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Nel Cerchio della Creazione

Educazione e saggezza dei popoli nativi

In the Circle of Creation


Education and Wisdom of Native Peoples

a cura di Carlo Baroncelli e Simone Mazzata


Si ringrazia per la collaborazione
.

Comune di Castegnato

e Elena Plodari, per il lavoro di traduzione di alcuni contributi.

Si ringraziano per il patrocinio


UNESCO, Earth Charter International, Green Cross
International, Ministero dell’Ambiente e della Tutela del
Territorio e del Mare, Università Cattolica del S.Cuore -
Facoltà di Scienze della formazione, Regione Lombardia - DG
Qualità dell’Ambiente, Provincia di Brescia – Assessorato
all’Ambiente.

Un grazie particolare va a Giambattista Zani dell’azienda


Euroimpianti (Cazzago S.Martino – BS), che ha sostenuto
concretamente la pubblicazione.

Redazione: Carlo Baroncelli e Pierrepi


Progetto grafico e copertina: Pierrepi
Stampa: Tipografia camuna spa, giugno 2008
Dal 2002 la Fondazione Cogeme Onlus impegna significative
risorse per divulgare la Carta della Terra e le sue straordinarie
potenzialità educative, verso una cultura della sostenibilità.
Nel corso degli anni, grazie anche alle relazioni instaurate con le
istituzioni locali e internazionali e con il mondo accademico,
quest’opera di diffusione ha raggiunto promettenti risultati e ora
possiamo dire che, anche grazie all’opera della nostra piccola
Fondazione, questo documento, indicato dall’UNESCO come uno dei
riferimenti educativi principali nel Decennio 2005-2014
sull’Educazione allo Sviluppo Sostenibile, è conosciuto e viene
utilizzato in modo crescente sia sul piano accademico, sia sul piano
educativo e didattico, non solo a livello locale.

Il presente volume nasce dal consueto evento internazionale, che


si è tenuto nel novembre 2007.
Dopo una prima parte dedicata alle esperienze educative locali e
internazionali ispirate alla Carta della Terra, la seconda sezione
raccoglie la testimonianza di Manitonquat, cantastorie e capo
spirituale della tribù dei Wampanoag (Boston – USA), che ha saputo
trasmettere in modo suggestivo la profonda saggezza del suo popolo
nell’educazione dei bambini.
Con la terza parte prosegue l’opera di documentazione della vita
di Vittorio Falsina e del suo amore per la Terra, in particolare del suo
stretto e diretto rapporto con i Nativi, mentre la quarta parte del
volume presenta un’originale e inedita ricerca che indaga la relazione
tra i Nativi Americani e l’educazione. Obiettivo di quest’ultimo lavoro,
coordinato in modo puntuale da Carlo Baroncelli e realizzato da un
affiatato gruppo di docenti e stagisti, è quello di rintracciare
nell’esperienza delle comunità dei Nativi - che il pensiero ecologico
contemporaneo propone come modelli di vita sostenibile - utili
indicazioni per fondare una moderna educazione alla sostenibilità.
Nell’ultima parte, infine, vengono offerti documenti utili a precisare
meglio il contesto in cui si muove il progetto sulla Carta della Terra.
Buona lettura.

Giovanni Frassi
Presidente Fondazione Cogeme
Onlus
Gli anziani Dakota erano saggi. Sapevano che il cuore
di ogni essere umano che si allontana dalla Natura si
inasprisce. Sapevano che la mancanza di profondo rispetto
per gli esseri viventi e per tutto ciò che cresce, conduce in
fretta alla mancanza di rispetto per gli uomini. Per questa
ragione il contatto con la Natura, che rende i giovani capaci
di sentimenti profondi, era un elemento importante della
loro formazione.
Orso in piedi (Lakota)
Sommario
P ARTE U NO
pag. 9 L A C ARTA DELLA T ERRA PER UN ’ EDUCAZIONE
SOSTENIBILE
Earth Charter: toward a sustainable education

pag. 11 Saluti introduttivi


Giambattista Frassi, Presidente Fondazione Cogeme Onlus
Giuseppe Orizio, Sindaco di Castegnato
Maria Luisa De Natale, Prorettore Università Cattolica
S.Cuore

pag. 17 La Carta della Terra: principi educativi per la


sostenibilità
pag. 21 Educate for a sustainable way of life with the Earth
Charter
Betty McDermott, Project coordinator for Earth Charter
International

pag. 25 Progettare nella scuola con la Carta della Terra.


L’esperienza di Castegnato
Planning at School with Earth Charter. The
Experience of Castegnato Municipality (Italy)
Elia Ravelli, Dirigente istituto comprensivo “Vittorio
Falsina” di Castegnato (BS)

pag. 31 Sostenibilità educativa, culture native, salvaguardia


del Creato
Sustainable Education, Native’s Cultures and Care of
the Creation
Pierluigi Malavasi, Professore Ordinario di Pedagogia
generale - Università Cattolica S. Cuore di Brescia

pag. 37 P ARTE D UE
M ANITONQUAT (L A STORIA CHE CURA )
Manitonquat (Medicine Story)
pag. 39 Presentazione di Manitonquat
Luca De Santis

pag. 41 Nel Cerchio della Creazione


pag. 51 In the Circle of Creation
Manitonquat (Medicine story), storyteller della tribù dei
Wampanoag (Boston – USA)

pag. 61 Crescere i bambini nella gioia


Manitonquat (tratto da “ritorno alla creazione”)

pag. 79 P ARTE T RE
V ITTORIO F ALSINA : L ’ ESPERIENZA CON I N ATIVI E LE
RADICI SPIRITUALI DELLA C ARTA DELLA T ERRA
Vittorio Falsina: the experience with Natives Peoples
and the spiritual roots of the Earth Charter

pag. 81 Re-incantare la vita delle persone: Vittorio Falsina


pag. 82 Re-enchanting people’s life: Vittorio Falsina
Mirian Vilela, Executive Director Earth Charter
International (Costa Rica)

pag. 83 Incrociando i popoli nativi. Vittorio Falsina e i suoi


dodici anni di cammino con i Nativi Americani
Crossing Native Peoples. Vittorio Falsina’s
Experience With Native Americans.
Claude Rigodanzo

pag. 89 Una valutazione filosofica


pag.105 A Philosophical Appraisal
Vittorio Falsina, Harvard University - Center for the Study
of World Religions

pag.119 P ARTE QUATTRO


N ATIVI A MERICANI ED EDUCAZIONE : UNA PRIMA
RICOGNIZIONE
Native Americans and Education: A First Review
Elisa Cazzamalli, Laura Guerini, Alberto Turelli
Coordinamento: Carlo Baroncelli, docente di Scienze della
Terra – Università Cattolica S.Cuore di Brescia
pag.121 Prefazione
Simone Mazzata, Segretario Fondazione Cogeme Onlus

pag.125 1. Presentazione della ricerca


pag.131 2. Popoli nativi e sostenibilità
pag.155 3. Il legame con la Madre Terra
pag.169 4. Il valore dell’educazione presso i Nativi americani
pag.193 Postfazione
Carlo Baroncelli
pag.197 Bibliografia e sitografia
pag.207 Sitografia

pag.211 D OCUMENTI
Documents

pag.213 La Fondazione Cogeme Onlus e la Carta della Terra.


Un impegno a favore della “qualità per la vita”.
(a cura di) Laura Guerini e Simone Mazzata
pag.223 The Experiences of Fondazione Cogeme Onlus in
Implementing the Earth Charter in collaboration with
the Catholic University of Brescia and the Community
of Castegnato.
Simone Mazzata and Betty McDermott, in collaboration
with Elena Plodari

p.231 Programma del Convegno


Programm of the Congress

p.235 La Carta della Terra


The Earth Charter

p.251 La Carta della Terra per i ragazzi


Earth Charter for Children
PARTE U NO
La Carta della Terra per un’educazione
alla sostenibilità

Earth Charter: toward a sustainable education


Saluti introduttivi

Giambattista Frassi
Presidente Fondazione Cogeme ONLUS

Grazie per aver raccolto il nostro invito a partecipare a questa


importante iniziativa, che ci sta particolarmente a cuore.
Il mio grazie va a tutti gli ospiti e, in modo speciale, a quelli che si
sono sobbarcati un lungo viaggio per proseguire insieme a noi questo
percorso.

La Fondazione Cogeme Onlus è un piccolo organismo non profit


nata per scopi di solidarietà sociale da Cogeme spa, multiutility di
proprietà di quasi 70 comunità locali bresciane e bergamasche.
Da sempre investiamo risorse e attenzione al settore ambientale
e, in particolare, alla diffusione di una cultura della sostenibilità,
principio che ci trova in piena sintonia con il nostro fondatore
(Cogeme).

Nel 2002, abbiamo parlato per la prima volta della Carta della
Terra, di questo documento etico che riassume le principali sfide
economiche, ambientali e sociali che l’umanità ha di fronte.
Avevamo organizzato questo evento per due motivi principali: per il
valore straordinario del documento e perché una delle figure che l’ha
elaborato è un bresciano, Vittorio Falsina.
Al convegno, presso l’Abbazia Olivetana di Rodengo Saiano,
invitammo uno sciamano andino, Hernan Huarache Mamani, di origine
inca, perché ci raccontasse, non solo con le parole ma anche con il
cuore, il suo rapporto speciale e profondo con la Madre Terra
(Pachamama), che è forse una delle lacune maggiori nella cultura
occidentale.
L’anno scorso, sempre in questa sede, abbiamo avuto ospite
Rubem Alves, uno straordinario pedagogista e poeta brasiliano, uno
dei maggiori intellettuali del Brasile ma poco conosciuto in Italia, che
sa andare diritto al cuore di questi temi, con grande passione e
capacità comunicativa.

Nel corso degli anni, abbiamo sostenuto, promosso e finanziato


numerose iniziative, che vorrei menzionare: cinque convegni
nazionali, due ricerche universitarie, sei pubblicazioni, circa 30 tesi di
laurea, decine di interventi didattici con scuole del territorio.
Attualmente, inoltre, la fondazione ha tre stagisti al proprio interno su
questo tema
Grazie anche al nostro impegno, il Comune di Castegnato, paese
natale di Vittorio Falsina, ha adottato la Carta come mission culturale
della comunità. Oggi è rappresentato dal sindaco Giuseppe Orizio e
sostenuto dalla sensibilità dell’Assessore Adriano Orizio, che
ringrazio. L’Istituto comprensivo scolastico, oggi rappresentato dal
prof. Elia Ravelli, si è intitolato a Padre Vittorio e ha adottato la Carta
come sfondo progettuale pluriennale per le proprie attività formative.

Nel nostro percorso, abbiamo attivato e consolidato rapporti con


prestigiosi enti istituzionali:
- l’Università Cattolica, in particolare con la Facoltà di Scienze
della Formazione di Brescia, che ha sviluppato uno specifico filone
di studi interno dedicato alla Carta della Terra; oggi questo Ateneo
è qui rappresentato dal prorettore, prof.ssa Maria Luisa De Natale
e dal prof. Pierluigi Malavasi;
- Earth Charter International, con sede in Costarica nell’Università
della Pace ONU e sede del programma UNESCO sull’educazione
allo sviluppo sostenibile, l’organismo che diffonde a livello
mondiale la Carta della Terra e di cui la fondazione è divenuto un
membro affiliato a tutti gli effetti. Oggi questo organismo è qui
rappresentato da Betty McDermott, responsabile dei progetti
educativi;
- Green Cross International, sezione italiana, organismo
internazionale fondato da Gorbaciov e promotore della Carta della
terra;
- anche il Ministero dell’Ambiente, la Regione Lombardia
(Direzione generale per la Qualità dell’Ambiente) e la Provincia di
Brescia (Assessorato all’Ambiente) hanno dato il loro patrocinio.
- in questa edizione, anche la sede mondiale UNESCO di Parigi ha
patrocinato l’iniziativa, riconoscendone il valore nel quadro del
Decennio ONU sull’educazione allo sviluppo sostenibile.

La Fondazione intende proseguire nell’attività su questo


straordinario documento, essenzialmente su tre piani di lavoro:

1) quello accademico, proseguendo i rapporti già stretti con


l’Università Cattolica, con l’obiettivo di trasmettere ai futuri docenti
lo sguardo unificante sul mondo che offre questo documento;
2) quello pubblico, attraverso la divulgazione del documento e la
prosecuzione dei rapporti istituzionali, per aprire il nostro territorio
al mondo;
3) quello educativo, che riteniamo prioritario, e che vorremo
iniziare a declinare nelle scuole del territorio, prendendo spunto da
quanto fatto dalle scuole di Castegnato e da altre sul territorio, con
l’obiettivo di far crescere la consapevolezza di un rapporto più
corretto e profondo con la natura e l’ambiente.

In questo sforzo siamo sostenuti anche da Cogeme spa, il nostro


fondatore, con il quale i nostri progetti stanno trovando in questi anni
una speciale convergenza e sintonia. Ringrazio anche l’azienda
Electrometal, che ha contribuito alle spese di questo evento.

Un grazie speciale, infine, al testimone che abbiamo invitato qui


oggi: Manitonquat, che tradotto nella lingua nativa significa “La storia
che cura”.
E’ per noi un onore ospitare un saggio capo spirituale di una tribù
di Nativi americani, i Wampanoag, Nativi dai quali noi occidentali
abbiamo molto da imparare, se vogliamo garantirci un futuro degno di
questo nome.
Per questo vi auguro di ascoltarlo con la mente e il cuore aperti.

Un ringraziamento, infine, a tutti coloro che hanno reso possibile


questo evento, dal bibliotecario ai membri della commissione
comunale, al personale Cogeme, che ha garantito un’organizzazione
di alto livello, al segretario, Simone Mazzata, animatore insostituibile
della fondazione.
Giuseppe Orizio
Sindaco di Castegnato

A nome di tutta la comunità di Castegnato saluto i gentili ospiti e


tutti voi ed esprimo un grazie di cuore per aver voluto organizzare
questo incontro ancora una volta in questo nostro paese.
Ci fa piacere, in modo particolare, che venga utilizzato questo
spazio, una cascina di fine Settecento restaurata da pochi anni, che
rappresenta il cuore culturale della nostra comunità.

Essere qui a Castegnato è un segno di apprezzamento che


valorizza tutta la nostra comunità e l’Amministrazione comunale, che
ha voluto darsi la “Carta della Terra” come progetto culturale
coinvolgendo in questo, oltre al Consiglio comunale, i vari
Assessorati, la nostra scuola, la Biblioteca comunale Martin Luther
King, i gruppi e le associazioni del paese.

Ho già avuto modo di ricordare lo scorso anno che sul nostro


cammino di amministratori abbiamo provvidenzialmente incontrato
questo importante documento che ci ha aiutati nelle nostre riflessioni
ed anche nelle nostre scelte.
Nella Carta della Terra abbiamo trovato la felice sintesi di valori e
comportamenti che, se universalmente adottati, possono portare a
quel rispetto del creato ed a quella convivenza che unisce tutti gli
esseri umani nella pace.
Quella di oggi è ancora una volta una importante occasione per
valorizzare e ricordare, con il testo della Carta della Terra, il nostro
concittadino Padre Vittorio Falsina che ha contribuito alla sua stesura,
con la mente e la particolare intelligenza che gli è stata donata, ma
innanzitutto con il cuore.
E non è certo un caso se nella maturazione di padre Vittorio ha
notevolmente contribuito l’aver conosciuto, vissuto, e capito e
l’esperienza degli indiani del nord America che avremo anche noi il
piacere di apprezzare con la testimonianza di Manitonquat.

La Carta della Terra, con la sua positiva visione planetaria, “per” e


non “contro” qualcosa o qualcuno, ci aiuta ad avere quella visione
universale all’interno della quale il nostro “particolare” ha una ragion
d’essere più qualificata e significativa.
Buon lavoro
Maria Luisa De Natale
Prorettore Università Cattolica S.Cuore

Io sono qui a testimoniare l’attenzione per il tema del convegno e


il ringraziamento da parte dell’Università Cattolica del Sacro Cuore
alla Fondazione Cogeme Onlus e, naturalmente, al collega professor
Pierluigi Malavasi, che hanno realizzato questa sintesi di studio e
riflessione e, per certi versi, di provocazione educativa, nei confronti
di tutti noi e della comunità scientifica.

L’Università Cattolica ha avviato, attraverso questo incontro tra la


Facoltà di Scienze della formazione di Brescia e la Fondazione
Cogeme, un filone di indagine e ricerca che sarà senz’altro proficuo e
che contribuirà ad arricchire non solo la riflessione teorica, ma anche
gli ambiti operativi, in questo grande capitolo che la Carta della Terra
ci suggerisce a livello educativo, e che è il capitolo dell’educazione
ambientale e dello sviluppo sostenibile.

Una riflessione pedagogica che si occupa dell’educativo non può


trascurare, accanto alle relazioni tra le persone – e sappiamo che
l’educazione è sempre una relazione interpersonale – le relazioni tra
le persone e il proprio ambiente di vita e il senso di appartenenza,
che oggi viene a essere avvalorato e realizzato anche attraverso
questi studi di natura ecologico-ambientale.

Gli studi e le ricerche ci hanno reso consapevoli che il senso di


appartenenza è necessario per far crescere l’identità delle persone e
l’identità dei soggetti umani nei confronti del proprio ambiente di vita
richiede che quest’ultimo venga percepito ed avvertito, più che
compreso, perché vengono chiamate in causa anche risonanze
affettive ed emotive e suggestioni che sono difficilmente
razionalizzabili.
Gli studi, infatti, confermano che le nostre risonanze affettive
riguardano non solo gli attaccamenti alle persone, ma anche e
soprattutto il senso di appartenenza ai luoghi.
La testimonianza che ascolteremo oggi ci darà, al proposito, un
esempio di questo attaccamento al luogo natìo, luogo dove si formano
le prime esperienze di vita e dove tutte le esperienze assumono
senso e significato.

Nella ricerca di senso e significato per la vita dei soggetti è


particolarmente importante e non trascurabile la sensazione che il
radicamento ad un ambiente comporta e questa sensazione richiede
però educazione, attraverso la declinazione di quelle categorie di
rispetto, di promozione e di intervento costruttivo che spesso sono
trascurate.
Oggi, tra l’altro, grazie a questo nuovo campo di indagine, sia la
scuola, sia la famiglia, sia l’extrascuola sono sollecitate a individuare
nuovi parametri e, quindi, ad arricchire la ricerca scientifica di nuove
piste da tracciare e da percorrere insieme, giovani ed adulti.

Per queste ragioni esprimo, a nome personale e dell’Università


Cattolica, il mio apprezzamento per questa iniziativa e ringrazio il
presidente della Fondazione e il collega Malavasi, che con tanta
coerenza e tenacia porta avanti questo filone di indagine.

Desidero esprimere anche l’augurio che, questa educazione di cui


noi parliamo negli ambiti universitari e accademici, possa diventare
effettivamente un’educazione per la vita, cioè un’educazione capace
di uscire dal chiuso delle biblioteche o degli istituti scientifici per
diventare elemento e alimento del nostro vivere comune e riuscire
anche a produrre quello che noi vogliamo in fondo come finalità
dell’educazione: un diverso stile di vita che, nell’arricchire le relazioni
tra le persone, aiuti anche a recuperare le relazioni con l’ambiente
naturale.

Pertanto, sono qui anche ad apprendere e a partecipare a tutti i


lavori e mi dispongo all’ascolto.
Grazie
La Carta della Terra: principi educativi per la
sostenibilità
Betty McDermott, Project coordinator for Earth Charter International

Buongiorno.
Mi dispiace molto di non parlare la vostra bella lingua, ma sono
molto felice di essere qui oggi. Adesso vedremo un video che si
chiama Un giorno sulla terra. È un video che è stato prodotto in
Brasile e dopo la sua visione parleremo della Carta della Terra.

Questo film ha mostrato l’impatto dell’umanità sul nostro pianeta.


Noi speriamo di trovare in voi e nei valori fondamentali della Carta
della Terra un futuro migliore per tutti noi.
Adesso vedremo una presentazione prodotta in Costa Rica sui
principi educativi della Carta della Terra i cui titolo è: Educare per uno
stile di vita sostenibile con la Carta della Terra, che consiste in
principi e valori per un futuro sostenibile. Cominceremo con questa
domanda: Qual è l’obiettivo dell’educazione? Gli argomenti di oggi
saranno: commentare la cornice politica dello sviluppo sostenibile;
rivedere il concetto di sviluppo sostenibile e di educazione allo
sviluppo sostenibile; conoscere la Carta della Terra come strumento
educativo e come cornice educativa, commentare qualche esempio
dell’uso della Carta della Terra nell’educazione in tutto il mondo;
riflettere come applicare l’educazione per lo sviluppo sostenibile nella
pratica educativa e condividerla con altri.

Cominciamo con la cornice politica. La principale cornice politica è


rappresentata dalla Decade Onu per l’educazione allo sviluppo
sostenibile, che va dal 2005 al 2014.
Che cos’è lo sviluppo sostenibile? L’idea principale è che i
problemi sociali sono in connessione con quelli economici ed
ecologici. La migliore definizione di sviluppo sostenibile per me è
quella che afferma che lo sviluppo sostenibile è quello sviluppo che
viene incontro ai bisogni della generazione presente senza
compromettere i bisogni delle generazioni future. E che cos’è
l’educazione per lo sviluppo sostenibile? L’educazione per lo sviluppo
sostenibile prepara tutti i popoli a confrontarsi con i rischi e risolvere i
problemi che riguardano la sostenibilità del nostro pianeta:
l’inquinamento, l’aumento demografico, gli sprechi…
I temi principali sono: la povertà, l’equità di genere, la salute, la
protezione dell’ambiente, i diritti umani, le trasformazioni rurali, i diritti
umani, la comprensione interculturale e la pace, la produzione
sostenibile e il consumo sostenibile, la diversità culturale,
l’informazione riguardo la tecnologia e le comunicazioni.

Quali sono le abilità che concorrono all’educazione per lo sviluppo


sostenibile? Un’abilità molto importante è quella di pensare in modo
critico nei confronti di ciò che vediamo. Comunicare in modo efficace
sia in forma scritta che orale. Abbiamo sempre più bisogno di saper
cooperare e collaborare con altri. Affrontare i problemi da una
prospettiva olistica, integrata e sistemica, cosa che non viene fatta
oggi.
Altre abilità sono: imparare nel corso di tutta la vita – cosa di cui si
sta occupando l’Università cattolica. Passare dalla comprensione
all’azione, non solo – quindi – conoscere cosa accade ma anche
agire.
Il processo di insegnamento-apprendimento dovrebbe essere
centrato sullo studente - cosa che tutt’ora non avviene -
contestualizzato e flessibile. Si tratta di partire dal contesto per
insegnare in una maniera appropriata. Inoltre dovrebbe essere
collaborativo, trasformativo, partecipativo e multidisciplinare. Il “come”
insegniamo è più importante di “cosa” insegniamo. Inserire
l’educazione allo sviluppo sostenibile all’interno di sistemi educativi
formali può rappresentare una sfida. Ciò dipende dalle caratteristiche
dei sistemi educativi di oggi, che sono competitivi e dove le
connessioni tra i temi insegnati sono molto deboli. L’insegnamento è
di tipo frontale e gli studenti non partecipano e i voti rappresentano la
principale motivazione. Dobbiamo cercare altre strade per
l’insegnamento.
Adesso parliamo più dettagliatamente della Carta della Terra.

Che cos’è esattamente? E’ una dichiarazione di principi etici per


costruire una società più giusta e durevole nel ventunesimo secolo.
Questo documento è stato elaborato attraverso un processo di
dialogo, alleanze e varie attività. Ci sono voluti sei anni per stendere
la Carta della Terra e ci sono voluti molti incontri internazionali.
Il nucleo della Carta della Terra è il rispetto per la comunità nella
vita. Gli altri principi sono l’integrità ecologica, la giustizia economica
e sociale, la pace e la democrazia.
Alcuni dei temi principali della Carta della Terra sono:
l’interdipendenza che è un principio fondamentale, tutti noi
dipendiamo dalla natura e dalle altre persone; la comunità della vita,
che significa considerare l’umanità come un’unita, come i nativi ben
sanno; la responsabilità universale, che significa pensare globalmente
e agire localmente; la pace e la non violenza e la responsabilità
differenziata, che consiste nel fatto che chi ha più mezzi ha una
maggiore responsabilità nell’agire.
I tre obiettivi educativi fondamentali della Carta della Terra sono:
la presa di coscienza, l’applicazione dei valori e l’invito ad agire.

Perché la Carta della Terra rappresenta una cornice unica per


l’applicazione dei valori? Prima di tutto perché ci offre un approccio
integrato che articola i principi per lo sviluppo sostenibile ed è uno
strumento pedagogico per la cultura della pace. Questi che vedete
sono due esempi di materiale educativo usato in Costa Rica (mostra
delle pubblicazioni, n.d.r.): c’è una guida per gli insegnanti e un testo
da usare nelle scuole secondarie. Solitamente cerchiamo di non
stampare troppo, ma molte persone in Costa Rica non hanno accesso
ad internet. Raggiungere le persone è un tema critico, perché nel
mondo solo il 4% delle persone ha accesso ad internet e solo il 7% ha
accesso ad un computer.
La sezione successiva riguarda il come alcune persone possono
usare la carta della terra nella loro vita professionale.
In Messico, all’interno di comunità molto povere, si è fatto un uso
molto creativo, artistico, della Carta della Terra. Alle Seychelles
organizzano corsi di aggiornamento per insegnanti sulla Carta della
Terra. Un bellissimo strumento è la carta della terra per i più piccoli
(Little Earth Charter), molto utile nella scuola primaria. Ancora in
Messico, c’è un esempio in contesto universitario di insegnamento da
parte di studenti ad altri più giovani. Poi abbiamo l’esempio di
Cogeme Onlus, dell’Università Cattolica e del Comune di Castegnato
che stanno usando la Carta della Terra e di questo siamo molto grati.
Questa è un’altra esperienza spagnola, nella quale le famiglie
mettono a disposizione lo 0,07% del loro budget familiare per
diffondere la Carta della Terra. Questi fondi arrivano all’università di
Granada e di altre università spagnole. Ancora in Messico, ad Agua
Caliente, molti materiali vengono usati con bambini di tutte le età; ci
sono dei libri per tutte le età.

Siamo arrivati alle conclusioni.


L’educazione per lo sviluppo sostenibile riguarda l’azione ma
anche i valori e - come abbiamo già detto - il “come” insegniamo è
importante tanto quanto il “cosa” insegniamo. Considerato il fatto che
non esistono molti materiali disponibili sullo sviluppo sostenibile è
necessaria la partecipazione attiva degli insegnanti per promuovere
l’educazione allo sviluppo sostenibile in modi creativi. La Decade
sull’educazione allo sviluppo sostenibile rappresenta la possibilità di
promuovere l’educazione alla sostenibilità a tutti i livelli. In
conclusione, la Carta della Terra ci fornisce una cornice educativa e
valoriale per lo sviluppo sostenibile.
Grazie.
Educate for a sustainable way of life with the Earth
Charter
Betty McDermott, Project coordinator for Earth Charter International

Good morning.
I’m sorry I don’t speak your beautiful language but I’m really glad
to be here today. We are going to watch now, a video that was made
in Brazil called One day on Earth. I’m sure you’ll enjoy it. Then we’ll
have a small Power Point presentation for you on the Earth Charter
and education.

Well, this video has shown how we are as humanity, and what we
are doing to our planet. We hope to find in you and in the valuable
principles of the Earth Charter a better future for all of us.
Now we are going to see the Power Point presentation on
education for Sustainable development made in Costa Rica for you:
Educate for a sustainable way of life with the Earth Charter, which is
Values and principles for a Sustainable Future. We live you with this
question and we started with it: Which is the purpose of education?
And the topics for today are: comment on the political framework of
Education for Sustainable Development; Review the SD concept and
Education for Sustainable Development; and know about the Earth
Charter as an educational frame or tool; briefly comment on some
examples of the Earth Charter in education worldwide and Reflect on
how to apply the ESD in the education practice and share with others.

The political Frame: we have as a political framework right now the


United Nations Decade of Education for Sustainable Development
which goes from 2005 to 2015. What is Sustainable development?
This derives from the fact that social problems are related to
economical and ecological problems. “Sustainable development is the
one which meets the needs of the present without compromising the
ability of future generations to meet their own needs”, I personally
think that this is the best definition of Sustainable Development. What
is education for sustainable development? This kind of education
prepares all people to confront and resolve the threats upon the
sustainability of our planet. Some of the examples are: waste,
overpopulation and contamination or pollution.

The key themes in Education for Sustainable Development are:


Overcoming Poverty; Gender Equity; Health; Environmental
Protection; Rural Transformation ; Human Rights; Intercultural
Understanding and Peace; Sustainable Production and Consumption;
Cultural Diversity; Information about Technology and
Communications. So, which are the in depth abilities of Education for
Sustainable Development? The ability to think in a critical manner,
which is very important. We need to think and criticize what we see
and is thought. Communicate effectively (written or orally);
Collaborate and cooperate with others, something that we need to do
more often; Approach problems with an holistic, integral or systematic
vision, which is not done at present. Additional abilities are: Be
lifelong learners; Move from understanding to action, which is, of
course, knowing what is happening but also act to do something about
it.

The teaching/learning process for Education for Sustainable


Development must be: student centered, which is not at the present
moment; very contextual and flexible - so we must take into account
the context of education and the context in which students live in
order to teach properly; collaborative, transformative, participative,
multidisciplinary in its character. ‘How’ we educate must be as
important as ‘what’ we teach!
So, why could it be a challenge to integrate ESD within the formal
education systems? Because the main characteristics of the formal
education systems nowadays are precisely: Competitive, and we all
know that; very week connections between themes; passive learning
is the norm, where the teacher stands in front of the class and the
student is not participating; and where grades are the main motivation
– we must find ways to do this differently. Most of you are teachers
and usually very creative, therefore– we invite you to find ways to do
this in a different manner.

Now, we enter into the Earth Charter. What is the Earth Charter?
The Earth Charter is a declaration of ethical principles for building a
more just, sustainable and peaceful society in the 21 century. But also
it has been a process of dialogue, alliances and activities. The
Charter was this was elaborated in a six year period were several
drafts of the Earth Charter were circulated worldwide and many
people and organizations from all levels of society participated. This
is why it is such a universal and flexible document than can be used
in many fields. Here we can see the systemic nature of the Earth
Charter, where respect and care for the community of life is the center
of the Charter and the other main principles are Ecological Integrity;
Social and Economic Justice; Democracy, non violence and peace.
This last fundamental principle is there because the previous ones are
requisite to achieve peace and non violence. Some of Earth Charter’s
central themes to respond to the needs of our society are:
interdependence, I don’t know if you have heard the term but I think
it’s very important, we all depend on each other, either on nature or
other people. The Community of life, as the indigenous people also
think, is included there, so we must think about to humanity as a
whole. Universal Responsibility, we must think globally and act
locally. Peace and non violence, which I already mentioned, and
differentiated responsibility, which is that those that have more power,
money and resources, have a greater responsibility than those that
have nothing.

The Earth Charter can advance three fundamental educational


objectives: Awareness, Values, Application and Invitation to Act. So
Why the Earth Charter provides a unique framework for an education
on values? Because it offers an integrated approach, it articulates the
principles for the promotion of a sustainable future and it is a
pedagogical tool for a culture of peace. Here we have only two of the
examples of what we do in our Center in Costa Rica. The Costa Rican
book for sustainable development for primary schools, how to teach
and learn a better way of life with the Earth Charter and the other one
is for secondary schools. The first one mentioned is a material we are
using at a school level mainly for rural schools. We don’t like printing
materials of course, but we try to reach teachers and kids that don’t
have access to Internet, and this is the way to do so. As you may
know only 4% of the all population have access to internet, and only
7% to a computer, so we must think, unfortunately, on printing some
few things to reach other people that are in need of this information.

How is some people using the Earth Charter in their professional


lives? Let me tell you that a dance teacher in Mexico is using the
Earth Charter in a very creative way, with very poor children and
communities in Michoacán. In Seychelles, Africa, sustainable
education courses for teachers are offered based on Earth Charter.
Then we have this beautiful instrument on the Internet called Little
Earth Charter. It has been translated into Spanish and France and it’s
also available in English. This is a wonderful tool for kids and primary
school teachers.
At the University of Guanajuato, in Mexico, several workshops are
given by students to students of the same university and they teach
the Earth Charter as a tool in this University in particular. We also
have here in Italy Fondazione Cogeme Onlus that is using the Earth
Charter in a very good way and we are thankful for that. The Catholic
University and the Municipality of Castegnato are also utilizing the
Earth Charter here. I want to take this opportunity to thank you all for
implementing the Earth Charter and its values and principles.
We also have Fundación Valores, in Spain, a family business who
has taken like 0.07% of their profit to work on social issues and
decided to work with the Earth Charter in this field. They have also
worked with the Earth Charter at the University of Granada and
several others universities in Spain.
Conciencia Ecológica de Aguascalientes in Mexico made some
material to use with children at all primary school levels: different
colorful booklets were prepared for each of the grades within schools.

Conclusions: Education for Sustainable Development is about


abilities but also about values, we must take this into consideration.
And as we said before, the ‘how’ is as important as the ‘what’ we
teach and we must really be aware of this. Besides the fact that there
are not many Education for Sustainable Development materials
available, it is necessary to have the active participation of teachers,
such as you or most of you, to promote Education for Sustainable
Development in creative ways, and to take into account that the
Decade offers the opportunity to advance Sustainable Development
Education initiatives at all educational levels. And finally, that the
Earth Charter provides a valuable educational framework for
Education for Sustainable Development.
Thank you.
Progettare nella scuola con la Carta della terra
Elia Ravelli, Dirigente Istituto comprensivo “Vittorio Falsina” di
Castegnato (BS)

Planning at school with the Earth Charter. The Experience of


Castegnato Municipality
Elia Ravelli, Headmaster

The work on the Earth Charter in our school began three years ago,
when the Institute was called “Istituto Comprensivo Padre Vittorio
Falsina”. At the same time we started to examine the Earth Charter, to
which Vittorio dedicated many efforts. The final draft of the Charter
(March 2000) was translated into Italian by Father Vittorio himself.
Our common reading made us discover the extraordinary richness
which inspires the Charter and requires commitment by the school,
because it outlines a cultural and ethical view for our daily actions.
The Earth Charter is a project which gives unity, meaning, awareness
and direction to what we already do inside the school. The aim of our
teachers was to re-conceive the whole educational activity by
translating the Earth Charter into curricular and organizational
choices. In other words, we decided to make the Earth Charter “alive”.
The school project consists in finding a topic from the Charter and
building specific actions on it, with the aim to work in a holistic way
and respect the differences among students and classes. The Earth
Charter follows an integrated approach to the world and a vision of
the future which are meaningful for our school and local community. A
key-word of this project is the relation with our territory. Education
belongs to the whole community, which conveys the meaning of
values through everyday education, a resource for future generations.

Da Vittorio Falsina alla Carta della Terra

Il percorso della Carta della terra parte nel nostro Istituto


Comprensivo tre anni fa, quando il collegio docenti ha approvato la
proposta di intitolare l’istituto a Padre Vittorio Falsina.

Contemporaneamente, abbiamo preso in esame questo


documento, al quale Padre Vittorio ha consacrato non poche energie
e che è culminato nella stesura definitiva della Carta nel marzo 2000
e con la traduzione ufficiale in italiano, curata da Vittorio stesso.
È stata proprio questa lettura collegiale che ha portato a scoprire
la straordinaria ricchezza che ispira il documento ed a condividere la
valutazione che questa ricchezza interpella profondamente la scuola
nel suo compito educativo, in quanto delinea un orizzonte culturale ed
etico entro il quale si colloca l’azione che quotidianamente svolgiamo.

Abbiamo letto in quest’ottica la Carta e abbiamo scoperto che


essa può offrire ai bambini e ragazzi, ma anche ai docenti, preziosi
strumenti per poter vivere in un mondo globale.
Subito ci siamo accorti che non ci trovavamo davanti a una tipica
proposta di educazione ambientale, magari da affiancare ad altre
educazioni o ad altri progetti, di cui la scuola è così ricca.
La Carta della Terra per noi è un progetto che dà unità, senso,
direzione e significato a quello che già facciamo, oggi, nella scuola.
L’ambiente è la Terra che contiene tutte le forme di vita, le
articolazioni e diversità culturali; la Terra viene considerata la casa
comune in cui impegnarci per rendere possibile un futuro per noi e per
quelli che vivono con noi in questo momento e per tutti coloro che
verranno dopo di noi.
Una Terra dove per tutti ci deve essere possibilità di futuro.

Il testo è scritto in modo molto chiaro, semplice e lineare e si


articola su quattro grandi princìpi:
ƒ rispetto per la comunità della vita
ƒ integrità ecologica
ƒ giustizia economica e sociale
ƒ democrazia, non violenza e pace

L’adozione della Carta della Terra

Obiettivo del collegio docenti è stato quello di riprogettare nel suo


complesso tutta l’attività educativa ispirandosi alla Carta e
traducendola in scelte curricolari e organizzative.
In questo siamo stati accompagnati da Luisa Bartoli,
dell’Università Cattolica, che è stata la nostra formatrice e ci ha
messo anche a disposizione un testo dove si analizzano le
potenzialità didattiche ed educative della Carta della Terra (La Carta
della Terra – per una progettazione educativa sostenibile;
Pubblicazioni ISU Università Cattolica - 2006).

Con questo spirito abbiamo adottato la Carta della Terra, laddove


per “adottare” intendiamo un atto formale, come quando si adotta un
libro di testo, con la differenza che qui lo strumento non è per la
singola classe, ma per tutta la scuola e tutti i docenti.
Ma, allo stesso tempo, è un atto sostanziale perché abbiamo
deciso di informare la nostra azione educatrice riconoscendo i principi
e valori del documento.
In altre parole, abbiamo deciso di “dare vita” alla Carta della
Terra.

Carta della Terra e progettualità dell'Istituto

La Carta della Terra ispira e sostiene una ecopedagogia: una


riflessione su teoria e prassi in ambito educativo attraverso cui
orientare gli esseri umani a percepirsi e a viversi non tanto come
dominatori della Terra, ma piuttosto come cittadini planetari, custodi
delle risorse, delle bellezze e delle diverse forme di vita.
Essa si pone nella prospettiva di una rinnovata coscienza
antropologica, e di una ecologia civica.
La Carta della Terra propone una visione di valori e di principi
condivisi, e non è un elenco di soluzioni e di scelte operative.
Pertanto la sua traduzione nella vita rappresenta una sfida
eminentemente educativa.

Il Progetto di Istituto, in sintesi, consiste nell’individuazione di una


tematica tratta dalla Carta della Terra, sulla quale a livello di plesso e
di classi parallele si strutturano azioni specifiche che ci permettono di
lavorare in modo unitario, ma anche rispettoso delle diversità degli
alunni e delle varie situazioni delle classi.
Quest'anno la tematica unificante è la prima parte della Carta:
“Rispetto ed attenzione per la comunità della vita”.

La Carta della Terra permette anche di avere un riferimento che


dà unità alle molteplici sollecitazioni che pervengono da tutti i livelli,
da quello ministeriale in giù.
Ricordo solo i recenti documenti sul benessere dello studente
(http://www.benesserestudente.it/), di cui cito solo i punti
programmatici essenziali che sono: 1 liberi dalle dipendenze - 2 cibo
e salute - 3 l’ambiente siamo noi (vivere nel rispetto della natura e del
mondo che ci circonda, per uno sviluppo ed un futuro sostenibili) - 4
siamo tutti campioni - 5 a scuola di volontariato - 6 diversi ma uguali -
7 cittadini del mondo - 8 rispetto e legalità - 9 una strada sicura - 10
tecnologie amiche.
Come si vede, questi temi trovano ampiamente un loro riferimento
unitario nella Carta della Terra, per cui la sua adozione permette di
integrare nel POF molteplici spunti che, come questo, arrivano nelle
scuola con sempre più frequenza ed ai quali spesso non si riesce a
dare risposte operative ed organizzative.
In quest’ottica abbiamo aderito alla Settimana Nazionale
dell'Educazione allo Sviluppo Sostenibile (DESS), che si è tenuta dal
5 all'11 novembre 2007 in Italia, sul tema: Alt ai cambiamenti
climatici! Riduciamo la CO2.
L’iniziativa è proposta dall’UNESCO e il nostro progetto di Pedibus
(che noi abbiamo battezzato Pedibruk) viene avviato proprio in questa
settimana e inserito nella cornice partecipativa ideale di un grande
momento nazionale di riflessione sui temi dei cambiamento climatici,
cui concorriamo anche con il semplice andare a scuola a piedi.
(http://www.unesco.it/eventi/Educazione_sviluppo_sostenibile/Setti
manaSviluppoSostenibile.html).

Fra gli altri ancora, cito infine il documento del 4 ottobre 2007
sull’educazione alla Pace, dal titolo La pace si fa a scuola, a firma del
Ministro Fioroni, del Ministro Generale dei Frati Minori Conventuali e
del Custode della Basilica di San Francesco, e nel quale tra l’altro si
afferma: “L’educazione allo Sviluppo Sostenibile, aspetto chiave
dell’educazione alla Pace, riflette l’impegno ad un’educazione di
qualità caratterizzata dall’interdisciplinarità, da un approccio olistico e
dallo sviluppo del pensiero critico. In questa prospettiva sarà
opportuno favorire reti, connessioni e interazioni tra classi, scuole e
istituzioni anche di Paesi in via di sviluppo per incrementare la qualità
dell’insegnamento e l’interiorizzazione dei principi su cui si basa
l’educazione allo Sviluppo Sostenibile”.
(http://www.pubblica.istruzione.it/normativa/2007/prot4751_07.sht
ml)

Anche raccogliendo questo invito, rinnovo la sollecitazione ai


colleghi a prendere in esame la Carta della Terra e a individuare
strumenti e proposte per farne nella scuola un documento di
riferimento.
Il nostro Istituto, oltre a dare la disponibilità per tutte le
informazioni che vengano ritenute necessarie, è interessato ad un
confronto sulla progettualità che può derivare dalla scelta della Carta
della Terra come documento-guida per l’attività dell’Istituto, pertanto
vi invito a prendere in considerazione questa possibilità.

La Carta della Terra e la “visione” del futuro

La Carta propone una visione dell’educazione ambientale come


”educazione” in senso completo e integrale del termine.
Essa offre una visione ed indica una missione enunciate fin dal
1979 nei programmi della Scuola Media: “una scuola che colloca nel
mondo”, e a questo fine offre un orizzonte condiviso di significati e di
valori comuni a tutta l'umanità.
Se stiamo formando i cittadini del futuro, questo compito non può
prescindere da una chiara visione del futuro.
In questo senso la sostenibilità, intesa come l’attenzione a rendere
possibile il futuro della vita e del pianeta, rappresenta una prospettiva
interrogante e stimolante. E non può prescindere da una condivisione
collegiale di questa visione per dare unità al lavoro che deve
caratterizzare scuola.

Adozione della Carta della Terra e comunità locale

La Carta della Terra esplicita un approccio integrato al mondo e


una visione del futuro significativi non solo per i docenti, e non è solo
una scelta per l’istituto, ma lo è anche per la comunità locale e,
quindi, elemento-chiave del progetto è il rapporto con il territorio,
composto da tante articolazioni.
L’unità di intenti con l’amministrazione comunale e la relazione
con il tessuto delle realtà associative sono elementi determinanti per
l’ispirazione progettuale, e senza ciò perderebbe senso il riferimento
stesso alla Carta della Terra.

Il progetto, articolato per ordini di scuola e rispettoso della


sensibilità di ognuno, senza tendere ad operazioni dirigistiche o a
forzature, esprime l'identità del nostro Istituto, e su di esso viene
coinvolta la comunità nelle sue articolazioni amministrative,
associative, culturali e di volontariato. Rappresenta poi il contributo
dell'Istituto alla comunità, anche attraverso le iniziative conclusive del
progetto stesso, che coinvolgeranno tutta la popolazione.
Giacché l’educazione appartiene non solo alla scuola, ma alla
comunità nel suo complesso, che trasmette il senso e la prospettiva di
un insieme di valori nell’azione educativa e didattica di ogni giorno,
diventando progressivamente un patrimonio per le nuove generazioni.

La prospettiva “glocal”

Il futuro della terra, della vita e dell’umanità non è così lontano da


noi, lo possiamo costruire ogni giorno con il nostro impegno.
L’educazione alla comprensione delle diversità, delle specificità,
delle insostituibilità, delle culture e delle espressioni umane non può
che essere fatta qui e ora con le attività che facciamo ogni giorno con
i nostri ragazzi.
Questo è precisamente il punto centrale del progetto, affermato
con vigore in ogni passo della Carta della Terra, e cioè che ogni gesto
che compiamo nella nostra piccola realtà è il modo migliore e più
efficace per essere in contatto con le grandi problematiche che
interessano l’umanità nel suo complesso.

Conclusioni

Per tradurre in azioni educative le linee principali del progetto


costruito intorno alla Carta della Terra, naturalmente, non bastano i
documenti ufficiali o le buone intenzioni, ma è fondamentale il lavoro
quotidiano dei docenti, svolto con passione e impegno.
Siamo convinti che la Carta rappresenta in tutto questo un
riferimento esigente e costringe anche noi educatori a rinnovarci
continuamente e ad affrontare sfide nuove, …ma non è questo che
chiediamo anche ai nostri ragazzi? Non è così il mondo in cui li
proiettiamo e per il quale li stiamo preparando?

Per questo, vorrei sottolineare che l’intitolazione del nostro istituto


a Vittorio Falsina non è stato, e non lo è a maggior ragione dopo tre
anni, un atto solo formale: di lui conosciamo bene il profondo legame
con la sua terra, ma anche la straordinaria passione, direi quasi
empatia, per una cultura lontana, almeno geograficamente, come
quella dei Nativi del Nordamerica.
Così vorremmo affermare questa consapevolezza: che si può
essere pienamente se stessi, legati alla propria cultura, alle proprie
origini e, allo stesso tempo, essere aperti a tutte le espressioni umane
e a tutte le sensibilità.
Sostenibilità educativa, culture native, salvaguardia
del Creato
Pierluigi Malavasi, Professore Ordinario di Pedagogia generale -
Università Cattolica S. Cuore di Brescia

Sustainable education, native cultures, care of Creation


Pierluigi Malavasi, Professor of Pedagogy – Catholic University of the
Sacred Heart - Brescia

It is known that the violent dispute about the war in Vietnam during
the 60s called for attention on Natives’ spiritual language in the USA.
The social crisis was marked with struggles by minorities that re-
discussed the values of American society. Many people realized that
their nation, with its immense spaces and extraordinary resources,
looked seriously disfigured by the growth of industrial society and
consumerism. We play for our life in caring Creation, we are inside of
Creation, human beings are inside of environment. This doesn’t mean
to think of an environment made of natural ecosystems only, but to
recognize human beings inside of them, who make the difference.
Earth and creatures are living partners, this is a quite general value.
That is why “Earth is our body” and we feel what happens on Earth.
Earth is a partner, trees are “others”, not only wood or potential
furniture. Trees are brothers. Vittorio Falsina acknowledges a special
debt of gratitude to Natives when he states that “American Natives’
community taught me to admire beauty, to understand the relationship
of interdependence, to work out language into starry sky and to thank
God’s benevolence, that donated us all this”.
This sense of deep gratitude that Vittorio discovered and shared, with
the language of a new culture, means to us the first and last reason of
vocation. It means to educate in intimacy with mother Earth, to
educate to reverence and sacredness of Creation.

Il convegno “Nel Cerchio della Creazione” sviluppa un’idea


coraggiosa e originale, che è davvero cattolica nel senso etimologico,
cioè universale, e apre un’ulteriore stagione di partnership tra
Università Cattolica e Fondazione Cogeme Onlus, nel quadro di una
collaborazione articolata e fattiva per una responsabilità sociale ed
educativa nei confronti della comunità locale.

“La terra su cui cammino è il mio corpo” è una delle affermazioni


più belle nelle quali mi sono imbattuto, a opera di un indiano
seminole.
Il tema della condivisone della riverenza per il Creato, che qui oggi
si celebra, è davvero cruciale. Oggi siamo qui presenti per
condividere un gesto, che è il gesto di riconoscerci creature e, quindi,
di riconoscere il Creatore dell’universo.

Ringraziare è accogliere

Ringrazio il presidente della Fondazione, Giovanni Frassi, e i


consiglieri, per questo rinnovato atto di stima e fiducia nei confronti
della mia persona, dell’Unità di ricerca di Pedagogia dell’ambiente e
del Preside della Facoltà di scienze della Formazione della mia
università.
Nell’augurarmi che questa intesa sia sempre più fruttuosa,
desidero esprimere il mio compiacimento per il segretario della
Fondazione, Simone Mazzata, al quale mi lega un’amicizia profonda e
che ha organizzato questo evento con tanta dedizione e in modo
mirabile.

Nel porgere il mio saluto ai numerosi partecipanti e ai relatori,


infine, desidero ringraziare il prorettore dell’Università Cattolica, per
la sua preziosa presenza, a titolo personale e istituzionale. I suoi
studi sull’educazione popolare mi hanno formato e rappresentano una
ricchezza culturale e pedagogica di cui la comunità quest’oggi si può
valere.

Ringraziare è sempre un gesto nel quale siamo implicati, perché si


riconosce che l’altro ci insegna e ci dà molto di più di quello che noi
gli abbiamo offerto.
Questa è l’unica cosa che io ho imparato e spero di poterla un po’
anche mostrare oggi.

La riscoperta dei Nativi americani

E’ nota la congiuntura che ha imposto all’attenzione dell’opinione


pubblica americana negli anni ‘60 il linguaggio spirituale dei Nativi, e
cioè la violenta contestazione che accompagnò il Vietnam.
In quegli anni, gli USA conoscono, come tutti i Paesi capitalisti
avanzati, una crisi sociale segnata da lotte di minoranze che
rimettono in discussione i valori della società americana. I Figli dei
fiori riscoprono la civiltà pellerossa rappresentando la vita dei nativi
come un modello a cui ispirarsi, come fonte di saggezza.
In quel momento, l’amore per la natura – vi ricorderete la
famigerata espressione “mettete i fiori dentro i cannoni” – deflagra e
diviene, in un certo senso, la bomba atomica dell’ecologismo.
Quelle idealità naturalistiche costituirono una vera e propria
filosofia di vita: quella degli hippies?

Molti americani si resero conto in quel momento che il loro Paese


dagli immensi spazi e dalle straordinarie ricchezze naturali, per poter
mantenere la crescita della società industriale e un modello sempre
più consumista di vita, cominciava a essere seriamente deturpato.
Il boom americano e il modello sociale che diede origine, noto
come american way of life, che ancora oggi guardiamo con
un’ammirazione piena di nostalgia, fu messo drasticamente in crisi
dall’evento tragico della guerra, dai morti che aveva provocato ma,
soprattutto, dai reduci.

I soldati tornano dal Vietnam mutilati e con problemi psicologici:


questi “segni permanenti” della guerra fanno riflettere e inquietano,
giustamente, le coscienze sulle ragioni – se ci sono – di una guerra.
E’ in quel momento di crisi di sviluppo di questo modello che fu
avvertita quella crisi, prima da un’élite giovanile e poi,
complessivamente, dall’intera generazione dei giovani. Fu avvertita
sotto forma di un’assenza, di una ragione sufficiente per continuare a
vivere nonostante il benessere. Fu lì che si capì che cosa si era
perduto dell’identità e dell’appartenenza nella storia della civiltà
statunitense.

Il titolo dell’intervento “Sostenibilità educativa” suggerisce che non


si tratta solo di educazione ambientale, ma qualcosa di più, e diventa
un modo per riguadagnare le prospettive dell’educazione ambientale,
secondo quell’ottica dell’educazione permanente tanto cara e
sviluppata in modo mirabile nei testi di De Natale.

Certamente, parlare di tante nazioni pellerossa significa parlare di


cultura al plurale e, naturalmente, queste culture oggi sono raccontate
e narrate, perché la salvaguardia del Creato è quel deposito che, di
generazione in generazione, ci viene affidato come un dono prezioso.
Spetta a noi continuare questo racconto, che è racconto di vita, che è
la nostra vita.
La nostra vita è in gioco nella salvaguardia del Creato, siamo noi
dentro il creato, è la persona umana dentro l’ambiente. Ciò non
significa doversi inchinare a un concetto di ambiente ecologistico,
cioè fatto solo di ecosistemi naturali. Ma riconoscere, all’interno di
questi, la persona umana. Ed è questa che fa la differenza.
Ecco perché occorre parlare di conversione e questo è un termine
molto caro a tutte le spiritualità.
Conversione e alterità

Conversione e cambiamento: è necessario accettare questo


cambiamento perché è l’altro che ci convoca, è il suo volto che ci
impone e ci implica. Noi dobbiamo cambiare perché è il volto dell’altro
che ci interpella, questo “altro” - che alle volte noi facciamo finta di
non vedere - ci richiede ci chiama.
E’ questo volto che accende il dialogo, il volto dell’altro che
accende il dialogo nel mondo della vita.

Il dialogo con il mondo della vita

La terra e gli esseri viventi - e questo è uno dei valori che


leggendo tante testimonianze e racconti scritti mi pare di poter dire
abbastanza generale - sono interlocutori vivi. Ecco perché “la terra è
il mio corpo” e io sento quello che avviene sulla terra.
La terra è un interlocutore, gli alberi sono “altri”; non è solo
legname o un mobile potenziale. L’albero è un fratello.
San Francesco parla della madre terra, parla delle sorelle stelle:
non è molto distante questa spiritualità dai Nativi, proprio perché è
universale, è cattolico il modo di sentire la sacralità del creato.
È qualcosa che ci oltrepassa, che va oltre noi stessi e la nostra
individualità.
E, infatti, la cultura dei nativi non si può dimenticare a prescindere
da questo concetto: la sacralità di un creato che diventa una parte
nella quale io sono e costruisco la “rete della vita”.

Il contatto con la Terra

Educare in nome della saggezza della terra: questo è un altro


elemento molto rilevante che Vittorio Falsina ha sempre posto.
Trasmettere la saggezza della terra significa stare a stretto
contatto con il vivere in un modo che è intimo nella terra, sulla terra,
con gli alberi, appoggiando i propri piedi, camminando e avvertendo
quello che sta sotto, dentro di me.
Nel contatto.
Questo aspetto è per me sconvolgente: noi abbiamo molta
difficoltà a parlare in modo epidermico, tutto è mediato e
razionalizzato perché anche una parola di più o di meno può
provocarci problemi. Ciò può essere giusto perché indica una forma di
rispetto verso l’altro, ma certamente la soluzione di riguadagnare il
contatto con la terra è bellissima, è una soluzione profondamente
educativa: io sento che qualcosa c’è, lo sento profondamente questo
contatto con ciò che ci sta intorno quanto è importante.

Lo sterminio dei Nativi, la perdita del mondo

Nelle mie letture, Tex Willer occupa sempre un ruolo molto


gradito, non perché rappresenta un supereroe ma perché ripresenta
un modello nella cultura popolare che è importante: il rispetto delle
culture native.
Una delle diverse esplorazioni di questi ultimi mesi sui fumetti di
Bonelli e Galeppini mi ha fatto incontrare, nel trascorrere amabilmente
il tempo libero, qualcosa per comprendere meglio la solita vecchia
storia del dominio e della sopraffazione.
Tex, aquila della notte è il capo bianco per i Navahos…
“Quanti anni ci vorranno prima che il popolo rosso scompaia da
queste terre?”
“Non mi ci far pensare!”
“Quando ricordo le ingiustizie e sopraffazioni di cui è stata vittima
la gente indiana mi vergogno di essere un bianco …!”

Oggi è una giornata meravigliosa il sole ci inonda anche le menti,


siamo tutti dediti e inclini a scoprire la bellezza della vita e, allo
stesso tempo, il dolore e la tragedia ci stanno davanti in tanti luoghi
del mondo.
Non possiamo dimenticare quello che è avvenuto e quello che è
stato profondamente nel modo di rapinare e distruggere la terra, che
la civiltà occidentale ha avviato anche negli sconcertanti episodi che
hanno punteggiato la “conquista” dell’America dove implicati ci sono
milioni di nativi.
E’ una conquista dolorosissima, e noi sappiamo che è una perdita
e una sconfitta.
E' lo sterminio di persone che diventa la stessa perdita del senso
delle cose e delle risorse naturali.”
E nel perdere chi guadagna cosa?

Da un paio d’anni a questa parte, con Tex Willer, leggo anche il


Sole 24 ore. E’ importante aggiornarsi su una delle principali fonti di
attualità economica.
Mi impressiona sempre riflettere sul fatto che molte pagine sono
consacrate agli indici, cioè a numeri che esprimono un prezzo, un
valore. E il valore è una merce. E rifletto su alcune domande: dove va
a finire la relazione personale quando anche i valori umani sono
merce, con tanto di prezzo? Tutto è transazione? Dove va a finire
l’insondabile bellezza dell’essere spirituale?
Gratitudine e intimità con la Madre Terra

Vittorio Falsina riconosceva uno speciale debito di gratitudine ai


Nativi, quando afferma che “la comunità dei Nativi americani mi ha
insegnato ad ammirare la bellezza a comprendere la relazione di
interdipendenza, a decifrare il linguaggio nei cieli stellati e a
ringraziare la benevolenza di Dio, che ci ha regalato tutto questo.”
Questo senso di gratitudine profonda che Vittorio ha scoperto e
condiviso, secondo il linguaggio di una nuova cultura, è per noi oggi
la ragione prima e ultima della vocazione. Significa educare
nell’intimità con la madre terra, educare alla riverenza e alla sacralità
del Creato.

Il discorso di apertura delle cerimonie sociali della Lega delle sei


nazioni sintetizza in modo suggestivo, a mio parere, la scoperta che
la cultura dei Nativi ci invita a fare e che oggi ascolteremo.

“All’inizio del tempo, quando il mondo era nuovo


e il Creatore ci fece, disse ai nostri antenati:
Ho fatto tutto quello di cui avete bisogno sulla Terra.
Queste cose vi porteranno Pace e Vita.
In cambio vi do una semplice istruzione:
siate grati per tutto quello che usate.
Mentre camminate sulla Terra, di ogni forma di vita che vedete,
prenderete coscienza
Con gratitudine.”

“È nostro compito far sì che la gente a venire, le generazioni


ancora non nate, non abbiano un mondo peggiore del nostro; anzi,
possibilmente migliore. Quando calchiamo la Madre Terra, sempre
poggiamo con cautela i nostri piedi perché sappiamo che i visi delle
generazioni future ci guardano. Non ci dimentichiamo mai di loro”
(Aa.Vv., In beauty may I walk).
P ARTE D UE
Manitonquat

Manitonquat (Medicine Story)


Presentazione di Manitonquat
Luca De Santis

Grazie a tutti per essere qui. Allora, come sono venuto a contatto
con Story? Anch’io con un libro, lo stesso libro * . Però è successo
qualcosa come tredici anni fa. Ero in un giro tra Australia, Nuova
Zelanda, Melanesia e a un certo punto sono entrato in una libreria di
Oakland e ho trovato tantissimi libri che in Italia non si trovano. E tra
tutte queste centinaia di libri sono stato attratto subito da un libro che
aveva una copertina molto semplice, molto carina, ed era proprio
Ritorno alla Creazione.
Ho letto questo libro e mi è piaciuto tantissimo, perché è un libro
veramente da leggere - a quei tempi era scritto solo in inglese.
Dopodiché sono tornato in Italia e un mio vecchio amico che vive da
tantissimi anni in Danimarca e che è un amico di Story, aveva invitato
Story a fare un seminario in Italia. Io però non avevo realizzato che
era la stessa persona, l’autore del libro. Quindi ho partecipato a
questo seminario e alla fine del seminario ho visto questo libro e mi
sono messo a ridere, perché quella era proprio la persona che avrei
voluto incontrare.
Questo è successo 12- 13 anni fa e da quel tempo ci siamo
sempre incontrati, ho organizzato seminari per lui qui in Italia. Ho
anche partecipato all’organizzazione di seminari in tutta quanta
l’Europa. Facciamo dei campi anche di una settimana o due settimane
in Austria, in Germania, in Danimarca, in Svezia. Ho partecipato
all’organizzazione dei primi seminari che sono stati fatti in Svezia.
Sono praticamente dodici anni che ogni anno ci incontriamo e
andiamo avanti su questo cammino.

*
Si riferisce a “Ritorno alla Creazione. Manuale di sopravvivenza per sognatori
pratici”, Editrice Urra-Apogeo, Milano, 2006.
Nel Cerchio della Creazione
Manitonquat (Medicine story), Storyteller della tribù dei Wampanoag
(Boston – USA)

Per prima cosa vorrei dire qualcosa a proposito del ringraziamento


perché è uno dei valori più importanti per la nostra cultura. Vorrei
cominciare ringraziando tutti voi per essere venuti. Vorrei ringraziare
l’organizzazione che ha reso questo evento possibile e l’Università.
Vorrei ringraziare il sindaco di questa comunità. Vorrei ringraziare
anche coloro che organizzano i seminari per me: Lorenza Boiti e Luca
De Santis e, sempre, mia moglie, perché senza di lei non potrei fare
niente.

Vedete che cosa ho fatto? Ognuna delle persone che ho


ringraziato è stata felice per essere stata ringraziata. E anch’io sono
stato felice di averlo fatto perché sento la responsabilità di esprimere
ciò che sento nei loro confronti. E tutti voi avete riso e applaudito,
così anche voi siete stati bene per questo. Quindi con questo
semplice atto del ringraziamento la nostra coscienza è salita ad un
livello più alto. Io credo in ciò che i nostri anziani ci hanno insegnato,
e che questo è il miglior modo di vivere per noi. Quindi, ogni volta che
noi diamo inizio a qualche evento – come in questo caso - mettiamo
le nostre menti e i nostri cuori insieme e ringraziamo Madre Terra che
ci ha dato tutto ciò che abbiamo. E ringraziamo tutto il resto della
famiglia, le piante, gli animali e tutti gli esseri umani. E pensiamo a
tutte le cose ci hanno regalato e che abbiamo imparato da loro e per
questo li ringraziamo. E ci rendiamo conto di quanto sia piccola
questa Terra sulla quale viviamo e siamo grati a tutti gli altri esseri
nel resto dell’Universo. E ci rendiamo conto di quanto siano importanti
per noi la Luna, il Sole, e tutte le stelle dalle quali proviene la nostra
storia. E, ovviamente, dietro tutto questo ci deve essere per forza
qualcuno. Nessuno di noi sa esattamente cosa sia, possiamo essere
d’accordo oppure no su chi sia, però tutti possiamo essere d’accordo
sul fatto che siamo felici di essere qui, di vivere. Quindi, poiché siamo
felici di essere vivi, tutti noi ci sentiremo più felici ringraziando chi ha
fatto tutto questo. Non importa come noi lo chiamiamo, che sia un
Potere, il Grande Spirito, Dio o Allah, ma noi vogliamo ringraziare chi
ha fatto tutto questo.

La Carta della Terra dice molto chiaramente quali sono tutti i


problemi con i quali la Terra e gli esseri umani si stanno confrontando
adesso ed è molto importante che le persone insegnino questo. E
vorrei anche dire che una volta non ne avremmo avuto bisogno,
perché se noi avessimo continuato a vivere come i nostri antenati
facevano, nessuno di questi problemi esisterebbe. Quando ho chiesto
ai miei anziani: - Cosa c’è di sbagliato nel modo di vivere degli esseri
umani? Loro mi hanno risposto: - Gli esseri umani si sono dimenticati
le istruzioni.

Io non sono venuto qui per insegnare un modo di vivere “indiano”,


io sono venuto qui per insegnarvi un modo di vivere che appartiene a
tutti gli esseri umani. Io voglio che non pensiate a qualcosa di esotico
ma ai problemi che tutti noi abbiamo in comune. Io nella mia vita ho
realizzato che i miei antenati avevano ragione. Mi ci è voluto un po’ di
tempo per realizzare che avevano ragione, ma tutto quello che ho
imparato negli ultimi cinquant’anni mi ha confermato che avevano
veramente ragione. Il direttore dell’Università ha parlato
dell’importanza del senso di appartenenza ad un gruppo e questa è la
cosa più importante che tutti noi dovremmo ricordare. Solo attraverso
un gruppo possiamo crescere ha detto Lei, è questo è vero perché noi
siamo diventati ciò che siamo, siamo diventati esseri umani, perché ci
siamo formati come gruppi, come clan, come famiglie. Ma questi
gruppi avevano delle qualità particolari che molti dei gruppi di oggi
non hanno. I miei antenati, a quei tempi vivevano in cerchio, dove tutti
erano uguali, tutti erano rispettati. L’attività delle persone insieme era
la cooperazione, non la competizione. È stato la cooperazione, non la
competizione che ci ha reso esseri umani. Il perché è molto semplice:
perché per cooperare devi comunicare. Siamo diventati la specie che
comunica meglio di ogni altra, abbiamo inventato il linguaggio e
questo ha espanso il nostro cervello, è quello che ci ha resi Homo
sapiens sapiens.

Ho sentito una storia di due pianeti che si incontrano nello spazio.


Un pianeta dice all’altro: come stai? E l’altro: - Non tanto bene. Che
cosa ti sta capitando? chiede il primo. E il secondo: - ho un caso
molto grave di Homo sapiens. Allora l’altro risponde: - Non ti
preoccupare non dura molto.
È una cosa molto positiva che ci siano tante persone che
cominciano a capire che cosa sia il riscaldamento globale per
esempio. Purtroppo sembra che sia necessario l’imminenza di un
disastro perché la gente cominci ad interessarsene. Ieri mi è stato
chiesto in un’intervista qual è la mia speranza per cambiare il mondo
ed io ho risposto: i bambini.

E quindi vorrei dirvi qualcosa sull’educazione dei bambini e di


come i Nativi affrontano questo problema. Voi ben sapete che noi non
avevamo scuole. Ma prima di proseguire vorrei dirvi che il mio
pensiero segue il punto di vista tradizionale, ed è per questo che io
porto ancora i capelli lunghi. Però se voi parlate con altri nativi
americani, vedrete che non c’è uniformità di pensiero. Quindi io parlo
solo a nome dei miei anziani e di quello che mi è stato insegnato. E
questo è molto importante perché adesso io sono l’anziano, i miei
anziani se ne sono andati e quindi è mia responsabilità di portare
aventi questo messaggio. In una comunità tradizionale nativo-
americana, i bambini erano considerati i bambini di tutta la tribù.
Quindi ognuno nella tribù era insegnante di quei bambini, tutti nella
tribù guidavano e sostenevano i bambini. Non punivamo i nostri
bambini, perché la punizione crea separazione. Noi pensiamo che sia
importante rimanere vicini ai nostri bambini. Li portavamo sempre con
noi, qualunque cosa facessimo: che si andasse a caccia, o a coltivare
o lavorare. Non avevamo dei testi, delle regole, noi semplicemente
vivevamo e loro vedevano come noi vivevamo e imparavano così. I
nostri valori venivano affermati dalle storie, tutti amano delle buone
storie, i racconti.

Poi andai in una Scuola Waldorf - dove hanno studiato anche i


miei due ragazzi - e mi sono offerto di insegnare a quegli studenti.
Feci un discorso che si chiamava “Cambiare il mondo”. Loro potevano
rendersi conto con i loro occhi, quando uscivano, della distruzione
dell’ambiente che era stata fatta e quanto fosse inumano il modo di
vivere della nostra società. Questi ragazzi presto sarebbero entrati
nel mondo ed io volevo dar loro una speranza per cambiare il mondo.
Alla fine del discorso si era formata una lunga fila di studenti e
ciascuno di loro veniva da me con una luce negli occhi dicendo: - Io
voglio cambiare il mondo. E questo è un tipo di energia, di
entusiasmo, che raramente si trova in un’aula scolastica. Ed è lì che
voi potete trovare una speranza se c’è. Da quel giorno io cominciai a
tenere una lezione settimanale con questi studenti che volevano
cambiare il mondo.
Prima di tutto non ci sedevamo nel modo tradizionale – come
siamo seduti adesso - dove gli studenti sono separati dall’insegnante..
Nel nostro modo di vivere noi ci sediamo in cerchio, perché siamo tutti
uguali e tutti abbiamo la stessa importanza. Ogni lezione
affrontavamo un argomento diverso è tutti noi davamo un contributo a
questo. Devo dire che quando queste lezioni finirono, mi sono
davvero mancate ma ero pieno di speranza e pieno di idee.

Da questa esperienza è nata l’idea del libro Cambiare il mondo –


La visione di un villaggio ecologico, che per il momento è soltanto in
inglese ma presto sarà tradotto anche in italiano. Si tratta di una
visione di un villaggio del futuro che sia completamente
autosufficiente e sostenibile e si parla anche di come costruire questa
comunità e come risolvere i problemi. Io e mia moglie teniamo dei
campi durante l’estate qui in Europa, durante i quali noi viviamo
l’esperienza di stare in cerchio per una settimana o più.

Uno dei problemi principali di questa società e che ci isola, ci


rende difficile stare insieme. Uno dei problemi più grossi è che le
famiglie si separano, le persone sono sempre più isolate e le
comunità si disgregano. Invece quello che propongo in questi campi è
l’inverso: portare le persone insieme di nuovo. In questi campi si
formano dei clan dove le persone si incontrano tutte quante le mattine
e possono condividere i loro sentimenti. E durante il resto della
giornata possono fare quello che vogliono. Io metto soprattutto
l’enfasi sul giocare con i bambini, sullo stare insieme ai bambini e
sostenere i genitori. Noi lavoriamo insieme, giochiamo insieme,
cantiamo insieme. E alla fine di questi campi le persone, dalla prima
all’ultima, dicono: - Il modo di vivere della nostra società non è
umano, come possiamo cambiarlo? I bambini sono la via migliore per
cambiare.

Marshal Rosenberg, che insegna comunicazione non violenta,


dice: - È molto difficile insegnare agli adulti, perché oramai hanno una
mente formata, già strutturata, ma è molto facile insegnare ai bambini.
Così io insegno ai bambini in modo che loro possano insegnare agli
insegnanti. Io sono il direttore di una “scuola di natura” (Nature
School), in America. Uno degli scopi di questa scuola è di portare
questi bambini - che non hanno l’opportunità di stare a contatto con la
natura, perché vivono in città – a sperimentare un vero contatto con la
natura. I bambini di oggi crescono con la televisione, il computer, la
Play station, l’mp3, ma sono completamente separati dalla natura.
Soffrono di una “sindrome da deficit di natura”, piuttosto che di un
deficit di mancanza di attenzione.

Ormai è una cosa riconosciuta che il contatto con la natura è una


forma di terapia per persone che hanno handicap o problemi sia fisici
che mentali. Ed è facile da capire che più noi feriamo la Madre Terra,
la natura, più feriamo noi stessi. Quando portiamo i bambini in mezzo
alla natura, possiamo vedere l’entusiasmo che hanno, come sono
veramente eccitati, hanno una connessione fisica con il mondo
naturale che noi adulti non abbiamo più. Forse voi adesso siete un po’
separati da questo entusiasmo, ma potete ricordarvi quando eravate
bambini quanto vi eccitava essere nella natura. Vi ricordate l’amore
che potevate sentire per un cucciolo, o quando piantavate il vostro
fiore. Vi potete ricordare che posto aveva nella vostra memoria di
bambino la natura, quanto era importante. Quando faccio fare questo
esercizio agli adulti, le persone si mettono a piangere perché si
rendono conto di come sono state private di tutto questo.
Ecco allora che sorge la domanda sul “come” possiamo insegnare.
Ma la risposta è molto semplice, non è che dobbiamo insegnare
molto. Dobbiamo solo connetterci con i bambini, il resto viene da sé.
Facciamo le cose insieme nella natura e cerchiamo di capire che
cosa vogliono conoscere, che cosa vogliono imparare, quali sono le
cose che già sanno. È giusto ciò che è stato detto a proposito di
coinvolgere sia i genitori che tutta la comunità nell’educazione e di
non lasciare questa responsabilità solo agli insegnanti e alla scuola.
Io sono sicuro che se voi pensate alla vostra infanzia, e ad un
maestro che è stato importante per voi, sicuramente quello che vi
ricorderete è che aveva un grande cuore e che probabilmente era
molto felice di insegnare quello che insegnava.

Lasciate che vi racconti una breve storia africana.


Una volta qualcuno pensò che ciò di cui quelle persone che
vivevano laggiù tra i cespugli avevano bisogno era di imparare a
leggere, perché era quello che li separava dal resto del mondo. E
quello che insegnò loro non era qualcosa che veniva dall’università,
ma qualcosa che aveva imparato intuitivamente. Quindi senza usare
voti, premi o punizioni, ma solo usando entusiasmo, amore e gioia,
girava e creava dei campi per far sapere alla gente che poteva andare
li e imparare a leggere. All’inizio venivano uno per volta perché
avevano un po’ paura di quello che stava succedendo ma erano
curiosi. La prima cosa che lui faceva era quello di andare incontro alle
persone che arrivavano per dirgli grazie per essere lì. Poi chiamava
tutto il suo staff:- Venite, venite a vedere abbiamo uno studente! E poi
diceva: - Questa è proprio un’occasione da festeggiare, beviamo del
the e dei biscotti. Poi arrivava un insegnante a scrivere una lettera,
dicendo: Vedi questo segno? Questo significa “uomo”. Ogni volta che
tu vedrai questo segno particolare, saprai che significa “uomo”.
Adesso dimmi: - Cosa pensi voglia dire questo segno? - Non saprei,
non ho mai visto questo segno prima. – E cosa pensi che voglia dire?
Hai detto che vuol dire uomo. Bravo, bravo hai imparato a leggere,
venite a vedere quest’uomo che ha imparato la prima parola! Questa
è una cosa meravigliosa! Dobbiamo celebrare! Prendiamo del the e
dei biscotti. Sembra che ci voglia molto tempo per insegnare una cosa
sola, ma questa persona è riuscita ad insegnare un intero vocabolario
a queste persone in pochissimo tempo.

Io penso che dobbiamo cominciare a pensare alle scuole. Un mio


vecchio amico che una volta era direttore di un’università, adesso ha
avviato una comunità. È un uomo veramente incredibile. Una volta ha
detto: - Le scuole ti rendono stupido. Come possono metterti a sedere
in un posto e dirti: - ecco adesso devi imparare questa cosa. E ti
danno i voti e ti giudicano. Non puoi trovare un sistema migliore per
insegnare alle persone ad odiare l’insegnamento. Io vi posso dire che
giro tutto il mondo, vado nelle scuole e chiedo ai bambini: - che cosa
ne pensate della scuola? La risposta è sempre: “Noiooosa!”. Come
puoi imparare una cosa qualsiasi quando è “noiooosa!”. Tutte le
persone brillanti e intelligenti che ho conosciuto, quando chiedevo
loro che cosa facessero quando erano a scuola, mi rispondevano: -
La maggior parte di quello che facevo era guardare fuori dalla finestra
e sognare. Forse anche qualcuno di voi adesso sta sognando.

Io credo che se vogliamo veramente vivere in accordo con la Carta


della Terra, dobbiamo cambiare l’intera struttura della nostra società.
E questo non è facile, perché la nostra società è basata sul dominio e
sulla paura che ci assale quando entriamo in determinati contesti, che
siano la scuola, un ospedale o fare una telefonata. Se noi vogliamo
una società umana, migliore, dobbiamo cominciare a trattarci l’un
l’altro come esseri umani e non come ‘consumatori’, come ‘produttori
‘o ‘elettori’, ma come ‘esseri umani’. Ciò vuol dire che dobbiamo stare
vicini l’un l’altro, ascoltarci a vicenda.

C’è una storia che ho trovato su Internet, dopo la strage dell’11


Settembre. Qualcuno a chiesto a Tich Nat Han – un famoso monaco
buddhista: – Se tu incontrassi Bin Laden che cosa gli chiederesti? E
Tich ha risposto: - Lo ascolterei. Il mondo sarebbe molto migliore se
J. Bush dicesse al mondo: - Noi dobbiamo ascoltare questa persona.
Dobbiamo tutti cominciare ad ascoltarci. E questo deve partire
dalla considerazione che ogni essere umano è sacro e buono dal
momento in cui nasce. E se ognuno di noi viene trattato così dal
momento della nascita, ciò crea una famiglia. E quindi, oltre ad avere
un’educazione sostenibile, dobbiamo anche trovare giustizia.
Io e mia moglie portiamo avanti questa “via del cerchio” in America
anche nelle prigioni e l’effetto è miracoloso. Noi insistiamo sul fatto
che si debbano rispettare l’un l’altro e ascoltarsi. E molti di loro
vengono da me e mi dicono che “il cerchio” gli ha salvato la vita e che
hanno imparato a vivere come esseri umani. E che cos’è un essere
umano? Un essere umano è qualcuno che vuole contribuire alla vita.
Non qualcuno che vuole prendere, manipolare o rubare, ma creare
qualcosa di cui si può sentire fiero.

L’essere umano è qualcuno che vuole dare amore più di quanto ne


voglia ricevere. E io vi posso assicurare che anche i peggiori criminali
devono rendersi conto che essi non sono nati così. Credo che sia
molto importante il principio di Ubuntu 1 e il processo di riconciliazione

1
Ubuntu è visto come uno dei principi fondamentali della nuova repubblica del Sud
Africa, ed è connesso con l'idea di un Rinascimento Africano. Secondo l’Arcivescovo
che è avvenuto in Sudafrica. Quello che noi stiamo cercando di fare
con il Ministro di giustizia è di permettere alle nostre comunità di non
dovere ricorrere ai tribunali e alle prigioni, ma poter risolvere da noi i
problemi con le persone che hanno commesso qualcosa di grave, in
un cerchio. In modo che queste persone non diventino poi dei
criminali anche peggiori e dandogli la possibilità di diventare migliori e
di fare qualcosa di buono.

Bene, mi è rimasto abbastanza tempo per raccontarvi una storia.


Le storie che mi raccontava mio nonno sono state veramente le più
importanti per me. Ieri, in un’intervista, un giornalista mi ha chiesto
che consiglio darei ai genitori. Nel caso non leggeste il giornale oggi,
vi posso anticipare la risposta: Siate vicini ai vostri bambini. Passate
più tempo possibile con loro, perché loro sono la cosa più importante
per voi. Giocate con loro, entrate nel loro mondo, e ascoltateli. La loro
vita è importante per loro ma anche per tutti noi. Ascoltateli e
imparerete qualcosa. E raccontate loro delle storie, perché loro
amano ascoltare delle storie. E voi, nella storia, potete raccontare
tutto quello che volete. Facciamo un passo indietro rispetto a
Hollywood e incominciamo a raccontare le nostre storie, creiamo delle
storie diverse. C’è una storia - che in genere è molto lunga ma io
cercherò di farla più breve – che racconto quando vado in giro per le
scuola in America 2. È la storia di una vecchia signora il cui nome era
“Piccola Bambina” che quando era giovane aveva incontrato i
Pugwudgee (si pronuncia “Paguagì”, ndr), il Piccolo Popolo. Il capo di
questo popolo le fece avere una visione di come sarebbe stato il
mondo nel futuro: un mondo pieno di spazzatura. Le dette un flauto e
le disse: - Ogni volta che vedrai che sta per accadere qualche
disastro devi prendere questo flauto, devi suonarlo e cantare la
canzone della Terra e noi Pugwudgee verremo e faremo pulizia. Alla
fine, abbiamo visto questo posto trasformarsi in autostrade, case,
shopping center. E Piccola Bambina continuava a chiamare i
Pugwudgee, ma alla fine anche loro non ce la facevano più, era
troppo anche per loro. Ad un certo punto, viene convocata una
conferenza sulla crisi ambientale, dove si parla delle possibili
conseguenze e di come niente abbia funzionato bene fino ad ora. Uno
dei professori disse che una volta aveva sentito narrare la storia di
una persona chiamata Piccola Bambina che aveva un flauto con il

Desmond Tutu “Una persona con ubuntu è aperta e disponibile agli altri, solidale con
gli altri, non si sente minacciata dal fatto che gli altri siano validi e buoni, perché ha
quella sicurezza che deriva dal sapere di appartenere ad un tutto più grande, e che
siamo feriti quando gli altri sono umiliati o feriti, torturati o oppressi” (n.d.r.)
2
La storia raccontata da Manitonquat è basata sul racconto di Tony Shearer, The
Praying Flute.
quale poteva chiamare il Piccolo Popolo in aiuto. Tutti risero, ma il
professore rispose che c’è sempre qualcosa di vero in ogni storia e
che era meglio investigare. Così organizzarono una spedizione e
trovarono la piccola ragazza che viveva in mezzo alla foresta in una
piccola casa.
Lei disse: “Mi dispiace, avete fatto troppo baccano, i Pugwudgee
non verranno più, non ce la fanno più”. Ma i professori insistettero,
chiedendole di fare un ultimo tentativo. Così lei prese a suonare il
flauto ma i Pugwudgee non vennero. La ragazza disse: “Vedete, non
vengono più, è tutto inutile”.
“D’accordo - dissero tutti - abbiamo fatto delle cose terribili, ma
abbiamo fatto anche delle cose utili: internet, i cellulari, i satelliti”. E
la ragazza accettò di andare a vedere quello che avevano fatto.
Così loro usarono tutte quelle tecnologie di comunicazione per
portare quel messaggio a tutto il mondo che cominciò a diffondersi
attraverso internet e i satelliti, e raggiunse tutti quanti. Si diffondeva
attraverso impianti stereo, lettori mp3, addirittura attraverso le
otturazioni dei denti, non si poteva scappare da questo messaggio.
Alla fine la ragazza, dopo aver finito di suonare, disse: - vedete è
tutto inutile; i Pugwudgee se ne sono andati, probabilmente hanno
deciso di vivere su un pianeta più pulito di questo. E loro dissero: -
Beh, noi sappiamo anche raggiungere lo spazio, quindi se vuoi ti
possiamo mettere in comunicazione con loro, nel caso fossero lassù
da qualche altra parte. E la ragazza: - D’accordo, è una cosa che non
ho mai visto, voglio provarla prima di morire. Così la misero in una
navicella spaziale e la fecero partire. E lei cominciò a suonare con il
suo flauto la canzone della madre Terra, e quel suono si diffuse per
tutte le stelle. Alla fine la navicella tornò a terra. Atterrò in mare e una
barca andò a recuperarla. Tutti i più grandi scienziati e politici erano li
per salutarla. E lei chiese: - Allora che cosa è successo. E loro: - Ci
dispiace dirtelo ma non sono venuti. Va bene – disse lei – il tentativo
l’abbiamo fatto, ora però voglio tornare nella mia casetta nel bosco,
perché sono vicina a morire. Indossò il vestito più bello che aveva, si
mise a sedere, chiuse gli occhi e disse: - Bene Creatore, puoi venire a
prendermi in qualsiasi momento, perché sono pronta. Fu allora che
senti una voce che la chiamava: - Piccola Bambina! Ma non sembrava
la voce del Creatore. Vicino a lei, sul tavolo, c’era un piccolo
Pugwudgee. E lei gli chiese: - Ma dove sei stato tutto questo tempo?
Cosa avete fatto? Ho suonato il flauto per tanto tempo in mezzo alle
stelle e voi non siete mai venuti. E il Pugwudgee:- Lo sappiamo, lo
sappiamo. Non siamo venuti perché pensavamo che non ci fosse più
nulla da fare, ma tu hai insistito così tanto che abbiamo deciso di
venire ancora una volta. Abbiamo capito che c’è un gruppo di persone
che non abbiamo mai raggiunto, e forse sono proprio loro che
dobbiamo raggiungere. Bene – disse Piccola Bambina – allora cos’è
che dobbiamo fare? Prendi il flauto e vieni – disse il Pugwudgee.
Portò la ragazza sulla strada e le disse di aspettare. Ad un certo
punto senti un forte rumore venire da dietro la curva. E dalla curva
apparve un grande e bellissimo scuola-bus giallo. Si fermò, le porte si
aprirono e i bambini scesero di corsa urlando: - Evviva! Finalmente
siamo liberi, è finita! Allora il Pugwudgee disse: - Ecco, adesso suona
il tuo flauto. E lei cominciò a suonare la canzone della Madre Terra. I
bambini piano piano si calmarono, cominciarono ad ascoltare e
andarono verso Piccola Bambina. Fecero un cerchio intorno a lei e i
loro occhi e le loro bocche erano spalancati. E mentre avevano la
bocca aperta, dei piccoli Pugwudgee entrarono in loro. Adesso,
ognuno di quei bambini aveva un piccolo Pugwudgee dentro di sé,
che li guidava, gli insegnava e gli mostrava la strada.
Ora questa sembra una storia fantastica, ma io penso che ci sia
della verità. Quando vado nelle scuole, ormai da tanti anni, vedo dei
cambiamenti. Ora sulle pareti delle aule ci sono dei bellissimi disegni
della Madre Terra, delle stelle, del Sole e della Luna. E progetti di
pannelli solari, centri per la raccolta differenziata. Vedo persone che
sulle autostrade raccolgono la spazzatura. Io credo che qualcosa stia
veramente accadendo, qualcosa sta cambiando. Io sento di avere
speranza. Quindi io racconto questa storia a tutti i bambini e dico che
può capitare di incontrare questa piccola vecchia bambina suonare il
flauto da qualche parte. E quando la incontrerete, aprite la bocca
mentre lei sta suonando e un piccolo Pugwudgee entrerà in voi e vi
insegnerà.
Grazie mille a tutti per essere venuti.
In the Circle of Creation
Manitonquat (Medicine story), Storyteller of the Wampanoag tribe
(Boston – USA)

First I like to say something about thanksgiving because call of


mention on that and that is a very important part as he said of all our
natives values and ways of being in the world.
So first time I’d like to tank all of you for coming. I would like to
tank the organization that put all this together. I’d like to tank the
University. I’d like to tank the Major of your community. I would like to
tank my organizer here in Italy Lorenza Boiti and Luca De Santis and,
always, my wife, because I could do anything without her.

Now you see what I did that? Each one of them felt glad of what I
did. And I felt very happy that I did because I feel the responsibility of
communicating how I feel, so it’s good. And then you all smile and will
applaud so you feel better about it too. So, with one simple act of
thanksgiving all of our consciousness is been raised to a higher level.
So, I believe this my elder were they taught this is the best way of life
for us. So every time we begin sometime like this, we put our heart
and mind together to greed and thanks our Mother Earth that gives us
everything we have. We greed the rest of our family, our relatives, the
plants, the animals and all the other human beings. We think about all
the gifts they gives us, how we learn from them and we thank them
too. We realised how small is this little Earth we have here and greed
the other beings in the rest of the Universe. We think how important it
is our Moon, our Sun and all of the other Stars that we learn our
journey trough the world. And than we also realised that none of this
made itself, and even we don’t really understand its source or its
meaning we make this agreed about that, but together we don’t have
a universal understanding of where all we come from, but here we
are! We’re all very happy to be alive and have all of this gifts, so we
will feel better if we thanks somebody. So, whatever you call that,
Power, God or Allah or Great Spirit or The Great Mystery, The
Unknown, nevertheless we can give a thanks.

In this Earth Charter is written clearly some of the problems we


human beings and the earth together face. And is a very good thing
that people doing that, that teaching that. But I’d like to point out that
one time we would not needed that. If we were all still living according
to the instructions that my elder thought me, none of this problems will
exist. When I asked to my elder, when I was young: what’s wrong to
human beings, what’s wrong with society and civilization and all the
problems that they are, they said: - Human beings have forgotten their
instruction. So, I didn’t come here to tell you about an “indian way of
life”. I came to talk about a “human being way of life” that belongs to
everybody. I don’t want you think about some exotics, creature riding
across the plants, but want to think about our community of human
beings and our common problems that we have.

I found in my life that the elder was alright. To quit quite long time
before I thought this realization and everything I’ve learn since the
past 50 years is only proof that they were alright. The University
President spoke about the need to belong to a group. That’s the most
important things right there to remember, all of us. She said only
trough a group can we grow. And this is true, we became a human
being in the first place because we gather in groups, in families, in
tribes, in clans. But those groups had very particular qualities that all
groups don’t have today. Your ancestors, my ancestors are living in
circle, where everybody was equal, everybody was respected, where
the activities of the people together was cooperation, not competition.
Is cooperation that made us human. Why? Very simple: in order to
cooperate you have to communicate. We became the species that
communicate better than any. We invented language and when we did
that our brain it expanded, we became Homo sapiens sapiens. By the
way, I heard a little story about two planets that meet in space. One
planet sais: -How are you? And the other sais: - Oh I’m not well. So
what’s the matter? I have a bad case of Homo sapiens. And the other
sais: - Don’t worry, it goes away.
Now we’re very encouraged by the fact that so many people
became to understand about global warming for instance, it seems
like it takes in pending disaster for people to wake up and not to pay
attention on what are going on. I was asked in a interview yesterday
on what I think is my best hope for changing the world. And I said:
was the children. We’re here to think about the education of the
children and I’m here to tell you a little bit about the native’s approach
to that.
You understand that we didn’t have schools. Everything I says, by
the way, is from a traditional point of view – that’s way I wear my hear
long. And if you talk with many Indians you wouldn’t find a uniformity
of understanding about it. So I speak only from my elder and by what I
learn from them. Is important for me, because now I’m the elder and
they’re all gone and I have to be their voice still. In a traditional
native’s community in America, the children were considered to be the
children of everybody in the tribe. So everybody in the tribe was the
teacher of the children. It was everybody in the tribe that help to
guide, encourage and support the children. We did no punish our
children. Punishment create a separation. We do support to stay close
to our children. We have them whit us, when we are working, hunting,
fishing, whatever we were doing, working in the village, we have them
whit us all time. We didn’t have texts, we just live and they saw how
we live and they learn to live in a good way. And the rest of the values
they came from storytelling, and everybody likes a good story. So I
went to a local Waldorf high school, back home where I live, where my
sons both went when they was young. I offered to talk to the students
and I made a speech call “Changing the world”. They were at an age
where they could see the terrible things that going on this world and
how inhuman the society is become. And I do they were close to going
out into the world and must be a fearful thing and I wanted to give
them hope and courage in the understanding that they could do
something, and this is important. After my talk the children all in line
in a long queue to came to me and shake my hand and each one of
them has stars in their eyes sparkling. And they says: I want to
change the world! A kind of energy and enthusiasm you hardly ever
see in a school room anywhere. And if we have any hope at all that’s
were it lies.

So I got that school to give me a weakly class to the students that


really wanted to “change the world”. Well, in the first place we didn’t
sit like this, I wasn’t the teacher and they had desk and everybody
else is spacing me. Everything our people does is in a circle because
all are equal and everybody is important and everybody has a
contribution to make. So, everyday we talk about a different subject of
a problem that we have in the world and everybody make their
contribution and their thought about it. When the class was over next
summer I was a kind of sad because I was going to miss all that
energy, but I was full of hope and full of ideas. And I sat down and
wrote this book, that you have in the back – unfortunately is only in
English – that is called “Changing the world”. The first part of it is the
most important part, is a vision of a village of the future. A village
which is completely self-sufficient themselves and self-sustainable.
And I have an indications of the way I think this can be achieved and,
what’s important, the thing that probably most community of today are
not thinking about. We also my wife and I created camps here in
Europe, we’re doing that all summer, in which we provide the
experience of living in a tribal way, in a circle for a weak or so.
One of the biggest problem of this society is that it isolated us. It
makes so difficult for us to be close to each other. The families are
breaking down, the communities are breaking down, people becoming
more and more isolated, more and more lonely. This camp reverse the
direction, brings people together. Everybody in the camp has a small
group we call a clan and they meets in first everyday and open their
hearts among each other. And then the peoples can do what they
want to do during the rest of the day. I put a little emphasis on being
with the children, playing with the children, supporting the parents,
getting close to the children. And we work together, play together and
sing together and dance together. At the end of the weak everybody,
children, adults, everybody sais: this is the way human beings is
suppose to be living and we don’t living in this way. What’s the
matter? How we can change? The children are the best way to
change. Marshall Rosenberg, a teacher about non-violent
communication – he’s a great resource I hope - he sais: It’s very hard
to teaching to adults, most the people has setting their mind and they
don’t get it, but the kids is get it. So he is teaching in the schools so
the kids teaching to the teacher. At home I’m Advisor of a Nature
School. The idea of the Nature School is to take more children - who
don’t get this experience in the cities, he don’t get in their schools –
bring them in to the country, bring them in to the woods to feels
expand, let them to experience nature. Children growing up today
with computers, televisions, mp3 and all of that, but thy are
completely separate from nature. They suffered by “nature deficit
disorder”, you know the “attention deficit disorder”. We need nature,
all of us need it. It’s found to be healing for people with mental and
emotional problems, allow to work in the garden and heals them. And
of course, more we hurt the mother nature, more we hurt ourselves.
The children they know. You know, these little kids come to us with
their eyes sparkling, they’re so excited to be in the woods, to see the
animals, and the birds and the fishes, very close to it you can just fell
their body connection and their heart connection with the natural
world. You probably grown a little bit apart from nature enthusiasm
but can you remember in your own childhood, to be excited about be
in some beautiful place that you loved. Did you remember loving little
animals? Planting your own flowers? What place in your memory of
your childhood was really important to you the nature? When people
do this exercise and remember and talking to each others and they
weep because the nature being taking from us.

So, another question is about how we teach. In the first place, just
connecting with those children, we don’t have to teach them a lot. We
do things together in nature, you know. The way to learn of course is
to tell what you want to learn, what you already know. So, like
somebody mentioned that’s important that the parents, the community
and everybody being involved, and that’s absolutely right. We
shouldn’t have one poor teacher with one class. People get to be
close to.
Of course the attitude of the teacher is important. You remember
what teacher was being really important to you when you are growing
up. I think everyone you can take up, they had a big heart, they had a
big love and they care about you. And probably they were very excited
about they were trying to teach you.
Let me tell you a quick story from Africa. A men decided that what
the people are there in the bush really needed was to learn how to
reed, because they are separated from all the great knowledge of the
world if they couldn’t reed. So he gather a group of people together
and he taught what he knew, which was not from University in it was
yet, felt intuitively what I’m teach. Not using grading, rewarding,
punishments, judgements and all that kind of things but just love,
enthusiasm and joy.
So they going to a place and they were sat a camp and they let be
known that people could come and learn how to read. And they will
come, one by one, not in big group, cause they’re little bit afraid, but
some men will come to see what is about. So these persons will come
in and men who start up to run the greeting. And he was shaking
hands and says: Oh thank you for coming! Thank you, I’m so glad
you’re here! And he was gather all the staff and says: come, come,
come! Meet the student! We have a student! And all the staff come
and shake his and says: we’re so happy you’re here! It’s good to see
you! Oh this is a cause to celebration! Let’s have tea and cookies!
And then one teacher take this student beside and sais: Now, you see
that smart that I draw it here? This means “man”. So any time you see
this particular mark you know that mean “man”. So, I’d like to know
what you think about this sign here? Well, I never see anything like
this before. And what do you think it might mean? Well, you said me
that it mean “man”. I guess it mean “man”. Ah! You have learn
already! Come, come! Everybody come! He’s learn his first word! And
everybody claps and cheers. Oh this is time to celebrate, let’s take
tea and cookies!
Might seems that it take long time to teach one thing like that, but
little by little, just like that, any one to another, everyday and
celebrating, and being close and enjoying it, this man was learn the
all vocabulary, a thousand of words and be able to go back and read,
in a short time.

So, you can see I think we need to think about “schools”. I have a
friend who was former a university professor, now he started a
community. He’s a brilliant man, he sais “schools make you stupid”.
How can they helped when you sit down in one place and tell what
you must learn at this time! And then grade you on, judge you on. You
couldn’t think of a system that is better set up to make hate learning
like that. I go around the world and I talk to children everywhere and I
sais: How is school? What’s the “Big World”?: - “Boooring!” How you’ll
learn anything when it’s “boooring”? And all the intelligence alive,
interesting people doing creative things when I talk to, I sais: - “How
is the school?” They sais: “I spent most of my time looking out the
window and dreaming”. Probably most of you here where dreamer too,
all right?
This business of structure by the way it’s, I guess we should be
here for a all semester together to talk about this, but if we are going
to change the world, if we are going to live how is learn in this Earth
Charter, we are going to change the entire structure of society. I’m
sorry, there’s no easy quick way. It has to be because the entire
society is built upon domination. It’s a fear-oriented structure. That we
enter schools, when we go to a hospital, when we confronted
government, when we dew whit a telephone company, whatever it is.
If you want a human society we have to start treating each others like
human beings, not like consumers, not like producers, not like voters,
but like human beings. Which it means that we have to get close to
each others, we have to listen to each others.

A favourite story of mine I got over the Internet after the terrible
disaster in New York in 9/11. Somebody ask to Vietnamese monk Tich
Nat Han: - If you met Osama Bin Laden what would you sais to him?.
He said: - I would listen to him. What kind of a better world we might
be building right now if J.W. Bush has said: - We better listen to this
guys. We have all to begin to listen to each other. And then has to
come from the realization that every human being is sacred, and
every human being is good from the moment of birth. When we
treating each others like that from birth then we are “family”. Finding a
sustainable education as we go this way but also finding justice and
these others values that we are askers. Is the same thing we have to
got out a different structure. My wife and I we bring this circle way into
the prisons and the effects it has into the prisoners is a miracle.
Because we insist that they respect to each others and we listen to
each others. They run to tell me that the circle has saved their life.
They’ve learn to live like human beings. And what is a human being?
The human being is somebody who want to contribute something
to life. Not somebody he want to take, or to manipulate or to have
steal us. But to create and feel good about doing something good. A
human being is someone who want to gives love, even more than they
want to receive it they want to give it. And I want to tell you that’s true
of every prisoner I have in every circle, the murderers, the reapers,
one of those have done that terrible things, nor that’s not true they
are, nor that’s true they were born, and they have that feeling, that
need to be a human being still inside.
So, that’s why I think important that reconciliation that were going
on in South Africa and the principle of Ubuntu 3. We also have that
native’s American return now and try to convince the Justice
Department of Government to allow our communities to deal with
people who done something bad, rather than to go in jail coming in to
the circle and everybody opens their hearts and talking about their
feelings together and then decide what to do. Do something with that
young prisoner or that done something bad, they doesn’t turn into
major criminal, they doesn’t make same things. Gives him a chance to
be a human being and to do something good which he really want.

Ok, I got time to tell you a story. I’m going to tell you that my
grandfather’s stories that’s became the most important things for me
and makes me what I am probably. This reporter yesterday asked me
what advise I want give to the parents. So, in occasion you don’t read
the paper today, I said: get close to your children, spend more time
whit they is more important than anything else you doing. Play with
them, enter in their world and listen to them. Their lives are important
to them and are important for all of us. Listen to them and you will
learn something. And tell them stories, because they loves stories.
And you can sais anything you want in a story. Take our culture back
from Hollywood, and telling our own stories.
So, there’s a story that I try to make quick - I don’t make quick
usually but I will try to cutting down - that I tell when I go around to
the schools at home 4. It’s a story about an old lady who’s name was
Little Girl and when she was young she met the Pugwudgee. The
Pugwudgee are the little people, very small. And the chief of the
Pugwudgee show her a vision they had of the world turning in a
garbage dump. And he gave her a flute and he said: - If you ever see
any damage going on in nature you must play the flute and the song
of the Earth Mother will call all the Pugwudgee that help to clean up
the mess.

Well, people coming builds cities, and highways and factories and
shopping center and parking lot, turning the world into a garbage
dump. And Little Girl keeps playing their flute and Pugwudgee keep

1
Ubuntu is seen as one of the founding principles of the new republic of South Africa,
and is connected to the idea of an African Renaissance. According whit Arcbishop
Desmond Tutu “A person with Ubuntu is open and available to others, affirming of
others, does not feel threatened that others are able and good, for he or she has a
proper self-assurance that comes from knowing that he or she belongs in a greater
whole and is diminished when others are humiliated or diminished, when others are
tortured or oppressed”.
2
The original basis of that story is by Tony Shearer and it's called "The Praying Flute".
trying but eventually keeps to much for them and they don’t come
anymore. Now the people are in an environmental crisis and so they
have a confront, an environmental confront, like us here. They talk
about all the possible things they can do but nothing seems to be
working very well. And one old professor sais: - I heard about an old
lady named Little Girl and she had a flute and she called the
Pugwudgee to come help. Of course everybody laugh, but this old
professor sais: - Well you know, there’s true in those old stories,
maybe we wish to investigate.

So they make an expedition and eventually they did find Little Girl
who lived in a little cab in back of the woods by herself. And when
they went to ask her for a help she said: - Ah the Pugwudgee they
don’t come anymore, you make too much mess and they are going
away. But they insist to give it another try. So she put out the flute
and play and of course the Pugwudgee they don’t come. And she
says: - You see, nothing we can do. - Well - they said - you know we
have done some bad things but there were some good too. We can
really communicate now, we have the Internet, we have satellites up
there, we can beam your flute all over the earth. And she says: - Ok I
like to see that before I die, ok I’ll try. So they goes out to the studio
and she plays her flute and she goes up to satellite and they goes all
over the earth, and the stars coming out, in everybody’s stereos, in
their mp3 players, in their teeth filling, everywhere! You couldn’t
escape it.
So she says: - Do you see? I told you, they’re giving up to this
planet, they’re gone to try to find a cleaner planet somewhere. And
they sais: - We also know how to go in the space now. Maybe if we
put you up there, among the stars and you play on your flute maybe
they would mind hear you up there. – Ok - she said - I never see that
before, I’ll try that before I die.
So they brought down the space station. They counted down: five,
four, three, two, one, Wroooom… and she went to the stars. And she
get up there and she plays onto her flute and sang the song of the
Mother Earth out all over the stars. Than the spaceship came back
down the Earth and splashes down on the ocean and a big ship
picked it up. All the important scientists and world leaders were there
to greet her. And she said: - Well boys, what do we do? And they
said: - Well we’re sorry, but they didn’t come. And she sais: - Ok, well
this is good try, you know, I mind is better I coming going home and
spending some time wait to die.

So back to her cabin she put on her nice best dress and she sat
down, close her eyes and sais: - Ok Creator, I’m ready to go, anytime
you are going to come to take me. And then she heard a voice said: -
Little Girl! But it doesn’t sound like the Creator. Standing on the table
right next her was a little Pugwudgee. And she sais: - well where were
you? I have playing up the flute all over the place, upon the stars and
everywhere but you don’t come! He said: - Yes yes, we know we
know. We don’t think was any use but, you know, you are so insisted
that we start to think that is better we try again. And we finally realize
that there was one group of people that we haven’t reached yet, and
maybe you ca help us to reached that group of people. And she sais:
Ok, well what we have to do? And he sais: - Get your flute and come
on. Bring her down to the road and he sais: - Wait right here.

Pretty soon she heard a noise, around the band of the road:
Wroooom. And round the band of the road came a great, big, yellow
school-bus. It stops, the doors flank opened and all these little kids
came running out screaming: - Yeeeah! We’re free, we’re free.
Pugwudgee sais: - Now play your flute! She began to sang the song
of the Earth Mother. The little kids were running and they heard the
song and they slow down, and they stopped and they turned around
and they began to walked back to the Little Old Lady. And they made
a circle around her. And their eyes was locked up to listen to. And
their mouth was open. And then when everyone those open mouth
they jumped a little Pugwudgee. Now everyone of those children had
a little Pugwudgee inside them! Teaching them guiding them, show
the way to do.

Now, it seems like a kind of fantastic story, but I began to think


maybe something is true.
Because as I going to these schools has been a change in the
past years. Walking down the corners I see these big picture they
are draw of Mother Earth, and the Sun and the Moon and the stars
and the plants, all of kind of animals. I see the projects they made
themselves, they drawing solar power, wind power. I see these little
recycling center where they put plastic, green glass, brown glass,
papers and all this stuff of things. And I see these men walking on the
highways with little black bags where picking up stuffs and put it on
the bags and cleaning up. So I think something is going on up there
guys. I feel a kind a hope for. So I tell at all those kids this story and I
say: - If you just happen running on to a little old lady playing a flute
somewhere, you are going on close to and open your mouth real wide,
and you might get your very own Pugwudgee.

Thank you very much for coming.


Crescere i bambini nella gioia ∗

È di nuovo notte, e siamo seduti intorno al fuoco nella nostra riserva


di Watuppa. Le scintille danzano nell’aria buia, cercando di salire oltre
gli alberi, verso le stelle. Ho appena terminato di raccontare storie, e
ora ci prepariamo a sistemare i più piccoli per la notte nei rispettivi
accampamenti. Domani convocherò un consiglio di bambini.

Racconterò altre storie, e i più giovani avranno l’opportunità di


discutere le loro questioni e di narrare storie a loro volta. Il modo per
apprendere e capire veramente una storia è di raccontarla tu stesso,
e spero che qualcuno di questi giovani sarà in grado di tramandare le
tradizioni del nostro popolo per la prossima generazione. Fui molto
orgoglioso quando Tokeem, il mio primo figlio, si alzò in piedi per la
prima volta in questo cerchio e raccontò un’antica leggenda del nostro
popolo agli altri bambini. Sentii allora questa parte del retaggio
wampanoag passare dagli anziani attraverso di me e verso le
generazioni future. Ora il mio secondo figlio, Tashin, ha iniziato a sua
volta a imparare e raccontare le storie. Tra tutte le cose che voglio
esprimere nei discorsi che condividiamo qui, la più vicina al mio cuore
è questa: il nostro rapporto coi bambini. Ho già detto che i miei due
figli sono il centro della mia vita, ma non sono soltanto loro ad avere
quest’importanza per me. Bambini di ogni età mi arricchiscono, mi
elevano, mi educano e mi riempiono d’amore, speranza e gratitudine.
I bambini mi deliziano, mi lasciano stupefatto e mi fanno sentire
tenero, gentile e con la voglia di dare. Tenere un bimbo tra le braccia
mi connette al cuore del mistero della Creazione più di ogni preghiera.
L’innocente fiducia del loro sonno mi fa tirar fuori i più profondi istinti
di protezione e di aver cura degli altri. La curiosità di grandi occhi
stupefatti e di piccoli pugni che si allungano verso un mondo vasto e
sconosciuto mi eccita con il potenziale di tutte le avventure
dell’universo. E avere quelle piccole dita strette fermamente intorno
alle mie, vedere un grande sorriso sdentato illuminare quel piccolo
volto, equivale per il mio cuore a saltare come un delfino che balza di
gioia improvvisa.

Un bambino ai primi passi risveglia alla mia coscienza il miracolo di


cose ordinarie che non noto mai. Camminando con Raven, la bimba di
tre anni della nostra comunità, è impossibile affrettarsi lungo il


Quello che segue è l’intero capitolo 9 del testo Ritorno alla creazione, Urra-
Apogeo, Milano 2006, pp.113-132. Si ringraziano l’Autore e l’Editore per
averne gentilmente concessa la riproduzione.
cammino. Sei costretto a procedere alla sua andatura e a guardare le
bellezze che ti circondano, l’erba, le farfalle, le pozze d’acqua.
Talvolta si accovaccia e se ne sta semplicemente a guardare a lungo
per terra. Se riesci a dimenticare la tua meta e la tua impazienza per
un po’, ti accovacci con lei ed entri nel suo mondo. Qui ci sono
formiche, affaccendate con una vita completamente diversa.
E un bruco, uno scarabeo, qualche buco interessante nel terreno, e
tante piccole pietre. Raccoglie una pietra e la osserva da vicino. Poi,
felice per la tua compagnia nella sua esplorazione, te la porge. Che
meraviglia quella pietrina verde, blu e grigia! Incastonata nell’argento,
canteresti la sua bellezza e la sua perfezione, ma qui ci hai appena
camminato sopra tra centinaia di altri miracoli, per terra ovunque
cammini. Questa piccola bimba ora ti guarda per scoprire la tua
reazione. È la tua maestra, condivide il suo mondo speciale con te, e
quando le sorridi sei anche tu il suo maestro, condividendo la fiducia
e l’amore dei tuoi anni di vita su questa Terra che lei ora vuole
esplorare.

Sono ormai due anni che Raven sta imparando a parlare. Impara le
parole, spesso le pronuncia, le canta, le canticchia, le grida. E poi fa
domande. Così tante domande! Così tante cose da imparare per
potersi prendere cura di sé in un mondo pieno di così tanti oggetti,
animali e persone. Quanto imparano velocemente! Ogni giorno ci
sono nuove parole, nuove idee, nuove conquiste. Perché se tutti
continuassimo a imparare nuove parole, nuove idee, nuove conquiste,
nuove abilità ogni giorno al ritmo con cui imparavamo da neonati,
saremmo tutti i più grandi poeti, filosofi, scienziati mai vissuti.

Attraverso il contatto con altri esseri umani e altre creature arriva la


gioia, e lo stesso con la viva terra e il cielo; per me, la gioia maggiore
arriva attraverso i miei contatti coi bambini. Crescere i bambini è stata
una vera delizia per me da quando nacque il mio primo figlio, ma devo
ammettere di aver commesso numerosi errori esercitandomi con i figli
di altre persone come parente, maestro o amico nella prima parte
della mia vita. Fortunatamente per i miei figli, essi sono arrivati tardi
nella mia vita dopo molte avventure e cose imparate con molti altri
bambini, e in particolare dopo aver messo in pratica la filosofia
educativa dei popoli nativi tradizionali.

I bambini sono il cuore della famiglia, così come la famiglia è il cuore


della comunità e della società. In tal modo, la cura dei bambini è una
questione cruciale per la nostra sopravvivenza, così come è cruciale
per la famiglia, per la comunità e per la società, cruciale per la
sopravvivenza delle nostre nazioni indiane e per le usanze
tradizionali. Credo con tutto il cuore e tutta la mente che le tradizioni
native rappresentino i soli modi che i genitori umani abbiano scoperto
per relazionarsi ai figli in maniera sana ed equilibrata, coerente coi
principi universali che abbiamo discusso.

Queste tradizioni furono sviluppate in oltre un milione di anni


d’esperienza di vita tribale; non solo in questo continente, ma in tutto
il mondo, persone tribali naturali hanno vissuto e trasmesso
essenzialmente le stesse tradizioni e modi di vivere di generazione in
generazione nella pace e nella stabilità, preservando eguaglianza e
benessere per tutti i membri delle comunità. L’esperienza di vivere in
queste famiglie con giovani che crescono e diventano adulti è nel
complesso piena di soddisfazione e piacere. Ciò si accorda alla
nostra comprensione delle Istruzioni originarie secondo cui i bambini
sono la nostra benedizione più grande, e prenderci cura di loro è la
nostra maggiore gioia.

Per un milione di anni, le tradizioni si sono dimostrate valide per


contenere trama e ordito della società umana nel suo ambiente
naturale. I nuovi costumi portati dalla civilizzazione iniziarono a
crescere poche migliaia d’anni fa, e hanno già causato così tanta
distruzione sulla Terra da mettere a repentaglio il futuro del genere
umano. In questi ultimi decenni, la qualità della vita è deteriorata
rapidamente, e ancor più rapidamente nei centri urbani che
costituiscono il vero frutto e risultato di questa civilizzazione.
Così sembrerebbe sia nel miglior interesse di tutte le persone,
indipendentemente dal gruppo etnico o dall’eredità culturale, imparare
e adattarsi alle antiche tradizioni tribali relative alla famiglia. Cosa
sono queste tradizioni? Se osserviamo i gruppi tribali che resistono
all’assimilazione nell’America del Nord, del Centro e del Sud, in
Africa, in Australia e presso alcune società insulari, utilizzerei due
parole per descrivere la fondamentale comprensione spirituale che
esprime tutte le loro usanze e le tradizioni, compresa l’educazione dei
bambini.

Queste due parole sono fiducia e rispetto.

Nella regione amazzonica dell’Ecuador, i Waorani vivono una vita


nomade nella giungla come facevano i loro antenati: cacciando,
raccogliendo e coltivando, spostando il villaggio quando il fragile
suolo si esaurisce. Qui possiamo vedere l’educazione dei figli non
influenzata da nessuna intrusione della cultura moderna. I bambini
sono felici, vivaci, coinvolti con interesse in tutti gli aspetti della
comunità. Non ci sono scuole o infrastrutture per la loro educazione.
I piccoli seguono altri bambini un po’ più grandi e gli adulti, e
imparano osservando e sperimentando. Ogni cosa nel villaggio viene
condivisa: la frutta raccolta, la carne cacciata, gli utensili e gli
attrezzi. I bambini collaborano fra loro poiché non vedono altro di
fronte a sé. L’idea di competizione è loro sconosciuta. Non c’è rivalità
tra fratelli. Hanno gli stessi diritti e sono amati e curati da tutti gli
adulti. Sono figli di tutti, e vengono trattati con fiducia e rispetto
completi.
Il concetto di fiducia permea tutto, dimostrato da una fede semplice
nelle leggi e nelle interconnessioni della Creazione. In relazione
all’allevamento dei figli, questo significa una fiducia totale nella bontà
di base, nell’intelligenza e nelle risorse dei bambini. Nel mondo
“civilizzato” le persone non hanno fiducia le une nelle altre, e non
nutrono alcuna fiducia nemmeno nei propri figli. I bambini crescono in
un’atmosfera di diffidenza. Non hanno fiducia negli altri, e nemmeno
in se stessi.

Non c’è da meravigliarsi se l’amore è così fragile nel mondo


occidentale. Non stupisce che le famiglie e le comunità si disgreghino.
La fiducia non è una qualità che si possa predicare, insegnare,
inculcare o immettere a forza in un bambino. Con questi metodi la si
può distruggere, ma può invece essere promossa soltanto da altra
fiducia, amore incondizionato e cure attente e consapevoli. I neonati
vengono al mondo già pieni di fiducia, e si aspettano di essere al
sicuro, di venire nutriti, scaldati, cullati e amati. Per mantenere quella
fiducia non dobbiamo far altro che mantenere le naturali aspettative
del bambino. Appena lo allontaniamo dalla madre, miniamo
automaticamente la sua fiducia. Se quel bambino non si adagia sul
petto della madre e non sente il suo calore, il battito familiare del suo
cuore, e succhia quel latte quando ha fame, milioni d’anni di
aspettative genetiche vengono frustrate.

Supponiamo invece che quel bambino sia nato in casa, o in un


ospedale molto illuminato che ha dato il piccolo alla madre appena
nato. La fiducia continua. Ma in seguito, prima o poi, il bambino andrà
in una culla. Vorrà essere tenuto in braccio e cullato, ma
improvvisamente si ritrova solo, a guardare il mondo attraverso delle
sbarre. È già in prigione! Non sa nemmeno cos’ha fatto di sbagliato!
Piange. Gli hanno cambiato il pannolino, è stato cambiato, e l’hanno
nutrito. Perché piange? Lo prendono e lo portano in giro per un po’.
Smette di piangere e si addormenta. Ecco di cosa si trattava, era
stanco. Ma perché non riusciva a dormire? Forse aveva bisogno della
rassicurazione del contatto umano. Viene rimesso nella culla. Più
tardi si sveglierà con un sussulto, cercando la mamma. Ma non c’è. Si
sente di nuovo abbandonato. Col cuore infranto, si lamenta e piange a
squarciagola. Dopo un lasso di tempo che sembra un’eternità arriva
qualcuno, e il ciclo si ripete. Cambiato, nutrito e portato un po’ in giro,
dopodiché viene rimesso nella culla. È vita questa? Scusi, guardia,
quand’è la prossima udienza per chiedere la grazia?

I figli dei nativi tradizionalisti vengono sempre tenuti a stretto contatto


fisico dapprima con la madre, poi con altri membri della famiglia. La
madre tiene il bimbo mentre svolge le attività quotidiane, in grembo o
comunque a contatto col proprio corpo. Quando il piccolo viene messo
in una culla, lo si avvolge dolcemente con una coperta sistemandolo
in una posizione da cui possa vedere ciò che fa la madre. Si sente a
contatto e al sicuro mentre la madre gli parla e canta, rassicurandolo
che tutto va bene e che tutto è come dovrebbe essere. La fiducia
prosegue. Di notte, la bimba (o il bimbo) dorme di fianco alla madre.
Quando si sveglia per fame, non piangerà da sola nel buio, ma si
sporgerà semplicemente verso la mammella da cui dipende.
In un contesto tribale, se la madre è malata o non in grado, si troverà
una balia che dorma con la bimba. Soddisfatta, questa si
riaddormenterà, senza che la sua fiducia sia stata disturbata. Ci sarà
la nonna a tenerla in braccio, e poi una zia, una sorella maggiore, il
padre, il nonno, gli zii, i fratelli e i cugini. La bimba passa tra tante
braccia amorevoli e amichevoli. La Fiducia cresce. Quando arriva il
momento in cui la piccola sperimenterà cosa significa essere da sola?
Quando sarà abbastanza grande, indipendente e curiosa da
allontanarsi da sé. Ci proverà per un breve tratto, e si precipiterà
subito indietro. Sentendosi al sicuro, proverà poi ad allontanarsi per
un tratto un po’ più lungo, finché ti rendi conto che si è sposata e sta
cullando un figlio proprio. Ecco in breve l’insegnamento fondamentale
dell’allevamento dei figli nel mondo tribale tradizionale. Come
potremmo riassumere tale insegnamento? Resta vicino, renditi
disponibile, e lasciali stare. Questa è la via della fiducia.

E per quanto riguarda il rispetto? La fiducia è ciò che la persona


nativa tradizionalista sente, mentre il rispetto è il modo in cui esprime
quel sentimento a tutta la Creazione.
La maggior parte delle persone è d’accordo nel riconoscere il rispetto
come una buona cosa. Ma non sono d’accordo su come insegnarlo. Il
rispetto non s’insegna con la coercizione. Non puoi esigere il rispetto.
Se lo esigi, ciò che otterrai non sarà rispetto, ma paura, sottomissione
o ribellione malcelata.

E allora come puoi infondere il rispetto nei tuoi figli? Al pari della
fiducia e della curiosità, il rispetto viene da dentro. Se vuoi che tuo
figlio rispetti gli altri, devi mostrare rispetto a tuo figlio, al tuo partner,
ai tuoi genitori a tutti i tuoi parenti e amici, compresi i loro figli. Il
rispetto è un valore personale. I valori non possono essere insegnati
da conferenze, oppure tramite ricompense e punizioni. Si possono
insegnare soltanto tramite l’esempio. Quando si tratta di valori, penso
a me stesso come ad un consulente per i miei figli. Non posso forzare
i miei valori su di loro; posso soltanto offrire loro il mio pensiero come
una risorsa. Se mi cercano come consulente, devono avere un motivo
per farlo. Devono essere in grado di vedere che la mia vita funziona
bene per me e per quelli che mi circondano. Posso offrire loro il mio
parere senza che mi venga richiesto, ma una volta sola, per
informazione. La ripetizione equivale a predicare, e non verrà
ascoltata.

Se amiamo i nostri figli, se abbiamo fiducia e rispetto verso di loro, i


nostri figli ci restituiranno tutto. Se accettiamo e apprezziamo i nostri
figli per il miracolo della Creazione che essi sono, essi ci restituiranno
accettazione e apprezzamento. Così come un lupacchiotto imiterà i
suoi genitori, tuo figlio si modellerà su di te e sui tuoi valori.
La Creazione sa cosa sta facendo. Tutto ciò che chiede agli adulti è di
non abbandonare i propri piccoli. I bambini non hanno bisogno di una
mole immensa di istruzioni. In effetti, imparano meglio quando non
s’insegna loro. La Creazione li ha resi imitatori, ed è così che
imparano in modo più efficiente. Qualsiasi cosa vogliamo che facciano
o siano, dobbiamo farla o esserla noi per primi.

Ovviamente, imiteranno molte persone. Ma i loro primi modelli sono la


madre e il padre. Poi i fratelli e le sorelle. Forse vorranno essere
come il nonno o la zia Ramona, o il vecchio Enrico della porta
accanto. Probabilmente proveranno molti modelli prima di sviluppare il
proprio. Chi è la loro guida in questa educazione? La Creazione, cioè
loro stessi. L’impulso viene da dentro. Si possono certamente mettere
tutta una serie di stimoli intorno a loro. Si può ispirarli con il proprio
entusiasmo e col proprio amore. Ma se si esagera, s’incontrerà
resistenza: sarà allora come smorzare il desiderio stesso che si
desidera accendere. Poiché l’impulso a imparare deve venire da
dentro di loro, non da dentro di te. Questa è la via della fiducia. Sai
che tutto ciò che devi fare è amare quella bambina, darle rifugio,
nutrimento, proteggerla dai pericoli fisici ed essere disponibile quando
ha bisogno di te. È la Creazione a occuparsi del resto. Non è
necessario predicare, fare ramanzine o dare castighi, né hai bisogno
del bastone e della carota, di premiare e punire. Non devi far altro che
esserci, accettarla, sostenerla e apprezzarla per ciò che è.

La nostra gente capisce che nel loro sforzo di divenire forti e


indipendenti, i giovani cercano fonti di vita oltre i genitori. È così che
dev’essere. Nelle antiche usanze di molte delle nostre nazioni, c’è
spesso qualcun altro oltre i genitori che s’incarica di fare da guida a
un giovane. Può essere una zia o uno zio, un madre del clan, uno zio
clanico oppure un nonno. Oltre il cerchio dal quale il giovane cerca di
crescere, costui è un maestro, un consigliere, un amico e un alleato.
Questo consigliere apprezza il giovane per ciò che è, come individuo,
oltre il riflesso dell’orgoglio della famiglia da cui proviene. Maestri del
genere preparano il giovane per l’iniziazione nell’età adulta e per le
loro responsabilità verso la famiglia, il clan, la società e la nazione. Il
loro atteggiamento verso i giovani discepoli è di rispetto e fiducia
totali. Forse l’aspetto più terribile della conquista e della
sottomissione del nostro popolo da parte della cultura distorta con la
quale tutti noi abbiamo ora a che fare risiede nella mancanza di
comprensione e apprezzamento verso le nostre tradizioni. Abbiamo
così tanto di cui essere orgogliosi nella nostra eredità culturale, e la
saggezza del nostro antico modo di allevare i figli è una delle nostre
glorie maggiori.

Questa filosofia e questo modo di vita sono così poco conosciuti che
al di fuori degli appartenenti alla nostra tradizione sono in pochissimi
a saperlo. Persino gli Indiani appartenenti a una o due generazioni
successive alla conquista non sono più in grado di comprendere.
Noto che nella moderna società l’educazione e la crescita dei figli non
sembrano essere una gioia per la maggior parte dei genitori, ma
piuttosto una lotta, un’impresa piena di sconcerto e perplessità, e
spesso un’attività enormemente frustrante. Spinti dalla disperazione, i
genitori di oggi abbandonano le proprie responsabilità verso i figli alla
seduzione di una malsana cultura contemporanea, all’intrattenimento
preconfezionato, al cibo pregno di sostanze chimiche, a una
cornucopia di narcotici che vanno dalla caffeina al crack.

Niente mi rende più triste che visitare la casa di una famiglia indiana
contemporanea e vedere i bambini inchiodati alla televisione, con cibo
iperzuccherato e artificiale sulla tavola, e i genitori che danno ordini ai
figli e litigano tra di loro. Non è colpa loro. Sono vittime della
decadenza mentale e morale della cultura oppressiva oggi dominante.
Ovviamente non lascio nemmeno intravedere che non approvo niente
di ciò che stanno facendo. Noi è nel nostro modo di fare. Non posso
che parlare di queste cose alle nostre cerimonie in maniera generica,
oppure in occasione delle conferenze a cui vengo invitato, oppure
scrivo articoli che forse un giorno leggeranno. Posso però dire cosa
succederà a quella famiglia. So che se quella famiglia si unirà ad altre
per combattere per i propri diritti di Nativi, si rivolgerà alle proprie
tradizioni. Parteciperà alle cerimonie e alle riunioni, ascolterà gli
anziani. Imparerà ad allevare i figli secondo la tradizione, inizierà a
pensare e cambiare, e i suoi membri cominceranno ad avvicinarsi l’un
l’altro.
So anche che se quella famiglia non proverà alcun interesse nel
recupero della propria eredità culturale e non la cercherà con tutte le
forze, comincerà a disintegrarsi come tante altre famiglie appartenenti
alla cultura dominante. Il solco tra le generazioni aumenterà e si farà
più profondo. I genitori si separeranno, i figli abbandoneranno la casa.
L’alcol e la droga inizieranno a menomare alcuni di loro, rendendoli
incapaci e inetti. Alcuni scapperanno e lotteranno tentando di
sopravvivere da soli, e tristemente qualcuno volterà le spalle alle lotte
della sua stessa gente.

Ecco perché nella guerra contro l’alcol e la droga la nostra migliore


risorsa è costituita dalle nostre tradizioni. Tali usanze sono radicati
nella famiglia: non la famiglia mononucleare isolata, ma la famiglia
estesa. Si basano sui rapporti, sulla vicinanza, sulle persone coinvolte
l’una con l’altra, sull’esserci in tempo di bisogno. Si fondano sull’aiuto
reciproco, su famiglie che si aiutano a vicenda. Que ste usanze
tradizionali sono incentrate innanzitutto sui bambini, e funzionano
bene poiché danno loro un senso del proprio valore attraverso fiducia,
dignità e apprezzamento. I figli sono la nostra migliore speranza per
eliminare per sempre l’abuso di alcol e di droga. Si tratta di una lotta
cruciale per noi, poiché i nostri figli sono la nostra sopravvivenza.

Come disse il grande uomo medicina degli Hunkpapa, Toro Seduto:


“Uniamo le nostre menti per capire che tipo di vita possiamo offrire ai
nostri figli.” Quando vedo persone dare ordini ai propri figli come se
fossero schiavi, arrabbiarsi e gridare se non soddisfano i parametri
loro imposti, quando vedo bambini picchiati o manipolati, divento
molto triste. Genitori simili non nutrono fiducia verso i propri figli
poiché non ne hanno ricevuta a loro volta. Non hanno fiducia nella
Creazione. Non sanno cosa sia la fiducia. Sono particolarmente triste
quando vedo genitori indiani moderni comportarsi in questo modo,
poiché senza rendersene conto imitano i metodi della cultura
dominante responsabili della dissoluzione della famiglia e del collasso
dei valori spirituali.

Questa dissoluzione ebbe inizio quando si cominciarono a portare via


i bambini indiani dalle loro case per metterli a forza nei collegi.
Quando infine riuscivano a tornare a casa, a volte non erano neppure
più in grado di parlare con i genitori, poiché nei collegi era proibito
parlare le lingue indiane. Per molti dei nostri che presero a seguire i
modelli europei, andarono perduti migliaia d’anni di educazione dei
figli con metodi dolci, fiduciosi e tradizionali . Le tradizioni europee
diffidano di tutta la natura, e in particolare della natura umana. Il
concetto del Peccato originale è fondamentale per le leggi e le usanze
europee. Da quel punto di vista gli esseri umani sono per natura
corrotti, avidi, aggressivi, ingordi e indulgenti con se stessi, e le loro
pulsioni antisociali possono essere contenute soltanto con la minaccia
della punizione o la promessa di un premio.

Il fatto è che i concetti di buono e cattivo sono privi di significato se


applicati a un bambino appena nato. Un neonato non è avido, né
corrotto o pigro – e nemmeno generoso o nobile. Un bambino può
essere affamato. Un bambino può essere curioso, può essere stanco,
confuso, pieno di energia o espansivo. Ma il bambino non ha nessun
concetto di potere, sebbene si possa sentire frustrato se costretto.
Non conosce il concetto di proprietà, ma si indignerà se gli viene tolto
qualcosa che stringe tra le mani. Oltre alla necessità d’essere
sfamati, di essere tenuti asciutti e al caldo e di avere a disposizione
un posto familiare e tranquillo, i piccoli hanno bisogno di espandersi e
di esplorare. Il lato più importante della nostra specie si mostra molto
presto nella vita. Gli esseri umani sono infinitamente curiosi. Hanno
bisogno di esplorare se stessi e l’ambiente. È un bisogno reale.

Quando a un bimbo viene tolta la possibilità di esplorare, quando


viene messo in un box o in una culla, quando sente dirsi
ripetutamente “no” ogni volta che vuole toccare qualcosa, si esaspera
e tira fuori ancor più energia, piange e lotta con tutte le forze. Allora
l’adulto forza la mano. Prova a guardare la questione dal punto di
vista del bambino: c’è qualcuno dieci volte più grande di te che frustra
ogni tuo movimento. Ma che razza di mondo è mai questo? Una
mossa migliore consiste nel rendere l’ambiente a prova di bimbo e
lasciare che abbia la sua libertà d’azione. Il che significa togliere di
mezzo tutto il materiale pericoloso o di valore. Ma non esagerare
togliendo tutti i possibili interessi e stimoli, altrimenti trasformerai
l’intera casa in una sterile prigione, e il bambino perderà interesse. La
sua mente interessata non troverà nulla da cui imparare, ed essa
vuole imparare ogni minuto della sua vita da sveglia.

Senza stimoli, il piccolo si annoierà e rallenterà. In seguito, durante la


vita, diranno che è stupido. Ha iniziato intelligente quanto gli altri, con
un universo di potenzialità davanti di fronte a sé, il suo corpo è stato
nutrito ma non la mente, che si è così atrofizzata, appassendo per il
mancato utilizzo.
Se si lascia campo d’azione alla naturale curiosità umana,
l’apprendimento avviene ad un ritmo straordinario. Basta osservare
quanto poco ci mette un bambino a imparare a parlare. Più la piccola
ascolterà parlare in casa, più apprenderà velocemente. Ma se
qualcuno si mettesse in testa di insegnarle la lingua attraverso una
serie di lezioni, esercizi e compiti, se i metodi che usiamo nelle nostre
scuole venissero adoperati per insegnare a parlare, ci vorrebbero
molti anni, e probabilmente a prezzo di grandi difficoltà. Se qualcuno
ti dice: “Impara questo!” non proverai alcuna curiosità verso quella
cosa. Lavorerai per impararlo se devi, ma non ci metterai il cuore. La
curiosità viene da dentro in risposta a qualcosa di interessante
nell’ambiente, finché questo non viene forzato. Una volta risvegliata,
la curiosità dà un sacco di energia. Allora non smetti finché non hai
imparato tutto ciò che puoi per soddisfare quella curiosità, e in questo
processo sarai diventato curioso di qualcos’altro.

Così funziona la Creazione.


Nutriti dall’amore e dall’approvazione, incoraggiati dalla disponibilità
degli adulti loro alleati e stimolati dalla propria curiosità, i bambini
crescono e divengono adulti potenti e creativi che a loro volta
assicureranno le stesse cure e lo stesso riconoscimento ai propri figli.
Questa è la via della fiducia. E che dire dei conflitti? Quando della
gente vive insieme, come in una famiglia, talvolta si creeranno
conflitti. Forse i genitori nativi tradizionalisti permettono qualsiasi
cosa ai propri figli, anche a spese del resto della famiglia?

Anche in questo caso, le guide sono il rispetto e la fiducia. Chi ha la


responsabilità dell’educazione o ricopre il ruolo di insegnante
permette al piccolo totale indipendenza e autonomia. Al piccolo sarà
permesso di fare a modo suo e di commettere degli errori. Il piccolo
sa però sempre che c’è un adulto responsabile a disposizione per
dare consigli o assistenza in qualsiasi momento lo desideri. L’aiuto
non viene né offerto né negato, ma è sempre disponibile. Se ciò che il
piccolo vuole è inevitabilmente in conflitto con i bisogni o i desideri
del genitore, si cercherà una soluzione insieme in un clima di rispetto
reciproco. Questo sentimento di rispetto è così forte in una casa di
nativi tradizionalisti che nessun bambino entrerebbe in conflitto con
ciò che sa essere di grande importanza per un anziano. E nessun
anziano ostacolerebbe ciò che sa essere di grande importanza per un
bambino, poiché questo serve all’apprendimento e alla crescita di chi
un giorno sosterrà il popolo e la nazione. In un’atmosfera del genere,
il conflitto è raro e le soluzioni non sono poi difficili da trovare.

Ora, so bene che queste affermazioni potranno apparire troppo


idealistiche a molti, e mi sento perciò di aggiungere un po’ di vita e
realtà a quest’immagine. Nel complesso l’immagine è vera, e l’ho
osservata nelle abitazioni di famiglie indiane tradizionaliste in tutto il
Nord America. Devo inoltre dire che questo è tanto vero quanto più
quella famiglia è lontana dalle pressioni della cultura dominante, sia
essa angloamericana o latinoamericana. Nel contesto della fiducia
spirituale e del rispetto tradizionali, esiste una delicatezza, una
qualità calda, divertente e rilassata che è distante mondi interi dalle
tensioni e dai conflitti di un’abitazione “civilizzata” media, sia essa
ricca o povera, borghese o della classe lavoratrice, in un contesto
urbano o rurale.

Nella cultura dominante, la consapevolezza dell’importanza dei


bambini viene espressa soltanto a parole. I genitori sono isolati e non
viene loro offerta assistenza, ma si dice loro che responsabili della
cura e del comportamento dei propri figli. Hanno paura di portarli in
molti luoghi, dove raramente sono i benvenuti. Non ci sono ambienti
di lavoro in cui i genitori possano portare i bambini e dove questi
vengano tollerati; anzi, esistono severe limitazioni nei loro riguardi.
Recarsi a lavorare viene descritto come far carriera, ma prendersi
cura dei piccoli e della casa non lo è.
In una cultura che ripone i propri valori nella quantità di denaro,
l’educazione dei figli e l’insegnamento vengono sottovalutati e
sottopagati, e l’essere genitore non è affatto pagato né valutato. I
genitori sono l’ultimo gruppo oppresso a riconoscere la propria
oppressione e a lottare per la propria liberazione, in gran misura a
causa del loro estremo isolamento.

Anche i giovani di oggi sono un gruppo oppresso. L’oppressione viene


messa in atto nelle famiglie e nelle scuole attraverso la negazione di
qualsiasi attenzione rispettosa, con l’invalidazione dei pensieri e
sentimenti, tramite la disinformazione, l’abuso fisico, atteggiamenti
negativi e infime aspettative, e attraverso la dipendenza economica. I
giovani hanno pochi diritti oltre a quello di non venire maltrattati
fisicamente. Il loro spazio e la loro persona non sono rispettati. Non
ricevono mai un giusto compenso per il proprio lavoro. Non vengono
ascoltati. I loro sentimenti non sono considerati importanti. Non
vengono stimati, apprezzati o incoraggiati per ciò che fanno. Da
piccoli, sebbene siano costretti, sono ritenuti graziosi e amorevoli. Ma
più crescono e meno vengono curati, onorati e apprezzati per il
meraviglioso essere umano che sono.
Questa oppressione dei giovani mantiene tutta la società lontana dal
vantaggio del pensiero rinnovatore dei giovani e da grandi speranze
per il mondo. I giovani sono per natura amorevoli, intelligenti, creativi
e pieni d’allegria quando sono liberi dal cupo condizionamento delle
istituzioni sociali. E poiché rappresentano la metà della popolazione
mondiale, con l’incoraggiamento e il sostegno di noi altri potrebbero in
breve tempo cambiare il mondo, trasformandolo in un luogo più
gioioso e umano per tutti.

Nell’ambiente favorevole di una comunità basata sul cerchio sacro,


una comunità in cui la cura e l’educazione dei piccoli sono condivise
tra zie e zii, nonni e nonne, fratelli e sorelle, cugine e cugini, membri
del clan e della comunità intera, ai genitori e alle altre persone non
viene richiesto così tanto tempo. Ma finché non saremo in grado di
ricostruire le nostre comunità come cerchi sacri, sarebbe d’aiuto se
ognuno di noi dedicasse qualche pensiero e un po’ più di tempo ai
piccoli che ci circondano. In fondo sono tutti figli nostri.

E un adulto può fare davvero tanto che sia d’importanza memorabile


nella vita di un bambino. Come possiamo essere migliori alleati dei
genitori e dei giovani d’oggi? Credo che questa sia la domanda
importante. Possiamo essere i migliori alleati dei genitori se
dedichiamo un po’ di tempo a prestare loro attenzione. È necessario
che genitori e non genitori apprendano a riconoscere le condizioni
oppressive in cui si trovano i genitori per allearsi, sostenersi e
condividere la cura dei piccoli. Possiamo giocare di più con i bambini,
interessarci maggiormente ai loro interessi, seguire la loro leadership
e la loro iniziativa. Possiamo onorare i loro sentimenti e incoraggiarne
l’espressione. Sono molti i modi in cui gli adulti negano l’espressione
dei sentimenti ai più piccoli. Quando sono incolleriti, diciamo loro di
“fare i bravi”. Quando sono tristi, diciamo loro di essere allegri, che
tutto va bene. Quando hanno paura, diciamo loro che non c’è nulla di
cui aver paura. Agli adulti non piace sentire queste emozioni, e così le
negano ai propri figli. Non capiscono che l’espressione del sentimento
non è il male, bensì la cura del male.

Probabilmente la tua infanzia non è stata proprio come la desideravi.


Probabilmente non sei stato sempre rispettato e curato dagli adulti
che avevi intorno. Fino a un certo punto, questo vale per tutti noi. Ma
ora abbiamo l’opportunità di creare una grande differenza nella vita
dei bambini e nel futuro del mondo.
Possiamo offrire a tutti i giovani di ogni età pieno rispetto come esseri
umani completi. Possiamo considerarli creature uniche e indipendenti,
con idee e desideri propri. È importante per i giovani avere una
persona che li rispetti, che non abbia alcuna aspettativa riguardo la
forma e il genere di vita che devono condurre, che li approva quando
sperimentano cose nuove, che non si altera se sono in difficoltà, che
sa che la loro difficoltà non è ciò che essi sono.

I piccoli vengono al mondo gioiosi, aspettandosi di divertirsi,


aspettandosi che noi siamo divertenti e che giochiamo con loro. Ma
noi siamo diventati vecchi e seriosi. I bambini possono insegnarci a
essere di nuovo gioiosi. I bimbi sono entusiasmati dall’essere vivi, e
hanno bisogno di vedere persone che lo siano altrettanto.

Proviamo ad afferrare di nuovo la penna magica. Tienila con me ora:


verremo trasportati in una comunità tradizionale lontana da qui. Mi è
familiare, e non si tratta di una singola comunità, ma di un composto
di molte. La famiglia che visitiamo è un insieme di molte famiglie
tradizionali che ho conosciuto, da Akwesasne nello stato di New York
a Third Mesa in Arizona, dall’Alaska al Guatemala.

Oggi c’è una cerimonia nel villaggio, e molti parenti si sono riuniti per
l’occasione. Il risultato è un gruppo di bambini più grande del solito
che corre per le strade e nei campi. Al nostro avvicinarsi ci corrono
intorno e ci circondano. Hanno gli occhi felici quando ci chiedono
semplicemente chi siamo e da dove veniamo, e ridacchiano alle
nostre risposte. Non si tratta di derisione o d’un ridere malizioso, ma
di semplice gioia per un mondo pieno di sorprese e infinitamente
divertente.
Ora, intelligenti come sono, hanno capito che sono un raccontastorie
e non ci lasceranno andare senza che racconti qualcosa. Dopo una
storia, noto che il gruppo di bimbi seduto in ascolto all’intorno è più
che raddoppiato: la notizia della storia si è misteriosamente sparsa
come una rete e ha raccolto ogni piccolo del villaggio. Sono bambini
abituati ad ascoltare storie, e lo fanno con rapimento totale.
Una volta terminato, ci addentriamo nel villaggio circondati da una
grande folla di bambini che gridano e ridono. Alcuni urlano la notizia
di chi e cosa siamo a ogni orecchio in ascolto. Altri si affrettano a
correre dalle loro famiglie per annunciare la notizia. Presto ci
giungono inviti da ogni parte, che minuscoli araldi ci rivolgono a nome
dei genitori. Accettiamo il primo invito e seguiamo un gruppo assortito
di una mezza dozzina di fratelli e sorelle verso la loro piccola
abitazione familiare.
Il padre ci saluta fuori la casa con un grande sorriso del tipo “felice di
vedervi!”, e ci fa entrare. All’interno un altro grazioso sorriso ci dà il
benvenuto: questa volta è la madre, affaccendata sulla tavola. Il
padre dice qualche parola in lingua nativa e i piccoli portano delle
sedie per farci accomodare, ci porgono scodelle di stufato che la
madre ha preparato vicino alla stufa, e si raccolgono intorno per
incoraggiarci a mangiare. Lo stufato è tanto nutriente e confortante
quanto l’atmosfera di questa casa amica e generosa.

Ben presto assistiamo a un tramestio di parenti che entrano ed


escono dalla porta. Tutti ci salutano. Alcuni si siedono a tavola con
noi e subito viene loro portata una scodella di stufato. L’usanza
invariabile di ogni casa indiana è: saluta l’ospite e dagli subito da
mangiare.
Cominciano a formarsi dei gruppetti: le donne con le donne, gli uomini
con gli altri uomini, i bambini che corrono dentro e fuori. Volti
compaiono e scompaiono sulle porte e alle finestre. Eppure
l’atmosfera non è rumorosa o caotica, ma rilassata e indulgente. Le
conversazioni sono lente e silenziose, punteggiate da scoppi di risa.
Si lavora, e ciascuno svolge le sue mansioni senza che altri glielo
debbano dire o sia necessario organizzare alcunché.

Presto ci ritroviamo tutti sulla strada per le cerimonie. Alcuni bambini


ci spiegano cosa succederà, cosa vedremo, quali canti e giochi ci
saranno e cosa significano. Tutti i bimbi danzano. Subito iniziano a
muoversi sulle gambine imitando gli altri, saltellando e pestando i
piedi. Poi sono gli anziani a parlare. Lunghi discorsi in lingua locale.
Tutti ascoltano in silenzio, compresi i bambini più grandi che hanno
iniziato a capire l’importanza di queste tradizioni e la grandezza di
questo retaggio. I più piccoli corrono intorno al cerchio o si
arrampicano in grembo ai familiari. Tra i vari discorsi godiamo di un
silenzio prolungato, mentre le parole dell’oratore penetrano pian piano
nelle menti degli ascoltatori, nelle loro emozioni, nelle pietre e
nell’erba, nel suolo, per poi disperdersi come fumo ai venti
dell’universo. Segue una festa. Ciascuno ha partecipato ai preparativi
cucinando, accendendo i fuochi o tagliando la legna, e questo è il
culmine di tutta l’attività comune. I bambini si sono accomodati a un
tavolo loro riservato e sono stati serviti, ricordandoci così che siamo
qui al servizio del futuro della Creazione. Gli anziani si siedono e
vengono serviti. Tutti gli altri si mettono in fila. C’è tanto buon cibo e
volano tante battute spiritose. È un altro bel giorno come ce ne sono
stati per millenni tra la nostra gente.

I nostri nuovi amici ci hanno invitato a rimanere per la notte, e


accettiamo. I piccoli della famiglia che ci ospita vogliono un’altra
storia, ma diciamo che ora vorremmo ascoltare una delle loro. Il più
grande racconta una storia tra le preferite, dirigendo ogni tanto lo
sguardo verso il nonno che conferma con un cenno del capo e un
borbottio. Poi tocca al nonno raccontare una storia, e mi chiede se io
ne conosca una simile. Allora ne racconto una delle nostre su un tema
simile, e così continua la serata fino a che uno alla volta, stanchi, ci
ritiriamo per la notte. I bambini oramai addormentati vengono portati a
letto, e rimaniamo soli.

È stata una giornata lenta e facile nonostante l’eccitazione degli


incontri e delle cerimonie. Nulla è stato motivo di stress o di
pressione, tutto è proceduto a un passo confortevole con tanto spazio
per gli scherzi e i giochi. Non c’è stata fretta. Fuori dagli obiettivi e
dagli orari della civiltà, siamo tornati in un mondo senza tempo. La
Terra, il Sole e le stelle non fanno a gara tra loro. La vita delle
persone è senza età, e ogni momento è un’eternità perfetta.
E i bambini di questa famiglia? Sembrano vivere maggiormente nel
mondo degli adulti di quelli della cultura dominante. Non hanno un
posto apposito in cui giocare (e nelle comunità più antiche e isolate
non avrebbero nemmeno le scuole). Il mondo non è separato fra lo
spazio degli adulti e quello dei piccoli: i bambini imparano e trovano la
propria strada in un mondo unificato, il mondo della loro gente. Non ci
sono grandi quantità di giocattoli. Gli strumenti per giocare si trovano
nel mondo, fatta eccezione per i pochi balocchi fabbricati dal bambino
stesso o da un parente: una bambola, un piccolo arco con le frecce.

La maggior parte dei giocattoli sono attrezzi veri, che crescono di


misura insieme al piccolo. Questi pochi oggetti per il gioco e
l’apprendimento sono più apprezzati e valorizzati dai bambini nativi
tradizionali, più curati e utilizzati di ogni altro giocattolo prefabbricato
acquistato in un enorme centro commerciale per effetto della
pressione di una pubblicità incalzante, che ora giace rotto o
abbandonato in favore di qualche nuovo interesse passeggero.

Ma soprattutto questi bambini non vengono trattati in un modo


riservato solo a loro, eccetto quando sia in gioco la sicurezza. Sono
persone complete, trattate col rispetto dovuto agli esseri umani di
ogni età. Non c’è stato un solo momento della giornata in cui abbiamo
sentito il linguaggio speciale e il tono indirizzato ai bambini nella
cultura dominante: nessun linguaggio infantile, nessun comando,
nessun grido, nessuna moina o lusinga, nessun rimprovero, né
sarcasmo o critiche mortificanti.

La correzione degli errori o del comportamento pericoloso arriva


gentilmente, senza biasimo o tensione, da chiunque sia vicino, una
sorella o un fratello maggiore, la nonna, uno zio o un amico. Non
abbiamo assistito ad alcun rapporto conflittuale. Il padre non ha
aspettative, non esige nulla, e così non c’è motivo di separazione o
ribellione. Il padre e la madre sanno bene che i loro figli impareranno
e conosceranno il mondo per conto proprio, e che diventeranno il
meglio che possono se gli viene consentito di cercare la propria
strada. Questo è rispetto. Questa è fiducia. Questi bambini non sono
così rumorosi ed esplosivi come i piccoli della cultura dominante,
poiché non hanno la necessità di lottare contro un sistema
oppressivo. Non hanno bisogno di scaricarsi dopo essere stati
costretti a rimanere fermi tra i banchi e forzati a prestare attenzione a
cose poco interessanti nelle preziose ore della loro infanzia, mentre
fuori dalla finestra succedono cose importanti: gli uccelli giocano,
l’albatros sbuca dalla neve… mentre in tutto il mondo civilizzato gli
insegnanti descrivono le conquiste di Giulio Cesare a bambini che
imparano soltanto che il mondo è un luogo pazzo, e che gli adulti
danno grande valore a cose stupide. Non ci sono insegnanti di
professione in questo villaggio tradizionale, nessuna babysitter
professionale. Ognuno è disponibile per i bimbi come risorsa di
saggezza, come alleato e assistente, come protettore. Non si deve
pagare nessuno per levarsi i piccoli di torno e per mantenerli nel loro
mondo separato. Questi bambini vivono e crescono nel mondo
insieme a tutte le altre persone.

Se i bambini fanno troppo rumore o si agitano troppo, la richiesta di


attenzione arriva con lo stesso rispetto che si userebbe per la
richiesta di un adulto. Gli adulti capiscono che i piccoli tendono ad
essere più energici e sperimentali degli adulti, e sono in genere più
tolleranti e indulgenti degli adulti della cultura dominante. Non amano
di più i bambini: semplicemente il loro amore si esprime attraverso
una lunga tradizione di rispetto e fiducia. Sanno che ai piccoli piace
rompere i vasi e sparpagliare i pezzi su tutto il pavimento e che ciò,
pur essendo rumoroso e disordinato, sarà un gran beneficio per il
piccolo rispetto alla scomodità che prova l’adulto, e concedono loro
questo grande piacere.

Non si preoccupano della loro salute e della loro sicurezza in modo


ossessivo, insistendo che mangino e bevano in una certa maniera, o
negando loro l’accesso a luoghi di pericolo soltanto immaginario. Gli
adulti di questa cultura confidano che appena sarà in grado di
mangiare da solo, il piccolo mangerà quanto gli abbisogna. Confidano
che appena il piccolo sarà in grado di vestirsi da solo, imparerà
rapidamente a indossare gli indumenti necessari per mantenersi caldo
e asciutto.
Hanno fiducia, una fiducia che deriva da migliaia di anni di vita, e
sanno nel profondo che, una volta messi al corrente del pericolo, i
piccoli sono naturalmente intelligenti e in gamba quanto basta da non
bruciarsi ai fornelli, non tagliarsi con i coltelli, né fare una di quelle
cose che i genitori della cultura dominante immaginano e temono
costantemente.

I piccoli Indiani cresciuti alla maniera tradizionale non fanno cose del
genere. Sono troppo svegli e responsabili. Siccome le persone non
stanno sempre a dir loro cosa fare e cosa non fare, capiscono le cose
molto presto e diventano più indipendenti prima della maggioranza dei
coetanei della società odierna.
Poiché diventare responsabili è segno di maturità, essi seguono
l’esempio dei bambini di circa un anno più grandi. In questo modo,
quando giunge il momento, i piccoli apprendono compiti che si
accordano alla vita e al lavoro della famiglia e della comunità. Ecco
perché oggi non abbiamo visto un granché di organizzazione. I
suggerimenti vengono offerti ai piccoli in modo gentile. Se non si
ottiene risposta, probabilmente non è grande abbastanza. Se è
grande quanto basta, gli adulti gli parleranno, sempre in modo
rispettoso e con grande fiducia. Se il bambino avverte il minimo segno
di oppressione, allora sarà meglio che siano un nonno, uno zio o un
fratello maggiore a parlargli: qualcuno su cui egli possa fare
affidamento e che non abbia intenzioni oppressive e nessun
programma o aspettativa, e che parli solo da amico poiché in quella
posizione è talvolta in grado di dare suggerimenti più facilmente.

Queste usanze si trovano ancora nelle aree remote, lontane dalla


civiltà. In molti luoghi la civiltà si avvicina ed esige i bambini per le
proprie scuole, adescando le famiglie (impoverite dal furto delle terre
e delle risorse) nelle città, dove andranno a ingrossare le fila dei
disoccupati e diverranno fruitori di assistenza sociale. In questi posti
è difficile mantenere le antiche tradizioni. Non che i valori tradizionali
non possano esseri mantenuti in una famiglia in forte contatto con la
cultura dominante, ma tale famiglia avrà bisogno di essere più
consapevole della minaccia ai propri valori e più determinata nel
proteggerli.

Ho conosciuto una famiglia di questo tipo: è quella di Janet e del


compianto Don McCloud nelle aree Puyallup e Nisqually dello stato di
Washington. Sin dall’inizio degli anni Sessanta, questa famiglia si è
impegnata nella lotta per i diritti della propria gente, compreso il
diritto alla pesca, con l’aiuto di alleati come Dick Gregory e Marlon
Brando così come di guide native e di guerrieri di tante nazioni.
Essere al centro di tanta tensione e attenzione è naturalmente stato
un grande peso da portare. Dato il loro continuo aderire ai valori
tradizionali nativi, e grazie all’aiuto di guide spirituali indiane
provenienti da tutta l’isola Tartaruga (e grazie all’acuta intelligenza e
alla fiera resistenza di Janet, nonché alla forza benevola di Don), essi
sono diventati l’esempio per tutti di come si può resistere a una
tremenda pressione. È una grande fortuna e una forza per me e la
mia famiglia qui nell’Est l’aver conosciuto ed essere stati ispirati da
questi bravi amici dell’Ovest per tanti anni, ed è per me stato un
grande privilegio l’aver celebrato un matrimonio tradizionale per due
delle loro figlie.

Barbara, la figlia minore di Janet, è ora diventata una guida della loro
gente e pubblica un periodico per le donne native del Nord-Ovest.
Quando era ancora molto piccola, mi dimostrò inaspettatamente il
rispetto che vigeva in quella famiglia. Eravamo a Vancouver, in British
Columbia, alla conferenza sull’habitat delle Nazioni Unite. C’era un
incontro spirituale di Indiani convocato da un gruppo di anziani
tradizionalisti hopi venuti dall’Arizona. Il nostro amico Thomas
Banyacya aveva con sé una dichiarazione degli anziani che sperava
di poter consegnare in occasione del raduno che si sarebbe tenuto
presso il teatro Queen Elizabeth. Gli Indiani arrivarono tutti per
ascoltare, ma non venne permesso loro di entrare. La direzione del
teatro sembrava impaurita da tanti Indiani, sebbene avessimo detto
loro che si trattava di un raduno spirituale pacifico. Decisero di lasciar
entrare qualcuno, uno alla volta e molti non-Indiani, abituati alle
proteste e alle occupazioni, si ammassarono davanti all’ingresso. Gli
Indiani rimasero per lo più a guardare in disparte. Con l’eccezione
della mia piccola amica Barbara McCloud. Essendo piccola, si
intrufolò tra la folla e senza essere notata raggiunse la porta
d’ingresso. Quando arrivò il suo turno di entrare rimase ferma,
rifiutandosi di proseguire e non lasciando passare nessuno.
All’inizio non lo notai. Dal punto in cui mi trovavo vedevo soltanto una
certa agitazione. Poi qualcuno mi passò il messaggio che la guardia
mi voleva all’entrata, e mugugnando la folla aprì un passaggio per
me. Pensai che volessero che arbitrassi una disputa e rimasi sorpreso
nel vedere che si trattava della piccola Barbara che bloccava la porta.
“Vuole per favore accomodarsi, signore?” m’implorò la guardia.
“Questa bambina dice che non entrerà finché non entrerà anche il suo
anziano.”
Guardai Barbara. Squadrava la guardia con risoluta caparbietà,
splendente di una calma forza interiore, ma abbozzò una sorta di
sorriso cospiratore quando i suoi occhi incontrarono i miei.
Condividevamo un segreto antico e potente, un potere.
Le presi il braccio, ed entrammo insieme.
PARTE TRE
Vittorio Falsina: l’esperienza con i Nativi e
le radici spirituali della Carta della Terra
Vittorio Falsina: the Experience With Natives Peoples
and the Spiritual Roots of the Earth Charter
Re-incantare la vita delle persone: Vittorio Falsina
Mirian Vilela, Executive Director Earth Charter International (Costa
Rica)

Ho avuto la meravigliosa opportunità di incontrare Vittorio Falsina


alcune volte fra il 1998 e il 2000. Partecipava a vari incontri sulla
Carta della Terra offrendo utili contributi. Era una persona
estremamente calda, premurosa, umile e piacevole, con una notevole
preparazione accademica. Chiunque avesse passato del tempo con
Vittorio sarebbe rimasto incantato dalla sua gioia di vivere, dai suoi
modi gentili e dalla sua luminosità.

Penso di averlo incontrato per la prima volta nel corso di un incontro


sulla Carta della Terra tenutosi al Centro Conferenze di Pocantico a
nord di New York. Poi venne una volta in Costa Rica e ci incontrammo
anche in Italia, a Urbino, mi sembra nel Luglio del 1999.

In particolare ricordo che una volta, in occasione di un incontro molto


serioso, alcuni di noi stavano passeggiando in un giardino mentre uno
studioso di religione spiegava qualcosa a tutti noi. Tutto era molto
tranquillo e serio quando improvvisamente Vittorio se ne uscì con un
commento incredibilmente divertente con una gioia tale che spinse
tutti noi a ridere. Sembrava che fosse facile per Vittorio far sentire le
persone incantate dalla vita.

Voglio pagare un tributo a Vittorio per le sue idee luminose, le grandi


qualità umane e il profondo impegno in tutto ciò che faceva. E, in
particolar modo, per essere egli stesso un esempio di essere umano
premuroso e compassionevole.
Re-enchanting people’s life: Vittorio Falsina
Mirian Vilela, Executive Director Earth Charter International (Costa
Rica)

I have had the wonderful opportunity to meet Vittorio Falsina a


number of times between 1998 and 2000. He participated in a number
of Earth Charter meetings and offered valuable contributions. He was
an extremely warm, caring, humble and attractive person with an
outstanding academic background. Anyone who would spend some
time with Vittorio would be enchanted by his joy of living, good
attitude and brightness.

I think I first saw him during an Earth Charter Drafting meeting held in
the Pocantico Conference Center in the north of New York city, he
then came once to Costa Rica and we also met in Urbino, Italy,
probably in July 1999.

I specifically remember an occasion in a very serious meeting, several


of us were walking through a garden while a religious scholar was
explaining something to all of us, all was very quiet and serious and
suddenly Vittorio would raise some fantastic funny comments with
such a joy that would put everybody to laugh. It seemed to be easy for
Vittorio to make people feel enchanted with life.

I want to pay tribute to Vittorio for his sparkling ideas, great human
qualities and profound dedication in everything he did. And specially
for being himself an example of a caring human being.
Incrociando i popoli nativi. Vittorio Falsina e i suoi
dodici anni di cammino con i Nativi Americani
Claude Rigodanzo

Devo tuffarmi in profondità nella corrente viva della memoria per


riportare alla luce i ricordi di Vittorio e dei suoi legami con i nativi
americani. E’ un tuffo all’indietro di quasi 20 anni che mi riporta agli
inizi del 1989, quando accompagno Vittorio nella sua prima visita
all’American Indian Center di Chicago per assistere ad un pow-wow,
un evento di ritrovo e di danze intertribali per la comunità dei nativi
americani. (Vittorio era arrivato negli Usa alla fine del 1988 per
iniziare i suoi studi alla University of Chicago). Da quel momento in
poi Vittorio continuerà ad incrociare i sentieri dei popoli nativi in varie
forme per i restanti 12 anni della sua vita.

Cogliendo con uno sguardo unitario questi 12 anni, mi sembra che i


numerosi incontri personali di Vittorio, le sue amicizie e le sue attività
con i popoli nativi si siano configurati soprattutto nelle seguenti
costellazioni di esperienze:
- l’impegno nella comunità nativo americana di Chicago;
- la partecipazione alle cerimonie tradizionali;
- gli incontri con vari gruppi indigeni durante l’elaborazione della
Carta della Terra.

L’impegno nella comunità nativo-americana di Chicago

E’ a Chicago che Vittorio inizia a costruire quello che diventerà negli


anni un legame permanente con i nativi americani. Introdotto
all’American Indian Center e all’Anawim Center, egli incontra quella
che viene definita “la comunità invisibile” di Chicago. Spesso poveri o
al limite della povertà, alle prese con le dinamiche di una metropoli
industriale e plurietnica, non rappresentati politicamente e spesso
ignorati dai media, i 20.000 membri della comunità nativa di Chicago
non hanno quasi nessuna visibilità sociale.
Nelle sue visite occasionali all’American Indian Center, un centro di
servizi sociali ed educativi gestito dai nativi stessi, Vittorio viene a
contatto con la comunità nativa nel suo insieme e ha modo di poter
assistere ad alcuni pow-wows. Queste danze intertribali, che si
svolgono attorno ad uno o più tamburi centrali, sono soprattutto un
momento di ritrovo e di festa tra nativi di varie origini (Cherokee,
Chippewa , Sioux, Choctaw, Oneida, Blackfeet e Menominee, per
citare solo i maggiori gruppi tra le 100 e più nazioni indigene
rappresentate a Chicago).

Sarà però all’Anawim Center, il centro per nativi americani della


diocesi cattolica di Chicago, che Vittorio avrà modo di investire il suo
tempo e le sue energie per quella che lui stesso definirà
“l’accoglienza verso le persone emarginate e diverse […] nella
condivisone di vita e nella lotta per la difesa dei diritti umani.” Su
invito di Anne Walter, direttrice dell’Anawim Center, inizierà
successivamente a celebrare la messa domenicale per i Nativi
cattolici, mantenendo sempre uno stile personale discreto e positivo.
Diventerà per molti una figura spirituale di riferimento e ispirazione,
con un sorriso che incoraggia e sarà per tutti un uomo “dal cuore
buono”, come dirà qualcuno che l’ha conosciuto.

All’Anawim Center Vittorio approfondisce i suoi legami di amicizia con


i nativi americani. Viene a conoscere non i nativi in generale, ma
bambini, uomini e donne indigeni con i loro volti particolari e le loro
storie personali spesso sofferte. Non gli sfugge l’impegno e la tenacia
con cui le donne della comunità, spesso madri su cui grava il peso
maggiore della famiglia, tengono viva la rete della solidarietà e
dell’aiuto reciproco. Conoscerà Peggy DesJarlait, una “nonna” a cui
tutti guardano con estremo rispetto in quanto è stata capace, pur tra
innumerevoli difficoltà, a trovare cure, cibo e alloggio per 16 bambini
provenienti da famiglie disagiate. Grazie a James Yellowbank
dell’Indian Treaty Rights Organization – Organizzazione per la difesa
dei diritti indiani stipulati dai trattati – avrà modo di capire la
situazione reale dei Nativi Americani negli Usa e rendersi conto della
portata del genocidio nelle americhe (le stime contemporanee
indicano che prima del contato con gli europei la totalità delle
popolazioni indigene delle Americhe era di 60-70 milioni di individui,
per ridursi nel 1900, in un arco di 400 anni di massacri e malattie a 5
milioni). Rubando il tempo ai suoi impegni di studente (e qui bisogna
ricordare che all’Università di Chicago si è sottoposti ad un ritmo di
studio e ad una richiesta di eccellenza tra i più esigenti in ambito
accademico) Vittorio troverà anche il tempo di aiutare concretamente
qualche famiglia, dando una mano come è possibile, a volte passando
interi pomeriggi i compagnia di qualche adolescente la cui unica
prospettiva era quella di “finire in strada”.

La partecipazione alle cerimonie tradizionali

Se Vittorio è riuscito ad entrare in profondità nella vita e nella


spiritualità dei nativi americani è anche perché ha avuto modo di
assistere e partecipare ad alcune delle più significative cerimonie
tradizionali. E’ fuori dubbio che Vittorio abbia subito l’impatto positivo
di questi riti e dei loro simboli e che essi abbiano rappresentato per
lui uno degli elementi più importanti per “acquisire un senso di
riverenza per la sacralità della terra”, per esprimerci con le sue stesse
parole.

In questo contesto mi limiterò ad accennare per sommi capi alle varie


cerimonie, prima di tutto perché è alquanto difficile esplicitare
pienamente in che modo abbiano impattato su Vittorio e,
secondariamente, perché non è possibile, nei limiti di queste pagine,
entrare nel dettaglio delle cerimonie stesse, colmare la distanza
culturale che ci separa da esse e farne risaltare la valenza simbolica
ed esistenziale.

ƒ Lowanpi, il rituale di guarigione. Negli anni in cui Vittorio era a


Chicago, varie cerimonie tradizionali di guarigione sono state
condotte presso l’Anawim Center da Robert Stead un rispettato e
riconosciuto “medicine man” della riserva di Rosebud nel South
Dakota (anche se in maniera imprecisa possiamo tradurre il
termine “medicine man” come “sciamano”). I “lowanpi” presieduti
da Robert Stead erano finalizzati alla guarigione di una bambina
nativa americana affetta da una grave forma di leucemia. La
bambina non era quasi mai presente alle cerimonie in quanto
sottoposta a cure intensive presso il Chidren’s Memorial Hospital
di Chicago.

ƒ Inipi, il rituale di purificazione. Vittorio ha avuto modo di


partecipare a quelle che in italiano sono state definite come
“capanne del sudore”, in genere sempre condotte da un “medicine
man”. Con questo termine si indicano quelle che sono vere e
proprie “saune rituali” condotte all’interno di una capanna
semisferica (per dare un’idea, mediamente di 2 metri di diametro e
1 metro di altezza nel punto più alto). Lo scopo principale di
questo rituale è quello di purificare il corpo e la mente di chi vi
partecipa, in modo che possa recuperare il proprio benessere e il
senso di equilibrio nelle relazioni con tutto ciò che lo circonda.

ƒ Wi wanyang wacipi, il rituale del sole. Nel tempi estivi trascorsi


nelle riserve di Rosebud e Pine Ridge (South Dakota) Vittorio
assistite a delle “sun dances” o “cerimonie del sole”. Si tratta di
rituali comunitari di rinnovamento e ringraziamento molto
suggestivi e potenti. E’ durante questi riti che vari “danzatori”
disposti in cerchio sono legati al petto con dei lacci che li
uniscono ad una “pianta sacra” centrale ed offrono le proprie
sofferenze “affinché tutti possano vivere”. Danzano in genere per
quattro giorni, senza cibo e senza acqua, al suono dei tamburi,
delle canzoni sacre e dei fischi d’aquila fino a strappare i lacci dal
petto e liberarsi.

ƒ Cannunpa Wakan, il rituale della Sacra Pipa. In più occasioni


Vittorio ha avuto modo di pregare con la Sacra Pipa, una
cerimonia che spesso si volge in concomitanza con i riti sopra
elencati. Una delle dimensioni principali di questo rituale è il
recupero delle relazioni che legano l’essere umano a tutte le altre
forme di vita e soprattutto ai “Poteri Sacri” che sostengono e
nutrono la vita stessa. Al cuore stesso del rito si pone la realtà
della inter-connessione con tutto ciò che esiste e che trova
fondamento nel Sacro.

L’esperienza del Sacro vissuta da Vittorio con i nativi americani si è


senza dubbio articolata in momenti e riti diversi. Bisogna però
sottolineare che essa si colloca nell’alveo di una tradizione ben
specifica, la tradizione Lakota (Sioux). Tutte le cerimonie sopra
elencate sono rituali Lakota, sebbene rituali simili siano presenti in
altre popolazioni tribali. Pertanto, ben lontano dall’essere una
miscellanea da turismo religioso, l’esperienza di Vittorio nell’ambito
della spiritualità nativo americana ha una struttura coerente e ben
definita. Essa è articolata fondamentalmente in una visione culturale
e spirituale che vede l’essere umano inserito in una trama di rapporti
di inter-dipendenza con tutti gli altri esseri viventi, in cui il Sacro
permea ogni aspetto dell’esistenza, e dove all’essere umano è
richiesto un equilibrio ed un discernimento attenti per poter condurre
una vita “degna di essere vissuta”. E’ questa le fonte principale,
anche se non esclusiva, da cui sono scaturite per Vittorio quelle che
definisce le esperienze di “iniziazione alla sacralità e alla riverenza
della terra come Madre.”

Gli incontri con vari gruppi indigeni durante l’elaborazione della


Carta della Terra

Dal 1996 al 2000 Vittorio si ritrova impegnato in prima persona non


solo nella stesura della Carta della Terra ma anche nel faticoso lavoro
di consultazioni capillari a tutti i livelli affinché la Carta della Terra sia
effettivamente un documento rappresentativo e basato su un
consenso transculturale.

L’esigenza di fondare i principi della Carta su dei valori spirituali


condivisi porta i promotori del documento ad avviare consultazioni in
ogni continente: vengono contattati più di 250 gruppi religiosi, inclusi
decine di individui e gruppi religiosi indigeni. In questo ambito Vittorio
ha modo di ampliare e mettere a frutto le sue esperienze con i nativi
americani degli Usa e incontra personalmente singoli rappresentanti o
gruppi indigeni di varia provenienza.

Nell’aprile 1999, in una conferenza on-line sulla Carta della Terra,


discutendo sui fondamenti filosofici della Carta, Vittorio evidenzia a
titolo esemplificativo i valori spirituali provenienti da tre ambiti diversi:
Buddismo e Confucianesimo, Religioni Indigene, Cristianesimo ed
Ebraismo. In quello che lui stesso scrive a proposito delle religioni
indigene appare in maniera sintetica e chiara la sua comprensione
delle spiritualità native e della loro importanza all’interno della visione
sancita dalla Carta della Terra:

“Una seconda risorsa spirituale importante è quella dei popoli


indigeni, Nativi Americani, Hawaiani, Maori, Aborigeni e di numerose
altre tradizioni indigene. Più di ogni altra visione religiosa del mondo,
la saggezza indigena ha dimostrato la capacità di promuovere stili di
vita sostenibili, bilanciando la crescita umana con il rispetto per la
terra. Essi possono insegnarci una reale intimità umana con la terra e
con l’intero mondo naturale.”

Considerazioni sull’esperienza di Vittorio con i Nativi

Nel ripensare agli anni trascorsi da Vittorio a contatto con i nativi


americani e nell’esercizio stesso dello scrivere, alcuni elementi-chiave
mi sono apparsi con chiara evidenza rispetto alla sua esperienza:

ƒ Il rapporto di Vittorio con il mondo culturale dei nativi americani è


stato filtrato e unificato da una tradizione specifica, la spiritualità
Lakota (Sioux). Nonostante ogni tentativo di assimilazione
culturale e gli adattamenti storici intervenuti, questa tradizione ha
continuato a mantenersi radicata nella vita dei Lakota, non ha mai
rinunciato all’esperienza della sacralità della Terra, rappresenta
una radicale visione alternativa al modello vigente basato sul
profitto e sullo sfruttamento sia ambientale che umano e, per
questo, è diventata un modello di riferimento per altri gruppi nativi
e non.

ƒ Vittorio, comunque, non si è mai identificato in maniera univoca o


esclusiva con la spiritualità Lakota per due motivi fondamentali:
primo, essendo più una spiritualità che non una religione, essa
non richiede una professione di ortodossia e non rivendica
l’esclusiva sulla vita delle persone, agendo in senso liberatorio e
non in senso dogmatico; secondo, era già radicata in lui quella
che egli definisce “una relazione personale, affettiva e spirituale
con la natura”, per cui la sue esperienze nella comunità nativa lo
hanno più che altro aiutato a prendere coscienza di qualcosa già
presente in lui, a focalizzarne con maggiore chiarezza il carattere
spirituale e a farne risaltare le conseguenze sia teoriche che
pratiche nelle varie dimensioni della vita.

ƒ Una pratica storicamente consolidata e culturalmente prioritaria


per la maggioranza dei popoli indigeni è che quando si devono
prendere delle decisioni importanti, che toccano la vita dell’intera
comunità, tutti devono essere ascoltati e ci si impegna a fondo e
seriamente per raggiungere un consenso unanime sul da farsi.
Non sfuggirà, in questo contesto, l’impegno convinto di Vittorio
nell’implementare questo tipo di prassi per arrivare alla stesura
definitiva della Carta della Terra, coinvolgendo migliaia di individui
e gruppi a livello mondiale, attribuendo valore ai loro contribuiti
per quanto diversi e cercando di stabilire un consenso sui valori e
sui principi fondamentali.

In conclusione, per non dare un’immagine falsata dei 12 anni trascorsi


da Vittorio a contatto con i popoli nativi, mi preme fare alcune brevi
osservazioni. Egli non ha passato la maggior parte del suo tempo con
i nativi americani, i suoi stessi impegni accademici e di lavoro non
glielo permettevano, così come non ha avuto la possibilità di
partecipare in maniera continuativa alle cerimonie tradizionali.
Tuttavia nell’arco di 12 anni egli ha avuto modo di consolidare e
rendere sempre più profondi i suoi legami di amicizia e i suoi contatti
con i popoli indigeni.

Mentre il suo cammino si è costantemente incrociato con quello dei


nativi americani, Vittorio ha potuto bere alla fonte delle loro tradizioni
spirituali e dissetarsi nella sua ricerca e nella sua vita personale. E se
questo è quello che ha ricevuto dai nativi americani, quello che ha
dato in cambio è stato il rispetto per ognuno di loro, una ascolto
senza riserve su ciò che essi avevano da dire, un servizio attento
presso l’Anawim Center e la cura di qualche adolescente con tanta
energia e voglia di crescere.

Vittorio, i nativi americani e i popoli indigeni.


Storia di incroci, amicizie, scambi di doni.
Quante storie simili tessono la trama di fondo su cui sono scritte le
parole della Carta della Terra ?
Una valutazione filosofica
Vittorio Falsina, Harvard University - Center for the Study of World
Religions
(Conferenza on-line su Etica globale, sviluppo sostenibile e la Carta della
Terra, aprile 1999)

1. Etica e sviluppo sostenibile

Nella storia è stato raggiunto un punto in cui un cambiamento


fondamentale è necessario nel modo in cui l’impresa umana è
condotta. Lo sviluppo economico, che sfrutta l’ambiente e le persone,
deve essere in qualche modo trasformato in sviluppo sostenibile, che
promuove sia l’integrità ecologica della Terra sia i diritti umani. Un
tale cambiamento può avvenire solo se i valori dominanti posseduti
dalle persone e dalle società riflettono questo imperativo.
Come potreste aver notato, il termine “sviluppo sostenibile” è
principalmente utilizzato all’interno delle attuali discussioni nel suo
significato “tecnico”. 1 Quando parliamo di sviluppo sostenibile ci
riferiamo solitamente ad un gruppo di pratiche, processi e politiche
che meglio si adattano a consentire un uso efficiente delle risorse
naturali che sono limitate e non rinnovabili. Perciò, sotto questo
profilo parliamo di tecnologie sostenibili, risorse rinnovabili, energia
efficiente, ciclo di vita dei prodotti, prodotti verdi e mercato verde,
politiche favorevoli ecc. Non siamo sempre consapevoli che questo
modello per pratiche alternative implica una essenziale visione del
bene che lo sviluppo sostenibile mira a raggiungere. Sottolineare il
progetto pratico dello sviluppo sostenibile rappresenta una visione
morale basata su una serie di valori che sfidano il nostro modo
abituale di condurre gli affari. Per esempio, la visione dello sviluppo
sostenibile produce implicite affermazioni etiche sulla bontà della
preservazione di un equilibrio con l’ecosistema, sul valore delle
risorse naturali, sul limite dello sfruttamento umano e sulla
responsabilità di affidare un pianeta sostenibile alle future
generazioni. Potete vedere come queste affermazioni sono essenziali

1
Per una genealogia e analisi del concetto di "sviluppo sostenibile" si
vedano Redclift, M., Sustainable Development: Exploring the Contradictions,
(Metheuen: London, 1987); Lele, S., "Sustainable Development: Some
Interpretations, Implications, and Uses," Bulletin of Science, Technology,
and Society, Vol.13, 1993, pp. 314-323; Ekins, P. "Making Development
Sustainable," in Sachs, W. Ed., Global Ecology: A new Arena of Political
Conflict (Zed Books: London & New Jersey, 1993).
per il progetto dello sviluppo sostenibile. Costituiscono il centro della
sua definizione. Eppure non hanno ancora trovato un’articolazione in
una serie di principi normativi che esprimano questi valori e
giustifichino la loro validità. Affinché le affermazioni morali siano vere,
o universalmente accettabili, non è sufficiente che siano enunciate.
Devono essere anche criticamente validate. Come rimarcherò, questo
non è un compito facile.
I rappresentanti della comunità mondiale raccolti all’"Earth Summit" a
Rio de Janeiro nel 1992 erano consapevoli della necessità di una
carta etica per fondare questa visione. L’agenda dello sviluppo
sostenibile per il Ventunesimo secolo, Agenda 21, doveva essere
accompagnata da un documento che spiegasse chiaramente la più
ampia visione etica che ispirò e sostenne questo intero processo di
rinnovamento. Il Summit di Rio chiese una Carta della Terra come un
insieme di valori etici fondamentali e di principi pratici necessari per
promuovere la qualità della vita umana e proteggere la salute
dell’ecosistema della Terra. Seguendo quell’appello, l’Earth Charter
Initiative fu vigorosamente avviata nel 1994 attraverso gli sforzi
congiunti di Maurice Strong, in qualità di membro dell’Earth Council, e
Mikhail Gorbachev, membro di Green Cross International. 2 Dopo il
lancio dell’Earth Charter Benchmark Draft I durante il forum Rio+5, un
nuovo schema di lavoro sta consentendo una seconda serie di
consultazioni mondiali. L’obiettivo di questa conferenza on-line è
quello di allargare la partecipazione di studenti e accademici per
contribuire a questo progetto che richiede cooperazione globale.
Sapendo che altri relatori si concentreranno sugli aspetti storici,
scientifici, pragmatici e locali della Carta della Terra, la mia
presentazione si limiterà a esaminare alcuni aspetti filosofici di questo
progetto di un’etica globale per lo sviluppo sostenibile. In primo luogo
mi occuperò dell’attuale discussione sulla filosofia ambientale che si
sta dibattendo nel discorso accademico occidentale. Sosterrò che i
concetti e le teorie della filosofia ambientale occidentale, sebbene
importanti, sono largamente inadeguati per fondare i principi di
un’etica globale. In secondo luogo esaminerò il progetto etico
intrapreso dall’Earth Charter Initiative. Discuterò di come la varietà

2
Il primo laboratorio sulla Carta della Terra si tenne a La Hague nel maggio
1995, con partecipanti da 30 nazioni e più di 70 diverse organizzazioni. Si
formò una Commissione per la Carta della Terra, composta da 20 eminenti
donne e uomini rappresentanti tutte le regioni del globo e i diversi settori
della società. Il primo schema della Carta della Terra fu reso noto alla fine
del Forum Rio+5 dalla Commissione per la Carta della Terra. (Il Benchmark
Draft I della Carta della Terra è pubblicato in un numero special di Earth
Ethics, vol. 8 (Winter/Spring) 1997, intitolato: "Evolving values for an Earth
Community," pp. 1-3.
delle sue risorse costitutive, il suo metodo della consultazione globale
e la formulazione dei suoi principi generali rappresentano un modo
innovativo di fare etica per affrontare le sfide dei problemi veramente
globali che si presentano alla comunità interdipendente della Terra.

2. Le filosofie ambientali e la prospettiva di un’etica globale

Guardando alla letteratura nella filosofia ambientale dell’Occidente ci


si trova disorientati dalle opposte visioni sull’ecologia difese da
filosofi ambientali o attivisti. [La differenza che colpisce maggiormente
è il tentativo di creare un nuovo tipo di filosofia centrata su un nuovo
oggetto – la natura – e seguita da un nuovo codice di responsabilità e
doveri etici, non verso cittadini e umani, bensì verso animali, piante,
ecosistemi e il pianeta. Alcune posizioni che presenterò son
provocatorie e rasentano il limite del paradosso. Ad ogni modo esse
sono importanti per la nostra considerazione in quanto riflettono lo
sforzo attuale di ripensare la nostra relazione con il mondo naturale.
Come espressione di questa crescente consapevolezza, queste
visioni contengono frammenti di verità che necessitano di essere
criticamente valutate e integrate in un’etica globale.] Discuterò due
orientamenti che polarizzano il dibattito nella filosofia ambientale
contemporanea: antropocentrismo ed ecocentrismo. Le differenze
sono radicate in conflittuali teorie di valore che accordano lo statuto
morale l’una rigidamente agli uomini e l’altra non solo agli uomini. 3

Antropocentrismo
La prima posizione filosofica è chiamata antropocentrismo perché
colloca gli esseri umani con i loro interessi, preferenze e valori al
centro dell’etica ambientale. Tale posizione poggia su una concezione
dell’etica profondamente radicata nella filosofia occidentale. Aristotele
e Platone erano principalmente interessati a come le persone
possono vivere una buona vita nel contesto di una comunità politica
governata secondo norme di giustizia. Socrate disse: "Io sono un
amante dell’imparare, e gli alberi e i luoghi di campagna non mi
4
insegneranno nulla, mentre le persone nella città sì". [La tradizione
ebraico - cristiana rinforzò questa credenza riguardo alla centralità
dell’essere umano creato a immagine di Dio e posto a coronamento

3
Per una definizione di "statuto morale" si veda: The Environmental Ethics
and Policy Book: Philosophy, Ecology, Economics, Van der Veer, D. And
Christine Pierce, eds. (Belmont CA: Dadsworth, 1994), 57.
4
Plato, Phaedrus 230d., Loeb Classical Library, vol. 1. Cambridge, MA:
Harvard University Press, 1977, pp. 423-4.
della creazione per esercitare dominio sulla terra. 5 Ma fu con
l’avvento dell’Illuminismo che il focus della moralità si restrinse dalla
comunità al singolo individuo. Le persone sono gli unici esseri dotati
di libertà, razionalità e l’abilità di compiere scelte in accordo con un
progetto di vita. Quindi solo gli umani hanno le caratteristiche che
esaudiscono le condizioni del riconoscimento morale. I diritti e le
responsabilità si applicano solo alle persone. Derivano dal rispetto
per la dignità umana e dalla scelta degli individui di introdurre un
contratto sociale per rispettare I reciproci obblighi nella società. Ma,
come scrisse John Passmore, "gli uomini, le piante, gli animali e il
suolo non formano una comunità. I batteri e gli uomini non
riconoscono reciproci obblighi e non hanno interessi comuni.
Nell’unico senso nel quale l’appartenenza a una comunità genera
obblighi etici, essi non appartengono alla stessa comunità." 6
L’etica ambientale, secondo la sua spiegazione antropocentrica, è
fondata su ciò che potremmo chiamare un “diritto umano alla natura”. 7
Ad estensione dei basilari diritti umani alla vita, alla libertà e alla
ricerca della felicità, oggi si rivendica un diritto a un ambiente
salutare, ad aria pulita, acqua potabile e cibo incontaminato necessari
per la vita. Tale diritto alla natura, d’altra parte, è difeso contro ogni
diritto della natura. La natura stessa non ha valore intrinseco e non è
moralmente considerabile. Un forte antropocentrismo sostiene che la
natura ha solo un valore strumentale per soddisfare i bisogni umani,
siano questi bisogni cibo, abiti, sviluppo economico o piacere estetico
e rigenerazione. L’economia ambientale funge precisamente a questo
scopo, calcolando i costi della protezione dell’ambiente per
mantenere livelli accettabili di benessere umano. Per esempio, la
deplezione dello strato di ozono significa livelli più alti di tumore della
pelle, più manifestazioni di deficit del sistema immunitario e danni alle
coltivazioni di cibo umano. Praticamente, questa prospettiva valuta
tutte le politiche ambientali dal modo in cui coinvolgono gli interessi
umani e il benessere nelle generazioni presenti o future. [John
Passmore, William Baxter e William Grey sono tra i difensori di una
sorta di versione forte di antropocentrismo. 8 ]

5
Genesi 1:29. Si veda l’articolo provocatorio di Lynn White, Jr., "The Historical Roots
of Our Ecological Crisis," in Science 155 (1967):1203.
6
John Passmore, Man's Responsibility for Nature, New York: Scribner,
1974), p. 116.
7
. Cfr. Susan S. Hanna, Carl Folke, and Karl-Goran Maler, eds. Rights to Nature,
Washington, D.C. : Island Press, 1996.
8
John Passmore, Man's Responsibility for Nature. New York: Scribner, 1974;
William Grey, "Anthropocentrism and Deep Ecology," Australian Journal of
Philosophy 71 (1993):463-475; and William F. Baxter, People of Penguins:
The Case of Optimal Pollution. New York, Columbia University Press, 1974).
C’è anche una versione debole di antropocentrismo. Brian Norton, per
esempio, sostiene che la credenza che gli uomini sono gli unici
valutatori non implica che gli uomini possono valutare solo le cose
umane. 9 Le persone sono in grado di valutazioni complesse che
vanno oltre la mera soddisfazione di interessi egoistici. Gli esseri
umani sono consapevoli di essere parte della natura e sanno
assumere responsabilità per l’ambiente. In ogni caso, come afferma
Norton, una ponderata preferenza per la preservazione della natura
non è basata sulla convinzione che le cose naturali hanno valore
intrinseco o diritti. [Sia che questa etica della cura della natura prenda
la forma della “custodia” o della “responsabilità” resta entro i confini
dell’antropocentrismo illuminato.] Non vi è dubbio che una gran
quantità di lavoro sull’etica ambientale può essere fatto dall’interno di
una posizione antropocentrica. Questo ragionamento informa la
maggior parte dei movimenti ecologici, delle agenzie per l’ambiente e
dei programmi di sviluppo sostenibile. Il punto enfatizzato
dell’antropocentrismo è che l’etica è per le persone. Ma la domanda
cruciale che ci dobbiamo porre oggi, in una condizione di crisi
ambientale, è la seguente: può l’etica riguardare solo le persone?
Questa è la domanda alla quale un gruppo di filosofi ambientali più
radicali stanno provando a rispondere dalla prospettiva
dell’ecocentrismo.

Ecocentrismo
L’ecocentrismo segna un radicale allontanamento dal fondamento
antropocentrico della filosofia ambientale. Gli esseri umani non sono
gli unici dotati di valore sulla Terra, dal momento che la vita è resa
possibile dall’adeguato funzionamento di una varietà di organismi.
L’Homo sapiens, una specie unica, è solo una tra i cinque milioni di
specie che conosciamo e solo una tra i cinque miliardi di specie che si
sono succedute lungo la storia dell’evoluzione della Terra. 10 Perché
dovrebbe questo ultimo arrivato affermare di avere tutti i diritti?
Un primo gruppo di pensatori si concentra sull’etica per gli animali. Gli
animali cacciano e urlano, si occupano dei piccoli, si sentono
affamati, assetati, stanchi ed eccitati. Soffrono per gli infortuni e si

9
Brian Norton, "Environmental Ethics and Weak Anthropocentrism," in
Environmental Ethics 6.2 (1984): 131-148; p. 133. Si noti che Brian Norton
nel suo ultimo libro si dirige verso un approccio più integrato, Towards Unity
Among Environmentalists. New York: Oxford University Press, 1991. Cfr.
anche Eugene C. Hargrove, "Weak Anthropocentric Intrinsic Value," in The
Monist 75 (6) 1992: 183-207, p. 187.
10
Le idee presentate in questa sessione sono delineate dall’articolo di
Holmes Rolston, III, "Ethics on the Home Planet," in An Invitation to
Environmental Philosophy, Anthony Weston, ed., New York: Oxford
University Press, 1999.
leccano le ferite. Gli animali, come gli uomini, sono esseri senzienti.
Sono “capaci di valore” (value-able), nel senso che sono in grado di
valutare le cose nel loro mondo indipendentemente dagli uomini.
Inoltre gli uomini non dovrebbero dimenticarsi che anch’essi sono
animali e hanno affinità genetica con i mammiferi. La sequenza del
DNA degli scimpanzé e degli uomini è identica al 99%. Quindi perché
non dovremmo considerare in altre specie animali, che sono così
simili a noi, ciò che consideriamo in noi stessi? Secondo questa
visione gli animali dovrebbero avere diritti che sono, se non paritari,
almeno comparabili a quelli degli uomini. Ma qui inizia il problema per
un’etica ambientale ecocentrica: dove disegniamo la linea dell’obbligo
nei confronti delle altre specie animali? Come misurare il valore di
così tante e diverse specie animali, tutte degne di valore nelle loro
funzioni? E anche se dovessimo garantire diritti agli animali,
possiamo renderli più forti a discapito dei diritti umani al possesso
della terra o alla sicurezza?
[Secondo la logica del ragionamento morale, questo argomento è
viziato da una fallacia naturalistica. 11 David Hume vide che non è
logicamente valido dedurre affermazioni di obbligo morale
(affermazioni di dovere) da premesse di fatto (dimostrazione empirica
di ciò che è). In un dibattito deduttivo valido, niente può essere
asserito nelle conclusioni che non sia implicato nelle premesse. Gli
etici ambientali saltano questa distinzione e affermano principi morali
12
come “esito della scienza ecologica” . Ci può essere un rimando
dall’ecologia che fornisce giustificazione per principi etici senza
commettere la fallacia è/dovrebbe? Questo rimane un enorme
ostacolo per fare etica ambientale entro la cornice della filosofia
morale.]
Un dovere verso uno scimpanzé? Forse. Ma ho un dovere verso una
margherita o un salice? Potreste pensare che questo stia diventando
troppo selvaggio. Alle piante non importa, quindi perché dovrebbe
importare a noi? Se l’etica ambientale riguarda il rispetto per la vita,
gli animali superiori, i vertebrati, rappresentano solo il 4% delle
specie viventi sulla Terra. Il resto della biosfera conta qualcosa nella
nostra considerazione morale? Le piante non hanno obiettivi. Eppure,
ogni pianta mantiene un’identità botanica. Una ghianda diventa una
quercia e una quercia si regge da sola. Un botanico può spiegare che
le piante sono organismi modulari con un programma botanico
codificato nel loro DNA. [Crescono, si riproducono e moltiplicano il

11
Per una discussione delle varie posizioni sul problema è/dovrebbe
nell’etica ambientale si veda Don E. Marietta, Jr, For People and the Planet,
Philadelphia: Temple University Press, 1995, pp. 81-117
12
Holmes Rolston, III, "Is There an Ecological Ethics?" Ethics 85 (1975): 93.
perseguimento del loro valore, il bene del loro genere.] L’etica
ecocentrica afferma che abbiamo il dovere di rispettare e anche
ripristinare la vitalità della flora intorno a noi.
Non solo i singoli animali o piante dovrebbero avere il diritto alla vita,
ma anche le specie e gli ecosistemi. Le specie, sebbene manchino di
auto-consapevolezza riflessiva, sensazioni e individualità organica,
rappresentano il sistema vivente dinamico nel quale la totalità degli
organismi individuali è la parte essenziale. Le specie vivono nel
grembo di ecosistemi più vasti che forniscono l’habitat per la loro
fioritura. Anche le specie e gli ecosistemi hanno la loro integrità la
loro individualità biotica e quindi il diritto alla vita. Come afferma
Rolston, "è più importante proteggere questa vitalità che proteggere
l’integrità individuale. Una riduzione al silenzio del flusso della vita
sulla Terra è l’evento più distruttivo possibile " 13 .
L’ecocentrismo espande il reame dello statuto morale alle dimensioni
olistiche. La Terra, o la biosfera, è l’unità definitiva di sopravvivenza
che l’etica deve considerare. Da qui deriva la norma morale più
fondamentale già affermata nella "land ethic" di Aldo Leopold, il
pioniere dell’etica ambientale: abbiamo il dovere “di proteggere
l’integrità, la stabilità e la bellezza della biosfera." 14 Un’etica olistica,
afferma Callicott, considera la comunità biotica nell’insieme come
standard per il giudizio del valore relativo e del relativo ordine delle
sua parti costitutive. 15 Ma mentre Callicott, Rolston e Marietta
difendono un olismo umanistico compatibile con le preoccupazioni
umane basilari, un altro gruppo di ecologisti profondi (deep
ecologists) come Arne Naess fanno affermazioni per un
"egualitarismo biosferico, per principio". 16 Gli esseri umani sono visti
come "nodi nella rete" o "fili nella ragnatela" delle relazioni

13
Holmes Rolston, III, "Ethics on the Home Planet," idem., p. 125.
14
Aldo Leopold, "The Land Ethic," in A Sand County Almanac. London:
Oxford University Press, 1949.
15
J. Baird Callicott, Animal liberation: A Triangular Affair, in The Animal
Rights/Environmental Ethics Debate. The Environmental Perspective. (New
York, NY: State University of New York Press, 1992), 39-69. Cfr. anche
Holmes Rolston III, "Duties to Endangered Species", in Environmental
Ethics: Duties and Values in the Natural World. Philadelphia, PA: Temple
University Press, 1988, pp. 60-75; Kenneth E. Goopaster, "On being Morally
Considerable," in The Journal of Philosophy, 75 (6), 1978: 308-325.
16
Il termine "ecologista profondo" fu coniato dal filosofo norvegese Arne
Naess, il pioniere di questa corrente della filosofia ambientale. Per una
visione d’insieme di queste posizioni si vedano Lawrence E. Johnson, A
Morally Deep World: An Essay on Moral Significance and Environmental
Ethics. Cambridge: Cambridge University Press, 1991; Joseph R.
DesJardins, Environmental Ethics: An Introduction to Environmental
Philosophy. Belmont, CA: Wadsworth, 1993.
biosferiche. 17 Gli esseri umani non hanno nessun diritto ad un
trattamento speciale nella comunità biotica. Il loro valore va stimato in
relazione al "diritto di vivere e fiorire" di ogni altra forma di vita. In
questa metafisica grandiosa della natura (Ecosofia T) la moralità è
superflua. 18
Molti filosofi hanno espresso le loro riserve circa le conseguenze
logiche e pratiche di questo tipo di etica olistica. Affermando che la
comunità biotica annulla i diritti degli individui, l’olismo potrebbe
evolvere in una forma di ecofascismo. Tom Regan afferma che "ciò
che l’olismo ci consegna è una comprensione fascista
dell’ambiente." 19 Similarmente, Marty Kheel definì l’olismo ecologico
"totalitarismo." 20 Secondo questa visione, gli esseri umani sono stati
assimilati alla natura. Ingoiati dai processi organici della biosfera,
hanno perso la loro dignità umana caratterizzata dalla libertà, dalla
ragione e dalla sociabilità insieme alla loro identità culturale. L’olismo
è stato accusato di incoraggiare la regressione umana
all’atteggiamento biocentrico e la regressione culturale agli ideali
tribali. Anche Callicott, un difensore dell’olismo, ammette che sarebbe
terribilmente difficile praticare un’etica in cui gli esseri umani e tutti gli
altri esseri viventi hanno uguali diritti. 21 Queste affermazioni
rinforzano lo scetticismo circa l’etica ambientale. Si potrebbe dedurre
la conclusione che una volta avviata l’idea dei doveri nei riguardi di
altri oltre gli uomini, si cade lungo un pendio scivoloso – animali,
piante, specie, ecosistemi, nuvole, oceani e fango – e si finisce con
l’affermare il ridicolo: quelle rocce hanno diritti.

3. Dopo la modernità: l’emergenza di un’etica globale

Da questa discussione si può comprendere quanto problematico sia il


tentativo di sviluppare un’etica ambientale dalle ristrette basi
dell’antropocentrismo o dell’ecocentrismo. L’antropocentrismo può
facilmente trasformarsi in egocentrismo e l’ecocentrismo in
ecofascismo. Il problema di questa divisione è endemica alla filosofia

17
Arne Naess, "The Shallow and the Deep, Long-Range Ecology Movements:
A Summary," in Inquiry 16 (1973).
18
Cfr. per questa opinione Matthew I. Humpherey, "Deep Ecology and the
Irrelevance of Morality: A Response," in Environmental Ethics vol. 21, No. 1
(spring 1999): 75-79.
19
Tom Regan, The Case for Animal Rights, Berkeley: University of California
Press, 1983, p. 372.
20
Marty Kheel, "The Liberation of Nature: A Circular Affair," in Environmental
Ethics Vol. 7, No.2 (summer 1985):135.
21
Cfr. J. Baird Callicott, "Introduction" in Environmental Philosophy: From
Animal Rights to Radical Ecology, Michael Zimmerman, ed., Englewood
Cliffs, NJ: Prentice-Hall, 1993, 3-11.
occidentale, specialmente dalla modernità. Da un lato abbiamo l’Ego
dell’Illuminismo che postula sé stesso come un sé superiore, la
mente, lo spirito che domina l’universo: l’uomo misura di ogni cosa.
Questo Ego dà poca considerazione agli ambienti sociale e naturale
dai quali dipende la sua vita. La visione egocentrica è univoca e dà
tutto per scontato. Come Superman l’Ego rivendica responsabilità per
ogni cosa ma sacrifica tutto a sé stesso. Dal lato opposto abbiamo
l’approccio Eco; la ribellione romantica contro il dominio dell’Ego
combatté con l’impeto della totalità della natura. I credenti in Eco
provano a dimostrare che l’universo è un sistema olistico grande e
interconnesso, una Rete, un ordine universale. La loro visione del
mondo, informata dall’evidenza scientifica della fisica, della biologia e
della teoria dei sistemi, rischia di scambiare Gaia per Dio e riduce le
dimensioni personale e sociale dell’esistenza umana a mere funzioni
di questo grande sistema. 22 Entrambi, Ego ed Eco, sono intrappolati
in interpretazioni univoche e astoriche della realtà. Le loro visioni
riduttive mancano di profondità, relazioni, evoluzione e trascendenza.
Il dilemma cruciale con il quale ci confrontiamo oggi è questo. La
modernità ha portato in luce la differenza tra il sé, la società e la
natura, ma è stata incapace di integrarli in una coesistenza armonica.
I problemi che stiamo affrontando alla soglia del terzo millennio, le
ingiustizie economiche, la povertà, I conflitti armati, l’esplosione
demografica che preme sui sistemi ecologico e sociale, il degrado
dell’ambiente, l’estinzione delle specie, solo per nominarne alcuni,
sorgono dalle tensioni caotiche tra queste tre sfere dell’esistenza. Se
dopo la modernità non troveremo un modo per integrare queste
dimensioni in una nuova forma di auto-trascendenza, affronteremo la
possibilità dell’autodistruzione. La comunità terrena si trova a un
momento significativo. La Terra si è diretta istintivamente con
esuberante creatività per millenni. Ora ha lasciato a noi, nel potere
della sfera mentale, la parte principale della direzione del corso dello
sviluppo terrestre. Come Thomas Berry saggiamente pone: "Questa è
l’audace impresa definitiva per la Terra, questo confidare il suo
destino alla decisione umana, il conferimento alla comunità umana del
potere di vita e di morte sul suo fondamentale sistema vitale". 23
Davanti alla portata di questa opzione mortale comprendiamo che la
nostra filosofia morale è grossolanamente inadeguata per forgiare una
visione del mondo diversa, con nuovi valori, atteggiamenti e principi

22
Tale interpretazione della modernità in termini di frattura tra Ego ed Eco è
presa da Ken Wilber, A Brief History of Everything. Boston and London:
Shambhala, 1996, pp. 312-328.
23
Thomas Berry, The Dream of the Earth, San Francisco: Sierra Club Books,
1988, p. 19.
che sono richiesti da un’etica globale. Per far ciò abbiamo bisogno di
allargare la nostra ristretta visione dell’etica e partire da una varietà
di fonti che stanno trovando convergenza verso questa
consapevolezza globale. Ci sono segni di speranza negli attuali
cambiamenti della cultura globale. La post-modernità sta
gradualmente dando forma ad una nuova sensibilità culturale, con
nuovi valori, atteggiamenti e argomenti. Da una ristretta attenzione
all’individuo all’estensione della considerazione morale a nuovi
soggetti caratterizzati dall’”alterità” e dalla “differenza”. Per esempio,
la post-modernità ha dato rilevanza alle voci delle donne, dei neri,
delle popolazioni indigene, dei poveri ed emarginati, insieme al
mondo naturale degli animali, delle piante, delle specie e degli
ecosistemi. Un’altra caratteristica della post-modernità è il
disincantamento nei confronti della scienza moderna e della
tecnologia e il tentativo di superare la mentalità dell’Illuminismo che
separava il mondo materiale e quello spirituale e sosteneva il
progresso ad ogni costo. Appare che i fondamenti della modernità
sono gradualmente sostituiti da una emergente visione del mondo
basata su una convergenza trans-culturale più inclusiva di concetti
scientifici, filosofici, tradizionali e religiosi sulla natura umana, la
natura, la società. La loro interdipendenza è intrecciata nel destino
della comunità terrestre. La convergenza di questi vari movimenti
post-moderni sta dando forma a una coscienza comune che ci
raccomanda di oltrepassare la modernità per immaginare un’etica
globale in grado di trascendere la tirannia di tutti questi “ismi”:
individualismo, antropocentrismo, economismo, consumismo,
nazionalismo, militarismo.

4. L’Earth Charter Benchmark Draft II (schema di lavoro)

La domanda di un’etica globale sembra dissolversi davanti


all’evidenza di un mondo altamente frammentato e differenziato. Ma
una rete complessa di interessi commerciali, finanziari, tecnologici e
ambientali unisce persone che sono separate dalla geografia, dalla
cultura e dall’ideologia. Questa crescente consapevolezza
dell’interdipendenza ha un valore morale. Crea la speranza di una
cultura di pace e cooperazione con le altre persone, culture, forme di
vita e la Terra. Sul lungo sentiero verso l’obiettivo di un’etica globale,
la Carta della Terra è l’espressione di una consultazione globale in
avanzamento. I suoi principi dovrebbero ispirare le azioni umane di
fronte alle nuove sfide ecologiche, economiche e sociali che
richiamano la nostra responsabilità globale.
La Carta della Terra non è un tentativo di costruire un’etica globale
dal nulla, estraendo artificialmente e mescolando idee e principi da
tradizioni diverse. Il suo obiettivo non è quello di sostituire il Discorso
della Montagna di Gesù con una montagna di nuovi principi o i vecchi
Dieci Comandamenti di Mosè con quindici nuovi comandamenti.
Piuttosto, i principi elencati nel Benchmark Draft II sono l’espressione
di un’emergente convergenza su alcuni fondamentali valori comuni
che sono condivisi da una varietà di persone in tutto il mondo,
nonostante le loro diverse culture, nazionalità, religioni, visioni del
mondo. I principi della Carta della Terra sono elaborati da una varietà
di fonti: dalle nuove scoperte e intuizioni della scienza, dalla
saggezza delle religioni del mondo e più in generale dall’ampia
letteratura emergente a seguito dell’agenda di un’etica globale, ossia
l’etica dell’ambiente, lo sviluppo sostenibile, la liberazione e il
femminismo. È inoltre importante ricordare che questi principi sono
costruiti su precedenti dichiarazioni internazionali, carte e trattati, tra
cui molti elaborati da ONG. Questi accordi precedenti rappresentano
già un’esperienza etica transculturale. Per esempio, i principi dedotti
dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani sono già espressione
di un codice etico riconosciuto dall’intera umanità.
Passiamo al testo dello schema della Carta della Terra. I primi principi
sono molto importanti perché delineano i fondamenti della Carta. Il
primo principio recita: "Rispettare la Terra e tutta la vita, riconoscendo
l’interdipendenza e il valore intrinseco di tutti gli esseri, affermando la
dignità propria di ogni persona con fiducia nel potenziale umano." Ciò
che vorrei porre in luce qui è la chiara affermazione sia del valore
intrinseco di tutti gli esseri sia della dignità propria di ogni persona e
del potenziale umano. Tale formulazione supera la dicotomia tra
antropocentrismo ed ecocentrismo e trascende le affermazioni
conflittuali di Eco ed Ego nell’armonica visione di una “Comunità della
Terra” 24 .
La distinzione tra dignità propria delle persone e il valore intrinseco di
ogni essere vivente è cruciale per prevenire che lo statuto morale
diventi così inclusivo da rendere impossibile formulare un’etica che
possa guidare l’azione e la politica. Sebbene la Carta riconosce che
tutti gli esseri viventi hanno valore intrinseco, coglie il limite
dell’obbligazione morale verso la natura. Il sesto principio afferma:
"Trattare tutti gli esseri viventi con compassione e proteggerli dalla
crudeltà e dalla distruzione gratuita." Come si può notare, il principio
usa il linguaggio della compassione e della non-malignità più che il
linguaggio forte dei diritti. Riconoscere che animali, piante e ogni

24
Il concetto di "Comunità della Terra" è definito da Brian Swimme e Thomas
Berry come "La complessità interagente di tutte le componenti, entità e i
processi della Terra, incluse l’atmosfera, l’idrosfera, la geosfera, la biosfera
e la sfera mentale". Cfr. Swimme e Berry, The Universe Story, San
Francisco: Harper Collins Publisher, 1994, "Glossary," p. 280.
essere vivente hanno valore intrinseco e meritano il nostro rispetto e
cura è diverso da affermare che ogni forma di vita ha uguali diritti.
Il secondo principio sottolinea il dovere di ogni e tutte le persone di
"Prendersi cura" e accettare la "Responsabilità" di contribuire al
benessere della più ampia comunità della vita che include tutta la
famiglia. Il terzo principio effettua la connessione con le richieste
sociali di un’etica globale: il dovere di "assicurare libertà, giustizia,
pace e abbondanza della Terra per le generazioni presenti e future".
Un comma del terzo principio afferma che "la protezione ambientale,
lo sviluppo, il rispetto per I diritti umani (e le libertà fondamentali) e la
pace sono interdipendenti e indivisibili". È evidente dalla struttura
della Carta della Terra che le preoccupazioni ecologiche, economiche
e sociali sono tutte interrelate e parti essenziali di questa visione
etica.
Ciò che abbiamo qui è un’antropologia molto diversa che vede gli
esseri umani incarnati nella natura, abbracciati nella cultura e inseriti
nelle relazioni sociali. La dicotomia fondamentale dell’etica
ambientale è stata superata. "L’universo rabbrividisce con stupore
nelle profondità dell’umano", come Brian Swimme ha poeticamente
espresso. [In questa sensibilità l’umano è visto come un modo di
essere dell’universo, uno in mezzo a molti altri esseri viventi, così
come un essere peculiare dotato di una propria dignità e coscienza.]
L’uomo è qui rappresentato come quell’essere nel quale l’universo
viene a sé in una speciale modalità di riflessione cosciente. Avrei
bisogno di più tempo per esaminare le implicazioni pratiche di questi
principi.

5. Religioni, tradizioni spirituali e la Carta della Terra

Una domanda più generale che si potrebbe porre è dove la Carta


della Terra radica questa visione inclusiva riscontrabile nei suoi
principi fondamentali. Questi principi sono costruiti su diverse fonti.
Ad ogni modo, c’è una particolare risorsa che vorrei enfatizzare qui.
Mi riferisco al contributo delle religioni del mondo e delle tradizioni
spirituali. Lo sforzo di coinvolgere le risorse spirituali di varie religioni
è essenziale al compito di costruire un’etica globale basata su un
"terreno comune e valori condivisi ". L’esperienza millenaria e la
saggezza preservata dalle religioni potrebbe in effetti essere una
risorsa critica nell’aiutarci a reimmaginare le condizioni per
incrementare reciprocamente le relazioni uomo-Terra. Non è
sorprendente che durante il primo giro di consultazioni più di 250
guide religiose e organizzazioni in tutto il mondo furono contattate da
uno speciale Advisory Group. Dall’inizio l’Earth Council costituì uno
speciale Indigenous Peoples Network. La Carta della Terra ha
beneficiato di diverse risorse spirituali per dar forma alla sua visione
delle relazioni uomo-natura. Solo per menzionarne alcune, il
Buddismo, con le sue risorse intellettuali e pratiche, ha molto da
insegnare su questo argomento. Il Buddismo, a differenza delle
religioni occidentali, descrive una cosmologia dell’interconnessione in
cui gli esseri umani sono inseriti nel dinamismo della natura con i suoi
cicli di vita e morte. [La dottrina dell’anatma (non-sé) suggerisce uno
spostamento da una visione antropocentrica ad una ecocentrica della
realtà. Una visione cosmologica simile è contenuta anche nel
Confucianesimo, che è caratterizzato dalla "naturalizzazione naturale"
e dalla "immanentizzazione umana" in contrasto all’enfasi sulla
razionalità e sulla trascendenza del pensiero occidentale.] il
Confucianesimo è meno interessato alla nozione di un Dio personale
che alla realtà in progresso dell’autogenerazione, alla continuità
dell’essere nell’universo, all’unione delle forme di vita inorganiche,
organiche e umane. 25
Una seconda risorsa spirituale importante è quella dei popoli indigeni,
i Nativi Americani, gli Hawaiani, i Maori, gli Aborigeni e numerose
altre tradizioni indigene. Più di ogni visione religiosa del mondo, la
saggezza indigena ha dimostrato l’abilità di promuovere stili di vita
sostenibili bilanciando la prosperità umana con la riverenza per la
Terra. Possono insegnarci un’intimità veramente umana con la Terra
e con l’intero mondo naturale. [Il rituale del ringraziamento degli
Iroquois, per esempio, è una delle cerimonie più magnifiche che gli
uomini abbiano mai conosciuto. "Rendiamo grazie" – prima a nostra
madre, la Terra, che ci sostiene, quindi ai fiumi e ai ruscelli, alle erbe,
al grano e ai fagioli e alle zucche, ai cespugli e agli alberi, al vento,
alla luna e alle stelle, al sole, e infine al Grande Spirito che dirige
tutte le cose. Tom Berry commenta: "Fare esperienza dell’universo
con tale sensibilità e tale gratitudine! Queste sono le esperienze
fondamentali di una coscienza umana in risveglio. Tali momenti
fantastici rivelano un impressionante senso dell’attraente Terra ". 26 ]
Infine anche le tradizioni etico-religiose dell’Occidente, in particolare
Ebraismo e Cristianesimo stanno contribuendo vigorosamente a
questo sforzo recuperando ruscelli verdi di interpretazioni teologiche
nelle loro fonti. Le religioni occidentali hanno creato una visione del
mondo principalmente antropocentrica. [L’interpretazione del libro
della Genesi ha condotto a una visione del mondo che giustifica la
"sottomissione della natura" e il dominio dell’uomo sulla creazione

25
Mary Evelyn Tucker, "World Religions and Global Ecological Ethics.
Contributions from Confucianism and Buddhism," in Earth Ethics, vol. 7, no.
3&4, p. 16.
26
Tomas Berry, The Dream of the Earth, idem., p. 14.
(Gn 2). Lynn White scrisse: "Dato che le radici del nostro problema
ambientale sono largamente religiose anche il rimedio deve essere
essenzialmente religioso." 27 ] I teologi ebrei e cristiani contemporanei
stanno suscitando uno spostamento da una visione del mondo
antropocentrica a una ecocentrica. L’eco-teologia rappresenta la più
potente interruzione del discorso teologico attuale. 28 Le intuizioni
spirituali ed etiche delle tradizioni che abbiamo appena menzionato,
insieme ad altre fonti, pongono le fondamenta per la visione inclusiva
che emerge dai principi della Carta della Terra. C’è una connessione
importante tra le religioni e lo sforzo di costruire un’etica globale. La
natura incondizionata della richiesta etica può trovare giustificazione
solo in un assoluto che trascende la contingenza umana. Questo è
precisamente l’ambito in cui le religioni possono dare il loro più forte
contributo. Senza riguardo per come le religioni fondano le norme
etiche, sia che le derivino da un comando divino o da un’esperienza
profetica o da un libro sacro o da un insegnamento o rivelazione nella
natura, una cosa è sicura: le religioni possono esprimere le loro
richieste etiche con un’autorità diversa da quella meramente umana.
Inoltre le religioni non esprimono la moralità usando solo principi,
dottrine e dogmi, bensì anche con simboli, preghiere, rituali e festività
– che è come dire sia razionalità sia emotività, re-incantando la Terra.
Le religioni, con tutti i loro limiti storici, sono una risorsa potente per
dar forma ai valori e agli atteggiamenti umani.
Nel 1993 il Parlamento delle Religioni del Mondo, in presenza di
8.000 rappresentanti di quasi tutte le fedi, emanò una dichiarazione
sull’"Etica Globale" dichiarando l’accordo delle religioni sui diritti
umani e sui problemi ambientali. Lungi dall’essere un tentativo di
creare un’ideologia religiosa globale o una singola religione unificata,
l’“etica globale” esprime "un consenso fondamentale su valori
vincolanti, standard irrevocabili e atteggiamenti personali" sui quali
concordano tutte le religioni. 29

27
Lynn White, "The Historical Roots of Our Ecological Crisis," in Science, no.
155 (1967):1203-7.
28
Alcuni degli eco-teologi emergenti in Nord America sono: Matthew Fox, per
la spiritualità centrata sulla creazione; Rosemary Rueter, Sallie McFague e
Elisabeth Johnson, per l’eco-femminismo; Thomas Berry e Brian Swimme per
la teologia cosmologica; Larry Rasmussen e James Gustafson per l’etica
ambientale teologica.
29
Cfr. Hans Kung, "Toward a World Ethics of World Religions," in The Ethics
of World Religions and Human Rights, Hans Kung and Jurgen Moltmann
eds., Concilium 1990/2 London: SCM Press, p. 102-119. Il testo può essere
trovato in A Global Ethics, The Declaration of the Parliament of the World's
Religions, Hans Kung and Karl-Josef Kuschel, eds. , New York: Continuum,
1993, p. 20-21.
Conclusioni

In questa relazione ho sostenuto che i due orientamenti principali


della filosofia ambientale dell’Occidente, antropocentrismo ed
ecocentrismo, sono largamente inadeguati per fondare i principi di
un’etica globale. Ho mostrato come il progetto intrapreso
dall’iniziativa della Carta della Terra ha ampliato le basi per la
costruzione di un’etica globale. Il suo metodo dialogico della
consultazione globale e la sua fiducia sulla convergenza di fonti
diverse ha condotto alla formulazione di principi che sono condivisi da
una varietà di persone di diverse nazionalità, culture e religioni. Ho
suggerito che il contributo delle religioni, in particolare, potrebbe in
effetti essere cruciale per rompere la visione del mondo tradizionale e
trascenderla in una visione di relazioni uomo-Terra reciprocamente
arricchenti.
In conclusione, credo che la Carta della Terra rappresenta uno sforzo
serio e senza precedenti verso un’etica globale per la comunità
mondiale emergente. La Carta della Terra si conclude con queste
parole: "C’è la promessa di un nuovo inizio in questi principi della
Carta della Terra". Sì, c’è un’energia senza briglie quando le persone
dialogano e lottano con questi principi che ispirano un nuovo modo di
vedere, giudicare e agire. In definitiva è la realizzazione di una nuova
possibilità di essere umani vivi in questa vibrante comunità della vita.
A Philosophical Appraisal
Vittorio Falsina, Harvard University - Center for the Study of World
Religions
(On-line Conference on Global Ethics, Sustainable Development and the
Earth Charter, April 1999)

1. Ethics and Sustainable Development

A point in history has now been reached where a fundamental change


of course is needed in how the human enterprise is conducted.
Economic development, which exploits the environment and people,
must be somehow transformed into sustainable development that
promotes both the ecological integrity of Earth and human rights.
Such a change can only occur if the dominant values held by people
and societies reflect this imperative.
As you might have noticed, the term "sustainable development" is
mostly used in the current discussion in its "technical" meaning 1 .
When we speak of sustainable development we usually refer to a set
of practices, processes and policies that are best suited to make an
efficient use of natural resource which are limited or not renewable.
Therefore, under this agenda we speak of sustainable technologies,
renewable resources, efficient energy, life cycle of products, green
products and green markets, friendly policies etc. We are not always
aware that this blueprint for alternative practices implies a substantive
vision of the good that the goal of sustainable development aims to
achieve. Underlining the practical agenda of sustainable development
is a moral vision based on a set of values that challenge our way of
doing business as usual. For instance, the vision of sustainable
development makes implicit ethical claims about the good of
preserving a balance with the ecosystem, the value of natural
resources, the limit of human exploitation, and the responsibility of
entrusting a sustainable planet to future generations. You can see
how these claims are essential to the project of sustainable
development. They constitute the core of its definition. And yet, they
have not found an articulation in a set of normative principles that

1
For a genealogy and analysis of the concept of "sustainable development",
see Redclift, M., Sustainable Development: Exploring the Contradictions,
(Metheuen: London, 1987); Lele, S., "Sustainable Development: Some
Interpretations, Implications, and Uses," Bulletin of Science, Technology,
and Society, Vol.13, 1993, pp. 314-323; Ekins, P. "Making Development
Sustainable," in Sachs, W. Ed., Global Ecology: A new Arena of Political
Conflict (Zed Books: London & New Jersey, 1993).
express these values and justify their validity claims. For moral claims
to be true, or universally acceptable, it is not sufficient to be
enunciated. They must also be critically validated. As I will point out,
this is not an easy task.
The representatives of the world community gathered at the "Earth
Summit" in Rio de Janeiro in 1992 were aware of the necessity of an
ethical charter to ground this vision. The agenda of sustainable
development for the 21st Century, Agenda 21, had to be accompanied
by a document that spelled out the larger ethical vision that inspired
and sustained this whole process or renewal. The Rio Summit called
for an "Earth Charter" as a set of fundamental ethical values and
practical principles needed by humanity to improve the quality of
human life and protect the health of the Earth's ecosystem. Following
that appeal, the Earth Charter initiative was vigorously started in 1994
through the joint efforts of Maurice Strong in his capacity as chair of
the Earth Council, and Mikhail Gorbachev as chair of Green Cross
2
international. After the release of the Earth Charter Benchmark Draft
I during the Rio+5 review forum, a new working draft is now making a
second round for worldwide consultation. The goal of this on-line
conference is to enlarge the participation of students and academics
to contribute to this project that demands global cooperation. Knowing
that other speakers will focus on the historical, scientific, pragmatic,
and local aspects of the Earth Charter, my presentation will be limited
to examine some philosophical aspects of this project of a global
ethics for sustainable development. First, I will engage the
contemporary discussion on environmental philosophy that is being
debated in Western academic discourse. I will argue that the concepts
and theories of Western environmental philosophy, thought important,
are largely inadequate to ground the principles of a global ethics.
Second, I will examine the ethical project undertaken by the Earth
Charter initiative. I will discuss how the variety of its constitutive
sources, its method of global consultation, and the formulation of its
general principles represent an innovating way of doing ethics to meet
the challenges of truly global problems facing an interdependent earth
community.

2
The first international workshop on the Earth Charter was held in The
Hague in May 1995, with participants from 30 countries and over 70 different
organizations. An Earth Charter Commission was formed, composed of 20
eminent women and men representing all global regions and the different
sectors of society. The first draft of the Earth Charter was released at the
end of the Rio+5 Forum by the Earth Charter Commission. (The Benchmark
Draft I of the Earth Charter is published in a special issue of Earth Ethics,
vol. 8 (Winter/Spring) 1997, titled: "evolving values for an Earth Community,"
pp. 1-3.
2. Environmental Philosophies and the Prospect of a Global
Ethics

Looking at the literature in Western environmental philosophy, one is


puzzled by the opposite views of ecology that are defended by
environmental philosophers or activists. [The most striking difference
is the attempt to create a new kind of philosophy centered on a new
subject - nature - and followed by a new code of ethical duties and
responsibilities, not to citizens and humans, but to animals, plants,
ecosystems and the planet. Some of the positions that I will present
are provocative and resent the limit of a paradox. However, they are
important for our consideration because they reflect the contemporary
effort to rethink our relationship with the natural world. As an
expression of this growing consciousness, these views contain
fragments of truth that need to be critically assessed and integrated
into a global ethics.] I will discuss two orientations that polarize the
debate in contemporary environmental philosophy, namely:
anthropocentrism and ecocentrism. Their differences are rooted in
conflicting theories of value that accord moral standing, the one
strictly to humans, and the other to more than humans. 3

Anthropocentrism
The first philosophical position is called anthropocentrism because it
places human beings with their interests, preferences and values at
the center of environmental ethics. This position rests on a conception
of ethics deeply rooted in Western philosophy. Aristotle and Plato
were mainly concerned on how people could live a good life in the
context of a political community ruled according to norms of justice.
Socrates said, "I am a lover of learning, and trees and country places
won't teach me anything, whereas people in the city do". 4 [The
Jewish-Christian tradition reinforced this belief on the centrality of the
human being created in God's image, and placed as the crown of
creation to exert dominion over the earth. 5 ] But it was with the advent
of the Enlightenment that the focus of morality narrowed from the
community to the single individual. Individual persons are the only

3
For a definition of "moral standing," see: The Environmental Ethics and
Policy Book: Philosophy, Ecology, Economics, Van der Veer, D. And
Christine Pierce, eds. (Belmont CA: Dadsworth, 1994), 57.
4
Plato, Phaedrus 230d., Loeb Classical Library, vol. 1. Cambridge, MA: Harvard
University Press, 1977, pp. 423-4.
5
Genesis 1:29. See the provocative article by Lynn White, Jr., "The
Historical Roots of Our Ecological Crisis," in Science 155 (1967):1203.
beings endowed with freedom, rationality and the ability of making
choices according to a life plan. Therefore, only humans have the
characteristics that fulfill the conditions of moral standing. Rights and
responsibilities apply only to people. They derive from the respect for
their human dignity and the choice of individuals to enter a social
contract to respect their mutual obligations in society. But as John
Passmore wrote, "men, plants, animals and soil do not form a
community. Bacteria and men do not recognize mutual obligations,
nor do they have common interests. In the only sense in which
belonging to a community generates ethical obligations, they do not
belong to the same community." 6
Environmental ethics, by this anthropocentric account, is founded on
what we might call a "human right to nature". 7 As an extension of the
basic human rights to life, liberty and the pursuit of happiness, today
people claim a right to a healthy environment, to clean air, drinkable
water, and uncontaminated food necessary for their life. Such right to
nature, however, is defended against any right of nature. Nature itself
has no intrinsic value and is not morally considerable. A strong
anthropocentrism maintains that nature has only an instrumental value
to fulfill human needs, whether these needs are food, clothing,
economic development, or aesthetic pleasure and recreation.
Environmental economics serves precisely to this purpose by
calculating the costs of environmental protection for maintaining
acceptable levels of human welfare. For instance, the depletion of the
ozone layer means higher levels of skin cancer, more instances of
immune system diseases and damage to human food crops.
Practically, this perspective evaluates all environmental policies by
the way they affect human interests and well being in the present or
future generations. [John Passmore, William Baxter and William Grey,
are among the defender of some form of a strong version of
anthropocentrism. 8 ]
There is also a week version of anthropocentrism. Brian Norton, for
instance, maintains that the belief that humans are the only valuers
does not entail that humans can value only human things. 9 People are

6
John Passmore, Man's Responsibility for Nature, New York: Scribner,
1974), p. 116.
7
See, Susan S. Hanna, Carl Folke, and Karl-Goran Maler, eds. Rights to
Nature, Washington, D.C. : Island Press, 1996.
8
John Passmore, Man's Responsibility for Nature. New York: Scribner, 1974; William
Grey, "Anthropocentrism and Deep Ecology," Australian Journal of Philosophy 71
(1993):463-475; and William F. Baxter, People of Penguins: The Case of Optimal
Pollution. New York, Columbia University Press, 1974).
9
Brian Norton, "Environmental Ethics and Weak Anthropocentrism," in
Environmental Ethics 6.2 (1984): 131-148; p. 133. Notice that Brian Norton in
his last book is moving toward a more integrative approach, Towards Unity
able of complex evaluations which go beyond the narrow satisfaction
of selfish interests. Human beings are aware of being part of nature
and can take responsibility for the environment. However, as Norton
claims, a considered preference for the preservation of nature is not
based on the belief that natural things have intrinsic value or rights.
[Weather this ethics of care for nature takes the forms of
"stewardship" or "responsibility" it remains within the boundaries of
enlightened anthropocentrism.] No doubt, a great deal of work on
environmental ethics can be done from within an anthropocentric
position. This reasoning informs most ecological movements,
environmental agencies and programs of sustainable development.
The point emphasized by anthropocentrism is that ethics is for people.
But the crucial question we must ask today, in a condition of
environmental crisis is the following: Can ethics be only about
people? This is the question that a group of more radical
environmental philosophers are trying to answer from the perspective
of ecocentrism.

Ecocentrism
Ecocentrism marks a radical departure from the anthropocentric
foundation of environmental philosophy. Human beings are not the
only beings valuable on earth, since life on the planet is made
possible by the proper functioning of a variety of organisms. Homo
sapiens, a unique species, is only one among the 5 million species
that we know, and only one among the 5 billion species that have
come and gone over the evolution history of the earth. 10 Why should
this last comer claim to have all rights?
A first group of thinkers focus on the ethics for animals. Animals hunt
and howls, care for their young, grow hungry, thirsty, tired and
excited. They suffer injury and lick their wounds. Animals, like
humans, are sentience beings. They are value-able, in the sense that
they are able to value things in their world independently from
humans. Moreover, humans should not forget that they are animals
too, and have genetic kinship with mammal species. The DNA
sequence of chimpanzees and humans is 99% identical. Therefore,
why shouldn't we value in other animal species that are so similar to
ours what we value in ourselves? According to this view, animals
should have rights that are, if not equal, at least comparable to those

Among Environmentalists. New York: Oxford University Press, 1991. See


also, Eugene C. Hargrove, "Weak Anthropocentric Intrinsic Value," in The
Monist 75 (6) 1992: 183-207, p. 187.
10
The ideas presented in this sessions are drawn from the article by Holmes
Rolston, III, "Ethics on the Home Planet," in An Invitation to Environmental
Philosophy, Anthony Weston, ed., New York: Oxford University Press, 1999.
of humans. But here begins the problem for an ecocentric
environmental ethics: where do we draw the line of obligation to other
animal species? How to measure the value of so many different
animal species, all valuable in their own functions? And even if we
were to grant rights to animals, can we enforce them against human
rights to land ownership, or to safety?
[According to the logic of moral reasoning, this argument is vitiated by
a naturalistic fallacy. 11 David Hume saw that is not logically valid to
deduce statement of moral obligation (ought statements) from factual
premises (empirical demonstration of what is). In a valid deductive
argument, nothing can be asserted in the conclusions that is not
entailed by the premises. Environmental ethicists blow this distinction
and claim environmental moral principles as "feedback from
ecological science" 12 . Can there be a "feedback" from ecology that
provides justification for ethical principles without committing the
is/ought fallacy? This remains a major obstacle for doing
environmental ethics within the framework of moral philosophy.]
A duty to a chimpanzee? Maybe. But do I have a duty to a daisy or to
a willow tree? You may think that this is getting too wild. Plants don't
care, so why should we? If environmental ethics is about the respect
for life, the higher animals, the vertebrates, represent only 4% of the
living species on earth. Does the rest of the biosphere counts at all in
our moral consideration? Plants do not have goals. Yet, each plants
maintain a botanical identity. An acorn becomes an oak and the oak
stands on its own. A botanist can explain that plants are modular
organisms with a botanical program coded in their DNA. [They grow,
reproduce, and multiply pursuing their own value, the good of their
kind.] Ecocentric ethics claims that we have a duty to respect and
even restore the vitality of the flora around us.
But not only single animals or plants should have a right to life, but
also species and ecosystems. Species, though lacking reflective self-
awareness, sentience, and organic individuality, are the dynamic
living system in which the whole of individual organisms is the
essential part. And species live in the womb of larger ecosystems that
provide the habitat for their flourishing. Species and ecosystems too
have their integrity, their biotic individuality, and therefore, a right to
life. As Rolston says, "It is more important to protect this vitality than

11
For a discussion of the various positions on the is/ought problem in
environmental ethics, see Don E. Marietta, Jr, For People and the Planet,
Philadelphia: Temple University Press, 1995, pp. 81-117
12
Holmes Rolston, III, "Is There an Ecological Ethics?" Ethics 85 (1975): 93.
to protect individual integrity. A shout-down of the life stream on Earth
is the most destructive event possible" 13 .
Ecocentrism expands the realm of moral standing to holistic
dimensions. The earth, or the biosphere, is the ultimate unit of
survival that ethics must consider. From here derives the most
fundamental moral norm that was already stated in the "land ethic" of
Aldo Leopold, the pioneer of environmental ethics: that we have a
duty "to protect the integrity, stability and beauty of the biosphere." 14
A holistic ethics, Callicott says, takes the biotic community as a whole
as a standard for the assessment of the relative value and relative
ordering of its constitutive parts. 15 But while Callicott, Rolston and
Marietta defend a humanistic holism compatible with basic human
concerns, another group of deep ecologists like Arne Naess make
claims for a "biospherical egalitarism, in principle". 16 Human beings
are seen as "knots in the net" or "strands in a web" of biospheric
relations. 17 Human beings don't have any claim to special treatment in
the biotic community. Their value is to be assessed in relation with
"the right to live and blossom" of every other life form. In this grand
metaphysic of nature (T-Ecosophy) morality is superfluous. 18
Many philosophers have expressed their reservations about the logic
and practical consequences of this type of holistic ethics. By claiming
that the biotic community overrides the rights of individuals, holism
might develop into a form of ecofascism. Tom Regan says that "what

13
Holmes Rolston, III, "Ethics on the Home Planet," idem., p. 125.
14
Aldo Leopold, "The Land Ethic," in A Sand County Almanac. London:
Oxford University Press, 1949.
15
J. Baird Callicott, Animal liberation: A Triangular Affair, in The Animal
Rights/Environmental Ethics Debate. The Environmental Perspective. (New
York, NY: State University of New York Press, 1992), 39-69. See also
Holmes Rolston III, "Duties to Endangered Species", in Environmental
Ethics: Duties and Values in the Natural World. Philadelphia, PA: Temple
University Press, 1988, pp. 60-75; Kenneth E. Goopaster, "On being Morally
Considerable," in The Journal of Philosophy, 75 (6), 1978: 308-325.
16
The term "deep ecologist" was coined by the Norwegian philosopher Arne
Naess, the pioneer of this current of environmental philosophy. For an
overview of these positions, see Lawrence E. Johnson, A Morally Deep
World: An Essay on Moral Significance and Environmental Ethics.
Cambridge: Cambridge University Press, 1991; and Joseph R. DesJardins,
Environmental Ethics: An Introduction to Environmental Philosophy. Belmont,
CA: Wadsworth, 1993.
17
Arne Naess, "The Shallow and the Deep, Long-Range Ecology
Movements: A Summary," in Inquiry 16 (1973).
18
See for this opinion, Matthew I. Humpherey, "Deep Ecology and the
Irrelevance of Morality: A Response," in Environmental Ethics vol. 21, No. 1
(spring 1999): 75-79.
holism gives us is a fascist understanding of the environment." 19
Similarly, Marty Kheel called ecological holism "totalitarism." 20
According to this view, human beings have been assimilated into
nature. Swallowed up by the organic processes of the biosphere, they
have lost their human dignity characterized by freedom, reason and
sociability along with their cultural identity. Holism has been accused
to foster human regression to biocentric stance, and cultural
regression to tribal ideals. Even Callicott, a defender of holism, admits
that it would be a diabolical difficult to practice an ethics in which
human beings and all other living beings have equal rights. 21 These
claims reinforce the skepticism about environmental ethics. One may
draw the conclusion that once the idea of duties to others than
humans starts, one slides down a slippery slope - animals, plants,
species, ecosystems, clouds, oceans and dirt - and end up claiming
the ridiculous: that rocks have rights.

3. After Modernity: the Emergence of a Global Ethics

From this discussion, one may realize how problematic is the attempt
to develop an environmental ethics on the narrow bases of
anthropocentrism or ecocentrism. Anthropocentrism can easily turn
into egocentrism, and ecocentrism in ecofascism. The problem of this
split is endemic to Western philosophy, especially since modernity.
On one side, we have the Ego of the Enlightenment that posits itself
as a higher self, the mind, the spirit that dominates the universe: man
measure of all things. This Ego gives little consideration to the social
and natural environments on which his life depends. The egocentric
view is monological and takes everything for granted. Like Superman
the Ego claims responsibility for everything, and yet sacrifices
everything to himself. On the opposite side we have the Eco
approach; the Romantic rebellion against the domain of the Ego
fought with the impetus of the totality of nature. The believers of Eco
try to demonstrate that the universe is a great and interconnected
holistic system, a Web, a universal order. Their worldview, informed
by the scientific evidence of physic, biology and system theory, risks
to exchange Gaia for God, and reduces the personal and social
19
Tom Regan, The Case for Animal Rights, Berkeley: University of California Press,
1983, p. 372.
20
Marty Kheel, "The Liberation of Nature: A Circular Affair," in Environmental
Ethics Vol. 7, No.2 (summer 1985):135.
21
See, J. Baird Callicott, "Introduction" in Environmental Philosophy: From
Animal Rights to Radical Ecology, Michael Zimmerman, ed., Englewood
Cliffs, NJ: Prentice-Hall, 1993, 3-11.
dimensions of human existence to mere functions of this great
system. 22 Both, the Ego and the Eco are trapped in monological and a
historical interpretations of reality. Their reductivist views lack of
depth, relations, evolution and transcendence.
The crucial dilemma that we are confronting today is this. Modernity
has brought to the fore the differentiation among the self, society and
nature, but has been unable to integrate them into a harmonic
coexistence. The problems that we are facing on the threshold of the
third millennium, economic injustices, poverty, armed conflicts,
demographic explosion that put pressure on ecological and social
systems, degradation of the environment, extinction of species, just to
name a few, arise from the chaotic tensions among these tree spheres
of existence. If after modernity we will not find a way to integrate
these dimensions into a new form of self-transcendence, we will face
the possibility of self-destruction. The earth community stands at a
defining moment. The earth has directed itself instinctively with
exuberant creativity for millennia. Now, it has given over to us, in the
power of the mindsphere, the major share of directing the course of
earth development. As Thomas Berry wisely put it: "This is the
ultimate daring venture for the earth, this confiding its destiny to
human decision, the bestowal upon the human community of the
power of life and death over its basic life system". 23
In front of the magnitude of this mortal option, we realize that our
moral philosophy is grossly inadequate to shape a different worldview,
with new values, attitudes and principles that are called for by a
global ethics. In order to do this, we need to enlarge our narrow view
of ethics and draw from a variety of sources that are finding a
convergence toward this global awareness. There are signs of hopes
in the current shifts of global culture. Postmodernity is gradually
shaping a new cultural sensitivity, with new values, attitudes and
subjects. From a narrow focus the individual, to the extension of moral
consideration to new subjects characterized by their "otherness" and
'difference". For example, postmodernity has given relevance to the
voices of women, blacks, indigenous people, the poor and
marginalized, along with the natural world of animals, plants, species
and ecosystems. Another characteristic of postmodernity is the
disenchantment with modern science and technology and the attempt
to move beyond the Enlightenment mentality that separated the
material from the spiritual worlds and affirmed progress at any cost. It

22
This interpretation of modernity in terms of the split between the Ego and
the Eco is taken from Ken Wilber, A Brief History of Everything. Boston and
London: Shambhala, 1996, pp. 312-328.
23
Thomas Berry, The Dream of the Earth, San Francisco: Sierra Club Books,
1988, p. 19.
appears that the foundations of modernity are gradually being
replaced by a newly emerging worldview based on a more inclusive
cross-cultural convergence of scientific, philosophical, traditional and
religious concepts of human nature, nature, and society. Their
interdependence is intertwined in the destiny of the earth's
community. The convergence of these various post-modern
movements are shaping a common consciousness that urges us to go
beyond modernity and envision a global ethics able to transcend the
tyranny of all its "isms": individualism, anthropocentrism, economism,
consumerism, nationalism, and militarism.

4. The Earth Charter Benchmark Draft II (working draft)

The demand for a global ethics seems to fly in the face of the
evidence of a highly fragmented and differentiated world. But a
complex network of commercial, financial, technological and
environmental interests increasingly links people that are separated
by geography, culture and ideology. This growing awareness of
interdependence has a moral value. It creates the hope of a culture of
peace and cooperation with other people, other cultures, other life
forms, and the Earth. On the long path toward the goal for a global
ethics, the Earth Charter is the expression of an ongoing worldwide
consultation. Its principles should inspire human action in the face of
the new ecological, economic and social challenges that call on our
global responsibility.
The Earth Charter is not an attempt to construct a global ethics ex
nihilo, artificially extracting and mixing ideas and principles taken from
different traditions. Its goal is not to substitute Jesus' Discourse on
the Mountain with a mountain of new principles, or Moses' old Ten
Commandments with a list of 15 new ones. Rather, the principles
listed in the Benchmark Draft II are the expression of an emerging
convergence on some basic common values that are shared by a
variety of people worldwide, in spite of their different cultures,
nationality, religion, and worldview.. The Earth Charter's principles are
drawn from a variety of sources: from the new discoveries and
insights of science, the wisdom of the world religions, and more
generally from the extensive literature emerging under the agenda of
a global ethics, namely the ethics of environment, sustainable
development, liberation and feminism. It is also important to
remember that these principles build on earlier international
declarations, charters and treaties, including many drafted by NGOs.
These earlier agreements embody already a transcultural ethical
experience. For instance, the principles drawn from the Universal
Declaration of Human Rights are already and expression of an ethical
code recognized by the whole humanity.
Let us turn to the text of the Earth Charter draft. The first three
principles are very important because they lay the foundation of the
Charter. Principle no. 1 reads: "Respect Earth and all life, recognizing
the interdependence and intrinsic value of all beings; affirming the
inherent dignity of each person with faith in the human potential."
What I would like to point out here is the clear affirmation of both, the
intrinsic value of all beings, and the inherent dignity of each person
and the human potential. This formulation overcomes the dichotomy
between anthropocentrism and ecocentrism and transcends the
conflicting claims of the Eco and the Ego in the harmonic vision of an
"Earth community" 24 .
A distinction between the inherent dignity of persons and the intrinsic
value of every living being is crucial to prevent moral standing to
become so inclusive to make it impossible to formulate an ethics that
can guide action and policy. Although the Charter recognizes that all
living beings have intrinsic value, it acknowledges the limit of moral
obligation to nature. Principle no. 6 states: "Treat all living beings with
compassion, and protect them from cruelty and wanton destruction."
As one can notice, the principle uses the language of compassion and
non-maleficence rather then the strong language of rights. To
recognize that animals, plants and every living being have intrinsic
value and commend our respect and care is different from claiming
that each life form have equal rights.
Principle no. 2 stresses the duty of each and every person to "Care"
and accept the "Responsibility" to contribute to the well being of the
greater community of life inclusive of the whole family. Principle no. 3,
makes the connection with the social demands of a global ethics: the
duty to "Secure Freedom, justice, peace and earth's abundance for
present and future generations". A comma of the third principle
affirms that "environmental protection, development, respect for
human rights (and fundamental freedoms) and peace are
interdependent and indivisible". It is evident from the structure of the
Earth Charter that ecological, economic and social concerns are all
interrelated and are an essential part of this ethical vision.
What we have here is a very different anthropology that sees human
beings embodied in nature, embraced in culture, and embedded in
social relations. The fundamental dichotomy of environmental ethics

24
The concept of "Earth Community" is defined by Brian Swimme and
Thomas Berry as "The interacting complexity of all of Earth's components,
entities and processes, including the atmosphere, hydrosphere, geosphere,
biosphere and mindsphere". See Swimme and Berry, The Universe Story,
San Francisco: Harper Collins Publisher, 1994, "Glossary," p. 280.
has been transcended. "The universe shivers with wonder in the
depths of the human," as Brian Swimme has poetically put it. [In this
perception the human is seen as a mode of being of the universe, one
in the midst of many other living beings, as well as a distinctive being
endowed with an inherent dignity and consciousness.] The human is
represented here as that being in whom the universe come to itself in
a special mode of conscious reflection. I would need more time to
examine the practical implications of these principles.

5. Religions, Spiritual Traditions, and the Earth Charter

A more general question that one may ask is where does the Earth
Charter ground this inclusive vision found in its general principles.
These principles build on several sources. However, there is one
particular source that I would like to emphasize here. I am referring to
the contribution of World Religions and spiritual traditions. The effort
to engage the spiritual resources of various religions is essential to
the task of building a global ethics based on a "common ground and
shared values". The millennial experience and wisdom preserved by
religions may indeed be a critical resource in helping us to re-imagine
the conditions for mutually enhancing human-earth relations. It is not
surprising that during the first round of consultation, over 250
religious leaders and organizations worldwide were contacted by a
special Advisory Group. Since the beginning the Earth Council
established a special Indigenous Peoples Network. The Earth Charter
has benefited from different spiritual resources to shape its vision of
the humans-nature relations. Just to mention some of them,
Buddhism, with its intellectual and practical resources, has a lot to
teach on this subject. Buddhism, unlike Western religions, describes a
cosmology of interconnectedness in which human beings are
embedded in the dynamism of nature with its cycles of birth and
death. [The doctrine of the anatma, (non-self), suggests a shift from
an anthropocentric view of reality to an eco-centered view of it. A
similar cosmological view is held also by Confucianism, which is
characterized by "natural naturalization" and "human
immanentization" in contrast to the emphasis on rationality and
transcendence in Western thought.] Confucianism is less concerned
with the notion of a personal God than with the ongoing reality of self-
generating, continuity of being in the universe, linking inorganic,
organic and human life forms. 25

25
Mary Evelyn Tucker, "World Religions and Global Ecological Ethics.
Contributions from Confucianism and Buddhism," in Earth Ethics, vol. 7, no.
3&4, p. 16.
A second important spiritual resource is that of indigenous people,
Native American, Hawaiian, Maori, Aboriginal, and numerous other
indigenous traditions. More than any religious worldview, indigenous
wisdom has demonstrated the ability to foster sustainable life styles
balancing human flourishing with reverence for the earth. They can
teach us a truly human intimacy with the earth and with the entire
natural world. [The thanksgiving ritual of the Iroquois, for instance, is
one of the most superb ceremonies that humans have ever known.
"We return thanks" - first to our mother, the Earth, which sustains us,
then on to the rivers and streams, to the herbs, to the corn and beans
and squashes, to bushes and trees, to the wind, to the moon and the
stars, to the sun, and finally to the Great Spirit who directs all things.
Tom Berry comments: "To experience the universe with such
sensitivity and such gratitude! These are the primary experiences of
an awakening human consciousness. Such stupendous moments
reveal a striking sense of the alluring earth". 26 ]
Finally, also the ethical-religious traditions of the West, notably,
Judaism and Christianity are vigorously contributing to this effort by
retrieving green streams of theological interpretations in their own
sources. Western religions have created a dominantly anthropocentric
worldview. [The interpretation of the book of Genesis has led to a
worldview which justifies the "subduing of nature" and the human
"dominion" over creation.(Gn 2) Lynn White wrote: "Since the roots of
our environmental trouble are largely religious the remedy must also
be essentially religious." 27 ] Contemporary Jewish and Christian
theologies are engendering a shift from an anthropocentric worldview
to an eco-centered worldview. Eco-theology represents the most
powerful interruption to contemporary theological discourse. 28 The
spiritual and ethical insights of the traditions that we have just
mentioned, along with other sources, lay the foundations for the
inclusive vision emerging from the principles of the Earth Charter.
There is an important connection between religions and the effort to
build a global ethics. The unconditional nature of the ethical demand
can find justification only in an absolute that transcends human
contingency. This is precisely the area in which religions can give
their most powerful contribution. Regardless of how religions ground
26
26. Tomas Berry, The Dream of the Earth, idem., p. 14.
27
Lynn White, "The Historical Roots of Our Ecological Crisis," in Science, no. 155
(1967):1203-7.
28
Some of the emerging eco-theologians in North America are: Matthew Fox,
for creation centered spirituality;, Rosemary Rueter , Sallie McFague and
Elisabeth Johnson, for eco-feminism; Thomas Berry and Brian Swimme for
cosmological theology; Larry Rasmussen and James Gustafson, for
theological environmental ethics.
ethical norms, whether they derive them from a divine command, or a
prophet's experience, or from a sacred book, teaching or revelation in
nature, one thing is sure: religions can express their ethical demands
with a different authority from merely human one. And religions do not
just express morality by way of principles, doctrines and dogmas, but
also with symbols, prayers, rituals and festivals - that is to say, both
rationally and emotionally, reenchanting the earth. Religions, with all
their historical limitations, are a powerful resource for shaping human
values and attitudes.
In 1993, the Parliament of World Religions attended by 8.000
representatives from almost all faiths, issued a declaration on "Global
Ethics" stating the agreement of religions on human rights and
environmental issues. Far from being an attempt to create a global
religious ideology or a single unified religion, the "global ethic"
expresses "a fundamental consensus on binding values, irrevocable
standards, and personal attitudes" agreed upon by all religions. 29
Conclusions
In this paper I have argued that the two main orientations of Western
environmental philosophy, anthropocentrism and ecocentrism are
largely inadequate to ground the principles of a global ethics. I have
shown how the project undertaken by the Earth Charter initiative has
enlarged the basis for the construction of a global ethics. Its dialogical
method of global consultation, and its reliance on the convergence of
different sources has led to the formulation of principles that are
shared by a variety of people of different nationalities, cultures and
religions. I have suggested that the contribution of religions, in
particular, may indeed be critical to break through the conventional
worldview and transcend it into a vision of mutually enhancing human-
earth relations.
In conclusion, I believe that the Earth Charter represents a serious
and unprecedented effort towards a global ethics for the emerging
world community. The Earth Charter ends with these words: "There is
a promise of new beginning in these Earth Charter principles". Yes,
there is energy unleashed when people dialogue and wrestle with
these principles that inspire a new way of seeing, judging and acting.
Ultimately, is the realization of a new possibility of being human alive
in this vibrant community of life.
29
Cfr. Hans Kung, "Toward a World Ethics of World Religions," in The Ethics
of World Religions and Human Rights, Hans Kung and Jurgen Moltmann
eds., Concilium 1990/2 London: SCM Press, p. 102-119. The text can be
found in , A Global Ethics, The Declaration of the Parliament of the World's
Religions, Hans Kung and Karl-Josef Kuschel, eds. , New York: Continuum,
1993, p.20-21.
PARTE Q UATTRO
Nativi americani ed educazione: una prima
ricognizione

Native Americans and Education:


A First Review
Elisa Cazzamalli, Laura Guerini, Alberto Turelli
Coordinamento: Carlo Baroncelli
Prefazione
Simone Mazzata, Segretario Fondazione Cogeme Onlus

Per chi si occupa di pensiero ecologico, l’incontro con i Popoli Nativi


è, per così dire, obbligato.

La visione del mondo e il rapporto con la Terra che esprimono questi


popoli cosiddetti “primitivi”, che hanno abitato questo Pianeta molto
prima di noi occidentali, sono di una apertura e di una profondità
sorprendenti e, per certi versi, sconcertanti.
E assolutamente in linea con le più recenti acquisizioni della scienza,
che dimostra come il nostro universo sia rappresentabile come una
grande rete di energia, in cui ogni essere è collegato agli altri.

Parlare di Nativi, quindi, non significa guardare indietro e riproporre,


in modo anacronistico, il mito del “buon selvaggio”, quanto ripescare
dalla miniera di esperienze della storia umana alcune perle di
saggezza, da riproporre all’interno di un modello più sostenibile di
vita.

Il senso di appartenenza e di interdipendenza, esteso a tutti gli esseri


viventi, i valori di responsabilità universale e di “cura” che chiamano
in causa in primo luogo l’uomo all’interno della comunità della vita –
quest’ultimo è il principio caratterizzante del Preambolo della Carta
della Terra – è un grande “debito” che l’umanità ha nei confronti dei
Popoli Nativi.

Tra la Terra e i Nativi si è sviluppata una relazione non solo


materiale, funzionale, tecnica o utilitaristica, come la possiamo
intendere noi. Qui si tratta piuttosto di una relazione che punta
all’essenza della vita, che è spirituale e, successivamente, etica.

Ascoltare e ringraziare

Nel convegno della Fondazione Cogeme Onlus è stato invitato


Manitonquat, un capo Wampanoag.
I Wampanoag sono una tribù della Costa orientale degli Stati Uniti e
furono i primi a incontrare i pellegrini puritani inglesi del Mayflower
nei primi decenni del ‘600, quando sbarcarono nel Nuovo Mondo.
Grazie al senso di accoglienza dei Wampanoag, gli Inglesi poterono
sopravvivere al freddo e agli stenti dell’inverno rigido.
Tra le scoperte che stupirono maggiormente gli Inglesi quando
incontrarono i Nativi, vi fu la festa del ringraziamento, che
coinvolgeva tutta la comunità per giorni e giorni. “Perché avete una
festa del ringraziamento?” – chiedevano i Puritani. “Noi abbiamo
ricevuto tutto in dono e il minimo che possiamo fare è ringraziare!”,
rispondevano i Nativi.
Questa festa divenne il più importante suggello della relazione
pacifica tra i due popoli – almeno fino a quando gli Europei
condivisero questo atteggiamento - ed è ancora oggi una delle più
importanti e vive ricorrenze popolari negli Stati Uniti, con il nome di
“thanksgiving day”.
Basterebbe questo episodio per accogliere ciò che i Nativi
americani, anche attraverso tantissime altre testimonianze di
straordinario spessore culturale e spirituale, potrebbero offrire
all’uomo moderno.
Naturalmente, per accogliere è necessario fare silenzio e riconoscere
che l’altro ha qualcosa da donarci e questo, purtroppo, è un
atteggiamento che non è stato spesso seguìto dagli Occidentali.

Ma il mondo sta cambiando, la visione ecologica si sta diffondendo e


si sente la necessità di tornare alle origini - mi si passi il termine - per
cercare di cogliere quali sono i messaggi che questi popoli possono
proporre al nostro presente e al nostro futuro.
E’ in questa cornice che la Fondazione Cogeme Onlus ha deciso di
commissionare una ricerca su Nativi americani e sostenibilità.
Ma c’è anche un’altra ragione, più personale, legata a padre Vittorio
Falsina.

Il legame con Vittorio

Io l’ho conosciuto in poche occasioni.


Ricordo il matrimonio di suo fratello Giovanni.
Vittorio, prete cattolico, celebrava la messa e i paramenti di cui era
vestito erano stati decorati da un nativo americano, un Lakota Sioux.
Il rituale all’inizio della cerimonia era di chiara origine pellerossa e mi
aveva molto colpito la “naturalezza” e la bellezza di due culture,
apparentemente così distanti, che si fondevano in un’armonia
spirituale così genuina, così piena di energia, così “originaria”,
verrebbe da dire.
Il secondo contatto con Vittorio fu il suo scritto, pubblicato più
volte dalla Fondazione, dal titolo “Nel nome della Madre”. Bastano
poche righe per respirare lo spirito dei Nativi americani.
In effetti, ho scoperto successivamente che Vittorio trascorreva il suo
tempo libero a contatto con i Nativi americani, nelle riserve o nelle
città, e quando lui parla del rapporto con la Terra che gli appartiene e
che egli appartiene alla terra sembra che parli un Nativo.
Una ricerca per capire

Questi ci sono sembrati motivi sufficienti per realizzare una ricerca


che avesse come obiettivo quello di comprendere quale fosse il
rapporto tra Nativi americani e sostenibilità. In particolare, ci siamo
chiesti come questi popoli, che vivevano in modo sostenibile e a
diretto rapporto con la Terra, educavano i loro bambini che, in alcune
lingue native, vengono chiamati “esseri sacri”, al pari degli anziani.
Esseri sacri.
Nella ricerca che segue, infatti, abbiamo scoperto, tra il resto,
che il ruolo dei piccoli è centrale nella società nativa e, per questo,
abbiamo ritenuto che già questo approccio all’educazione sia un
messaggio straordinariamente attuale.
La prima persona con cui è stata condivisa l’idea della ricerca
è il prof. Carlo Baroncelli, che accompagna da anni Fondazione nella
sua opera di riflessione sulle tematiche della sostenibilità e di
divulgazione sulla Carta della Terra.
Carlo Baroncelli ha accettato di fare il coordinatore scientifico del
convegno e della ricerca.
Inoltre, sono stati coinvolti tre insegnanti, che hanno
partecipato a un corso di perfezionamento promosso dall’Università
Cattolica di Brescia sulla sostenibilità educativa e che hanno chiesto
alla Fondazione di poter fare uno stage.
Sono Elisa Cazzamalli e Alberto Turelli, entrambi laureati in Scienze
della Formazione e Laura Guerini, laureata in filosofia con una tesi
sulla Carta della Terra.
Insieme abbiamo condiviso un piccolo e piacevole percorso,
che ha portato come primo frutto questa ricerca, tra le poche in Italia
su questo tema.

E’ un seme piccolo, semplice, lacunoso, ma è carico di un potente


messaggio positivo e costruttivo per costruire comunità sostenibili.
1. Presentazione della ricerca
A Research on American Natives and education
Elisa Cazzamalli, Laura Guerini, Alberto Turelli. Coordination: Carlo
Baroncelli

The research work is composed of three chapters.


In the first chapter it is briefly argued the complexity of the definition
of “indigenous peoples”. During many years of debate, indigenous
organizations have become unwilling to think of a formal definition
that states may adopt. Natives’ right to sustainability is then explored
and it is suggested a possible classification of indigenous peoples.
In the second chapter some aspects of Natives’ spirituality are
explored. Natives are a multitude of different tribes, but they share the
idea of Mother Earth and the special relationship with it. They all own
this special affinity with nature and their environment: Earth gives
spiritual energy and vital force, it is the source of life, which is
spiritual life. The chapter then explores the value of myth. The
quantity of myths and legends handed down by Natives comes from
their heart and soul. Myths are embodied in ancient languages and
follow natural rhythms. Through myths we find information about how
Natives interpret cosmic issues, but they are also lens that let us
observe social orders and daily life. The third chapter - the ideal
hearth of this research - it is dedicated to the explanation of the value
of education in native cultures. Traditional educational practices are
holistic, based on nature, family and clan: this interconnection guides
growth and develops people as spiritual beings. Children are
immersed in an environment in which learning is a natural process
and it is necessary to learn adequate lifestyles. According to the
Anishinaabe, the word and concept of “Education” can be translated
from Ojibway as “Kinomaage” (Key-no-mah-gay), which means “Earth
shows life”. Mother Earth is the first and primary teacher. Native
communities have an educational system based on accumulating
wisdom and knowledge about natural world, through generations.
Experiences that involve learning by doing, watching, feeling and
trying with old people and relatives. Customs, spiritual practices and
language are conveyed according to community priorities. Enlarged
family, clan and community grant a secure network to children, in
which collaborative learning through generations is basic. Knowledge
transmission happens thanks to relations and it is based on
behavioral models more than words. This models contain information
about how people, animals, plants and Earth form a Unity. They
describe ecology of relations and principles, lifestyles adequate to a
sustainable community.
1.1 Carta della Terra ed educazione sostenibile

“Integra nell’istruzione formale e nella formazione permanente le


conoscenze, i valori e le capacità necessarie per un modo di vivere
sostenibile” ( IV – 14.)

Dal 2002 la Fondazione Cogeme Onlus ha individuato nella Carta


della Terra un documento di riferimento per le proprie attività a favore
della sostenibilità ed ha iniziato un percorso per la promozione e
divulgazione del documento presso le comunità locali e le istituzioni
scolastiche.
Nella Carta della Terra viene richiamato con forza il ruolo decisivo
dell’educazione come fattore vitale ed elemento di trasformazione
della società, come veicolo di comportamenti e valori ispirati ai
principi della sostenibilità.
Durante il processo di elaborazione, la Carta della Terra ha
ricevuto importanti contributi dalle istituzione educative, che si sono
dimostrate interessate ad intraprendere la strada di un’educazione
basata sulla formazione permanente, sull’informazione corretta e a
promuovere una presenza nel mondo equilibrata e pacifica.
Proprio in questa direzione si muove il lavoro di ricerca che ci
apprestiamo a presentare, esso rappresenta il più recente contributo
della Fondazione Cogeme al “Decennio sull’ Educazione allo Sviluppo
Sostenibile” proclamato dall’ONU per il periodo 2005-2014.

1.2 Le ragioni di una scelta

Il nostro impegno per la promozione di un sapere sostenibile in


armonia con l’ambiente inteso come “sistema di relazioni “, ci ha
portato ad approfondire l’apporto e l’esperienza delle popolazioni
native rispetto al loro modo di abitare la Terra e di educare a questa
abitanza.
La scelta di cominciare questo viaggio alla scoperta di pratiche
educative sostenibili proprio dai popoli nativi americani è dovuta a
due fattori: da un lato la nostra maggiore dimestichezza, almeno in
termini di immaginario, con i luoghi, i volti e le parole di queste
popolazioni, dall’altro, ancora una volta, la figura di Padre Vittorio
Falsina che ci ha fatto partecipi della sua esperienza presso una
comunità di nativi americani, un’esperienza che lo stimolò a vivere in
un modo totalmente nuovo la sua relazione con la natura:

”Devo questa mia iniziazione alla sacralità e alla riverenza della


terra come Madre alla mia comunità di Native Americans, che mi
hanno insegnato ad ammirare la bellezza, comprendere la relazione
di inter-dipendenza, decifrarne il linguaggio nei cieli stellati e nel volo
degli uccelli, e ringraziarne la benevolenza attraverso le dances, le
sweet lodges e le pipe cerimonies”
(dalla Prolusione di Vittorio al Convegno di CEM Mondialità: “Nel
nome della Madre”, Agosto 2000).
Il 23 luglio 2007 presso la Fondazione Cogeme Onlus è stato
istituito un tavolo di lavoro per la realizzazione di una ricerca al fine di
esplorare gli aspetti legati all’educazione sostenibile rintracciabili
nella cultura e nelle tradizioni degli Indiani d’America, valorizzando il
loro esempio nell’applicazione di pratiche di vita sostenibili in armonia
con la natura e con l’intera comunità della vita. Al tavolo di lavoro
hanno partecipato: Simone Mazzata, Carlo Baroncelli, Alberto Turelli,
Laura Guerini ed Elisa Cazzamalli.
Durante questo primo incontro sono state condivise e concordate
le linee guida della ricerca: la storia degli Indiani d’America, come
quella di tutti gli altri popoli nativi, è costellata di confronti amari con
la civiltà occidentale, scontri, soprusi, saccheggiamenti,
incomprensioni hanno certamente mortificato la vita e la cultura di
questo popolo, che ora cerca con fatica di rialzare la testa e di
riprendere la dignità che gli era stata tolta.
Senza certo dimenticare o nascondere le sofferenze e le
conseguenti rivendicazioni degli Indiani d’America, abbiamo voluto
dare alla nostra ricerca un taglio positivo, chiedendoci quali aspetti
della vita e delle tradizioni di questo popolo possono rappresentare
oggi un insegnamento per la cultura occidentale e diventare
patrimonio dell’intera umanità.
In questa prospettiva non abbiamo ritenuto opportuno soffermarci
sugli aspetti politici legati alla vita nelle riserve, sui problemi legati
all’integrazione degli Indiani nel sistema scolastico americano, sugli
aspetti conflittuali di una convivenza difficile con i colonizzatori.
La nostra intenzione era quella di far emergere e valorizzare un
modo diverso di abitare e la Terra e di costruire il futuro.
Per fare questo, abbiamo consultato fonti di vario genere: dai
testi educativo-pedagogici a quelli narrativo-esperienziali (fiabe, miti,
biografie), dai documenti internazionali ai siti internet tematici.
Il materiale consultato ci ha svelato un mondo ricco e complesso,
spesso velato da un’ immagine folkloristica e superficiale che non ne
rende piena testimonianza, un mondo che desidera farsi conoscere e
condividere la propria sapienza con l’intera umanità, un mondo che
crede nella forza salvifica degli insegnamenti tradizionali.
Guidati dalle suggestioni del nostro immaginario, dai richiami
della Carta della Terra e dalle orme di Padre Vittorio, abbiamo
intrapreso questo lavoro di ricerca sommessamente, in punta di piedi,
lasciandoci affascinare, ma anche cercando di capire un legame con
la Madre Terra che forse abbiamo dimenticato.
I sostenitori dell’ecologia profonda traggono grande ispirazione
dal pensiero e dalle conoscenze dei popoli nativi americani in quanto
difensori della vita sulla Terra e della Terra stessa.
Così l’antropologo Stan Steiner spiega la filosofia degli Indiani
fondata sul Sacro Cerchio della Vita:
“ Nel Cerchio della Vita tutti gli esseri sono uguali. Tutti siamo Sorelle
e Fratelli. La nostra vita è in comune con quella degli uccelli, degli
orsi, degli insetti, delle piante, delle montagne, delle nuvole, delle
stelle, del sole. Per essere in armonia con il mondo naturale si deve
vivere nei cicli della vita.”

Torna alla mente il preambolo della Carta della Terra:

“ Per andare avanti dobbiamo riconoscere che all’interno di una


straordinaria diversità di culture e di forme di vita siamo un’unica
famiglia umana e un’unica comunità terrestre con un destino comune.”

* Devall B., Sessions G., Ecologia Profonda, Ed. Gruppo Abele, Torino 1989, p. 100
2. Popoli nativi e sostenibilità

2.1 CHI SONO I POPOLI NATIVI

“Sostieni i diritti di tutti, senza alcuna discriminazione, ad un


ambiente naturale e sociale capace di sostenere la dignità umana, la
salute dei corpi e il benessere dello spirito, soprattutto per quanto
riguarda i diritti degli indigeni e delle minoranze. […] Affermando i
diritti dei popoli indigeni alle proprie forme di spiritualità,
conoscenze, terre e risorse e alle relative pratiche di vita
sostenibili.” (III – 12. b)

E’ esplicita, in questo passaggio della Carta della Terra, la


connessione tra pratiche di vita sostenibili e le conoscenze, la
spiritualità dei popoli nativi.

Box 1

NUOVE SCIENZE…
La fisica moderna ha rinunciato alle rassicuranti certezze della visione
meccanicistica del mondo e sta intraprendendo il cammino, non da tutti
condiviso, verso una concezione olistica e intrinsecamente dinamica
dell’universo.
Solo un approccio sistemico, che consideri il mondo in termini di rapporti e
integrazioni, secondo il fisico Fritjof Capra, può giungere ad una
comprensione più piena della vita.
Ogni organismo è un sistema vivente e per sistema si intende una totalità
integrata che possiede proprietà non riducibili a quelle di unità minori: la
natura del sistema è sempre diversa dalla somma delle sue parti, se viene
scomposto in elementi isolati le sue proprietà vengono meno.
Uno degli aspetti importanti del sistema è la sua intrinseca dinamicità.
L’intera biosfera si può considerare come un tessuto dinamico e integrato di
forme viventi e non viventi, un tessuto costituito da molteplici livelli
interdipendenti, all’interno dei quali ogni organismo esibisce la propria
individualità e una relativa autonomia di funzionamento.
Un organismo che pensa solo in vista della sua sopravvivenza è destinato
a distruggere il suo ambiente: l’unità di sopravvivenza non è la specie o la
sottospecie, ma “l’organismo-nel-suo-ambiente” (Cfr. F. Capra, Il punto di
svolta, Feltrinelli, Milano 1992, pp. 221-253)
La sostenibilità va dunque promossa e incoraggiata, ma anche
difesa laddove già da millenni viene coltivata: ci sono nel mondo
esempi di buone pratiche di vita sostenibile che rischiano di
estinguersi come l’ambiente naturale nel quale prendono forma.

I principi stessi della Carta della Terra attingono, oltre che ad una
nuova visione scientifica del mondo, alla saggezza dei popoli
nativi, delle religioni del mondo e alle diverse tradizioni filosofiche
(vedi Box 1 e Box 2).

Box 2

...E SAGGEZZA NATIVA


I popoli nativi si sono tramandati di generazione in generazione una
visione organicistica dell’ambiente dove l’essere umano non
rappresenta l’elemento dominante, prepotente e decisionista, ma
rappresenta una delle tante parti che costituiscono l’”Organismo”
Terra, credendo in quella visione olistica tipica di chi non separa la
sfera cosmologica, ovvero la realtà che circonda l’uomo, il suo
ambiente di vita e il mondo spirituale.
L’uomo nativo è saldamente ancorato alla terra, ma protende le
proprie braccia al cielo per raccogliere acqua, fonte di vita ed il vento,
soffio dello spirito, porgendo lo sguardo all’orizzonte, preoccupandosi
della propria responsabilità nei riguardi del mondo presente e futuro:
nelle culture native non esiste la logica del dominio sulla Natura, ma
dell’armonizzazione con essa, della responsabilità verso di essa.
Per i popoli nativi è fondamentale l’armonia tra i vari elementi che
rappresentano il loro Mondo: il sociale, il naturale e lo spirituale,
elementi che devono mantenersi in rete tra di loro ed in equilibrio in
modo da creare quella sintonia che così dev’essere per poter vivere
con consapevolezza l’esistenza.
Sarebbe opportuno scoprire quali sono gli elementi comuni a tutte le
culture umane e capire su quali basi e fondamenti comuni poter
ricostruire una rapporto con l’ambiente.
Necessitiamo di una visione concreta più consona allo spirito
dell’uomo, mettendolo a nudo nel suo primo ed unico ambiente di
vita, la Natura, riscoprendone la sacralità, concezione prima e
fondamentale di ogni popolo nativo che la nostra cultura occidentale,
distratta com’è dallo sviluppo economico e tecnologico, ha
dimenticato minando così le basi sulle quali fondare i propri valori
esistenziali.
Ma chi sono i popoli nativi? Una delle più citate descrizioni del
concetto di “indigenous peoples” è stata data da Josè R. Martinez
Cobo nel suo famoso Studio sui Problemi di Discriminazione contro la
Popolazione Indigena (1972-1986).
“Comunità, popoli e nazioni indigene sono quelli che, avendo una
continuità storica con società pre-coloniali che si svilupparono sui loro
territori prima delle invasioni, si considerano distinti dagli altri settori
della società che ora sono predominanti su quei territori, o su parti di
essi. Essi formano, attualmente, settori non dominanti della società e
sono determinati a preservare, sviluppare e trasmettere alle future
generazioni i loro territori ancestrali e la loro identità etnica quali basi
della loro perdurante esistenza come popolo, in accordo con i propri
modelli, istituzioni sociali e sistemi legislativi”. 1
Secondo questa definizione, i popoli indigeni riconosciuti dalla
Nazioni Unite sono formati da circa 300 milioni di persone, e
rappresentano il 4% della popolazione mondiale, ma il 90% della
diversità culturale del pianeta. Nonostante il riconoscimento
internazionale e l’accettazione dei diritti umani fondamentali, il diritto
internazionale rimaneva vago rispetto alla tutela dei diritti delle
popolazioni indigene; era necessaria l’adozione di nuovi documenti
internazionali indirizzati alle specifiche necessità di queste
minoranze. Le Nazioni Unite, nel 1985, individuarono un Gruppo di
lavoro per raggiungere questo scopo. Dopo un lungo processo di
elaborazione, si arrivò alla stesura definitiva della bozza di
Dichiarazione per i Diritti delle Popolazioni Indigene (Draft
Declaration), contenente le esperienze di centinaia di rappresentanti
indigeni che hanno condiviso le loro preoccupazioni e le loro
speranze; il 29 giugno 2006 il documento è stato adottato dal
Consiglio per i Diritti Umani ed è ora in attesa di adozione da parte
dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite.
La Dichiarazione ha lo scopo di guidare gli stati nello sviluppo
di relazioni cooperative con le popolazioni indigene e di promuovere
la protezione dei diritti umani di quest’ ultime stabilendo “standard
minimi” per la loro sopravvivenza, la loro dignità e il loro benessere.
Temi critici sono quelli riguardanti il diritto all’autodeterminazione,
all’autogoverno e all’autonomia, il diritto al controllo sulle terre e sulle
risorse naturali, il riconoscimento di leggi, tradizioni e costumi
indigeni da parte degli stati, il controllo sul sistema di educazione, il

1
Department of Economic and Social Affairs, Division for Social Policy and
Development Segretariat of the Permanent Forum on Indigenous Issues, The concept
of Indigenous Peoples, in Workshop on data collection and dissagregation for
Indigenous Peoples, New York, January 2004, 19-21
riconoscimento dei trattati conclusi tra le popolazioni indigene e gli
stati. 2
Durante i molti anni di dibattito all’interno del Gruppo di Lavoro
si sviluppò, da parte delle organizzazioni indigene, una comune
riluttanza all’idea di una definizione formale delle popolazioni indigene
che potesse essere adottata dagli stati; dello stesso avviso erano le
delegazioni dei vari governi.
Alla fine, nella quindicesima sessione, nel 1997, il Gruppo di
Lavoro concluse che una definizione riguardo alle popolazioni
indigene a livello globale non era possibile al momento e certamente
non era necessaria ai fini di una Dichiarazione Internazionale che
ribadisse i loro diritti.
L’articolo 8 della Draft Declaration afferma che “ le persone
indigene hanno un diritto collettivo e individuale a mantenere e
sviluppare le loro distinte identità e caratteristiche, incluso il diritto ad
identificarsi come indigeni ed essere riconosciuti come tali”
In sessant’ anni di storia del Diritto Internazionale vari termini non
hanno ottenuto una definizione formale, vividi esempi sono
rappresentati dalla nozione di “persone” e di “minoranze”. Nonostante
questo le Nazioni Unite hanno proseguito nella promozione, nella
protezione e nel monitoraggio dei diritti riconosciuti a queste entità.
Lo stesso sembra valere per il concetto di “indigenous peoples”,
una definizione universale del termine non sembra necessaria, ma per
motivi pratici la descrizione comunemente accettata rimane quella
elaborata da Martinez Cobo. 3

2.2 Il diritto dei Popoli nativi alla sostenibilità

Certo una Dichiarazione non è sufficiente a risolvere i problemi di


povertà ed emarginazione che colpiscono queste popolazioni, occorre
un processo di sensibilizzazione che parta dal basso e che faccia
emergere ciò che fino a poco tempo fa era rimasto sommerso,
sconosciuto e lontano.
Il 21 dicembre 1993 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite
proclamò la prima International Decade of the World’s Indigenous
People (1994 – 2004) con l’obiettivo di dar forza ad una cooperazione
internazionale per la soluzione di problematiche riguardanti le
popolazioni indigene in riferimento ad alcuni fondamentali aspetti dei

2
Cfr. www. un.org/events/indigenous/2007
3
Departmant of Economic and Social Affairs, Division for Social Policy and
Development Segretariat of the Permanent Forum on Indigenous Issues, The concept
of Indigenous Peoples, in Workshop on data collection and dissagregation for
Indigenous Peoples, New York, January 2004, 19-21.
diritti umani: l’ambiente, lo sviluppo, l’educazione e la salute
(resolution 48/163).
Il 16 dicembre 2005, è stato adottato il Programme of Action per la
Second International Decade of the World’s Indigenous People (2005-
2014) focalizzando la propria attenzione in particolare sullo sviluppo
sociale ed economico (resolution 59/174).
L’Assemblea ha inoltre chiesto alla comunità internazionale di
provvedere al supporto finanziario del Programma ed ha sollecitato
tutti i governi e le organizzazioni indigene a rendere agevole
l’adozione della Dichiarazione sui diritti delle popolazioni indigene il
più presto possibile. 4
Nel rapporto annuale 2007 (20 marzo) presentato al Human
Rights Council dal portavoce sui diritti umani delle popolazioni
indigene, Rodolfo Stavenhagen, si sottolinea che, nonostante le
problematiche delle popolazioni indigene abbiano trovato posto
all’interno dell’agenda dell’Onu sui diritti umani, permane uno strappo
tra le norme e la pratica, tra il riconoscimento formale e la situazione
attuale delle popolazioni indigene che continuano a essere vittime di
serie violazioni dei loro diritti umani individuali e collettivi, e che
mostrano sistematicamente i più bassi indicatori di sviluppo umano.
La diminuzione dei territori e la conseguente perdita del
controllo sulle risorse naturali, l’impatto ambientale delle industrie
estrattive, l’estensione delle piantagioni e la distruzione delle ultime
foreste native del pianeta sono processi che hanno un impatto
violento sulle condizioni di vita delle popolazioni native.
Nel resoconto si accenna agli interventi di numerosi governi
per ridurre il gap sociale e umano tra popolazione nativa e non-nativa,
ma i risultati ottenuti sono ancora molto limitati. 5 Il 9 agosto 2007 si è
celebrata in tutto il mondo la Giornata Mondiale delle Popolazioni
Indigene, nel messaggio inaugurale il Segretario generale Ban
Kimoon ha affermato che:

”Negli ultimi tempi è cresciuta progressivamente la


consapevolezza della comunità internazionale circa la necessità di
sostenere le popolazioni indigene, attraverso la creazione e la
promozione di standard internazionali, il monitoraggio sull’effettivo
rispetto dei loro diritti umani, l’integrazione nell’agenda internazionale
per lo sviluppo e negli Obiettivi del Millennio 6 di politiche, programmi e

4
Cfr. www. un.org/events/indigenous/2007
5
Cfr. www.unchr.ch/huricane/huricane.nsf/view01
6
UN Millenium Development Goals per il 2015: sradicare la povertà estrema,
condurre a compimento l’universale educazione primaria, promuovere
l’uguaglianza tra i sessi e dare pieni poteri alle donne, ridurre la mortalità
infantile, accrescere il benessere materiale, combattere HIV/AIDS,
progetti a livello locale, e il rafforzamento della speciale tutela degli
indigeni riguardo a questioni legate all’ambiente e al cambiamento
climatico”. 7

Molte comunità indigene si trovano dinnanzi all’esigenza di


adattare il loro stile di vita al cambiamento climatico che sta colpendo
il loro ambiente naturale, dalle comunità svedesi Saami, di allevatori
di renne, il cui bestiame non riesce a procacciarsi il cibo sepolto dal
ghiaccio spesso dovuto a nevicate più abbondanti del normale, alle
comunità indigene delle Ande, dove eventi meteorologici estremi
stanno procurando seri problemi di alimentazione.
A tutto questo si deve aggiungere il problema urgente della
salvaguardia delle differenze culturali e linguistiche: secondo
l’UNESCO, nell’ultimo secolo sono scomparse circa 600 lingue
indigene e ne continua a sparire una ogni due settimane. Attualmente
la metà delle lingue del mondo sono in pericolo di estinzione, di
8
queste più del 90% scompariranno entro la fine del secolo.
La salvaguardia della Terra sembra non poter prescindere dalla
salvaguardia delle popolazioni indigene che hanno per millenni
mantenuto un contatto con la natura intimo, viscerale, vitale, sacro e
che sentono sulla propria pelle le conseguenze del degrado
ambientale. Questi “custodi della Terra” vivono in armonia con la
natura nelle zone più ricche di biodiversità del pianeta, la loro vita e
sopravvivenza è inestricabilmente connessa con la Madre Terra che è
fonte di cibo e di riparo, dimora dei loro antenati, luogo della
creazione e cosa importante è l’eredità custodita per i loro figli e i figli
dei loro figli. I Pigmei dello Zaire sono soliti affermare:

“ La foresta ci è padre e madre, e come un padre o una madre ci


dà ogni cosa di cui abbiamo bisogno: cibo, vestito, protezione, caldo e
affetto. 9

La natura, che circonda l’uomo, lo influenza anche sul piano


dell’organizzazione sociale e del territorio all’insegna della continuità,
in una dimensione di equilibrio e di “dialogo”. Ogni intervento ed ogni
atto umano, anche minimo si inscrive in un sistema che tende a
consolidare la relazione della comunità con la sua terra. 10

promuovere la sostenibilità ambientale e accrescere partnership globali per


lo sviluppo. (www.un.org)
7
www.onuitalia.it
8
www.onuitalia.it
9
Bernardi B., Uomo Cultura e Società, Ed. Angeli, Milano 1998, pp. 355
10
Galeri P., La Carta della Terra per un’antropologia dell’educazione
ambientale, Cogeme quaderni n.7, Rovato 2002, pp. 66-67.
Secondo Edward Goldsmith le società più vicine alla maturità
ecologica, biologica e sociale sono proprio le società vernacolari,
native, locali, organizzate in famiglie e comunità che vivono di caccia
e raccolta. Queste società hanno mantenuto stili di vita ecocompatibili
adattandosi all’ecosistema nel quale sono immerse e perseguendo
l’idea che il benessere e l’esistenza di ciascuna parte di questo
sistema dipenda dal benessere e dall’integrità dell’intero sistema. In
questo senso il comportamento del singolo non può essere valutato
riduttivamente, bensì alla luce del benessere di tutta la comunità e
dell’ambiente che la circonda.
Per Goldsmith le credenze dei popoli nativi si possono
considerare dei modelli cognitivi attraverso i quali interpretare la
realtà e guidare il comportamento dei singoli verso il mantenimento
dell’equilibrio cosmico e sociale: è tabù tutto ciò che minaccia questa
armonia: distruggere l’ambiente è tabù. 11
La mente torna al tempo in cui l’uomo si meravigliava della
quotidianità della natura, della sua ineffabilità, del mistero che celava,
una dea feconda, una madre da cui tutto si genera e a cui tutto
ritorna.
Ed è proprio grazie alle loro credenze, alle loro tradizioni e al
profondo rispetto che nutrono per la Madre Terra che gli Jarawa, una
tribù indigena isolata e completamente autosufficiente che abita nelle
isole Andamane nella baia del Bengala, è riuscita a rimanere
completamente illesa dallo tsunami del dicembre 2004.
Quando l’onda ha colpito essi si trovavano nella foresta, verso
l’interno. L’esperienza e le osservazioni necessarie a riconoscere la
natura delle onde e comportarsi di conseguenza, è trasmessa di
generazione in generazione. Per questa stessa conoscenza gli
Jarawa scelgono gli alberi più resistenti su cui poter trovare rifugio in
caso di un’alluvione o rispettano il divieto di costruire insediamenti
lungo la costa.
La presenza della loro cultura e dei lori modi di vivere ha
salvaguardato non solo la loro stessa sopravvivenza, ma anche
l’ambiente naturale delle isole, compresa la barriera corallina e le
zone umide costiere a mangrovie che hanno il potere di abbattere la
forza dello tsunami, difendendo insieme alla natura anche la comunità
umana. 12

11
Goldsmith E., Ecosistema e società. La natura come specchio di una
visione del mondo in L’ Ecologist Italiano, La Terra, l’Uomo e l’etica della
biosfera, n. 2 (2005), Libreria Editrice Fiorentina, pp. 12-14.
12
Laureano P., Proteggersi dalle catastrofi con le conoscenze tradizionali, in
L’ Ecologist Italiano, La Terra, l’Uomo e l’etica della biosfera, n. 2 (2005),
Libreria Editrice Fiorentina, pp. 34-36.
Oggi la crisi dei modelli culturali ed economici locali, la povertà, l’
emigrazione, l’assimilazione stanno portando alla dispersione di
questo sapere millenario di profonda portata ecologica.
Vandana Shiva denuncia da anni ormai l’inesorabile scomparsa
dei saperi locali e delle conoscenze tradizionali, la cui diversità riflette
la ricchezza biologica della Terra. La diversità culturale scompare
perché viene sistematicamente ignorata, perché è stata colonizzata
dai moderni saperi occidentali, perché non è considerata degna di
scientificità e sistematicità, perché non è produttiva e non produce
ricchezza.
D’altro lato, secondo la studiosa, i principi scientifici di gestione
delle risorse naturali non fanno altro che rendere vulnerabile e
instabile l’ecosistema e di conseguenza le società che lo abitano. Non
è più la società che si modella sulla base delle risorse che ha a
disposizione, ma sono le risorse che si piegano ai modelli di
produzione. 13
L’uomo occidentale, colonizzatore di terre e di sapere, sembra
aver scelto di privare la natura dei suoi “veli”, della sua sacralità,
riducendola ad una realtà inerme da controllare, sezionare,
prevedere.
La natura è divenuta un oggetto a cui si contrappone un soggetto,
altro, in grado di dominarla. Il sacrificio della diversità ecologica e
culturale sono lo scotto da pagare non tanto per il benessere, ma per
una maggiore uniformità e quindi controllabilità. Lo sradicamento
dell’uomo dalla terra, attraverso la mediazione tecnologica e
scientifica che ne sostituisce un contatto diretto, ha portato ad una
diffusa indifferenza verso il destino del nostro pianeta. Ma il concetto
di autonomia dell’uomo dalla natura si è dimostrato, anche alla luce
delle nuove scoperte scientifiche, infondato e soprattutto pericoloso
per la stessa sopravvivenza del genere umano:
«Una volta che sarà avvenuto, come sta avvenendo, il distacco
dell’uomo dal fondamento originario, l’uomo sarà abitatore della terra
senza patria». 14

2.3 La storia di un popolo

Per nativi americani (chiamati anche in modo più o meno consono


Indiani d’America, Pellerossa, Amerindi, Amerindiani, Prime Nazioni,
Aborigeni americani, Indios) si intendono tutti i popoli indigeni che
vivevano in America prima della colonizzazione degli Europei. L’uso

13
Shiva V., Monoculture della mente, Bollati Boringhieri, Torino 1995, pp.13-
60
14
Galimberti U., Heidegger, Jaspers e il tramonto dell’Occidente,cit., p. 29
del termine Indiani (o Indios, termine spagnolo utilizzato tutt’oggi
internazionalmente per riferirsi alle popolazioni indigene dell’America
latina), risale alle prime fasi dell’esplorazione del continente
nordamericano.
Gli Indiani appartengono fisicamente alla famiglia mongola.
L’ipotesi più accreditata rispetto alla loro provenienza è quella
secondo la quale diversi gruppi di cacciatori siano partiti dall’Asia e
attraverso lo stretto di Bering, conosciuto come Beringia, durante il
periodo pleistocenico (da 1,8 milioni di anni fa a 11.000 anni) siano
giunti nel Nuovo Continente. Questo sarebbe potuto avvenire durante
una glaciazione: l’innalzamento dei ghiacci fece ritirare il mare e creò
una striscia di terra che collegò la Siberia all’Alaska.
Ma perché alcuni uomini decisero di transitare in questi territori?
Molti studiosi sono d’accordo nel credere che questi popoli erano
di natura nomade e che seguivano le migrazioni di animali, fonte del
loro sostentamento. La grossa selvaggina dell’era glaciale potrebbe
essere migrata attraverso lo stretto e i primi uomini predatori, muniti
di lancia, potrebbero averla seguita. Quei paleo-siberiani sarebbero i
primi indiani, i veri scopritori del Nuovo Mondo. E’ opinione prevalente
fra gli studiosi che la migrazione di uomini dall’Asia non sia avvenuta
tutta in una volta, ma durante il corso dei millenni ed a ondate, dato
che i primi indiani viaggiavano in piccoli nuclei famigliari o a gruppi ed
anche perché la strada verso sud non fu sempre transitabile. Infatti,
nel periodo in cui esisteva la Beringia, il ghiacciaio Wisconsin ostruiva
il passaggio di ulteriori migrazioni verso sud ed est.

I primi uomini potrebbero aver vissuto per generazioni nell’Alaska,


al tempo priva di ghiaccio a causa dello scarso numero di
precipitazioni, finché periodi di disgelo crearono passaggi naturali
attraverso i ghiacci permettendo l’espansione sul territorio. A tale
proposito, esistono prove geologiche ed archeologiche che
dimostrano l’esistenza di un corridoio privo di ghiacci presente per
migliaia di anni durante la prima e la media glaciazione Wisconsin
lungo la dorsale delle Montagne Rocciose. Poi, durante un altro
disgelo, dopo 10.000 anni di intervallo, un secondo corridoio si formò
probabilmente verso est, lungo le pianure di Alberta-Saskatchewan. E
infine si sviluppò un terzo passaggio nel Wisconsin seguendo i fiumi
Yukon, Peace e Liard. Da queste rotte, i primi indiani possono essersi
dispersi verso Est lungo le vallate dei fiumi delle Grandi Pianure,
verso Ovest attraverso il passaggio meridionale delle Montagne
Rocciose fino al Great Basin, verso Sud-Ovest al tallone delle
Montagne Rocciose fino alla California meridionale, o verso sud
all’America centrale e meridionale fino alla Terra del fuoco, estremità
meridionale del Nuovo Mondo.
Gli antropologi pensano che furono principalmente tre le ondate
migratorie: la prima viene fatta risalire tra i 15000 ed i 20000 anni fa,
la seconda tra i 9000 ed i 10000 anni fa e l’ultima, quella degli Inuit
(Eschimesi), degli Aleutini e forse degli Athapaschi vengono fatte
risalire tra i 4000 ed i 6000 anni fa.
Dal freddo Nord i cacciatori scesero quindi verso sud: l’espansione
avvenne a tappe molto scandite nel tempo e ciò spiegherebbe le
notevoli differenze fisiche fra gli Indiani e la grande varietà dei loro
linguaggi (più di duemila lingue parlate nelle due Americhe, da
cinquecentocinquanta a trecento quelle contate nell’America
settentrionale). Altri studiosi spiegano questa varietà ipotizzando un
contatto tra le popolazioni dell’Oceania e quelle insediatesi
nell’America antica.
I primi abitanti vivevano di caccia ed erano molto abili, visto che,
malgrado le rozze armi ritrovate, le più antiche datate intorno al
21800 a.C., riuscivano ad avere la meglio su prede molto grandi (si
pensi all’enorme mammuth).
Si dovette aspettare un aumento della temperatura con la
conseguente riduzione del territorio ghiacciato (dopo il 10000 a.C.)
perché le tribù cambiassero usi e costumi: la caccia non fu più l’unica
e la più importante fonte di sussistenza, perché gli Indiani antichi
scoprirono una prima forma di agricoltura. Nel Sudovest dell’America
settentrionale si sviluppò fra i Cochise, dopo il 7000 a.C., una civiltà
del deserto: animali di piccola taglia, semi e noci furono le fonti
alimentari. In altre zone (soprattutto lungo la costa del Pacifico)
diventò importante la pesca e, essendo il mare molto ricco di fauna
ittica, si svilupparono insediamenti indiani di grandi dimensioni.
L’agricoltura ebbe invece inizio nel Sud già intorno al 2500 a.C.:
infatti nel Messico si iniziarono a coltivare alcune varietà di mais che
diverrà il cereale base di molti piatti indiani.
Nel corso dei secoli il clima, la flora e la fauna si sono evoluti,
dall’epoca glaciale attraverso l’epoca di spartiacque post-glaciale, fino
alle nuove configurazioni delle regioni.
Dal 6.000 al 1.000 a.C. ci fu il cosiddetto periodo arcaico,
caratterizzato dal vivere di raccolti, dal cacciare la piccola selvaggina,
dal pescare e raccogliere piante selvatiche commestibili. La vita nel
periodo arcaico era essenzialmente migratoria: quando i raccolti in
una zona finivano, gli indiani si trasferivano in un’altra.
Successivamente, i primi indiani si adattarono e stabilizzarono:
infatti sono stati trovati anche degli insediamenti permanenti, indicati
da cumuli assai grandi (ammassi di residui), specialmente vicino ai
laghi e ai corsi d’acqua. In questo periodo una varietà di materiali,
quali legno, pietra, ossa, corna, conchiglie, pelle, fibre di piante e
rame, veniva utilizzata per fabbricare una vasta gamma di utensili e
attrezzi speciali per soddisfare le necessità del particolare modo di
vivere di ogni singola regione.
A Sud intorno al 1200 a.C. si sviluppò la civiltà degli Olmechi, le cui
caratteristiche architettoniche, artistiche e religiose si ritroveranno più
avanti nelle ricche civiltà azteca e maya.
Tre grandi culture a Nord, quella dei Mogollon, degli Hohokam e
quella degli Anasazi fiorirono sull’arcaica cultura dei Cochise del
deserto, nel Sudovest del continente americano nel periodo che va
dal 300 al 1300 d.C.
I Mogollon erano abili nell’artigianato del vasellame, gli Hohokam
costruirono notevoli opere idrauliche fra cui canali di irrigazione e
dighe nei fiumi dell’Arizona, fabbricavano gioielli ed erano
commercianti molto attivi; più a nord gli Anasazi (gli ‘Antichi’, nel
linguaggio navaho) costruivano i pueblos, case e interi villaggi-
fortezza dall’architettura complessa che hanno lasciato a bocca
aperta i primi Spagnoli giunti nel loro territorio.
Intorno al XIV secolo gli insediamenti abitativi vengono
abbandonati forse a causa di un lungo periodo di siccità, forse per il
sovrappopolamento, forse per le invasioni di popolazioni nemiche
(Apache e Navaho).
Gli antichi Indiani del Sudovest si sparpagliarono fra il New Mexico
e l’ Arizona.
Un’altra cultura antica che si sviluppò nella valle del Mississippi a
partire dal 2200 a.C. fu quella degli Indiani di Adena. Anche se il loro
territorio era particolarmente ricco di piante commestibili spontanee,
divennero capaci agricoltori (mais, cereali, zucche e tabacco),
tessitori, abili artigiani nella fabbricazione di gioielli e furono noti per
le loro tombe a tumulo (mound) in cui sono stati rinvenuti numerosi
scheletri, gioielli e statuine scolpite o in ceramica. Molti tumuli
venivano edificati su altri già esistenti: si potevano avere così
costruzioni di venti metri d’altezza. Gli indiani arcaici, dal 6000 al
1000 a.C. furono i primi costruttori nordamericani di barche e i primi
ad addomesticare il cane, inoltre trasformarono alcuni dei loro
materiali in ornamenti, svilupparono credenze e rituali complessi ed
elaborarono dei metodi per seppellire i loro morti.
Con i progressi culturali arriva la diversificazione: gli indiani nelle
diverse zone del continente evolvevano in modi diversi. In termini
archeologici, ciò significa che ogni regione ha la propria e personale
sequenza culturale e le sue categorie (culture, periodi, fasi, tradizioni,
ecc.). Il termine più comunemente applicato per definire il periodo
postarcaico (circa dal 1.000 a.C fino al contatto con l’uomo bianco) è
detto “formativo”, parola che implica transizione. In termini generali
“formativo” si riferisce all’estensione dell’agricoltura, alla vita stabile
nei villaggi, a case, animali addomesticati, ceramica, tessitura, all’uso
dell’arco e della freccia, a cerimonie e credenze.
La cultura Hopewell, successiva a quella Adena, si sviluppò
intorno al 300 d. C. e durò fino al 1300 d.C. Gli Hopewell oltre che
agricoltori erano anche abili commercianti e hanno lasciato tombe a
tumulo estremamente ricche di oggetti di notevole fattura, alcuni dei
quali frutto di scambi con altre popolazioni.
Verso il 1200 d.C. comparve un’altra cultura, quella dei “popoli del
Mississippi”, nei quali l’agricoltura era molto sviluppata, i villaggi
estesi e popolosi (alcuni potevano contare fino settantacinquemila
abitanti) occupavano non solo la vallata del Mississippi: vestigia di
questa cultura si ritrovano sulle coste del Golfo, nel territorio dei
Grandi Laghi fino ai confini delle Grandi Pianure.

2.4 Classificazione

Diverse metodologie sono state impiegate per classificare le


popolazioni indiane: alcuni studiosi le classificano in base alle
caratteristiche linguistiche: ricordiamo che al giorno d’oggi
sopravvivono circa 200 lingue diverse tra i nativi nord-americani ma al
tempo dell’invasione europea nel nord America si parlavano 500
lingue e più di 2000 nell’intero continente.
Ciò riflette la varietà di forme sociali e culturali, i diversi
adattamenti e le diverse risposte a contesti culturali e sociali
differenti.
Ricordiamo che questo tipo di suddivisione è utile per capire
macro aree culturali che presentano similarità, ma non bisogna
intenderle come isole a se stanti: non quindi confini netti
rappresentabili da rigide barriere ma pareti osmotiche; infatti i risultati
più recenti delle ricerche archeologiche, di folklore e di linguistica
dimostrano come le diverse popolazioni intesserono una ricca rete di
relazioni. Ciò è dimostrato anche dagli studi sulla mitologia
amerindiana che hanno messo in luce la similarità di miti anche tra
popolazioni molto distanti tra di loro.
Altri studiosi utilizzano il concetto di “religione” in quanto utile per
classificare una serie di fenomeni culturali e sociali dalle
caratteristiche riconoscibili, e lo utilizzano, quindi, come categoria
transculturale, flessibile, in grado di essere uno strumento utile per il
dialogo ed il confronto fra sistemi culturali differenti.
Ricordiamo come l’esperienza spirituale è nei popoli nativi a volte
di difficile schematizzazione e definizione poiché all’interno dei quadri
di riferimento della cultura del gruppo, gran parte dell’esperienza
religiosa viene lasciata alla sensibilità e alle capacità dei singoli
individui, che attraverso sogni e visioni interpretano e decodificano il
quotidiano.
Per questo le attività religiose entrano a far parte della
quotidianità della vita dell’individuo coinvolgendo tutte le attività della
sfera del quotidiano: dalla caccia all’agricoltura, dall’abbattimento di
un albero alla costruzione di un edificio.
Ma è la classificazione per aree geografico-culturali che permette
di individuare con maggior facilità le influenze subite dalle varie tribù
sia dall’ambiente che dai contatti con altre popolazioni.
Fin dai primi del Novecento gli etnologi americani hanno
cominciato a classificare le culture native sulla base delle somiglianze
e dei tratti comuni rilevati in aree geografiche relativamente
omogenee, maturando quel concetto di “area culturale” che oggi
rappresenta il miglior modo, lo schema più appropriato per
comprendere e classificare le relazioni della cultura nordamericana,
schema peraltro adottato dalla Smithsonian Institution. 15
Inoltre vi è un significativo parallelismo tra le ondate immigratorie
durante i secoli nel continente americano e la suddivisione per aree
geografico-culturali: infatti è proprio l’ambiente che ha influito
profondamente sui diversi aspetti culturali delle singole popolazioni.
Bisogna comunque ricordare che le culture native americane si
sono sviluppate in ambiti permeabili ed aperti e quindi non devono
essere viste come semplici e distinte componenti di un insieme
complesso e diversificato ma sono il risultato di diversi millenni di
storia comune, di processi storici che hanno determinato sia lo
sviluppo di culture nuove ed originali, ma anche la diffusione di
modelli culturali comuni nati da questi continui scambi ed influenze
reciproche.
Per mettere ordine e cercare di classificare la moltitudine delle
culture native del Nord America si è seguita la ripartizione ormai
classica in aree culturali adottata in molti lavori di stampo scientifico
e sanzionata dalla Smithsonian Institution. 16 Tale suddivisione però
non è priva di ambiguità: infatti un’area culturale costituisce sempre in
qualche misura una costruzione arbitraria, i cui confini sono
discutibili, in cui l’inclusione o l’esclusione di determinati gruppi
rispetto ad altri risulta problematica. Tuttavia, avendo la
consapevolezza che si tratta principalmente di strumenti classificatori
che agevolano il lavoro di ricostruzione e di comparazione, più che di
distinzioni con valore assoluto e irrevocabile, le aree culturali

15
http://www.si.edu/
16
Si veda come opera di riferimento generale l’Handbook of North American
Indians, in 20 vol., in corso di pubblicazione presso la Smithsonian Institution
di Washington (voll. pubblicati dal 1978 ad oggi) e, per un panorama più
rapido e sintetico, C. Taylor, a cura di, The Native Americans, London,
Salamander Books, 1991.
continuano a fornire uno schema utile per comprendere la diversità
culturale e le connessioni storico-geografiche che uniscono fra loro le
culture native del continente.
La suddivisione per aree culturali mette anche in relazione lo
sviluppo storico-culturale dei gruppi umani con la diversità del
territorio e dei sistemi ecologici.

Le foreste nord-orientali

La regione boscosa del Nord-Est, compresa approssimativamente


fra la costa settentrionale dell’Atlantico, i Grandi Laghi e la valle
dell’Ohio, era abitata originariamente da gruppi di lingua algonchina
orientale nelle regioni costiere (Delaware, Abenaki, Micmac, Maliseet-
Passamaquoddy), da gruppi appartenenti allo stesso gruppo
linguistico che abitavano le regioni più interne, intorno ai Grandi Laghi
(Chippewa o Ojibwa, Ottawa, Menomini, Sauk e Fox, Kickapoo), da
alcuni gruppi isolati di lingua sioux (Winnebago) e, infine, dalle potenti
confederazioni dei popoli di lingua irochese (gli Irochesi propriamente
detti e gli Uroni). Quasi tutte queste popolazioni dipendevano in
misura maggiore o minore dall’orticoltura, praticata generalmente
dalle donne con semplici strumenti da scavo, integrata con i prodotti
della caccia e della pesca, mentre solo alcuni gruppi della zona più
settentrionale conducevano uno stile di vita nomade basato sulla
caccia e la raccolta.
La cosmologia dei popoli delle foreste nord-orientali si esprime
attraverso uno schema ampiamente diffuso sull’intero continente,
secondo cui l’universo è suddiviso in strati sovrapposti, al cui centro
si trova la terra, il luogo su cui vivono gli esseri umani. La centralità
del legame con la terra rappresenta, qui come altrove nell’America
nativa, qualcosa di più del semplice rapporto con un paesaggio
familiare o con la fonte primaria delle risorse che garantiscono la
sopravvivenza. La terra costituisce il luogo in cui gli esseri umani
sono nati e incarna il potere che consente la continuità e la
riproduzione della vita e della società umana.
L’elemento centrale della religione dei popoli nativi del Nord-Est
consiste infatti essenzialmente nel cercare di conservare e
promuovere l’armonia del mondo umano con le potenze spirituali,
rinnovando periodicamente, intensificando ed esprimendo, attraverso
rituali e cerimonie collettive, le relazioni che uniscono gli umani alle
entità del mondo invisibile.

Il Subartico

L’estensione territoriale che occupa trasversalmente tutto il


continente, dalla penisola del Labrador a Est fino all’Alaska ad Ovest,
consiste in un panorama assai diversificato, ma con caratteristiche
climatiche ed ecologiche abbastanza costanti, dominato dalla tundra
boscosa, da un’infinità di laghi, fiumi e terreni paludosi e, nella parte
più meridionale, i cui confini si approssimano a quelli che separano
Stati Uniti e Canada, dalla foresta boreale, di conifere e latifoglie,
inframmezzate da regioni di aperta prateria. Questo territorio è
suddiviso linguisticamente in due parti ben distinte: a Est gruppi
appartenenti alla famiglia algonchina (Naskapi, Montagnais, Cree,
Ojibwa settentrionali), a Ovest quelli appartenenti alla famiglia
athapaska (Chipewyan, Beaver, Dogrib, Hare, Kutchin, Ingalik).
Tuttavia, dal punto di vista culturale lo stile di vita di tutte le
popolazioni della regione era piuttosto uniforme. Tutte erano
composte di cacciatori-raccoglitori e pescatori e l’organizzazione
sociale e politica risultava molto semplice e basata su piccole
comunità mobili e di piccole dimensioni, flessibili che consentivano il
miglior adattamento ad un ambiente particolarmente duro e a un
sistema di sussistenza assai precario. Gli spostamenti periodici delle
mandrie di cervi, caribù e alci rendevano necessario un sistema di
vita nomade, che consentisse di sfruttare al meglio le risorse
alimentari nel momento e nel luogo in cui fossero maggiormente
disponibili. II ciclo delle attività era inoltre fortemente condizionato
dalle fluttuazioni stagionali: i lunghi inverni rendevano difficile il
reperimento del cibo e mettevano a dura prova la capacità di
sopravvivenza dei piccoli gruppi dispersi nella regione.
L’importanza preponderante della caccia spiega la particolare
rilevanza che assumono, nel mondo religioso dei nativi di quest’area,
gli animali e gli spiriti che presiedono alla loro crescita e riproduzione.
Secondo la mitologia tipica di queste popolazioni, il periodo più antico
nella storia del mondo era caratterizzato dalla mancanza di qualsiasi
distinzione tra le creature che popolavano la terra, le quali potevano
assumere l’aspetto e la forma di animali e di esseri umani.
Successivamente l’uomo acquisisce l’uso della ragione ed in
questo modo si crea una frattura fra gli uomini e gli altri animali: da
quel momento in poi ogni essere assume una sua forma specifica e
costumi e comportamenti distinti. Acquisendo la cultura l’uomo perde
una parte delle qualità che originariamente condivideva con gli altri
esseri; da un certo punto di vista si è arricchito e ha realizzato
compiutamente la propria umanità, dall’altro però rivela la sua
fondamentale incompiutezza: perde la capacità di trasformarsi, di
assumere diverse sembianze, di comunicare con tutti gli altri esseri,
dispone di un potere minore e più definito. Nel mondo attuale,
soltanto alcuni personaggi, gli sciamani, possono ancora tentare di
superare i confini che ormai separano le forme viventi le une dalle
altre e il mondo visibile da quello invisibile.
Sebbene sia presente in tutte le culture amerindiane del
continente, lo sciamano 17 assume in alcune regioni, tra cui quella
subartica, un ruolo dominante. Qui egli costituisce il principale
specialista del rapporto con l’invisibile, detentore del sapere
necessario in caso di gravi pericoli o di incertezza sul futuro; egli sa
come operare in situazioni di malattia o di minaccia per la
sopravvivenza del gruppo.
Lo sciamano è essenzialmente un uomo (o una donna, ma nel
Subartico si trova una netta predominanza maschile) di “conoscenza”:
è colui che conosce, per esperienza diretta, quel mondo invisibile che
gli esseri umani ordinari percepiscono solo indistintamente nei sogni,
nelle visioni o quando si trovano di fronte a una manifestazione ecce-
zionale e inaspettata di potere.

Pianure

L’enorme area erbosa che si stende dalle valli del Mississippi e


del Missouri alle pendici delle Montagne Rocciose, attraversando in
senso longitudinale tutto il continente, dal Canada meridionale fino
quasi al Rio Grande, costituisce il cuore dell’America del Nord. Qui si
trovano condizioni ambientali assai particolari e differenziate: più a
oriente, vicino al corso dei grandi fiumi, la piovosità relativamente
abbondante consente lo sviluppo di erbe alte, verdi e lussureggianti,
le cosiddette “praterie”, dal terreno morbido e fertile; più a Ovest la
piovosità diminuisce ed il terreno si fa più arido e duro, con lo
sviluppo di erbe corte e resistenti, la cosiddetta “erba dei bisonti”, che
costituisce l’alimento ideale per grandi mandrie di erbivori selvatici
che in questa regione proliferarono in quantità. Lungo il corso del
Missouri si svilupparono forme di vita socio-economica che
combinavano lo sfruttamento del terreno fertile con la caccia agli
animali selvatici: i Mandan, Hidatsa, Osage, Omaha, Kansa
(appartenenti alla famiglia linguistica sioux), i Pawnee, Wichita e
Arikara (famiglia caddo) adottarono una forma di vita socio-economica
scandita dal ciclo stagionale: in autunno e inverno rimanevano

17
Usiamo qui il termine “sciamano” consapevoli del rischio di semplificazione
che esso comporta. Infatti “I termini sciamano e sciamanesimo sono troppo
generici e ultimamente “sfuocati” nell’ambito degli studi sui popoli nativi.
Nell’ambito religioso-spirituale dei popoli nativi le conoscenza antropologiche
(incluse quelle raccolte dalla scienza delle religioni comparate) sono spesso
incomplete e in alcuni casi superficiali, per cui risulta azzardato proporre
delle affermazioni categoriche in merito agli “specialisti del sacro”. Inoltre, in
vari ambiti nativi, è documentata la presenza di varie figure “spirituali” con
caratteristiche e particolarità specifiche (specialisti delle ossa, specialisti
delle erbe, ecc.) e verosimilmente questo è stato il caso per quasi tutti i
gruppi nativi nord-americani .
stanziali in villaggi costruiti con solide capanne di tronchi, presso i
campi coltivati con mais, fagioli, e altri prodotti; con l’approssimarsi
della stagione estiva il villaggio si accingeva ad adottare
temporaneamente la vita nomade, dedicandosi alla caccia dei bisonti,
grazie alla quale si assicuravano le provviste per l’inverno successivo.
Nelle regioni più occidentali la caccia costituiva invece la base
fondamentale della sussistenza per le popolazioni nomadi dei Lakota
e Crow (di lingua sioux), dei Blackfeet, Arapaho e Cheyenne (di lingua
algonchina), dei Sarcee (all’estremo NordOvest, di lingua athapaska),
dei Comanche (di lingua uto-azteca) e dei Kiowa (un gruppo
linguistico autonomo). Per queste ultime popolazioni, solo
l’introduzione del cavallo, giunto in America con i primi colonizzatori
spagnoli e diffusosi rapidamente nelle regioni più settentrionali, e, più
tardi, delle armi da fuoco, consentì il pieno fiorire della cultura delle
Pianure, così come ci è stata trasmessa dalle informazioni raccolte
nel corso del XIX secolo.
Il cavallo permetteva infatti una maggior mobilità e rapidità di
spostamento e consentiva di cacciare le mandrie di bisonti con
considerevole efficacia; inoltre costituiva un mezzo di trasporto
efficiente, grazie al quale si poterono accumulare quantità di beni e di
cibo assai maggiori rispetto ai gruppi nomadi non equestri. La
diffusione del cavallo e delle armi da fuoco determinò quindi profondi
mutamenti nelle culture native della regione, con il verificarsi di
spostamenti e migrazioni: alcuni gruppi si avventurarono all’interno
della regione grazie alle nuove risorse fornite dall’adozione dei
cavalli, mentre altri furono sospinti dai loro nemici, resi più temibili e
combattivi grazie all’acquisizione delle armi ottenute dal commercio
con gli Europei. Questi spostamenti e migrazioni crearono numerose
occasioni di contatti e di scambi, che si aggiunsero all’esistenza, già
in epoca pre-europea, di una fitta rete di relazioni commerciali,
favorita dallo sviluppo di un sistema di linguaggio a segni, che
consentiva la comunicazione anche fra gruppi che parlavano lingue
diverse e reciprocamente incomprensibili. Tutto questo produsse una
varietà di idee spirituali provenienti da diverse altre parti dell’America
settentrionale, di cui la spiritualità delle Pianure divenne il luogo di
sintesi, amalgamando e rielaborando costumi, credenze e rituali
sviluppatisi altrove in un sistema religioso originale e complesso che,
sia pur differenziandosi nelle diverse componenti culturali, offre
un’immagine di relativa omogeneità.
Le concezioni religiose ruotano intorno al concetto di “potere
sacro”, espresso da termini come Wakan in Lakota, Xube in Ponca,
Puha in Comanche, che esprimono un insieme di manifestazioni che
prendono la forma di qualsiasi essere animato o inanimato e che
spesso si concentrano in oggetti sacri.
Tra gli Indiani delle Pianure la pipa assume un valore simbolico e
rituale determinante. Gli Arapaho ed i Lakota conservano ancora oggi
con venerazione una pipa sacra (la Pipa Piatta degli Arapaho e la
Pipa della Donna Bisonte Bianco per i Lakota), che costituiscono,
ciascuna per il proprio gruppo di riferimento, il simbolo dell’identità
culturale e della tradizione ancestrale. La conservazione di questi
oggetti religiosi è affidata ad un custode particolare, a cui compete
anche il mantenimento delle tradizioni mitiche tribali e della memoria
storica del gruppo. La pipa è essenzialmente uno strumento di
preghiera e i nativi pensano che il fumo che si innalza dalla pipa porti
il messaggio e le suppliche degli esseri umani agli spiriti che
risiedono nel mondo superiore.
La cerimonia più importante e caratteristica dei popoli delle
Pianure, diffusa in tutta la regione, è la Danza del Sole, che per
tradizione veniva celebrata all’inizio dell’estate, quando i gruppi si
riunivano per l’organizzazione della caccia collettiva ai bisonti. Il
termine deriva dalla designazione in lingua lakota di “danza
guardando il sole” (wiwanyag wacipi); l’accentuazione dell’aspetto
solare non è tuttavia un elemento costante del rituale: tra gli
Cheyenne la danza prende il nome di “Capanna della Medicina”, tra i
Crow e gli Shoshoni di “Capanna della Sopportazione della Sete” e
così via. La danza comprende generalmente diversi giorni di intensa
attività cerimoniale e culmina con la celebrazione finale che, presso
alcuni gruppi, include pratiche di auto-sacrificio, in cui i danzatori si
fanno perforare i muscoli pettorali da ganci in legno che sono legati,
con funi di cuoio, al palo centrale: ognuno per liberarsene dovrà
lacerarsi la carne. La parte iniziale della celebrazione comporta la
scelta e l’abbattimento dell’albero che, eretto al centro di uno spazio
sacro, costituirà il palo centrale della capanna in cui si svolge il
rituale.
Altre cerimonie collettive di grande rilevanza sono il rito Hako dei
Pawnee, celebrato per assicurare la crescita e il rinnovamento della
comunità e che si incentra sulla figura del kurahus («uomo di anni»),
un anziano venerato per la sua conoscenza ed esperienza, e il Rito di
Rinnovamento delle Frecce Sacre degli Cheyenne.

L’Altopiano delle Montagne Rocciose e il Grande Bacino

L’Altopiano comprende l’area che occupa gli attuali stati


dell’Oregon e di Washington e una parte della British Columbia
canadese, un territorio montuoso e ricoperto di boschi e pianure
erbose e solcato da numerosi fiumi e torrenti, dei quali i più importanti
sono il Fraser a Nord e il Columbia nella parte centrale. I fiumi
costituiscono la vera ricchezza della regione, in quanto fonte primaria
di sussistenza grazie alle migrazioni stagionali dei salmoni e alla
presenza di numerose altre specie, mentre i boschi circostanti sono
ricchi di selvaggina: cervi e pecore di montagna, lontre e castori. Il
Grande Bacino si trova più a Sud e non vi è alcuna barriera precisa
che segni il passaggio da un ambiente all’altro; tuttavia l’ambiente si
fa gradualmente più arido, i corsi d’acqua divengono scarsi e variabili
in quella vasta zona che separa le Montagne Rocciose meridionali
dalla Sierra Nevada. L’Altopiano è dominato da due importanti gruppi
linguistici: al Nord i gruppi della famiglia salish (Shuswap, Lilloet,
Thompson e Okanagan), con rappresentanti più meridionali quali i
Coeur d’Alène, gli Sposane, i Colville, i Sanpoil e i Flathead; più a
Sud, negli attuali stati di Washington e dell’Idaho, troviamo gruppi
appartenenti alla famiglia linguistica sahaptin (Klikitat, Yakima, Nez
Perce e Cayuse). Lungo il corso inferiore del Columbia si trovano
alcuni gruppi appartenenti a una terza famiglia linguistica, quella
chinook. Il Grande Bacino era invece sostanzialmente occupato da
piccoli gruppi di lingua shoshone (gli Shoshoni settentrionali e i
Bannock a Nord; i Ramen e gli Ute a Sud). A differenza dell’Altopiano,
dove le risorse naturali particolarmente abbondanti e prevedibili
determinarono il sorgere di un’economia complessa, che ruotava sulla
pesca e sul commercio intertribale, le popolazioni del Bacino
dovevano confrontarsi con un ambiente molto più povero e difficile:
semi e radici erano le principali fonti di cibo, a cui si affiancavano,
come preziosa integrazione alimentare, le antilopi e i conigli selvatici.
Soltanto nelle regioni più orientali alcuni gruppi potevano spingersi ai
margini delle Pianure per cacciarvi i bisonti, affrontando lunghi
spostamenti nonché il pericolo di scontri con i bellicosi popoli di
quella regione.
In entrambe le aree la vita religiosa era fondata su esperienze
individuali o legate a piccoli gruppi, dove lo sciamano costituiva
l’unica forma di leadership spirituale e di aiuto materiale e psicologico
in caso di malattia o di gravi difficoltà.
Nell’Altopiano, il tema – comune a varie altre aree – della ricerca
della visione e dello spirito guardiano dava origine alle celebrazioni
collettive invernali, chiamate “Danze degli Spiriti d’Inverno”. Per un
periodo della durata di due mesi, tutti coloro che avevano ottenuto
uno spirito guardiano, fossero sciamani o persone ordinarie, potevano
partecipare alla danza: sotto la supervisione di alcuni sciamani, i
danzatori impersonavano il proprio spirito aiutante, cantando i suoi
canti e muovendosi secondo i passi che questi aveva indicato ai suoi
protetti. Nel Bacino questi momenti di cerimonialità collettiva erano
ridotti alle occasionali riunioni di diverse bande per cacce collettive o
per la raccolta di una risorsa particolarmente abbondante;
Costa di Nord-Ovest e California

Si trattano congiuntamente queste aree che, seppure contigue,


sono piuttosto diverse dal punto di vista ecologico e culturale per la
disuguale disponibilità di materiale documentario sui testi rituali e
religiosi.
La Costa nordoccidentale comprende una stretta striscia costiera
che corre dalla California settentrionale fino all’Alaska e riunisce una
grande quantità di gruppi, appartenenti a diverse famiglie
linguistiche e con considerevoli differenze nella forma di
organizzazione sociale, nel grado di differenziazione interna e nelle
forme di elaborazione cerimoniale. Si trovano numerosi gruppi
parlanti lingue della famiglia Salish, (che comprende Halkomelem,
Nooksack, Squamish, Straits, Twana, Tillamook, Tsamosan), gruppi
della famiglia Wakash (che comprende i Kwakiutl, i Bella Bella, i
Nootka e i Makah), il gruppo Tsimshian, lungo il corso e sulla foce
dei fiumi Nass e Skeena, gli Haida sulle Isole della Regina Carlotta,
i Kaigani ed infine i Tlingit, che vivono lungo la striscia di terra
dell’Alaska sudorientale. Le popolazioni della costa godettero
sempre di un ambiente naturale particolarmente favorevole: la
risalita annuale dei salmoni costituisce infatti una fonte di cibo
abbondante e regolare, mentre nell’area si trovano una quantità di
altri pesci, frutti di mare, mammiferi marini, radici, piante e frutti,
nonché selvaggina terrestre nelle foreste dell’interno. Grazie allo
sviluppo di un’efficiente tecnologia per la cattura, la conservazione e
l’immagazzinamento di questi prodotti, i popoli di questa regione
furono in grado di costituire comunità stanziali, che vivevano in
villaggi permanenti, con densità relativamente alta e complessi
sistemi di organizzazione e di stratificazione sociale.
La California presenta un quadro molto più variegato: l’ambiente è
assai diversificato e passa da regioni desertiche e torride ai picchi
delle sierras e delle montagne ricoperte di gigantesche foreste di
conifere, con mutamenti nella formazione del paesaggio, nel clima,
nella flora e nella fauna. La differenziazione ecologica si riflette anche
nella grande frammentarietà e variabilità dei fenomeni linguistici e
culturali.
Nel Nord sono presenti i gruppi Karok, Yurok, Shasta, Hupa,
Wiyot, Wintue e si trovano una quantità di popolazioni con caratteri
culturali specifici e adattati alla variabile situazione geografica locale
(Pomo, Achumawi, Maidu, Yana, Nisenan, Miwok, Wappo, Yokut,
Salinan, Chumash, Luiseno, Cahuilla, Diegueno). Tuttavia, nella
varietà linguistica e culturale si trovano numerosi elementi in comune:
tra questi l’uso alimentare della ghianda, una risorsa dal gusto amaro
a causa del tossico acido tannico, il cui impiego era consentito solo
dalla capacità di sottoporre il frutto a un processo particolare che lo
trasformava in un cibo ricco e nutriente. Inoltre là dieta era arricchita
ovunque dalla caccia, dalla raccolta e dalla pesca.
Le condizioni ottimali presenti sulla Costa di Nord-Ovest
favorirono lo sviluppo fiorente di rituali ed elaborazioni cerimoniali di
ogni genere, molto spesso legate alla vita sociale e alla distinzione in
ranghi propria di queste società. Si trovano comunque numerosi
elementi comuni, che richiamano temi già toccati a proposito di altre
regioni del mondo amerindiano. L’origine del potere che permea il
mondo e che si rende necessario padroneggiare in diversi contesti
dell’attività umana era concepita come derivante dal mondo degli
spiriti: tutto il mondo era ricolmo di poteri invisibili, che si rendevano
manifesti in forma di esseri visibili e, in particolare, sotto l’aspetto di
animali.
Anche in questa regione lo sciamanismo e la ricerca della visione
erano di fondamentale importanza.
Durante la stagione invernale l’intera società si accingeva a
entrare nella parte dell’anno esclusivamente dedicata alle attività
sacre, soprattutto fra i Kwakiutl e i Nootka dell’isola di Vancouver e
zone adiacenti. Il rituale era modellato sulla vicenda di alcuni giovani,
che si pensava fossero stati rapiti da alcuni potenti spiriti della foresta
(lo Spirito del Cannibale fra i Kwakiutl e lo Spirito del Lupo fra i
Nootka) e tenuti segregati per diversi giorni. Qui apprendevano i
segreti, i rituali e i canti dello spirito iniziatore, ne acquisivano il
misterioso e terribile potere. Alla fine, ritornati al villaggio ed alla vita
umana, dovevano essere sottoposti a una particolare cerimonia di
purificazione e di esorcizzazione, che tendeva ad allontanarne il
potere aggressivo e negativo e a farne dei membri a pieno diritto delle
società di danza cerimoniali.

Sud-Ovest

La regione sud-occidentale, i cui confini non sono facilmente


identificabili e che occupa gli attuali stati dell’Arizona e del New
Mexico, con porzioni di Colorado, Utah e Texas, oltre alla parte
settentrionale del Messico (Sonora, Chihuahua e Sinaloa), è forse una
delle più complesse dal punto di vista storico e culturale. Qui la
presenza umana risale ad epoche molto antiche: si trovano
testimonianze di presenza continuativa a partire da 12.000 anni fa.
Verso il 2500-3000 a.C. si registrano i primi esperimenti nella
domesticazione e coltivazione delle piante commestibili che portò
all’elaborazione delle prime culture agricole del Nord America: i
Mogollon nelle regioni montagnose, Patayan e Sinagua in quelle
centrali e occidentali, Anasazi sull’altopiano del Colorado, Hohokam
nell’Arizona centrale e meridionale. Questi popoli orticoltori basavano
la propria economia sulla coltivazione del mais, dei fagioli e delle
zucche (i prodotti fondamentali che si ritrovano nelle culture agricole
di tutto il Nord America), cui aggiungevano i prodotti della caccia e
della raccolta. Gli Hohokam, forse provenienti dal Messico, dove
avevano appreso tecniche più sofisticate, costruirono sistemi di
irrigazione, canali e architetture monumentali, mentre gli Anasazi
costruirono i propri insediamenti sulle ripide pareti dei canyon, spesso
in luoghi inaccessibili, forse per proteggersi dagli attacchi di predoni.
Nel corso del XIV e XV secolo avvennero grandi cambiamenti e
spostamenti di popolazioni: le regioni di più antico stanziamento
vennero abbandonate, forse a causa di cambiamenti climatici o per la
distribuzione delle risorse idriche, e vari gruppi nativi si spostarono
giungendo in quelli che sarebbero stati i loro territori tradizionali, con
epici viaggi ancora oggi ricordati in grandi cicli mitologici dei popoli
sedentari (Hopi, Zuni e i Pueblo del Rio Grande). Dal Nord giunsero
popolazioni nomadi di lingua athapaska, i Navajo e gli Apache, mentre
altri gruppi dalla regione delle Pianure si recavano presso i villaggi
agricoli per commerciare. II Sud-Ovest è da sempre una terra di
scambi, di interazioni, di influenze reciproche e prestiti culturali.
D’altra parte il territorio è strettamente connesso alla spiritualità dei
popoli nativi, che hanno sviluppato – lungo una storia durata migliaia
di anni – un particolare legame con la terra, concepita come la Madre
Terra, la fonte di ogni forza vitale e di ogni potenzialità positiva.
Questo non significa, naturalmente, che i popoli di questa regione non
abbiano sviluppato differenze significative e particolari forme di
adattamento, e di costruzione culturale che ne costituiscono la
ricchezza e la varietà.
L’immagine del mondo dei Pueblo si conforma a un modello che si
ritrova in tutta l’America indigena: una stratificazione di livelli cosmici,
in cui la terra si trova al centro, in alto vi sono i cieli e in basso una
serie di mondi sotterranei sovrapposti. Tutti i popoli del Sud-Ovest
collocano le origini dell’umanità nel più inferiore dei mondi: qui gli
esseri primordiali, spinti dalle esigenze dell’esistenza o insoddisfatti
della propria condizione o su ispirazione di qualche personaggio
soprannaturale, iniziano il loro percorso verso l’alto, lungo un albero o
una canna o una scala, fino a raggiungere la superficie della terra. Vi
è quindi una quantità di attività cerimoniali che vanno dai riti per
promuovere la fertilità della terra e la crescita dei raccolti ai riti di
caccia, a quelli di guerra, alle cerimonie terapeutiche.
I popoli del sud-ovest hanno adottato numerosi aspetti del
cerimonialismo dei popoli pueblo rielaborandolo in un insieme di
cerimonie e di tradizioni estremamente ramificato e complicato di riti
terapeutici, chiamati «canti». Gli studiosi hanno identificato almeno
ventiquattro complessi di canti, ciascuno composto da un’incredibile
varietà di procedure e di simbolismi, che si possono ordinare solo
approssimativamente in un insieme organico.
La cerimonia centrale è costituita dalla Blessingway, il cui mito di
fondazione riporta le vicende del popolo successive all’emersione dal
sottosuolo e le gesta della Donna Cangiante, un personaggio mitico di
importanza centrale nella visione del mondo dei Navajo.
I canti sacri dei Navajo (Holyway) sono costituiti da cerimonie che
durano da due a nove notti, dove per «notte» si intende il periodo che
intercorre fra il tramonto e quello successivo. Ogni canto è composto
da una serie di cerimonie connesse tra loro da un preciso ordine che
deve essere rigorosamente rispettato, comprendenti la capanna del
sudore, l’immersione in acqua, la creazione di complesse pitture
simboliche con sabbia colorata, l’uso di sostanze che inducono vomito
a scopo purificatorio, oltre a canti e preghiere che durano per tutta la
notte.
La grande ricchezza cerimoniale di quest’area del Nord America
rende comprensibile come in essa abbondino, a differenza di ogni
altra parte del continente, i testi sacri e i rituali.

Sud-Est

L’ampia zona costeggiante l’Atlantico e il Golfo del Messico,


comprendente la penisola della Florida, costituisce la regione che fu
per prima visitata dai colonizzatori europei durante il XVI secolo. Un
tempo questa regione era cosparsa di foreste e di canneti ed offriva
con i suoi terreni alluvionali molto fertili località adatte per lo sviluppo
dell’agricoltura, mentre i fiumi offrivano abbondanza di pesci ed i
boschi di selvaggina. Questa regione venne tuttavia sconvolta dagli
effetti prodotti dalla rapida colonizzazione europea: le malattie
importate dal Vecchio Mondo sterminarono intere comunità, poi si
fecero sentire gli ulteriori effetti dell’invasione europea, il commercio,
la schiavitù, l’espropriazione delle terre e delle risorse alimentari, la
guerra. Questi spaventosi fenomeni di trasformazione determinarono
il crollo dei sistemi culturali indigeni, la scomparsa rapida e
imprevedibile dei depositari delle conoscenze ancestrali e delle
tradizioni e l’esigenza di un repentino adattamento alla nuova
situazione per garantire almeno la sopravvivenza fisica delle comunità
rimaste. Al momento dell’arrivo dei primi Europei, il Sud-Est era
popolato da società relativamente complesse, con città contenenti
terrapieni a forma di tumuli, sui quali sorgevano templi e case per le
riunioni, circondate da palizzate e da canali. Ogni centro maggiore era
attorniato da villaggi più piccoli, sottoposti all’autorità della capitale.
Fra questi grandi centri, il principale sembra essere stato Cahokia,
nell’attuale Illinois: il suo massimo sviluppo contava una popolazione
stimata a più di 10.000 persone. Lo spopolamento, le guerre, il
commercio e l’introduzione della schiavitù furono fenomeni che
crearono grandi sconvolgimenti in queste regioni. Nel XVII secolo, in
risposta a queste nuove situazioni, sorse la confederazione dei Creek,
una potente organizzazione politica e militare che tuttavia non riuscì a
fermare l’avanzata dei coloni, l’espropriazione delle terre, la cacciata
delle popolazioni native sempre più verso Ovest.
Sebbene siano rimaste numerose testimonianze sulla vita religiosa
e cerimoniale dei popoli del Sud-Est (Creek, Choctaw, Chickasaw,
Seminole, Yuchi e altri), pochissimi testi in lingua indigena sono stati
trasmessi fino a oggi.
Fortunatamente i guaritori e sciamani Cherokee adottarono
l’alfabeto creato dal loro connazionale Sequoyah nel 1819, un sistema
pratico ed efficace, grazie al quale molti Cherokee impararono a
scrivere nella propria lingua. Poiché il sistema non era stato imposto
dai missionari ma era una creazione autonoma della comunità nativa,
venne subito adibito allo scopo di trascrivere le formule magiche e
segrete usate per curare gli ammalati, le preghiere, le formule da
impiegarsi in diverse situazioni cerimoniali. Secondo la teoria
Cherokee, le malattie dovevano la loro origine agli spiriti degli animali
che volevano così vendicarsi degli uomini che li uccidevano e li
maltrattavano, mentre altri malanni erano causati dagli spiriti dei
morti, dai nani (il Piccolo Popolo) e dalle pratiche della stregoneria.
Ogni malattia veniva individuata in base alle sue supposte cause e
non in base ai sintomi. I dottori curavano mescolando rimedi vegetali
al canto e alla recitazione di formule magiche, imprecazioni e minacce
contro lo spirito responsabile del malessere. Spesso le formule
comprendono riferimenti al simbolismo dei colori, alla cosmologia e
alla mitologia tradizionali e costituiscono un insieme di tradizioni e di
saperi miracolosamente tramandato grazie alla genialità e alla
capacità inventiva di questo popolo straordinario, che il governo degli
Stati Uniti decise di deportare con la forza nel Territorio Indiano nel
1838, mentre una piccola parte, la Banda Orientale, rimase
ostinatamente attaccata alla propria terra, nel North Carolina
occidentale.
3. Il legame con la Madre Terra

3.1 Visione del mondo attraverso i miti

“Vicino alle montagne,


spianato
sotto i passi,
il suolo del campo risuona.
Ti dice: la terra è un tamburo,
pensaci.
Noi, per seguirne il ritmo,
dobbiamo fare attenzione ai nostri passi.” 18

In queste poche righe l’autore, Joseph Bruchan, riassume in


maniera eloquente ed esaustiva l’atteggiamento dei Nativi per la
natura: si sottolinea l’importanza dell’essere con la natura e non
contro di essa, instaurando con il pianeta un rapporto basato sul
rispetto e la gratitudine. E’ trasparente, questo rapporto tra uomo e
pianeta Terra, e si esprime, secondo la “Via Indiana”, nell’attribuzione
alla Terra della qualità di Madre. I Nativi del Nord America hanno
infatti imparato a vivere con la Terra una relazione di carattere
profondamente spirituale. La loro percezione intuitiva della
connessione intima con ogni forma di esistenza fornisce una profonda
saggezza ecologica.
Benché i Nativi fossero in realtà una moltitudine di tribù differenti
fra loro, condividevano la visione della Terra come Madre e lo
speciale rapporto che li legava ad essa. Tutti gli indiani d’America
possedevano questa speciale affinità con la natura e l’ambiente in cui
vivevano: traevano infatti dalla Terra energia spirituale e forza vitale,
celebravano in essa l’origine della loro stessa vita, una vita
essenzialmente spirituale.
Per i Nativi la Terra, focolare dei loro antenati, rappresenta le
fondamenta stesse della loro identità collettiva; la spiritualità e la
religiosità indiana sono profondamente radicate nella Terra.
Il nostro pianeta non è un’entità morta: la Madre Terra è viva e
quella che noi esseri umani abbiamo con lei è la nostra relazione più
intima. Per ciò che riguarda il rapporto con la Madre Terra, ciascuno
di noi dipende da lei in ogni momento, giorno dopo giorno: inspiriamo

18
Citato in Recheis K., Bydlinski G. (a cura di), Amicizia con la Terra. La
via degli Indiani d’America, Il punto d’incontro, Vicenza 1992
la sua aria nei nostri polmoni, beviamo le sue acque e ci nutriamo di
quanto produce. Tra noi e la natura c’è un inscindibile legame, uno
scambio continuo, noi degeneriamo e rigeneriamo con l’aiuto della
natura.
Tempo fa, ispirati dai sogni dei loro uomini sacri, i Nativi si sono
svegliati al Grande Mistero che risiede nel cuore della profonda Unità
di tutte le cose: non soltanto venne loro insegnato, ma grazie alle
cerimonie poterono comprendere il significato della frase “polvere alla
polvere”. In questo modo cominciarono a considerare la Madre Terra
come entità sacra, avevano capito che ciò che facevano alla Terra lo
facevano a loro stessi.

La Madre Terra

E’ estremamente significativo osservare la simbologia dei Nativi


per avere un’idea dell’importanza rivestita dalla Madre Terra presso
gli Indiani.
Secondo gli Hopi, il simbolo che rappresenta la Madre Terra è un
simbolo assimilabile ai concetti di elevazione ed ascesa. La linea
centrale è direttamente collegata al labirinto; la croce che viene a
formarsi nel centro simbolizza il Padre Sole, datore di vita, mentre le
linee del labirinto terminano in quattro punti diversi, che
simboleggiano le quattro direzioni del cielo. Queste vengono a loro
volta racchiuse nel piano universale del Creatore.
Altro simbolo cui è ricondotta la Madre Terra è la tartaruga.
Questa creatura ha uno scudo che la circonda e in cui si racchiude; è
persino in grado di ritirare completamente testa e arti all’interno del
suo scudo protettivo in caso di pericolo.
Una tempo gli uomini assomigliavano alle tartarughe. Essi
vivevano infatti all’interno delle caverne e se qualche predatore li
minacciava si ritiravano completamente all’interno, nel ventre
protettivo della Madre Terra.

Il rispetto

“Per i Lakota, montagne, laghi, fiumi, sorgenti, valli e boschi erano


la bellezza perfetta. Venti, pioggia, neve, sole, giorno, notte
l’avvicendarsi delle stagioni avevano un fascino infinito. Uccelli,
insetti e animali riempivano il mondo con una conoscenza che sfidava
la comprensione dell’uomo. Il Lakota era un vero naturalista, un
amante della natura. Egli amava la terra e tutte le cose della terra, e
questo attaccamento cresceva con l’età. Gli anziani arrivavano
letteralmente ad amare il suolo e si sedevano o si sdraiavano sulla
terra con il sentimento di chi ristabilisce il contatto con il potere
materno. (...) La terra offriva rifugio, dava forza, puliva e curava. E’
per questo che il vecchio indiano si siede ancora in terra invece di
mantenersi sollevato e lontano dalla sua forza vitale. Per lui, sedersi
o sdraiarsi per terra significa essere in grado di pensare con una
profondità e di sentire con maggiore acutezza; egli può così guardare
con maggiore chiarezza ai misteri della terra e rafforzare il vincolo di
parentela con la vita che lo circonda” 19.

Questa testimonianza è estremamente significativa e importante:


detta il legame inscindibile che lega uomo e Madre Terra. L’uomo
viene al mondo sotto forma di seme; in ciò egli non è diverso dai suoi
fratelli del mondo animale, né dagli alberi o dai fiori. Ogni particella di
corpo vivente proviene da ciò che la Terra mette a disposizione. Essa
è l’unica vera madre, perché ogni singola cellula del nostro corpo
proviene da lei ed è lei che si prende cura di noi giorno dopo giorno.
E’ partendo da questo assunto che gli Indiani d’America ci
insegnano a rispettare il pianeta. La società non indiana parla di
ecologia. I Nativi ci insegnano che, se vogliamo vivere su questa
terra, dobbiamo imparare a rispettarla.
Gli Indiani d’America avevano un sistema di vita che permetteva
loro di prosperare nella sconfinata bellezza del loro ambiente
naturale. Le varie tribù indiane condividevano un sistema di valori che
rispettavano religiosamente. Solo in questa maniera potevano
preservare la straordinaria bellezza di cui tutti gli esseri viventi
avevano immancabilmente bisogno.

I Quattro Insegnamenti del Grande Spirito erano:


ƒ Rispetto per la Madre Terra
ƒ Rispetto per il Grande Spirito
ƒ Rispetto per i fratelli e le sorelle
ƒ Rispetto per la libertà individuale.

Alce Nero insegnava che i quattro colori sacri (il rosso, il giallo, il
nero e il bianco) corrispondevano alle quattro direzioni: il rosso
rappresentava l’Est, il giallo il Sud, il nero l’Ovest e il bianco il Nord.
Dall’Est l’uomo riceve il sole nascente e la conoscenza di ogni
nuovo giorno. Dal Sud viene il caldo vento che fa produrre alla Madre
Terra cibo e erbe. A Ovest tramonta il sole; da qui proviene la pioggia
fonte di vita. Da Nord proviene il freddo che purifica la Terra.
Tutto quanto c’è di buono al mondo proviene da queste quattro
direzioni sacre. Esse, con i loro colori, rappresentano anche le quattro
razze dell’umanità. Tutti gli uomini e le donne nascono dalla stessa
madre, la Madre Terra.

19
Citato in Bedetti S., I segreti degli Indiani d’America, De Vecchi editore, Milano
1998, p.122.
Se vogliamo davvero salvare la Madre Terra dobbiamo ripristinare
gli antichi valori che riporterebbero in auge quella bellezza naturale di
cui ogni creatura vivente ha bisogno!

Il cerchio

Uno dei principi che sta alla base della filosofia dei Nativi è che
tutto ritorna, in un cerchio che porta la storia a riproporsi ciclicamente
e periodicamente.
Nella loro tradizione, tutto comincia e finisce con la Ruota della
Medicina.
La “Ruota della Medicina” o “Cerchio Sacro” è il simbolo
dell’universo. Essa ha la forma di un cerchio disegnato sulla Terra (è
infatti nella Terra che si rappresenta il nostro universo), nella quale è
scritta simbolicamente la relazione con l’intero creato, con il mistero
che trascende, con il Grande Spirito.
Il cerchio esprime l’ineffabile armonia dell’universo, la ruota è
l’impercettibile ma infinito movimento che accompagna la
manifestazione in tutte le cose di ciò che non può essere manifesto.
La ruota della Medicina non è quindi rappresentazione dell’Essere,
perché l’Essere non è rappresentabile; Essa è manifestazione
piuttosto dell’armonia universale.
E’ però importante sottolineare come l’armonia universale che la
Ruota rappresenta va intesa solo come una delle possibilità di
manifestazione dell’Essere, come uno dei possibili linguaggi simbolici
con cui si può tentare di comprendere i segnali di quella
manifestazione. In altre parole, si può affermare che ai nostri occhi
l’ordine sacro della Ruota è la manifestazione dell’Essere, ma che
esistono altre manifestazioni di cui ci è negata la percezione.
Questa puntualizzazione è necessaria perché aiuta a spostare il
punto di osservazione da noi a fuori di noi. Questa è un po’ anche
l’essenza della Ruota della Medicina. Il fatto che l’armonia che essa
rappresenta sia stata qui interpretata come una delle possibili
manifestazioni dell’Essere e non come l’unica possibilità non
pregiudica il valore universale che questa manifestazione possiede.
La Ruota della Medicina, il Cerchio della Terra, è la via della
nostra consapevolezza dell’armonia, una delle porte che aprono
all’ineffabile mistero del Grande Spirito.
Per sottolineare l’importanza della simbologia della ruota,
significativa è la testimonianza di Cervo Zoppo:

“Nella cultura indiana il cerchio, l’Anello, sono simboli importanti.


In natura tutto è rotondo. I corpi degli uomini e degli animali non
hanno angoli. Per noi, esso rappresenta la comunione degli uomini,
che insieme siedono attorno al fuoco, amici e parenti in armonia,
mentre la pipa passa di mano in mano. Anche l’accampamento, in cui
ogni tipi aveva un determinato posto, era a forma circolare. Lo stesso
tipi era così e gli uomini vi sedevano in cerchio e tutte le famiglie di
un villaggio formavano un cerchio all’interno di un altro più grande,
parte del grande Anello dei sette fuochi d’accampamento dei Sioux,
che formavano un Popolo.
A sua volta questo Popolo era solo una piccola parte dell’universo,
che è di forma circolare e di cui fanno parte la terra, il sole le stelle,
tutti rotondi. Luna, orizzonte, arcobaleno, anch’essi sono cerchi iscritti
in uno più grande, senza inizio e senza fine.
Tutto ciò è per noi bello e pieno di significato; allo stesso tempo
simbolo e realtà, esprime armonia tra la vita e la natura. Il nostro
cerchio è eterno, non si ferma mai; dopo la morte inizia una nuova
vita, vita che sconfigge la morte.

3.2 Il valore del mito

I miti sono fioriti tra gli uomini in ogni tempo e in ogni regione della
Terra, ed è al loro soffio vitale che si deve tutto ciò che la potenza
fisica e intellettuale dell’uomo ha prodotto. Sicuramente non sarebbe
esagerato affermare che le inesauribili energie cosmiche si
manifestano nella cultura umana proprio attraverso il mito: “le
religioni, le filosofie, le arti, le forme sociali dell’uomo primitivo e
storico, le scoperte scientifiche e tecniche, gli stessi sogni che
popolano il sonno, scaturiscono indistintamente dalla fonte magica del
mito” 20.
Realtà culturale estremamente complessa, il mito può essere
analizzato e interpretato in prospettive molteplici e complementari. La
definizione che sembra meno inadeguata, perché racchiude in sé una
vasta gamma di significati, è la seguente: “il mito narra una storia
sacra; riferisce un avvenimento che ha avuto luogo nel Tempo
primordiale, il tempo favoloso delle origini” 21. Insomma, il mito narra
come una realtà è venuta ad esistenza. Essi possono rivelare la
l’attività creatrice di esseri soprannaturali svelando la sacralità delle
loro opere; descrivono insomma le intime connessioni fra mondo
sacro e realtà terrena.
Robert J. Steward definisce il mito come “una storia che dà corpo
e voce ad un modello di relazione fra l’umanità, altre forme di vita e
l’ambiente circostante” 22.

20
Campbell J., L’eroe dai mille volti, ed. Guanda, Parma 2000, p.11
21
Eliade M., Mito e realtà, ed. Borla, Roma 1993, p.27
22
Stewart R. J., I miti della creazione, ed. Xenia, Milano 1993, p.11
Ciò che non possiamo trascurare è che tutto ciò che è realtà
vivente ha un racconto sempre vivo per l’anima, un gioco di
trasmutazioni che comprendono anche noi, governato dal Tempo,
inquadrato nelle forme eterne. Un pensiero inquadrato, governato dal
Tempo, può essere espresso solo nel mito. Quando i linguaggi del
mito erano universali ed evidenti, anche il pensiero era
autosufficiente: era la stessa realtà vivente ad esprimersi, non poteva
cercare una spiegazione di sé in altri termini.
Man mano che la scienza e la storia invadono il pensiero però, gli
eventi del mito retrocedono a favola e appaiono come fantasie
d’evasione, prive di collocazione e di serietà. Nonostante ciò, alcune
di queste storie sono così forti da essere sopravvissute con tratti
vigorosi: sono i veri miti, quelli che i fatti storici non potranno mai
spiegare. Le figure mitiche non sono esistite solo in passato; esse
sono esistite ancora prima, ed esisteranno ancora, con altri nomi,
sotto altri aspetti, proprio come il cielo ci riporta in eterno le sue
configurazioni. Esse combinano in sé varietà, eternità e ricorrenza:
tale è la loro natura poiché tale è la natura del cosmo stesso.

I Nativi americani, seguendo un ritmo del tempo tutto loro, vivono


collegati al nutriente grembo della mitologia. Se volessimo cogliere
l’essenza del pensiero indiano sarebbe significativo fare riferimento a
quella generale visione del mondo che lo rende diverso da noi.
Nelle società indiane infatti le credenze religiose giocano un ruolo
importante nella vita quotidiana. All’interno di esse non vi è una netta
distinzione temporale tra momento sacro e momento profano. Sacro e
profano sono inscindibilmente legati l’uno all’altro in ogni istante della
vita.
Basti pensare all’importanza dei riti propiziatori in qualsiasi
momento della vita di ogni giorno, sia che si tratti di battute di caccia
o pesca, sia che ci si trovi a celebrare feste. Ciò che per l’indiano è
importante è rivolgere preghiere o riti propiziatori allo spirito
guardiano; questa pratica è importante quanto, se non di più, il
verificare che tutto l’occorrente sia in ordine.
Anche l’idea di potere rispecchia questo sacro legame. Il potere
non è cercato come fine a se stesso o come mezzo per arricchirsi, ma
solo come riflesso del prestigio personale che ne è alla base. Esso è
una responsabilità, non uno strumento di prevaricazione.
Alla base di questa concezione di potere vi è una diversa
concezione di capo rispetto a quella occidentale. Un individuo, presso
gli indiani, era eletto capo, non si proponeva come tale. E i capi
possedevano qualità carismatiche che li facevano emergere. Fra
queste spiccavano abilità, saggezza ed elevazione spirituale,
condizioni ritenute necessarie.
La quantità di miti e leggende tramandate nei secoli tra i Nativi
americani deriva dal cuore e dall’anima di queste tribù. Alcune storie
sono state raccontate per migliaia di anni e sono ancora ripetute, altre
sono state adattate e completate in modo da aderire alle diverse
necessità dell’uomo moderno, altre ancora sono addirittura state
create da capo prendendo spunto dalla visione dell’uomo
contemporaneo.
I miti sorgono dalla terra, come i vegetali e gli animali che sono
parti integranti del mondo. Essi sono incarnati nelle antiche lingue e si
dipanano seguendo i ritmi del mondo naturale.
Le leggende variano a seconda del modo di vivere di una tribù,
della geografia e del clima nel quale vive, del cibo che mangia o del
modo in cui se lo procura. Un nomade cacciatore di bufali crederà in
leggende che saranno diverse rispetto ad un abitante della foresta.
Ogni tribù possiede narrazioni che spiegano le caratteristiche dei suoi
paesaggi.
Così come le culture, anche i miti e le leggende si influenzano
reciprocamente. Ciò avviene quando diverse tribù vivono in territori
adiacenti, così come quando le popolazioni si incontrano a causa di
migrazioni o di scambi commerciali. Immagini e simboli arrivano a
popoli lontani insieme alle merci barattate.
Anche se si presentano immagini e varianti regionali, questi miti
sono tuttavia tenuti uniti da un tema comune. Si tratta dell’interesse
universale per argomenti fondamentali che riguardano il mondo nel
quale gli uomini vivono.
Anche la storia ha un ruolo importante nell’universo mitologico.
Essa entra in questo mondo indirettamente ma lascia il suo chiaro
segno su fatti e personaggi.
Attraverso i miti si recuperano notizie relative non soltanto al
modo di percepire ed interpretare le questioni cosmiche dei Nativi. Le
leggende sono anche speciali lenti grazie alle quali possiamo
osservare gli ordinamenti sociali e la vita quotidiana degli Indiani
d’America.
Ciò che preme ricordare è che queste leggende non sono
raccontate per puro diletto. Esse sono credute. Esse sono emblemi di
una religione vivente e danno forma ad un corpo di credenze e
tradizioni che legano la gente di oggi agli antenati.

3.3 I miti della creazione del mondo

Il mondo non è sempre stato come noi lo vediamo ed i miti che ne


descrivono la creazione spesso sono associati con quelli del sorgere
della cultura.
Per quasi tutte le tribù l’ambiente primordiale era pieno d’acqua.
Da essa vari esseri viventi trassero del fango per creare la terra.
Nelle leggende sudoccidentali, quattro o cinque mondi di diversi
colori sono collegati l’uno alla cima dell’altro e la gente, passando
attraverso un buco praticato nel soffitto di un mondo che muore, entra
in quello successivo appena sorto.
I popoli del Nordovest raccontano che discesero dal cielo nel
mondo attuale passando attraverso un buco.
Innumerevoli sono i personaggi coinvolti nell’azione. Mostri e
draghi, dei e spiriti, alci, orsi e aquile si avvicendano per avere un
ruolo nella creazione.
Temi ed immagini della creazione ricorrenti sono diffusi in tutto il
Nord America, poiché i miti emigravano altrettanto liberamente che la
gente.
Il tema di un’acqua primordiale che ricopriva una terra non ancora
creata è forse quello predominante e lo si ritrova in ogni area.
Soltanto il Sudovest è privo dell’episodio di una creatura che
s’immerge e che crea la terra con del fango.
Le regioni della California e del Sudovest condividono leggende
che parlano degli originari genitori del mondo, La Terra e il Cielo.
Tra le tribù ad ovest del Mississippi un tema importante è la
determinazione delle stagioni, ed in tutto il continente vi sono molti
racconti che descrivono come furono creati i Quattro Venti.
Mentre i racconti di un creatore e della formazione dell’universo
tendono ad essere più frammentari, c’è al contrario un chiaro ed
universale interesse per l’inizio dell’umanità e per la fondazione del
mondo nel quale vivono gli esseri umani.

Una credenza alla quale i nativi sono molto legati è quella


secondo cui gli esseri umani vengono sospinti nel mondo dal soffio di
uno dei Quattro Venti, quello che domina durante il periodo dell’anno
in cui avviene la nascita. Ciascun vento, associato ad una delle
Quattro Direzioni, possiede caratteristiche precise.
Come scrive Kenneth Meadows: “ L’antica saggezza ci dice che i Quattro
Venti sono forze possenti inerenti alle Quattro Direzioni Cardinali, e che
possiamo servirci di queste ultime per contattarle. Sono potenti energie
spirituali che agiscono su tutte le creature della terra, soprattutto sugli umani,
ma anche sull’atmosfera e sull’ambiente. Il Sole e la Luna regolarizzano il
flusso e il riflusso di queste energie nell’aura del pianeta sicché, quando
siamo in relazione con una data Direzione, ci poniamo nel turbine di queste
possenti forze e delle loro espressioni energetiche. Non possiamo vederle,
ma possiamo riuscire a comprenderle grazie alle loro controparti fisiche e
possiamo sperimentarne gli effetti, dal momento che agiscono sul nostro
temperamento”23.
Volgersi alle quattro direzioni significa dunque rievocare la propria
condizione originaria, sfiorare l’alba del sacro.
Attraverso il linguaggio simbolico di cui la tradizione degli Indiani
d’America è ricca, nel linguaggio della visione come nel linguaggio del
sogno, i Quattro Venti, le Quattro Direzioni si rivelano come
esperienza di rivelazione, quindi come esperienza di verità.
Ogni direzione e ogni vento era poi associato ad un animale, che
incarnava l’essenza dello spirito. In questo modo l’invisibile agiva nel
visibile; il simbolo non si riduceva a un’astrazione, ma pervadeva ogni
agire quotidiano diventando il senso di ogni agire.
Connessi alle Quattro Direzioni sono i quattro principi naturali che
secondo i nativi americani reggono e governano tutte le cose. Gli
indiani sostengono infatti che sono quattro gli elementi costitutivi della
materia: Aria, Fuoco, Acqua, Terra. Essi procedono da un quinto
elemento, il Respiro dell’Invisibile, da cui sono nati. Il Respiro
dell’Invisibile è anche il fulcro della Ruota della Medicina.

3.4 I miti dell’origine dell’uomo

Come e quando gli dei si separarono dagli uomini? Dove ottennero


gli Indiani certi importanti elementi della loro vita quotidiana? Perché
le donne e gli uomini sono differenti?
I miti dei Nativi americani della creazione umana e del sorgere
della cultura riflettono in miriadi di modi la comune credenza che
l’umanità è parte integrante di un mondo naturale.
Alcune tribù dei Grandi Laghi raccontano dettagliatamente la
comparsa dell’uomo ad opera del Grande Sole o del Grande Mistero.
Secondo altre, la prima donna fu fecondata da un raggio di sole
(nel Sudovest), da un salmone (nel Nordovest) o, come dicono gli
Irochesi, dal vento dell’ovest.
Il mito della creazione dell’umanità degli Algonchini si focalizza
sull’errante dio Glooscap, che placa i venti, ottiene cibo e acqua per
la gente, modella molti tratti del paesaggio.
Il primo figlio dell’uomo è spesso dotato di poteri sovrannaturali:
raggira gli adulti, cresce in una notte o esegue una grande magia
come se fosse un autorevole sciamano. Le sue birichinate fanno del
bene.
Gli esiti delle sue avventure sono indici significativi del livello
raggiunto da questa cultura nella creazione. Ad esempio, prima che
Ragazzo Pietra fosse nato i Sioux non avevano cerimonie sacre o

23
Citato in Bedetti S., I segreti degli Indiani d’America, op. cit., p.84
preghiere per guidarli: il loro sviluppo spirituale cominciò quando un
mucchio di pietre insegnò a Ragazzo Pietra a costruire la capanna del
sudore per la purificazione.
Ruolo estremamente significativo nei miti della creazione
dell’umanità è quello della donna.
È il caso della Donna Bufalo Bianco, uno spirito che prese la
forma di una bella fanciulla. Ella diede alle tribù grandi mandrie di
bufali ed insegnò loro come adorare, sposare e cucinare. Terminato il
suo compito se ne andò, trasformandosi.
Altre eroine culturali includono la Donna Cangiante dei Navaho, la
Donna Turchese, la Donna Conchiglia Bianca e la Piccola Sorella dei
Cheyenne, che chiama i bufali e nutre la gente.
Gli attributi di queste eroine sono spesso associati alla fertilità, al
concepimento, alla gravidanza e alla nascita.
Le fanciulle granoturco portano il mais ed insegnano il modo di
coltivarlo. Inventano anche l’arte di costruire vasi e canestri, in quanto
la loro associazione con i semi ed i granelli si estende pure ai
contenitori ed all’immagazzinamento.
Spesso le donne sono incaricate di accudire la selce che accese il
primo focolare.

3.5 Leggende di spiriti e fantasmi

Le storie di fantasmi e le leggende sui defunti sono una parte


essenziale del bagaglio mitologico degli Indiani d’America.
Non sempre nella loro cultura i fantasmi sono malvagi o
minacciosi; né i morti diventano automaticamente fantasmi; né tutti i
fantasmi che compaiono nelle visioni sono necessariamente spiriti di
defunti.
Le varie tribù di nativi avevano credenze differenti.
Tra alcune tribù c’erano soltanto vaghe idee dell’esistenza di un
aldilà, per loro la morte era la fine e questo era tutto.
All’altro estremo dello spettro culturale c’erano tribù, come i
Natchez, che praticavano un elaborato culto dei morti, addirittura
elevando piramidi per i loro defunti.
Tra questi due poli si collocano le culture che immaginano che le
anime dei morti vivano nella terra degli spiriti più o meno allo stesso
modo in cui vivevano sulla terra: gli uomini cacciano i bufali,
raccolgono messi o pescano, le donne badano alla casa o alla tenda.
Le leggende su fantasmi e spiriti sono molte e spaziano attraverso
vari ambiti. Alcune leggende ad esempio raccontano nel dettaglio di
alcuni viaggi fatti da esseri viventi nella terra dei morti, sia per
curiosità sia per devozione verso un parente defunto.
Scambi tra morti e viventi sono piuttosto comuni nelle leggende:
capita di trovare miti che parlano di uomini e donne che scoprono
all’improvviso di aver sposato un fantasma.
Le relazioni con i defunti continuano attraverso il rituale. In molte
tribù un guerriero deve purificarsi e digiunare allo scopo di propiziarsi
lo spirito di un nemico che ha ucciso. Tra i Navaho, la dimora nella
quale era morta una persona veniva abbandonata ed il corpo, il
simbolo della mancanza della vita, era grandemente temuto. La gente
che non era imparentata con il defunto si offriva di seppellire o coprire
il corpo. Si riteneva che gli spiriti uscissero soltanto con l’oscurità e la
loro apparizione spesso annunciava l’imminente morte di un parente
stretto.
Alcuni fantasmi sono divertenti e innocui. Altri sono noti per aver
giocato tiri alla gente, come aver portato malattie. Altri fantasmi
possono benedire una persona nei sogni o avvertirla d’un pericolo
imminente.
Gli spiriti sono generalmente scuri e di forma indistinta e si
nutrono soltanto dell’odore del cibo, non della sua sostanza. Si
sapeva che potevano anche apparire nelle sembianze di coyote, topi
e scintille di fuoco. I Crow credono che certi spiriti frequentino
assiduamente le tombe, urlino come i gufi e si manifestino come
vortici di vento.
Queste considerazioni ci fanno capire come esista una fortissima
correlazione tra mondo della realtà umana e mondo della realtà degli
spiriti. Pare non vi sia tra queste due realtà una netta divisione. Gli
spiriti possono perciò entrare in contatto con gli uomini e viceversa e,
in alcuni momenti, gli uomini possono essere posseduti dagli spiriti.
Queste visioni sono gestite dagli sciamani (a proposito del termine
“sciamano”, vedi nota 20. N.d.R.). Essi sono uomini ritenuti superiori
a tutti gli altri della tribù, uomini che per il loro comportamento e la
loro superiorità sono considerati sacri e agiscono come intermediari
tra la “realtà” e le energie sottili del cosmo e della natura. Essi sono
detti anche “uomini di medicina” e in ogni tribù svolgono un ruolo
fondamentale. Essi infatti si sottopongono attraverso la visione ad un
viaggio visionario nel cosmo 24.
Lo sciamano è quindi in diretto contatto con il sovrannaturale. In
virtù di ciò può acquisire poteri particolari, come ad esempio la
capacità di guarire le malattie del corpo, della mente e dello spirito
esorcizzando gli spiriti maligni che albergano nelle persone ammalate.

24
Anche qui è necessaria una precisazione, infatti gli sciamani non sono gli unici de-
tentori delle visioni e “il viaggio sciamanico” è una prerogativa degli sciamani siberiani
e non necessariamente costituisce il modello standard o più frequente nelle pratiche
religiose dei nativi nord americani [N.d.R.].
Gli uomini sacri dunque assolvono a tre funzioni principali: quella
di mediatori tra la realtà terrena e quella spirituale, quella di
consiglieri spirituali e quella di guaritori dalle malattie fisiche.

Alcune popolazioni tradizionali riservano un particolare culto per


gli antenati, che sono venerati perché i viventi si sentono sempre
legati a loro. Al contempo essi sono temuti: gli spiriti degli antenati, se
rimangono delle questioni irrisolte con i viventi, possono tornare ad
affiorare nella realtà umana per compiere la propria vendetta.
C’è tutta una ritualità e una simbologia che sta dietro al momento
della morte che, nella cultura nativa, rappresenta una naturale fase di
passaggio.
Appena il corpo muore, l’anima prosegue il suo viaggio verso il
Grande Spirito. Essa imbocca un sentiero che la conduce ad un ponte
sospeso sopra un fiume in tempesta. Quel passaggio segna la
definitiva separazione dalla vita terrena. Oltre il ponte si distendono
immense praterie verdissime: è il paese del Grande Spirito. E’ qui che
vivono tutte le anime dei morti. Qui non c’è dolore né infelicità, ma
solo gioia.
Come scrive Arthur Versluis:
“Nelle tradizioni indiane americane, molto più che nella società
europea e americana, sia gli spiriti sia gli antenati sono riconosciuti e
onorati per i doni che fanno agli uomini. Questa convinzione non solo
dà luogo ai “culti di adorazione degli antenati”, ma rappresenta anche
la coscienza del profondo debito che il popolo in possesso di una
certa tradizione ha nei confronti di coloro dai quali ha ereditato la
tradizione stessa. Ma ciò che più conta è che il riconoscimento degli
spiriti non è una forma di “adorazione dei demoni”, ma deriva da
un’intima coscienza dell’interpretazione del mondo degli spiriti,
dell’aldilà, della natura e del tradizionale mondo umano.” 25

3.6 Storie di animali

Anche la relazione con l’animale, così come quella con la natura,


è per i Nativi americani una relazione di totalità.
L’animale si rivela infatti come espressione di Wakan Tanka,
esattamente come lo sono le piante, il cielo, la terra, l’uomo e tutte le
cose dell’universo. Non solo: nell’animale il Grande Spirito si rivela
all’uomo in tutta la sua potenza e nel mistero della sua esistenza.
Proprio per questo motivo gli animali sono ritenuti sacri dalle varie
tribù. Essi rivelano all’uomo la via per conoscere il mistero del Grande
Spirito.

25
Arthur Versluis, Gli indiani d’America, Milano 1993
Gli animali abitano la terra, l’acqua e il cielo, forniscono il
nutrimento necessario per tutti gli uomini, garantiscono l’equilibrio
ecologico della natura.
La caccia e l’uccisione dei bisonti, ad esempio, era accompagnata
da precisi riti di purificazione e di ringraziamento. Non venivano uccisi
mai più capi di quelli strettamente necessari al sostentamento, tanto
era il rispetto che gli Indiani portavano, e tutt’oggi portano, per tutti gli
animali.
Dunque gli animali nella cultura dei Nativi possiedono
caratteristiche mitiche ben precise, e spesso assumono, nelle
narrazioni tradizionali, un aspetto antropomorfico. Ciò ha
probabilmente due significati: da una parte questi racconti mitologici
sono l’unico mezzo attraverso il quale è possibile esprimere e
comunicare le esperienze di contatto e di percezione della “Grande
Unità della Ruota”. Dall’altra parte vi è un forte richiamo all’identità di
fondo che esiste tra animale e uomo, il vincolo di reciprocità e
responsabilità che li unisce. Si delinea in tal modo un rapporto di
reciproca sussistenza e dipendenza. L’animale viene visto come
uomo e l’uomo viene visto come animale.
I Nativi americani hanno sviluppato una tale sensibilità nei
confronti del mondo animale per via della loro millenaria cultura. Essa
si è sviluppata in un territorio particolarmente favorevole e ha
consentito loro di vivere sempre a diretto contatto con la natura.
La conoscenza dell’indiano è fondata sull’esperienza dei cinque
sensi. L’esperienza sensoriale contempla l’esperienza del sacro. Tutti
gli esseri esprimono quel sacro e in tutte le cose vi è sempre
qualcos’altro che l’uomo non può comprendere. I sensi sono perciò
vissuti come strumento e come soglia di conoscenza. Quella stessa
soglia che fa capire come sia impossibile per l’uomo giungere alla
comprensione finale del mistero e come altre percezioni (come quelle
degli animali per esempio) condividano le sue stesse soglie. Altri
esseri possono infatti vedere, sentire, odorare e ascoltare in altro
modo l’universo da altre prospettive, raggiungendo dimensioni
precluse all’uomo. Per questo motivo l’animale è sacro: perché la sua
alterità è sacra, nella sua alterità si nasconde il Grande Spirito.
Per questo motivo gli Indiani instauravano una stretta relazione
rituale con l’animale. Attraverso il sogno o la visione gli animali
potevano entrare in diretto contatto con loro.
Gli animali erano diretti messaggeri degli Spiriti ed erano pertanto
dotati di misteriosi ed incredibili poteri che gli uomini potevano
ottenere se si mettevano in diretto contatto con loro.
4. Il valore dell’educazione presso i Nativi
Americani

Nota di metodo

Nel corso della nostra ricerca ci siamo imbattuti in numerosi testi


sulla storia, la spiritualità e la vita quotidiana degli Indiani d’America,
ma uno in particolare ci ha colpito per i suoi riferimenti espliciti al
modo di educare le nuove generazioni: si tratta del libro “Infanzia
Indiana” di Charles A. Eastman (Ohiyesa), una narrazione
autobiografica dei primi quindici anni di vita dell’autore, cresciuto
dalla nonna e dallo zio paterno secondo le tradizioni della sua tribù
quella dei Santee Dakota.
Abbiamo scelto di utilizzare un linguaggio semplice e diretto per
lasciare spazio alle suggestioni delle citazioni, profondi assaggi del
pensiero nativo.
L’utilizzo del tempo presente ci ha aiutato a rendere viva e
tangibile la speranza che l’ormai Vecchio bambino che riposa in Noi si
ridesti con lo stesso entusiasmo di un tempo e riprenda in mano le
trame della vita; tali trame, unite a quelle di altri miliardi di persone,
rappresentano quella rete che ci connette gli uni gli altri, come in un
reticolo di meridiani e paralleli che, posti geograficamente in luoghi
differenti, fanno parte di un unico mondo da curare ed amare come
unica nostra grande Casa.
Ogni passo che fate su questa terra dovrebbe essere una
preghiera. Il potere di un’anima pura e buona è nel cuore di ognuno.
Crescerà come la semente se voi avanzerete nella consapevolezza
del sacro. E se ogni passo fatto sulla terra sarà una preghiera, allora
voi progredirete costantemente nel rispetto del sacro. Allora il vostro
passo sarà sacro.
C.W.Face (Oglala Lakota)

Gli anziani Dakota erano saggi. Sapevano che il cuore di ogni


essere umano che si allontana dalla Natura si inasprisce. Sapevano
che la mancanza di profondo rispetto per gli esseri viventi e per tutto
ciò che cresce, conduce in fretta alla mancanza di rispetto per gli
uomini. Per questa ragione il contatto con la Natura, che rende i
giovani capaci di sentimenti profondi, era un elemento importante
della loro formazione.
Orso in piedi (Lakota)

Ogni cosa è come una grande famiglia.


Noi siamo bambini del Grande Spirito, bambini della Madre Terra,
bambini del cielo, e così via.
Noi possediamo questa relazione, questa parentela che diviene
parte della nostra identità.
Questo significa conoscere chi siamo....noi viviamo in un mondo
costituito da molti cerchi che formano la nostra identità e che fluendo
si diffondono per comprendere ogni cosa presente nell'Universo.
Questa è la nostra parentela ed i nostri legami. L'Universo è una
famiglia e noi dobbiamo relazionarci con le altre cose e realtà che lo
costituiscono tenendo queste conoscenze ben impresse in mente.
Jack Forbes (Powhatan-Renape-Lenape)

4.1 Premessa

Le radici dell'educazione degli Indiani d'America si estendono nel


passato, attraverso quelle pratiche educative dei primi abitanti del
continente Americano. Le pratiche educative tradizionali, fondamentali
per la sopravvivenza e lo sviluppo spirituale, erano e continuano ad
essere olistiche, centrate e fondate sulla natura, la famiglia ed il clan:
questa interconnessione tra elementi indirizza la crescita e sviluppa la
persona come essere spirituale. I bambini sono completamente
immersi in un ambiente dove apprendere è un processo naturale e
dove è necessario imparare stili di vita che si adattano bene
all'ambiente nel quale vivono, senza mai metterlo sotto pressione.
Secondo gli Anishinaabe, il concetto ed il termine di Educazione
può venir tradotto dall'Ojibway come “Kinomaage” (Key-no-mah-gay),
che significa “la Terra ci mostra la via”. Infatti dalla prospettiva
Ojibway 26, così come dalla prospettiva della cultura indiana, la Madre
Terra è l'originaria e primaria insegnante.

Le comunità Native hanno un sistema organizzato per educare i


piccoli basato sull'accumulazione di saggezza e conoscenze sul
mondo naturale, generazione dopo generazione, un complesso di
esperienze che coinvolgono l'apprendere facendo, guardando,
sentendo e sperimentando sempre sotto lo sguardo attento e
amorevole degli anziani e dei membri della famiglia allargata. I
costumi, gli usi, le pratiche spirituali ed il linguaggio sono trasmesse
in accordo con le priorità della comunità. La famiglia allargata, il clan
e la comunità garantiscono una sicura rete per i bambini, nella quale
l'apprendimento inter-generazionale e collaborativo è considerato
essere un mezzo di trasmissione basilare.
L'Educazione non ha confini fisici o strutturali, non è trasmessa
solo da un definito numero di persone, non è relativa solo ai rapporti
tra uomini o definita da tempistiche lineari; infatti il tempo e lo spazio
nelle culture native sono percepiti e vissuti attraverso l'esperienza, il
tempo e la vita sono percepiti come ciclici, appaiono e scompaiono
per poi riapparire come se fossero all'interno di un flusso.
La trasmissione della conoscenza avviene attraverso le relazioni,
in modo olistico, nel quale ogni elemento è in relazione con gli altri, ed
è fondata su modelli comportamentali, principi ed esperienze più che
su parole. Questi modelli contengono informazioni su come le
persone, gli animali, le piante e la Terra formano un'Unità. Essi
descrivono l'ecologia delle relazioni e dei principi, stili di vita adatti ad
una comunità sostenibile.
Attraverso l'educazione si imprime nelle menti dei più piccoli la
responsabilità di mantenere, rinnovare e ripristinare l'equilibrio e
l'armonia tra gli elementi del Cosmo, inteso come “Essere” carico di
relazioni che si interconnettono, creando una “ragnatela della vita”
sulla quale si fonda la spiritualità dello stile di vita Indiano. Il Creatore
vive dentro ogni forma di vita e proprio questo senso di appartenenza
si manifesta attraverso la loro grande spiritualità. Imparare ad
imparare è l'elemento chiave dell'educazione Indiana. Competenze
come ascoltare, osservare, fare esperienze dirette e intuire sono
metodi educativi che si tramandano di generazione in generazione. Le
acquisizioni di base iniziano esplorando come le cose appaiono e si

26
Tribù di nativi americani appartenente al gruppo linguistico algonchino, un tempo
stanziata nell'odierno stato del Michigan e sulle coste settentrionali del Lago superiore
e del lago Huron, chiamati impropriamente dai bianchi Chippewa.
focalizzano sul cuore così come sulla mente. E' fondamentale per la
cultura indiana la responsabilità di essere un membro che contribuisce
attivamente al bene della comunità; anche attraverso l'educazione si
cerca di sviluppare questo senso di appartenenza e di dovere nei
confronti del clan. L'educazione presso i Nativi non è un processo di
indottrinamento, ma un processo euristico nel quale l'ingrediente
fondamentale risulta essere la realizzazione non del singolo ma del
bene della comunità: il fine della conoscenza è poter servire la gente,
condividere il sapere e metterlo a disposizione della comunità. La
conoscenza è un processo connesso alla Creazione ed ha quindi un
proposito sacro, è insita e connessa a tutta la Natura, alle creature e
all'esistenza. L'apprendimento è visto come una responsabilità lungo
tutto l'arco della vita che le persone si assumono per capire ed
interpretare il mondo che li circonda e per sviluppare le proprie abilità.
La conoscenza insegna alla gente come essere responsabile per le
proprie vite, sviluppando le relazioni con gli altri, nel totale rispetto.

Dalle parole di Jack Forbes 27 possiamo capire molto riguardo il


concetto di Educazione presso i popoli nativi: “Quale è lo scopo
dell'educazione?…non è principalmente l'acquisizione di competenze
specifiche o di conoscenze, ma è imparare ad essere un essere
umano; ciò significa vivere una vita spirituale della massima qualità.
Una persona che ha sviluppato il suo carattere fino al suo massimo
grado e che persevera su questa strada, sarà anche in grado di
padroneggiare competenze specifiche. Ma se non si ha questo nucleo
spirituale, essi si avvarranno di queste competenze per danneggiare
altre persone….Quindi la conoscenza senza il suo riferimento
spirituale è un cosa molto pericolosa”.

L'apprendimento deve essere coltivato per tutta la vita, le abilità e


le conoscenze devono essere acquisite in contesti differenti e
applicate anche in contesti non familiari. In sintesi la conoscenza
Nativa è sia empirica, perché basata sull'esperienza, che normativa
perché basata su valori sociali.

I valori della cultura Indiana

Il Nord America è un paese geograficamente molto esteso ed i


popoli che abitavano quelle terre, i Nativi Americani, presentavano,
naturalmente, differenze culturali, sociali e linguistiche molto evidenti;

27
Forbes, J. “Traditional Native American philosophy and multicultural education”. In
Multicultural education and the American Indian (pp. 3–13). Los Angeles: American
Indian Studies Center, University of California, 1979
erano circa 300 le lingue parlate da queste popolazioni quando gli
Europei sbarcarono sul suolo Americano. Questo fa affermare a
Joseph Oxendine, studioso del popolo indiano, che “la grande
differenza tra le diverse culture indiane rende impossibile parlare di
costumi indiani (...) come un'entità coesa. Differenze di linguaggio, di
sopravvivenza, di strutture sociali e di tradizioni inibiscono i tentativi
di generalizzare riguardo (...) un comune fenomeno culturale”.
Malgrado ciò è possibile parlare di un comune insieme di valori e di
pratiche che si ritrovano nella maggior parte delle tribù. Carol
Locust 28, indica dieci valori fondanti e storicamente comuni a tutta la
cultura dei Nativi Americani. Certamente, un elenco di questo tipo può
fornirci solo una cornice di quello che in realtà è un mondo culturale,
sociale, economico, politico ed ideologico complesso e diversificato e
corre il rischio di distorcere, mal interpretare e banalizzare quei
“Vecchi Insegnamenti” che la cultura Indiana ha trasmesso attraverso
migliaia di anni.

I valori comuni della cultura nativa americana sono:

• Credere in un Supremo Creatore e nel suo frutto, il Creato, nella


sua interezza, cercando di capire i fondamenti che hanno portato
alla sua nascita e rispettando ogni forma di vita perché spirituale
• Gli uomini sono costituiti da tre parti: spirito, mente e corpo
• Piante, animali, uomini ed ogni forma di vita sono tutte parti del
mondo spirituale ed i mondi fisico e spirituale sono vicini ed
interconnessi
• Lo spirito esiste prima del corpo fisico ed esisterà anche dopo la
sua morte
• L'infelicità e l'insoddisfazione nascono da una discrepanza tra gli
aspetti spirituali, fisici e mentali
• La felicità è data dall'equilibrio tra aspetti spirituali, fisici e mentali
• La malattia colpisce non solo il fisico ma anche la mente e lo
spirito
• L'infelicità “naturale” è causata da una violazione di un tabù sacro
o della comunità
• L'infelicità “innaturale” è frutto della “stregoneria”
• Ognuno è responsabile del proprio benessere

Il focus comune a tutti questi valori è relativo alla salute, che


sembrerebbe inizialmente correlata solo tangenzialmente ai valori
educativi.

28
Carol Locust “Wounding the spirit: Discrimination and Traditional American Indian
Belief Systems ” Harvard Educational Review, pag. 317-318
In realtà per i Nativi Americani la salute di ognuno non è intesa
solo dal punto di vista fisiologico ma anche da quello spirituale. Inoltre
la separazione della spiritualità dagli altri aspetti della cultura non solo
non esiste nel pensiero tradizionale indiano, ma non ha
concettualmente senso. In altre parole se si vuole capire l'idea
tradizionale nativa di educazione dobbiamo prendere in
considerazione l'idea di benessere e di malattia. Questi valori sono il
risultato di tre principi sui quali si fonda l'educazione Nativa: l'armonia
con sé stessi (mente, corpo, anima), l'armonia con gli altri (il clan, la
tribù, tutta la comunità degli esseri viventi e la comunità degli spiriti) e
l'armonia con il Creatore. Centrale per la cultura nativa è la visione
dell'uomo come insieme di mente, anima e corpo. Ognuna di queste
parti ha un ruolo da svolgere ed ogni ruolo è distinto dall'altro e non
ha la stessa importanza relativa. Lo spirito viene visto come
fondamentale perché essenza dell'essere e lo strumento attraverso il
quale può esprimersi è il corpo che può imparare lezioni spirituali e
progredire verso l'obiettivo finale di essere uniti con il Sommo
Creatore. La mente rappresenta il legame tra lo spirito ed il corpo e
funziona come un interprete tra i due. L'educazione, intesa in questo
contesto dovrebbe coinvolgere tutti e tre gli elementi dai quali siamo
composti; inoltre dovrebbe aiutare il singolo a raggiungere l'armonia,
intesa come quel “pacifico, tranquillo stato nel quale sappiamo che
ogni cosa è in equilibrio ed è connessa con il nostro spirito, mente e
corpo. Per essere in armonia bisogna raggiungere l'unicità con la vita,
l'eternità, il Creatore Supremo e con se stessi…. Ma l'Armonia non si
trova all'esterno né proviene da altri; nasce dal di dentro e dal Sommo
Creatore". 29

Altri valori comuni al popolo Indiano sono:


• Integrità ed Onestà
• Reciprocità come interazione tra gli esseri viventi, tra gesti e
parole in un processo di scambio
• Protezione della conoscenza e saggezza
• L'individuo sovverte i propri bisogni, diritti e desideri a quelli
della comunità
• La vita è rappresentabile mediante un cerchio, dove l'interezza
é data dall'interconnessione delle parti e dove l'individuo non
può essere compreso se separato dall'insieme del Creato
• Cooperazione e spirito di squadra

29
Carol Locust “Wounding the spirit: Discrimination and Traditional American Indian
Belief Systems ” Harvard Educational Review, pag.321–322
• Tradizioni orali
• Ogni persona è insegnante di sé stesso che degli altri,
l'apprendimento è connesso ad ogni aspetto della vita
dell'individuo
• Tutto il Creato, come gli animali, le piante, le rocce, è
insegnante
• Rispetto per gli anziani e per la saggezza
• Educazione comunitaria, ovvero educazione di tutta la
comunità attraverso lo scorrere della vita
• Democrazia partecipativa, indipendenza e libertà, equilibrate
da coraggio e responsabilità
• Silenzio, riflessione
• Ulteriori livelli di conoscenza ed apprendimento, ad esempio
attraverso i sogni e le visioni
• Generosità e carità
• Forze spirituali: forze rilevanti che governano l'Universo e dalle
quali la gente impara

Inoltre Cajete 30 descrive cinque fondamenti che sottostanno


all'educazione Nativa dalla prospettiva del popolo Pueblo: il primo è la
Comunità, seguito dal secondo, la conoscenza dei processi naturali ed
ambientali, appresa trascorrendo la vita in un luogo, comprendendolo
ed interagendo con esso; Il terzo fondamento è la visione o la
tradizione del sogno, fondata sulla consapevolezza che si acquisisce
attraverso questi momenti; il quarto principio può essere denominato
come la Mitica Tradizione della propria cultura; infine vi è una
tradizione che possiamo chiamare “ecologia spirituale”, un aspetto
comune a tutte le filosofie di vita Indigene sparse attorno al Mondo. E'
una relazione intima che la gente stabilisce con il posto, con
l'ambiente e con tutte le cose che li costituiscono o forniscono loro la
vita. 31

30
Gregory Cajete, “Look to the Mountain: An Ecology of Indigenous Education”,
Durango, CO: Kivaki Press, 1994
31
Mitchell J. Moore, “An Anglo-American Rethinks Native American Education: Can
We Avoid Yesterday’s Tragedies?”, University of Minnesota
4.2 Il significato dell’educare

Si crede comunemente che tra i nativi americani non esistesse


alcun metodo educativo per i bambini. In realtà tutte le tradizioni del
popolo indiano, inclusa l’educazione, erano ritenute essere di origine
divina e venivano scrupolosamente osservate e trasmesse di
generazione in generazione. L’essere genitore significa, in questa
cultura, crescere i propri figli a diretto contatto con la realtà nella
quale vivono, in connessione con la Natura, la comunità, la famiglia e
fondare l'educazione sulla spiritualità. La madre stessa, durante il
periodo della gravidanza, si preoccupa di scegliere uno tra i più
valorosi personaggi della sua famiglia come modello per suo figlio,
raccogliendo dalla tradizione le sue imprese; appena nato il piccolo
viene accolto da ninne nanne che parlano delle gesta di caccia e di
guerra dei suoi antenati: al nascituro viene mostrata la prospettiva di
vita, il contesto entro il quale crescere, le ambizioni alle quali aspirare
affinché la sua vita possa essere in accordo con i bisogni dell’intera
comunità. Se nasce una bambina ci si rivolge a lei come madre di
nobili stirpi.
Fondamentale è per la cultura indiana lo sviluppo armonico della
personalità dei più piccoli. I fondamenti educativi si basano sull’amore
verso il “Grande Mistero”, l’amore per la Natura, la Terra e la gente. 32 I
bambini indiani vanno a scuola nella cosiddetta “Classe della Natura”
affinando i loro sensi attraverso il contatto diretto con l’ambiente;
infatti, come Charles Eastman ricorda, “gli Indiani possono sentire e
gustare e annusare così come ascoltare o vedere”. 33 Le madri indiane
cercano di dare ai loro piccoli “insegnamenti spirituali”, prima in modo
“sussurrato”, poi attraverso la saggezza di alcune canzoni e
filastrocche. Il nuovo arrivato viene prima di tutto presentato alla
nonna, che lo posiziona nella culla; successivamente la seconda
nonna lo prende e lo porta a fare una passeggiata: “tu devi venire con
me”, ella dice, “noi dobbiamo andare tra gli alberi, tuoi padri e madri,
ed ascoltarli parlare con le loro centinaia di lingue, cosicché tu potrai
conoscere il loro linguaggio per sempre”. Così il bambino cresce in
accordo con le credenze e le pratiche dell’uomo indiano. 34
Si nota che da subito viene ricercato il contatto con lo spirito della
Natura, in modo che sia sempre la guida per il cammino che il piccolo
dovrà compiere crescendo. Non appena la madre regge tra le sue
braccia il piccolo comincia ad insegnargli come vivere la relazione con
l’ambiente: “nel modo più naturale, il più semplice, ella stabilizza i
sensi del suo bimbo sulla relazione vitale con il Non-visto, dietro al

32
Eastman C. A., Indian Boyhood, New York, Dover pubblications Inc., 1971, pag.184.
33
Idem, pag. 185.
34
Eastman C. A., Old Indian Days, Fenwin Press Books, 1970, p. 171.
quale il Tutto è come se fosse il Nulla”. 35 Vuole che il suo piccolo
“Senta, ascolti gli uccelli che cantano per lui, la propria voce nel
fragore di una cascata, il sussurro degli alberi”, vuole che entri nella
“Scuola della Creazione” ricercando la saggezza nei comportamenti
manifestati da tutte le creature viventi.
Sebbene l’educazione dei bambini sia focalizzata su creature
facilmente osservabili e su abilità pratiche, il fine ultimo
dell’educazione è spirituale. I nativi americani cercano di far entrare i
loro piccoli nel mondo invisibile attraverso l’aiuto di cose visibili; gli
sforzi della madre e delle nonne sono pregni di senso spirituale e
religioso. Ai piccoli vengono tramandate tutte le tradizioni e le regole
del popolo indiano, che dovranno fungere da guida: impareranno
osservando il comportamento di tutti gli esseri viventi, dai più piccoli,
come gli insetti, ai più grandi, cercando di capire come si sono potuti
adattare sinergicamente all’ambiente di vita. Così facendo imparano a
distinguere gli uccelli, con intensità emozionale e paziente devozione,
fino a che “gli sembrerà di sentire il cuore universale della Madre
Terra battere nel proprio respiro”. 36 In questo modo sviluppano
naturalmente l’attitudine alla preghiera e alla riverenza nei confronti
delle “Potenze della Natura”. Il popolo Indiano crede che ci sia un
sangue comune che unisce tutte le creature viventi, che l’uragano sia
per il piccolo il messaggero del “Grande Mistero”. 37
Nella cultura nativa, solitamente la nonna dava al piccolo un “nome
spirituale”: guardava le sue caratteristiche personali, i suoi attributi e
quello che gli piaceva fare, aspettava poi la visione di un animale ed
univa il nome all’aggettivo. E’ importante che il nome rappresenti il
piccolo in un momento od in un azione nella quale egli rivela la sua
personalità più profonda. Nei “nomi spirituali” è espressa un’azione o
una caratteristica della persona (Orso in piedi, Toro seduto, Cavallo
pazzo); questo serve a ricordargli che per sentirsi realizzata deve
esprimere la sua natura. Dare al bambino un “nome spirituale” ha
quattro funzioni: in primo luogo lo distingue da tutti gli altri membri
della famiglia e della tribù, inoltre un bambino che riconosce il suo
nome ha un forte senso del sé e sa che questa unicità gli viene
riconosciuta da tutti membri della tribù e soprattutto dagli anziani: in
secondo luogo gli conferisce un senso di appartenenza a qualcosa più
grande di lui, questo nome cresce con sé e dentro di sé e ciò
attribuisce un senso di responsabilità verso sé stesso e verso gli altri,
perché deve essere all’altezza di quel nome e del proposito da
svolgere; in terzo luogo fornisce un significato ed una direzione da

35
Eastman C. A.,Educations without books, The craftsman, 1912, p. 372.
36
Eastman C. A., Old Indian Days, Fenwin Press Books, 1970, p. 33.
37
Idem. Pag. 34.
prendere, nella natura di quel nome ci sono i semi del suo risveglio,
della sua identità, che significa appartenere e contribuire all’Insieme;
infine è una forma di auto-mantenimento che lo radica alla Madre
Terra. Nel corso della vita un Indiano può avere anche più “nomi
spirituali”.
Fin dal momento in cui incomincia a camminare il bimbo,
costantemente a contatto con un adulto (in genere la madre), può
scorrazzare liberamente per la tribù e si rivolge alla maggior parte
degli adulti che incontra, in particolare le sorelle e i fratelli della vera
madre e del vero padre, chiamandoli “madre” e “padre”. I bambini
vengono trattati con amore da tutti nella tribù, perché non esiste nella
cultura nativa il concetto di “figlio di qualcun'altro”, ogni piccolo è
considerato essere un dono del Creatore e tutti i membri della
comunità condividono con gioia la responsabilità di educarli. Per i
bambini le relazioni con i membri della famiglia estesa sono una
componente fondamentale per apprendere come vivere la vita nel
modo più opportuno; gli zii ed i nonni, sono mentori che guidano i
bambini attraverso le cerimonie religiose, le leggende e le storie che
appartengono alla tribù.
Orso In Piedi, dei Sioux, racconta che nella tribù dei Lakota tutti
erano molto disponibili ad occuparsi dei bambini. Un bimbo non
apparteneva solo alla sua famiglia, era figlio di tutto il clan. Appena
era in grado di camminare, poteva muoversi in tutto l’accampamento
come se fosse stato a casa sua, perché tutti si sentivano suoi parenti.
Nessuno sculaccia o punisce fisicamente i piccoli perché una
credenza indiana dice che se un bambino è colpito il suo spirito può
rompersi. Le punizioni per i disobbedienti consistono nel saltare un
pasto. In alcune tribù i genitori per spaventare i piccoli disobbedienti
raccontano storie riguardanti una vecchia strega che vuole punirli. I
nativi americani credono molto nella disciplina: la differenza tra
punizione e disciplina sta nel fatto che la prima cerca di insegnare un
comportamento attraverso una coercizione emozionale o attraverso la
forza fisica, mentre la disciplina fa uso della saggezza per insegnare
dei valori che mostrino al bambino come poter fare scelte corrette e
consapevoli da solo. Gli Indiani si sforzavano di insegnare
l’autodisciplina, riconoscendo al piccolo l’abilità di governarsi e
crescere autonomamente.
Un capo Crow, Molti Colpi, parlando della sua infanzia disse:
“...Coloro che si occupavano della nostra educazione (nonni, padri,
zii) erano attenti, scrupolosi e pazienti. Lodavano sempre una buona
azione, ma contemporaneamente evitavano qualsiasi commento che
avrebbe scoraggiato un giovane più lento nell'apprendimento. Un gio-
vane che falliva o non riusciva in un compito aveva il doppio delle loro
attenzioni e questo fino a quando non avesse sviluppato appieno le
sue capacità e raggiunto lo sviluppo completo dei suoi talenti”.
Attraverso queste parole possiamo capire come l'insegnamento
fosse personalizzato ed adattato alle capacità ed allo stile di
apprendimento di ogni bambino; la conoscenza non viene intesa
come la trasmissione e l'acquisizione di nozioni ma come il processo
stesso della vita, il quale deve essere vissuto per essere assorbito e
compreso. In questo modo i piccoli possono conoscere le proprie
caratteristiche e capacità, la loro forza ed i loro punti deboli, i propri
limiti ed interessi per essere in grado di sviluppare la loro autostima e
visione di sé. Sia la conoscenza di sé che la trasmissione di
insegnamenti sono fondamentali per il processo di apprendimento e
nessuno può effettivamente capire il proprio scopo di vita senza averli
appresi entrambi. Infatti il popolo indiano considera l’uomo come
essere il più umile tra tutte le creature perché nato “senza direzione”;
per poter trovare la propria via esistenziale l’uomo deve conoscere la
propria natura. A discapito degli animali, che sanno sempre chi sono
e come agire seguendo l’istinto, gli uomini capiscono realmente chi
sono e quale è il loro ruolo all’interno della società attraverso un
percorso spirituale di scoperta della propria personalità seguendo il
cuore; per questo coloro che si prendono cura dei piccoli, ascoltando
ed osservando attentamente quello che amano fare, seguendo le
personali inclinazioni, li aiutano a sviluppare la propria Visione della
vita. Se ciò non avvenisse il bambino non avrebbe una reale
conoscenza di sé stesso e svilupperebbe un senso di vuoto che lo
condizionerebbe in ogni situazione.

4.3 Giochi, imitazioni ed educazione

Tutti i giochi e le danze del popolo Indiano si muovono al ritmo


della creazione, seguono le pulsazioni della Terra; mentre nella
nostra società la competitività dilaga e s’impone sempre più come
modello richiesto agli adolescenti per trovare un posto nel mondo, nei
giochi indiani “nessuno voleva essere il più forte e anche se
gareggiavamo, nei nostri giochi non c’era un vincitore”. 38 Il bambino
osserva la vita del suo popolo; nei giochi i bambini cercano di imitare
le gesta dei loro padri, sperimentando le attività in cui li vedevano
occupati. Giochi e divertimenti sono plasmati sui costumi del loro
popolo ed i bimbi fanno le prove di ciò che sarà la loro vita da adulti:
prodezze con arco e frecce, corse a piedi ed a cavallo, lotte e gare di
abilità, gesta di caccia e di guerra, nonché imitazione di alcuni
passaggi rituali delle cerimonie importanti. I compagni di giochi sono
numerosi: fratelli, sorelle, cugini naturali o acquisiti. Attraverso i
giochi e l’imitazione si acquistano presto virtù come il coraggio, la

38
Bairo L., Milano G., Mi hanno allevato gli Indiani, Edizioni Sonda, 2003, p. 25.
forza fisica e tutte quelle abilità necessarie per l’ingresso nella
comunità come adulto.
È sempre Orso In Piedi che parla: “Se mio padre voleva
insegnarmi qualcosa usava gli stessi metodi di mia madre. Non
diceva: Devi fare questa cosa o quest’altra. Ma mentre era occupato
in un lavoro mi diceva: Figlio, quando un giorno sarai un uomo lo farai
nello stesso modo…”
Il metodo educativo è dunque l’esempio, applicato sempre con
grande rispetto nei riguardi del piccolo essere umano che si ha
davanti: difficilmente si arriva a percosse o coercizioni; lentamente,
con pazienza, rispettando i tempi del bambino, lo si abitua alla sua
futura vita da adulto. Giorno dopo giorno, osservando e partecipando
in prima persona a tutte le attività della tribù (cerimonie, feste, ma
anche ogni aspetto della vita quotidiana), i piccoli crescono: le
bambine imparano dalle altre donne come conservare la carne e
cucinarla, come trattare la pelle e cucirla, quali radici o bacche
raccogliere nel bosco, come seminare e coltivare; i bambini osservano
gli uomini mentre si preparavano per la caccia, imparano quale legno
utilizzare per l’arco e le trappole, come costruire frecce o canoe. I
bambini mettono in scena battaglie con i loro amici che sembrano
molto vicine alla realtà: le frecce volanti sono sì senza punta ma
producono dolore, così come le palle di fango. Presso i Navaho ogni
bambino ha una pecora di sua proprietà che deve accudire, anche se
nel recinto insieme con le altre della tribù. Tutti imparano canzoni e
danze, ascoltano le storie e i miti della tribù che gli adulti non si
stancano mai di raccontare. La validità e attualità di questa sapienza
raccontata è garantita da un ambiente che cambia lentamente: i figli
possono concretamente vivere come vivevano i loro antenati. La
mancanza di libri non viene vista come aspetto negativo perché così
facendo la memoria si allena ad immagazzinare molte più informazioni
riguardo al loro mondo.
Per i popoli nativi ogni cosa nella Natura insegna, i bambini
studiano attentamente attraverso il “Testo Sacro”, la Natura, tramite
l'analisi dei comportamenti degli animali così come noi li studiamo sui
libri. 39
Vivere a stretto contatto con l’ambiente dà al popolo Indiano la
possibilità di poterla studiare e conoscere: “nell’infinito laboratorio
della Natura, ci sono infiniti segreti da scoprire” e nonostante non
abbiano scuole scientifiche essi meticolosamente osservano e
capiscono i processi naturali della Terra. I genitori insegnano come
riprodurre i suoni ed i versi dalle bestie selvatiche: il bambino diventa
così bravo nell’imitazione che non solo inganna l’orecchio umano ma
anche quello degli stessi animali. Gli Indiani coltivano una profonda

39
Idem. p. 134
saggezza ecologica perché sono “gli unici uomini che accettano le
cose naturali come lezioni in sé, date direttamente dal Grande
Creatore”. 40
Come afferma George Bird Grinnell, studioso della cultura indiana:
“la vita dell'Indiano si svolge all’aria aperta ed in stretto contatto con
la Natura, tracciando il suo sostentamento dalla Terra e dalle creature
viventi. Egli è parte della Natura e meglio di nessun altro la conosce:
nulla sfugge al suo occhio. Egli legge i segni del cielo e della terra, i
movimenti degli animali e degli uccelli e conoscendo il significato di
ogni cosa, agisce in base a quello che queste gli hanno suggerito”. 41

Nel popolo indiano si ritrovano quindi alcuni elementi educativi che


vengono tramandati sin dall’origine della loro cultura e che sono di
particolare importanza; uno di questi è appunto lo sviluppo
dell’osservazione, un indiano deve imparare fin dai primi anni di vita
ad essere vigile in quanto vive in un mondo di pericoli che lo costringe
ad essere sempre all’erta. La vita di un nativo dipende dalla sua
velocità di percezione dei pericoli che spesso vengono letti attraverso
l’osservazione di tutti quei segni inusuali ritrovabili nell'ambiente di
vita: egli vive a contatto stretto con la Natura, la terra ed il cielo sono i
suoi libri di testo per leggere ed interpretare l’ambiente nel quale vive.
Egli ha la capacità di capire le nuvole, i raggi del sole, il soffio del
vento; nessun evento atmosferico sfugge alla sua attenzione.
L'Indiano, come cacciatore e guerriero, si accorge lungo il suo
percorso di ogni minimo segnale lasciato dall'uomo o dall'animale; il
ramo piegato di un albero, un arbusto spezzato, forniscono al bambino
della foresta una quantità di informazioni che il suo fratello civilizzato
non può neanche immaginare: “la sua conoscenza delle abitudini degli
animali è vastissima. La scaltrezza della trappola, con la quale egli
cattura gli animali, potrebbe suscitare l’applauso di Ulisse; la
chiarezza ed acutezza della loro visione primeggia rispetto a quella di
più vecchi marinai; la finezza del loro orecchio non è eguagliata da
quella del cervo”. 42
La crescita del bambino è segnata dalla necessità di sviluppare in
lui un carattere formato attraverso la vita nella Natura selvaggia,
seguendo i principi morali e l’attenta osservazione delle sue leggi per
poter vivere in accordo con lei; fondamentale è quindi l’adattamento,
l’armonizzazione perfetta all’ambiente, capita spesso che a fine

40
Eastman C. A., Indian Scout Craft and Lore, New York, Dover Pubblications Inc.,
1974, p.2.
41
Tratto da Cornell Gorge L., “The influence of Native Americans on Modern
Conservationist”, The Environmental Review, 9 (Inverno 1985), p. 11.
42
McMaster’s History of the People of the United States, vol. 1, p. 6.
giornata la famiglia interroghi il bambino su quello che ha osservato e
imparato. Inoltre, attraverso l’osservazione della Natura, nella sua
moltitudine di forme e situazioni, gli Indiani sono convinti di capire
meglio le caratteristiche della personalità umana e l’ordine delle cose,
fino ad arrivare alla trascendenza.

4.4 Storytelling

La tradizione orale di “raccontare storie” è una caratteristica


comune di ogni cultura Indiana. Le storie, intese come strumento
pedagogico, erano e sono trasmesse per specifici propositi educativi e
per rinvigorire la storia della propria cultura. Ogni indiano ha il
compito di trasmettere e preservare le leggende dei suoi antenati e
del suo popolo: quasi ogni sera un mito, una storia reale narrante
qualche gesta o impresa straordinaria passata, viene trasmessa dal
genitore o dai nonni mentre il bambino attentamente ascolta, la sera
seguente si chiede al piccolo di ripeterla; la famiglia diventa così il
suo pubblico che può a seconda dei casi criticarlo od applaudirlo.
Questo è utile al bambino come esercizio mnemonico e serve a fargli
capire quanto le tradizioni rappresentino qualcosa di prezioso da
salvaguardare, preservare e trattare con cura.
Per i Nativi Americani lo “stare attorno al fuoco” è come essere a
scuola: attorno al fuoco si tengono molte cerimonie e durante le
lunghe serate adulti e giovani si siedono insieme e ricevono
informazioni dagli anziani patriarchi della tribù. Questo avviene
soprattutto in inverno, in quanto estate vi sono altre attività legate alla
gestione dei campi. In ogni villaggio ci sono anziani che, attraverso
una lunga pratica, sono diventati eccellenti cantastorie: seduti in
cerchio su pelli e coperte sparse per terra, in tende senza finestre e
con le pareti spoglie, ad eccezione di alcune armi ed utensili appesi,
tutti riuniti, bambini, giovani, adulti ed anziani ascoltano le storie che
il loro popolo ha tramandato di generazione in generazione. Gli allievi
non sono classificati in base all’età e gli anziani cantastorie, variando
il tono della voce, suggeriscono una sorta di filosofia domestica: il
linguaggio diviene mistico e sognante parlando dell’origine delle cose,
del miracolo della Natura, dei miti, dei venti e delle nuvole, delle stelle
e della neve, delle stagioni, delle cose piccole e delle cose grandi,
dell’astratto e del concreto; poi il tema del racconto cambia ed il
sangue degli ascoltatori si rimescola, non appena il saggio parla con
linguaggio semplice ed appassionato delle storie di guerra con i
temuti nemici; infine viene fatta una riflessione sulle sofferenze e le
privazioni subite dai loro antenati. Un’altra sera l’argomento può
essere l’origine della terra, del cielo, la nascita dell’uomo, il loro primo
apparire sulla terra, la ragione della loro venuta, la genesi dei loro
costumi, degli atteggiamenti e delle religioni.

“E racconti noi citiamo vicini alla fiamma della sera

di come la terra fu creata e di come le tribù sorsero dal mondo


sottostante,

per il popolo della pianura e della radura,


le storie risuoneranno attorno ai nostri focolari,

fino a che l’ultimo scintillio si dissolverà;

e dei due giovani immortali,


i gemelli del sole,
che verso est hanno condotto le loro incerte tribù
per cercare dove il mattino ha inizio,
per ottenere le terre stabili e centrali,
e per evitare le tremanti frontiere;
e di Pò-shai-an-k’ya, il Signore,
che c’insegna a non perderci mai,
e dice che colui che castiga un uomo
avrà il cuore livido.
La Terra e gli Dei ci hanno insegnato,
dai pendii fino alla pianura,
e dai ruscelli che cadono dalle montagne innevate,
a custodire e far tesoro della volontà;
e di come seguire le tracce del glorioso Sole,
da Nord a Sud fino alla sua porta;
e avanti, fino a che la vita carnale ha fine,
lasciando in libera l’anima imprigionata” 43

Di nuovo il monologo prosegue piacevolmente raccontando storie


di animali familiari, in particolare il coniglio, il coyote, l’orso, l’antilope,
il topo, il serpente, la gazza, il picchio, l’aquila, il rospo, riguardo le
loro caratteristiche quali arguzia, saggezza, viltà, ambizione,

43
Proctor, The Song of the Ancient People.
sincerità, inganno, coraggio, stoltezza, accidia, rapidità, curiosità,
amore e odio. Una storia divertente, una innocente annotazione, uno
scherzo simpatico fanno risuonare le pareti della tenda con sincere
risate. Vi è un modo semplice e spontaneo di vivere la felicità che
ricorda l’esuberanza della gioventù: tutti, compresi gli anziani, hanno
le caratteristiche predominanti dei bambini.
Il linguaggio degli Indiani è generalmente figurativo, tratto dalla
realtà suggestiva che li circonda, proprio perché non hanno modelli
classici dai quali prendere in prestito metafore. Gli abbellimenti
linguistici provengono dalla descrizione minuziosa della Natura: le
montagne diventano così rugose, le caverne scure, le nuvole
galleggianti, le tempeste timorose, il sole abbagliante.
In aggiunta a questa metodologia informale di insegnare c’è un
tipo di conoscenza che viene tramandata per motivi speciali. Presso il
popolo indiano ci sono tradizioni sacre che devono essere conservate
e trasmesse dagli anziani ai più giovani con precisione di linguaggio;
un certo numero di ragazzi viene perciò scelto fra tutti i giovani del
villaggio per tramandare questo sapere, che deve essere imparato
parola per parola dalle labbra dell’insegnante. Nella tribù dei Taos, il
dovere degli anziani è quello di impartire questo tipo di conoscenze
ad alcuni giovani selezionati in base all’età ed alle capacità. Gli Zunis
hanno ad esempio un poema epico, una sorta di Iliade, una bibbia
primitiva in versi che viene tramandata da tempi remoti e trasmessa
attraverso la comunicazione orale di generazione in generazione;
questo testo sacro è pubblicamente recitato in rare ma regolari
occasioni: è diviso in quattro parti, che corrispondono ai quattro libri,
ed ogni parte è divisa in quattro capitoli. L’intera recita dura due
lunghe serate, è in una rima perfetta, ritmata ed altamente poetica.
Quando Mr Gushing arrivò dagli Zufii, la recita del loro testo sacro
era stata ufficialmente affidata ad un vecchio cieco con capelli
bianchi, un vero Omero nativo; egli fu sostenuto dal pubblico fino alla
morte e la successione fu affidata ad uno dei quattro giovani che
aveva addestrato. Di volta in volti il prescelto istruisce giovani
selezionati e qualificati per la massima fiducia e per il lignaggio. 44
La tradizione, la mitologia e la storia dell’uomo, viene quindi
mantenuta con fede e tramandata attraverso il tempo.
Anche le canzoni cantate dai bambini celebrano le diverse
caratteristiche degli animali, così come i più appropriati metodi di
caccia e sopravvivenza. La storia del loro popolo, attraverso le
canzoni e le storie, entra così nelle menti dei più piccoli.

44
Sylvester Baxter, Harper’s Magazine, vol. XV, p.76.
4.5 Attività dei piccoli

I bambini fino a 5 o 6 anni stanno con le donne tutto il giorno,


aiutandole a raccogliere frutta selvatica, legna per il fuoco, acqua. I
bambini dai 6 agli 11 anni vengono divisi in gruppi di maschi e
femmine ed ogni gruppo segue le attività che si confanno al proprio
sesso. Le ragazze imparano a raccogliere il cibo, a cucinarlo, ma
anche a cavalcare e prendersi cura dei cavalli. Le bimbe Salish
costruiscono case gioco e piccole trappole per salmoni nei torrenti,
imparano abilità manuali dalle donne più anziane come il prendersi
cura del pellame degli animali, decorare la tenda, tessere e ricamare
vestiti, intrecciare ceste per la loro famiglia. Le ragazze si dedicano
anche all’attività fisica per sviluppare forza e velocità: fanno gare di
nuoto e di corsa, cavalcano cavalli e giocano con la palla; inoltre
imparano a catturare pesci ed intrappolare piccoli animali assieme al
padre. I bambini imparano a pescare e cacciare, giocano con piccole
lance, archi e frecce, imparano a cavalcare i cavalli: ciò che riescono
a catturare viene portato in famiglia e condiviso dall’intero villaggio.
Per irrobustire e rinforzare il loro corpo devono fare bagni ghiacciati e
sottoporsi a prove di resistenza.

4.6 La pubertà

L’ingresso nella società avviene attraverso cerimonie nelle quali i


noviziati diventano membri della tribù a tutti gli effetti, con doveri,
diritti e privilegi, trovandosi sotto la diretta protezione delle divinità
tribali; queste cerimonie di iniziazione, legate a rigidi rituali fissati
nella memoria collettiva del popolo, sono considerate necessarie e
sacre. Le cerimonie ed i riti di passaggio dall'infanzia alla pubertà
(avvenimenti che coinvolgevano tutta la tribù e venivano celebrati con
feste che potevano durare giorni e giorni) sono eventi critici per i
giovani nativi: queste occasioni offrono l'opportunità di istruire i
ragazzi su conoscenze culturali specifiche, come richiesto dal nuovo
ruolo acquisito, ma anche su compiti quotidiani che riflettono le
attività dei più grandi.
Alle ragazze, giunte alla pubertà, vengono affidati compiti precisi
nell’ambito domestico, mentre i ragazzi sono spronati a mostrare
coraggio e forza fisica superando prove di resistenza al dolore a volte
estremamente dure. La resistenza fisica è una delle caratteristiche
principali della formazione di un Indiano; il giovane deve resistere
camminando per giorni senza sosta, sprovvisto di cibo ed d'acqua.
Egli deve essere in grado di resistere ad atroci dolori ed alla tortura.
Starr riferisce riguardo ai Creek che i ragazzi potevano nuotare in
acque gelide; erano escoriati con oggetti taglienti o con denti di pesce
dalla testa ai piedi fino a che il sangue fuoriusciva. Tutte queste
pratiche erano designate per insegnar loro la resistenza al dolore.

Riguardo alla formazione dei giovani in California, Bancroft parla


della seguente dura pratica: “un giovane per diventare un guerriero
doveva prima sottoporsi ad un severo calvario; il suo corpo nudo
veniva battuto da ortiche pungenti fino a che egli non era più capace
di muoversi; poi il suo corpo veniva posizionato sopra il nido di una
specie di formica virulenta mentre i suoi amici le irritavano con dei
bastoncini. Le formiche infuriate si gettavano sopra ogni parte del
corpo, negli occhi, nelle orecchie, nel naso, nella bocca provocando
un indescrivibile dolore”. 45

Ricordiamo come lo stile di vita degli Indiani favorisca lo spirito di


amicizia: essi hanno spesso preferito coltivare il loro campo e
cacciare, impegnarsi in innocui passatempi piuttosto che percorre il
sentiero di guerra, anche se si sono comunque allenati ad essere
coraggiosi avendo il dovere di difendere le loro terre, case e bambini.
Gli Indiani hanno costruito e continuano a costruire un rigido
sistema di allenamento fisico, un codice sociale e morale che diviene
legge per l’intera vita: attraverso una dieta appropriata, basata su due
pasti giornalieri al mattino e alla sera, associata ad attività fisiche, il
ragazzo sviluppa un equilibrio fisico e morale adatto alla vita alla
quale è chiamato; egli, come è usuale nella tradizione guerriera, deve
essere in grado di non cibarsi e bere per due o tre giorni senza segni
di debolezza, così come correre per un giorno e una notte senza
fermarsi. Nei popoli nativi è uso, nel passaggio dalla giovinezza
all’età adulta, far passare ai giovani un periodo di tempo in solitudine
a contatto diretto con la Natura selvaggia: questo fa sì che il ragazzo,
immergendosi completamente nell’ambiente, vi si connetta
sviluppando un senso di identità forte, completo e maturo; visioni ed
animali appaiono di aiuto nel cammino di purificazione e maturazione
del giovane, tali animali fungeranno da consiglieri ai quali rivolgersi
nel momento del bisogno.
Il corteggiamento tra i giovani in molte tribù viene spesso favorito
lasciando completamente liberi i ragazzi di frequentarsi, anche se,
soprattutto in passato, molti matrimoni erano accordati dalle famiglie
o dalle tribù; ragazzi e ragazze erano pronti per essere maritati a 15
anni.

45
Native Races, Vol.1, pag. 414.
4.7 Il rispetto

I bambini Indiani imparano a dormire serenamente e svegliarsi


presto. Ad essi viene insegnato il silenzio ed il rispetto, virtù
essenziali per divenire buoni cacciatori e guerrieri, ma anche virtù
fondamentali per sviluppare l’autocontrollo e la pazienza. 46 Questo
non significa che non vi siano occasioni di forte ilarità, ma la regola è
essere seri e comportarsi con decoro. Non è permesso ai piccoli di
partecipare alle discussioni e parlare in presenza degli adulti
disturbandoli. Il rispetto è inteso anche nei confronti del Pianeta;
l'armonia, l'equilibrio e la bellezza sono considerate essere
caratteristiche essenziali per la sopravvivenza della Terra e vengono
espresse attraverso preghiere che sono offerte a tutto il Creato,
compreso l'uomo gli animali, l'insetto, le piante, il minerale ed ogni
elemento della Natura. Per gli Indiani anche attraverso un processo di
pensiero e di concettualizzazione è possibile creare un ambiente
positivo.
Il rispetto, sia verso l’ambiente che nei rapporti sociali rappresenta
una virtù fondamentale per un Indiano: “E per quanto riguarda il
rispetto? La fiducia è ciò che la persona nativa tradizionalista sente,
mentre il rispetto è il modo in cui esprime quel sentimento a tutta la
Creazione.
La maggior parte delle persone è d’accordo nel riconoscere il
rispetto come una buona cosa. Ma non sono d’accordo su come
insegnarlo. Il rispetto non s’insegna con la coercizione. Non puoi
esigere il rispetto. Se lo esigi, ciò che otterrai non sarà rispetto, ma
paura, sottomissione o ribellione malcelata.
E allora come puoi infondere il rispetto nei tuoi figli? Al pari della
fiducia e della curiosità, il rispetto viene da dentro. Se vuoi che tuo
figlio rispetti gli altri, devi mostrare rispetto a tuo figlio, al tuo partner,
ai tuoi genitori a tutti i tuoi parenti e amici.. Il rispetto è un valore
personale. I valori non possono essere insegnati in conferenze,
oppure tramite ricompense e punizioni. Si possono insegnare soltanto
tramite l’esempio.
Vivere in conformità delle Leggi della Natura permette loro di
47
imparare”.
Si devono rispettare gli adulti ed in particolare gli anziani che sono
considerati essere al gradino più alto di importanza nella tribù, perché
giocano un ruolo fondamentale come insegnanti delle tradizioni, delle
conoscenze acquisite e della saggezza del loro popolo. ll ruolo svolto
dagli anziani delle tribù è particolarmente importante in questo senso,

46
Eastman C. A., Indian Boyhood, New York, Dover pubblications. Inc, 1971, p.164.
Ohijesea “Infanzia Indiana” , Tranchida Editori, 1993.
47
Manitonquat, Ritorno alla creazione, Urra Edizioni, Milano, 2006.
perché sono responsabili della trasmissione delle tradizioni culturali
della comunità, sono i custodi delle esperienze e della saggezza
tribale e vengono sempre presi in causa per fornire pareri e prendere
parte al processo decisionale. Molti, se non tutti i leader politici
dipendono da questi saggi che vengono consultati per ogni sorta di
decisioni.
Ricorda Henry Vecchio Coyote, della tribù dei Crow che le
ninnenanne del suo popolo sono state tramandate di generazione in
generazione e ancora oggi vengono cantate. Molte raccontano di
animali che si occupano affettuosamente dei loro piccoli, altre
descrivono la terra d'origine del suo popolo e quella in cui vivevano.
Attraverso queste canzoni si vuole insegnare ai bambini soprattutto
una cosa: profondo rispetto. Profondo rispetto e grande attenzione
per tutto il Creato. Poiché solo quando avranno imparato a rispettare
gli altri potranno avere rispetto per sé stessi, solo così otterranno il
rispetto degli altri. Per i Crow il rispetto di sé è una cosa importante,
viene coltivato e sostenuto. Una persona non può vivere senza avere
rispetto per se stessa.
I bambini indiani non sono mai viziati, mai disubbidienti, mai
rissosi; i genitori non sono mai duri e nessuno manca di rispetto
all’anzianità. Sin dai primi giorni di vita al bambino viene insegnato a
conoscere e capire l’influenza dei pensieri dei suoi antenati: viene
iniziato a innumerevoli precetti e storie ripetute come lezioni di
morale, gli vengono raccontate esperienze dalle quali egli impara
regole di condotta. Il pericolo si annida in ogni dove e per evitarlo il
bambino dev’essere assolutamente obbediente ai comandi ed alle
raccomandazioni dei suoi genitori. Occasionalmente, come
precauzione contro il lassismo nei comportamenti dei bambini,
possono venire adottati alcuni metodi “crudi”: i membri del villaggio
indossano maschere spaventose e terribili e svegliano in mezzo alla
notte i bambini spaventandoli con minacce di punizioni.

4.8 Il ringraziamento

Non appena i bambini cominciano a divenire ragazzi e riescono a


procurarsi della selvaggina, la famiglia, in particolare il padre, ricorda
al ragazzo di ringraziare il Grande Spirito attraverso il quale egli ha
potuto procurare il cibo per la comunità. Attraverso una festa
sacrificale, il ragazzo deve donare al Grande Mistero la cosa che gli è
più cara.

Come ricordano le parole della nonna di C. Eastman riguardo al


suo passato: “Con quest’offerta ti rivolgerai a colui che ti osserva dalla
creazione intera. Nel vento lo ascolti mentre ti sussurra qualcosa. Egli
lancia il suo grido di guerra del tuono. Di giorno ti guarda con il suo
occhio, il sole; di notte, veglia sul tuo volto addormentato tramite la
luna. In breve, è il Mistero dei Misteri che controlla ogni cosa, colui al
quale tu fai quest’offerta. Con questo gesto gli chiederai di concedesi
come ha concesso a pochi uomini. So che tu desideri essere un
grande guerriero ed un bravo cacciatore. Non sono preparata a
vedere il mio Hakadah mostrare codardia, perché l’amore per il
possesso è una caratteristica delle donne, non dei valorosi”. 48

Separarsi dai beni materiali ma anche dagli affetti più cari per
forgiare un carattere forte e maturo, pronto ad affrontare le difficoltà
della vita, è un sacrificio che i giovani indiani devono accettare. I
bambini indiani non sono abituati a vivere in modo pianificato
artificialmente, ma seguendo il ritmo della Natura, privandosi anche di
un pasto se questa non ne offre la possibilità. Questo “dipendere”
dalla Natura rafforza il carattere dei piccoli e li rende grati verso il
Creato al quale è strettamente legata la loro sopravvivenza; infatti,
come ricorda C. Eastman “C’erano periodi di abbondanza e periodi di
privazioni”, e ancora: “Non si pianificava molto il futuro, i cibi sono
figli della Natura e da Lei dipendono in tutto e per tutto, ma anche nei
periodi di abbondanza si osservava fare un pò di digiuno, sia per la
salute fisica e sia per preparare il corpo agli sforzi straordinari ai quali
poteva, in ogni momento, essergli richiesto di sottostare”. 49

4.9 La gradualità del sapere

E’ ancora una volta la voce della nonna di Charles Eastman che ci


aiuta a riflettere su uno dei caratteri, a nostro parere dei più
significativi, del metodo educativo del popolo indiano: “Il Grande
Mistero non vuole che noi scopriamo le cose troppo facilmente. In tal
caso chiunque sarebbe in grado di operare con le cose sacre e
Ohiyesa deve imparare che vi sono numerosi segreti che il Grande
Spirito rivela solo ai più meritevoli. Solo coloro che lo cercano
digiunando ed in solitudine riceveranno i suoi segni. […..] Un giorno
Ohiyesa sarà cresciuto abbastanza per conoscere i sacri segreti della
medicina; allora gli svelerò tutto.”
Verrebbe da dire “ogni cosa a suo tempo”; la conoscenza ed il
sapere hanno bisogno di tempo per essere assimilati, digeriti e fatti
propri dal bambino. Questa concezione graduale dell’imparare si
ricollega alla naturale concretezza della sapienza indiana: ciò che vale
la pena di imparare è ciò che serve per vivere all’interno della

48
Eastman C. A.(Ohijesea), Infanzia Indiana , Tranchida Editori, 1993, p.70-71.
49
Idem, p.23-25.
comunità terrestre “in relazione”. Non si tratta quindi di un sapere
astratto, ma di un sapere che deve essere vissuto e che coinvolge
ogni dimensione dell’uomo, compresi il corpo, le emozioni e lo spirito;
come tale si scontra con i limiti fisici e psicologici di chi vuole
imparare. Come l’acqua, che per dare benefici al terreno deve
penetrare nel suolo in modo graduale, così la sapienza di un popolo
deve essere trasmessa con costanza e pazienza, senza strappi, né
eccessi, per evitare la reazione di rigetto.
Rubem Alves esprime lo stesso concetto: ”Bisogna che
l’apprendimento sia una estensione progressiva del corpo che cresce
non solo nella sua capacità di capire, ma anche nella sua capacità di
sentire il piacere, il piacere della contemplazione della natura, il
fascino davanti ai cieli stellati, la sensibilità tattile verso le cose che ci
toccano[…] 50”.
C’è tempo per imparare i segreti della Madre Terra, ma nel
frattempo occorre sperimentare l’ambiente nel quale si vive, mettersi
in ascolto, lasciarsi coinvolgere; la saggezza indiana è lontana dal
nozionismo, dall'apprendimento contenutistico e astratto e si mostra
rispettosa nei confronti dei ritmi di crescita naturale dei bambini…c’è
un tempo per ogni cosa, anche per conoscere. Insegnare diventa
quindi uno svelare segreti custoditi nei ricordi, nei riti, negli occhi,
nelle mani degli adulti e degli anziani della tribù; conoscere è prima di
tutto desiderare, aspirare ad essere guidati in un mondo nel quale le
dimensioni naturale, culturale, pragmatica e spirituale della vita
dell’uomo sono intrinsecamente legate. Il mondo non è un insieme di
cose alle quali ci si può accostare con approcci settoriali, ma un
insieme di relazioni; comprendere un mondo complesso richiede
tempo e uno sguardo unificante, in grado di conservare il senso del
tutto, di ricondurre ogni fenomeno alla totalità di cui è espressione, di
riscoprire la profonda unità tra la vita umana e quella della natura. Ed
ecco che si ritorna all’importanza della storia e del mito: secondo
Gregory Bateson per storia si può intendere quella struttura di
pensiero che, svolgendosi nel tempo, connette i suoi protagonisti
all’interno di un contesto da cui ciò che accade riceve un significato;
solo pensando in termini di storie si può cogliere il carattere “ad
anello” dei processi della realtà fuori e dentro l’uomo.

“Tirawa (Il Grande Spirito) comandò poi al Sole e alla Luna, e alle
Stelle del Mattino e della Sera di accoppiarsi: la prima coppia generò
un figlio, l’altra una figlia. Questi bambini divini furono posti sulla
Terra, dove i poteri e le divinità insegnarono loro i segreti della
natura. La donna imparò le arti del fuoco, del discorso, del focolare,

50
R. Alves, “La scuola frammento di futuro”, in Il Giardino della Vita, Quaderni della
Fondazione Cogeme, Rovato (Bs) 2007, p.91.
della piantagione e della casa. L’uomo ricevette le armi da
guerriero, i nomi di tutti gli animali e l’arte della caccia. Stella
Luminosa insegnò all’uomo il rituale del sacrificio; egli divenne il
primo capo di tutti gli altri uomini e donne creati a cui insegnò tutto
ciò che sapeva.
Costruirono un grande campo circolare, sul modello dei cieli, a
ricordo della creazione del mondo”.
(da un mito degli indiani Pawnee)
Postfazione
Carlo Baroncelli, coordinatore scientifico ricerca

Questa ricerca è partita da una consapevolezza.


Una consapevolezza e una sfida. La consapevolezza che il modo di
vivere le relazioni interpersonali e quelle con l’ambiente tipiche di
molte popolazioni native possa avere un grande significato per l’intera
umanità e possa rappresentare un contributo fondamentale per
affrontare i problemi che affliggono il nostro pianeta. La sfida era,
invece, quella di indagare fino a che punto fosse legittimo parlare di
“educazione nativa” e di scoprire quale eventuale apporto questa
potesse offrire alla riflessione educativa contemporanea.

La passione e l’impegno del piccolo gruppo di ricerca attivato, ha


avuto come risultato questa “incursione” in un mondo culturale in gran
parte dimenticato, considerato “perdente” nella corsa della
globalizzazione, etichettato di volta in volta “selvaggio”, “ingenuo”,
“pre-scientifico”.

La scelta di concentrare il lavoro sul mondo dei nativi americani -


dettata dall’essere questi popoli, tutto sommato, ben presenti nel
nostro immaginario filmico e mediatico – ha rappresentato, proprio per
questo, un’ulteriore sfida.
La figura del “pellerossa” è infatti ricoperta da molteplici e secolari
strati di pregiudizi, travisamenti, semplificazioni, che potevano
compromettere o rendere sospetta l’operazione fin dal suo inizio.
Crediamo di poter affermare di esser riusciti, cammin facendo, a
superare almeno le insidie più macroscopiche e di non esser caduti
nei facili trabocchetti del folklore.
Pensiamo, anzi, che la ricerca qui presentata possa essere
considerata come un piccolo esercizio di intercultura, mosso dal
bisogno di andare al di là delle visioni stereotipate e dai pregiudizi
cresciuti attorno a questi popoli. Un primo piccolo, ma significativo
teso a decostruire l’immaginario che avvolge queste culture.

Questa decostruzione, anche se non esplicitamente dichiarata nella


ricerca, emerge dalla volontà di cominciare a scalfire la superficie di
una visione troppo semplificata dell’universo nativo nordamericano.
Essa prende le mosse dal tentativo di ri-scoprire il cuore nascosto di
questo universo, nella convinzione che questo cuore possa e debba
ancora parlarci, il più direttamente possibile. Cominciamo così almeno
a intravedere le profondità e le ricchezze dell’esperienza nativa. Ci
auguriamo che da questa profondità possa emergere un messaggio
che intercetti le corde nei nostri cuori, al di là del folklore e
dall’emotività effimera.

Al termine della ricerca, ci siamo accorti che, quella che avevamo


etichettato come ipotesi di lavoro, “educazione nativa” aveva una
portata ben più ampia, e forse poteva rappresentare semplicemente la
riscoperta di un’idea di educazione “umana”, il cui valore profondo era
rimasto sepolto da secoli.
Se - come da più parti ormai ci viene detto - il compito e la sfida
dell’umanità del nuovo millennio sarà quello di imparare a costruire
comunità sostenibili, comunità educative e di cura, allora il messaggio
che proviene dal mondo dei nativi potrebbe davvero rivestire un ruolo
fondamentale. Costruire comunità sostenibili significherà forse ri-
scoprire le leggi fondamentali della Natura, imparare a conoscerle e
rispettarle. Re-imparando quello che i popoli nativi conoscono e
sentono da millenni.
Gli Indiani coltivano una profonda saggezza ecologica perché – come
ci ricorda C. A. Eastman - sono “gli unici uomini che accettano le cose
naturali come lezioni in sé, date direttamente dal Grande Creatore”

La piccola – ma determinata - unità di ricerca si è scontrata fin da


subito con la scarsità (quasi assenza) di materiale disponibile in
italiano sull’argomento.
Molti testi importanti per quanto riguarda i nativi americani o i popoli
indigeni in generale esistono solo in lingua inglese, francese, tedesca
e spagnola (tutti paesi con un passato coloniale alle spalle e con una
tradizione accademica di etnologia o antropologia culturale). Gran
parte dei testi italiani sono poi dedicati alla ricostruzione storico-
politica della vicenda, aspetti che abbiamo come scelta di fondo
voluto tralasciare. Non certo per sminuirne la portata e il senso, ma
perché altra era la nostra intenzione: lasciare per un momento da
parte la rivendicazione e lo scontro, per impiegare le nostre energie
nella creazione di qualcosa di positivo e propositivo.
Da questo punto di vista, ci sentiamo di riconoscere a questo lavoro,
pur nei suoi limiti e prime approssimazioni, il pregio di rappresentare
una iniziale e originale incursione in un tema importante ma poco
rappresentato nella letteratura italiana sull’argomento.

Ringraziamenti
Vogliamo, in conclusione, esprimere un profondo ringraziamento ad
Alberto, Elisa e Laura, che hanno materialmente elaborato la ricerca,
con impegno e passione, dedicando molte ore nell’individuazione dei
testi più significativi e nella loro analisi. Senza la loro sincera
disponibilità non avremmo potuto avere tra le mani adesso questo
lavoro.
Un ulteriore caldo ringraziamento a Claude Rigodanzo che ha voluto
mettere a disposizione della ricerca le sue approfondite conoscenze e
competenze nell’ambito dei nativi americani, leggendo l’intero lavoro,
incoraggiando l’intera operazione e fornendo preziose indicazioni e
precisazioni su termini e concetti per noi nuovi.
Questo piccolo gruppo di persone – un piccolo “cerchio”, come ci ha
insegnato Manitonquat - , le cui vite si sono incrociate su un tema
ritenuto “marginale” e minoritario, ha contribuito, pensiamo, a
sostenere ed ampliare la Rete della Vita, alla quale siamo tutti
riconoscenti. Un grazie di cuore a tutti.
Bibliografia

AA.VV., La Terra, l’Uomo e l’etica della biosfera, in L’Ecologist


italiano, Libreria Editrice Fiorentina, n.2-2005, pp.233.
Questa rivista monografica è dedicata al termine simbiosi come
criterio di valutazione del livello materiale e morale di una società.
Il rapporto di simbiosi tra la comunità umana e la comunità ecologica
nella quale è inserita è, secondo gli autori di questo volume, il miglior
rapporto possibile in grado di curare le ferite della Terra, arricchire il
mondo vegetale e naturale e dare a tutti il necessario nutrimento
materiale e spirituale.
Maestri di vita in simbiosi con la natura sono i popoli tribali, le culture
indigene e i popoli vernacolari che riconoscono l’esistenza nella
natura di istruzioni intrinseche con risvolti morali delle quali le loro
tradizioni divengono portavoce.
All’interno del volume si segnalano i seguenti articoli:
ƒ Giannozzo Pucci, Presentazione alla Riv. L’Ecologist italiano (pp.
6-10)
ƒ Edward Goldsmith, Ecosistema e società. La natura come
specchio di una visione del mondo (pp. 12-14)
ƒ Piero Laureano, Proteggersi dalle catastrofi con le conoscenze
tradizionali (pp. 34-36)
ƒ Giovanni Haussmann, La terra come placenta (pp. 38-44)
ƒ Piero Laureano, Il modello dell’oasi per il pianeta Terra (pp. 86-
106)
ƒ Francesca Casella, Il diritto naturale dei Mapuche (pp. 188-191)

Alce Nero/Brown Joseph Epes, La sacra pipa, Bompiani Overlook,


2000, pp.173.
Esperienza diretta del Capo Sioux Alce Nero, che parla nel 1947
all’antropologo J.E. Brown della “sacra pipa” e di come la si usa nei
rituali. La sacra pipa ed il suo fumo sono il tramite tra l’Uomo rosso e
il Grande Spirito e sono il fondamento spirituale dei Sioux. Brown,
giovane studioso di antropologia mistica e simbologia arcaica,
incontra Alce Nero nella riserva di Pine Ridge, resta con lui otto mesi
e trascrive ciò che egli gli detta. In questo testo sono per la prima
volta rivelati i sette riti della Sacra Pipa che legano i nativi al Grande
Spirito e che sono il loro fondamento spirituale. Lo scopo per cui Alce
Nero elabora questo testo è il desiderio di aiutare la sua gente a
comprendere la grandezza e la verità delle tradizioni native e
contribuire in tal modo alla pace sulla Terra, non solo fra uomini, ma
anche in tutto il Creato. Vengono descritti i riti della purificazione, il
pianto per avere la visione, la Danza del Sole, il rito
dell’imparentamento, il passaggio da fanciulla a donna, il gioco della
palla.

Andreotti Paolo, Sentieri di carta, Soconas incomindios, 1999,


pp.149.
Dalla fine degli anni ’80 i testi apparsi in Italia sui Nativi Americani
hanno reso impellente la necessità di una bibliografia che ordinasse
un numero notevole di titoli.
Questa bibliografia riguarda esclusivamente i libri, quasi 1600 titoli,
aggiornati al febbraio 1994. Sono tutti in lingua italiana e sono stati
quasi tutti distribuiti presso le librerie.
I criteri di scelta per l’inserimento in questa bibliografia sono molto
ampi: sono stati catalogati tutti i testi interamente dedicati a ogni
aspetto storico, sociale, culturale e religioso dei nativi Americani e su
di essi, a detta dei curatori, non è stata fatta alcune cernita
pregiudiziale.
I titoli sono elencati sia in ordine alfabetico per autore, che in ordine
per argomento e la maggior parte presenta delle note esplicative che
ne chiariscono il contenuto.

Bedetti Simone, I segreti degli Indiani d’America, De Vecchi


editore, 1998, pp.207.
E’ un bel resoconto su storia, cultura, spiritualità, rapporto con la
natura, riti e pensiero ecologico degli Indiani.
E’ contenuto (p.111) un capitolo che descrive il rapporto indiano-
natura.

Opp Michael, Judie/Brown Lee/Lane Phil, Lo spirito dell’albero


sacro, Edizioni Il punto d’incontro, 1997, pp.107
Cultura e spiritualità native Carrellata sui vari aspetti della cultura
indiana; i concetti fondamentali, la Ruota della medicina e i suoi vari
elementi, i simboli, il codice etico, i punti cardinali e i relativi doni.
Corredato di ottime illustrazioni e scritto con un linguaggio semplice e
chiaro, può essere adatto come testo da usare per la formazione dei
bambini.

Capo indiano Seattle/Smith Henry, Le mie parole sono come le


stelle…, Edizioni Red!, 1996, pp.61
Si tratta di un documento storico e, in particolare, delle parole che il
Capo Seattle pronunciò nel 1853 al Governatore dello stato di
Washington, Isaac Stevens, che intendeva prendere le terre indiane e
rinchiudere gli Indiani in riserve.
E’ una grande e profonda testimonianza che spiega il legame che il
popolo indiano ha con la Terra, considerata essere sacra e incedibile,
è un elogio al suo popolo e alla sua cultura.

Cajete Gregory, Look to the Mountain: An Ecology of Indigenous


Education, Durango, CO: Kivaki Press, 1994
Un libro che descrive metodi educativi indiani e tradizioni native,
filosofia e stili di vita.
Catches Petes, Fuoco Sacro, Edizioni Il punto d’incontro, 1999,
pp.200
E’ la biografia di un Uomo di Medicina Lakota, guaritore e guida
spirituale degli Orlala, il quale descrive cosa significa e come si
diventa uomo di Medicina.
Un capitolo parla del popolo Lakota e delle sue origini. Vi è una
descrizione delle varie cerimonie sacre da lui celebrate, tra le quali la
Danza del Sole, la purificazione, la capanna sudatoria, parlare alle
pietre, il digiuno della pipa.

Chanin Michael, Nonno Quattro Venti e Luna Nascente, Edizioni Il


punto d’incontro, 1994, pp.20 (fiaba illustrata)
Fiaba sul valore del rapporto nonno-bambino e sulla saggezza nativa
nel tradurre concetti naturali con metafore facilmente assimilabili per i
più piccoli.

Curtis Edward S., Los Indios de Norteamerica, Taschen, 2005,


pp.576
E’ la collezione di fotografie più completa sui Nativi, suddivisa in XX
volumi riguardanti le varie tribù indiane. Si tratta di un ottimo
documento storico.

Deloria, V., Jr., Indian education in America, Boulder, CO:AISES,


1991
Questo libro descrive accuratamente l'educazione presso i nativi.

Dhyani Ywahoo, Voci Ancestrali, I funghi commestibili di Ellin


Selae, 1994, pp.63
Interessante parallelismo tra Buddismo e cultura Indiana: vari aspetti
culturali/spirituali sono comuni alle due culture, così come ,a molte
altre culture native.

Dyk Walter, La sapienza dei Navaho, Rusconi, 1994, pp.396


Si tratta della narrazione in prima persona, immediata e disarmante
nella sua spontaneità e chiarezza, di esperienze quotidiane che
svelano i molteplici aspetti della vita di una comunità Navaho e quindi
la cultura espressa da quel popolo, la sapienza secolare della
tradizione e i principi etici, pedagogici, economici che la sorreggono.

Eastman Charles A. (Ohiyesa), Infanzia Indiana, Tranchida Editori


Inchiostro, Milano 1993 ( trad. italiana a cura di Marco
Massignan), pp.168
Pubblicato per la prima volta nel 1902, il libro è la narrazione
autobiografica dei primi quindici anni di vita di Ohiyesa, (Charles
Eastman), un Santee Dakota che, dopo essere stato cresciuto
secondo le tradizioni della sua tribù dalla nonna e dallo zio paterni,
venne costretto a “civilizzarsi”.
La narrazione prende avvio dai primi giorni di vita nella culla di legno
di quercia e poi prosegue nella descrizione dettagliata delle
consuetudini dei bambini Dakota, delle attività quotidiane della sua
comunità, degli insegnamenti ricevuti e delle persone significative per
la sua crescita come cacciatore e come guerriero.

Erdoes Richard, Ortiz Alfonso, Miti e leggende degli Indiani


d’America, San Paolo, 1989, pp.700
Nel volume sono raccolte centocinquanta leggende provenienti da
un’ottantina di gruppi tribali, che offrono una panoramica ricca e
avvincente dei miti tramandati dai Nativi americani. Si tratta di storie
di creazione e d’amore, di eroi e di guerra, di animali, della fine del
mondo, provenienti da ogni parte del continente nordamericano.

Erdrich Louise, La casa di betulla, Feltrinelli – Il gatto nero, 1999,


pp.286
“La casa di betulla” è il racconto poetico e insieme realistico della vita
nella tribù indiana degli Ojibwa, vista con gli occhi di una sveglia
ragazzina di “sette inverni”, Omakayas. Incalzati e sospinti sempre più
a Ovest, gli Ojibwa, pur mantenendo fieramente i loro usi e costumi, e
soprattutto il loro modo di rapportarsi alla natura e agli uomini
improntato ad un’assoluta correttezza, si vedono costretti ad
affrontare svariate, micidiali avversità.
E’ un romanzo storico e un appassionato racconto di una straordinaria
quotidianità e testimonia un rapporto unico fra uomo e natura.

Galvano Fabio, Indians, Libreria UTET, 2006, pp.391


Questo libro ha la forma e il rigore di un saggio, ma è soprattutto un
tentativo di indagare, con semplicità e immediatezza giornalistica,
attraverso alcuni dei personaggi più noti e rappresentativi dei Nativi
Americani, quale fosse la realtà della loro testimonianza, al di là degli
stereotipi del “buon selvaggio” e dell’indiano feroce e sanguinario.

Geronimo, La mia storia, La città del sole, 2006, pp.179


La vita di Geronimo, capo Apache, grande combattente; attraverso le
sue parole si ripercorrono le battaglie, gli scontri tra bianchi ed
indiani, le migrazioni, la prigionia. Una parte è dedicata alla cultura
degli Apache e alla religione.
A pag.47, Geronimo parla della sua infanzia.

Hamilton Charles, Sul sentiero di guerra. Scritti e testimonianze


degli Indiani d’America, Feltrinelli, 1956, pp.340
Il libro riporta una serie di brani tratti da dichiarazioni e discorsi di
Nativi americani. Tali scritti risultano particolarmente interessanti
soprattutto nella prima parte del testo, concernente la descrizione di
abitudini, usi, costumi e usanze di alcune tribù.

Hifler Joyce Sequichie, Anima pellerossa. La voce del piccolo


grande popolo, Il Punto d’Incontro, 1995, pp.395
Si tratta di una raccolta di brani tratti dai discorsi di famosi capi
indiani: da Geronimo ad Alce Nero e a Cavallo Pazzo, oltre 120
personalità native offrono una meditazione per ogni giorno dell’anno.
Il testo offre spunti significativi per riscoprire i segreti della semplicità,
del rispetto reciproco, dell’amore per la natura e per tutte le creature.

Hopkins Sarah Winnemucca, Io, pellerossa, Donzelli, 2006, pp.235


Si tratta dell’autobiografia di Sarah Winnemucca Hopkins, nativa
americana.
Il testo offre ai lettori italiani un’occasione per fare la conoscenza di
un personaggio storico e letterario di grande interesse e per rivisitare
da una prospettiva del tutto originale quel periodo di storia dell’ovest
americano oggetto di innumerevoli trasfigurazioni mitiche. Esso è
anche uno spunto interessante per riflettere sul rapporto tra costumi,
culture e religioni diverse.

Hull Michael, La mia danza del sole, Edizioni Il punto d’incontro,


2000, pp.233
La storia di un percorso, un’evoluzione spirituale.
Un bianco americano si avvicina alla cultura indiana Lakota fino ad
entrarci spiritualmente al punto che, dopo aver danzato nella
cerimonia della danza del sole e dopo aver preso nome indiano viene
nominato capo di questa cerimonia.
Viene descritto il concetto di sacralità del popolo indiano e vengono
descritte le varie cerimonie come il fumare la pipa, la visione e la
capanna sudatoria e la danza del sole.

Lippert Dorothy, Spignesi Stephen J., Native American History for


Dummies, Wiley Publishing Inc., 2007.
Un utile ed aggiornato manuale, scritto dal supervisore all’archeologia
del Museo Nazionale di Storia Naturale Smithsonian, diviso in sei
parti nelle quali si spazia dall’origine del popolo Indiano fino ai tempi
nostri, passando per storia, tradizioni, rituali ed ogni aspetto della
cultura nativa.

Lurie Nancy, Donna lupo di montagna, Rusconi, 1996, pp.171


Il libro è l’autobiografia di un’indiana Winnebago: Mountain Wolf
Woman racconta alla ricercatrice Nancy Lurie la sua vita così come
l’avrebbe raccontata ad un pubblico indiano, senza spiegare relazioni
né usanze.
Nel testo, che è la trascrizione di un racconto orale registrato con
l’aggiunta di note esplicative da parte della curatrice, rivivono i
ricordi, le emozioni, le sensazioni di un’ umile squaw e sullo sfondo i
riti, le cerimonie, i costumi e i lavori quotidiani espressioni di un modo
di vivere semplice in armonia con la natura.
Educazione cap. 3)

Massignan Marco, La danza del sole dei Lakota, Xenia, 1996,


pp.216
Il volume descrive la Danza del Sole, la più importante manifestazione
spirituale delle nazioni native delle grandi praterie nordamericane,
con un occhio privilegiato nei confronti del popolo e della spiritualità
dei Lakota - Sioux. La Danza del Sole è un rituale di purificazione
collettiva durante il quale, attraverso il digiuno, l’autosacrificio e la
donazione di sé, i partecipanti uniscono le loro voci interiori fino a
formarne una sola e lanciarla verso il Creatore.
Si prende in esame l’origine della Danza del Sole, che viene ricercata
nei contatti con le antiche popolazioni messicane e con i loro miti
collegati alle stelle, e si delinea la sua storia presso le varie tribù che
la adottarono.

McGaa Ed Eagle Man, La spiritualità della Madre Terra. Riti di


potere e cerimonie sacre degli Indiani d’America, 2000, Il Punto
d’Incontro, pp. 272
In questo testo un Sioux Oglaga insegna al lettore a ripristinare il
perduto legame con la Madre Terra e a curarne le ferite che per molto
tempo l’gli uomini le hanno inflitto. Tra le righe si legge un messaggio
profondo e stimolante; il panorama dell’eredità spirituale dei nativi
consente di accedere al “cuore del Sentiero della Bellezza”, lungo un
viaggio capace di riportare alla Madre Universale.

Meli Franco, Fiabe dei nativi americani, 2004, Giunti, pp. 239
L’antologia rappresenta un frammento dell’immenso patrimonio di
narrazioni, miti, leggende, canti e preghiere dei nativi americani
raccolto e trascritto a partire dalla fine del XIX secolo da antropologi,
etnologi e linguisti. Il criterio di scelta dei testi ha voluto porre
l’accento su una incontrovertibile unità presente all’interno di un
ampio spettro di modalità espressive.
Il linguaggio nativo è quello di una cultura priva di scrittura, più vicino
quindi all’idea di poesia che non di posa. Si tratta di un complesso
amalgama di poesia, musica, danza e teatro con una forte impronta
magico-mitologica.
Molto forte emerge in questi brani il legame e la reciprocità dei
rapporti tra esseri umani e ambiente e l’intrecciarsi di tempo storico e
tempo mitico.

Meli Franco, Miti e leggende degli Indiani d’America, Aries-


Arcana, 1995, pp.278
Sia essa di carattere religioso o eroico, guerresco o elegiaco,
umoristico o tragico, sia che rifletta avvenimenti straordinari o
quotidiani, la letteratura indiana americana mantiene connessioni con
il mito e crea potenti risonanze di memoria collettiva che uniscono
passato e presente in segmenti espressivi particolarmente significativi
anche dal punto di vista emozionale. Ogni occasione, dalla più
solenne alla meno formale, condivisa con la comunità o vissuta in
solitudine, può essere momento per rievocare canti e narrazioni o
crearne di nuovi.

Owusu Heike, I simboli degli Indiani d’America. L’essenza della


tradizione pellerossa, Il punto d’incontro, 1999, pp.320
Il libro dà una panoramica del ricchissimo simbolismo delle tribù
indiane del Nord America. In origine, tutti i nativi facevano tutto il
possibile per mantenere ottime relazioni con la Madre Terra e tutte le
sue creature; il fine spirituale di tutte le forme religiose degli Indiani
era principalmente quello di vivere in armonia con l’universo. A questo
scopo essi si servivano di diverse forme di rituali e simboli provenienti
da tradizioni differenti.
Attraverso questa raccolta di simboli il popolo nativo parla di un
linguaggio capace di convogliare potenti verità e profondi
insegnamenti.

Parker Arthur C., Leggende dei pellerossa, Bompiani, 2003,


pp.203
Si tratta di una raccolta di ventinove racconti popolari presentata
come un’esposizione della letteratura orale degli Indiani Seneca che
ancora vivono nella parte occidentale dello Stato di New York.
L’antologia rivela il genere del racconto, molto usato dai Nativi per
catturare l’interesse e l’attenzione, e svela molte usanze e
accadimenti della vita indigena.
Pedrotti Walter, Le guerre indiane, Demetra, 1998, pp.111
Le battaglie, le ribellioni e i massacri che hanno per protagonisti
Indiani e Bianchi, con alcune interessanti schede storiche sulle varie
tribù.

Puma che danza, Riti magici degli Indiani d’America, Laura


Rangoni Editore, 1995, pp.46
Descrizioni di vari riti, amuleti, pietre, oggetti rituali e su come
produrli.

Ramirez Laura M., Keepers of the children, Walk in peace


productions, 2004
Un libro che descrive come crescere figli e approcciarsi all’arte di
essere genitore prendendo in considerazione, oltre che le teorie della
psicologia dello sviluppo, anche la filosofia dei Nativi Americani.

Recheis K., Bydlinski G., Sai che gli alberi parlano? La saggezza
degli Indiani d’America, Il Punto d’Incontro, 1999, pp.141
Una raccolta sulla saggezza e la spiritualità degli Indiani D’America
che testimonia come il popolo pellerossa nutra un profondo amore e
un grande rispetto per la vita in tutte le sue manifestazioni. I pensieri
racchiusi in questo testo rivelano un mondo spirituale assai ricco e
profondo, che ancora oggi conserva inalterato il fascino e il potere del
suo messaggio.
“Alcune delle loro parole, dette due o trecento anni fa, ci paiono
profetiche al giorno d’oggi. Allora non ascoltammo la loro voce….” (K.
Recheis).

Recheis Kathe, Bydlinski Georg, Amicizia con la Terra. La via


degli Indiani d’America, Il Punto d’Incontro, 1992, pp.141
La raccolta racchiude una serie di testi originali e di suggestive
fotografie d’epoca. Sono state selezionate testimonianze e resoconti
che costituiscono al tempo stesso un esempio di saggezza e un
prezioso insegnamento per le generazioni future. Nel tentativo di
fornire una maggiore comprensione della cultura dei Nativi, il testo
invita il lettore ad assumere un modo di vivere che rispetti tutti e
tenga conto dell’universo nella sua molteplicità.

Reagan Timothy, Non-Western Educational Traditions:


Indigenous Approaches to Education Thought and Practice, 3rd
edition, Mahwah, New Jersey: Lawrence Erlbaum Associates,
2005
Questo libro descrive diverse metodologie educative indigene, tra le
quali quella dei Nativi Americani.
Sams Jamie, La ruota delle lune. Meditazioni pellerossa per molte
lune, Il Punto d’Incontro, 1994, pp.415
Il testo raccoglie una serie di meditazioni, che si basano sul ciclo
lunare femminile di ventotto giorni; moltiplicando le ventotto riflessioni
di ciascuna luna per le tredici lune dell’anno si arriva ad un totale di
364 meditazioni, una per ogni giorno dell’anno.

Snyder Gary, L’isola della tartaruga, Nuovi Equilibri – Stampa


Alternativa, 2004
Questo testo è frutto di una ricerca per cercare risposte, riscoprire
significati, svelare le pratiche per diventare finalmente nativi . In
questo libro rivivono, senza retorica, le antiche istruzioni degli abitanti
originari del continente nordamericano. Lo scopo è quello di
sensibilizzare e far crescere nella gente una coscienza sociale in
grado di prendersi cura di una più ampia comunità umana e naturale.
“Le mie poesie richiamano l’attenzione della società alla sua relazione
con la natura. E’ una questione d’amore….” (Gary Snyder).

Steedman S./Bergin M./Salarya D., Sapresti vivere come un


pellerossa?, De Agostini Ragazzi, 1995, pp.43
Ottimo libro per ragazzi che descrive i vari aspetti delle vita e della
cultura del popolo Indiano: la casa, la famiglia,il viaggio, la
caccia,l’alimentazione, gli svaghi, le feste e le danze, la gestione del
potere, le guerre, la spiritualità e la religione, l’abbigliamento,
l’artigianato. Corredato di ottime illustrazioni e disegni, gli autori
guidano il lettore alla scoperta di questa affascinante realtà.

Twofeathers Manny, La medicina del popolo delle pietre, Edizioni


Il punto d’incontro, 1996, pp.150
Le pietre considerate come essere custodi di conoscenza della Madre
Terra: attraverso la loro interpretazione e lettura l’uomo può giungere
ad un alto grado di spiritualità e saggezza e conoscenza. Sono citate
le pietre dagli Indiani e il loro uso.
Nella seconda parte sono descritti e spiegati vari simboli tra i quali gli
animali significativi per il popolo indiano, spesso incisi su pietre,
compaiono durante le visioni e vengono considerati guide.

Washburn Wilcombe E., Gli indiani d’America, Editori Riuniti,


1981, pp.313
Il volume si propone di dare un’impressione generale del carattere e
delle esperienze delle numerose tribù e nazioni indiane del Nuovo
Mondo, prima, durante edopo il rovinoso impatto con i coloni europei.
L’autore parte dal presupposto che non esista una cultura indiana
comune, tuttavia nel testo vengono sottolineati gli aspetti più
generalizzati del comportamento e della mentalità dei vari gruppi
indiani.
Scopo del libro, a detta dell’autore, è anche quello di descrivere i
mutamenti culturali subiti dagli Indiani sotto le pressioni esterne.
Con questo libro Washburn offre un saggio di storiografia
interdisciplinare.
Il capitolo due è dedicato all’educazione.

Weatherford Jack, Gli indiani ci hanno dato, Mursia, 1993, pp.250


Questo libro, fondendo passato e presente, mostra in che modo la
ricchezza, non solo materiale, del Nuovo Mondo, abbia “finanziato” la
nascita dell’Europa Moderna: l’autore conduce il lettore in luoghi dove
i bianchi scoprirono giacimenti d’argento, nuovi prodotti alimentari,
rimedi alle malattie, innovative soluzioni agricole e architettoniche,
nonché un atteggiamento verso la natura che anticipa la moderna
ecologia.

Manitonquat (Medicine Story), Ritorno alla Creazione, URRA,


2006, pp.197
“ Questo non è un libro sugli Indiani d’America come ce ne sono
tanti”.
Manitonquat, autentico rappresentante della nazione Wampanoag, è
un appassionato storytelling alla ricerca di rapporti umani sostenibili
nel mondo d’oggi. Le sue storie e i suoi insegnamenti, tratti dalle
conoscenze
tradizionali dei Wampanoag e di altri popoli nativi, esprimono valori
universali e offrono soluzioni pratiche ai problemi che riguardano la
convivenza umana: dai rapporti di coppia, all’educazione dei bambini,
dall’ecologia, all’assistenza agli anziani.
Attingendo alla spiritualità dei Nativi Americani, secondo l’autore, è
possibile riscoprire le proprie origini, recuperare le radici tribali che
appartengono ad ogni uomo e donna sulla terra, e rinsaldare il
legame ancestrale con la Madre Terra.
Sitografia

Generali

http://www.cwis.org/fwdp/americas.html
Il sito è una raccolta di tutti i documenti ufficiali riguardanti i Nativi
americani, divisi per regioni. Il progetto che sta alla base della
raccolta è denominato “Quarto progetto mondiale di documentazione”.

http://www.indians.org/Resource/FedTribes99/fedtribes99.html
E' una Directory che raccoglie tutte le tribù riconosciute dalla
Federazione Americana. Per ogni tribù sono presenti i dati per potersi
mettere in contatto. La ricerca si può fare per aree geografiche.

Fotografia

http://memory.loc.gov/ammem/award98/ienhtml/about.html
In questo sito è presente la collezione digitale di 2228 fotografie ed
illustrazioni tratte da “The North American Indian” di Edward S. Curtis.

Musica

http://memory.loc.gov/ammem/omhhtml/omhbibpowindex.html
E' possibile ascoltare centinaia di canti sacri e tradizionali indiani.

http://www.knba.org/knba_nwod_archives.shtm
E' possibile ascoltare parole e lingue native divise per regioni.

Educazione

http://www.alphacdc.com/names/morning_star.html
In questa pagina della “Native American Multi-Cultural Education
School, Inc.” è rappresentato il metodo educativo e di leadership
denominato “La Ruota della medicina della stella del mattino
dell'apprendimento”: questa metodologia educativa è fondata su una
serie di valori rappresentanti i principi della filosofia dei Nativi
Americani con teorie per l'apprendimento che aiutano gli studenti ad
indirizzare i complessi bisogni della società contemporanea.

http://www.nativevillage.org/index.htm
In questo sito sono raccolti numerosi indirizzi web riguardanti
l'educazione; nello specifico vedi anche:
http://www.nativevillage.org/Opportunities/2-
2008%20%20I184%20%20native_village_opportunities.htm

http://www.circleway.org/
Il sito personale dello scrittore Manitonquat, nel quale possiamo
trovare i numeri della rivista “Talking Stick” che parla della filosofia
Indiana e di una nuova visione di vita ed approccio al mondo.
E’ presente anche un’elenco dei campi estivi organizzati da
Manitonquat e dalla moglie Ellika.

http://www.niea.org/welcome/
Questo è il sito dell' ”Associazione Nazionale per l'educazione
Indiana”, il quale racchiude numerose informazioni, tra le quali alcune
utili come la storia dell'Educazione Istituzionale dei Nativi.

http://www.bluecloud.org/educate.html
Questo sito fornisce utili Link sull'Educazione dei Nativi Americani.

Storytelling

http://www.pbs.org/circleofstories/index.html
Clikkare sul link Storytellers per connettersi a una pagina nella quale
sono presenti alcuni Storytellers ancora in vita.

http://www.learner.org/amerpass/unit01/index.html
Sito contenente molte opere di letteratura indiana raccolte da 10
autori Nativi: clikkare sul collegamento ipertestuale “Native Voices”.

http://nativehistory.tripod.com/id15.html
Questo sito raccoglie le tradizioni Orali Indiane ed i miti ancestrali;
Riflessioni sull'origine dei Miti.

http://www.bluecloud.org/
In questo sito è presente il collegamento ipertestuale “Indian Center”
che porta a pagine web interessanti:
ƒ per quanto riguarda lo Storytelling, vi è una raccolta di Miti nella
pagina
http://www.bluecloud.org/myth.html
ƒ per quanto riguarda i valori culturali del popolo Indiano, messi in
comparazione con quelli occidentali, utile è la pagina
http://www.bluecloud.org/13.html,
http://www.civilization.ca/aborig/storytel/introeng.html#menu
Questo sito contiene notizie sullo storytelling, e storie provenienti
dalla tradizione orale dei popoli Inuvialuit, Algonquin, Métis and Cree,
Nisga'a, Abenaki, Mi'kmaq.

http://the-office.com/bedtime-story/indians.htm
Questo sito contiene alcune storie utilizzate per lo Storytelling divise
per tribù.

http://www.ilhawaii.net/~stony/loreindx.html
In questo sito vi sono vari collegamenti a Storie riguardanti i Nativi
Americani provenienti da Tourtle Island.

Cultura e tradizioni

http://www.nativeweb.org/
Sito contenente molte informazioni riguardanti il popolo Nativo
Americano; Diviso per categorie, risulta interessante anche per i
numerosi i collegamenti ad altri siti.

http://www.nativetech.org/
In questo sito è raccolta tuta la tecnologia e l'arte Nativo Americana,
divisa per categorie: interessante, dal punto di vista educativo, la
parte riguardante Le poesie e le storie, raccontate attraverso lo
Storytelling, e la parte riguardante i giochi ed i giocattoli.

http://www.nativetech.org/recipes/index.php
presente anche un link per piatti tradizionali della cucina indiana!

http://www.edgate.com/d.pl?url=http://www.wisdomkeepers.org/native
way/nwtrbidx.html
Ricette Indiane divise per Tribù

http://nativehistory.tripod.com/id12.html
Traduzione dei più diffusi nomi indiani

http://nativeamericanrhymes.com/
In questo sito, alla voce bookstore, è possibile scaricarsi
gratuitamente dei libri, formato dispensa, sulla cultura indiana.

http://nativeamericanrhymes.com/library/tribes.htm
Questo link mostra la distribuzione delle tribù Native sul continente
americano.
http://www.nmnh.si.edu/naa/fletcher/fletcher.htm
Questo sito raccoglie la storia di Alice Fletcher che nel fine '800 per 3
anni visse con i Sioux del Dakota registrandone lo stile di vita.

http://www.mnh.si.edu/
Questo è il sito dello “Smithsonian Museum”, il Museo Nazionale di
Storia Nazionale: Basta mettere nel campo “Museum Search” una
parola chiave, come ad esempio Indian, affinchè si aprano molti
collegamenti ipertestuali

http://www.bloorstreet.com/300block/aborcan.htm#2
Una mappa dei principali siti indiani.

http://www.nativepeoples.com/
Rivista di e per Nativi.

http://www.42explore2.com/native3.htm
Questo sito contiene una lista di Link che collegano a siti di biografie
riguardanti i Nativi.

Siti italiani

http://www.associazioneilcerchio.it
E’ il sito di un’associazione senza fini di lucro che coordina i numerosi
gruppi ed individualità italiani che svolgono attività di sostegno ai
Nativi Americani e di salvaguardia della Madre Terra.

http://it.dada.net/freeweb/salvatore1067/
Questo sito fornisce informazioni utili sulle diverse tribù indiane.

http://www.nativiamericani.it
Questo sito italiano, completo ed aggiornato ha come finalità, a detta
del suo ideatore, quella di informare, educare, di costruire una
coscienza nei confronti dei Popoli Nativi Americani che sia corretta.

http://www.sentierorosso.com/
Un Sito italiano diviso per categorie, completo e di facile
consultazione.
D OCUMENTI

Documents
La Fondazione Cogeme Onlus e la Carta della
Terra: un impegno a favore della “Qualità per la
vita”
Laura Guerini e Simone Mazzata

Dopo cinque anni dalla sua fondazione, Cogeme Onlus ritrova le


tracce di un percorso che l’ha portata a essere parte e protagonista di
un importante e necessario processo di sensibilizzazione sui temi
dell’ambiente e della sostenibilità.
In questi anni il gruppo di lavoro Cogeme Onlus, coordinato dal
segretario generale Simone Mazzata, ha concretamente perseguito gli
scopi di solidarietà sociale a favore del territorio per i quali la
Fondazione era stata creata, impegnandosi in diverse attività:
1. la valorizzazione e la tutela del patrimonio ambientale, tramite il
sostegno e la promozione di progetti nel campo dell’educazione
ambientale, della valorizzazione di aree naturalistiche, nonché
indirizzate ad uno sviluppo ecocompatibile, in collegamento con altre
istituzioni e realtà pubbliche e private operanti sul territorio.
2. il sostegno di iniziative in campo socio-assistenziale, a favore di
soggetti svantaggiati e categorie deboli, tramite la promozione di
progetti, in collegamento e collaborazione con altre realtà pubbliche,
private e del terzo settore.
3. le ricerche socio-demografiche di particolare interesse sociale,
per dotare il territorio di strumenti per la governance dei fenomeni
sociali.

Il quadro di riferimento: la qualità per la vita

Nel corso degli anni le attività della Fondazione hanno potuto


trovare posto all’interno di un ampio quadro di riferimento, quello della
qualità per la vita, ovvero di un contesto che persegue la sostenibilità,
principio ormai inderogabile per progettare un territorio nel quale il
sistema di relazioni sociali e la qualità dell’ambiente sono ingredienti
essenziali per il benessere dell’individuo.

Formare i docenti alla sostenibilità: lo sportello scuola e la


collaborazione con l’Università Cattolica

L’interesse per il benessere dell’ambiente, inteso, non solo come


natura, ma come “sistema complesso di risorse umane e naturali che
interagiscono tra loro e dipendono le une dalle altre”, ha portato la
Fondazione ad avvicinarsi sempre di più all’ambito dell’educazione e
della formazione degli insegnanti, stimolando la curiosità delle
istituzioni scolastiche e universitarie.

Lo sportello scuola

Nel tempo sempre più soci e scuole hanno chiesto alla Fondazione
di tradurre la propria esperienza riguardo alle tematiche ambientali in
un linguaggio didattico: è stato creato perciò lo sportello scuola, un
servizio gratuito per le scuole del territorio che promuove in modo
costante e strutturato diverse attività sull’educazione e la formazione.
Lo sportello scuola, ormai da dodici anni, mette a disposizione
la sua competenza per la realizzazione di percorsi di educazione
ambientale fornendo kit didattici e materiali di diversa natura ( sui
rifiuti, sulla sicurezza domestica, sull’acqua e sulla sostenibilità),
supporto ai docenti nella programmazione, consulenze per la
realizzazione di eventi che coinvolgano scuole e comunità locali,
proponendo visite guidate agli impianti gestiti da Cogeme (
acquedotti, depuratori, discariche, isole ecologiche, centrali di
produzione energia elettrica da biogas e centarali idroelettriche),
assistendo gli studenti universitari nella scelta e redazione di tesi di
laurea.
Di particolare interesse l’innovativo progetto didattico dedicato
alla sostenibilità, dal titolo “Il grande cerchio della Terra”: il progetto,
che ha richiesto circa un anno di lavoro, aveva l’ambizione di proporre
una dimensione di “saggezza ambientale” in linea con le più moderne
tendenze del pensiero ecologico che considerano l’ambiente non solo
in termini di rifiuti, acqua e rispetto del verde, e affrontano concetti
ben più radicali come quelli di appartenenza, amore, interdipendenza
e sobrietà.
La Fondazione ha inoltre pensato, a seguito del presente
convegno, di realizzare un progetto didattico multimediale sulla Carta
della Terra: verrà incaricato un gruppo di alcuni esperti (insegnanti,
docenti universitari, artisti) di sviluppare un’idea per un progetto
didattico sui principi esposti nel documento, il materiale verrà poi
messo gratuitamente a disposizione delle scuole del territorio.
Per rendere efficace l’educazione ambientale, la Fondazione –
e, prima di essa, la fondatrice Cogeme - è convinta che non bastano i
progetti rivolti ai bambini e agli insegnanti, occorre anche che le
future generazioni di insegnanti abbiano coltivato e fatto propria, nel
corso della propria formazione scolastica e universitaria, una
specifica sensibilità rispetto al tema della sostenibilità.
Ecco perché vengono attivati i rapporti con l’Università Cattolica
del Sacro Cuore e, nel novembre del 2001, viene promosso un
convegno, realizzato in collaborazione con il Dipartimento di
Pedagogia dell’ Università Cattolica e con il Patrocino del Comune di
Iseo e di Agenda 21 Locale, dal titolo“ Sviluppo sostenibile ed
educazione ambientale”, a cui è seguita una pubblicazione con gli atti
e i contributi del convegno.
Già da tempo, dalla fine degli anni ’90 (1998), la società Cogeme
aveva favorito l’accendersi del rapporto, ormai storico, con
l’Università Cattolica del Sacro Cuore, in particolare con l’ateneo
bresciano; le occasioni di questo incontro sono state fornite da due
iniziative promosse direttamente dall’azienda: un corso di
aggiornamento per insegnanti sulla risorsa acqua e l’istituzione di un
premio per le migliori tesi di laurea sul tema della sostenibilità.
L’Università Cattolica ha accolto volentieri questa collaborazione
e, grazie anche al rapporto con Cogeme, ha istituito a Brescia la
Cattedra di Educazione Ambientale, una delle prime in Italia.

Lo sviluppo della collaborazione con l’Università Cattolica

Il momento attuale è connotato da un forte interesse, coltivato


dalla Fondazione Cogeme e dalla Unità di Ricerca in Pedagogia
dell’Ambiente e Responsabilità Sociale d’Impresa dell’ateneo, per il
tema della Carta della Terra, per le sue valenze educative e
formative, per il richiamo ai valori della cittadinanza terrestre e della
locale rilevanza della radice della Carta della Terra.
L’approfondimento della Carta della terra inizia nel novembre
del 2002, quando la neonata Fondazione promuove due convegni, in
collaborazione con l’Università Cattolica (prof. Pierluigi Malavasi,
docente di Pedagogia):

ƒ “La Carta della Terra. Il contributo di Vittorio Falsina”, dedicato a


Padre Vittorio Falsina, nato nel territorio in cui opera la Fondazione
e membro del Drafting Team della EC, scomparso nel 2001 e
innamorato della EC;
ƒ “Abitare la terra. Un progetto educativo verso la sostenibilità”, in cui
vengono illustrate le piste educative di riflessione scaturite dalla
Carta della Terra, grazie ai contributi di docenti dell’Università
Cattolica.

Ai convegni seguono due pubblicazioni.


La Fondazione ha inoltre finanziato uno studio (2004) sulla Carta
delle Terra condotto dalla dott.ssa Luisa Bartoli (Unità di Ricerca di
Pedagogia dell’Ambiente dell’Università Cattolica), incaricata di
tradurre la Carta della Terra in principi educativi e didattici da inserire
nei curricoli scolastici. La ricerca vede la luce con una pubblicazione
(2006) e attualmente si sta realizzando attraverso un lavoro didattico
nella zona della Franciacorta, con particolare riferimento al Comune
di Castegnato e ai Comuni limitrofi.
Il 18 novembre 2006, Fondazione Cogeme Onlus ha organizzato
un evento internazionale dal titolo Il giardino della vita. La Carta della
Terra e il suo potenziale educativo”, con l’intento di presentare il
grande potenziale educativo custodito nella Carta della Terra. A
seguito di questo evento, è stato pubblicato un volume (2007) che ha
raccolto, a fianco degli atti, contributi scientifici, riflessioni e
testimonianze relative al valore pedagogico della Carta della Terra.
L’evento è stato patrocinato da Earth Charter International, Green
Cross International, Ministero italiano dell’Ambiente, Regione
Lombardia, Centro Saveriano di Animazione missionaria e Comune di
Castegnato, paese natale di Vittorio Falsina.
Il Convegno internazionale “Nel Cerchio della Creazione” che ha
avuto luogo il 10 novembre 2007 presso il comune di Castegnato è
pertanto lo sviluppo di un percorso iniziato nel 2002 per la
promozione e la divulgazione della Carta della Terra a livello di
comunità locali e di istituzioni scolastiche.

Università e Fondazione: un rapporto di arricchimento reciproco

La collaborazione con l’Università Cattolica ha contribuito a dare


dignità scientifica e credibilità alle iniziative promosse dalla
Fondazione Cogeme; d’altro lato l’Università riconosce il valore
aggiunto di scambio, di reciproco riconoscimento delle specifiche
responsabilità d’impresa, di cultura, che devono contraddistinguere gli
attori di un tessuto sociale.
“ Il rapporto con Cogeme, da parte del Dipartimento di Pedagogia
dell’Università Cattolica del Sacro Cuore rappresenta un valore
aggiunto così considerevole per l’Università che da quattro anni la
Pedagogia dell’Ambiente, con particolare riferimento alla
Progettazione Educativa Sostenibile, è inserita nei settori di ricerca
come linea prioritaria del Dipartimento di Pedagogia. Il Dipartimento
di Pedagogia orienta, ormai da diversi anni e da quattro anni tutto ciò
è normato, orienta specifiche azioni di ricerca sul rapporto tra il
discorso pedagogico e sostenibilità ambientale. La riflessione si
focalizza sull’opportunità di coniugare i temi legati alla complessità
ecologica con le prospettive teoriche ed applicative dello sviluppo
sostenibile; è un ambito di ricerca che si sviluppa in riferimento alla
progettualità educativa scolastica e formativa in senso lato” (prof.
Pierluigi Malavasi, docente di Pedagogia Università Cattolica).
La Carta della Terra: un filone autonomo di ricerca accademica

Oltre a collaborare con la Fondazione Cogeme Onlus, l’Università


Cattolica del Sacro Cuore ha pubblicato diversi approfondimenti sul
tema dell’educazione ambientale e della progettazione educativa
sostenibile.
In particolare, le cattedre di Pedagogia generale, di Pedagogia
dell’Ambiente e di Scienze della Terra hanno sollecitato gli studenti
ad approfondire, anche con lavori di ricerca, le tematiche educativo–
ambientali. Sono circa trenta, infatti, le tesi di laurea sviluppate negli
ultimi sei anni riguardanti temi educativi e di progettazione educativa
sostenibile con riguardo a singoli ambiti, la Carta della Terra
innanzitutto, ma anche altri documenti che hanno assunto crescente
rilevanza nel panorama internazionale (rapporto Brundtland, rapporti
ONU).
Diversi sono i docenti che hanno seguito il lavoro degli studenti e
che si sono occupati a vario titolo delle tematiche ambientali, nella
sede di Brescia, ma anche nelle altre sedi italiane dell’ Università
Cattolica (Milano, Piacenza e Macerata).
La facoltà di Scienze della Formazione ha inoltre proposto per
l’anno accademico 2006/2007 un Corso di Perfezionamento post
lauream in Progettazione Educativa Sostenibile e Pedagogia
dell’Ambiente, rivolto a insegnanti, educatori e amministratori, con
l’obiettivo di promuovere l’acquisizione di competenze progettuali e
didattiche, di favorire lo scambio di esperienze e la condivisione di
buone pratiche professionali e di proporre un’originale prospettiva
pedagogica in riferimento alle tematiche ambientali, alla centralità
della persona e ai concetti di sviluppo e sostenibilità.
I progetti per il futuro sono diversi: innanzitutto, rafforzare i
rapporti tra l’Unità di Ricerca di Pedagogia dell’Ambiente e
Responsabilità Sociale d’Impresa dell’ateneo e il territorio, con le
multiutilities locali e nazionali (tra cui Cogeme e la Fondazione
Cogeme Onlus).
Di notevole interesse è inoltre la costituzione di un polo di ricerche
sull’ambiente: insieme al Centro di Ricerche per l’Ambiente e lo
Sviluppo Sostenibile della Lombardia (CRASL), che ha sede presso
l’Università Cattolica, è in corso la costituzione di una rete operativa
che nei prossimi anni sviluppi ricerche e formazione nei temi
dell’ambiente, nel rispetto delle differenze disciplinari, ma in vista di
una sinergia tra le scienze umane e le scienze cosiddette “dure”.
Negli ultimi anni sono state costanti le attività con la Fondazione
Cogeme: la Fondazione ha assegnato al professor Pierluigi Malavasi,
docente Pedagogia Generale presso l’Università Cattolica di Brescia,
la direzione scientifica di tre convegni a carattere nazionale, che
hanno aiutato a pensare le competenze degli insegnanti e degli
educatori in ordine alla progettazione educativa e alla sostenibilità.
“Quindi dalla ricerca all’azione, dall’azione operativa, una nuova
opportunità di rilanciare la ricerca. L’auspicio è che da questo nasca
un nuovo cantiere di lavoro teorico che potrebbe essere quello
individuabile nell’ambito della responsabilità sociale” (Prof. Pierluigi
Malavasi).

La comunità di Castegnato incontra la Carta della Terra

Grazie alle iniziative della Fondazione Cogeme, la Carta della


Terra è stata appoggiata da Adriano Orizio, un giovane
amministratore locale che si occupa di scuola, cultura e giovani, a
Castegnato.
Dopo un periodo di riflessione, indispensabile per affrontare in
modo serio un testo così ricco di suggestioni e dai molteplici risvolti,
l’amministrazione si è confrontata sulla possibilità di adottare la Carta
della Terra come mission culturale della comunità di Castegnato.

Il progetto coinvolge la scuola di Castegnato

Nel 2005 la Carta della Terra è stata inserita nella


programmazione culturale dell’Amministrazione e, in accordo con il
dirigente scolastico, l’Istituto Comprensivo (scuola materna, scuola
primaria e scuola secondaria di primo grado) è stato intitolato a Padre
Vittorio, come primo passo verso l’inserimento del documento nel
Piano di Diritto alla Studio delle scuole di Castegnato.
Queste iniziative sono state promosse e fatte conoscere alla
cittadinanza attraverso tre importanti eventi:
ƒ 11 marzo 2006 – Presentazione del libro di Vittorio Falsina “Un
nuovo ordine mondiale”, uno studio sull’insegnamento sociale
della chiesa in riferimento alla situazione latinoamericana e alla
teologia della liberazione. Nello stesso giorno si è svolta la
cerimonia per l’intitolazione dell’Istituto Comprensiva a Padre
Vittorio Falsina.
ƒ 3 giugno 2006 – Presentazione alla cittadinanza e distribuzione a
tutte le famiglie di Castegnato della Carta della Terra.
ƒ 18 novembre 2006 – Convegno “Il giardino della vita” ,
organizzato dalla Fondazione Cogeme.

Come la scuola sta diffondendo la Carta della Terra

Ora la scuola e l’amministrazione locale si stanno interrogando


sulla modalità migliore per diffondere i contenuti della Carta della
Terra tra i più giovani:
“… questo documento è estremamente pregnante e ricco di
visioni ideali di sintesi sulle tematiche che attualmente riguardano
l'umanità. Quindi si presta per dare orizzonti entro cui collocare
l'impostazione educativa dei ragazzi, con attenzione alle tematiche
che coniugano l'essere inseriti in una realtà locale e la capacità di
essere coscienti delle problematiche complessive dl mondo di oggi”
(Elia Ravelli, dirigente scolastico).
Oltre a programmi didattici che utilizzano la Carta della Terra (i.e:
“Il grande cerchio della Terra”, progetto educativo di Cogeme), è stato
avviato un corso di formazione per gli insegnanti sulla Carta della
Terra (marzo-maggio 2007).
Il corso, tenuto dalla dott.sa Luisa Bartoli, (ricercatrice presso
l’Università Cattolica e autrice del libro La Carta della Terra per una
progettazione educativa sostenibile), è stato articolato in tre incontri:
ƒ Presentazione delle valenze educative della Carta della Terra.
ƒ Quali attenzioni educative suggerisce la Carta della Terra?
ƒ Criteri di riferimento per la didattica.
Le risorse che la scuola ha a disposizione per la realizzazione
di questo ambizioso progetto sono i docenti ed il personale della
scuola - nella fase di attuazione dei progetti operativi come il
progetto pedibus (i bambini vengono accompagnati a scuola a
piedi ogni mattina da volontari), il progetto motus (per favorire
l’attività fisica dei bambini attraverso la sperimentazione di vari tipi
di sport) - le associazioni del territorio, l'Amministrazione e i
finanziamenti che si riescono a reperire.
L'obiettivo di fondo è quello di condividere una visione dell'agire
educativo, al servizio dei bambini, dei genitori e della comunità di
Castegnato.
La Carta della Terra può costituire la base per l'individuazione
e la condivisione di valori, attorno ai quali sviluppare una
progettualità comune scuola/territorio, offrendo la possibilità di
vedere come tanti valori già contenuti nella programmazione
educativa sono correlati tra loro e non solo astratti, ma traducibili
in scelte educative e didattiche specifiche.
Tra le difficoltà maggiori, emerse dal confronto tra gli insegnanti
che hanno partecipato al percorso formativo con la dott.sa Luisa
Bartoli, sono state sottolineate la gestione dei rapporti tra i diversi
livelli di scuola e la carenza di una logica educativa centrata sui
bisogni degli alunni e sulla relazione con il territorio.

Uno sguardo al futuro

I progetti promossi dall’Amministrazione Comunale, che si muovono


lungo il tracciato della Carta della Terra, riguardano diversi ambiti:
ƒ continuerà la collaborazione con la scuola e con la commissione
cultura e istruzione, con la quale si sta pensano ad un progetto
per tradurre in un linguaggio più vicino ai bambini, quello dei
fumetti, il documento della Carta della Terra;
ƒ si sta avviando un progetto di collaborazione con il Benin, paese
dell’Africa con cui l’Amministrazione mantiene i contatti grazie alla
presenza, sul suo territorio, di immigrati africani impegnati in
attività di carattere socio-culturale, per condividere la conoscenza
e il lavoro sulla Carta della Terra;
ƒ di concerto con l’assessorato all’ambiente si sta organizzando un
cineforum su tematiche ambientali;
ƒ in collaborazione con la Fondazione Gandovere, un’associazione
che promuove iniziative di carattere letterario, si stanno
concordando degli incontri per la presentazione di libri su
tematiche concernenti la Carta della Terra;
ƒ dal punto di vista ambientale, è stato chiesto a due giovani
architetti di elaborare progetti per la costruzione di case eco-
compatibili, con particolare attenzione al risparmio energetico e ai
consumi dell’acqua, mentre si sta pensando di realizzare un
piccolo sistema ecologico di teleriscaldamento;
ƒ con la biblioteca, sono state organizzate alcune iniziative di
carattere informativo sul commercio equo e solidale, su Banca
Etica e sul turismo responsabile;
ƒ la Consulta alle Politiche Giovanili, ha organizzato una rassegna
di films ispirati a problematiche sociali e ambientali.

Il calendario è ricco e gli amministratori di Castegnato sono fiduciosi,


anche se riconoscono la difficoltà di conciliare i contenuti della Carta
della Terra con i bisogni dei cittadini e delle imprese e con i limiti
finanziari: “…. conciliare sensibilità ecologica e politica vuol dire
mettere al primo posto la sensibilità ecologica e poi la politica e
questo è veramente difficile” (Adriano Orizio – amministratore locale).

L’orizzonte di riferimento in cui si sviluppa l’esperienza della


Fondazione Cogeme Onlus è divenuto glocal: i progetti prendono
avvio dall’attenzione e dalla sensibilità mostrata nei confronti delle
richieste implicite ed esplicite delle comunità locali alle quali fa
riferimento e per questo sono progetti che “abitano” il territorio e ne
valorizzano le risorse materiali e umane, ma con uno sguardo alla
dimensione globale, sono progetti di ampio respiro, che guardano
“oltre”.
La Carta della Terra invita a superare confini spaziali e temporali,
a prestare attenzione alla qualità della vita dell’intera comunità
vivente e delle generazioni future; Cogeme Onlus dà il suo contributo
ad un progetto di respiro internazionale e diventa nodo di una rete
globale.

Elenco iniziative sulla Carta della terra

Eventi
ƒ Convegno nazionale a Iseo“ Sviluppo sostenibile ed educazione
ambientale” (novembre 2001)
ƒ Convegno nazionale a Rodengo Saiano “La Carta della Terra. Il
contributo di Vittorio Falsina”(novembre.2002)
ƒ Evento internazionale a Castegnato “Il giardino della vita” (18
novembre 2006)
ƒ Evento internazionale “Nel cerchio della Creazione. Educazione e
saggezza dei popoli nativi” (10 novembre 2007).

Pubblicazioni Fondazione Cogeme Onlus

ƒ Simone Mazzata (a cura di), Sviluppo sostenibile e educazione


ambientale. Contributi, esperienze,documenti, Cogeme Quaderni
n.6, 2001.
ƒ Simone Mazzata (a cura di), “La Carta della Terra. Il contributo di
Vittorio Falsina”, Quaderni Fondazione Cogeme Onlus n.1, 2002.
ƒ Carlo Baroncelli (a cura di), Abitare la terra. Un progetto educativo
verso la sostenibilità, Cogeme Quaderni n.7, 2002.
ƒ Simone Mazzata e Carlo Baroncelli (a cura di), Il giardino della
vita. La Carta della Terra e il suo potenziale educativo, Quaderni
Fondazione Cogeme Onlus n.6, 2007.

Pubblicazioni Università Cattolica

ƒ Luisa Bartoli, La Carta della Terra per una progettazione


educativa sostenibile, ISU Università Cattolica, Milano 2006.
ƒ Pierluigi Malavasi (a cura di), Per abitare la terra, un’educazione
sostenibile, ISU Università Cattolica, Milano, 2003;
ƒ Pierluigi Malavasi (a cura di), Pedagogia dell’ambiente, ISU
Università Cattolica, Milano, 2005;
ƒ Cristina Birbes, Riflessione pedagogica e sostenibilità, ISU
Università Cattolica, Milano, 2006;
ƒ Luisa Bartoli, La Carta della Terra per una progettazione
educativa sostenibile, ISU Università Cattolica, Milano 2006.
The Experiences of Fondazione Cogeme Onlus in
Implementing the Earth Charter in collaboration
with the Catholic University of Brescia and the
Community of Castegnato
Simone Mazzata 52 and Betty McDermott 53, in collaboration with Elena
Plodari 54

Introduction

Fondazione Cogeme Onlus is a foundation that originated from


Cogeme SpA, a public company involving about 70 municipalities of
Brescia and Bergamo provinces and a small local authority’s
consortium in Lombardy (Italy), involved in local public services. The
Cogeme group offers management services such as water treatment,
energy and environmental services to communities.
The mission of the Foundation is to improve the quality of life in
the Lombardy region. Over the years, the activities of the Foundation
have addressed a wide range of issues related to quality of life,
sustainability, social relations and environmental conservation, all
essential ingredients for our well-being.
A special interest in environmental sustainability has led the
Foundation to become increasingly involved in the field of education
and teachers training, with the objective to raise awareness of
sustainability issues in schools and universities.
However, the Foundation believes that projects only targeting
children and teachers in formal school settings are not sufficient to
maximize the effectiveness of environmental and sustainability
education. The Foundation decided to focus its efforts on working
with an integrated approach across the various levels of the education
system, including universities, communities and schools. It is also
within this context that the Foundation began to work with the Catholic
University, the municipality and the schools of Castegnato, a village
with approximately 7,000 inhabitants in Lombardy.
Fondazione Cogeme Onlus is firmly committed to contributing to
the missions and objectives of the Decade.

52
Fondazione Cogeme Onlus
53
Earth Charter Center of Education for Sustainable Development
54
Education, Environment and Corporate Social Responsibility, Research
Unit at the Catholic University
Strengthening collaboration with the Catholic University in
Brescia

For many years, Cogeme Foundation has been collaborating with


the Catholic University, through a refresher course for teachers on
water issues, and by awarding a prize for the best dissertation on
sustainability. This partnership began while the Foundation was
involved in two sustainability-related conferences in 2002. Inspired by
the issues raised during these conferences, and thanks to the
contributions of professors and lecturers of the Catholic University,
two books were published as a result.
The first one, La Carta della Terra. Il contributo di Vittorio Falsina
(The Earth Charter: Vittorio Falsina’s contribution), is dedicated to
Father Vittorio Falsina, an Earth Charter supporter who was born
where the Foundation actively operates. As a tribute to him, the book
is an invitation to follow Falsina’s example and to see the Earth as our
common home rather than as a mere object to be exploited.
The second book, Abitare la terra. Un progetto educativo verso la
sostenibilità (Living on Earth. An educational project towards
sustainability), discusses the educational value of some practices and
reflections inspired by the Earth Charter. The book contains a series
of papers based on Agenda 21, as well as other inspirational
documents and materials. This is another example of Cogeme’s
commitment to raise awareness of sustainable development and to
spread unique perspectives on education.
The book also offers practical advice on how to transform the
Earth Charter principles into pedagogical perspectives and actions.
The key message is that the Earth Charter is a ‘living document’ with
a wide vision on sustainability rather than a set of theoretical
principles.
In 2004, the Foundation financed a research project, carried out by
Luisa Bartoli (“Education, Environment and Corporate Social
Responsibility” Research Unit - Catholic University), to translate the
Earth Charter into educational and didactic principles to be inserted
into school curricula. The results were subsequently published in the
book La Carta della Terra per una progettazione educativa sostenibile
(The Earth Charter for sustainable educational planning), and they are
currently being implemented through didactic work in the region of
Franciacorta, with particular support from the City Council of
Castegnato and neighboring municipalities. The aim of this book is to
reflect on educational perspectives offered by the Earth Charter,
particularly in planning for sustainability.
The book seeks to provide answers to the following questions:
what’s the meaning of environmental education today? Is it possible –
and how – to shift from ‘school as environment’ to ‘school with and for
environment’? What are the perspectives offered by the Charter that
might help us to tackle our key environmental, economical and social
challenges?

In 2006, Cogeme Foundation organized an international event


called Il giardino della vita. La Carta della Terra e il suo potenziale
educativo (The Garden of Life. The Earth Charter and its educational
potential). Following this event, an educational and information
resource was published, containing a handbook, scientific
contributions and testimonies.
In November 2007, the Cogeme Foundation organized another
international event, supported by UNESCO and Earth Charter
international, called Nel cerchio della creazione. Educazione e
saggezza dei Popoli Nativi (in the circle of Creation. Education and
Wisdom of Native Peoples), an opportunity to extend the debate and
range of actions about the educational strength of the Earth Charter,
with a particular focus on the deep sense of belonging and love for
the earth as expressed by Native American culture. The special guest
of the congress was the storyteller Manitonquat (Medicine Story),
spiritual guide of the Wampanoag tribe (Boston). In march 2008 will
be published a book on this event.

Academic work on sustainability with the Earth Charter: from


research to action

The chairs of General Pedagogy, Environmental Pedagogy and


Earth Science at the Catholic University seek to encourage students
to study and research on environmental and sustainability issues.
Over the past few years, approximately thirty dissertations have been
presented in relation to educational issues and sustainable education
planning, in relation to the Earth Charter and other documents that
are relevant in the international agenda (e.g. Brundtland and United
Nations reports).
The Faculty of Education has launched a Post-graduate Course in
Sustainable Education Planning and Environmental Pedagogy for the
academic year 2006/2007. Targeting educators and administrators,
the objective of the course is to promote the acquisition of design,
educational and planning skills and to encourage the exchange of
experiences and professional practices. Additionally, an emphasis is
put on proposing unique and creative pedagogical approaches to
environmental issues and raising awareness of development and
sustainability. The course is based on an ecological approach and
consists in a series of lessons, workshops and visits.
The work of Cogeme Foundation has been constant over the past
few years: it assigned Pierluigi Malavasi, Professor of Pedagogy at
the Catholic University of Brescia, to the coordination and
management of three national conferences. These aimed at helping
teachers and educators to develop and implement their knowledge
and expertise in relation to educational planning and sustainability.
“Therefore, from research to implementation, additional
opportunities have emerged to undertake further research. Our hope
is that a new theoretical project will develop as a result of this, which
could be carried out to foster social responsibility” (Prof. Pierluigi
Malavasi).

Facilitating collaboration among local government and schools in


Castegnato

Cogeme Foundation, with the support of the Catholic University,


approached the community of Castegnato to bring to their attention
the Earth Charter and to invite them to use the document as a
pedagogical framework. As a result, Adriano Orizio, a local counselor,
has actively promoted the use of the Earth Charter in schools and in
cultural and youth activities in Castegnato. After a period of
discussion and brainstorming, there was consensus amongst the
Town Council members to adopt the Earth Charter for the entire
community of Castegnato and to incorporate the principles into the
“Piano di diritto allo studio” (Plan of Education Rights) across all
schools in Castegnato. The Earth Charter has also been distributed to
all the families living in this town. The purpose is to make the
community more aware of the vision of sustainability and to promote a
change of lifestyles.

How are the school and Town Council disseminating the EC?

The school and the local Town Council of Castegnato have been
committed to implementing different ways to spread the Earth
Charter contents among young people within the community.
The main initiatives have been a didactic program for schools and
a teacher training course. Il grande cerchio della Terra - The big circle
of Earth - is a multimedia educational project promoted by Cogeme
Foundation for primary and junior high school students. This project
puts forth an ecologically sustainable vision that is based on a
broader and deep perspective of environmental awareness and
wisdom and which addresses the social and economic dimensions.
The meanings of interconnection, love, solidarity and moderation are
conveyed through the four elements (earth, air, fire and water). The
pedagogical tools comprise one CD with 20 videogames and 80 files;
an educational kit; others can be accessed at www.cogeme.net.
An Earth Charter training course for teachers was held between
March-May 2007. This course, supervised by Luisa Bartoli, author
of the book La Carta della Terra per una progettazione educativa
sostenibile (The Earth Charter for sustainable education planning),
consisted of three meetings in which the educational value of the
Earth Charter was presented and explored through training and
workshops. The course is part of the school’s long-term strategic
plan (integration within the school and strategic vision) and follows
a series of initiatives for the local communities (integration and
connection with the local reality).

Following this initiative, the Istituto Comprensivo (a network


consisting of a nursery, a primary and a junior high school) decided
to use the Earth Charter as the key reference point for all its
educational projects. This decision resulted in the launch of a
project involving staff, students and their families, which will
culminate in some final events in June 2008.

Many other activities and projects based on the Earth Charter


have been developed by the Town Council and the local school with
the main aim of sharing a pedagogical vision based on sustainable
education between children, parents, and the whole community of
Castegnato.
Some examples include the “Pedibus Project” and the “Motus
Project,” which have been carried out thanks to the support and
participation of teachers, school staff and voluntary associations in
the region. The first consists in volunteer workers accompanying the
children to school on foot each morning, while the second is designed
to experiment with various types of sports for enhancing the physical
activity of children.
The Earth Charter has also been translated into formats that can
be more easily understood by children, such as comic strips.
A series of initiatives and events were organized for the local
community, such as: a cine-forum on environmental themes; a series
of conferences to introduce books related to Earth Charter themes (in
collaboration with Fondazione Gandovere - an association that
promotes literary initiatives); meetings on sustainable development
such as Fair Trade, Ethical Banking and responsible tourism (in
collaboration with the local library).
A project was launched in collaboration with immigrant groups
from Benin to share knowledge and develop activities inspired and
related to the Earth Charter vision.

These efforts have also stimulated activities in the field of urban


sustainable planning; two young architects have been invited to create
projects to build eco-friendly houses. Particular attention is given to
energy and water consumption, and a small ecological remote-heating
system is also in the process of being designed.
With the objective of bringing the notion of sustainability to the
broad public and to promote a change in society, Fondazione Cogeme
has issued a number of publications as follows, some of which have
been done in collaboration with the Catholic University.

Some publications in the area include:

Fondazione Cogeme Onlus Publications:


ƒ Baroncelli Carlo and Mazzata Simone (editors), Nel cerchio della Formattati: Elen
creazione. Educazione e saggezza dei Popoli Nativi (In the circle numerati
of Creation. Education and Wisdom of Native Peoples),
Fondazione Cogeme Onlus (Italy), 2008.
ƒ Baroncelli Carlo and Mazzata Simone (editors), Il giardino della
vita. La Carta della Terra e il suo potenziale educativo (The
garden of life. The Earth Charter and its educational potential)
Fondazione Cogeme Onlus (Italy) 2007.
ƒ Baroncelli Carlo (editor), Abitare la terra. Un progetto educativo
verso la sostenibilità (Living on earth. An educational project for
sustainability), Cogeme (Italy) 2002.
ƒ Mazzata Simone, Scegliere il cuore. La mia storia con la Natura
(Choosing the heart. My story with the Nature), Edizioni Marna,
Barzago (Italy) 2006. One of the sources for this book is the Earth
Charter. It shares the personal experiences of the author with
nature and children. He writes: “the book was supposed to offer a
scientific account about environment, then about life, which never
fails to surprise us. But, something persuaded me to remain silent,
to go under a tree and to listen. Thus I re-discovered contact with
the Earth, in the company of my two children, who taught me to
open my heart and develop a natural curiosity to obtain
knowledge”.
ƒ Mazzata Simone (editor), La Carta della Terra. Il contributo di
Vittorio Falsina, Fondazione Cogeme Onlus (Italy) 2002.
ƒ Mazzata Simone (editor), Sviluppo sostenibile e educazione
ambientale. Contributi, esperienze, documenti. (Sustainable
development and environmental education, contributions,
experiences, documents), Cogeme (Italy) 2001.

Catholic University Publications:


ƒ Bartoli Luisa, La Carta della Terra per una progettazione Formattati: Elen
educativa sostenibile, ISU Catholic University, Milan 2006. numerati
ƒ Birbes Cristina, Riflessione pedagogica e sostenibilità
(Pedagogical analysis and sustainability), ISU Catholic University,
Milan 2006.
ƒ Malavasi Pierluigi (editor), Pedagogia dell’ambiente
(Environmental Pedagogy), ISU Catholic University, Milan 2005.
ƒ Malavasi Pierluigi (editor), Per abitare la terra, un’educazione
sostenibile, Milan: ISU Catholic University, Milan 2003.

Lessons Learned

Collaboration with the Catholic University has helped Cogeme


Foundation to greatly enhance the scientific value and credibility of its
initiatives. The following quote by Professor Malavasi serves to
capture the added value of the partnership:

“The Catholic University’s collaboration with Cogeme has offered


such considerable added value for the University that, for four years,
Environmental Pedagogy has been integrated as a key research area
of the Department of Pedagogy, with a particular emphasis on
Sustainable Educational Planning. For several years now, the
Department of Pedagogy has been carrying out specific research
initiatives aiming at promoting pedagogical dialogue on environmental
sustainability (regulated for the last four years). This area is focused
on undertaking educational planning that integrates both the
theoretical and practical aspects of sustainable development. It is a
research field that only exists in relation to educational projects in the
scholastic and training fields as a whole” (Pierluigi Malavasi,
Professor of Pedagogy).
The collaborative efforts by the Castegnato Town Council and
Cogeme Foundation to use the Earth Charter have helped to create
a basis for identifying and sharing common values to be
implemented in their school/regional projects. This has offered the
possibility to examine the correlations between values already
contained in the educational program, not just in an abstract
manner, but also rather in a form that can be translated into
educational choices and specific didactics.
Nonetheless, the projects have also faced their share of
difficulties and challenges. These include managing the relations
between the various school levels, as well as the lack of an
educational philosophy centered on student needs and on broader
links to the local communities and region.
Overall, the Town Council has proved to remain committed to
the Earth Charter. This hold true even if the Council sometimes
faces difficulties in reconciling the Earth Charter principles with the
needs of local community members on the one hand, and local
businesses and enterprises on the other, particularly in regards to
financial limits and concerns.
In collaborazione con il Comune di Castegnato

Con i patrocini
UNESCO – Decennio ONU sull’Educazione allo Sviluppo sostenibile, Earth
Charter International, Green Cross International, Ministero dell’Ambiente e
della Tutela del Territorio e del Mare, Università Cattolica del S.Cuore -
Facoltà di Scienze della formazione, Regione Lombardia - DG Qualità
dell’Ambiente, Provincia di Brescia – Assessorato all’Ambiente

NEL CERCHIO DELLA CREAZI ONE


Educazione e saggezza dei popoli Nativi
Centro Civico
Castegnato, 10 novembre 2007

Programma

Introduzione
GIAMBATTISTA FRASSI, Presidente Fondazione Cogeme ONLUS
GIUSEPPE ORIZIO, Sindaco di Castegnato
MARIA LUISA DE NATALE, Prorettore Università Cattolica S.Cuore
Chairman
SIMONE MAZZATA, Segretario generale Fondazione Cogeme Onlus
La Carta della Terra: principi educativi per la sostenibilità
BETTY MCDERMOTT (Costarica), Project coordinator Earth Charter
International (traduzione in inglese in sala, a cura di Elena Plodari)
Progettare nella scuola con la Carta della Terra
ELIA RAVELLI, Dirigente scolastico Istituto comprensivo “Vittorio
Falsina” di Castegnato (BS)
Nativi e sostenibilità: risultati di una ricerca
SIMONE MAZZATA
Sostenibilità educativa, culture native, salvaguardia del Creato
PIERLUIGI MALAVASI, Professore Ordinario di Pedagogia generale -
Università Cattolica S. Cuore di Brescia
Nel Cerchio della Creazione
MANITONQUAT (Medicine Story), storyteller della tribù dei
Wampanoag (Boston – USA)
Presentazione dell’Autore e traduzione dall’inglese a cura di Luca De
Santis

12.00 Conclusioni

Questo convegno è stato realizzato anche grazie alla collaborazione con la


società Electrometal (Castegnato).
In partnership with Municipality of Castegnato

Supported by
UNESCO – UN Decade on Education for Sustainable Development, Earth
Charter International, Green Cross International, Italian Ministry of
Environment and Territory, Catholic University - Faculty of Education,
Regione Lombardia (Quality of Environment Division), Provincia di Brescia
(Environment Counciliorship).

IN THE CIRCLE OF CREATION


Education and wisdom of Native Peoples
Cultural Center “M.L. King” - Castegnato (Brescia, Italy)
November 10th, 2007

Introduction

Fondazione Cogeme Onlus, a multiutility property of 70 Italian local


municipalities in Lombardia (Italy), is actively involved in the promotion of the
Earth Charter. This important document, promoted by UN, represents an
ethical foundation for sustainability, based on the main principle that every
living being is part of one wide community of life, sharing a common destiny.
The present event is part of the UN’s Decade for Education on Sustainable
Development (2005-2014), and it is an opportunity to extend the debate and
range of actions about the educational strength of the Earth Charter, with a
particular focus on the deep sense of belonging and love for the earth as
expressed by Native American culture.
The very special guest of the congress will be Manitonquat (Medicine Story),
spiritual guide of the Wampanoag tribe (Boston), a native storyteller that will
be able to transmit us, in an evocative and effective way, the sacred and
millenary wisdom of his people.

Program

Opening Session
GIAMBATTISTA FRASSI, President of Fondazione Cogeme Onlus
GIUSEPPE ORIZIO, Mayor of Castegnato
MARIA LUISA DE NATALE, Prorector of Catholic University - Milan
Chairman
SIMONE MAZZATA, Secretary of Fondazione Cogeme Onlus
The Earth Charter and the Educative Principles of Sustainability
BETTY MCDERMOTT, Project coordinator of Earth Charter
International (Costarica)
School planning with the Earth Charter
ELIA RAVELLI, Head-master of Istituto Comprensivo "Vittorio Falsina"
of Castegnato (BS).
Natives and Sustainability: The Results of a Research
SIMONE MAZZATA e CARLO BARONCELLI, Professor of Earth
Science – Catholic University – Brescia, scientific coordinator of the
congress.
Sustainable education, natives cultures, care of creation
PIERLUIGI MALAVASI, Full Professor of Pedagogy – Catholic
University - Brescia
In the circle of Creation
MANITONQUAT (Medicine Story), storyteller of the Wampanoag tribe (Boston
- USA)
Author’s introduction and translation from english: Luca De Santis

12.00 Closing Remarks


La Carta della Terra
Versione finale (marzo 2000). Traduzione di Vittorio Falsina.

Preambolo
Ci troviamo in un momento critico della storia della Terra, un periodo
in cui l’umanità deve scegliere il suo futuro. In un mondo che diventa
sempre più interdipendente e vulnerabile, il futuro riserva
contemporaneamente grandi pericoli e grandi promesse. Per andare
avanti dobbiamo riconoscere che all’interno di una straordinaria
diversità di culture e di forme di vita siamo un’unica famiglia umana e
un’unica comunità terrestre con un destino comune. Dobbiamo unirci
per promuovere una società globale sostenibile fondata sul rispetto
per la natura, diritti umani universali, giustizia economica e una
cultura della pace. A tal fine è imperativo che noi, popoli della Terra,
dichiariamo le nostre responsabilità reciproche e nei confronti della
comunità più grande della vita e delle generazioni future.

La Terra, la nostra casa


L’umanità è parte di un vasto universo in evoluzione. La Terra, la
nostra casa, è viva e ospita una comunità di vita unica. Le forze della
natura rendono l’esistenza un’avventura impegnativa e incerta, ma la
Terra fornisce le condizioni essenziali per l’evoluzione della vita. La
capacità di ripresa della comunità della vita e il benessere
dell’umanità dipendono dalla conservazione di una biosfera sana,
insieme a tutti i suoi sistemi ecologici, una grande varietà di piante e
animali, suolo fertile, acque pure ed aria pulita. L’ambiente globale,
con le sue risorse finite, è una preoccupazione comune a tutti i popoli.
La tutela della vitalità, della diversità e della bellezza della Terra è un
impegno sacro.

La situazione globale
I sistemi di produzione e consumo dominanti stanno causando
devastazioni ambientali, l’impoverimento delle risorse e una massiccia
estinzione delle specie. Le comunità vengono minate alla base. I
benefici dello sviluppo non vengono distribuiti equamente e il divario
tra ricchi e poveri si sta ingigantendo. L’ingiustizia, la povertà,
l’ignoranza e i conflitti violenti sono diffusi e causa di grandi
sofferenze. L’aumento senza precedenti della popolazione mondiale
sta sovraccaricando i sistemi ecologici e sociali. Le fondazioni stesse
della sicurezza globale sono minacciate. Queste tendenze sono
pericolose, ma non inevitabili.
Le sfide che ci attendono
La scelta è nostra: dar vita ad una collaborazione globale per
prendersi cura della Terra e gli uni degli altri, oppure rischiare la
distruzione di noi stessi e della diversità della vita. Occorrono
modifiche radicali ai nostri valori, alle istituzioni e ai modi di vivere.
Dobbiamo renderci conto che, una volta soddisfatti i bisogni primari,
lo sviluppo umano riguarda soprattutto l’essere di più e non l’avere di
più. Possediamo le conoscenze e le tecnologie per provvedere a tutti
gli abitanti della Terra e per ridurre il nostro impatto sull’ambiente.
L’emergere di una società civile globale sta creando nuove
opportunità per costruire un mondo più umano e democratico. Le
nostre sfide ambientali, economiche, politiche, sociali e spirituali sono
interconnesse e insieme possiamo costruire soluzioni inclusive.

La responsabilità universale
Per realizzare queste aspirazioni dobbiamo decidere di vivere
secondo un senso di responsabilità universale, identificandoci con
l’intera comunità terrestre, oltre che con le nostre comunità locali. Noi
siamo, nel contempo, cittadini di nazioni diverse e di un unico mondo,
in cui il locale e il globale sono collegati. Tutti condividiamo la
responsabilità per il benessere presente e futuro della famiglia umana
e delle altre forme di vita. Lo spirito di solidarietà umana e di affinità
con tutta la vita si rafforza quando viviamo con riverenza verso il
mistero dell’esistenza, con gratitudine per il dono della vita, e con
umiltà riguardo al posto che occupa l’essere umano nello schema
complessivo della natura.
Abbiamo urgente bisogno di una visione condivisa dei valori
fondamentali per una fondazione etica della comunità mondiale che
sta emergendo. Per queste ragioni, uniti nella speranza, affermiamo i
seguenti principi interdipendenti per un modo di vivere sostenibile che
costituisca uno standard di riferimento in base al quale orientare e
valutare la condotta di individui, organizzazioni, imprese economiche,
governi e istituzioni transnazionali.

I. Rispetto e attenzione per la comunità della vita


1. Rispetta la Terra e la vita, in tutta la sua diversità
a. Riconoscendo l’interdipendenza di tutti gli esseri viventi e che ogni
forma di vita è preziosa, indipendentemente dal suo valore per gli
esseri umani.
b. Affermando la fede nell’intrinseca dignità di tutti gli esseri umani, e
nelle potenzialità intellettuali, artistiche, etiche e spirituali
dell’umanità.

2. Prendi cura della comunità della vita con comprensione,


compassione e amore
a. Accettando che il diritto di possedere, gestire, e utilizzare le risorse
naturali si accompagna al dovere di prevenire i danni all’ambiente e di
tutelare i diritti dei popoli.
b. Affermando che l’aumento della libertà, delle conoscenze e del
potere si accompagna all’aumento della responsabilità di promuovere
il bene comune.

3. Costruisci società democratiche che siano giuste, partecipative,


sostenibili e pacifiche
a. Facendo in modo che le comunità a tutti i livelli garantiscano i diritti
umani e le libertà fondamentali e forniscano a tutti le opportunità per
realizzare appieno il proprio potenziale.
b. Promuovendo la giustizia sociale ed economica permettendo a tutti
di raggiungere uno standard di vita sicuro e dignitoso ed
ecologicamente responsabile.

4. Tutela l’abbondanza e la bellezza della Terra per le generazioni


presenti e future
a. Riconoscendo che la libertà di azione di ciascuna generazione va
definita rispetto alle esigenze delle generazioni future.
b. Trasmettendo alle generazioni future valori, tradizioni e istituzioni
che sostengono lo sviluppo a lungo termine delle comunità umane ed
ecologiche della Terra.

Per poter realizzare questi quattro impegni generali occorre:

II. Integrità ecologica


5. Proteggi e ristabilisci l’integrità dei sistemi ecologici della Terra,
prestando particolare attenzione alla diversità biologica e ai processi
naturali che sostengono la vita.
a. Adottando a tutti i livelli piani di sviluppo sostenibile e norme
capaci di rendere integrali la conservazione e la riabilitazione
ambientale rispetto ad ogni iniziativa di sviluppo.
b. Istituendo e tutelando riserve naturali e della biosfera, compresi
terreni incolti e aree marine, in modo da proteggere i sistemi che
sostengono la vita sulla Terra, mantenendo la biodiversità e
preservando il nostro patrimonio naturale.
c. Promuovendo il ristabilimento delle specie e degli ecosistemi
minacciati.
d. Controllando e debellando gli organismi non autoctoni o
geneticamente modificati che siano dannosi per le specie autoctone e
per l’ambiente e impedendo l’introduzione di questi organismi
dannosi.
e. Gestendo l’utilizzo delle risorse rinnovabili come l’acqua, il suolo, i
prodotti forestali e la vita marina in modo da non eccedere il loro ritmo
di rigenerazione e proteggendo la salute degli ecosistemi.
f. Gestendo l’estrazione e l’uso delle risorse non rinnovabili, come i
minerali e i combustibili fossili, in modo da ridurne al minimo
l’impoverimento ed evitando danni ambientali seri.

6. Previeni i danni come migliore metodo di protezione ambientale e,


quando le conoscenze siano limitate, adotta un approccio cautelativo.
a. Prendendo provvedimenti per impedire la possibilità di
danneggiamento grave o irreversibile dell’ambiente, anche qualora le
conoscenze scientifiche fossero incomplete o non risolutive.
b. Assegnando l’onere della prova a coloro che sostengono che una
certa attività non provocherà danni significativi e chiamando i
responsabili a rispondere di eventuali danni ambientali.
c. Assicurandosi che nel processo decisionale vengano affrontate le
conseguenze complessive, a lungo termine, indirette, remote e globali
delle attività umane.
d. Impedendo l’inquinamento di ogni parte dell’ambiente e non
permettendo l’accumulo di sostanze radioattive, tossiche o comunque
pericolose.
e. Impedendo le attività militari che siano dannose per l’ambiente.

7. Adotta modelli di produzione, consumo e riproduzione che


rispettino le capacità rigenerative della Terra, i diritti umani e il
benessere delle comunità.
a. Riducendo l’uso, riutilizzando e riciclando i materiali usati nei
processi di produzione e consumo e assicurandosi che i rifiuti residui
possano essere assorbiti dai sistemi ecologici.
b. Imponendo limitazioni ed efficienza nell’utilizzo dell’energia e
affidandosi sempre più spesso alle fonti di energia rinnovabile, come
l’energia solare ed eolica.
c. Promuovendo lo sviluppo, l’adozione ed il trasferimento equo delle
tecnologie ecologicamente efficaci.
d. Includendo per intero nel prezzo di vendita i costi ambientali e
sociali dei beni e dei servizi e permettendo ai consumatori di
riconoscere i prodotti conformi alle migliori normative sociali ed
ambientali.
e. Garantendo l’accesso universale all’assistenza medica di sostegno
alla salute riproduttiva e ad una riproduzione responsabile.
f. Adottando stili di vita che diano rilievo alla qualità della vita e alla
sufficienza materiale in un mondo di risorse finite.

8. Sviluppa lo studio della sostenibilità ecologica e promuovi il libero


scambio e l’applicazione diffusa delle conoscenze così acquisite.
a. Promuovendo la cooperazione scientifica e tecnologica
internazionale sulla sostenibilità, con particolare attenzione ai bisogni
dei paesi in via di sviluppo.
b. Riconoscendo e preservando le conoscenze tradizionali e la
saggezza spirituale presenti in ogni cultura che contribuiscono alla
tutela dell’ambiente e al benessere umano.
c. Garantendo che le informazioni di importanza vitale per la salute
umana e la tutela dell’ambiente, comprese le informazioni genetiche,
restino di pubblico dominio e a disposizione di tutti.

III. Giustizia economica e sociale


9. Sradica la povertà come imperativo etico, sociale e ambientale.
a. Garantendo il diritto all’acqua potabile, all’aria pulita, alla sicurezza
alimentare, al suolo incontaminato, alla casa e a condizioni igieniche
sicure, assegnando le necessarie risorse nazionali e internazionali.
b. Dando a ogni essere umano l’istruzione e le risorse necessarie per
garantire un tenore di vita sostenibile e fornendo una rete
previdenziale e di sicurezza per coloro che sono incapaci di
sostenersi da soli.
c. Assistendo gli esclusi, proteggendo le persone vulnerabili,
servendo coloro che soffrono e permettendogli di sviluppare le loro
capacità e di perseguire le proprie aspirazioni.
10. Assicurati che le attività economiche e le istituzioni a tutti i livelli
promuovano lo sviluppo umano in modo equo e sostenibile.
a. Promuovendo l’equa distribuzione della ricchezza all’interno delle
nazioni e tra le nazioni.
b. Incrementando le risorse intellettuali, finanziarie, tecniche e sociali
dei paesi in via di sviluppo, liberandoli dall’oneroso debito
internazionale.
c. Assicurandosi che ogni commercio promuova un uso sostenibile
delle risorse, la tutela dell’ambiente e standard di lavoro progressisti.
d. Esigendo che le società multinazionali e le organizzazioni
finanziarie internazionali agiscano in modo trasparente per il bene
comune e chiamandole a rispondere delle conseguenze delle loro
attività.

11. Afferma l’uguaglianza dei generi e le pari opportunità come


prerequisiti per lo sviluppo sostenibile e garantisci l’accesso
universale all’istruzione, all’assistenza sanitaria e alle opportunità
economiche.
a. Garantendo i diritti umani delle donne e delle ragazze e ponendo
fine ad ogni forma di violenza nei loro confronti.
b. Promuovendo la partecipazione attiva delle donne quali partner con
parità di diritti e a pieno titolo in tutti i campi della vita economica,
politica, civile, sociale e culturale in qualità di interlocutori, decision
maker, leader e beneficiari.
c. Rafforzando le famiglie e garantendo la sicurezza e la cura
amorevole di tutti i membri della famiglia.

12. Sostieni i diritti di tutti, senza alcuna discriminazione, ad un


ambiente naturale e sociale capace di sostenere la dignità umana, la
salute dei corpi e il benessere dello spirito, soprattutto per quanto
riguarda i diritti degli indigeni e delle minoranze.
a. Eliminando le discriminazioni in ogni loro forma, come quelle
basate su razza, colore della pelle, sesso, orientamento sessuale,
religione, lingua e origine nazionale, etnica o sociale.
b. Affermando i diritti dei popoli indigeni alle proprie forme di
spiritualità, conoscenze, terre e risorse e alle relative pratiche di vita
sostenibili.
c. Onorando e aiutando i giovani delle nostre comunità permettendogli
di ottemperare al loro ruolo fondamentale di creare società sostenibili.
d. Tutelando e restaurando i luoghi di notevole significato culturale e
spirituale.

IV. Democrazia, non violenza e pace


13. Rafforza le istituzioni democratiche a tutti i livelli e garantisci
trasparenza e responsabilità a livello amministrativo, compresa la
partecipazione nei processi decisionali e l’accesso alla giustizia.
a. Sostenendo il diritto di tutti a ricevere informazioni chiare e
tempestive sulle questioni ambientali e sui piani ed attività di sviluppo
che possano riguardarli o in cui abbiano un interesse.
b. Sostenendo la società civile a livello locale, regionale e globale e
promuovendo la partecipazione significativa di tutti gli individui e delle
organizzazioni interessate nel processo decisionale.
c. Proteggendo il diritto alla libertà di opinione, espressione, riunione
pacifica, associazione e dissenso.
d. Istituendo l’accesso efficace ed efficiente a procedure
amministrative e giudiziarie indipendenti, compresi i rimedi e le
compensazioni legali per danni ambientali e per la minaccia dei
medesimi.
e. Eliminando la corruzione in ogni istituzione pubblica e privata.
f. Rafforzando le comunità locali permettendogli di prendersi cura
dell’ambiente e assegnando la responsabilità per la tutela
dell’ambiente a quei livelli amministrativi capaci di ottemperarvi nel
modo più efficace.

14. Integra nell’istruzione formale e nella formazione permanente le


conoscenze, i valori e le capacità necessarie per un modo di vivere
sostenibile.
a. Fornendo a tutti, soprattutto ai bambini e ai giovani, opportunità
educative tali da permettergli di contribuire attivamente allo sviluppo
sostenibile.
b. Promuovendo il contributo delle arti e delle materie umanistiche,
oltre che di quelle scientifiche, all’educazione alla sostenibilità.
c. Incrementando il ruolo dei mass media nell’accrescere la
consapevolezza delle sfide ecologiche e sociali.
d. Riconoscendo l’importanza dell’educazione morale e spirituale per
un modo di vita sostenibile.

15. Tratta ogni essere vivente con rispetto e considerazione.


a. Impedendo il trattamento crudele degli animali allevati nelle società
umane e proteggendoli dalla sofferenza.
b. Proteggendo gli animali selvatici dalle tecniche di caccia,
intrappolamento e pesca capaci di causare sofferenze estreme,
prolungate o evitabili.
c. Evitando o riducendo il più possibile la cattura o distruzione di
specie animali che non costituiscono l’oggetto della caccia.

16. Promuovi una cultura della tolleranza, della nonviolenza e della


pace.
a. Incoraggiando e sostenendo la comprensione reciproca, la
solidarietà e la cooperazione tra i popoli, all’interno e fra le nazioni.
b. Attuando strategie ampie per evitare i conflitti violenti ed
utilizzando la risoluzione collaborativa dei problemi per gestire e
risolvere conflitti ambientali ed altre dispute.
c. Smilitarizzando i sistemi di sicurezza nazionale al livello di un
atteggiamento di difesa non provocativa e riconvertendo le risorse
militari a scopi di pace, compresa la bonifica ambientale.
d. Eliminando gli armamenti nucleari, biologici e tossici e le altre armi
di distruzione di massa.
e. Assicurandosi che i supporti orbitali e spaziali vengano utilizzati
soltanto ai fini della tutela dell’ambiente e della pace.
f. Riconoscendo che la pace è l’insieme creato da relazioni
equilibrate ed armoniose con se stessi, con le altre persone, con le
altre culture, con le altre vite, con la Terra e con quell’insieme più
ampio di cui siamo tutti parte.

Un nuovo inizio
Mai come in questo momento, nella storia dell’umanità, il destino
comune ci obbliga a cercare un nuovo inizio. Tale rinnovamento è la
promessa di questi principi della Carta della Terra. Per adempiere a
questa promessa dobbiamo impegnarci ad adottare e promuovere i
valori e gli obiettivi della Carta.
Ciò richiede un cambio interiore, un cambio del cuore e della mente.
Richiede un rinnovato senso dell’interdipendenza globale e della
responsabilità universale. Dobbiamo sviluppare in modo immaginativo
ed applicare la visione di un modo di vivere sostenibile a livello
locale, regionale, nazionale e globale. La nostra diversità culturale è
un’eredità preziosa e le diverse culture troveranno i propri percorsi
specifici per realizzare questa visione. Dobbiamo approfondire e
ampliare il dialogo globale che ha generato la Carta della Terra
perché abbiamo molto da imparare dalla collaborazione nella ricerca
della verità e della saggezza.
La vita spesso implica tensioni tra valori importanti. Questo può
significare scelte difficili. Tuttavia, dobbiamo trovare il modo di
armonizzare la diversità con l’unità, l’esercizio della libertà con il bene
comune, gli obiettivi a breve termine con quelli a lungo termine. Ogni
individuo, famiglia, organizzazione e comunità ha un ruolo vitale da
svolgere. Le arti, le scienze, le religioni, le istituzioni scolastiche, i
media, le imprese, le organizzazioni non governative e i governi sono
chiamati ad offrire una leadership creativa. L’azione congiunta dei
governi, della società civile e delle imprese è fondamentale per un
governo efficace.
Per poter costruire una comunità globale sostenibile le nazioni della
Terra devono rinnovare l’impegno fatto alle Nazioni Unite, adempiere
ai propri obblighi in base agli accordi internazionali in vigore e
sostenere l’implementazione dei principi della Carta della Terra per
mezzo di uno strumento sull’ambiente e lo sviluppo vincolante a livello
internazionale.
Facciamo in modo che la nostra epoca venga ricordata per il
risvegliarsi di un nuovo rispetto per la vita, per la tenacia nel
raggiungere la sostenibilità, per un rinnovato impegno nella lotta per
la giustizia e la pace e per la gioiosa celebrazione della vita.
The Earth Charter

Preamble
We stand at a critical moment in Earth's history, a time when
humanity must choose its future. As the world becomes increasingly
interdependent and fragile, the future at once holds great peril and
great promise. To move forward we must recognize that in the midst
of a magnificent diversity of cultures and life forms we are one human
family and one Earth community with a common destiny. We must join
together to bring forth a sustainable global society founded on respect
for nature, universal human rights, economic justice, and a culture of
peace. Towards this end, it is imperative that we, the peoples of
Earth, declare our responsibility to one another, to the greater
community of life, and to future generations.

Earth, Our Home


Humanity is part of a vast evolving universe. Earth, our home, is alive
with a unique community of life. The forces of nature make existence
a demanding and uncertain adventure, but Earth has provided the
conditions essential to life's evolution. The resilience of the
community of life and the well-being of humanity depend upon
preserving a healthy biosphere with all its ecological systems, a rich
variety of plants and animals, fertile soils, pure waters, and clean air.
The global environment with its finite resources is a common concern
of all peoples. The protection of Earth's vitality, diversity, and beauty
is a sacred trust.

The Global Situation


The dominant patterns of production and consumption are causing
environmental devastation, the depletion of resources, and a massive
extinction of species. Communities are being undermined. The
benefits of development are not shared equitably and the gap
between rich and poor is widening. Injustice, poverty, ignorance, and
violent conflict are widespread and the cause of great suffering. An
unprecedented rise in human population has overburdened ecological
and social systems. The foundations of global security are threatened.
These trends are perilous—but not inevitable.

The Challenges Ahead


The choice is ours: form a global partnership to care for Earth and
one another or risk the destruction of ourselves and the diversity of
life. Fundamental changes are needed in our values, institutions, and
ways of living. We must realize that when basic needs have been met,
human development is primarily about being more, not having more.
We have the knowledge and technology to provide for all and to
reduce our impacts on the environment. The emergence of a global
civil society is creating new opportunities to build a democratic and
humane world. Our environmental, economic, political, social, and
spiritual challenges are interconnected, and together we can forge
inclusive solutions.

Universal Responsibility
To realize these aspirations, we must decide to live with a
sense of universal responsibility, identifying ourselves with the
whole Earth community as well as our local communities. We
are at once citizens of different nations and of one world in
which the local and global are linked. Everyone shares
responsibility for the present and future well-being of the
human family and the larger living world. The spirit of human
solidarity and kinship with all life is strengthened when we live
with reverence for the mystery of being, gratitude for the gift of
life, and humility regarding the human place in nature.

We urgently need a shared vision of basic values to provide an ethical


foundation for the emerging world community. Therefore, together in
hope we affirm the following interdependent principles for a
sustainable way of life as a common standard by which the conduct of
all individuals, organizations, businesses, governments, and
transnational institutions is to be guided and assessed.

PRINCIPLES

I. RESPECT AND CARE FOR THE COMMUNITY OF LIFE

1. Respect Earth and life in all its diversity.


a. Recognize that all beings are interdependent and every form of life
has value regardless of its worth to human beings.
b. Affirm faith in the inherent dignity of all human beings and in the
intellectual, artistic, ethical, and spiritual potential of humanity.

2. Care for the community of life with understanding,


compassion, and love.
a. Accept that with the right to own, manage, and use natural
resources comes the duty to prevent environmental harm and to
protect the rights of people.
b. Affirm that with increased freedom, knowledge, and power comes
increased responsibility to promote the common good.
3. Build democratic societies that are just, participatory,
sustainable, and peaceful.
a. Ensure that communities at all levels guarantee human rights and
fundamental freedoms and provide everyone an opportunity to realize
his or her full potential.
b. Promote social and economic justice, enabling all to achieve a
secure and meaningful livelihood that is ecologically responsible.

4. Secure Earth's bounty and beauty for present and future


generations.
a. Recognize that the freedom of action of each generation is qualified
by the needs of future generations.
b. Transmit to future generations values, traditions, and institutions
that support the long-term flourishing of Earth's human and ecological
communities.

In order to fulfill these four broad commitments, it is necessary


to:

II. ECOLOGICAL INTEGRITY

5. Protect and restore the integrity of Earth's ecological systems,


with special concern for biological diversity and the natural
processes that sustain life.
a. Adopt at all levels sustainable development plans and regulations
that make environmental conservation and rehabilitation integral to all
development initiatives.
b. Establish and safeguard viable nature and biosphere reserves,
including wild lands and marine areas, to protect Earth's life support
systems, maintain biodiversity, and preserve our natural heritage.
c. Promote the recovery of endangered species and ecosystems.
d. Control and eradicate non-native or genetically modified organisms
harmful to native species and the environment, and prevent
introduction of such harmful organisms.
e. Manage the use of renewable resources such as water, soil, forest
products, and marine life in ways that do not exceed rates of
regeneration and that protect the health of ecosystems.
f. Manage the extraction and use of non-renewable resources such as
minerals and fossil fuels in ways that minimize depletion and cause no
serious environmental damage.

6. Prevent harm as the best method of environmental protection


and, when knowledge is limited, apply a precautionary approach.
a. Take action to avoid the possibility of serious or irreversible
environmental harm even when scientific knowledge is incomplete or
inconclusive.
b. Place the burden of proof on those who argue that a proposed
activity will not cause significant harm, and make the responsible
parties liable for environmental harm.
c. Ensure that decision making addresses the cumulative, long-term,
indirect, long distance, and global consequences of human activities.
d. Prevent pollution of any part of the environment and allow no build-
up of radioactive, toxic, or other hazardous substances.
e. Avoid military activities damaging to the environment.

7. Adopt patterns of production, consumption, and reproduction


that safeguard Earth's regenerative capacities, human rights, and
community well-being.
a. Reduce, reuse, and recycle the materials used in production and
consumption systems, and ensure that residual waste can be
assimilated by ecological systems.
b. Act with restraint and efficiency when using energy, and rely
increasingly on renewable energy sources such as solar and wind.
c. Promote the development, adoption, and equitable transfer of
environmentally sound technologies.
d. Internalize the full environmental and social costs of goods and
services in the selling price, and enable consumers to identify
products that meet the highest social and environmental standards.
e. Ensure universal access to health care that fosters reproductive
health and responsible reproduction.
f. Adopt lifestyles that emphasize the quality of life and material
sufficiency in a finite world.

8. Advance the study of ecological sustainability and promote the


open exchange and wide application of the knowledge acquired.
a. Support international scientific and technical cooperation on
sustainability, with special attention to the needs of developing
nations.
b. Recognize and preserve the traditional knowledge and spiritual
wisdom in all cultures that contribute to environmental protection and
human well-being.
c. Ensure that information of vital importance to human health and
environmental protection, including genetic information, remains
available in the public domain.

III. SOCIAL AND ECONOMIC JUSTICE


9. Eradicate poverty as an ethical, social, and environmental
imperative.
a. Guarantee the right to potable water, clean air, food security,
uncontaminated soil, shelter, and safe sanitation, allocating the
national and international resources required.
b. Empower every human being with the education and resources to
secure a sustainable livelihood, and provide social security and safety
nets for those who are unable to support themselves.
c. Recognize the ignored, protect the vulnerable, serve those who
suffer, and enable them to develop their capacities and to pursue their
aspirations.

10. Ensure that economic activities and institutions at all levels


promote human development in an equitable and sustainable
manner.
a. Promote the equitable distribution of wealth within nations and
among nations.
b. Enhance the intellectual, financial, technical, and social resources
of developing nations, and relieve them of onerous international debt.
c. Ensure that all trade supports sustainable resource use,
environmental protection, and progressive labor standards.
d. Require multinational corporations and international financial
organizations to act transparently in the public good, and hold them
accountable for the consequences of their activities.

11. Affirm gender equality and equity as prerequisites to


sustainable development and ensure universal access to
education, health care, and economic opportunity.
a. Secure the human rights of women and girls and end all violence
against them.
b. Promote the active participation of women in all aspects of
economic, political, civil, social, and cultural life as full and equal
partners, decision makers, leaders, and beneficiaries.
c. Strengthen families and ensure the safety and loving nurture of all
family members.

12. Uphold the right of all, without discrimination, to a natural


and social environment supportive of human dignity, bodily
health, and spiritual well-being, with special attention to the
rights of indigenous peoples and minorities.
a. Eliminate discrimination in all its forms, such as that based on race,
color, sex, sexual orientation, religion, language, and national, ethnic
or social origin.
b. Affirm the right of indigenous peoples to their spirituality,
knowledge, lands and resources and to their related practice of
sustainable livelihoods.
c. Honor and support the young people of our communities, enabling
them to fulfill their essential role in creating sustainable societies.
d. Protect and restore outstanding places of cultural and spiritual
significance.

IV. DEMOCRACY, NONVIOLENCE, AND PEACE

13. Strengthen democratic institutions at all levels, and provide


transparency and accountability in governance, inclusive
participation in decision making, and access to justice.
a. Uphold the right of everyone to receive clear and timely information
on environmental matters and all development plans and activities
which are likely to affect them or in which they have an interest.
b. Support local, regional and global civil society, and promote the
meaningful participation of all interested individuals and organizations
in decision making.
c. Protect the rights to freedom of opinion, expression, peaceful
assembly, association, and dissent.
d. Institute effective and efficient access to administrative and
independent judicial procedures, including remedies and redress for
environmental harm and the threat of such harm.
e. Eliminate corruption in all public and private institutions.
f. Strengthen local communities, enabling them to care for their
environments, and assign environmental responsibilities to the levels
of government where they can be carried out most effectively.

14. Integrate into formal education and life-long learning the


knowledge, values, and skills needed for a sustainable way of
life.
a. Provide all, especially children and youth, with educational
opportunities that empower them to contribute actively to sustainable
development.
b. Promote the contribution of the arts and humanities as well as the
sciences in sustainability education.
c. Enhance the role of the mass media in raising awareness of
ecological and social challenges.
d. Recognize the importance of moral and spiritual education for
sustainable living.

15. Treat all living beings with respect and consideration.


a. Prevent cruelty to animals kept in human societies and protect
them from suffering.
b. Protect wild animals from methods of hunting, trapping, and fishing
that cause extreme, prolonged, or avoidable suffering.
c. Avoid or eliminate to the full extent possible the taking or
destruction of non-targeted species.

16. Promote a culture of tolerance, nonviolence, and peace.


a. Encourage and support mutual understanding, solidarity, and
cooperation among all peoples and within and among nations.
b. Implement comprehensive strategies to prevent violent conflict and
use collaborative problem solving to manage and resolve
environmental conflicts and other disputes.
c. Demilitarize national security systems to the level of a non-
provocative defense posture, and convert military resources to
peaceful purposes, including ecological restoration.
d. Eliminate nuclear, biological, and toxic weapons and other weapons
of mass destruction.
e. Ensure that the use of orbital and outer space supports
environmental protection and peace.
f. Recognize that peace is the wholeness created by right
relationships with oneself, other persons, other cultures, other life,
Earth, and the larger whole of which all are a part.

THE WAY FORWARD

As never before in history, common destiny beckons us to seek a new


beginning. Such renewal is the promise of these Earth Charter
principles. To fulfill this promise, we must commit ourselves to adopt
and promote the values and objectives of the Charter.

This requires a change of mind and heart. It requires a new sense of


global interdependence and universal responsibility. We must
imaginatively develop and apply the vision of a sustainable way of life
locally, nationally, regionally, and globally. Our cultural diversity is a
precious heritage and different cultures will find their own distinctive
ways to realize the vision. We must deepen and expand the global
dialogue that generated the Earth Charter, for we have much to learn
from the ongoing collaborative search for truth and wisdom.

Life often involves tensions between important values. This can mean
difficult choices. However, we must find ways to harmonize diversity
with unity, the exercise of freedom with the common good, short-term
objectives with long-term goals. Every individual, family, organization,
and community has a vital role to play. The arts, sciences, religions,
educational institutions, media, businesses, nongovernmental
organizations, and governments are all called to offer creative
leadership. The partnership of government, civil society, and business
is essential for effective governance.

In order to build a sustainable global community, the nations of the


world must renew their commitment to the United Nations, fulfill their
obligations under existing international agreements, and support the
implementation of Earth Charter principles with an international legally
binding instrument on environment and development.

Let ours be a time remembered for the awakening of a new reverence


for life, the firm resolve to achieve sustainability, the quickening of the
struggle for justice and peace, and the joyful celebration of life.
La Carta della Terra per ragazzi*
Adattamento per i bambini dei primi quattro principi della Carta della
Terra. Frutto della collaborazione di Alison Steel e Louise Erbacher,
Queensland Earth Charter Committee, con l’aiuto degli studenti del St
Anthony’s Primary School di Kedron.

Stiamo vivendo un momento molto importante della storia della terra.


Ogno giorno i popoli del mondo divengono più vicini. Abbiamo
bisogno di creare ponti tra culture per scegliere il nostro futuro: per
proteggere la natura, rispettare i diritti umani e creare un mondo dove
tutti possano vivere insieme in pace e giustizia. Siamo responsabili
della cura verso la vita – sia per il presente che per il futuro.

La terra è la nostra casa


La Terra è solo una piccola parte dell’immenso universo nel quale
viviamo. La Terra stessa è piena di vita, con una ricca varietà di
piante, animali e popoli. Per sopravvivere, in quanto esseri umani,
abbiamo bisogno del suolo, dell’acqua, dell’aria, delle piante e degli
animali. È nostro dovere prendersi cura della vita sulla Terra.

La situazione globale
Oggi il nostro modello di vita spesso ferisce la l’ambiente. Il modo con
cui produciamo e consumiamo beni impoverisce la terra delle sue
riserve di acqua, aria e suolo, mettendo a rischio la vita di molte
specie vegetali e animali. La crescente popolazione mondiale
continua a drenare le risorse naturali della Terra. Allo stesso tempo,
ci troviamo ad affrontare guerre, fame, miseria, ignoranza, malattie e
ingiustizie.

Cosa possiamo fare?


La scelta sta a noi: possiamo cominciare ad operare dei cambiamenti
in modo da costruire un futuro migliore per tutti. La Carta della Terra
ci offre un cammino da seguire.

Tutti siamo responsabili


Per cambiare il mondo dobbiamo diventare responsabili delle nostre
azioni, perché tutto ciò che facciamo è collegato – tutto, sul nostro
pianeta, è tenuto insieme nella fabbrica della vita. Dobbiamo riflettere
sul al modo con cui impieghiamo le risorse e il modo di prenderci cura
di piante ed animali. Dobbiamo riflettere sul modo con cui trattiamo le
altre persone. Se tutti ci assumiamo la responsabilità delle nostre
azioni, possiamo cominciare a lavorare insieme per prenderci cura del
benessere presente e futuro della famiglia umana e di tutte le cose
viventi su questo pianeta. Tutti noi possiamo condividere la speranza
nel futuro.

Rispetto e cura per tutte le cose viventi


1. Rispetta la terra e tutti gli esseri viventi: persone, animali e
piante.
a. Comprendi l’importanza del collegamento di tutti gli esseri viventi
b. Accetta tutte le persone come tesori viventi con le loro proprie
credenze ed opinioni.

2. Prenditi cura di tutte le cose viventi, con comprensione,


compassione e amore
a. Usa saggiamente le risorse naturali, assicurandoti di non
procurare danni alla Terra.
b. Proteggi i diritti dei popoli e accetta le loro differenze.

3. Costituisci gruppi di persone che agiscono correttamente,


tratta gli altri in modo equo e lavora con loro in pace.
a. Riconosci il diritto di ciascuno di essere libero e il diritto di
scegliere il modo di svilupparsi e crescere.
b. Accogli tutte le persone e lavora per creare comunità sicure,
pacifiche e giuste.

4. Coopera in modo che tutte le persone possano gioire della


bellezza e dei frutti della Terra.
a. Agisci responsabilmente per il presente, assicurandoti di non
trascurare i bisogni delle generazioni future.
b. Trasferisci le conoscenze e incoraggia le generazioni future a
diventare custodi della Terra.

* Traduzione dall’originale di Carlo Baroncelli


Earth Charter For Children

We are living at a very important moment in Earth’s history. Every


day, the people of the world are moving closer together. We need to
unite across cultures to choose our future: to protect nature, to
respect human rights and to create a world where all can live together
in peace and justice. We have a responsibility to care for life – both at
present and into the future.

The Earth is our home:


The Earth is only a small part of the immense universe in which we
live. The Earth itself is full of life, with a rich variety of plants, animals
and peoples. In order to survive, we as human beings need the soil,
the water, the air, the plants and the animals. It is our duty to take
care of life on Earth.

The Global Situation:


Today, our way of living often harms the environment. The way that
we produce and consume goods depletes the Earth of its supplies of
water, air and soil, endangering the lives of many plant and animal
species. The growing world population continues to drain the Earth of
its natural resources. At the same time, we are faced with war,
famine, misery, ignorance, disease, and injustice.

What can we do?


The choice is ours: We can start making changes so that we can
build a better future for everyone. The Earth Charter gives us a path
to follow.

Everybody is responsible.
To change our world we need to be responsible for our actions,
because everything that we do is interconnected – everything on our
planet is woven together into the fabric of life. We need to think about
the way that we use resources and the way that we care for plants
and animals. We need to think about the way that we treat other
people. If we all take responsibility for our own actions, we can start
to work together to care for the present and future well being of the
human family and of all the living things on this planet. All of us can
share in the hope for the future.

RESPECT AND CARE FOR ALL LIVING THINGS


1. Respect the Earth and all living things: people, animals and
plants
a. Understand the importance and the interconnectedness of all
living things.
b. Accept all people as living treasures with their own beliefs and
opinions.

2. Care for all living things, with understanding, compassion


and love
a. Use natural resources wisely, taking care not to cause harm
to the Earth.
b. Protect the rights of people and accept their differences.

3. Form groups of people who act justly, treat others equally and
work together peacefully
a. Recognise everyone’s right to be free and the right to choose
how they will develop and grow.
b. Include all people and work towards safe, peaceful and fair
communities.

4. Co-operate so that all people can enjoy the beauty and the
fruits of the Earth
a. Act responsibly for the present, making sure not to neglect the
needs of future generations.
b. Pass on knowledge and encourage future generations to be
caretakers of the Earth.

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