti dell’apprendimento della lingua del posto rispetto ad un
lavoratore che resterà nello stesso paese per qualche mese.
Esigenze diverse portano inevitabilmente a tipi di apprendimento diversi.
Un altro tipo di apprendimento deriva dall’età degli apprendenti, del grado di esposizione alla lingua, se
l’apprendimento è in contesto naturale oppure istituzionale e ovviamente, rilevanti sono anche i contenuti
di apprendimento.
Wolfang Klein analizza le componenti principali del processo di apprendimento visto dall’ottica
dell’apprendente:
1. Scopo e ragioni di apprendimento di una lingua seconda.
2. Capacità linguistiche possedute dall’apprendente: sua predisposizione all’apprendimento
linguistico, conoscenze linguistiche già in suo possesso.
3. I dati linguistici cui l’apprendente ha accesso. Tipo di input e le occasioni di comunicazione. Variano
a seconda che l’apprendimento avvenga in contesto naturale o formale.
Queste componenti determinano come il processo sarà strutturato, il tempo necessario per lo sviluppo, il
risultato raggiunto quando l’interlingua si è stabilizzata dando luogo a fossilizzazione.
*interlinguasistema linguistico di natura instabile che l’apprendente di una L2 costruisce dai dati in L2 cui
è esposto. L’interlingua è in un continuum tra la L1 e la L2 e cambia con il tempo essendo soggetta a
processi di accomodazione ai nuovi dati con cui il discente viene a contatto.
Per quanto riguarda l’input modificato offerto all’apprendente bambino, sono state fatte delle ricerche ed è
emerso che la stessa importanza è assunta dall’input modificato del parlante nativo quando parla con un
non nativo.
Quest’ultimo tende ad utilizzare un linguaggio più semplice per facilitare la comprensione al non nativo.
Tuttavia, non si tratta necessariamente di una lingua priva di grammatica come invece avviene nel foreigner
talk. La non grammaticalità è dovuta a 3 processi: omissione, espansione e conversione.
Al contrario, nel caso del linguaggio semplificato, si ha una lingua grammaticalmente corretta ma usa una
sintassi meno complessa, pochi avverbi. Usa lessico ad alta frequenza, la dizione è scandita. Dislocazione a
sinistra, frequenti domande polari e decomposizione delle frasi.
L’attenzione deve essere data sia ai dati in entrata (quindi all’input fornito dal nativo e al suo
comportamento linguistico) che ai dati in uscita ovvero il comportamento del non nativo di fronte per
esempio alle correzioni del nativo.
Input e contesti situazionali di utilizzo e apprendimento della lingua influiscono su quest’ultimo.
Apprendimento della L1 e della L2 sono similari ma differenti in alcuni aspetti.
In L2 dobbiamo imparare la struttura, il lessico, la formulazione di una domanda, ma non i concetti base; i
processi cognitivi si sono già sviluppati in L1.
Apprendimento della L1=sviluppo cognitivo e sociale del bambino; non avviene in L2.
Lingua madre e L2 vengono apprese in situazioni diverse. Il risultato di conseguenza differisce.
L’apprendente in L1 ha più tempo a disposizione per l’apprendimento; in L2 è limitato.
In L1 l’apprendente è immerso nella lingua in modo naturale; in L2 l’input viene selezionato.
In L1 gli errori sono permessi; in L2 vengono corretti
Il bambino ha forte motivazione ad apprendere la sua lingua madre; in L2 la motivazione è indotta
dall’esterno.
In L1, l’esposizione del bambino alla lingua porta all’apprendimento (anche se inconscio inizialmente); in L2
no.
ipotizzate e poi verificate usando i dati in entrata. Gli esseri umani sono capaci per natura di imparare una
lingua grazie ad un meccanismo innato di acquisizione, il LAD che aiuta l’apprendimento. Il bambino già da
piccolo comprende delle frasi senza mai averle sentite o prodotte prima.
Ipotesi dell’interlingua: con Chomsky cambia anche la concezione dell’errore. Questo può essere dovuto sia
ad interferenze sia a strategia di apprendimento errate come la semplificazione o la sovrageneralizzazione.
Per esempio quando i discenti a livelli bassi non fanno caso alle eccezioni o usano in modo scorretto i
pronomi. Se è vero che lo stadio precedente influenza quello successivo, diventa importante tutta la
produzione linguistica del discente, non solo quella deviante. Per interlingua intendiamo appunto la lingua
durante il processo di apprendimento. La lingua che si fa, passo dopo passo; una lingua instabile e soggetta
a cambiamenti. Questa interlingua è molto semplificata, una sorta di lingua pidginizzata.
Si ha invece fossilizzazione quando non si verifica più nessun cambiamento all’interno dell’apprendimento
della lingua, non c’è più miglioramento.
Ipotesi dell’identità: considera l’apprendimento spontaneo di una L2 come eguale all’apprendimento della
lingua madre. Avvengono tramite processi universali. Si occupa dell’aspetto grammaticale della lingua che
serve per formulare ipotesi. Due caratteristiche: l’esistenza di stadi d’acquisizione; la non incidenza di
fattori esterni sull’apprendimento che è indipendente dalla lingua madre e da aspetti sociali e situazionali.
Teoria del monitor: teoria innatista; anni settanta e ottanta; elaborata da Krashen.
Cinque ipotesi: acquisizione vs apprendimento la prima è un processo volontario e inconscio; il secondo è
consapevole e sistematico. Si parte dall’acquisizione in contesti naturali e liberi per poi arrivare
all’apprendimento che prevede la formalizzazione delle ipotesi fatte durante la fase dell’ acquisizione.
Studia regole esplicite e corregge gli errori.
Ordine naturale esistono sequenze prestabilite e naturali che fanno in modo che una lingua venga
appresa in modo lineare e sistematico, secondo un ordine predeterminato. La lingua si sviluppa grazie
all’interazione tra l’individuo e l’input linguistico con cui viene a contatto.
Ipotesi dei monitor l’apprendimento consapevole è reso possibile da un monitor la cui funzione è quella
di controllare ed eventualmente correggere il messaggio linguistico prodotto. 3 condizioni: il discente deve
avere tempo per elaborare i dati; il messaggio deve essere basato sulla forma linguistica; il discente deve
conoscere la regola implicata.
Ipotesi dell’input l’apprendimento diventa tale quando il discente comprende l’input. Progredisce
quando riceve un input successivo che, pur essendo nuovo, viene capito sulla base dello stadio (acquisito)
precedente.
Ipotesi del filtro affettivo per poter elaborare l’input e farlo diventare apprendimento, il discente deve
trovarsi in un contesto tranquillo, rilassato, non ansiogeno.
L’apprendimento avviene sempre attraverso un meccanismo di monitoraggio che valuta la produzione del
discente e la comprensione degli input esterni.
Ipotesi relativa alle sequenze di apprendimento: modello multidimensionale elaborato nel 1983. Fu
elaborata un’indagine che prendeva in considerazione la sequenza di apprendimento della sintassi tedesca
da parte di emigrati italiani e spagnoli.
I risultati indicano 5 stadi di sviluppo che si susseguono in ordine che non permette all’apprendente di
attivare produttivamente una determinata struttura se non ha attivato quella che la precede.
Teoria della processabilità: formula ipotesi linguistiche sulle sequenza di sviluppo dell’interlingua. Scopo di
determinare e spiegare le sequenze di sviluppo delle abilità processuali.
Gli effetti che questi studi hanno avuto sulla didattica sono stati molto rilevanti. Si tende da ora in poi a
creare una situazione istituzionale di apprendimento il più simile possibile alla situazione naturale. Questa
concezione presenta due questioni: l’organizzazione del sillabo e il trattamento dell’errore.
L’insegnamento di una lingua in contesto istituzionale avrà quindi successo se si segue l’andamento
naturale di acquisizione e non cercherà di forzarlo.
Il problema nasce però in relazione al tempo che ogni apprendente impiega per passare da uno stadio
all’altro: è soggettivo quindi risulta difficile creare percorsi di insegnamento che si adattino all’intera classe.
Qualcuno resterà inevitabilmente svantaggiato. Questa situazione ha messo in dubbio la tendenza a
selezionare i materiali didattici. L’acquisizione diventa competenza quando si usano le conoscenze acquisite
in modo consapevole per finalità intenzionali.
L’errore non è più visto come qualcosa di negativo, da evitare e sanzionare assolutamente. C’è maggiore
tolleranza soprattutto agli stadi iniziali. Ci si concentra a considerare le possibili cause della devianza e le
sue conseguenze. Non tutti gli errori infatti sono di uguale peso e di conseguenza portano a risultati diversi.
Ipotesi interazionista: pone in rilievo il ruolo dell’interazione nello sviluppo dell’interlingua. Importante è il
dialogo che viene costruito tra le persone, in contesti naturali ma anche istituzionali. In particolare come
l’apprendente non- nativo costruisca i suoi enunciati cercando di imitare il nativo secondo una
strutturazione verticale: parte da singole parole e poi, guidato dal nativo, riesce piano piano a costruire
l’intera frase, più o meno corretta. In questo modo si stimola la produzione ma non porta ad acquisire
forme linguistiche complesse.
Ipotesi dell’acculturazione: Schumann 1978. Si concentra sui fattori psicosociali che agiscono
nell’apprendimento. Cerca di indagare come alcuni apprendenti acquisiscano solo una variante pidginizzata
della lingua seconda. Dallo studio emerge che hanno posto un limite psicologico al loro apprendimento. Qui
entra in gioco la motivazione: se studiamo una lingua per esigenze temporanee, di conseguenza il nostro
apprendimento si fermerà prima del previsto, ovvero quando ci rendiamo conto di essere in grado di
comunicare in situazioni quotidiane. Allo stesso modo, l’apprendente è intimorito dalla cultura dominante,
si sente insicuro difronte a questa, attiva il filtro affettivo e l’apprendimento diventa fossilizzazione.
Ipotesi socioculturale: capacità dell’apprendente di relazionarsi con gli altri, di entrare in contatto con la
cultura e la lingua 2. L’apprendimento linguistico non è più autonomo e non si focalizza soltanto
sull’apprendimento di regole grammaticali. Coinvolge anche attività sociali e culturali in un apprendimento
situato in cui i discenti lavorano insieme al raggiungimento di obiettivi comuni, aiutandosi a vicenda.
Lavorare in collaborazione stimola l’apprendimento e ovviamente sviluppa la comunicazione, i rapporti
interpersonali.
Significato pragmatico: rende conto dell’effetto che il parlante vuole raggiungere con la produzione
dei suoi atti comunicativi. Significato degli enunciati in quanto azioni sociali. Esprime la sua forza
pragmatica in contesti di comunicazione reale.
Due sottotipi: significato primario che fa riferimento alla forza usuale che la frase assume,
l’intenzione del parlante è espressa; significato secondario fa riferimento alla situazione
comunicativa e al significato dell’enunciato in quel contesto (per esempio una frase ironica o
scherzosa).
Significato discorsivo: significato del discorso o testo nella sua interezza.
Significato discorsivo sequenziale, relativo alla collocazione degli enunciati nel discorso. In questo
caso tutto quello che si dice viene detto in un contesto sequenziale. Ciò che un parlante dirà è
condizionato da quello che si è detto in precedenza. Serve per interpretare un enunciato all’interno
della conversazione. Poi c’è il significato relativo all’evento comunicativo nel complesso che viene
costruito seguendo regole convenzionali appartenenti alla cultura di riferimento e la comunità
linguistica applica tali norme. Può riferirsi sia al contenuto proposizionale (a cosa viene realmente
detto) che ai modi retorici adottati (come tale contenuto viene espresso, a seconda delle
situazioni).
Inizialmente la lingua era studiata quale oggetto formale, statico, governato da regole e indipendente da
qualsiasi altro sistema.
Con Ferdinand de Saussure si afferma un altro modo di concepire la lingua. Si da importanza sia alla langue
(ovvero il sistema lingua) sia alla parole che è la realizzazione pratica linguistica in contesti reali. Quindi
lingua determinata anche dalla cultura, dalla storia, dalle norme sociali.
Viene introdotta la nozione di competenza comunicativa da correlare con quella di competenza linguistica.
Competenza linguistica conoscenza delle caratteristiche formali della lingua
Competenza comunicativacapacità del parlante di selezionare, nell’ambito di tutte le espressioni
linguistiche a sua disposizione, le forme che riflettono, in modo appropriato, le norme sociali che governano
il comportamento verbale in situazioni specifiche.
In questo senso si studiano interi eventi comunicativi formati sia dal verbale che dai fattori che
compongono la situazione sociale in cui l’evento ha luogo.
Hymes, per spiegare questi fattori elabora il modello chiamato SPEAKING.
S (situazione), ambientazione dell’evento
P partecipanti all’evento e il rapporto esistente tra loro
E (ends) gli scopi dell’evento intesi come finalità ma anche come risultati realmente perseguiti.
A (act), forma e contenuto degli atti
K, chiave interpretativa dei messaggi determinata dal tono di voce, il ritmo, l’intonazione
I, mezzi o strumenti per trasmettere i messaggi (la lingua, il canale e il registro)
N, norme che regolano lo svolgimento dell’interazione
G, genere discorsivo adottato
Pragmatica
Una concezione di pragmatica riguarda gli studi sugli atti linguistici di Austin e Searle. Tali studi considerano
gli enunciati, scritti e orali, come l’esecuzione di atti, ad esempio: promettere, chiedere informazioni. Quindi
le persone quando parlano compiono delle azioni e la struttura dell’enunciato dipende da che tipo di atto
viene realizzato.
Nuovo modello di lingua: ogni enunciato contiene quindi un verbo performativo che identifica la
natura dell’atto linguistico descritto dalla frase stessa.
Nonostante questo però, un enunciato non realizza solo un atto linguistico pragmatica interazionale. Si
interessa a ciò che avviene in un discorso e agli effetti di senso che esso produce. Studia la forza illocutiva
degli enunciati ma anche i suoi effetti. Comunicazione come prodotto comune tra gli interlocutori, processo
di costruzione di senso.
Nozione delle 4 abilità linguistiche primarie: produzione, ricezione, oralità e scrittura. Il modello è
rappresentato da 2 assi cartesiani in interrelazione produzione/ricezione da un lato, oralità e scrittura
dall’altro.
Parlare e scrivere sono entrambe abilità produttive ma molto diverse tra loro. Non solo per il canale
attraverso il quale vengono create.
Il parlato presenta una strutturazione più semplice, fa uso di enunciati brevi e predilige l’organizzazione
paratattica con una sintassi semplificata. Nel parlato la coesione è ottenuta tramite mezzi prosodici.
In base al tipo di conversazione possiamo avere una maggiore funzione transazionale (importanza della
trasmissione delle informazioni) o al contrario una funzione interazionale (basata sui rapporti che si creano
tra i parlanti).
L’apprendente di L2, quando comunica in lingua seconda può incontrare diversi livelli di difficoltà dovuti
soprattutto alla sua poca padronanza del lessico, della sintassi della lingua straniera, ma non solo. Un altro
aspetto difficoltoso è dato dalla non conoscenza di elementi culturali quali le regole di assegnazione dei
turni, gli enunciati standard che si usano per aprire o chiudere una conversazione, capacità di negoziazione
dei significati, di comprensione di ciò che viene detto.
Lo scritto è molto più pianificato, complesso ed esplicito. Non si può fare ricorso ai mezzi contestuali che
vengono ricreati all’interno del testo stesso.
La peculiarità dello scritto è la sua condizione di permanenza, la possibilità per l’apprendente di tornare
sulla sua produzione ed eventualmente correggerla. Il discente deve possedere il controllo lessicale,
stilistico e testuale della L2. Anche in questo caso, la difficoltà principale è la non conoscenza della cultura
della lingua e delle differenze con la sua.
Le differenze tra comprensione della lingua orale e comprensione della lingua scritta derivano dalle
caratteristiche peculiari dei due modi di produrre.
Comprendere andare oltre l’informazione fornita; collegare l’informazione in arrivo con quella già
posseduta.
Psicologia della forma: ogni percezione è interpretazione.
Comprendere una lingua aver appreso le regole tramite cui estrarre significati da elementi linguistici.
Codificare quando si legge o si ascolta una rappresentazione del significato. Cercare di rendere esplicito ciò
che è implicito.
Comprensione come insieme di processi:
1. Analisi: permette di percepire i significati espressi da altri.
Divisa in: scandaglio lessicale attribuzione a parole e frasi il concetto cui gli elementi linguistici si
riferiscono. Il significato attribuito a ciascun elemento influenza il significato degli altri.
Identificazione di eventi processo che adatta i concetti ottenuti ad un evento.
2. Compiere inferenze: formulare ipotesi su ciò che il parlante ha voluto significare.
due sottoprocessi: riempire gli spazi vuoti colmare i vuoti informativi in base alle nostre
percezioni, alla nostra capacità di prevedere; identificare gli scopi- attribuire un motivo agli
eventi.
3. Connettere gli eventi: verificare se la nuova informazione ricevuta si adatta alle credenze o alle altre
informazioni che possediamo.
Capire processo non lineare che si costruisce su una serie di conoscenze ed informazioni già in possesso
dell’ascoltatore o del lettore.
- Informazione linguistica fornita dagli enunciati
- Informazione contestuale può derivare dalle conoscenze del mondo (fatti del mondo fisico, reale,
sociale, culturale. Sono stabili, fanno parte della cultura di appartenenza dell’interlocutore
- Possono essere motivo di incomprensione) o dal contesto situazionale dell’interazione ovvero
l’informazione che l’individuo può ricavare dal contesto situazionale. Tra le più importanti c’è la
percezione visiva di gesti, sguardi.
- Informazione derivante dal co-testo informazione derivante dal contesto linguistico degli
enunciati. Quanto è stato detto precedentemente influenza quello che verrà detto dopo.
Queste 3 componenti si influenzano a vicenda.
La comprensione è resa più semplice dalla nostra capacità di previsione che restringe i significati di un
enunciato.
Nel processo di comprensione, giocano un ruolo fondamentale le caratteristiche culturali della lingua2 e la
non conoscenza della cultura, può dar luogo a fraintendimenti. Quello che rende difficile la comprensione è
la diversità tra le culture, i valori, i modi di esprimersi, le convenzioni.
Le 4 abilità linguistiche delineate sopra, non agiscono separatamente. Anzi, sono in continua integrazione.
Si pensi per esempio al prendere appunti partendo da un testo orale. Un altro tipo di integrazione è
costituito dal linguaggio dei nuovi media che mescola oralità e scrittura: si ha un testo scritto con
caratteristiche peculiari dell’oralità: sintassi semplice, frasi brevi, si scrive come se l’interlocutore sia
presente, cambio repentino di tema.
Versione forte: esclude la pratica formale della riflessione metalinguistica a favore dell’approccio
comunicativo.
Versione debole: integra attività relazionali con l’insegnamento grammaticale, la riflessione metalinguistica.
Molti insegnanti oggi affiancano l’insegnamento formale e la riflessione sulla lingua all’interazione tra
studenti. Offrono input comprensibili che stimolano l’apprendimento.
La grammatica è considerata in senso ampio: fornisce indicazioni su come comportarsi nelle varie situazioni
comunicative per guidare il discente nella comprensione e nella produzione. Norme con cui parlanti e
ascoltatori orientano i loro comportamenti. Prendono in considerazione anche i valori culturali che stanno
alla base di un determinato comportamento. Svilupperanno nel discente la consapevolezza del nesso tra
lingua e cultura. 2 approcci: esplicito o implicito.
L’approccio esplicito è basato sulla convinzione che l’apprendimento sia un processo imitativo, quindi si
fanno apprendere al discente delle regolarità pre-analizzate.
Il secondo approccio invece è di tipo costruttivista, propone la scoperta di regolarità presenti nella lingua e
una loro sistematizzazione progressiva. Quest’ultimo metodo dà impulso alla riflessione metalinguistica e
quindi alla discussione, alla riflessione. La struttura, le regolarità della L2 possono quindi incoraggiare la
comunicazione. Bisogna integrare i due aspetti.
Tutto questo però non porta all’integrazione della componente culturale soprattutto con apprendenti
principianti in cui per l’insegnamento si fa riferimento a situazioni convenzionali, stereotipate, poco
connotate culturalmente.
Terza tappa orientamento centrato sul discente, bisogna individualizzare gli scopi di apprendimento e
insegnamento. Il discente è al centro del processo, i contenuti non hanno la centralità. In questo senso, la
pianificazione del programma, verifica e valutazione non possono essere rigide.
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Scopi d’insegnamento:
- Totalità dell’esperienza educativa: il discente deve impegnare tutte le sue facoltà, non soltanto
quelle intellettive ma anche quelle relazionali, emotive. Vengono proposte attività creative.
- Sviluppo della dimensione affettivo-emotiva
- Allargamento dell’esperienza. Apprendimento basato sulla scoperta e sulla possibilità di fare nuove
esperienze.
Riflessi sulla prassi didattica:
- Importanza agli aspetti psicologico-affettivi e relazionali
- L’insegnante è l’animatore di processi creativi
- Il discente ha una parte di responsabilità
- è importante il “come”
- i contenuti di insegnamento sono funzionali
- il concetto di esercizio viene sostituito dall’attività (dal prodotto al processo)
La psicologia assume un ruolo sempre più rilevante negli approcci didattici. Prima la centralità era delle
teorie descrittive dell’oggetto d’insegnamento; adesso l’attenzione maggiore è rivolta alla figura
dell’apprendente, ai suoi bisogni e desideri.
Il discente deve sviluppare tutte le abilità a lui necessarie per ampliare l’apprendimento e ovviamente,
anche auto valutarsi.
Psicologia umanistica: concezione ottimistica della natura umana, costruttiva.
- Lo studente deve partecipare totalmente al processo e controllarlo
- L’insegnamento è basato su problemi sociali e personali
- L’autovalutazione è importante
Un ramo della psicologia umanistica è quello della psicologia direttivaal centro del processo di
insegnamento/apprendimento c’è la concezione dell’uomo, della società e dell’interazione con gli altri.
Psicologia direttiva: l’uomo sviluppa le sue abilità se gestisce il suo apprendimento. Sostiene l’interazione
tra esseri umani.
Si oppone alla pedagogia trasmissiva dove gli scopi di insegnamento sono definiti dagli insegnanti e non c’è
spazio per i desideri e i bisogni del singolo.
L’educatore non è al centro, non deve insegnare ma rende possibile e facilitare l’apprendimento.
L’insegnante deve promuovere lo sviluppo di autonome capacità da parte del discente.
1. Identificare il suo modo di apprendere
2. Sviluppare le strategie
3. Adottare obiettivi di apprendimento perseguibili, in tempi realistici
4. Sviluppare l’autovalutazione.
L’insegnante crea dei curricula differenziati che tengono conto dei bisogni del singolo apprendente, del suo
stile di apprendimento e del bagaglio di esperienze e conoscenze che possiede già.
In un contesto sempre più plurilingue, è importante che il discente impari almeno altre due lingue straniere
oltre alla sua lingua madre.
Allo stesso tempo è importante che sviluppi la competenza comunicativa interculturale: capacità di
relazionarsi con persone di altre culture, di parlare la loro lingua e anche di saper usare strategie adeguate
in ogni contesto. L’apprendimento in questo senso è supportato anche da altre attività: scambio culturale,
sviluppo di contatti linguistici, apprendimento CLIL. Tutte le modalità vanno coordinate e pianificate fino
alla valutazione.
Un aiuto per lo sviluppo della competenza interculturale viene dalle nuove tecnologie: sono un insieme di
risorse variegate e realistiche. Il discente ha ruolo attivo in quanto esplora le informazioni che trova e
scopre le diverse culture.
L’altro metodo è rappresentato da percorsi formativi CLIL in cui si integrano disciplina e lingua. Per
esempio, una porzione del curriculo può essere fatto in lingua in modo da sviluppare la lingua attraverso la
disciplina e viceversa.
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Oppure, in alternativa, si può operare in maniera contrastiva: mettere a confronto le culture delle diverse
lingue studiate prendendo spunto da testi che riflettono contesti e situazioni reali. Il discente anche in
questo caso ha ruolo attivo, si auto gestisce e sviluppa la sua autonomia.
Nei corsi di lingua, si insegnano non solo la struttura della lingua ma anche la cultura o civiltà.
Civiltà informazioni culturali scelte in base ai contenuti tematici finalizzati allo sviluppo della competenza
linguistica. Hanno lo scopo di sviluppare una familiarità con il contesto socioculturale in cui la L2 viene
usata. Le informazioni culturali sono strumentali all’insegnamento delle strutture linguistiche.
Tylor cultura e civiltà sono sinonimi: la cultura o civiltà è quell’insieme che include la conoscenza, le
credenze, l’arte, la morale, il diritto, il costume e qualsiasi altra capacità e abitudine acquisita dall’uomo
come membro di una società.
Altri studiosi invece affermano che si devono separare le due cose soprattutto se si parla in chiave didattica.
Nella classe di lingua straniera, ci sono due metodi per insegnare la cultura: dotando i corsi di lingua di
informazioni culturali oppure promuovendo periodi di permanenza nel paese di cui studiamo la lingua.
In questo senso, la cultura è intesa come prodotto, come produzione materiale e si divide in:
- Cultura alta: prodotti culturali di un popolo (es. produzione musicale, artistica)
- Cultura istituzionale: aspetti organizzativi di tipo collettivo (sistema politico, economico)
- Cultura quotidiana: stili di vita, abitudini e tradizioni.
Contrariamente a quanto si pensa, la permanenza nel paese straniero non produce necessariamente
apprendimento della cultura in quanto l’apprendente si trova immerso in una cultura che non conosce
senza prima aver ricevuto il giusto supporto per poterla esplorare.
La competenza interculturale quindi si sviluppa solo quando il discente è in grado di operare confronti tra la
sua cultura e quella del paese straniero e riflettere su di esse.
Cultura come processo l’insegnamento della cultura, secondo questo approccio, è finalizzato a rendere
gli apprendenti consapevoli del sistema di norme e valori, modi di vedere della comunità di cui studiano la
lingua, condivisi dalla comunità stessa. Il termine cultura si riferisce ad ideali, tradizioni e valori che
vengono accettati come giusti.
Il modo di comportarsi nelle diverse culture diventa di centrale importanza soprattutto per quanto riguarda
le interazioni con gli altri. La lingua e il discorso esprime appieno il rapporto tra lingua e cultura in quanto si
influenzano. Attraverso il discorso si possono individuare i modi in cui gli appartenenti ad una cultura
costruiscono i rapporti sociali, esprimono le loro intenzioni comunicative e le loro emozioni. La cultura
determina quali siano i registri e le varietà linguistiche appropriate alle varie situazioni.
Sviluppare una competenza in cultura 2 significa acquisire si informazioni materiali e fattuali ma
anche conoscere l’insieme di regole che sta alla base dei comportamenti ritenuti socialmente
corretti.
Prospettiva interazionista: basata sulla nozione di competenza comunicativa introdotta negli anni 70 del
‘900. Critica la nozione di competenza linguistica focalizzata sugli aspetti grammaticali di una lingua e sulle
regole che la governano. Per conoscere una lingua è necessario aggiungere la competenza
sociolinguistica si realizza linguisticamente gli atti di una lingua seguendo gli aspetti socioculturali della
lingua stessa, a seconda del contesto.
Competenza comunicativa prende spunto dalla teoria degli atti linguistici di Austin. È la capacità di usare
gli atti linguistici, prendere parte ad eventi linguistici e comprenderli. Si integra con valori, attitudini e usi
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che riguardano la lingua. La componente culturale è quindi costituita dalle nozioni espresse tramite la
comunicazione linguistica.
Dimensione sociolinguistica e socioculturale della lingua
Competenza sociolinguistica= competenza comunicativa
Competenza socioculturale= contesto socioculturalecontesto più ampio. Non è possibile rapportare in
modo univoco le realizzazioni linguistiche a singole variabili situazionali o sociali. Il contesto socioculturale è
costituito da assunzioni implicite dei parlanti, dagli atteggiamenti, le credenze, il modo di pensare, i punti di
vista di una comunità. Ovvero valori secondo cui i discorsi che si realizzano possono essere interpretati e
prodotti.
Distinzione tra contesto del discorso e contesto della cultura.
Il primo formato da componenti socio situazionali individuabili nel momento stesso in cui si forma il
discorso, il testo; il secondo, formato da aspetto socioculturali non direttamente rilevabili, facenti parte di
una concezione più ampia che influenza i comportamenti comunicativi.
A livello pratico, è molto difficile realizzare una didattica interculturale. Ancora oggi, le scuole resistono a
questi cambiamenti drastici che invece sarebbero utili per affermare un nuovo modo di vedere le cose.
Insegnamento di una lingua 2: sviluppare competenza comunicativa e culturale ma anche promuovere
l’incontro tra differenze, sviluppare senso di empatia verso l’altro oltre che le abilità di riflessione e analisi
di lingua e cultura. Educazione alla tolleranza, al confronto= consapevolezza culturale critica. Sviluppare un
atteggiamento di disponibilità, curiosità e interesse per forme diverse di cultura, comportamenti, valori e
credenze.
Questa consapevolezza critica si sviluppa se il discente si chiede come la sua cultura si relazioni con la lingua
e la cultura straniere; dovrà integrare culture differenti nella propria.
L’interculturalismo però produce perdita di sicurezza nell’individuo e paura di perdere la propria identità.
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Didattica per competenze: sviluppo di un sillabo che mette al centro le competenze da sviluppare.
Competenza intesa come abilità ma anche atteggiamento. Potenzialità o messa in atto di prestazione che
comporti l’impiego congiunto di atteggiamenti e di motivazioni, conoscenze, abilità e capacità finalizzata al
raggiungimento di uno scopo.
Caratteristiche: organizzazione, articolazione, contestualizzazione, flessibilità.
Le competenze hanno carattere multidimensionale, evolutivo e mutevole nonché interdisciplinare. Il
possesso di competenze non è direttamente verificabile ma soltanto inferibile dalle prestazioni, dalle azioni
complesse.
Curricolo centrato sull’apprendente:
il punto di partenza è un’analisi dei bisogni comunicativi e delle caratteristiche individuali dell’apprendente.
Ne viene fuori una sorta di portfolio.
Un aspetto importante è la formazione dei gruppi classe: solitamente il gruppo viene costituito secondo
parametri rigidi (età, livello di conoscenza della lingua). Questi parametri però spesso sono demotivanti
perché non permettono al discente di svilupparsi. Si predilige lo spostamento dell’allievo da un gruppo ad
un altro.
I contenuti del sillabo sono negoziati tra insegnanti ed allievi.
Si focalizza l’attenzione su come insegnare e queste modalità sono frutto di negoziazione. Spesso
insegnante ed allievi hanno visioni completamente diverse: le attività che per gli insegnanti risultano utili
all’apprendimento, non è visto di buon occhio dalla controparte. Per entrambi però è importante la
conversazione.
La valutazione non deve essere necessariamente l’ultima fase del procedimento bensì un momento
ricorrente utile sia agli allievi che agli insegnanti. I primi si rendono conto di cosa hanno appreso, i secondi
verificano che il loro metodo sia efficace. In caso contrario, si possono negoziare metodi diversi.
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Discente: ruolo centrale all’interno della programmazione del curricolo. Adesso è necessario indagare sulle
sue necessità, bisogni e desideri cooperazione tra insegnanti e discenti= apprendimento mirato e utile al
discente.
Analisi dei bisogni si arriva ad obiettivi specifici di insegnamento. Quest’area di ricerca nasce negli anni
settanta del secolo scorso quando il Consiglio d’Europa ha dato inizio ad un progetto di riferimento per
tutte le lingue, che divide i materiali linguistici in unità raggruppabili in modo diverso a seconda dei fini di
apprendimento del discente. (valutato oggettivamente tramite i livelli soglia livelli minimi di conoscenza
linguistica per comunicare in situazioni quotidiane).
Inizialmente era indirizzata ad un pubblico adulto che sapeva con precisione quali fossero i suoi desideri e
bisogni comunicativi utili per organizzare al meglio il corso.
Ci si basava sulle situazioni comunicative che il discente doveva affrontare e le operazioni (atti comunicativi)
che si realizzano.
Successivamente sono stati inseriti anche studenti; sono stati classificati ed è emerso che l’analisi dei loro
bisogni comunicativi aiuta nella creazione dei materiali didattici. Si costruiscono sillabi nozionali-funzionali e
non soltanto grammaticali.
La nozione di bisogno in questo senso però, è vista come una cosa statica e determinata. Non si tiene conto
del possibile cambiamento. I bisogni infatti cambiano col tempo e le circostanze. Sono state mosse delle
critiche nei confronti dei repertori, dei materiali didattici che non tengono conto di questa caratteristica.
Adesso si tende a considerare i bisogni linguistici non come regole grammaticali da imparare ma come
operazioni, processi, abilità che serviranno poi al discente per comunicare in L2 in situazioni reali. Si parla di
bisogni comunicativi invece che di bisogni linguistici.
La lingua è un mezzo per arrivare ai veri obiettivi, ovvero i comportamenti. Bisogna quindi sviluppare abilità
e competenze che sottostanno alla performance linguistica.
L’insegnante dispone di vari strumenti con cui controllare e analizzare le motivazioni, necessità e i bisogni
dei discenti in modo soggettivo.
L’analisi viene fatta a diversi livelli:
- Globale: individua i contesti e le situazioni in cui gli studenti necessitano della L2 e le attività
linguistiche che mettono in atto
- Tipi di testo e discorso: individua i testi e i discorsi che ricorrono nelle situazioni identificate
- Strutturale: i modi in cui la forma linguistica costruisce l’informazione.
Tra gli strumenti più utilizzati ci sono l’intervista e il questionario. Entrambi servono per aiutare gli studenti
a riflettere sui loro bisogni e renderli consapevoli di questi bisogni. Allo stesso tempo, servono
all’insegnante per conoscere i suoi allievi.
Analisi dei bisogni racconta e analisi di informazioni utili all’organizzazione e alla gestione di un corso di
L2 destinato ad un particolare gruppo di discenti. Le informazioni sono utili per scegliere i contenuti, le
abilità e le competenze da privilegiare, nonché le attività da proporre.
I discenti in questo modo si sentono più coinvolti, più motivati perché trovano nell’insegnante un supporto.
Inoltre, il cambiamento dei bisogni durante l’apprendimento è motivo di discussione e confronto.
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Un miglioramento di questi esercizi può essere la contestualizzazione delle frasi che vengono riferite ad una
stessa situazione. Si creano così esercizi di domanda/risposta, risposta/commento: si usa la stessa formula
ampliando però il contesto.
Una forma di pratica comunicativa è la creazione dei cosiddetti compiti tipo di esercitazione da portare a
compimento in coppia o piccoli gruppi. Bisogna trasmettere un’informazione di cui l’interlocutore
necessita. Ovviamente tra i due c’è divario informativo. Non come nelle attività tradizionali in cui
l’insegnante poneva domande delle quali conosceva già la risposta (poco motivante).
Progetto nozione da intendere in 2 modi: sviluppo di una didattica comunicativa basata su un insieme
coordinato di compiti; oppure una didattica a sé che mira ad un’educazione autonoma dell’apprendente
che agisce per raggiungere uno scopo.
Progetto come connessione di compiti: progetti di 3 tipi
- Testuali
- Di scambio di corrispondenza
- Di ambiente
I primi due tipi sono condotti in classe; il terzo ha bisogno di un contatto diretto con i parlanti nativi e la L2 è
la lingua di comunicazione. Progetti intesi come mezzo per apprendere nuove conoscenze oppure un modo
per approfondire conoscenze già possedute. Sicuramente i progetti più complessi sono quelli del terzo tipo
in quanto sono ad alto grado di comunicazione, in situazioni reali. Ovviamente sono anche quelli più utili.
Oltre alla competenza linguistica, i discenti sviluppano anche quella organizzativa, relazionale e gestionale.
Alto livello di cooperazione. In questo modo i discenti diventano autonomi; modello didattico orientato
all’azione. Si ampliano le varietà di materiali e questo porta ad aumento di motivazione e interesse.
L’apprendimento non è più trasferimento di informazioni dall’insegnante al discente ma partecipativo sia
tra gli allievi che tra questi e l’insegnante che diventa una guida.
Il progetto rientra nella didattica attiva modalità educativa non mirata esclusivamente al prodotto, cioè
all’acquisizione di conoscenze disciplinari bensì alla crescita dell’individuo.
Nell’insegnamento tradizionale si presentano ai discenti i contenuti in modo sistematico, sequenziale. Nei
progetti si apprendono le conoscenze che servono per la conduzione del progetto stesso.
Caratteristiche della didattica per progetti:
- Rapporto tra progetto e contesto
- Modello organizzativo stabilito da portare avanti per tutta l’attività: fasi e tempi specifici
- Risorse: materiali ma anche umane
Cosa impara l’apprendente:
- A progettare
- Valutare e autovalutarsi
- Acquisisce strategie metacognitive
- Acquisisce capacità di comportamenti sociali e collaborativi
- Riflette sui propri punti di forza e limiti
- Apprende conoscenze procedurali
- Utilizza abilità in contesti reali e autonomamente
Nei contesti scolastici tradizionali, l’insegnante si pone sempre ad un livello superiore rispetto agli alunni e
non vengono incoraggiate le attività collaborative tra questi ultimi; adesso si sta affermando il modello
educativo contrario: la cooperazione tra allievi è fondamentale. Attraverso il lavoro di gruppo si
raggiungono risultati migliori e ognuno prende consapevolezza delle proprie capacità, riflette sulla propria
identità. A livello della classe, la cooperazione crea maggiori occasioni di uso linguistico, promuove la
negoziazione dei significati.
Concetto di pedagogia non direttiva: il compito dell’insegnante non è quello di insegnare ma quello di
rendere possibile l’apprendimento.
Capitolo 11: controllo e lavoro di riparazione
Nell’apprendimento di una L2 la fase del controllo, feedback e valutazione sono molto importanti perché
aiutano insegnanti e discenti a rendersi conto del livello raggiunto. Allo stesso modo però, bisogna stare
attenti a come queste correzioni vengono attuate: non tutti gli errori sono uguali, non tutti devono essere
per forza corretti.
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Errore deviazione da una regola o da una norma in vigore nella lingua e cultura 2. Inizialmente, le teorie
didattiche avevano etichettato l’errore come qualcosa da evitare assolutamente e da correggere in ogni
caso; col tempo si è scoperto che non è sempre così. Spesso l’errore risulta da un’ipotesi deviante che
l’apprendente fa riguardo alle regole della lingua. In questo senso, si vede l’aspetto creativo (e in parte
logico) della produzione di un errore; è quindi una riflessione del discente. Più l’interlingua viene sviluppata,
più sarà facile correggere gli errori ed evitarne la produzione. Oppure l’errore può essere frutto di
interferenza con altre lingue.
La correzione degli errori è spesso dannosa per gli studenti perché sentono di aver fallito e si demotivano.
Lavoro di riparazione trattamento dei problemi che sorgono durante l’uso linguistico interattivo. Lavoro
di aggiustamento che ha luogo tra parlanti ed ascoltatori durante l’interazione. È un importante
meccanismo di feedback e di controllo per il discente. Evita di sottolineare l’errore che non viene
evidenziato. Questo tipo di mitigazione viene fatto soprattutto in comunicazione realistica, fuori dal
contesto didattico. Ma spesso viene utilizzata anche in classe per rendere tutto più accettabile da parte
degli studenti. Questi ultimi, attraverso la riparazione, sviluppano capacità metacognitiva e metalinguistica:
imparano cioè ad autovalutarsi.
3 macrocategorie di attività:
- Orientate al codice; focalizzano la struttura della L2
- Orientate al messaggio; trasmissione di informazioni
- Orientate all’attività didattica; focalizzate sull’organizzazione dell’ambiente classe
Tutti i tipi di attività possono dar luogo a:
- Riparazione conversazionale (o congiuntiva): mirante ad aiutare
- Riparazione mirante a valutare (disgiuntiva)
Nella comunicazione autentica, tra nativi e non nativi, ci sono diversi metodi con cui i primi possono
monitorare e correggere la produzione linguistica dei secondi. Le modalità dipendono dal tempo che
intercorre tra produzione deviante e riparazione e la forma che questa assume.
La riparazione può aver luogo quasi contemporaneamente al comportamento verbale e produce spesso
autocorrezione tramite per esempio parafrasi .
Il secondo tipo è leggermente in ritardo rispetto al comportamento ed è sottolineato dal nativo con segnali
di non comprensione oppure tramite la richiesta di riformulare l’enunciato.
Il terzo tipo è una riflessione, assume forma di metacomunicazione e non è immediata al comportamento.
La riparazione che un non nativo rivolge al nativo può avere forme diverse.
- Richiesta di aiuto: frequente negli stadi iniziali di apprendimento di L2. Avviene velocemente e
senza conseguenze sul proseguimento della discussione. È di natura lessicale.
- Richiesta di spiegazione: sequenze analitiche che interrompono il tema. Il parlante nativo in questo
caso prende il posto dell’insegnante formale e si addentra in una spiegazione molto dettagliata
delle strutture linguistiche.
Riparazione iniziata dal nativo:
è molto frequente e mira ad aiutare il non nativo nella comprensione o nella produzione di enunciati in L2
ma anche ad eliminare un elemento di disturbo, non per forza un errore.
- Riparazione ad incastro: non corregge un errore ma piuttosto un elemento disturbante per il nativo.
Avviene durante il turno del non nativo ma non fa deviare la comunicazione. Si manifesta con la
semplice ripetizione dell’elemento problematico; è poco esposta e non demotiva il non nativo.
Quest’ultimo procede sempre alla ratifica.
- Riparazione in forma di commento: elimina incomprensioni e ambiguità. Interrompe
temporaneamente il flusso del discorso con la ripetizione dell’elemento problematico e un
commento. È più esposta e potenzialmente minacciosa.
- Richieste di spiegazioni vere e proprie: il nativo richiede una ripetizione
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Riparazione in classe:
- correzione in contesto istituzionalizzato è unidirezionale e quindi può provocare frustrazione.
- bisogna limitarsi nel correggere.
- gli insegnanti danno più valore all’errore piuttosto che alle forme corrette.
- gli errori non sono tutti uguali e nemmeno i contesti in cui appaiono. La riparazione deve variare a
seconda dell’attività.
- Non bloccare la produzione linguistica di un discente impedendogli di riflettere sulla sua produzione
e magari di correggersi.
- attuare meccanismi di riparazione attiva, di discussione tra insegnante ed allievi e promuovere la
cooperazione, l’interazione.
- correggere in maniera indiretta in modo che il discente abbia la possibilità di sviluppare
autocontrollo e autovalutazione per sviluppare la sua interlingua.
Due metodi per operare in questo senso:
- Registrare il roleplay attuato all’interno della classe; riascoltarlo e focalizzare l’attenzione degli
studenti sulle possibili deviazioni fatte, in modo che questi imparino a classificare gli errori e
possano riflettere sulle cause e conseguenze proponendo poi una possibile correzione.
- Automonitoraggio: in fase di valutazione, viene inserita la possibilità per il discente di commentare
la propria produzione.
Più autonomia porta a più capacità di autocontrollo= sviluppo dell’interlingua = miglioramento.
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Richiedono agire linguistico: impiego di mezzi linguistici per compiere delle azioni
I mezzi sono determinati dalle circostanze
Si portano a termine compiti “naturali” fuori dal contesto classe
Sono valutati secondo una scala di naturalezza. Il test “naturale” permette all’allievo di costruire
l’interazione come preferisce. L’unica indicazione è una traccia, senza ulteriori precisazioni. Sono esercizi
difficili da preparare, correggere e valutare.
Sottocompetenza linguistica: valutata in modo parziale o integrato a seconda che vengano isolati punti
specifici della grammatica o che si verifichi la capacità globale.
Sottocompetenza sociolinguistica: capacità di capire e produrre atti linguistici senza riferimenti al contesto
di tali atti.
Sottocompetenza strategica: abilità di selezionare i mezzi efficaci per portare a compimento un atto
comunicativo. Un modo è far analizzare scambi comunicativi autentici per permettere agli apprendenti di
riflettere sulle modalità usate.
La produzione orale mette invece dei limiti alla comparabilità e quindi anche alla valutazione precisa. Sono
stati fatti degli esperimenti, delle ricerche per decidere quali competenze orali si dovesse verificare, quali
dovessero essere i criteri di valutazione. È emerso che si valutano competenze trasversali, ricorrenti in
molte situazioni comunicative. Il criterio valutativo era quello dell’intelligibilità ovvero la comprensibilità.
Se il compito non è stato portato a termine in maniera intelligibile significa che: la cattiva pronuncia, il
vocabolario insufficiente o inadeguato, l’incapacità di costruire frasi impediscono la comprensione.
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