Sei sulla pagina 1di 3

L’espressione “federalismo fiscale” ha origine dalla concezione della “configurazione territoriale

ottimale del governo della finanza pubblica”, di derivazione americana, che fa riferimento alle
entrate e alle spese pubbliche a prescindere dal livello decisionale di assegnazione delle relative
funzioni. Tuttavia, negli ultimi anni, è emerso anche un altro orientamento, secondo il quale la
titolarità delle entrate fiscali - l’unico aspetto di finanza pubblica considerato ai fini federalistici -
appartiene alle comunità territoriali, mentre le funzioni di spesa ricadono all’interno delle scelte di
devolution. La proposta di legge approvata dal Consiglio Regionale della Lombardia, rifacendosi a
questa impostazione, determina, per le Regioni a statuto ordinario, un sostanziale squilibrio tra
maggiori entrate e maggiori spese decentrabili. Uno studio CIFREL-Università Cattolica, condotto
da alcuni economisti non certo sospetti di antifederalismo, come Ambrosanio, Bordignon e Turati,
rileva che, dal punto di vista del metodo: “definire le risorse da attribuire, senza definire prima le
spese che queste risorse devolute dovrebbero finanziare, necessariamente produce disequilibri”.
Mentre, dal punto di vista del merito: “definire ex ante il livello della perequazione, senza di nuovo
considerare i servizi che devono essere finanziati e i diversi gradi di tutela che la Costituzione
riconosce a questi diversi servizi, conduce necessariamente a problemi di congruenza tra entrate e
spese”. Questo vale, in particolare, per le Regioni meridionali, che, così, non sarebbero in
condizioni di finanziare anche le funzioni costituzionalmente tutelate. Lo schema di disegno di
legge sull’attuazione dell’articolo 119 della Costituzione, con delega al governo in materia di
federalismo fiscale, presentato dal ministro Calderoli, non è la semplice riproposizione delle
posizioni “nordiste”, ma – in una certa misura - un mix tra le ipotesi della Lombardia e l’analogo
provvedimento proposto dal governo Prodi. La relazione di accompagnamento della bozza
legislativa contiene affermazioni condivisibili in linea generale, che richiamano i temi della
competitività del sistema; di un nuovo “patto fiscale”, basato su criteri di responsabilità, autonomia
ed efficienza; di un sistema premiante a favore degli enti virtuosi e di un meccanismo sanzionatorio
per quelli incapaci; di una perequazione, in grado di coniugare il principio costituzionale di
solidarietà con quello di buona amministrazione. In particolare, viene sottolineato che il sistema
perequativo consente “di assicurare il finanziamento integrale (calcolato in base al costo standard)
dei livelli essenziali delle prestazioni che concernono istruzione, sanità, assistenza e le funzioni
fondamentali degli enti locali”. Tuttavia, quando nello schema del governo si sostiene una
“correlazione tra prelievo fiscale e beneficio connesso alle funzioni esercitate sul territorio”,
assecondando l’idea di un “trasferimento implicito”, andrebbe richiamata la norma costituzionale
che fa riferimento alle persone, più che ai territori. Per quanto riguarda gli interventi previsti dal
quinto comma dell’articolo 119 della Costituzione, diretti a promuovere la coesione e a rimuovere
gli squilibri economici e sociali, invece, vi è solo un generico riferimento al fatto che tali iniziative
saranno finanziate con contributi speciali dal bilancio dello Stato, con i finanziamenti dell’Unione
europea e con i cofinanziamenti nazionali, oppure facendo uso della leva fiscale, attraverso speciali
esenzioni, deduzioni e agevolazioni. Eppure, una competizione reale può sussistere solo rispettando
il principio delle pari opportunità dei partecipanti, altrimenti si favorisce la moltiplicazione delle
disparità e la diminuzione del benessere collettivo, specie in un sistema dualistico come quello
italiano. Questa constatazione non significa mettere in discussione la prospettiva federalista, che è il
concreto orizzonte entro cui disegnare gli scenari di riforma istituzionale e di sviluppo economico
del paese. Tuttavia, diversi aspetti del disegno di legge richiedono un vero confronto di merito. A
cominciare dalla precisazione di un criterio che potrebbe apparire ovvio, come quello del passaggio
– si dice, “graduale” – dalla spesa storica al costo standard, che può rappresentare un fatto positivo
o del tutto inapplicabile, a seconda delle concrete modalità di definizione, rinviate ai provvedimenti
di delega. La bozza Calderoli si presta, infatti, a soluzioni di ogni tipo per molti dei suoi temi
caratterizzanti. Tuttavia, alcune parti già appaiono chiare e suscitano più di una perplessità e
preoccupazione. In base al principio della territorialità del gettito delle imposte erariali, le Regioni
assumono la titolarità di una cospicua fetta dei tributi finora gestiti dallo Stato, senza alcuna
valutazione dei loro compiti precipui e dei costi da sostenere per metterli in opera. Il sistema
perequativo prospettato, al di là delle enunciazioni astratte, si fonda su un meccanismo orizzontale,
che lascia – di fatto – alle Regioni più ricche il finanziamento di quelle più povere. Queste ultime,
peraltro, si trovano nella paradossale condizione di una maggiore pressione fiscale - a parità di
ricchezza, su ciascun contribuente -, che però produce un gettito minore rispetto alle altre, con un
livello qualitativo dei servizi del tutto inadeguato. Infine, va sottolineato che mentre il fondo
perequativo si regge sulla compartecipazione all’IVA e sull’addizionale IRPEF a livello regionale,
l’integrazione delle risorse finanziarie per gli altri Enti (Comuni e Province) è affidata,
essenzialmente, all’azione delle Regioni, oltre che al refugium peccatorum delle autonomie locali,
cioè, all’aumento delle tariffe dei servizi. Da questo combinato disposto, sembra emergere che
l’interlocutore privilegiato del sistema federalista, ovvero la sua vittima, dovrebbe essere il
consumatore o l’utente di servizi, già abbondantemente tartassato dalla congiuntura economica e dal
sistema impositivo indiretto. Naturalmente, il confronto sul federalismo fiscale è appena all’inizio e
gli orientamenti in materia, come le scelte legislative, potranno essere ulteriormente chiariti e
perfezionati. Tuttavia, il Mezzogiorno deve partecipare pienamente a questo confronto,
scongiurando il rischio di una timida e complice subalternità, come quello di un logoro
rivendicazionismo. Il tema del federalismo fiscale consente anche di riaprire il confronto sui
caratteri della “nuova questione meridionale” e sul ruolo della nazione verso il Sud: i meridionali
avranno pieno titolo a far valere le loro osservazioni critiche e le loro proposte, quanto più si
disporranno ad assumersi le proprie responsabilità e a valutare i propri limiti, l’inefficienza del
proprio sistema politico-istituzionale, gli sprechi di risorse e l’inefficacia della propria economia,
come un aspetto essenziale della trasformazione dell’area in cui vivono. Solo così, il federalismo
potrà apparire come un’opportunità e non come una condanna.

Amedeo Lepore

Potrebbero piacerti anche