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SCRITTI POLITICI

A CURA DI

MARIO BONESCHI

VOLUME III

FIRENZE
FELICE LE MONNIER
1966
.
COMITATO ITALO-SVIZZERO
PER LA PUBBLICAZIONE DELLE OPERE DI
CARLO CATTANEO
CARLO CATTANEO

SCRITTI POLITICI
A CURA DI

MARIO BONESCHI

VOLUME TERZO

FIRENZE
FELICE LE MONNIER
1965
PROPRIETÀ LETTERARIA RISERVATA ©
alla Casa Editrice Felice Le Monnier
Firenze, 1965

Cartografica S . p . A . - via dalle Casine, I l - Firenze . Tel. 666.489


NOTA

Come ho spiegato nella « Avvertenza ». premessa al primo


volume, la materia che non è stata raccolta sotto grandi e
fondamentali argomenti, viene stampata secondo l’ordine
cronologico dei singoli scritti. II terzo volume degli « Scritti
politici » contiene capitoli del primo e del secondo tipo,
questi ultimi identificati con titoli che indicano l’epoca
storica nel quale Cattaneo ha scritto e che ne mettono in
luce, sotto la varietà degli argomenti, l’ispirazione fonda-
mentale.
M. B.
. . . . ... . . ..
VI

LIBERTÀ ELVETICA
E SUOI NEMICI
1852.
I carabinieri del Ticino
ai carabinieri di Uri e Svitt *
Cari e primogeniti confederati! Le parole che si sono
udite nei vostri comizi ebbero un eco giulivo nei no-
stri cuori. Dunque noi siamo fratelli più concordi che
non credessimo, più concordi che non credessero i ne-
mici della nostra libertà? Dunque voi, che avete tanto
ragione di gloriarvi del passato, volete anche voi cam-
minar coll’avvenire? In nome della Provvidenza. cam-
miniamo dunque insieme!
Voi siete i veterani della libertà. Noi siamo co-
me i vostri figli, anzi come i figli dei vostri figli; per-
ché voi entraste nel santo patto federale prima di noi.
Dio vi ha prediletti.
Purtroppo anche i nostri padri avevano versato il
sangue per la libertà, e prima dei vostri. Non era nato
Tell, laggiù, sulla riva del vostro lago, quando il ves-
sillo di Sant’Ambrogio e del Popolo sventolava sulle
nevi del Gottardo, dopo aver affrontato per trent’anni
la potenza del gran Barbarossa. Ma i nostri padri
non ebbero il senno dei vostri. Essi fabbricarono la
loro libertà sull’arena delle imperiali promesse. Essi
vennero a Costanza a stringere in patto di pace il fer-
reo guanto dell’imperatore, che aveva desolato i loro
campi, disfatte le loro città. II loro giuramento in
Pontida era obliato dal mondo, quando voi pronun-

* Pubblicato in S.P.E., IIpp. 52-53.


4 CATTANEO - SCRITTI POLITICI- III

ciaste l'eterno patto del Grütli, quando voi scopriste


su quella rupe la più bella gemma che Dio abbia do-
nato alla terra: la gemma della semplice fraterna li-
bertà.
Ah se voi l'aveste immantinenti posta in tesoro co-
mune con tutti i vostri vicini dei monti e delle valli!
Ma non fu così. E perciò inutilmente il nostro
sangue e il vostro si mescolò sui campi d'Arbedo e sui
ghiacci di Giornico, e quando l'astuto Trivulzio av-
viluppò i vostri giganti tra i fossi di Marignano, e
quando un popolo disperato dalla miseria vi affrontò
al ponte della Bicocca. .
Sia maledetto quel tenebroso potere della politi-
ca che pone gente contro gente e trae da laghi di
sangue, non la pace e la libertà, ma la discordia e le
lagrime e la servitù. Mirate, fratelli, oggidì qual lut-
tuoso spettacolo offre, intorno alle tranquille nostre
Alpi, tutta l'Europa. Mirate quanti esilj, quante car-
ceri, quanti supplicj. E dappertutto i sacerdoti, che
ieri applaudivano ai popoli, oggi applaudono ai re.
E questi sacerdoti, che non sono di Dio, erano
quegli stessi che poc'anzi v'istigavano ad appuntare le
vostre carabine contro i vostri fratelli, e che sussurra-
vano ai giovani nostri soldati ch'era un delitto seguire
sul campo la croce federale, perché era il vessillo dei
nemici di Dio. Ma Dio ci ha salvati.
Per la seconda volta, a memoria dei viventi, uscì
dal turbine della discordia e della guerra, più saIdo
e più glorioso, il santo patto federale.
A questo stiamo saldi, o fratelli.
Noi parliamo due diverse lingue; ebbene, insegnia-
mo ai nostri figli l'una e l'altra. Noi dobbiamo essere
come un anello che congiunge due gloriose nazioni.
Come? la stirpe che inventò la stampa, per propa-
gare a tutto il mondo la Verità, non dovrebbe essere
amica alla stirpe che scoperse l'America e trovò per
VI - LIBERTÀ ELVETICA E SUOI NEMICI 5

unire tutti i popoli il prodigioso filo di Volta e di


Galvani? Quali popoli della terra potranno stimarsi e
amarsi fra loro se noi non ci stimiamo e non ci amiamo?
Onore alle due lingue! onore alle due stirpi, sa-
pienti di tante scienze e gloriose di tante battaglie!
Pensiamo a far si che i nostri posteri possano es-
ser contenti di noi, come noi siamo superbi dei nostri
antichi.
Intanto, cari primogeniti confederati, noi carabinie-
ri ticinesi vi mandiamo, nelle più affettuose parole del-
la nostra lingua, il nostro fraterno saluto.

3 Agosto 1853
Intorno al confiitto austro-elvetico *
L'intemperanza nello scrivere è uno di que' mali
che la Società non ha mai abbastanza deplorato. Lun-
ge dall'educare le menti ad apprezzare la verità, le
irrita, e dal vero, e dal giusto le allontana. L'ingiuriar
malizioso sente di personale vendetta, e questa nè può,
nè deve essere il tipo di una critica ragionevole, ed
anche quel poco di vero che l'ingiuria talvolta racchiu-
de passa inavvertito, perchè ciò che disgiusta, svia la
riflessione, anzi l'uccide.
Ho voluto ciò premettere onde sdebitare la parte
sensata de' Ticinesi da qualsiasi responsabilità di con-
nivenza a quella stampa che fece argomento di ridi-

* Pubblicato in Supplemento alla a Gazzetta Ticinese )),

1853, n. 94, p. 431. M.R.M. Ms. Archivio Cattaneo, Cart. 14


pl. IX, n. 2. Sul conflitto austro-elvetico, si veda la lettera
di C. a Bertani del 14 aprile 1853 in EP. II p. 235 e le
note di Caddeo. La resistenza ticinese alle minacce ed alle
sanzioni austriache sono poco note in Italia, oiché il
costume è di far conoscere ciò che divide i e non
ciò che li affratella.
VI - LIBERTÀ ELVETICA E SUOI NEMICI 5

unire tutti i popoli il prodigioso filo di Volta e di


Galvani? Quali popoli della terra potranno stimarsi e
amarsi fra loro se noi non ci stimiamo e non ci amiamo?
Onore alle due lingue! onore alle due stirpi, sa-
pienti di tante scienze e gloriose di tante battaglie!
Pensiamo a far si che i nostri posteri possano es-
ser contenti di noi, come noi siamo superbi dei nostri
antichi.
Intanto, cari primogeniti confederati, noi carabinie-
ri ticinesi vi mandiamo, nelle più affettuose parole del-
la nostra lingua, il nostro fraterno saluto.

3 Agosto 1853
Intorno al confiitto austro-elvetico *
L'intemperanza nello scrivere è uno di que' mali
che la Società non ha mai abbastanza deplorato. Lun-
ge dall'educare le menti ad apprezzare la verità, le
irrita, e dal vero, e dal giusto le allontana. L'ingiuriar
malizioso sente di personale vendetta, e questa nè può,
nè deve essere il tipo di una critica ragionevole, ed
anche quel poco di vero che l'ingiuria talvolta racchiu-
de passa inavvertito, perchè ciò che disgiusta, svia la
riflessione, anzi l'uccide.
Ho voluto ciò premettere onde sdebitare la parte
sensata de' Ticinesi da qualsiasi responsabilità di con-
nivenza a quella stampa che fece argomento di ridi-

* Pubblicato in Supplemento alla a Gazzetta Ticinese )),

1853, n. 94, p. 431. M.R.M. Ms. Archivio Cattaneo, Cart. 14


pl. IX, n. 2. Sul conflitto austro-elvetico, si veda la lettera
di C. a Bertani del 14 aprile 1853 in EP. II p. 235 e le
note di Caddeo. La resistenza ticinese alle minacce ed alle
sanzioni austriache sono poco note in Italia, oiché il
costume è di far conoscere ciò che divide i e non
ciò che li affratella.
6 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

cole scene la quistione gravissima nazionale che da


qualche tempo tiene nell'ansia tutta l'Elvezia.
io non toccherò le persone abituato a non far pro-
cessi d'azzardo. Delle persone dirò che tutti reputo in-
capaci di tradire i doveri a loro imposti, e quando mi
vedessi collocato nella dolorosa necessità di censurarne
la condotta, dubitare ancora non vorrei della loro buona
fede, e conchiuderei coll'avvertire che l'errore per una
fatalità dell'umana specie siede a lato ben anche del-
l'uomo il più integerrimo. Però mi sia lecito di osservare
che gli uomini contro i quali vedemmo scagliarsi una
stampa licenziosa, stan presidiati al cospetto della pu-
blica opinione con tali onorate antecedenze da non to-
glier loro la stima che meritano, se posti in difficili con-
tingenze dovettero loro malgrado, impor silenzio ad
alcuno di quei concepimenti, con i quali in tempi non
lontani la dignità e l'onor della patria salvarono.
In un mar procelloso l'uomo di Stato render non
può paghe tutte le esigenze di coloro che stantisi si-
curi in un porto vedon da lontano la procella senza
poterne calcolar il pericolo.
Nelle grandi calamità della patria, e questa ravvol-
ta nei turbini di siffatte calamità, le virtù necessarie
al popolo quelle sono di aspettare e sperare. Le soffe-
renze aver limite non denno in un eroica nazione che
ami la libertà e l'indipendenza, le quali conquistate
da' padri nostri con inauditi sagrifici non dennosi perdere
per uno scoraggiamento il più delle volte fomentato da
que' traviati, che gli interessi materiali antepongono
alla gloria del loro paese.
Le sofferenze dell'uom libero, che tale voglia con-
servarsi, fruttificano tesori di ben essere universale, e
l'alba annunciatrice la vittoria de' sofferenti compen-
sa un secolo di sventure.
La quistione tra l'Austria e I'Elvezia non ha anco-
ra toccato il suo fine, attendiam quindi con calma
VI - LIBERTÀ ELVETICA E SUOI NEMICI
7

questo fine, e chi ha l’abilità di poterlo fare, porga


a’ rappresentanti dell’Elvezia degli utili consigli, ed ove
trovi necessario allo scioglimento onorato di una tale
questione avanzare de’ rimarchi su alcuno de’ preceden-
ti li avanzi con quella dignità che valga a ricondurre
sulla retta via chi l’avesse traviata.
Due sono i conftti che denno avere una pronta
soluzione. Quello tra l’Austria e l’Elvezia. Inutile il
ripetere che la giustizia sta per l’Elvezia.
Quello tra il confederato Canton Ticino, e la Confe-
derazione nel rapporto de’ danni dal primo sofferti.
Conflitto questo di facile soluzione, perchè deciso dal
Patto federale.
Nel conflitto suscitato da ciò, che in onta ad ogni
diritto, l’Austria si è permesso, il terreno delle trat-
tative è ingombro di dumi e di spine. I1 linguaggio
della giustizia non è il risolvente. A canto di questo
linguaggio siede il pensiero della guerra, ma questo
pensiero va tenuto in serbo, massime dopo il tempo
decorso, onde tutto non arrischiare su di una carta.
È poesia il concetto che la vittoria non dona i suoi
lauri al livor cieco, ed al maggior numero. Un masso
informe precipitando schiaccia il piccolo obelisco e
nessuno oserebbe di sostenere che il masso informe
abbia maggior pregio d’arte dell’ obelisco. Abbiam
veduto la forza brutale schiacciare la virtù cittadi-
na. La storia celebrò l’eroismo di coloro che seppel-
lirensi sotto le rovine della patria terra, ma nulla
rimase in serbo per la riscossa. Il fanatismo operò
de’ prodigi, ma annientò spesso i tesori della prudenza, i
quali serbati guidar possono alla redenzione, ed al riac-
quisto di ciò che si fosse perduto.
D’uopo è quindi qualche cosa abnegare, lo che
far puossi, conservando incolume al cospetto d‘Europa
la dignità dell’Elvezia, e tener poi conto delle abnega-
zioni onde un altro dì ricordarle.
8 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

Il Consiglio federale saprà corrispondere alla fede


in lui riposta dalla Rappresentanza Nazionale, e non
vorrà già curvar la cervice in modo da non più rial-
zarla.
Deve il Popolo Elvetico in questi momenti supremi
incoraggiare i di lui mandatarj, e sorreggerli di confi-
denza sincera, onde men doloroso loro riesca quel
qualunque sagrificio che essi per forza di circostanze
chiedere dovessero alla patria comune.
L’impossibile non si può raggiungere, e l’uomo di
Stato, che vedesi collocato nell’alternativa o di nulla
fare, o di raggiungere l’impossibile, dee necessana-
mente sommergere e trascinar nell’abisso i suoi rappre-
sentati.
Riman parlar del conflitto tra il confederato Can-
ton Ticino, e la Confederazione. Lo scioglimento di que-
sto conflitto nulla di arduo presenta; perchè la Con-
federazione si farà un dovere scrupoloso di obbedire
al Patto federale.
Dovea la Confederazione far cessare il blocco del
Canton Ticino, e tutti rivendicare i diritti che dal-
l’Austria si conculcarono in danno de’ Ticinesi.
Ciò era voluto dalla Costituzione federale. Mite
ne’ miei procedimenti dir voglio essersi la Confederazio-
ne trovata nell’impossibilità, e di far cessare il blocco, e
di rivendicare i lesi diritti cantonali, che sono poi
sostanzialmente diritti della stessa Confederazione.
A questo punto emersero tra il Canton Ticino e la
Confederazione degli altri rapporti, e questi consistono
nel diritto che ha il primo d’essere tenuto indenne dei
danni risentiti, de’ quali dovrà però sostenere la par-
te che gli incombe come confederato: nell’obbligo che
ha la Confederazione di prestare una tale indennità.
Quanto ha fatto l’Austria in massima offese la Con-
federazione, in particolare danneggiò il confederato
Canton Ticino.
VI - LIBERTÀ ELVETICA E SUOI NEMICI 9

Il Patto federale obbliga la Confederazione a so-


stenere l'indipendenza della patria contro lo straniero:
a mantenere la tranquillità e l'ordine dell'interno: a
proteggere la libertà e i diritti de' confederati: a
promuovere la loro comune prosperità. Tra questi ob-
blighi vi è necessariamente compreso quell'uno a peso
della Confederazione di sostenere in solidum que' dan-
ni che per il fatto dello straniero, e per un insulto
portato alla Confederazione, ebbe il confederato Can-
ton Ticino a risentire,
Comprese quest'obbligo di solidarietà il Consiglio na-
zionale, e credette di aver presentati i mezzi di adem-
pirvi col credito illimitato aperto al Consiglio federale
nello scopo, tra gli altri, di venir in soccorso de' Tici-
nesi danneggiati dal blocco, e dalle altre ingiuste mi-
sure dall'Austria portate ad atto. Ed io voglio credere
che tale sia stato veramente l'intendimento di esso
Consiglio nazionale.
Il popolo ticinese adunque rispetto al conflitto con
l'Austria dee disporsi ad attendere con calma dignitosa
quanto potrà onorevolmente il Consiglio federale com-
binare, opponendosi alle istigazioni dei turbolenti, e
mantenendo rigorosamente l'intera quiete del Cantone.
E rispetto al conflitto che io chiamerò fraterno, famiglia-
re tra il Canton Ticino e la Confederazione, il popolo
ticinese terrà raccomandato a' suoi rappresentanti il do-
vere che questi hanno di far valere l'azione di in-
dennità, nella piena sicurezza che la Confederazione
ascolterà nell'argomento la voce della giustizia, e del-
l'equità.
I1 Governo poi cantonale dee intraprendere tantosto
le pratiche necessarie a mettere in evidenza i danni
dal Cantone sofferti, e sofferti da' Ticinesi, onde abi-
litare il Consiglio federale a profittare del credito il-
limitato che gli venne aperto dalla Nazionale rappre-
sentanza nella misura necessaria al proporzionato in-
10 CAPTTANEO - SCRITTI POLITICI - III ,
dennizzo de' danni che angustiarono i confederati Ti-
cinesi.
Così operando non si coltiveranno delle utopìe: si
dimenticherà l'odio di parte per rammentare che tutti
siamo fratelli, e che cittadini tutti di una libera terra,
pel bene di questa terra, tacer denno le rivalità, e le
private querele.
Il dimani dell'Elvezia non è perduto per questo.

Giugno 1854

Pel tiro cantonale di Mendrisio *


Inaugurata, per la prima volta su questa pianura,
la bandiera dell'alpestre Camoghè, ecco ritorna festosa-
mente un'altra volta in mezzo a voi.
Ah! pur troppo certe anime inferme avevano sognato
che nella voragine d'una grande sventura tutti questi
tripudi nostri avrebbero fine. A terra le carabine! A
terra le bandiere! avevano essi delirato fra le tene-
bre delle loro visioni.
A terra le nostre bandiere? No mai. Le nostre ban-
diere, vedetele, sono qui ritte, spiegate liberamente e
allegramente ai quattro venti del cielo, senza macchia
e senza paura.
Carabinieri! Quale immenso cangiamento in que-
sti sedici mesi della vostra lotta! Quando noi la comin-
ciammo, la terribile concordia dei potenti pesava come
una mano di piomba sui popoli. Sono tutti uniti, c’in-
tronavano agli orecchi, sono tutti uniti contro di noil Noi
siamo soli! Noi deboli e soli; sentinelle perdute su que-
st'ultim frontiera della libertà!

* Pubblicato in S.P.E.,II, pp. 70-72.


10 CAPTTANEO - SCRITTI POLITICI - III ,
dennizzo de' danni che angustiarono i confederati Ti-
cinesi.
Così operando non si coltiveranno delle utopìe: si
dimenticherà l'odio di parte per rammentare che tutti
siamo fratelli, e che cittadini tutti di una libera terra,
pel bene di questa terra, tacer denno le rivalità, e le
private querele.
Il dimani dell'Elvezia non è perduto per questo.

Giugno 1854

Pel tiro cantonale di Mendrisio *


Inaugurata, per la prima volta su questa pianura,
la bandiera dell'alpestre Camoghè, ecco ritorna festosa-
mente un'altra volta in mezzo a voi.
Ah! pur troppo certe anime inferme avevano sognato
che nella voragine d'una grande sventura tutti questi
tripudi nostri avrebbero fine. A terra le carabine! A
terra le bandiere! avevano essi delirato fra le tene-
bre delle loro visioni.
A terra le nostre bandiere? No mai. Le nostre ban-
diere, vedetele, sono qui ritte, spiegate liberamente e
allegramente ai quattro venti del cielo, senza macchia
e senza paura.
Carabinieri! Quale immenso cangiamento in que-
sti sedici mesi della vostra lotta! Quando noi la comin-
ciammo, la terribile concordia dei potenti pesava come
una mano di piomba sui popoli. Sono tutti uniti, c’in-
tronavano agli orecchi, sono tutti uniti contro di noil Noi
siamo soli! Noi deboli e soli; sentinelle perdute su que-
st'ultim frontiera della libertà!

* Pubblicato in S.P.E.,II, pp. 70-72.


VI - LIBERTÀ ELVETICA E SUOI NEMICI 11

Ebbene, carabinieri, questa loro terribile concordia


dov'è? Sangue e fuoco; navi affondate; città bombar-
date; palazzi imperiali trasformati in caserme e batterie.
E li amici d'oggi saranno forse amici domani? Chi può
ragionare sulle cose di domani in quel caos di ambizio-
ni, d'insidie e di tradimenti?
No, i nostri nemici non sono uniti, e non lo saranno
mai. E noi non siamo soli.
No, non siamo soli. Il mare, il gran mare, l'Oceano
Atlantico ha due rive. Su questa riva siamo pochi UO-
mini liberi; ma ve'n'ha milioni e milioni sull'altra riva,
e ogni anno vi aggiunge altri milioni.
Ah! se sorgesse per noi un giorno tremendo, un
giorno di vita o di morte, un appello ai nostri fratelli di
libertà scorrerebbe rapido come il fulmine sul fondo
dell'oceano fino in America. Rapido come il fulmine
scorrerebbe tutta l'America sino all'opposto mare. Pri-
ma che il sole tramontasse per noi, un grido di guerra
e di libertà scorrerebbe per tutta quella vasta terra,
centinaia di navi, migliaia di cannoni sarebbero in mo-
to per atterrire e disunire i nostri nemici.
E poi, nemmeno qui, sul nostro antico terreno, sia-
mo soli. L'amore della libertà si è già confitto nel cuo-
re di tutti i popoli. Sono appena sei anni ch'essi erano
tutti in armi per la libertà. Ma novelli, inesperti, si
sono confusi nei loro pensieri, si sono smarriti, si so-
no gettati di nuovo nelle braccia altrui, per avere la
quiete, l'ordine, la pace, l'abbondanza, i guadagni. E
hanno la guerra, hanno la fame, hanno i tributi senza
discrezione e senza fine, hanno le confische e le pri-
gioni e il bastone e il patibolo. Ah la servitù costa
ben più cara della libertà!
Ben presto stanchi, esausti, disingannati tomeran-
no anch'essi ad ascoltare il secreto pensiero che ora
dorme in fondo ai loro cuori. No, non siamo soli.
Dunque un evviva a noi. Un evviva alla libera Sviz-
12 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

zera, un evviva alla grande e libera America, un ev-


viva a tutti quelli che sospirano alia libertà!
E un evviva, amici carabinieri, al primo ritorno
della novella bandiera del Camoghè!

Giugno 1855
Tiro cantonale di Bellinzona *
Io porgo un saluto a voi, fratelli carabinieri.
Io vi porgo un saluto a nome di quanti miei com-
militoni di studi segnano ora i primi passi su la via
che voi da lungo ne avete generosamente aperta.
Voi foste in questa terra i profeti della libertà. Ma
non foste già quei profeti disarmati ai quali il savio
fiorentino prediceva poco fausta fortuna. Voi comincia-
ste la vostra missione col darvi un’arme, col darvi
l’arma che rappresenta nel mondo moderno la sacra
balestra di Tell. L‘arma sacra vi diede potenza irresi-
stibile, e voi poteste infondere al Ticino, già da più
anni inutilmente libero, vita nuova e nuova libertà.
Prima della vostra apparizione non v’era nel nostro
popolo la chiara coscienza del suo diritto, del raro suo
destino, del sublime suo posto d’avanguardia su que-
sto pendio delle Alpi sul quale la lingua d’Italia suo-
na libera.
Voi gliene foste rivelatori.
La fratellanza dei carabinieri è lo scoglio a cui si
frangono le visioni dei superstiziosi, le trame dei ser-
vili, le insidie dei disertori. No! a questo corsiero indo-
mito la reazione non potrà mai porre la sella e il morso.
No! questa non è la chinea dei re che piega vilmente

* Inedito. M.R.M. Ms. Archivio Cattaneo. Cart. 13,


pl. VIII, doc. 3.
12 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

zera, un evviva alla grande e libera America, un ev-


viva a tutti quelli che sospirano alia libertà!
E un evviva, amici carabinieri, al primo ritorno
della novella bandiera del Camoghè!

Giugno 1855
Tiro cantonale di Bellinzona *
Io porgo un saluto a voi, fratelli carabinieri.
Io vi porgo un saluto a nome di quanti miei com-
militoni di studi segnano ora i primi passi su la via
che voi da lungo ne avete generosamente aperta.
Voi foste in questa terra i profeti della libertà. Ma
non foste già quei profeti disarmati ai quali il savio
fiorentino prediceva poco fausta fortuna. Voi comincia-
ste la vostra missione col darvi un’arme, col darvi
l’arma che rappresenta nel mondo moderno la sacra
balestra di Tell. L‘arma sacra vi diede potenza irresi-
stibile, e voi poteste infondere al Ticino, già da più
anni inutilmente libero, vita nuova e nuova libertà.
Prima della vostra apparizione non v’era nel nostro
popolo la chiara coscienza del suo diritto, del raro suo
destino, del sublime suo posto d’avanguardia su que-
sto pendio delle Alpi sul quale la lingua d’Italia suo-
na libera.
Voi gliene foste rivelatori.
La fratellanza dei carabinieri è lo scoglio a cui si
frangono le visioni dei superstiziosi, le trame dei ser-
vili, le insidie dei disertori. No! a questo corsiero indo-
mito la reazione non potrà mai porre la sella e il morso.
No! questa non è la chinea dei re che piega vilmente

* Inedito. M.R.M. Ms. Archivio Cattaneo. Cart. 13,


pl. VIII, doc. 3.
VI - LIBERTÀ ELVETICA E SUOI NEMICI 13

le ginocchia inanzi ai falsari dell'evangelo. Già pochi


in numero, voi propagaste perseveranti il vostro patto
d'amicizia di valle in valle, di monte in monte; con
indefessa costanza ergeste in ogni campo della patria
una tenda del vostro campo. A poco a poco si racco-
glie intorno al vostro vessillo tutta la gioventù. In bre-
ve la vostra bandiera non sarà più solamente il pal-
ladio della nostra libertà, ma sarà benanche il pegno
della nostra concordia.
Vivano i fratelli carabinieri, viva la concordia, viva
la libertà!

Ai Carabinieri ticinesi *
I
Fratelli Carabinieri!
Eccoci qui, colle nostre carabine in pugno, colle
nostre bandiere spiegate al vento delle Alpi, voi mem-
bri d'una fratellanza che poté resistere e durar ferma
nel suo diritto, quando li autocrati traballano sul tro-
no, e le loro sterminate ambizioni diventano la favola
del mondo e il miserabile spettacolo di poche ore.
Si, noi siamo qui colle armi in pugno e le bandiere
spiegate, qui su questa terra di Leventina dove ancora
vive chi poté udire da testimoni di vista, come un po-
polo disarmato fu costretto un giorno ad assistere gi-
nocchione al supplicio de' suoi magistrati e dei capi-
tani della sua libertà. Vedete, fratelli, se qui non fu

* Inediti. Sono tre indirizzi ai Carabinieri ticinesi,


senza data, M.R.M. Ms. Archivio Cattaneo. Cart. 13, pl. VIII,
doc. 11, 8, 9 (a, 1852 al 1855). Il secondo indirizzo non è
anteriore al 1861, come risulta dal riferimento ad eventi,
in esso contenuto.
VI - LIBERTÀ ELVETICA E SUOI NEMICI 13

le ginocchia inanzi ai falsari dell'evangelo. Già pochi


in numero, voi propagaste perseveranti il vostro patto
d'amicizia di valle in valle, di monte in monte; con
indefessa costanza ergeste in ogni campo della patria
una tenda del vostro campo. A poco a poco si racco-
glie intorno al vostro vessillo tutta la gioventù. In bre-
ve la vostra bandiera non sarà più solamente il pal-
ladio della nostra libertà, ma sarà benanche il pegno
della nostra concordia.
Vivano i fratelli carabinieri, viva la concordia, viva
la libertà!

Ai Carabinieri ticinesi *
I
Fratelli Carabinieri!
Eccoci qui, colle nostre carabine in pugno, colle
nostre bandiere spiegate al vento delle Alpi, voi mem-
bri d'una fratellanza che poté resistere e durar ferma
nel suo diritto, quando li autocrati traballano sul tro-
no, e le loro sterminate ambizioni diventano la favola
del mondo e il miserabile spettacolo di poche ore.
Si, noi siamo qui colle armi in pugno e le bandiere
spiegate, qui su questa terra di Leventina dove ancora
vive chi poté udire da testimoni di vista, come un po-
polo disarmato fu costretto un giorno ad assistere gi-
nocchione al supplicio de' suoi magistrati e dei capi-
tani della sua libertà. Vedete, fratelli, se qui non fu

* Inediti. Sono tre indirizzi ai Carabinieri ticinesi,


senza data, M.R.M. Ms. Archivio Cattaneo. Cart. 13, pl. VIII,
doc. 11, 8, 9 (a, 1852 al 1855). Il secondo indirizzo non è
anteriore al 1861, come risulta dal riferimento ad eventi,
in esso contenuto.
14 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III
grande e luminosa in breve giro di anni la vittoria del
diritto!
E poi, quando il popolo qui non fu più ginocchione
colle ginocchia del corpo, egli lo rimase ancora colle
ginocchia dell'anima. Si, tale rimase lungamente il po-
polo in questa Leventina dove un giovine, di qualun-
que ingegno egli fosse, per poter mettere li occhi en-
tro le pagine della scienza, era costretto a impri-
gionarsi prima di tutto nella lugubre chiostra di Polle-
gio, era costretto prima di tutto a ricevere sulla nuca
il bollo della chierica, questo segno col quale l'uomo
deve rinunciare in eterno alla sua ragione e alla sua
volontà. E la Leventina per avere un capo, per avere
un uomo del popolo, era costretta a rubarlo allo staffi-
le e ai calci degli Oblati. Si, poiché colle staffilate e
coi calci quei miliziotti dell'avara e sacrilega Roma,
potevano profanare e depravare impunemente in ter-
ra elvetica i sacri figli della libera Elvezia. Ma quan-
do all'eco delle nostre carabine, al fremito delle nostre
bandiere, scorse nel Ticino qual era il primo dei loro
doveri, essi pensarono a chiamare anche qui dalle te-
nebre alla luce, dalla fratesca e pretesca insolenza a
dignità d'uomini liberi i figli del popolo: Sinite par-
vulos venire ad me! E ora la razza dei liberi si è da
un capo all'altro del Ticino talmente radicata e molti-
plicata che la vecchia setta delle tenebre non trova
un uomo veramente de' suoi che possa pretendere di
rappresentarla nelle assemblee federali, che abbia una
faccia da potersi portare alla luce del mondo e una
voce che possa farsi udire dai nostri confederati.
Perciò vedete che cosa avviene oggidì, a rovescio di
quanto avvenne pochi anni sono. Allora la carabina do-
veva rubar li uomini alla sacristia; e oggi la sacristia
è ridotta a rubare li uomini alla carabina.
Non è vero fratelli, non è vero forse che i tre
eIetti dei neri, là oltre il Ceneri sono tre uomini che
VI - LIBERTÀ ELVETICA E SUOI NEMICI 15

hanno militato e fiorito sotto la nostra bandiera? Sì, so-


no tre uomini nostri, e nel fondo della loro coscienza
saranno sempre nostri, qualunque sia l'indovinello po-
litico col quale poterono per un tristo pensiero ingar-
bugliarsi la lingua.
Sì, la loro candidatura è una prova e una confes-
sione della impotenza dei nostri avversari.
I1 concorso fraterno che ci risuona intorno, e la so-
litudine che circondò, pochi giorni sono, in questo me-
desimo luogo una falsa e vana comedia, provano che
anche nelle tre Valli, i cuori sono per la pura e sincera
libertà.
Fratelli, se avessimo veramente perduto per sempre
i tre uomini, qui abbiamo tre Popoli. Vivano i tre Po-
poli, vivano le tre Valli. Vivano quelli i cui maggiori
hanno seguito la bandiera di Pontida sul campo di Le-
gnano, e hanno seguito la bandiera de! Grütli sul cam-
po di Giornico. Viva la nostra bandiera. Viva la
libertà.

II

Fratelli Carabinieri,
con un solo affettuoso saluto io accolgo e abbrac-
cio in nome del popolo tutte quante sono le vostre fra-
terne bandiere.
Noi abbiamo tanto maggior bisogno di serrar le
nostre file, dacché un doloroso evento involò dal no-
stro mezzo quell'illustre e compianto cittadino al qua-
le da trenta e più anni il popolo guardava come al-
l'immancabile custode della nostra libertà. Egli era il
primo in quello stuolo di generosi che crearono nel Ti-
cino un'era nuova; che trovarono le tenebre, e fecero
la luce; che ci redensero dall'orde nera, la quale
stendeva su queste valli lo sfrenato suo dominio. Ora-
16 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III
mai, di tutta quella fratesca e pretesca superbia, ri-
mane solo una vana voce, una bugiarda e maledica
voce, che, in dispregio d'ogni vera credenza, si chia-
ma il Credente; e sparge con sacrilega mano tra il po-
polo la calunnia e la discordia. Lasciamo pure che ri-
corrano alla libertà della stampa da noi difesa e ri-
vendicata anche quei malvagi che furono sempre ne-
mici della stampa e della libertà.
Fratelli carabinieri! Paragonate questo libero Ti-
cino, governato com'essi gesuiticamente dicono dai mi-
scredenti, paragonatelo con quegli sventurati paesi do-
ve all'ombra del soldato straniero dura e imperversa
ancora il regno dei preti, dove goccia ancora dal pati-
bolo il sangue dell'innocente Locatelli. Vedete come
l'infelice Roma divenne un antro d'assassini, che colà
pasciuti di rubate elemosine e benedetti da un ponte-
fice traditore, si spargono per le maldifese e disarmate
provincie napoletane a incendiare le messi, a scannare
i bestiami, a trascinare in ostaggio i padri di fami-
glia per costringerli a pagare esorbitanti riscatti, sot-
to minaccia di recidere loro le orecchie o di strappare
li occhi o d'abbruciarli vivi: questi orrori si commet-
tono a papale istigazione da scelerati tolti dalle galere
e stipendiati col denaro che si estorce alla gente cre-
dula e imbecille da quei perfidi aggiratori che si con-
gregano sotto l'empio nome della società Piana. Io
mi fo avanti e vi dico di paragonar pure cogli Stati
più potenti e gloriosi, il nostro piccolo e modesto Ti-
cino; pensate che qui l'ordine domestico è consegnato
da più anni alla legge del matrimonio civile; che qui
ogni curato è un semplice funzionario del popolo, se-
condo i meriti eletto o secondo i meriti congedato con
libero voto di suoi parrocchiani; che qui la immunità e
licenza ecclesiastica è disciplinata dal governo e il
prete cittadino è difeso anche contro le prepotenze del
vescovo; , c h e qui l'insegnamento è affidato a mani
. .. . .. .

VI - LIBERTÀ ELVETICA E SUOI NEMICI 17

secolari e libere, scevre d'ipocrisia, pure di quelle ne-


fande libidini che fermentano nelle luride caverne dei
seminarii e dei conventi e che di tempo in tempo si ve-
dono portate alia luce dei tribunali in Francia e nel Bel-
gio, e dappertutto dove regna l'immoralità dei celiba-
tori forzati non fu dissipata dalla ala purificatrice del-
l'angelo della libertà. Dite voi, fratelli, che cosa può
mettere al paragone queste ardite riforme dei legisla-
tori Ticinesi il vasto regno d'Italia? E noi abbiamo già
sottratto alla pena di morte i delitti politici, sicché
in ogni caso non si potrà mai dire che la morte sia una
vendetta di partito. La pena di morte è oramai nel
Ticino uno spauracchio nominale e la forca manda
sulla terra del Ticino una falsa ombra che ben presto
svanirà.
Or da voi fratelli Ticinesi, io mi volgo agli ospiti
amici che approfittando della novella loro libertà ven- .
nero armati a prendere onorevol posto ai nostri bersa-
gli. E io dico a loro: Fratelli italiani, pensate che il
Ticino vi precede da molti anni che perciò vi sta inan-
zi di molti passi; che il Ticino non può retrocedere
sulla scala della libertà per trovarsi con voi. Se volete
riunirvi ai vostri fratelli ticinesi, carabinieri italiani1
Avanti!
Avanti io dico al vostro glorioso capitano che si
perde talvolta a mezza via. Avanti, glorioso capitano
d'una triste regione.
Avanti! come il piccolo popolo del Ticino. Ita-
liani, mandiamo un saluto alla madre svizzera, al sacro-
santo Grütli, a Guglielmo Tell. Un saluto ai fratelli
americani che combattono per l'abolizione della schia-
vitù, mandiamo un saluto ai combattenti messicani.
Il governo dell'avvenire è la repubblica.
Mandiamo un saluto ai ventidue cantoni della glo-
riosa vostra repubblica.
Viva la repubblica.

2. - CATTANEO. Scritti politici. III.


18 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

Fratelli Carabinieri!
Su questo vessillo io vi presento il saluto fraterno
del popolo luganese.
Fratelli, l'onorata tomba deli'amico De Giorgi sa-
rà perpetuo monumento d'una vittoria che fu com-
prata col solo sangue dei vincitori. Sì, sa un popolo li-
bero esser generoso. Così la sua morale si distingue da
quella dei suoi corruttori e nemici. Ma dite, fratelli,
vi par giusto che dopo sì segnalata e illimitata vittoria,
noi siamo sempre da capo a combattere? Fu ella mai
più mendace, più calunniatrice, più temeraria la negra
setta che durante il processo di Locarno? Non diffuse
ella a onde il suo veleno contro la patria fino al di là
dei laghi e dei monti? Non fece ella ogni umana possa
per infamare il libero Ticino e dipingerlo come un an-
tro d'obbrobrio e di delitto? Or dite chi furono sem-
pre in questo paese i consigliatori del delitto? Chi fu-
rono quelli che sperarono sempre nel delitto? i fari-
sei venditori e compratori del Cristo, non furono mai
più che adesso sfacciatamente inferociti contro le nuo-
ve istituzioni che la provvida patria consacra ai suoi
figli, e ch'essi hanno giurato di diffamare ai di fuori
e depravare e lacerare al di dentro. Nulla di santo vi
è per loro; nulla che per loro non sia strumento di di-
scordia e di scandalo, nemmeno l'olio sacro con cui si
aspergono i sudori gelidi dell'agonia sulla fronte dei
moribondi.
Noi abbiamo visto, giorni sono, i giovani sacerdotel-
li, degni allievi di più vecchie e più livide serpi, im-
perversare e stridere nei caffè e nelle piazze, sma-
niando di trarre a qualche inconsiderata vioIenza i cit-
tadini. Qual disastro per noi, se la colpevole loro voce
VI - LIBERTÀ ELVETICA E SUOI NEMICI 19

avesse avuto ancora sugli animi del popolo alcuna po-


tenza!
Ah! troppo ancor numerosa è la coorte dei seicento
farisei, troppo ancora ricca di larghe campagne e d’ozio
padre dei vizi; troppo ancora in grado di stillare il suo
fiele nell’orecchio delle docili e credule donne, e d’at-
tossicare prima dal nascere le future famiglie.
E alla luce di questo secolo, come se vi fossero an-
cora i terrori dell’inquisizione, essi osano ancora inven-
tar di pianta nuovi dogmi inusitati, ignoti all’antica
chiesa, ignoti alla nostra infanzia; e vengono a co-
mandarci in nome proprio di crederli subito; vengono
a intimarci di tornare un’altra volta fanciulli, per im-
parare, ginocchioni ai loro piedi d’oca, una nuova fede.
E così si continua ancora oggidì ad alterare e cor-
rompere sotto i nostri occhi la fede antica, della qua-
le essi si decantano difensori, essi che poi per distrugge-
re la prova della loro apostasia, ci vietano di leggere
il vangelo di Cristo; e da quegli idolatri che sono, Io
gettano sulle fiamme. No, la patria non avrà pace fin-
ché questa setta non venga per lo meno divisa dai
capi profani che i re le impongono; finché non sia resa
ancora al popolo l’elezione de’ suoi vescovi, come in
quei secoli in cui la chiesa era tutto il popolo, e non
un branco di tonsurati usurpatori. Frattanto sia onore
a questa fratellanza dei carabinieri, la quale fu sem-
pre lo scoglio a cui ruppero irreparabilmente tutte le in-
sidie e le violenze meditate dalla setta crudele.
Fratelli, i carabinieri di Lugano ricordano sempre
che dalle loro file sorse il primo grido di libertà.
La bandiera di Lugano sarà sempre pronta a spie-
garsi al grido di libertà.
20 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

Marzo 1835

I1 Clero, pel Repubblicano di Lugano *


Perché il clero ticinese quasi tutto si palesa nemico
della libertà? perché insidia la repubblica? perché se-
mina la discordia a piene mani nelle chiese e nei cir-
coli? perché implora dal potentato straniero, come se-
gnalati favori alla Chiesa, il blocco dei confini, la mina
del commercio, l'espulsione degli innocenti a migliaia?
I1 prete non attinge per certo tali inumani e diabo-
lici pensamenti alla pura e pia fonte del Vangelo. I1
Vangelo parla sempre di fratellanza, di concordia, di
noncuranza d'ogni briga mondana: I l mio regno non è
di questo mondo. La Chiesa vera, quale la istituì Cri-
sto, quale la vediamo descritta negli Atti degli Apostoli,
era una republica.
I1 nome stesso di Chiesa è tolto a prestito dalle
antiche republiche della Grecia, ch' erano appunto
come le nostre repubbliche svizzere. Ecclesia dicevasi
allora ciò che noi diciamo assemblea; prete, o come era
in origine, presbitero, non voleva dire se non il senio-
re, il maggiore, l'anziano; era il nome che si dava al
più savio, se non al più maturo membro d'ogni comu-
nità cristiana; era all'incirca ciò che in altro ordine di
cose comuni noi chiamiamo il sindaco. È chiaro che
in via ordinaria doveva essere, piuttosto che altri, un
padre di famiglia. A quei tempi, il sacramento del
matrimonio, prima base della famiglia e della morale
pubblica e privata, si riguardava ancora come una
nuova consacrazione, e non come una macchia. Per lo
meno, non era posto al disotto di certi altri sacramen-
ti, dei quali nel Vangelo non si fa menzione.

* Pubblicato in S.P.E., II, pp. 76-78.


VI - LIBERTÀ ELVETICA E SUOI NEMICI 21

Se vi fossero state ancora a quei tempi le repub-


bliche, se l'antica libertà della Grecia e dell'Italia non
fosse già stata preda miserabile dei Neroni e degli
Eliogabali, allora il Vangelo si sarebbe naturalmente
innestato e immedesimato sull'albero della libertà. Ma
l'impero, dopo avere inutilmente combattuta e oppressa
la Chiesa vergine, cominciò ad abbracciarla per de-
pravarla. Stendiamo un velo sui delitti di Costantino
uccisore di sua moglie e di suo figlio; stendiamo un
velo sulle turpitudini domestiche di Carlomagno. La
più funesta delle loro opere fu quella d'aver trasformata
la Chiesa in monarchia : adulterazione e violazione del-
la fratellanza evangelica, che fece ricadere li anziani
della Chiesa in quella medesima condizione che Cri-
sto aveva tanto rimproverata ai farisei: « Vogliono il
primo posto a mensa; vogliono la prima sedia nelle si-
nagoghe; vogliono ricevere inchini in piazza, e che la
gente li chiami maestri. Ma voi non vogliate chiamar-
vi maestri; poiché uno solo è il vostro maestro; e voi
siete tutti fratelli. E non chiamate alcuno padre vo-
stro sulla terra, perché uno solo è il vostro padre che è
nei cieli. Non chiamatevi maestri, perché il SOLO no-
stro maestro è il CRISTO. Chi vorrà essere maggiore
di voi, sarà vostro servo ». (San Matteo, cap. 23).
Chi adunque, a dispetto del Vangelo, volle farsi
chiamare non solo MAESTRO, ma MAESTRO INFAL-
LIBILE, non solo PADRE, ma PADRONE, e aver
non solo la prima sedia in una sinagoga, ma la prima
sedia in tutto il mondo, dové per necessità chiamare
altri a dividere seco lui l'impresa d'inalzare sulle vec-
chie fondamenta del Vangelo un nuovo edificio di
mondana superbia e d'autorità irresponsabile e sovru-
mana.
Quindi separato il prete dalla famiglia; tolte le
sacre scritture di mano ai fedeli; inventati i sillogismi
della scuola e gli indovinelli della teologia; quindi
22 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

ad ogni momento nuovi articoli di fede imposti alle


povere coscienze, come ora appunto abbiamo veduto
nella Concezione Immacolata; quindi soffocato ogni
frutto del fico evangelico sotto il nuovo e indiscreto
fogliame. Il nome di Chiesa e d’ecclesiastico fu ri-
stretto ai soli capi della Chiesa; e gli antichi citta-
dini della repubblica di Cristo ne furono gli iloti e gli
schiavi, senza voto e senza diritto.
Ma i nuovi dominatori del popolo cristiano diven-
nero essi pure schiavi li uni degli altri. Un superiore,
non eletto per voto di popolo, ma per patto secreto
tra il papa e il re, giura ubbidienza ad ambedue; fa li
altri preti a suo piacimento; può fare i curati e può
disfarli. Qual’è il povero beneficato che è sicuro del suo
pane e del suo tetto? Dove è la sua legge? dove è il
suo difensore? Da sera a mattina, egli può svegliarsi
accusato, perseguitato, condannato senza giudizio, so-
speso a divinis, cioè nudo e disonorato, profugo sulla
terra come un Caino.
E questo schiavo, che trema avanti agli stranieri
suoi padroni e alle loro spie, deve parlare al vostro
popolo di diritti e di libertà? Deve insegnar dal na-
scondiglio del confessionale alle vostre donne ad es-
sere spose di uomini liberi e madri di liberi figli?
No, no; tutte le volte ch’egli troverà nel Vangelo
una parola di giustizia, di fratellanza, di libertà, egli
deve chiudere gli occhi, persuadere a sé stesso che non
sta scritto così, correre innanzi a cercare qualche altra
riga che spiaccia meno ai sospettosi e spietati suoi
padroni e ai loro satelliti e delatori. E così la spie-
gazione del Vangelo diventa la negazione del Vangelo.
Le più luminose sentenze di quel libro non si odono
mai sulla bocca del prete.
Che in terra di re il prete sia il più servo di tutti
i servi, sia lo schiavo della gleba che lo sostenta, noi
lo intendiamo. Ma intendiamo poi anche che in terra
VI - LIBERTÀ ELVETICA E SUOI NEMICI 23

di repubblica egli sia un libero cittadino, e che nessun


tiranno possa torgli l‘unico suo pane, e cacciarlo dal suo
tetto senza un pubblico giudizio a chiari termini di
legge. Or bene, dov’è questo pubblico giudizio? Dov’è
questa legge?
Preti ticinesi, poveri e corrotti schiavi, invece d’in-
sidiare la nostra libertà, fatevi aiutare a rompere le
vostre catene.

27 Febbraio 1856

Anniversario del pronunciamento *


Amici,
sì, l’anno nostro avrà d’ora in poi un giorno sacro
di più. Sarà l’anniversario perpetuo di quel giorno che
il nostro popolo dopo due anni d’assedio, quando tutti
lo credevano stanco, logoro, snervato, quasi dolente
d’aver sulle spalle una infausta e gravosa libertà, e ras-
segnato ormai a curvare la nuca sotto il brutto giogo
episcopale, ad un tratto si levò come da un lungo sonno;
e duna sola scossa si tolse d’intorno tutti quei vani
spaventacoli.
Il popolo, levatosi, si guardò intorno. Dov’erano
dunque i nemici? Dov’erano i disertori della libertà?
Dov’erano i quattordicimila giurati di Romilli e Ro-
manò? I quattordicimila erano venuti come una verità
ed erano spariti come una bugia. I quattordicimila era-
no una visione di cervelli malsani. Possibile che nella
nostra piccola patria vi fossero quattordicimila insen-
sati, che a qualsiasi prezzo volessero vendere la libertà?

* Pubblicato in S.P.E.,11, pp. 90-92, con alcune diffe-


renze rispetto al ms., che qui viene riprodotto.
VI - LIBERTÀ ELVETICA E SUOI NEMICI 23

di repubblica egli sia un libero cittadino, e che nessun


tiranno possa torgli l‘unico suo pane, e cacciarlo dal suo
tetto senza un pubblico giudizio a chiari termini di
legge. Or bene, dov’è questo pubblico giudizio? Dov’è
questa legge?
Preti ticinesi, poveri e corrotti schiavi, invece d’in-
sidiare la nostra libertà, fatevi aiutare a rompere le
vostre catene.

27 Febbraio 1856

Anniversario del pronunciamento *


Amici,
sì, l’anno nostro avrà d’ora in poi un giorno sacro
di più. Sarà l’anniversario perpetuo di quel giorno che
il nostro popolo dopo due anni d’assedio, quando tutti
lo credevano stanco, logoro, snervato, quasi dolente
d’aver sulle spalle una infausta e gravosa libertà, e ras-
segnato ormai a curvare la nuca sotto il brutto giogo
episcopale, ad un tratto si levò come da un lungo sonno;
e duna sola scossa si tolse d’intorno tutti quei vani
spaventacoli.
Il popolo, levatosi, si guardò intorno. Dov’erano
dunque i nemici? Dov’erano i disertori della libertà?
Dov’erano i quattordicimila giurati di Romilli e Ro-
manò? I quattordicimila erano venuti come una verità
ed erano spariti come una bugia. I quattordicimila era-
no una visione di cervelli malsani. Possibile che nella
nostra piccola patria vi fossero quattordicimila insen-
sati, che a qualsiasi prezzo volessero vendere la libertà?

* Pubblicato in S.P.E.,11, pp. 90-92, con alcune diffe-


renze rispetto al ms., che qui viene riprodotto.
24 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

Appena fu dato il segno, un solo grido di libertà


risuonò per tutto il paese.
E quel grido non era suono vano ed infecondo.
Poiché tosto si radunarono in nuovo consiglio li
uomini fidi al popolo, e diedero mano all'opera delle
nuove leggi.
Prima fu quella di ricondurre il prete all'altare, di
levargli dalle tre corna il berretto rosso, e dalle mani
consacrate i proclami incendiari, e mettergli invece fra
le dita il pacifico aspensorio della concordia e della
carità. Sì, se i preti vogliono una volta finalmente
farsi ministri di concordia e di carità, se vogliono una
volta diventar buoni e anche santi, se un tal prodigio
è tra le cose che Dio permette su questa terra, sarà da
noi, da noi soli, e non dai loro vescovi e papi che lo
avranno imparato.
Un'altra provvida legge fu quella che vietò al pre-
te di spennacchiare sotto pretesto di dispensa i poveri
sposi, che spesso erano costretti a negare al meschino
letto nuziale la coperta e il lenzuolo per poter compe-
rare dai mercanti delle cose sacre, qui, e a Como e a
Milano e nella insatollabile Roma, la licenza di fare
ciò, che se era illecito non si doveva fare, e se era
lecito si doveva poter fare senza tante estorsioni e tante
simonie.
E così, fratelli, mentre i grandi colossi dai piedi
di terracotta, tremano ad ogni scossa, e per tenersi
diritti sono costretti a far la corte ai vescovi, e com-
mettere i più miserabili atti di ipocrisia, la nostra pic-
cola repubblica, dopo aver sostenuto e vinto le più
dure prove, dà un esempio unico di forza morale e
di dignità, e da nessuno si lascia precorrere sulla via
deI progresso e della ragione.
E un altro grande esempio abbiamo dato al mondo,
dell'amor nostro alia verità e alla giustizia. Mentre si
trattava di una causa criminale che nelle monarchie
VI - LIBERTÀ ELVETICA E SUOI NEMICI 25

vicine avrebbe preso la forma eccezionale d'un giudi-


zio di guerra, e diciamo pure, d'una vendetta militare,
noi non solo abbiamo voluto che i Tribunali osservas-
sero le solite forme dei communi giudizi con intera e
piena pubblicità, non solo abbiamo tolerato sulla tri-
buna della difesa i nostri più ardenti e loquaci avver-
sari, ma l'abbiamo aperta a qualsiasi difensore d'altro
paese o d'altra lingua, a difensori venuti da paesi che,
per Dio, non fanno con noi lo scambio di simile ge-
nerosità.
Amici, questo processo, che una stampa ingiusta
va da lungo tempo rimenando e agitando per far torto
e danno al nostro nome, questo processo diverrà titolo
di lode per noi. Poiché l'esempio da noi dato verrà pre-
sto o tardi seguito da tutte le nazioni che nei giudizi
cercano la verità e rispettano la giustizia. E quando
tutte le altre nazioni lo avranno imposto a sé come nuo-
va legge, allora al Ticino dovranno rendere la gloria
d'averne dato l'insegnamento. Coraggio dunque, fra-
telli, coraggio e perseveranza!
E se le angustie generali del commercio e le cala-
mità generali dell'agricoltura non concedono ancora
di godere con tutta letizia questi cari anniversarj del-
la nostra libertà, consogliamoci almeno in questo che le
monarchie, oltre a ciò che noi soffriamo, devono sop-
portare il peso di armamenti perpetui e di guerre di-
voratrici, e che in mezzo alle vaste loro campagne, al-
le loro grandiose industrie, hanno per questa sola guer-
ra della Crimea accumulato in due anni, dico in due
anni, assai più gravosi debiti che non costarono in mez-
zo secolo alla nostra repubblica le agitazioni duna li-
bertà nascente, e le opere d'una innegabile e perma-
nente utilità.
Serriamo dunque le nostre file, raccogliamo intorno
a noi la generazione che sorge, attendiamo a ringio-
vanire senza fine le nostre istituzioni, e sopratutto
26 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

quelle squadre di carabinieri e di guardie nazionali, la


cui vista ci narra la storia del passato e ci porge la si-
curtà dell'allenire.
Vivano dunque i Carabinieri, viva la guardia na-
zionale, vivano le nuove leggi, viva la libertà.
E perpetuo sia l'anniversario del nostro pronun-
ciamento.

24 Giugno 1856

Pel tiro cantonale di Locarno *


Fratelli Carabinieri!
Se la stampa dei nostri vicini, purtroppo senza di-
vario di Confederati, di Piemontesi o d'Austriaci, si
arrogò una intemperante e illegittima ingerenza sul
corso della giustizia sul nostro Cantone, sarebbe tempo
che la stampa medesima facesse onorata ammenda.
Sarebbe tempo che riconoscesse solamente quel segna-
lato duplice esempio d'umanità, che diede in questa
congiuntura al mondo contemporaneo la bersagliata
nostra Repubblica.
Amici carabinieri, voi sentirete maggiore il con-
tento d'appartenere a questa libera patria, quando
penserete a ciò che presto o tardi il mondo alfìne do-
vrà dire di quella generosa e splendida libertà di di-
fesa per la quale apparvero non ha guari avanti ai
nostri tribunali in una sola causa e in un sol momento
quattro patrocinatori stranieri.
Amici, in un gran paese confinante, in un paese
che sta sull'altra riva di questo medesimo lago, è una
novità, una novità di pochi mesi, che sia concessa la

* Inedito. M.R.M. Ms. Archivio Cattaneo. Cart. 13,


pl. VIII, doc. 4.
26 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

quelle squadre di carabinieri e di guardie nazionali, la


cui vista ci narra la storia del passato e ci porge la si-
curtà dell'allenire.
Vivano dunque i Carabinieri, viva la guardia na-
zionale, vivano le nuove leggi, viva la libertà.
E perpetuo sia l'anniversario del nostro pronun-
ciamento.

24 Giugno 1856

Pel tiro cantonale di Locarno *


Fratelli Carabinieri!
Se la stampa dei nostri vicini, purtroppo senza di-
vario di Confederati, di Piemontesi o d'Austriaci, si
arrogò una intemperante e illegittima ingerenza sul
corso della giustizia sul nostro Cantone, sarebbe tempo
che la stampa medesima facesse onorata ammenda.
Sarebbe tempo che riconoscesse solamente quel segna-
lato duplice esempio d'umanità, che diede in questa
congiuntura al mondo contemporaneo la bersagliata
nostra Repubblica.
Amici carabinieri, voi sentirete maggiore il con-
tento d'appartenere a questa libera patria, quando
penserete a ciò che presto o tardi il mondo alfìne do-
vrà dire di quella generosa e splendida libertà di di-
fesa per la quale apparvero non ha guari avanti ai
nostri tribunali in una sola causa e in un sol momento
quattro patrocinatori stranieri.
Amici, in un gran paese confinante, in un paese
che sta sull'altra riva di questo medesimo lago, è una
novità, una novità di pochi mesi, che sia concessa la

* Inedito. M.R.M. Ms. Archivio Cattaneo. Cart. 13,


pl. VIII, doc. 4.
VI - LIBERTÀ ELVETICA E SUOI NEMICI 27

difesa publica. Anzi, che dico? È una novità che l'ac-


cusato possa avere un difensore qualunque, e non si
trovi più solo e derelitto al cospetto d'un giudice che è
nello stesso tempo il suo accusatore. S ì , questa è un'in-
novazione alla quale con tutto l'animo io applaudo, ma
con essa non si vanti però la potente monarchia d'aver
peranco raggiunto sulla gran via dell'umanità la pic-
cola nostra repubblica. No, il Ticino le va innanzi an-
cora di lunga mano. I1 Ticino non solo concede la
difesa, la publica difesa, ma non dimanda al difensore
chi egli sia, di che paese venga, a che gente appartenga.
Nel santuario della nostra giustizia la voce d'ogni difen-
sore è sempre libera e sacra. Amici, passerà forse qual-
che secolo, prima che la superba Europa sia matura a
imitare quest'esempio dell'umile Ticino. E ora vi ad-
diterò un altro vanto della giustizia del nostro paese.
Voi sapete e voi deplorate come l'Italia da molti an-
ni soffra l'iniquo spettacolo di centinaia di vite ab-
bandonate all'arbitrio di Commissioni speciali e di Tri-
bunali Militari, che coll'incarico di spargere nei popoli
il terrore, procedono nel secreto, con modi spaventevoli
di tortura morale e materiale, improvvisando da se-
ra al matino precipitosi giudizi di sangue. Voi ram-
mentate la barbara fine del nostro fratello Taddei, e
ancora ne fremete. Ebbene, mirate il nostro Consiglio
Sovrano, sorto appena da un pronunciamento che par-
ve agli stranieri un atto di popolare vendetta, mirate
quali giudici egli diede agii omicidi che stavano già
da due mesi nel carcere. Diede egli forse loro un tribu-
nale di guerra? Diede forse loro una Commissione spe-
ciale di ardenti e feroci satelliti? No. Ei diede loro
l'antico tribunale d'appello, all'incirca com'era prima;
diede loro un tribunale in cui l'opinione politica era
incerta e divisa, in cui sedevano li amici e i congiunti
degli accusati. Io non vi dirò che lo scegliere un tal
tribunale sia stato segno d'accorgimento politico. E
28 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

purtroppo anche la giustizia ebbe a lagnarsene. Ma


non ebbe a lagnarsene certo in nome degli accusati,
bensì a nome della vittima, a nome dell'amico che noi
piangiamo invendicato.
Intanto addito anche questo esempio alle poten-
ti monarchie; e v i ripeto che scorrerà forse qualche se-
colo prima che l'Europa abolisca li iniqui Tribunali
d'eccezione e di sangue; rispetti i diritti della giusti-
zia come li rispetta il Ticino.
E io questo esempio addito alla stampa di Berna
e di Zurigo, che per tenebrosi impulsi ha perturbato
nel nostro Cantone il libero procedimento d'una gene-
rosa giustizia, affinché sappia dirmi quando tutti i
Cantoni saranno finalmente maturi a fare quanto ha
fatto il Ticino. Ma se io, fratelli carabinieri, ho il con-
tento di rammentarvi in che la nostra patria ha l'onore
di precedere coll'esempio, io devo pure rammentarvi
dov'essa rimane indegnamente immobile e inoperosa.
Amici, e queste ferrovie, che devono fare di tutte
le nostre case una sola città, perché si fanno dapper-
tutto e non si fanno da noi? Sempre indugi? Sempre
sospensioni? Sempre atti di prudenza superlativa? Sem-
pre depositi inutili e garanzie che ci garantiscono un
eterno nulla? E intanto noi ci agitiamo e ci dividiamo
per la misera quistione del capoluogo per un vantag-
gio che ci può toccare due o tre volte nei corso intero
della vita o per un risparmio del quale nessuna [illegg.']
si accorgerebbe? E invece di avvicinarci una volta
colla potenza dell'industria, invece di stringere il no-
do comune, aggiungiamo all'antica lontananza la nuo-
va discordia? Su dunque, fratelli, fate con me voto che
scuota gli incerti e decida gli irresoluti. Noi vogliamo
subito la strada e la vogliamo subito perché vogliamo
anche in questo andare innanzi almeno quanto gli al-
tri. La vogliamo, perché dobbiamo poterci raccogliere
nel seno dell'amicizia, a un colpo di telegrafo, con un
VI - LIBERTÀ ELVETICA E SUOI NEMICI 29

volo di pochi minuti, e col getto di poca moneta, pas-


sando per dissolto i monti e per di sopra i torrenti e i
fiumi, divenuti oramai borghigiani di tutti i borghi,
e valligiani di tutte le valli, non ricordando più omai
se siamo nati un chilometro di più a levante, o un chi-
lometro di più a ponente, cittadini veramente d'una
patria unica e sola.
Fratelli, noi vogliamo che le strade ferrate siano
un nuovo godimento e un nuovo trionfo per noi, e
siano l'ultima sconfitta e l'ultima disperazione di chi
ci vorrebbe ignoranti, oziosi, divisi e discordi, e di-
sarmati.
Un evviva dunque alla carabina, un evviva alle
ferrovie. Un evviva all'amicizia, al progresso e alla li-
bertà.
E un addio all'amico assente, all'infelice De Giorgi.

28 Giugno 1857

Pel tiro cantonale di Lugano *

Tiro cantonale Lugano


Fratelli carabinieri1
Io son qui come negli altri anni a invitare di fare
un evviva meco alla carabina per quelle cento ragioni
che voi sapete. Ma quest'anno le cento ragioni sono di-
venute cento una. Sì, non sarà mai ripetuto abbastan-
za, l'avviluppo di Neuchâtel non avrebbe avuto do-
po quaranta e più anni così lieta e onorata fine, se non
erano le carabine ,di settembre a Neuchâtel se non
erano le carabine di dicembre da un capo all'altro della

* Inedito. M.R.M. Ms. Archivio Cattaneo. Cart. 13,


pl. VIII, doc. 5.
VI - LIBERTÀ ELVETICA E SUOI NEMICI 29

volo di pochi minuti, e col getto di poca moneta, pas-


sando per dissolto i monti e per di sopra i torrenti e i
fiumi, divenuti oramai borghigiani di tutti i borghi,
e valligiani di tutte le valli, non ricordando più omai
se siamo nati un chilometro di più a levante, o un chi-
lometro di più a ponente, cittadini veramente d'una
patria unica e sola.
Fratelli, noi vogliamo che le strade ferrate siano
un nuovo godimento e un nuovo trionfo per noi, e
siano l'ultima sconfitta e l'ultima disperazione di chi
ci vorrebbe ignoranti, oziosi, divisi e discordi, e di-
sarmati.
Un evviva dunque alla carabina, un evviva alle
ferrovie. Un evviva all'amicizia, al progresso e alla li-
bertà.
E un addio all'amico assente, all'infelice De Giorgi.

28 Giugno 1857

Pel tiro cantonale di Lugano *

Tiro cantonale Lugano


Fratelli carabinieri1
Io son qui come negli altri anni a invitare di fare
un evviva meco alla carabina per quelle cento ragioni
che voi sapete. Ma quest'anno le cento ragioni sono di-
venute cento una. Sì, non sarà mai ripetuto abbastan-
za, l'avviluppo di Neuchâtel non avrebbe avuto do-
po quaranta e più anni così lieta e onorata fine, se non
erano le carabine ,di settembre a Neuchâtel se non
erano le carabine di dicembre da un capo all'altro della

* Inedito. M.R.M. Ms. Archivio Cattaneo. Cart. 13,


pl. VIII, doc. 5.
30 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

patria svizzera. Senza le carabine, Dio sa in qual mare


di guai sarebbe andata a travagliarsi la nostra libertà,
che ora naviga a piene vele, spiégando ai venti tutte
le sue bandiere! Bravi, se volete, i consiglieri!, bravi
i diplomatici!, onore a chi ha scritto!, onore a chi ha
parlato! Ma se non v'era alle loro spalle il suggerito-
re, se non v'era alle loro spalle il popolo colle sue ca-
rabine pronte, e co' suoi polsi fermi, tutti i bei detti
e tutti i bei scritti avrebbero finito in una povera e lu-
gubre commedia. Neuchâtel ha ben meritato dei suoi
fratelli. E i suoi fratelli, e fra essi i Ticinesi, gli hanno
onoratamente e fedelmente corrisposto. Questo fatto
luminoso che ha imposto rispetto a tutti i re e a tutti
i popoli del mondo, ringiovanisce la nostra federazione.
Essa non cede terreno ma ne acquista; essa va inanzi,
e non torna indietro. Viva il patto federale in cui siamo
tutti liberi e tutti eguali; ogni popolo colla sua leg-
ge, ogni popolo colla sua lingua e tutti liberi e tutti
uguali! Possano tutte le nazioni d'Europa comprendere
che nel principio della federazione sta il secreto della
libertà; che per essere libere non devono dividersi ma
devono unirsi con un solo patto di mutua difesa e si-
curezza, non devono dividersi sotto cento bandiere ma
unirsi sotto la sola ed unica bandiera della libertà.
Senonché, fratelli carabinieri, il pensiero che la Prus-
sia pretendeva spartire col popolo la sovranità di
Neuchâtel mi richiama alla mente il tristo pensiero
d'un'altra Prussia che pretende spartire col popolo la
suvranità del libero Ticino.
La Prussia di Neuchâtel aveva una bandiera negra
e bianca. Ma la Prussia del Ticino ha una bandiera tut-
ta negra, tutta fuliginosa, tutta sepolcrale, la bandie-
ra dell'ipocrisia e dell'ignoranza, che coll'ombra sua
malefica e morbosa sparge l'odio alla ragione, l'odio
alla libertà, l'odio alla fratellanza; l'odio al vero e puro
Evangelio di Cristo che essi eredi degli inquisitori ci
__----------

VI - LIBERTÀ ELVETICA E SUOI NEMICI 31

strappano di mano per interpretarlo e malmenarlo sa-


crilegamente.
Anche da questa Prussia negra e dai suoi seguaci
la carabina ci ha già salvati almen tre volte. Ma il
protocollo che deve liberarci in eterno da lei, il proto-
collo della vera e intera libertà del Ticino non è scrit-
to ancora, ahimè! non è ancora pensato. Bisogna che
anche qui alle spalle di chi parla e di chi scrive si mo-
stri il gran suggeritore, si mostri il popolo, si mostri
la carabina.
Viva dunque la carabina per il bene che ci ha fatto,
e viva la carabina per il bene che ci farà.
Amici, in questo sacro segno abbiamo sempre vin-
to e in questo vinceremo. Viva la carabina, viva la
libertà!

1638
Un brindisi *
Il mio primo brindisi è alla salute dei Vescovi im-
periali e reali!
Come vorreste voi, cari amici, che chiudessimo la
porta in faccia a questi pastori di tanto augusta ori-
gine senza nemmeno dar loro un saluto? Or qual sa-
luto più sincero e cordiale di quello che io vi propon-
go di dare per l’ultima volta alle Riverenze loro impe-
riali e reali col bicchiere alla mano in così solenne oc-
casione ed in così onorevole compagnia?
E propongo che nel solenne saluto sieno com-
presi anche tutti i nostri frati e tutte le nostre mona-
che, perché una volta per sempre avrei veramente ca-
ro di non sentirne a parlar più, mai più. Volete dire,
cari amici, che il giorno finalmente spunterà nel quale

* Pubblicato in S.P.E., 11, pp. 123-124.


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VI - LIBERTÀ ELVETICA E SUOI NEMICI 31

strappano di mano per interpretarlo e malmenarlo sa-


crilegamente.
Anche da questa Prussia negra e dai suoi seguaci
la carabina ci ha già salvati almen tre volte. Ma il
protocollo che deve liberarci in eterno da lei, il proto-
collo della vera e intera libertà del Ticino non è scrit-
to ancora, ahimè! non è ancora pensato. Bisogna che
anche qui alle spalle di chi parla e di chi scrive si mo-
stri il gran suggeritore, si mostri il popolo, si mostri
la carabina.
Viva dunque la carabina per il bene che ci ha fatto,
e viva la carabina per il bene che ci farà.
Amici, in questo sacro segno abbiamo sempre vin-
to e in questo vinceremo. Viva la carabina, viva la
libertà!

1638
Un brindisi *
Il mio primo brindisi è alla salute dei Vescovi im-
periali e reali!
Come vorreste voi, cari amici, che chiudessimo la
porta in faccia a questi pastori di tanto augusta ori-
gine senza nemmeno dar loro un saluto? Or qual sa-
luto più sincero e cordiale di quello che io vi propon-
go di dare per l’ultima volta alle Riverenze loro impe-
riali e reali col bicchiere alla mano in così solenne oc-
casione ed in così onorevole compagnia?
E propongo che nel solenne saluto sieno com-
presi anche tutti i nostri frati e tutte le nostre mona-
che, perché una volta per sempre avrei veramente ca-
ro di non sentirne a parlar più, mai più. Volete dire,
cari amici, che il giorno finalmente spunterà nel quale

* Pubblicato in S.P.E., 11, pp. 123-124.


I

32 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III


il Ticino sarà perfettamente libero da questa infezione
dei tempi barbari? Poiché voi ben sapete che la vera
Chiesa vergine e pura, nei suoi secoli più santi e lu-
minosi, non conobbe né monache né frati. E io nel
zelo del mio cuore desidero appunto il ritorno di quei
secoli santi e luminosi.
Ma, siccome prima di dar loro un definitivo sa-
luto, congedo, commiato e buon viaggio, si richiede
ancora qualche non so che di officiale e deliberativo,
di cui non occorre far qui più lungo e serio discorso,
così meglio avvisato mi sembra proporvi di nuovo que-
sto definitivo brindisi e congedo ai frati tutti e alle
monache tutte quante per un altro tiro cantonale che
auguro di tutto cuore che possa essere il primo.
E allora, cari amici, sarebbe per il mio cuore una
gran consolazione se potessi proporvi un definitivo
brindisi e congedo anche a tutti i nostri canonici, che
oramai coi loro magnifici talenti da politici, legisla-
tori, gazzettieri e il lungo esercizio che ne hanno fatto
nella Santa Bilancia e sul Santissimo Credente mi par
bene che non abbiano più bisogno della prebenda ca-
nonicale per far fortuna. Essi oramai possono essere
certi che, presentandosi in comitato, col grande Se-
rassi alla testa e col piccolo Maggi alla coda, al prin-
cipe di Monaco, a Don Miguel, a Don Carlos o a qual-
che altro monarca legittimo, potranno sicuramente es-
sere ipso facto in un potente e glorioso ministero tra-
sformati, e compiere la felicità dei popoli in questa e
nell'altra vita.
Lasciatemi dunque la speranza di vedere quel bea-
to giorno che senza vescovi stranieri, senza canonici
gazzettieri, senza frati pitocchi e senza scuole di mo-
nache né di curati, il Ticino sia svizzero, indipendente
e libero nel corpo e nell'anima.
Salute al Ticino e ai bravi carabinieri che sono gii
angeli tutelari della sua libertà!
VI - LIBERTÀ ELVETICA E SUOI NEMICI 33

23 Agosto 1858

Al signor De Giorgi,
editore responsabile del « Credente » *
Un anonimo nel vostro giornale m’impone d’inse-
gnare la filosofia di San Tomaso. Quella filosofia da tre
secoli abbandonata vuolsì studiare, ammirare, lodare
e insegnare nel Liceo! Questo è il suo voto; questo il
principal motivo che lo indusse a scrivere; cioè, ad in-
veire contro di me con lunga serie d’articoli in modo
tale, che un editor responsabile ben potrebbe venirvi
interessato1
Voi sapete benissimo che il principal motivo è ve-
ramente un altro: ma non importa. Quella dimanda
porta seco la sua risposta. Poiché se, a detta dell’ano-
nimo, è una filosofia già morta da tre secoli, come può
toccare a me di risuscitarla?
Dobbiamo noi forse tenerla come un Evangelio? Ma
San Tomaso lo scrittore, San Tomaso d’Aquino, nac-
que solamente nell’anno 1224. La cristianità dunque,
per ben dodici secoli, cioè per due terzi della sua du-
rata, poté star senza quella filosofia.
Ma forse il vostro anonimo avrà scambiato San
Tomaso d’Aquino con San Tomaso l’Apostolo. Né que-
sto sarebbe ancora il più grave de’ suoi sbagli.
Assai più grave è quello d’imaginare che si possa
oggidì pubblicamente insegnare la morale e la poli-
tica di San Tomaso. Poiché questo scrittore, infervorato
nella setta dei guelfi, che in quei tempi avevano quer-
reggiato l’imperatore Federico 11, e ucciso il SUO fi-

* Pubblicato sulla « Gazzetta Ticinese » del 23 agosto


1858; ripubblicato in O.E.I., VI, pp. 324-327.

3. . CATTANEO.
Scritti politici. III.
34 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

glio sul campo, e il suo nipote sul patibolo, insegna


apertamente che ognuno ha diritto d'uccidere il prin-
cipe malvagio.
Ma ogni qualsiasi principe a chiunque potrebbe
sembrar malvagio. E in tal caso la sorte dei principi
e degli altri magistrati sarebbe come quella di Caino:
omnis igitur, qui inveniet me, occidit me.
Vorrei bene che il vostro innominato mi desse
l'esempio d'andar prima egli a insegnar questa dottri-
na angelica nei Licei di Milano e di Como; o almeno
nei Seminarii, all'ombra del Concordato!
Ei s'inganna molto se crede che alcuna filosofia ab-
bia sulle altre il diritto d'intitolarsi cristiana: Ne supra
quam scriptum est.
I più antichi, a cominciar fino da San Giovanni
Evangelista, si accostarono alla dottrina di Platone.
S'introdusse più tardi la logica d'Aristotele, ma quan-
do, sette secoli ancor più tardi, si rinvennero le altre
sue opere, li uomini timorati se ne sgomentarono. San
Bernardo ne fece gran lamento. I concilii e i papi, nel
1210, nel 1215, nel 1231, nel 1265, le proibirono; le
fecero ardere dal carnefice; intimarono a quanti le aves-
sero lette di dimenticarle!
Or accadde che Alberto di Colonia e Tomaso
d'Aquino, essendo dell'ordine stesso delli Inquisitori,
poterono disobbedire impunemente. Poterono studiare
e spiegare Aristotele e accozzare lo studio di quella
filosofia, materialista anzi che no, con quello della teo-
logia. Ne nacquero diversi miscugli di dottrine. I do-
menicani stettero con San Tomaso e si dissero tomisti;
i francescani seguirono Scoto e si dissero scotisti. Le
due sette andarono disputando irreconciliabilmente,
usque ad convicia (cioè come fa il vostro anonimo),
usque ad sputa, nonnunquam usque ad pugnos. Ma
tutte si accordarono ad avversar Platone e studiar più
Aristotele che I'Evangelio. E ancora nel 1629 (vedete
. . . .. . . .. . ..... . .

VI - LIBERTÀ ELVETICA E SUOI NEMICI 35


che non è trecento anni) indussero il Parlamento di
Parigi a decretar pena di morte a chiunque impugnasse
Aristotele!
Pochi anni dopo comparve la nuova filosofia di Car-
tesio. Fu proibita. Ma ecco cartesiano il vescovo Bos-
suet e l’arcivescovo Fénélon, e dietro loro preti e fra-
ti, collegii e seminarii. I soli gesuiti, per odio ai galli-
cani, tennero duro; e allorché furono aboliti dal papa
(non trecento anni fa, ma nel 1773) erano ancora aristo-
telici; ma piuttosto molinisti che tomisti; ritenevano
però la dottrina del regicidio.
Senonché i preti e i frati allora lasciavano già Car-
tesio per seguire prima Locke, poi Condillac. Io ve-
nero Locke; ma nella Prolusione non l’aveva neppur
nominato; e voi, essendo librajo in Lugano, saprete
bene che il traduttore di Locke, or son forse ottan-
t’anni, fu il padre Francesco Soave, luganese e soma-
SCO. Da quel tempo a questo si professò in tutti i se-
minarii la filosofia di Locke e di Condillac; e ora i
teologi vorrebbero cangiare una quinta o sesta volta;
ma non sanno a qual pianta attaccarsi. I gesuiti, ri-
tornati come sempre furono (sint ut sunt), e i loro ter-
ziarii, faccendieri e satelliti, e fra essi l’anonimo vo-
stro, retrocedono fino ai semibarbari tempi di San To-
maso. E noi poveri inesperti dovremmo seguirli, sulla
parola, senza avvederci di che si tratta!
Ma noi non abbiamo a farci schiavi di nessuno. Se
san Tomaso era del secolo decimoterzo, e Locke era del
decimosettimo, e Condillac del decimottavo, noi sia-
mo del secolo decimonono. E com’essi ai tempi loro, co-
sì abbiam diritto e abbiam dovere noi di camminar
colla scienza del nostro secolo. Noi vogliamo vivere
alla luce e all’aria dei vivi; e non dentro le casse dei
morti.
I1 Rosmini, che il vostro giornale mi raccomanda, è
già caduto sotto la censura di Roma per diligenza dei
... . . , . , . -.-_I-

36 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III


gesuiti, suoi rivali; e con esso ebbi polemica, or son
già ventidue anni; e mi basta.
Voi vedete quanto mi sia facile rispondere per filo
e per segno. E per amor di verità, non per me che
non ne ho bisogno, son pronto a farlo nel vostro me-
desimo giornale, ove potete intanto collocare presso le
dimande questo principio di risposta.
Ma intendiamoci bene. Di religione e di morale
non si deve parlare con maschere. Spero che i vostri
campioni, i quali promettono in lettere majuscole, a
capo d'ogni numero, di voler essere vittime per la fede,
non vi faranno un'altra volta dichiarare che i loro scrit-
ti sono vostri.
Trattandosi poi di cose gravi, il vostro scrittore,
dopo aver avuto il coraggio di mostrar il suo nome,
vorrà ricordarsi che l'Evangelio disapprova le contese,
li schiamazzi e le piazzate: Non contendet, neque
clamabit, neque audiet aliquis in pluteis vocem eius.
Pensino poi tutti i vostri che una gioventù gene-
rosa, ingiuriata nelle persone a lei più care, si aliena
irrevocabilmente da una causa in tale imprudente mo-
do difesa.
Ho letto e sono, ec.
Lugano, 22 agosto 1858.

Senza data
Lettres Tessinoises
Le Libre Échange et le Canton Tessin *
Avant 1848, le libre échange serrait de prés les fron-
tières autrichiennes en Italie. A la suite des derniérs
événements les Etats de Parme, de Modène, de To-

* Inedito. M.R.M. Ms. Archivio Cattaneo, cart. 14,


pl. X, doc. 6.
... . . , . , . -.-_I-

36 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III


gesuiti, suoi rivali; e con esso ebbi polemica, or son
già ventidue anni; e mi basta.
Voi vedete quanto mi sia facile rispondere per filo
e per segno. E per amor di verità, non per me che
non ne ho bisogno, son pronto a farlo nel vostro me-
desimo giornale, ove potete intanto collocare presso le
dimande questo principio di risposta.
Ma intendiamoci bene. Di religione e di morale
non si deve parlare con maschere. Spero che i vostri
campioni, i quali promettono in lettere majuscole, a
capo d'ogni numero, di voler essere vittime per la fede,
non vi faranno un'altra volta dichiarare che i loro scrit-
ti sono vostri.
Trattandosi poi di cose gravi, il vostro scrittore,
dopo aver avuto il coraggio di mostrar il suo nome,
vorrà ricordarsi che l'Evangelio disapprova le contese,
li schiamazzi e le piazzate: Non contendet, neque
clamabit, neque audiet aliquis in pluteis vocem eius.
Pensino poi tutti i vostri che una gioventù gene-
rosa, ingiuriata nelle persone a lei più care, si aliena
irrevocabilmente da una causa in tale imprudente mo-
do difesa.
Ho letto e sono, ec.
Lugano, 22 agosto 1858.

Senza data
Lettres Tessinoises
Le Libre Échange et le Canton Tessin *
Avant 1848, le libre échange serrait de prés les fron-
tières autrichiennes en Italie. A la suite des derniérs
événements les Etats de Parme, de Modène, de To-

* Inedito. M.R.M. Ms. Archivio Cattaneo, cart. 14,


pl. X, doc. 6.
VI - LIBERTÀ ELVETICA E SUOI NEMICI 37

scane ont été financiellement absorbés, le Pò est main-


tenant une rivière autrichienne; Livorno est perdu à
la liberté du commerce, il est la succursale de Trieste,
le poste avancé de la douane imperiale sur la Mediter-
ranée.
Mais il y a là toujours le Canton Tessin.
Le Canton Tessin est un port-franc, un entrepôt
de , l'industrie universelle. La Lombardie toujours élé-
gante, reçoit par I'entremise du Tessin tous ces objets
que le luxe prefère d'autant plus qu' ils lui arrivent d'un
point plus éloigné et à travers de plus grandes diffi- i
cultés.
Le Tessin est détesté par la finance autrichienne
dix fois plus que par la police de l'armée. Les monopo-
listes de Trieste ont laissé percer plusieurs fois dans
leurs joumaux le vain espoir que le blocus du Tessin
pourrait couper un des chemins de la contrebande en
Italie. Hinc irae. L'Autriche qui a I'habitude de don.
ner un air d'absurde et de baroque à ses actes même
les plus sérieux et les plus atroces, a jeté sur cette
question financière et mondaine les frocs immondes de
ses sept moines.
L'armée autrichienne aime la contrebande; ses chefs
toutpuissants y prennent un intéret en grand, que
la h a n c e est forcée à respecter et à dissimuler. Les
régiments se disputent le bonheur de faire partie du
cordon destiné à maintenir le blocus et en profiter.
L'armée autrichienne, en monopoiisant Ia contrebande
par le blocus, pèse sur le commerce universel; elle le
gêne au même temps qu'elle I'exploite. La contrebande
se fait sur la frontière Tessinoise; mais I'on peut dire
que le peuple tessinois ne s'en mêle pas; et en pro-
fite très-peu. Des étrangers, que dans le pays l'on a p
pelle les Magasiniers, se tiennent prêts à accueillir les
demandes de la Lombardie. Des bandes de eontraban-
diers lombards qui viennent s'approvisioner dans le Tes-
38 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

sin, savent passer partout, semant l’or sur leur che-


min, et au pis aller, bravant par leur courage et leur
adresse les douaniers fidèles ou trop avides, et leurs
coups de fusil. Au reste une troupe d’hommes dont
chacun porte sur ses épaules une quarantaine de kilo-
grammes de dentelles, de bijouteries, de montres, de
cachemirs, savent très bien que si quelqu’un, slave,
germain ou welche, se présentait pour leur barrer le
chemin, cela ne pouvait être qu’un malentendu.
Lorsque il y a trop souvent de traits de mauvaise
fois, les sergents croates vont sur le territoire tessinois
se livrer en ôtage, pendant la marche de la colonne
des contrebandiers. Tout cela est organisé par les états-
majors, comme toute autre opération de gendre.
La pauvre finance impériale poursuit, depuis les
années, une lutte inutile contre cette contrebande. En
y employant son armée, elle ne fait que la corrompre
et la vénaliser; en y prodiguant les moyens de répres-
sion les plus odieux et parfois les plus sanguinaires,
elle ne peut pas empêcher que l’appât du gain ne
donne à ces populations ruinées le courage de gagner
de leur mieux leur vie.
Dernierement l’Autriche est tombée dans une nou-
velle hallucination. Des abbés sont venus lui-dire à
l’oreille que l’on pouvrait aisément s’emparer du gou-
vernement dans ce petit Canton du Tessin, tout aussi
bien qu’on a pu le faire dans le petit duché de Parme,
ou dans le grand duché de Toscane. Le nouveau gou-
vernement réactionnaire et clérical s’engagerait à ren-
voyer les Magasiniers suisses à leurs Cantons respectifs,
et à chasser tous les autres. La finance autrichienne a
cru pouvoir tourner l’armée. L’armée a évidemment amé-
horé par le blocus sa situation; elle y tient. L’Autriche
s’est laissée engager dans cette équipée, dont elle a
cru pouvoir être a bout dans une semaine. Elle attend
depuis long-temps. L’Europe regarde tout cela d‘un
VI - LIBERTÀ ELVETICA E SUOI NEMICI 39

air indifférent. En vérité, que les industriels françis,


belges ou anglais ignorent ces dernièrs détails et ces
dernières conséquences d'un commerce fait sur le sol
du Tessin entièrement à leur profit, cela se conçoit. Ils
ne savent pas quelle partie de responsabilité ils ont dans
les souffrances que les pauvres montagnards du Tessin
maçons de leur métier, ou tailleurs de jeunes, souffrent
avec tant de dévouement et de calme, dans le nom de
la liberté. Mais que dire de ces industriels zurichois, b i -
lois ou autres, qui au nom de I'egoisme le plus mala-
droit et le plus ignoble, font conseiller par leurs jour-
nalistes le peuple tessinois de faire de la prudence et
de la complaisance, de renverser tout doucement ses
chefs et de donner des garanties?
Ne savent ils pas qu'au nombre de ces garanties il
y aurait avant tout, la suppression de leurs magasins
et I'espulsion de leurs magasiniers? Oui, Messieurs, In
cause du Tessin est la cause du libre échange. Elle
est un peu plus que une question cantonale.

i
i

VII
PUBBLICO INSEGNAMENTO

1
6 Aprile 1824

Della istruzione monacale *


Sulla istruzione monacale 4. Aprile.
Dir buone instituzioni e dire instituzioni utili è lo
stesso. Chi intraprende l'encomio di instituzioni già
state, deve enumerare i vantaggi che ne scaturirono; e
chi vuol consigliare. instituzioni nuove deve indurre gli
altri in ferma speranza di vantaggi futuri. E chi mai
si farebbe lodatore di fondazioni inutili o perniciose?
Questa idea ci porge un sicuro mezzo per cimen-
tare la bontà e il merito di qualunque instituzione; e
perciò anche degli stabilimenti monastici. Perlocché io
metto in campo questa semplice e franca quistione.
AI tempo in cui presso di noi l'insegnamento passò
nelle mani monastiche si è veduto vero e reale miglio-
ramento nello stato delle cognizioni, de' costumi, della
industria? E viceversa al tempo in cui l'insegnamento
sfuggì loro di mano si è veduto una vera e reale de-
cadenza di cognizioni, di costumi e d'industria?
Sottomettiamoci al giudizio dei fatti; ma non di
fatti minuti e secreti, bensì di apertissimi e incontra-
stati. I corpi monastici che nacquero nelle rimote epo-
che del Medio Evo s'erano consacrati dapprima agli
esercizi ascetici soltanto, e poi in più torbidi tempi

-*Pubblicato
M.R.M. Ms. Archivio Cattaneo, cart. 11, 1. I, doc.
3, in S.I.D.,
pp. 180-183 con il tito o : « Sulla
istruzione nazionale » .

.... .
.
44 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III
intrapresero la predicazione e la custodia del dogma,
ma non ebbero parte alcuna all’insegnamento. Fu solo
verso la metà del secolo XVI e propriamente l’anno
1540 (Si noti l’epoca) che colla instituzione dei gesuiti
lo spinto monastico prese aspetto più socievole e insi-
nuante. Numerose furono le imitazioni di quella più
celebre e più potente fra le unioni monastiche. Si vi-
dero ben presto sorgere qua e là i Barnabiti, i Teatini,
gli Scolopi, i Somaschi, i Filippini e più altre compa-
gnie meno ricche e meno potenti, ma tutte simili
nello scopo e nei modi a quella primissima e prin-
cipale.
Esse si stesero rapidamente da paese a paese, inva-
sero in ogni dove l’istruzione e in pochi anni tutta la
gioventù f u ridotta a crescere nelle loro mani e a pren-
dere colore da loro. Però partendo dal 1540 fu loro
necessario un certo spazio di tempo prima per formar
se stesse e propagarsi e poi per formare altrui, e poi
finalmente per dar luogo ai loro allievi di divenire ma-
turi e uscire alla luce del mondo. Cosicché dovette
giungere almeno il principio del 1600 prima che si
potesse dire che la società risentisse alcun effetto da
quelle novità.
Due secoli e forse meno furono bastevoli a disgu-
stare e disingannare gli uomini che da principio tanto
caldamente avevano promosse le associazioni gesuitiche,
cosicché in mezzo ai sospetti de’ governi, all‘alienazione
de’ popoli, e alla continua e segreta guerra delle altre
corporazioni i gesuiti si videro strappato di mano l’in-
segnamento pubblico, e tolta la sociale esistenza.
Questo avvenne dopo la metà del secolo XVIII. Ma
se si esamina ben addentro il fatto stesso della loro
caduta si vede che il loro infiusso erasi indebolito già
molto prima, e che una lunga decadenza morale aveva
dovuto precedere la materiale soppressione. Le altre
corporazioni gesuitiformi (che non altrimenti saprei dar
VII - PUBBLICO INSEGNAMENTO 45

loro un nome collettivo) caddero più tardi ma già da


molto tempo venivano mancando per interna consun-
zione. E infatti lo spirito dei tempi aveva travolto al-
trove le ambizioni e gli ingegni, e da molti anni esse
non potevano più propagarsi vigorosamente, assimilan-
dosi il fiore della gioventù a danno delle altre classi eru-
dite. Cosicché il loro spirito dalla metà del secolo XVIII
in poi non ebbe più il predominio, e per grandi e
lontane cagioni in breve giro d’anni spirò.
I due estremi che abbiam posto sono dunque l’uno
verso il principio del 1600 l’altro dopo la metà del
1700. Un partigiano di queste instituzioni dovrà mo-
strarmi che verso il 1600 il nostro paese cominciò ad
essere tutto vita e floridezza e verso il 1750 tutto morte
e miseria. Ma i fatti provano fatalmente il contrario;
e io li verrò esponendo.
Chi, non affatto straniero alla storia delle nostre
lettere, avrà tanta fronte da dirmi che l’aborrito e sbef-
fato 600 sia in qualche rapporto superiore al secolo
precedente? I1 secolo precedente vanta i Raffaelli, i
Tiziani, i Sansovini, i Palladj; sono ornamento della
poesia italiana l‘Ariosto, il Tasso; della latina Fracastoro,
Vida, Flaminio, Sannazzaro; della erudizione Manuzio,
Vittorio, Sadoleto e mille altri. I1 secolo seguente è in-
fame per il più stolido pervertimento delle lettere e
delle arti, per lo sterminio dell’industria e del commer-
cio, per la nascita del cicisbeismo e di mille altre ne-
fande stranezze. Non più studj, non più né domestiche
virtù né civili. Gli uomini assorti nella zazzera, e nel-
la frega miserabile degli inchini delle galanterie dei
sonetti lasciano deserta ogni strada d’onore, e l’Italia
per la prima volta diventa oggetto di riso alle nazioni
europee a cui ella pochi anni prima avea aperto gli
occhi, e riconquistato il regno del sapere. E questa
stupida e disutile generazione non crebbe ella nelle
mani delle corporazioni erudite? E queste corporazio-
46 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

ni erudite che ailevarono gli spregevoli insetti del '600,


aveano forse allevato i genj del secolo precedente?
So che molte altre fatali cause aveano concorso a spro-
fondare in tanta abbjezione il nostro paese, e non la-
scerò che mi si rinfacci post hoc ergo per hoc, ma so
anche che da molti secoli l'Italia non avea veduto quei
giorni tranquilli che vide nel Seicento, e che al con-
trario nell'età anteriori avea soggiaciuto alle più cru-
deli e lunghe sciagure, e tali da ricondurre più presto
la barbarie che l'incivilimento, Forseché la natura stan-
ca ed esausta non produceva più su questa terra gli
ingegni usati? No. Essi uscivano rigogliosi dalla mano
della natura, ma andavano a infracidire miseramente
nelle scuole e ne' collegi, che doveano pur farli belli e
vigorosi.
Che se quel secolo infelice vanta qualche nome il-
lustre, ne va egli forse debitore alle nuove instituzioni?
Non basta egli il solo nominar Galileo, per ricordare
della perseguitata e precaria sua vita? Ora chi porta
il disonore di quegli intrighi vergognosi? Non giun-
sero i monaci a profanare persino le chiese, e il santo
ministero della divina parola, per aizzare il volgo con-
tro quel grande infelice? Chi cancellerà dalle pagine
della storia il viri Galilei quid statis adspicientes in
coelum? E si dirà che il patrocinio delle scienze si
debba confidare a quelli che mostrarono tanta fiera ini-
micizia ad ogni loro progresso?
Varchiamo que' tempi di tenebre e di disonore, e
veniamo a quell'epoca in cui piacque a Dio che le
corporazioni cedessero il campo, e giusta il comune de-
stino delle cose umane volgessero alla propria ruina.
Altri s'aspetterebbe che le lettere e le arti si spegnes-
sero allora del tutto. E al contrario io vedo le lettere
e le arti riscuotersi allora dal delirio che le aggirava.
Veggo ogni maniera di scienze innalzarsi a una flori-
dezza non conosciuta. L'ultima metà del secolo XVIII è
VII - PUBBLICO INSEGNAMENTO 47
!
secondo secolo d'oro per l'Italia, e le rivendica ancora
il rispetto degli stranieri. La poesia vanta Metastasio,
Panni, Alfieri, e promette agli anni seguenti altri nomi
non meno illustri. La filosofia ha uno Stellini, un Becca-
ria, un Verri, un Filangeri, Bonamico, Paciaudi, For-
cellini, Volpi, ravvivano gli studi, e il linguaggio di
Roma antica. Gozzi, e Baretti richiamano gli italiani al-
l'antica schiettezza del loro idioma, e Cesarotti intro-
duce fra gli ispidi grammatici la filosofia. Intanto le
arti depongono la scoria del Seicento, e preparano
Appiani e Canova; Volta e Galvani si fanno rinomare
sino nell'altro emisfero e Lagrange è il primo matema-
tico d'Europa. Vedete invero quanta barbarie e quanta
ignoranza ha portato con sé la soppressione delle tanto
venerate scuole monacali! Né si creda che tanta flori-
dezza sia stata felicità d'un momento; perché pare che
d'allora in poi la catena degli uomini grandi spezzata
nell'infausto Seicento si sia riannodata in Italia, e pro-
metta di stendersi a lontane prosperità. Poiché se muo-
re Metastasio sorge Monti; a Beccaria succedono Pa-
gano e Romagnosi; a Bonamico Morcelli e Morelli; e
dovrò annoverare Ennio Visconti, e Botta, e Perticari,
e Pindemonte, e Foscolo, e Cuoco, e Mascheroni, e
Brunacci, e Gioia, e Tommasini, e Mascagni, e Oriani,
ed altri nomi già gloriosi, oppure confondere la mo-
destia della gioventù che cresce sulle tracce gloriose
di questi a far bella e superba la vicina età?
Chi ha più ozio tesserà più lungo leggendario di
nomi illustri. Io mi ristò a quanto dissi, e mi fo lecito di
conchiudere che l'erezione delle scuole monastiche ha
accompagnato la totale rovina delle lettere e delle arti
e la loro soppressione segnò a quelle l'epoca del ri-
sorgimento. Mi si risponda con fatti, non con declama-
zioni; e mi si risparmino gli impropej.
48 CATTANEO - SCRITTI: POLITICI - III

Marzo 1839

Prospetto statistico dell'istruzione elementare


in Lombardia nel triennio 1835-37 *
Nell'Echo, giornale di cose italiane, che già da set-
te anni si va publicando a Milano in lingua tedesca',
l'indefesso coltivatore della nostra Statistica patria, sig.
Carlo Czoernig, espose un interessante ed ampio pro-
spetto dell'istruzione publica in questa parte del Re-
gno. Riputiamo dovere dell'assunto nostro fame cono-
scere ai nostri lettori i sommi capi, e perché ne abbia
lode lo scrittore, e perché il paese ne abbia onoranza
e incitamento ad inoltrarsi nelle vie d'un progresso,
che le cifre aritmetiche dimostrano certo e continuo,
e promosso con pari zelo dalle Autorità, dalle Comuni,
e dai privati.
Gli antichi si levarono coll'intelligenza a meta altis-
sima; ma i genj surgevano solitarj fra turbe illetterate
e superstiziose, le quali immolavano poi Socrate e
Giordano Bruno alle paure d'un'ignoranza feroce. I1 pen-
satore viveva allora isolato, come un parlante in mez-
zo ai muti, e talora come un colpevole che si sente
impressa sulla fronte una nota patibolare.
Ai nostri giorni le sorti sono mutate: il vulgo, anche
nel momento de' più violenti suoi furori, s'inchina al-
l'intelligenza, e ne invoca il soccorso. Non può più dirsi
nemico alla scienza, se non qualche membro depravato
di quelle classi stesse, che più largamente ponno par-
tecipare a' suoi doni. I nemici della luce vivrebbero

* Pubblicato in POL., 1839, I, pp. 258-266, in S.P.E.,


I, pp. 67-71 (parzialmente) e in S.C.E.I., I, pp. 273-274.
Si publica mensilmente in questa medesima stampe-
r i a Pirola, in formato consimile al nostro.
VII - PUBBLICO INSEGNAMENTO 49
dunque in seno alla luce, come le macchie del disco
solare, che dalla fonte della vita minacciano tenebre e
gelo all'universo.
Fra questo generale dirozzamento dei popoli, il co-
losso dell'intelligenza non ha dunque più i piedi di
creta. La piccola republichetta delle lettere non è più
una colonia solitaria fra i milioni delle barbare plebi.
Le nazioni si ostentano scambievolmente il numero dei
fabri che sanno scrivere, e degli aratori che sanno leg-
gere, come altre volte si vantavano delle spoglie opi-
me appese ai santuarj. Ragion voleva dunque che una
rivista dell'istruzione publica cominciasse dall'infimo
grado dell'insegnamento. E infatti da questo comincia
il Prospetto che abbiamo innanzi e tratta primamente
dell'istruzione elementare, che suddivide in maggiore
e minore. La prossima instituzione delle scuole tecniche
vi aggiungerà un terzo grado.
I1 numero delle nostre scuole elementari era nel
detto triennio come segue :

Anno 1835 1836 1837


- - -
maggiori
Scuole publiche minori
i
Scuole private e collegiali
73
3568
781
77
3618
775
77
3646
806
- - -
4422 4470 4531

I1 numero degli stabilimenti crebbe dunque nel


triennio di circa 50 per anno; e l'aumento riesce inte-
ramente nelle scuole femminili.

maschili 2645 2653 2637


Scuole
femminili 1777 1817 1894
- - -
4422 4470 4531

4. . CATTANEO.Scritti politici. III.


I

50 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

L’istruzione delle donne povere, negletta e quasi


vietata nei passati secoli, va sempre più avvicinandosi
a quella degli uomini, e prepara madri di famiglia che
non tramanderanno in perpetuo la superstizione e la
rozzezza. I nostri bachi da seta non saranno più in
preda di gente che non sa leggere nemmeno le cifre
del termometro, e che con deplorabile bestemmia guar-
da come opera del cielo, gli effetti della propria indo-
lenza e ostinazione.
Le Comuni della Lombardia sono 2234; alcune di
grandissima popolazione; alcune inferiori a cento abi-
tanti. Dovrà col tempo avervi in ciascuna per lo meno
una scuola maschile e una femminile. Ecco frattanto
a che punto sia il numero dei Comuni dotati di pu-
bliche scuole o d’esse mancanti.

Anno 1835 1836 1837

maschili 2158 2165 2168


Comuni
dotati di scuole
i femminili 1120 1164 1191
76 69 66
mancanti di scuole
i femminili
maschili
1114 1070 1043

Mentre dunque le prime basi dell’istruzione maschi-


le sono quasi dappertutto gettate, quasi la metà dei
Comuni non ha fatto ancor nulla per le madri del
popolo.
Si trovavano, durante questo triennio, 337,466 fan-
ciulli nell’età che corrisponde a questo grado d’istru-
zione, cioè da 6 a 12 anni. Ma in onta dei grandi
progressi dell’istruzione popolare, risulta che frequen-
tavano le scuole soli 196,889; cosicché 140,577 rima-
nevano tuttora abbandonati alla rozza madre natura :
VII - PUBBLICO INSEGNAMENTO 51

cioè, più d'un quarto dei fanciulli e più della metà del-
le fanciulle.
Maschi Femmine Ambo i sessi
Scolari 122,281 74,608 196,889
Inculti 49,716 90,861 140,577

171,997 165,469 337,466

Sopra 100 ragazzi di questa età, gli scolari e gli


inculti erano nella seguente proporzione :

Per 100 fanciulli d'ambo i sessi da 6 a 12 anni: i

Maschi Femmine
Scolari 61.3 71.9 45
Insulti 38.7 28.1 55
- - -
100. 100. 100.

Ciò mostra in breve e il molto che abbiamo fatto


e il molto che ci resta a fare. Si noti però che il nu-
mero dei fanciulli inculti non corrisponde ad inopia
locale di mezzi d'istruzione; poiché quasi due terzi si
trovano in Comuni provisti di scuole; e lo si deve at-
tribuire al poco pregio in cui le povere famiglie ten-
gono ancora questo nuovo bene del nostro secolo. Vuol-
si eziandio notare che la prontezza ad approfittare delle
instituzioni elementari è assai più evidente nel sesso
femmineo; poiché mentre la maggior moltitudine dei
fanciulli inculti si trova nei Comuni provisti di scuole,
il numero delle fanciulle inculte vi è comparativamente
assai minore, come appare dal seguente prospetto :
Fanciulli inculti Maschi Femmine
In Comuni senza scuole 1,876 49,035
» con iscuole 47,840 41,876

49,715 90,911
52 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III
Né i Comuni senza publica scuola possono dirsi
affatto interclusi dall'istruzione; e perché talora vi sup-
pliscono almeno in parte le scuole private, e perché
possono prevalersi delle scuole dei Comuni più vicini.
Talora ne mancano per mancanza di fondi; ma talora
per l'estrema piccolezza della popolazione, la quale non
somministra ancora il numero di 50 fanciulli che la
legge dimanda per l'instituzione di una scuola publica.
Il numero degli istruttori publici era in ragguaglio
all'intero triennio :
Maestri Aggiunti Maestre Aggiunte
Nelle scuole maggiori 253 41 46 17
Nelle scuole minori 2296 88 1225 82
- - - -
2549 129 1271 99

E formava in complesso più di quattro mila perso-


ne (4048); di cui un terzo erano donne (1370). Al Cor-
po insegnante resta poi ad aggiungersi il Corpo diri-
gente e vigilante, cioè gli Ispettori dei diversi territorj,
i Direttori delle maggiori scuole, e i Curati, i quali
soprastanno alle scuole minori nella loro giurisdizione,
e vi porgono l'istruzione religiosa. In questa soprinten-
denza vengono interessate 2412 persone, per la mag-
gior parte dell'ordine ecclesiastico; cosicché, compresi
58 Catechisti, i membri del clero, che hanno maggiore
o minore ingerenza nell'istruzione elementare, ammon-
tano a non meno di 2226. Così resta, dove restar de-
ve, la tutela della morale religiosa; mentre nello stesso
tempo i'insegnamento viene direttamente esercitato da
una classe composta in gran parte di padri e madri
di famiglia, e l'influenza delle diverse classi della so-
cietà viene saviamente e giustamente bilanciata.
In ragguaglio generale si trovano per ogni scuola
45 scolari: per ogni scuola publica 48; e per ogni
-

VII - PUBBLICO INSEGNAMENTO 53


scuola privata 23. Per ogni scuola maggiore, la quale
però ha sempre parecchi maestri, si contano 230 sco-
lari; e se ne contano 45 per ogni scuola minore dove
l’istruttore è quasi sempre un solo. Le scuole femmini-
li hanno quasi sempre la stessa frequenza che le ma-
schili; e ciò indica buona disposizione delle famiglie
a prevalersene. I1 termine medio degli allievi nelle scuo-
le minori è, come si vide, piuttosto basso (45), perché
le popolazioni sono assai diffuse su tutto il paese, e si
dovrebbero percorrere soverchie distanze per riunire un
corpo maggiore di fanciulli; e questa è una delle cagioni
che le scuole maggiori non siano per anco più numerose.
Le spese dell’istruzione elementare si derivano da
tre fonti. La maggior parte proviene da fondi votati
dalle Comuni, o da sussidj prestati dalle Provincie alle
Comuni povere; il rimanente dai redditi generali del
Regno, e una piccola parte da Fondi proprj. Eccone il
prospetto in lire austriache :

Spese delle scuole elementari publiche in Lombardia.


Ragguaglio
Anno 1835 1836 1837 deltriennio
- - - -
Fondi speciali L A . 56,037 70,152 62,847 83,012
» erariali 193,596 189,891 188,868 190,785
comunalie
1,208,610 1,209,048 1,269,447 1,229,035
provinciali
----
Totale , .. , , . 1,458,243 1,469,091 1,521,162 1,482,832

Da questo prospetto emerge che la spesa generale


viene oltrepassando omai un milione e mezzo; che i
Fondi speciali vi concorrono in ragione di 4 per 100;
I’Erario in ragione di 13; e i Contributi Comunali e
54 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

Provinciali in ragione di 83 per 100. Si vede eziandio


che le providenze dei Comuni e delle Provincie creb-
bero nel triennio in ragione di 60 mila lire; mentre l'ag-
gravio generale del regno va diminuendo; e ciò prova
il buon volere della gran maggioranza dei proprietarj.
Né ciò basta a dare idea della somma intera che le
famiglie amano contribuire per la prima educazione del-
la loro prole e dell'altrui; giacché resterebbe ad ag-
giungere il dispendio dell'istruzione data nelle scuole pri-
vate e nei privati collegi. Ivi si contano non meno di
16,446 allievi, la maggior parte fanciulle (10,362). La
maggior ritiratezza, che l'opinione del paese richiede nel-
l'educazione femminile, fa preferire a molte famiglie
l'educazione privata, ed anche la strettamente dome-
stica. La diffusione dell'agiatezza e il numero delle
classi medie, assai maggiore qui che in qualsiasi parte
d'Europa, ne porgono i mezzi; e molti, tuttoché per-
suasi della bontà dell'istruzione delle scuole publiche,
amano mostrare le loro affezioni parentali coll'addos-
sarsi questa quasi superflua spesa. È un'abitudine che
muove da cause tutte onorevoli al paese; e che alcuni
stranieri, i quali non le conoscono, vollero perfino tor-
cere a mancanza d'amor paterno, che cerca trasferire
a mani estranie l'educazione della prole.
Per queste ragioni, che meriterebbero esser diligen-
temente indagate e svolte in ambo gli opposti aspetti,
il numero dei Convitti e delle Scuole private è mag-
giore in questa che in qualunque altra parte dell'Im-
pero; ed entro i confini delle Provincie nostre è di gran
lunga maggiore in Milano e nelle vicinanze; ove si
conta quasi metà delle Scuole Private (320) e più di
metà dei Convitti (48).
Le scuole festive che in altre parti d'Europa sono
un'applaudita novità, sono fra noi un'antica instituzio-
ne indigena, che data dal secolo XVI; ma sembra omai
cedere il luogo alle instituzioni del secolo; poiché il
VII - PUBBLICO INSEGNAMENTO 55

numero degli allievi è in aperta diminuzione. Nel se-


condo anno discese da 5902 a 4686, e nel terzo a 4223.
Se alcune Comuni o più piccole o più povere man-
cano tuttora di scuola publica, alcune Comuni ne hanno
più d’una, cosicché il loro numero vien sorpassato al-
quanto da quello delle scuole.
Sopra 100 scuole elementari, le minori sono in ra.
gione di 81, le maggiori di 2, le private di 14, e i
convitti di 3.
Se dalla somma degli scolari si deducono i sedici-
mila e più che ricevono istruzione privata, troviamo
che i 180 mila fanciulli incirca, che sono ammessi al-
l’insegnamento elementare nelle scuole publiche, ven-
gono a costare in ragione di poco più di lire 8 per testa
(8.21) ogni anno. Cosicché il paese, nel contribuire per
tre o quattro anni all’istruzione d’un fanciullo del popo-
lo, colloca a frutto circa una trentina dì lire, ossia in-
veste una rendita perpetua di forse mezzo centesimo al
giorno.
Ora si consideri quanto valga di più un operajo, od
una madre di famiglia, che sappia leggere, scrivere e
conteggiare, in confronto d’un essere idiota! Si consi-
deri se la sua giornata non vale il mezzo centesimo e
non lo ammortizza! Ora tutto quello che vale di più, è
tanto di guadagnato per il paese e per il lavoratore. I
bachi da seta, i cavalli, i bovini, le piantagioni, i vini,
i formaggi, le fabriche, le mobiglie, gli abiti, le machi-
ne, tutte le cose nostre, tutte le sorgenti della nostra
sussistenza, sono continuamente a discrezione di que-
sti poveri mercenarj, e si troveranno Successivamente
in mano delle generazioni crescenti. Un grado maggio-
re o minore d‘intelligenza, di riflessione, d’ordine, pro-
duce perfezione o imperfezione, conservazione o depe-
rimento. Ogni anno porta entro la nostra società una
nuova onda di viventi; tocca a noi il considerare se
amiamo ricevere un rinforzo d’esser intelligenti, o un’ir-
56 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

ruzione di barbari. Se gii uomini fanno le cose, ogni


miglioramento delle cose deve aver principio da un
miglioramento negli uomini.
Ma il buon successo dell'istruzione dipende non so-
lo dalla bontà dei regolamenti, ma eziandio da quella
degli istruttori; e la qualità degli istruttori dipende in
gran parte dalla condizione in cui vengono posti; perché
ciascuno cerca trarre il frutto migliore dalle sue attitu-
dini. Ora se si fa riparto dell'annua spesa media del-
l'istruzione elementare publica sui 3670 istruttori d'am-
bo i sessi, troviamo risultare in ragione di lire 404
circa per ciascuno. E se consideriamo che non tutta
questa somma esce in onorarj; e che gli onorarj stessi
non possono essere egualmente divisi; perché vi sono
scuole maggiori e minori, ,scuole urbane e rurali, mae-
stri e maestre, aggiunti ed aggiunte: vedremo che, per
una gran parte del corpo insegnante, massime nelle
piccole Comuni, l'onorario appena può ammontare ad
un centinaio di lire; e perciò non può essere se non il
compenso d'un'occupazione quasi accessoria. E qui ri-
petiamo che queste cifre, che il sig. Czoernig ebbe il
provido pensiero di raccogliere e publicare, mostrano
ad un tempo e il molto che da noi si è fatto, in para-
gone dei barbari tempi antichi, e il moltissimo che re-
sta a fare, massime ai possidenti delle Comuni più
piccole.
Giova sperare che essendo quasi compiuta oramai
in molti Distretti la gran rete delle strade Comunali,
sommo vanto del nostro paese, gli sforzi dei possidenti
potranno rivolgersi a migliorare la condizione degli istrut-
tori elementari, per dare efficacia all'insegnamento. Se
non ché la smoderata emulazione rusticale delle enormi
campane assorbe annualmente un ingente tesoro alle
popolazioni.
Frattanto vuolsi tener conto anche della prestazione
dei locali per le scuole, la massima parte dei quali vie-
VII - PUBBLICO INSEGNAMENTO 57

ne largita dalle famiglie con proporzione crescente ogni


anno.

Numero dei locali per le scuole elementari.

1835 1838 1837 Ragguaglio


- - - -
Regj . . . 455 403 397 418
Comunali , 880 891 920 897
Gratuiti . . 2199 2267 2312 2259

Totale . . 3534 3561 3629 3574

A compiere il prospetto di questo grado primillare


dell'istruzione publica, rimarrebbe di scendere un gra-
do più abbasso, e presentare, col corredo delle cifre,
la prima introduzione e lo svolgimento degli Asili del-
l'lnfanzia; i quali, coltivando le forze fisiche e le fa-
coltà intelligenti e morali, mirano a diminuire il nume-
ro di quegli infelici, che crescevano per lo passato o
infermi, o idioti, o perversi, ad aggravio maggiore de-
gli altri infelici, e a danno, a pericolo, a vergogna della
società. Desideriamo vivamente che l'egregio Statistico
voglia dare qualche pagina del suo Prospetto anche a
questa novella instituzione, colla quale molte città e
borgate nostre si segnalarono lodevolmente. Per questo
modo l'istruzione della plebe, da necessità politica e
da ordinazione governativa, in breve giro d'anni si è
fatta tra noi quasi naturale e spontanea; e può dirsi
assicurato omai il progressivo compimento di questa
grand'opera di rigenerazione morale ed economica. La
società, educata dall'Amministrazione, deve educare alla
sua volta la plebe, e mansuefarne e ingentilime la na-
tiva rozzezza. i l che fu espresso da Romagnosi con
.. ... . . . . . -- . . .. . .
I

58 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

quel detto, che il governo delle nazioni incivilite deb-


b‘essere una gran tutela accoppiata ad una grande edu-
cazione

Agosto 1839

Dell’istruzione ginnasiale in Lombardia *

La gloria delle nostre scuole letterarie è antica. A


Milano, Virgilio fu scolaro, e sant’Agostino fu mae-
stro. Parini e Monti diedero ai nostri giovani i precetti
dell’eloquenza e gli esempi. Fin dai tempi di Plinio la
fondazione delle publiche scuole fu tra noi un atto
frequente di publica beneficenza; e nelle antiche me-
morie possiamo leggere i nomi dei generosi che fonda-
rono le scuole Canobbiane e quelle degli Arcimboldi,
e dei Calchi, e altre non poche. La civiltà moderna
avendo reso la publica istruzione una delle più impor-
tanti cure degli Stati, rifuse in generali ordinamenti
quelle moltiformi fondazioni private, cosicché con poca
fatica si possono d’un’occhiata trascorrere tutte le fonti
della letteraria nostra cultura. Ed è materia di sommo
momento. Le scuole letterarie non solo sono necessario
vestibolo a certe elevate condizioni, alla medicina, al-
la giurispondenza, alle magistrature, al sacerdozio, ma
diffondono su tutto il consorzio sociale un cert’abito
d’eleganza, che non appare presso altri popoli, talora
più operosi e industri, ma sovente rozzi nei loro vizj,
e cupi e inamabili nelle loro virtù.

In altri numeri esporremo succintamente gli altri stadj


superiori deli’istruzione publica, dietro i dati del sig.
Czoernig, i quali può consultare chi facesse studio partico-
lare di questi argomenti.
* anonimo in POL., 1839, 11, pp. 185-190.
.. ... . . . . . -- . . .. . .
I

58 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

quel detto, che il governo delle nazioni incivilite deb-


b‘essere una gran tutela accoppiata ad una grande edu-
cazione

Agosto 1839

Dell’istruzione ginnasiale in Lombardia *

La gloria delle nostre scuole letterarie è antica. A


Milano, Virgilio fu scolaro, e sant’Agostino fu mae-
stro. Parini e Monti diedero ai nostri giovani i precetti
dell’eloquenza e gli esempi. Fin dai tempi di Plinio la
fondazione delle publiche scuole fu tra noi un atto
frequente di publica beneficenza; e nelle antiche me-
morie possiamo leggere i nomi dei generosi che fonda-
rono le scuole Canobbiane e quelle degli Arcimboldi,
e dei Calchi, e altre non poche. La civiltà moderna
avendo reso la publica istruzione una delle più impor-
tanti cure degli Stati, rifuse in generali ordinamenti
quelle moltiformi fondazioni private, cosicché con poca
fatica si possono d’un’occhiata trascorrere tutte le fonti
della letteraria nostra cultura. Ed è materia di sommo
momento. Le scuole letterarie non solo sono necessario
vestibolo a certe elevate condizioni, alla medicina, al-
la giurispondenza, alle magistrature, al sacerdozio, ma
diffondono su tutto il consorzio sociale un cert’abito
d’eleganza, che non appare presso altri popoli, talora
più operosi e industri, ma sovente rozzi nei loro vizj,
e cupi e inamabili nelle loro virtù.

In altri numeri esporremo succintamente gli altri stadj


superiori deli’istruzione publica, dietro i dati del sig.
Czoernig, i quali può consultare chi facesse studio partico-
lare di questi argomenti.
* anonimo in POL., 1839, 11, pp. 185-190.
VII - PUBBLICO INSEGNAMENTO 59

Tuttavia l’età nostra, calcolatrice e saggia, dimanda


spesso quali utili cognizioni veramente rechi seco un
giovine ch’esce dalle scuole in cui primeggia lo studio
dell’eloquenza. Ciò chiedendo, ella considera forse trop-
po poco che l’educazione mentale non consiste tanto
nel cumulo delle nozioni positive, quanto nell’attivazio-
ne e nello svolgimento di certe facoltà, che non pro-
vengono perfette dalla natura. Anche la musica educa
la voce da lontano con solfeggi, e non colla immediata
ripetizione dei motivi musicali. Gli studj letterarj, per
non dissimil guisa, addestrano le mente a condurre le
sue operazioni con una precisione, una delicatezza,
un’efficacia, che le intelligenze ineducate non raggiun-
gono mai. Gli esercizj della poesia appena formeranno
fra dieci mila giovani un illustre poeta; ma li avvezza-
no tutti ad atteggiare nella più bella forma il pensiero,
a trascegliere fra più parole, che il vulgo crede sinoni-
me, quella unica che calza al bisogno, a serbare una
folla di minute convenienze, a smovere con poche pa-
role allusioni innumerevoli, ad involgere tutta la frase
in una bella varietà e pienezza di suoni, della quale
gli uomini più rozzi sentono la potenza, senza poterne
sorprendere il magistero. E quando questi esprimono il
loro convincimento colla frase: è un uomo che ha stu-
diato: non riconoscono con ciò ch’egli abbia tale o tal
altra special cognizione; ma vogliono dinotare una gene-
rale superiorità d’intendimento, una più elevata forma
mentale. Quando Alessandro rabbuffò il maestro che
non teneva nella scuola l’Iliade, e quando i Pitagori-
ci non ammettevano alle scuole di filosofia chi non
era iniziato alla musica, essi volevano appunto indica-
re che la delicatezza degli studj ameni prepara alla
precisione dei più severi, e che senza un certo slancio
d’idealità !’uomo non varca i limiti del triviale.
A due fini dunque mira l’educazione letteraria: a
porgere un certo apparato di cognizioni e a svolgere
. . ... .. . . . . ._- . .

60 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III


certe forze mentali. A quest'ultima parte principalmen-
te riescivano i nostri vecchi, e quasi col solo strumen-
to delle lettere latine; cosicché Io scolaro giungeva al-
la gioventù, forte nel poco che sapeva, ma senza ben
conoscere la propria lingua, né il nome delle parti del
mondo, né alcun barlume d'istoria moderna o di scien-
ze naturali; e si trovava alle porte dell'università o al-
l'ingresso della vita civile, potente d'ingegno, ma igno-
rantissimo d'ogni più necessaria cosa. E i più, che non
potevano avere la magia dell'ingegno, univano all'igno-
ranza dei fatti la debolezza del ragionamento e il di-
sprezzo di ciò che non sapevano.
Ai nostri tempi al contrario si dimentica facilmen-
te lo sviluppo delle facoltà, e si mira quasi unicamen-
te a congregare nella memoria le cognizioni positive;
perloché se gli alti ingegni ricadono spesso a mediocre
riuscita, essi sono più atti alla pratica degli affari ed
agii officj della società. Le piante rare, robuste e sel-
vagge, cedono il luogo al fruttifero vivajo.
È da un secolo che la forza dei tempi va operan-
do con assidue riforme sull'istruzione letteraria. La con-
dizione degli institutori venne redenta dall'infimo gra-
do della scala civile, venne costretta a speciale tiroci-
nio e rendiconto, e onorata di riguardi e di compensi.
E sparita l'enorme distanza, che, pochi anni addietro,
passava tra un maestro di latino e un medico od un
avvocato; e così al consorzio civile si aggregò una nuo-
va classe d'uomini rispettabili. Questi nelle nostre pro-
vincie formano un corpo di quasi ottocento (772), mol-
ti dei quali, cresciuti nelle università, sono eguali di
grado, e spesso superiori d'ingegno, di scritti e d'opi-
nione, a quelli che seguono la carriera dei più distinti
onori.
Fu un importante riforma quella di far precorrere
allo studio del latino quello dell'italiano, dietro al prin-
cipio che si debba salire dal noto all'ignoto, dall'ovvio
VII - PUBBLICO INSEGNAMENTO 61

al difficile, e dalle cose più necessarie a quelle che lo


sono assai meno, e che lo studio d'una lingua d'altri
secoli sia sottomesso e sussidiario allo studio della no-
stra. S'introdusse una qualche iniziazione anche di gre-
co, necessaria finché i medici, i naturalisti e perfino i
mecanici e i profumieri vogliono inviluppare i fatti loro
di vocaboli grecheschi. Intanto i più vivaci ingegni han-
no occasione di toccar con mano il sacrario d'Omero,
al quale rimasero finora profani.
Si svolse assai lo studio della geografia moderna ed
antica e l'uso delle carte, mentre in passato le letture
istoriche non avevano alcun appoggio nella memoria lo-
cale; ed è anzi a desiderarsi che vi si venga aggiun-
gendo anche l'uso delle carte cronologiche, giacché sen-
za le due coordinate dei luoghi e dei tempi la mente
umana confonde e avviluppa ogni cosa.
Della istoria moderna era pur necessario dare almeno
una nomenclatura; sicché il culto giovine non ignorasse
Enrico IV, Pietro il Grande, Cromwell, Luigi XIV, e
intravedesse l'importanza delle scoperte trasmanne, e dei
grandi Trattati europei, che stabilirono quel comples-
so di cose nel quale viviamo, e al quale pochi anni
sono il giovine non udiva mai farsi la minima allusione.
Finalmente gli elementi aritmetici che sono quasi il
riscontro, anzi il completamento dell'alfabeto, accom-
pagnano con qualche esercizio il giovane, lungo il corso
di tutti i suoi studj, e attivano in lui una qualche abitu-
dine di calcolo e di precisione. Se queste cose non
sono poche, egli è perché non poche sono le cose ne-
cessarie in questo mondo.
In mezzo a queste innovazioni, v'è chi sta fermo ad
asserire che l'istruzione debba desiderarsi racchiusa di
nuovo entro le antiche frontiere della latinità, come
quando il latino era la lingua depositaria e interprete
di tutto il sapere umano. Ma la più parte di questi lo-
datori del tempo andato possono segnarsi a dito, come

. . , , . . . ... .
62 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - 111

innocenti e puri d’ogni gusto di studj qualunque sie-


no. L’ordine scolastico e collegiale ch‘essi vanno invo-
cando, sarebbe quello che diede alle nostre lettere il
seicento, alle arti il gusto barocco, e alla società il sa-
pere dell’Azzecca-garbugli e il buon costume di Don
Rodrigo. Noi li preghiamo a raffrontare le date.
Negli altri stati della Monarchia, dove il moderno
incivilimento non surge da così vetuste radici come
presso di noi, fu mestieri instituire gran numero di nuo-
ve scuole. Nel nostro le instituzioni erano molte e an-
tiche, e perciò il nuovo ordinamento del 1817 mirò solo
a dare una ancor maggiore uniformità e connessione al-
le varie parti dell’insegnamento. Nella publicazione d’un
Codice Ginnasiale, la civiltà moderna introdusse due fe-
condi principj, quello cioè di sollevare a una certa spet-
tabilità sociale il corpo insegnante, e quello di soppri-
mere assolutamente l’uso della forza nella educazione
Era fresca ancora fra noi la memoria dei fanciulli i
quali dalla barbara scuola, che iniziava ogni esercizio
mentale dall’hic, hœx, hoc, ritornavano colle orecchie
sanguinanti, colle mani ammaccate dagli staffili e dalle
chiavi, colle ginocchia logore di vituperose penitenze. Il
giovanetto, destinato ai più nobili studj, veniva talora
costretto a leccare di croci ignominiose il pavimento,
e subiva tutto l’avvilimento delle bestie da soma. La
prima redenzione da questi abbominj fu arrecata da
Napoleone, e compiuta coll’ordinamento del 1811. Ma
nel 1814 vi fu qualche infelice, che, scambiando il ri-
torno della pace col ritorno della barbarie, ricomparve
al cospetto del secolo XIX collo staffile: il Codice Gin-
nasiale, dissipò per sempre tutti questi delirj, e proscri-
vendo l’uso della forza assicurò il dominio della ragio-
ne. Eppure l’adolescenza studiosa non fu mai più do-
cile e ragionevole che al presente; e sembrano favole
le sanguinose sfide che dividevano una volta gli allievi
delle varie corporazioni insegnanti. È ben ingrato ai
VII - PUBBLICO INSEGNAMENTO 63

beneficj del secolo chi desidera di nuovo quei tempi


e quella disciplina.
Il numero degli allievi ginnasiali è già più grande
fra noi, che nei vicini Stati; e va crescendo coll'indu.
stria, coll'equabile riparto dei beni e col sentimento
dei propri doveri, ampiamente diffuso nei padri dalla
irresistibile morale del tempo. Giungeva nel 1835 a
7227 allievi, suddivisi in sei annate; nel 1839 giungeva
a 8306; cresciuto così d'un settimo nell'intervallo di
quattro anni. Un terzo a un dipresso ossia circa 2600 ap-
parteneva nel 1836 alla provincia di Milano, dove si
raccolgono da ogni parte le famiglie più facoltose; un
altro terzo, o poco meno (circa 2400) apparteneva alle
provincie di Bergamo e Brescia, il rimanente alle altre
sei provincie. In generale si contano 6 studenti ginna-
siali per ogni mille abitanti maschi, ma nella provincia
di Milano giungono a 10 per mille, in quella di Berga-
mo a 7; di Brescia a 6,4; di Como e Pavia a 6. Le
altre provincie basse, ove è men diffuso il commercio
e la possidenza, scendono sotto al termine medio, cioè
Lodi e Cremona a 5 per mille, e Mantova a 4 incirca
(3,9). L'ultima poi di tutte è I'alpestre valle di Son-
drio (2,4). La desiderata instituzione delle Scuole Tec-
niche diraderà alquanto questa folla, la quale invero non
aspira tutta alle alte carriere, ma si congrega nei gin-
nasj solo perché non avrebbe altro più opportuno mo-
do di dirozzarsi, e di passare gli anni che la dividono
dal cominciamento delle umili carriere, alle quali infine
si ascrive.
Codesti ottomila allievi sono ascritti a 72 stabili-
menti. Si contano 2848 scolari nei 10 ginnasj regi; dei
quali due sono a Milano, e gli altri nei capoluoghi
delle provincie. Gli 8 ginnasj municipali, con 1291 allie-
vi, sono a Milano, Crema, Monza, Salò, Viadana e De-
senzano, e il corpo insegnante stipendiato ed eletto dal-
le Communi stesse è pareggiato ai ginnasj regi anche
!

64 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

nella prerogativa d'invigilare i'insegnamento privato. Gli


8 ginnasj vescovili, che contano circa 1000 allievi, non
godono questa prerogativa; essi dipendono quasi inte-
ramente dai Vescovati. Non la godono neppure i 4
ginnasj collegi, cioè i'lmp. di P. Nuova e il Calco in
Milano, il Gallio di Como, e il Peroni di Brescia, che
contano in tutto un 300 allievi.
Vi sono inoltre 8 collegi privati a Cassano, Gorla,
Legnano, Parabiago, Vimercate, Codogno, Martinengo
e Casal Maggiore, e hanno più di 700 allievi; il col-
legio di Monza ne ha 71. Dopo questi vengono i tre
stabilimenti privilegiati di Milano, cioè il Racheli con
88 studenti ginnasiali, il Boselli con 71, e il Lambertini
con 38. Vengono infine 30 minori Stabilimenti, alcuni
dei quali sono sussidiati da proprie fondazioni o dalle
Communi stesse, e comprendono 1184 allievi.
Di codesti stabilimenti quelli che sono a carico del-
lo Stato importarono nel 1837 la somma di lire aust.
237669; quelli delle Communi lir. 94511; i seminarj
vescovili 267180, e le fondazioni collegiali sommini-
strarono 65000; sommando in totale a quasi ottocen-
tomila lire (794360). Il sig. Czoernig calcola che nei
ginnasj regi ogni studente costi annualmente lire 111,
e nei communali 71. Oltre a ciò grandissimo, a fronte
d'altri paesi, è il numero degli scolari a cui lo zelo del-
le famiglie paga il beneficio den'istruzione; e sono
circa mille ottocento (1783), o il quarto del numero
totale. Dei quali, mille in circa (1008) stanziano nei
collegi e nelle case d'educazione, perché nativi di luo-
ghi ove non sono scuole, o di famiglie che sono disa-
datte a secondare in casa l'educazione scolastica. Altri
432 frequentano le scuole affatto private, a propria
spesa; e circa 343 ricevono in casa propria quell'educa-
zione che i Romani chiamavano umbràtile, come quel-
la a cui manca lo stimolo dell'emulazione e dell'attrito
sociale; e che quindi reca sempre più debole frutto.
VII - PUBBLICO INSEGNAMENTO 65

Nel pregevole articolo del Sig. Czoernig, che occupa


una trentina di pagine, si riferiscono varj prospetti, ai
quali rimandiamo chi vorrà informarsi più partitamen-
te di così grave argomento, a noi bastando di segna-
larli al publico, come un servigio a d un tempo ed
un’onorevole testimonianza che viene resa al governo
ed al paese.

1845
Storia. Istruzione publica *
Si dice che Beccaria fu allievo di gesuiti; io ac-
consento e aggiungo: e prima ancora fu allievo della
balia, e sia gloria alla balia che gettò le prime fila
del libro de’ delitti e delle pene.
Difatti ditemi che cosa recò seco dal collegio Bec-
caria. Vediamo nella sua vita domestica quali abitu-
dini e qual fermezza di senno egli avesse portato da
una indegna educazione. Tutti a Milano sanno come

* Pubblicato in S.P.E., I, pp. 115-117 con la seguente


nota: « Questo frammento inedito fa parte del già citato
rapporto di Cattaneo all’Istituto di Scienze,
mento. Il relatore, dovendo adattarsi all’acerba censura di
quel tempo, ordinò lo scritto all’ulteriore svilup O dell’in-
segnamento, valendosi di quaranta rapporti fornitigli
dai colleghi. Gli originali di questi preziosi studi trovansi
ancora tra i manoscritti di Cattaneo. Appena il rapporto
fu consegnato all’istituto, la polizia domandava licenza a
Vienna di deportare Cattaneo con Rosales, Soncino, Battaglia
e Cesare Cantù. Questi, già compromesso per la Giovine
Italia, e in mala vista alle autorità per gli applausi riscossi
al Congresso scientifico di Venezia, mentre il viceré fu
ricevuto con glaciale silenzio, aveva già passata la frontiera.
Il viceré Ranieri fece deportare Rosales, Soncino e Battaglia,
ma per Cattaneo dichiarava non ancora venuto il tempo;
e scrisse di contro al suo nome il noch nicht ... ».

5. . CATTANEO. Scritti politici. III.

- . . . .._..
VII - PUBBLICO INSEGNAMENTO 65

Nel pregevole articolo del Sig. Czoernig, che occupa


una trentina di pagine, si riferiscono varj prospetti, ai
quali rimandiamo chi vorrà informarsi più partitamen-
te di così grave argomento, a noi bastando di segna-
larli al publico, come un servigio a d un tempo ed
un’onorevole testimonianza che viene resa al governo
ed al paese.

1845
Storia. Istruzione publica *
Si dice che Beccaria fu allievo di gesuiti; io ac-
consento e aggiungo: e prima ancora fu allievo della
balia, e sia gloria alla balia che gettò le prime fila
del libro de’ delitti e delle pene.
Difatti ditemi che cosa recò seco dal collegio Bec-
caria. Vediamo nella sua vita domestica quali abitu-
dini e qual fermezza di senno egli avesse portato da
una indegna educazione. Tutti a Milano sanno come

* Pubblicato in S.P.E., I, pp. 115-117 con la seguente


nota: « Questo frammento inedito fa parte del già citato
rapporto di Cattaneo all’Istituto di Scienze,
mento. Il relatore, dovendo adattarsi all’acerba censura di
quel tempo, ordinò lo scritto all’ulteriore svilup O dell’in-
segnamento, valendosi di quaranta rapporti fornitigli
dai colleghi. Gli originali di questi preziosi studi trovansi
ancora tra i manoscritti di Cattaneo. Appena il rapporto
fu consegnato all’istituto, la polizia domandava licenza a
Vienna di deportare Cattaneo con Rosales, Soncino, Battaglia
e Cesare Cantù. Questi, già compromesso per la Giovine
Italia, e in mala vista alle autorità per gli applausi riscossi
al Congresso scientifico di Venezia, mentre il viceré fu
ricevuto con glaciale silenzio, aveva già passata la frontiera.
Il viceré Ranieri fece deportare Rosales, Soncino e Battaglia,
ma per Cattaneo dichiarava non ancora venuto il tempo;
e scrisse di contro al suo nome il noch nicht ... ».

5. . CATTANEO. Scritti politici. III.

- . . . .._..
66 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

Beccaria visse tutta la vita combattendo colle più as-


surde abitudini. Ed è veramente una pietà il sentire
raccontare come un uomo di eterna memoria tremasse
puerilmente anche giunto in matura età, e in men vil
secolo, per la paura delle anime del purgatorio, dei
folletti, delle streghe. E noto come egli dormisse in un
letto sospeso al soffitto della camera, quasi in luogo
dove gli spiriti malefici, che forse gli si erano detti
strisciare in sul terreno, non potessero raggiungerlo. È
noto com'egli, quand'ebbe aperti gli occhi dell'intel-
letto a quelle eccelse verità ch'era suo destino di lar-
gire intieramente altrui, senza pigliare per sé quel
tanto almeno che bastasse a calmare s ì vergognosi tre-
mori e a guarirlo dall'orribile guasto di una perfida
educazione, si risolvesse di recarsi in Francia, donde al-
lora veniva alla abbrutita Italia quella sola e ma certa
luce che la iniquità de' tempi le concedeva; e che in-
felicemente non poté mai risolversi a intraprendere fra
tante ansietà, tante superstizioni un viaggio, cui l'ima-
ginazione traviata gli mostrava tutto infesto di fan-
tasmi : cosicché, dopo molti inutili tentativi, dovette
finalmente acquietarsi e rimanere nell'asilo della casa
paterna.
Questi furono i frutti ch'egli dovette unicamente al-
l'educazione: delle altre sue qualità c'è mestieri es-
sere riconoscenti a un'indole felice e quasi predesti-
nata dal cielo, all'agiatezza famigliare, alla universale
bontà del popolo fra cui era nato e del governo sotto
cui viveva; all'intima convinzione che studi superiori
gli diedero di certe verità; e più ancora alla affettuosa
ed amorosa insistenza dell'egregio Verri, e degli altri
alti cuori di quella brigata pur tanto perseguitata e
denigrata dall'intrigo de' cattivi.
Veduto lo stato morale ch'egli portò di collegio,
vediamo lo stato intellettuale. E qui è a notarsi ch'egli
uscì tanto digiuno di studi buoni e di buon gusto, che
VII - PUBBLICO INSEGNAMENTO 67

la strapazzatura della sua dizione è la sola macchia che


sia nelle sue opere. Né lo potevan purgare gli in-
defessi studi, né le inurbane censure del petulante Ba-
retti, che ebbe l’ardimento di rimandarlo alla gramma-
tica. Eppure qual altro pregio dell’opere sue potrebbe
essere asserito a una buona educazione letteraria, se
non quello della dicitura? Che certo le sue opere e
sulle monete e sui diritti degli uomini son tali, che
nulla in esse potevasi aver portato di collegio se non
la dizione che le riveste. Perché, quanto al fondo delle
idee, nessun gesuita era da tanto né d’insegnarlo né
d’ispirarlo; e Beccaria lo aveva appreso da una scuo-
la accanitamente nemica ai gesuiti, e accanitamente
da questi combattuta.

21 Aprile 1852

Sulla riforma dell’insegnamento superiore


nel Ticino *
’ 1. La riforma dell’insegnamento letterario e scien-
tifico nel Ticino è condizionata per ora alla somma di
denaro che, senza maggiori gravezze dell’erario pub-

Pubblicato nel Supplemento straordinario al Foglio U f -


ficiale della Repubblica e Canton Ticino, Bellinzona, 21
aprile 1852, pp. 08-99, il quale dà atto che si tratta di
« Osservazioni intorno la del sistema distruzione
su eriore nel Cantone a schiarimento del rogetto di legge
». E preceduto dalla seguente di C. ai
signor Filrppo Ciani, Consigliere di Stato :
14 aprile 1851.
Egregio Amico,
Mi sono provato di soddisfare all’inchiesta vo-
stra e de’ vostri onorevoli Colleghi, tracciando nell’annesso
VII - PUBBLICO INSEGNAMENTO 67

la strapazzatura della sua dizione è la sola macchia che


sia nelle sue opere. Né lo potevan purgare gli in-
defessi studi, né le inurbane censure del petulante Ba-
retti, che ebbe l’ardimento di rimandarlo alla gramma-
tica. Eppure qual altro pregio dell’opere sue potrebbe
essere asserito a una buona educazione letteraria, se
non quello della dicitura? Che certo le sue opere e
sulle monete e sui diritti degli uomini son tali, che
nulla in esse potevasi aver portato di collegio se non
la dizione che le riveste. Perché, quanto al fondo delle
idee, nessun gesuita era da tanto né d’insegnarlo né
d’ispirarlo; e Beccaria lo aveva appreso da una scuo-
la accanitamente nemica ai gesuiti, e accanitamente
da questi combattuta.

21 Aprile 1852

Sulla riforma dell’insegnamento superiore


nel Ticino *
’ 1. La riforma dell’insegnamento letterario e scien-
tifico nel Ticino è condizionata per ora alla somma di
denaro che, senza maggiori gravezze dell’erario pub-

Pubblicato nel Supplemento straordinario al Foglio U f -


ficiale della Repubblica e Canton Ticino, Bellinzona, 21
aprile 1852, pp. 08-99, il quale dà atto che si tratta di
« Osservazioni intorno la del sistema distruzione
su eriore nel Cantone a schiarimento del rogetto di legge
». E preceduto dalla seguente di C. ai
signor Filrppo Ciani, Consigliere di Stato :
14 aprile 1851.
Egregio Amico,
Mi sono provato di soddisfare all’inchiesta vo-
stra e de’ vostri onorevoli Colleghi, tracciando nell’annesso
68 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

blico, vi si può immediatamente dedicare, e che viene


stimata a franchi 25,000 in circa. In questa non ri-
mangono però comprese le peculiari entrate delle scuo-
le ginnasiali già istituite in Locamo, né quelle che pro-
vennero allo stabilimento di Pollegio, sia dall’antico
patrimonio della società industriale degli Umiliati oc-
cupato poi dalla Curia Arcivescovile, sia da successive
largizioni del popolo di Leventina.

2. Anzitutto, ci sia di conforto il notare che le cu-


re e le spese già da parecchi anni consecrate all’inse-
gnamento elementare, hanno posto buon fondamento
a ciò che ora incumbe di compiere. Infatti, per l’ad-
dietro, anzi a memoria nostra, lo studio della lingua la-
tina precorreva ad ogni altro: quello della grammatica
generale e della lingua italiana vi era implicito e qua-
si sottinteso; il latino medesimo era come lo strumen-
to il quale doveva attuare e svolgere il nascente intel-
letto. Il tirocinio medesimo del latino diveniva perciò
tanto più spinoso, e occupava quasi intiero lo spazio
tra l’infanzia e la gioventù. L’insegnamento elemen-
tare minore, e più il maggiore, hanno rimosso questa

scritto, alcuni pensieri sulla Riforma dell‘insegnamento s u


periore nel Ticino. Ho potuto in questo giovarmi anche di
cose che mi trovava aver già discusse e scritte in altro tempo
e in seno di numeroso corpo scientifico, per un disegno di
riforma che abbracciava anche un’illustre Università, un
osservatorio astronomico, un gran collegio militare, molti
seminari e altri grandi stabilimenti, e per una popolazione
più numerosa di quella della Federazione Elvetica. Ciò vi
dico affinché per avventura non temiate che queste fila non
possano un giorno congiungersi anche a più ampia orditura,
oiché, certo, provedendo ai presente, giova por mente al
onde non edificare ciò che poco stante sembri da
distruggere.
Vi ringrazio d’avermi porta occasione di concorrere colla
poca opera mia al progresso degli utili studi.
VII - PUBBLICO INSEGNAMENTO 69

erronea consuetudine, discesa da tempi ne' quali il la-


tino era ancor lingua viva. L'alunno oramai non do-
vrebbe attingere a questo studio, se non dopo essersi
ben addestrato alla grammatica, al comporre italiano,
al conteggio e ad altri utili esercizii, nella Elementare
Minore, e nei due primi anni almeno della Maggiore.
Tre vantaggi possono da ciò ridondare all'insegna-
mento stesso della latinità: - 1"Sciolto da quelle av-
ventizie e non sue difficoltà, esso può rendersi più fa-
cile e più breve; 2" Viene a intraprendersi in età più
adulta e con più matura intelligenza e più forte vo-
lontà; 3" L'alunno ha già potuto, colla prova d'alcuni
anni di scuole elementari, dare indizio se da natura
abbia sortito attitudine a un più elevato ordine di di-
scipline. Epperò li adolescenti che, più o meno a pu-
blico carico, sono fatti partecipi di tal sorte non a
tutti comune, dovendo già costituire una classe pro-
vata ed eletta, possono poi seguire l'insegnamento con
più geniale spontaneità. L'insegnamento perciò riesce
più celere e ameno e decoroso, che non fosse a
quei tempi ne' quali i più vivaci e volonterosi ingegni
venivano aggiogati ai più torbidi riluttanti. Tutta la
disciplina scolastica vien perciò naturalmente a mo-
dificarsi e dirozzarsi.
Li studi latini si dovrebbero poi continuare in-
sieme a quelli delle scienze positive, nel Liceo. Con
tali antecedenti e tali conseguenti, lo studio ginnasiaIe
può ben raccogliersi e conderarsi in anni quattro, due
dei quali di erudimenti ossia di grammatica, e due di
letture latine, ossia d'umanità.

3. Qui si affaccia tosto un quesito: - A quali


altri studi simultanei debba quello del latino accom-
pagnarsi.
Intorno a ciò, vuolsi raccomandare una massima
troppo ai nostri giorni negletta, e sovente immolata a
. . . . .....

70 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

vana ostentazione, o almeno a quella vulgare abitudine


di trascorrere dall'un estremo all'estremo opposto. Il
tempo, ch'era prodigamente infeudato una volta al-
l'unico esurcizio dello scrivere latino, deve ora ben ap-
plicarsi a quello delle cognizioni positive ed esperi-
mentali, il cui quotidiano incremento è il privilegio e
il trionfo dell'èra moderna. Ma il giovine non può
imparar fondatamente molte cose, se non l'una dopo
l'altra.
Nulla di più sterile che una promiscua aspersione di
molte idee fra loro disparate, e il mutuo conflitto di
molte operazioni mentali che richiedono una diversa
tensione dell'intelletto. E un assurdo che li studenti
debbano interrompere a suon di campana un esercizio,
a cagion d'esempio d'istoria o di poesia, per balzare
all'algebra, e attendervi non più d'un'ora. E assurdo
che, dopo due o tre giorni d'intervallo, debbano im-
provvisare altri sessanta minuti d'algebra, onde com-
piere così le due settimanali ore di questo studio, pre-
scritte in certi ginnasi. È assurdo di disseminare così,
nel decorso d'anni due una cinquantina d'ore d'uno
studio che vuole attenzione seguita e tenace, essendo-
ché ogni minima lacuna rende impossibile il più fare
alcun passo innanzi. Gran parte di codesta smembrata
ora di lezione si sciupa nel mutare i libri e l'apparato,
e nel raccapezzare le confuse e deboli rimembranze
della lezione passata. E non appena le menti sono rac-
colte e ravviate e nell'opera della riflessione comincia;
e la campana di nuovo l'interrompe. Non v'ha dub-
bio che una o due settimane di esercizio esclusivo e
continuo, darebbero più sicuro frutto. E non avver-
rebbe che, dopo aver studiato nei ginnasi per quattro
anni l'aritmetica e per due l'algebra, codesti veterani
conteggiatori ed emeriti algebristi, entrati sovente al
Liceo con gloriose classificazioni, siano costretti a ri-
.

VII - PUBBLICO INSEGNAMENTO 71

cominciarvi, col professore di matematica, le molti-


pliche, anzi le somme, e talvolta la lettura de' numeri.
Questo intralcio di studi guasta il disegno, per
molte parti ben commendevole della nuova scuola can-
tonale di Argouia. Quivi nella terza classe del corso
latino si trovano indicate 7 ore settimanali di latino, 6
di greco, 3 di letteratura tedesca, 2 di francese, 3
d'istoria, in parte greca, in parte romana, 3 di mate-
matica, cioè di geometria, trigonometria, stereometria
e algebra, 2 di geologia; nel semestre invernale, 1 di
chimica, nel semestre estivo, 4 di fisica, cioè d’idrosta-
tica, aerostatica, acustica, magnetica, elettricità e gal-
vanismo. Più eccessiva ancora è la promiscuità del-
le materie nel corso industriale. Quivi la quarta clas-
se ha tre ore settimanali di lingua e letteratura tede-
sca; 3 di lingua e letteratura francese; 3 d'economia
pubblica (cioè della produzione, della circolazione, del-
la moneta e del credito); 4 di calcolo differenziale; 3
di fisica, cioè di dinamica e ottica; 2 di geografia ma-
tematica; 2 di geometria descrittiva, 6 di chimica e
lavori chimici; 2, nel semestre estivo, d'anatomia e
fisiologia; 4 di tecnologia (cioè della preparazione di
farine, pane, acqua potabile, acquavite, birra, aceto;
della conservazione delle bevande; della filatura e tes-
situra di lino, cotone, lana e seta, della imbiancatura,
tintura e stampatura; della fabbricazione di carta e
della tipografia); 3 ore di lavori fabrili; 2 di agrimen-
sura, nel semestre estivo; 4 di disegno industriale, due
di scienza biblica; e inoltre i corsi liberi di 3 ore
di l i g u a inglese e 3 ore di lingua italiana. E non è cosa
d'infimo momento che, per ricevere siffatto cumolo di
materie, li otto scolari di questa classe hanno a udire
undici professori. Poiché torna manifesto come nes-
suna intima affezione e fiducia possa nascere in CO-
desto assiduo mutar di scena, in cui la scolaresca al-
tro non può rilevare dal paragone di tanti professori

..
... .. . ....

72 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

che la dissonanza inevitabile delle dottrine e i di-


fetti delle persone.
Ammesso adunque bensì che Sintero corso delli
studi debba abbondare nelli studi positivi, e appunto
affinché li studi positivi riescano forti e veraci; giova
che siano ordinati, preparati e successivi, non confusi,
sconnessi e simultanei. Tantum serie juncturaque pol.
let. Due rami d'insegnamento, o al più tre, quan-
tunque assai diversi, si possono intraprendere con frut-
to, anzi talvolta l'uno vale di riposo all'altro; ma non
giova oltrepassare di molto questo limite, massima-
mente ove lo studio della latinità sia già circoscritto
a quattro soli anni.
4. Venendo ai particolari, diremo che perciò nel-
le scuole ginnasiali lo studio dell'Aritmetica si dovreb-
be ridurre a qualche richiamo ed esercizio sulle opera-
zioni apprese già nella Scuola Elementare Maggiore,
senza aggiungervi ulteriore insegnamento di cose nuo-
ve. Basta bene applicare a brevi quesiti, desunti per
quanto si possa dalla geografia e dalla cronologia, le
quattro operazioni sui decimali e la regola del tre.
Anzi a questo richiamo basta forse riservare alcuni
giorni di studio consecutivo, su la fine d'ogni corso, e
in limine delli esami. Un qualche siffatto esercizio tor-
na veramente necessario; poiché chi non usa, disusa.
5. Istoria e Geografia sarebbero i soli studi acces-
sorii che gioverebbe in questo quadriennio coltivar di
proposito. Ciò si potrebbe fare in più modi: - 1° In-
direttamente, per mezzo dei succitati quesiti d'arit-
metica; 2° Col tener sempre appese nelle sale alcu-
ne carte geografiche e cronologiche, e chiamar so-
vente li allievi a riferirvi i luoghi e i fatti che ven-
gono mano mano a mentovarsi nel corso delle letture
e delle composizioni, dimodoché le più fortuite e spez-
zate notizie si raccolgano sempre con ordine nella me-
VII - PUBBLICO INSEGNAMENTO 73

moria; 3" Col far tracciare sulla lavagna, in modo qua-


si di riposo e di diporto, il corso di qualche fiume o il
contorno di qualche mare, non senza avvertire sempre
alle latitudini, ed anche alle longitudini; 4° Col pre-
ferire, nelle letture s ì latine che italiane, li scritti
istorici e descrittivi alli oratorii e filosofici; 5° Coll'as-
segnare ad argomento di stile italiano materie esclu-
sivamente geografiche e istoriche, ordinate a certa
serie, sicché costituiscano nel medesimo tempo un eser-
cizio letterario e un vero corso scientifico. La geo-
grafia sopratutto può somministrare una bellissima se-
quela d'argomenti descrittivi, che dotino la memoria
di buone e vere cognizioni, nel tempo medesimo che
destino le forze dell'immaginazione e le facultà lette-
rarie. Nessun più dilettevole e utile esercizio che quel-
lo di perlustrare ordinatamente la superficie del globo,
descrivendo le alpi e i loro ghiacciai, i vulcani, i la-
ghi, le lagune, le maremme, i deserti e le oasi dell'Afri-
ca, le steppe della Russia, i flanos, le pampas e le
prairies dell'America, le correnti oceaniche, le maree, i
ghiacci natanti, i venti periodici, i turbini, i terremoti, le
aurore boreali, e le altre apparizioni sideree, le vege-
tazioni che rivestono a diverse altitudini e latitudini le
terre; le sembianze delle diverse stirpi umane; i di-
versi stadii della vita selvaggia e civile; le varie colti-
vazioni delle terre temperate e delle torride; le minie-
re, i porti, i ponti, i canali, li acquedotti, i viadutti, i
sotterranei, le grandi città e i più mirabili monumenti
delle antiche e moderne nazioni, Le opere di moltissi-
mi scrittori antichi e moderni offrono dovizia di siffatti
argomenti ed egregi esemplari di bello stile. E vi sono
opere a questo proposito intraprese: a cagion d'esem-
pio, la raccolta geografica di Grube.

6. Alli argomenti descrittivi dovrebbero alternarsi,


pur con ordine premeditato e continuo, i narrativi.
74 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

Dovrebbe il professore, mano mano, leggere o far leg-


gere i più luminosi fatti dell'istoria patria e d'altre; e i
giovani dovrebbero, entro certo numero di giorni, porli
in iscritto per leggerli poi nella scuola; o anche, senza
scriverli ogni volta, ripeterli a voce per esercizio di
bello e ordinato discorso. Le particolari condizioni del
Ticino raccomandano di limitare questo primo corso
alle istorie dei popoli liberi, sì dell'evo antico che del
medio e del moderno. Alcuno dirà che per tal modo
l'istoria si porge spezzata e tronca, e che non si dimo-
strano le cause, e la continua tessitura delli avveni-
menti. Ma vuolsi osservare: - 1° Che ai successivi
tre anni di Liceo resta riservata l'istoria universale e
filosofica; 2° Che precipuo fine delli esercizi ginna-
siali è il bello scrivere e l'educazione delle facultà let-
terarie; 3" Ch'egli è mestieri che i gloriosi esempli dei
popoli liberi spirino per tempo ai giovani ticinesi quel
generoso sentire che li farà cittadini fedeli alla patria
e devoti alla libertà.

7. Codesti esercizi si dovrebbero fare in italiano.


Quanto al latino, giova agguerrire i giovani nella
pronta e piena intelligenza delli scrittori, principal-
mente istorici. Il professore dovrebbe farli leggere per
intero, assistendo i giovani, e collo spianar loro mano
mano li inciampi della latinità, e col suggerire ad ogni
tratto l'opportuna notizia dei costumi antichi e delle
antiche istituzioni, additando eziandio dove e come
corrispondano alle vive istituzioni della patria elvetica.
Li allievi non dovrebbero consumar tempo a tradurre
in iscritto, se non i passi di più segnalata bellezza. Così
la lettura potrebbe estendersi a interi volumi di prosa
ed anco di poesia; e il giovine, oltre al non provar te-
dio, acquisterebbe compiuta esperienza dei più insigni
autori.
VII - PUBBLICO INSEGNAMENTO 75

Per opposto a quanto ora andiamo dicendo, è in-


valso da poco tempo in tutte quasi le scuole, in vece
della lettura dei classici interi, i'uso dei Florilegii e
delle Antologie e Crestomazie. Intorno a ciò, sia le-
cito ripetere allo scrivente ciò ch'ebbe a dire in un
rapporto inedito ch'egli ebbe a fare al governo au-
striaco sulla riforma dell'insegnamento, a nome del-
l'Istituto delle Scienze di Lombardia, nei primi gior-
ni del 1848.
« Ben pochi sono oramai divenuti i giovani i qua-
li conoscano per intero le più celebri opere dell'antichi-
tà, o che anco solamente si trovino d'averle nella loro
libreria, benché provveduta d'opere recenti di pregio
infinitamente minore. La principal ragione di ciò è nel-
I'uso delle Antologie, le quali offrono una congerie di
frammenti d'ogni autore, d'ogni tempo e d'ogni me-
rito: nulla di grande e d'intero. La dispendiosa colle-
zione dei libri ginnasiali non contiene un Omero, né
un Virgilio, o un Polibio, un Plutarco, un Tito Livio,
un Tacito, un Dante. I quali preziosi volumi, acquista-
ti una volta e gustati dal giovanetto, gli rimarrebbero
compagni della vita, mentre le Antologie vanno di-
sperse e lacere e sdegnate, mano mano che si sale di
classe in classe. In calce alle Crestomazie greche, ha
lo studioso due dizionarii che servono solo per i fram-
menti in esse compresi, e che non gli valgono più nul-
la s'egli s'attenta leggere altro autore, o altro fram-
mento dell'autore medesimo, In questo invalido appa-
rato librario spende l'allievo circa cento lire, le quali gli
potrebbero ben fornire, in quaranta o cinquanta volu-
metti molte opere capitali, intere, se non in quanto
possono offendere il costume. E posto il gran numero
delli allievi ginnasiali (più di ottomila in Lombardia),
si spende senza frutto in sei anni un valsente POCO mi-
nore di un milione, che basterebbe ad estendere ed ali-
mentare in tutto il paese l'assidua lettura delle più
....,

76 CATTANEO - SCR- POLITICI - III

illustri opere dell'umano ingegno. La quale avrebbe


maggior pienezza, se presso ogni stabilimento ginna-
siale si trovasse una collezione completa degli scrittori
delle tre lingue, nonché delle principali opere di erudi-
zione, a libero e prossimo uso dei professori e confor-
to di più eletti studi. Vi si potrebbe assai facilmente
sopperire col lucro che la vendita dei libri scolastici
apporta largamente all'officina che ne ha l'incarico ».
Intorno a ciò, si potrebbe provedere alle peculiari
circostanze del Ticino, tentando un accordo con altri
Cantoni, o colla futura Università federale.
Prima di lasciar codesto argomento del latino, ci re-
sta a dire come non rilevi gran fatto che tutti li allievi
si addestrino a scriverlo. Un'elegante latinità fu sino a
questi ultimi anni un autorevole ornamento, sopratut-
to nei medici e giureconsulti; ma chi ha felice tempra
d'ingegno, facilmente riesce per sola forza d'imitazio-
ne a riprodurre i modi d'uno scrittore del quale abbia
pratica e amore. Alla fine, è un gioco di memoria, a
cui dobbiamo le ammirabili elucubrazioni di Vida,
di Flaminio, di Sannazaro, di Bonamico, di Morcelli
e d'altri sommi ripetitori.

8. In quanto al greco, anziché lo studio della gram-


matica complicatissima di questa lingua, si vorrebbe
consigliare nel quadriennio la lettura degli epici e dei
tragici nelle insigni traduzioni che oramai l'Italia pos-
siede, onde infondere ai giovani quell'ammirazione del-
le cose greche che potrebbe invogliare taluni di loro
a superar poscia il minuto e tedioso tirocinio di quella
lingua. Colla fatica necessaria ad acquistare il pieno
possesso della grammatica greca si può imparare due
volte il tedesco e quattro volte l'inglese, cose di mol-
to più prossima e generale utilità, e nello studio delle
scienze e nei casi della vita. Giova però che i profes-
sori o sappiano mediocramente il greco o almeno lo stu-
VII - PUBBLICO INSEGNAMENTO 77

dino, dandone a tempo prefisso graduali esperimenti :


e perché chi insegna deve sapere assai più di ciò che
insegna; e perché, quando vi siano professori che sap-
piano una cosa, vi saranno sempre allievi che la impa-
rino. Tra buoni maestri e buoni allievi si stabilisce
sempre una certa comunanza mentale e morale, che
supera i confini dello scolastico dovere. I1 Governo,
per tali indirette vie, senza alcun publico dispendio
e senza moltiplicare il peso delli studi obligati, può
trapiantare in paese molti rami, ai quali sarebbe su-
perfluo prodigare il pubblico denaro, che vuolsi piut-
tosto dedicare allo studio delle scienze e delle cose
che non delle lingue e delle parole. Come la cogni-
zione del greco, così potrebbesi similmente richiedere
o successivamente promuovere nei professori quella del
francese, del tedesco, dell'inglese, dello spagnuolo, col-
la certezza che dai professori, in uno od altro modo,
si propagherebbe in breve tempo, senza dubbio, nella
gioventù.

9. I1 numero d'eletti allievi che il Ticino potrebbe


arrolare al quadriennio ginnasiale riescirà forse di du-
cento. Dovendo essi trovarsi inegualmente ripartiti in
Mendrisio, Lugano, Locarno, Bellinzona e Pollegio,
non oltrepasseranno in alcun di questi luoghi, eccetto
forse Lugano, il numero di quaranta o cinquanta, e
in alcuno giungeranno difficilmente ad una ventina.
Perciò non sarà mestieri per più di due istitutori per
luogo, l'uno dei quali tenga le due annate di gram-
matica e l’altre le due d'umanità. Per Locarno e Polle-
gio essendosi, come sopra si disse, già proveduto, ri-
marrebbero a stipendiare in tutto 6 valenti giovani,
che si potrebbero ritenere con un assegno di 1500
franchi per ciascuno, o franchi 9000 in tutto. Nel gin-
nasio di Ginevra hanno da franchi 2500 a 2700 cia-
scuno. E giusto che i figli delle famiglie mediocre-
78 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

mente agiate prestino qualche annuo contributo, poiché


di frequente esse si vedono affrontar la spesa d'in-
viarli a lontani collegii. Dovrebbero pagare allo Stato,
sotto forma d'una tassa d'iscrizione tre o quattro fran-
chi per ogni mese di scuola, ossia trenta o quaranta
franchi all'anno. A Ginevra la contribuzione per lo
studio classico va crescendo di classe in classe e giunge
dai 12 franchi ai 90. È superfluo il dire che dovrebbe-
ro pur contribuire coloro che a titolo appunto di stu-
diare il latino, godono beneficii. Quelli che aspirano al
sacerdozio dovrebbero essere inesorabilmente tenuti a
percorrere in paese, e in queste scuole, li studii delle
lettere e delle scienze, fino al limite almeno della teo-
logia, poiché importa che non siano fin dai primi
anni allevati all'odio della libertà.
I quattro o cinquemila franchi che possono sca-
turire dalla tassa d'iscrizione, divisi sopra i cinque
stabilimenti, epperò sopra una decina d'istitutori, po-
trebbero rendersi assai più proficui, se si deponessero
presso la Cassa di Risparmio, per costituire un Fondo
comune di pensioni. Questa aspettativa accrescerebbe
il pregio del circoscritto stipendio; e renderebbe i pro-
fessori meno ansiosi di mutar sorte. Il contributo dei
primi due anni può, con vantaggio e sollievo dei pro-
fessori medesimi, applicarsi a provvederli d'un medio-
cre apparato di testi nelle tre lingue, di dizionari aca-
demici, di carte geografiche e cronologiche, d'opere
istoriche e geografiche.
Non occorre stipendiare prefetti e supplenti. In
caso di momentanea infermità d'uno delli insegnanti,
l'altro, valendosi dell'opera dei migliori alunni, può
prender cura di tutti. E in caso di più lungo impedi-
mento, potrebbe delegarsi un giovine aspirante, che
si terrebbe pronto a tal uopo, mediante sicura aspettati-
va e lieve sussidio. Si può anche staccare un profes-
VII - PUBBLICO INSEGNAMENTO 79
sore di quelli stabilimenti ove fosse minimo il nu-
mero delli allievi.
Ottimo sarebbe che i professori fossero tutti ca-
paci di prestar l'opera loro anche per le classi d'uma-
nità. In tal caso potrebbero alternare i due gradi d'in-
segnamento, accompagnando mano mano in tutto il
corso una squadra almeno dei loro allievi; il che accre-
sceria la vicendevole affezione; né il tedio verria logo-
rando nei professori quelle facultà della mente che nelli
esercizi letterari non valgono se non si serbano vivaci.

10. Li studii classici dovrebbero continuarsi nel


Liceo, mediante una lezione dlstoria universale e Let-
teratura. Codesto corso si dividerebbe in tre annate,
l'una delle quali abbraccerebbe l'antichità, l'altra l'evo
medio, I'ultima il moderno e le nazioni orientali. Po-
trebbe anco questa divisione, anziché farsi così per
tempi, farsi per paesi. All'istoria s'intreccerebbe la let-
teratura di quel popolo o di quel tempo, con saggi e
illustrazioni delle opere più insigni.
I1 professore raccoglie ad una medesima lezione
tutti quanti li alunni delle tre annate, i quali verreb-
bero così ad udire l'intero corso, poco rilevando il co-
minciare piuttosto con una parte che coll'altra. Ma il
professore ha per tal modo minor fatica corporale, e
acquista maggior tempo a raccogliere e tessere le sue
lezioni, non essendo lieve fatica il dettare in un anno
quaranta sode lezioni in sì vasti argomenti.
La lezione d'istoria e letteratura dovrebbe tenersi
ogni martedì e durare incirca a un'ora e mezzo. Il pro-
fessore la comincia dettando un sommario delle cose
che sta per dire; poi comincia lo sviluppo col medesi-
mo ordine, e possibilmente a memoria; poiché la pa-
rola meditata e libera è assai più potente sui giovani
che non la morta lettura d'un manoscritto. Ogni ue-
nerdì, si tiene ripetizione, alla quale ogni giovane ap-
80 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III
porta scritta la materia medesima dell'ultima lettura, e
a richiesta del professore la legge: ovvero, egli pure,
col solo sommario alla mano, svolge con libera parola,
l'argomento; esercizio opportunissimo per addestrare la
gioventù al seguito ed elegante discorso, e per destare
bella emulazione di diligenza e d'ingegno.
Alcuna di queste adunanze academiche può desti-
narsi alla publica lettura d'altri lavori letterarii, anche
di libera elezione dei giovani, e, ove essi amino, an-
che in latino e in francese.

11. Un altro corso che, per serbare le consuetudi-


ni s'intitolerebbe di Filosofia, dovrebbe comprendere,
non le solite, insolubili controversie di metafisica e di
psicologia, ma quelle materie che Romagnosi chiamava
Filosofia Civile, e quelle che nelle scuole del regno
d'Italia si chiamavano Istituzioni Civili. Evitando l'astrat-
ta contemplazione d'un solitario astratto individuo, vor-
rebbersi considerare li uomini, come veramente surgo-
no nel consorzio dei loro simili, ed esporre istoricamen-
te come le loro facultà mentali e morali vadano as-
siduamente modificandosi nei vari stati di selvatichez-
za, di barbarie, di civiltà, di decadimento, e nel con-
tinuo conflitto delle tradizioni e del progresso, della
credulità e della ragione, del privilegio e dell'egua-
glianza, della servitù e della libertà. Vorrebbersi addi-
tare i diversi principii su cui si fonda presso i diversi
popoli la sovranità; le diverse forme di governo che
ne derivano, le diverse istituzioni legislative ed ammi-
nistrative, li ordini elettorali più o meno accommunati
alle moltitudini, e così discorrendo. Quindi le fonti
delle varie dottrine penali, sì vendicative ed espiatorie
che preventive e penitenziarie; epperò i vari procedi-
menti dell'accusa e della difesa; il giudizio del fatto
e quello del diritto: le inquisizioni, le torture, le pene
e tutte le loro capricciose varietà; l'esilio, la deporta-
VII - PUBBLICO INSEGNAMENTO 81

zione, il carcere, il remo, i tormenti, l'infamia, la mor-


te. Qui non intendiamo prefigger dottrine, ma solo enu-
merare argomenti, senza tampoco determinar l'ordine
col quale dovrebbero seguirsi.
Ci sia dunque lecito sommariamente rammemorare
li altri rami di publica incolumità; le alleanze, le fe-
derazioni, le protezioni, la milizia stanziale, la civile,
la straniera, la facultà d'armare e disarmare, il diritto
militare verso i soldati, verso i cittadini, verso i nemici,
le requisizioni, le contribuzioni, li embarghi, le prede
e le altre licenze e necessità della guerra terrestre e
marittima. E trapassando ai diritti privati: lo stato di
famiglia, le nozze, la paternità, la patria potestà, la
tutela; l'eredità e li altri diritti sulle cose; la proprietà,
il possesso, I'usufrutto, le comunele e servitù prediali,
il censo, il fitto, il pegno, l'ipoteca, la fedeiussione.
Quindi le dottrine dei valori e della loro formazione e
divisione; il lavoro, la mercede, la scorta, il capitale,
l'interesse, l'usura, le imposte, le regalie, il debito pu-
blico, i demanii; le monete, le carte monetate, l'agio,
le borse, i cambi, le cambiali, li sconti, le importazioni,
le esportazioni, i transiti, i dazi, le proibizioni, le pro-
tezioni, le franchigie, i contrabbandi, i trattati di com-
mercio, il diritto consolare, le immigrazioni ed emigra-
zioni, i diritti delli stranieri. E in altri gruppi, le istitu-
zioni sanitarie, la medicina legale, le inumazioni, li ospi-
tali ed ospizii, le associazioni di mutuo soccorso, le assi-
curazioni, le casse di risparmio; la publica educazione,
i bassi ed alti studii, le arti fabrili e le belle arti, la
stampa, i giornali, il commercio librario, la proprietà
letteraria, i diritti d'invenzione e le privative. D'onde
si trapassa alla dottrina del progresso, a quella dei si-
stemi sociali, delle innovazioni e rivoluzioni : all'in-
fluenza reciproca delle genti, delle religioni, delle idee,
delle scoperte, dei sofismi, degli errori, delle scienze
pure e delle scienze applicate, dei metodi logici ed

6. . CATTANEO.Scritti politici. III


82 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III
esperimentali : all'ordine umanitario e universale : alle
leggi supreme dell'intelligenza, ritornando così dopo
lungo giro all'arcano e sublime punto d'onde si presero
le mosse.
Sopra questi ed altri tali argomenti d'alto sociale
interesse? si dovranno porgere quelle nozioni fondamen-
tali che la maggior parte delli uomini indarno diman-
derebbe alle scuole, e pertanto è costretta a raccoglie-
re fortuitamente e penosamente nel corso della vita,
mescolandole con troppi facili inganni ed errori. È me-
stieri aiutare i giovani a formarsi di primo getto una
ragionata e complessiva nozione dell'umana società, non
solo qual ella è, ma come deve considerarla e giudi-
carla un pensante e libero cittadino.
Le lezioni dovrebbero essere poco meno di 200.
divise in tre annate, e porgersi sempre a tutti gli stu-
denti unitf, premettendosi solo quelle notizie prelimi-
nari che possono spianare agii allievi del primo anno le
difficultà che li altri hanno già superate. Si avrebbero
incirca due lezioni per settimana, da tenersi al mer-
coledì e al sabbato, riservato il lunedi a giorno di rias-
sunto e d'esercizio, come quello che sussegue a un
giorno di riposo e di preparazione. Anche il profes-
sore di filosofia dovrebbe dettare in capo ad ogni le-
rione un sommario di ciò che sta per esporre.

12. Le letture di filosofia e d’istoria si alternano


così nei cinque giorni della settimana, avendo ciascuna
il suo giorno d'esercizio nel dì che segue al festivo.
Li allievi hanno il dovere rigoroso di ridurre in
iscritto a casa le lezioni sul semplice sommario. Ten-
gono adunque per ciascun ramo di studio due mano-
scritti separati; l'uno dei quali contiene in ordine e
serie i sommarii dettati dal professore, e questo si por-
ta alla scuola ogni giorno. L'altro contiene i ricordi
delle lezioni udite; e questo non si deve portare alla
VII - PUBBLICO INSEGNAMENTO 83

scuola se non nel giorno d'esercizio, perché debb'esse-


re veramente scritto a casa, e non di contrabbando du-
rante la lezione. Nel giorno d'esercizio, i libri si sot-
tomettono a ispezione del capo-banco, che vi appone
il suo visto, e fa militarmente il suo rapporto al pro-
fessore. La mancanza di tre lezioni sul manoscritto è
corretta coll'immediata sospensione dalla scuola. Al tem-
po delli esami si producono tutti i manoscritti. E per
tal modo che si avranno giovani attenti nella scuola
e laboriosi in casa, senza indecorosi garriti e infruttuo-
se angoscie del professore, il quale, anche con questo
inestimabile sollievo, appena forse sarà pari all'assun-
to di scrivere in tre anni quasi 200 lezioni, a portata dei
tempi.

13. Parliamo ora dell'altra parte dello studio scienti-


fico: le scienze esatte e le naturali; intorno a cui
verremo intessendo anche i pregievoli suggerimenti
del signor Ingegnere Cantoni professore di Fisica.
Il professore di Matematica elementare e Mecanica
ha sopra li altri il vantaggio di non dover raccogliere
da molte fonti le sue lezioni, né tener dietro a gior-
naliere scoperte. Può sostener pertanto con maggior
continuità la fatica della semplice dimostrazione. La
sua lezione può dunque esser quotidiana, compreso un
giorno di ricapitolazione che sarà giovevole sì per ri-
mediare alli effetti d’un'assenza dello scolaro o d'una
momentanea disattenzione; sì anco perché il giovine,
riandando con facilità e velocità le cognizioni che po-
co dianzi ha percorse con fatica, si conforta nella co-
scienza del proprio progresso.
La lezione abbraccerà l'Algebra elementare, le Pro-
gressioni, i Logaritmi, la Geometria elementare, le Se-
zioni coniche, la Trigonometria rettilinea, la Statica e
Dinamica dei Solidi, le quali dottrine si riferiranno trat-
to tratto ai principi fondamentali dell'Artiglieria
84 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III
Si darà nel mattino agli allievi dell'anno primo, e
durerà circa un'ora e mezzo.
Rammentiamo come degno di considerazione il vo-
to più volte espresso da Romagnosi che lo studio della
Geometria debba precedere a quello più astratto del-
l'Algebra.

14. I1 professore di Fisica Esperimentale dovrà da-


re agli allievi dell'anno secondo, separatamente, una
lezione quotidiana d'una ora e mezzo a due; tratterà
con ampiezza le dottrine del calorico, quelle del va-
pore considerate come calorifero e come motore, quel-
le dell'elettricità e altre connesse. Porgerà un'idea ge-
nerale delli astri, delle meteore, dei climi, della scien-
za delle acque, con continue allusioni all'agricoltura.
Fedele al sommo principio di metodica che le no-
zioni scientifiche non debbano mai darsi sconnesse, ma
sempre preparate e concatenate, il signor Cantoni qui
nota che la sommaria cognizione dei moti celesti dovreb-
be esporsi qual complemento della dottrina matemati-
ca dell'attrazione. Nota parimenti che la dottrina del-
I'elettricità non può ben concepirsi, ove non precedano
certe nozioni di Chimica, e altrettanto potersi dire di
ciò che concerne le fonti del calorico. Queste e simi-
li cose non poche voglionsi a più maturo tempo pren-
dere in attenta considerazione, per addivenire a una
distribuzione, più che si possa, razionale delle singo-
le materie d'insegnamento : cosa tuttora troppo neglet-
ta, anche nei più lodevoli nuovi istituti d'educazione.

14 [sic]. Li allievi del terzo anno, udirebbero tre


giorni della settimana Istoria Naturale e Fisiologia I1
professore non dovrebbe abbandonarsi troppo ai par-
ticolari, come è inclinazione dei cultori di questa scien-
za; ma dovrebbe offrire all'imaginazione de' giovani il
gran complesso delle cose, per infonder loro quell'amo-
VII - PUBBLICO INSEGNAMENTO 85

re della scienza che fa poscia superare le fatiche degli


studii speciali. Oltre ad una cognizione oculare delle
principali famiglie dei vegetabili e di tutte le famiglie
indigene, dovrebbe gettare alcune viste di geografia e
altimetria botanica, con applicazioni al terreno elveti-
co. Larghe nozioni di flsiologia daranno luogo a nuove
allusioni all'agricoltura. Alcune lezioni di geologia, ac-
compagnate dall'ispezione delle rocce e dei fossili, si
compiranno poi nelle vacanze con fraterne peregrina-
zioni intorno al Ceresio e al Gottardo, luoghi già pre-
diletti ai cultori di questi studi; il che promoverà in-
sieme l'amore dena scienza e l'amore della patria.
E qui pure il signor Cantoni nota come le nozioni
di chimica divengano ogni tratto preliminari e necessa-
rie alla fisiologia e alla mineralogia.

15. Per non anticipare sopra questi particolari af-


fatto scientifici e interni, e perpetuamente variabili e
riformabili, assegniamo per ora interamente al terzo
anno una lezione di Chimica con dimostrazioni opera-
tive. Dovrebbe versare principalmente intorno alle quat-
tro sostanze predominanti nel mondo organico, nonché
intorno agii alcali, al solfo, al cloro, ai metalli utili e
alle tre principali terre, e qui pure con ricordi d'agri-
coltura. Della Chimica organica sarebbe mestieri far
diffuse applicazioni al latte, agli olii, e altri liquidi
vegetali e animali, nonché al vino e altri prodotti al-
coolici.
Alcuni opineranno che a codesti erudimenti di
Chimica, (che pur dianzi non facevano parte degli stu-
di generali, solo perché la chimica appena era nata)
potrà in qualche modo e in qualche momento supplire
il professore di Fisica, anche senza speciale apparato.
Sarebbe un grave errore. Ai giorni in cui viviamo è
men danno essere ignaro affatto di geografia e di geo-
metria che non di chimica; poiché dei paesi nostri e
86 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

degli altrui qualche cosa si ode e s’impara ogni giorno;


e d’un triangolo, d’una circonferenza, d’un raggio, ogni
uomo che non sia scemo, ha qualche implicita idea.
Ma non così delle invisibili combinazioni e delle propor-
zioni numeriche con cui l’ossigene, il carbonio, l’idro-
gene si compongono e scompongono assiduamente in
tutto ciò ch‘è intorno a noi e dentro a noi. La superficie
del globo è una grande officina chimica; e questo no-
stro vitale respiro è una delle operazioni che vi si
vanno giorno e notte arcanamente elaborando. La chi-
mica moltiplica ogni giorno le sue scoperte, penetra
tutto, spiega tutto, rifonde tutti i principii delle scien-
ze, dei mestieri, dell’agricoltura, della medicina, della
vita. Educare la studiosa gioventù a farsi un’idea del
mondo senza nozioni chimiche, è come condannarla a
vedere senz’occhi. Ogni giorno che passi, renderà sem-
pre più manifesta e fulgida codesta verità.
Testimonii del favore col quale vennero accolte da
tutta la cittadinanza di Milano le publiche letture
di Chimica aperte .dalla nostra Società d’arti e mestieri
presso quella Camera di Commercio, e generosamente
promosse dal signor Enrico Mylius : testimonii della
quotidiana frequenza di forse quattrocento uditori, cioè
di quanti il teatro chimico ne poteva capire, consi-
glieremo i magistrati a fare ogni sforzo per istituire
immantinenti nel Ticino un siffatto nuovo focolare di
cultura scientifica e di publica utilità. Un piccolo La-
boratorio chimico, già necessario alla scuola, giove-
rebbe indirettamente, a molte occorrenze amministra-
tive, alle indagini giudiziarie, alla esplorazione delle
acque e delle terre, alla ricerca fin qui negletta delle
miniere, e ad altri anche impreveduti servigii.
Fra questi non sia ultimo l’ammaestramento di buo-
ni farmacisti, i quali se venissero tenuti a percorrere
tanto lo studio ginnasiale, quanto il triennio filosofico,
si troverebbero condutti a un grado di cultura immen-
VII - PUBBLICO INSEGNAMENTO 87

samente superiore a quella che giusta le vigenti pre-


scrizioni possono procacciarsi nel Lombardo-Veneto e
in altri finitimi paesi.
Intorno a ciò sia lecito allo scrivente ripetere quan-
to egli ebbe a dire nel già citato rapporto, fatto a
nome dell'Istituto delle scienze.
« Lo studio della farmacia è il più bisognoso di
riforma; essendo fra tutti il più depresso. Vi si pre-
scrive un infimo grado di studii, cioè solo il gramma-
ticale, con otto anni di materiale servizio in una far-
macia qualunque; al termine dei quali l'inerudito gio-
vane, dimentico ora mai del suo poco latino, è repen-
tinamente chiamato all'università. Quasi inetto a de-
cifrare i termini delle ricette, e meno ancora i libri
in cui potrebbe attingere qualche notizia: senza lume
d'istoria naturale, durante la sua lunga pratica pre-
ventiva non si avvezza a giudicare i semplici e le
altre sostanze mediche ai loro caratteri scientifici; non
intende per principii fisici e chimici l'apparati calori-
feri e distillatori fra cui versa, non le proprietà dei
vapori e dei gas permanenti, e le reciproche azioni dei
corpi che gli stanno innanzi. Al banco stesso della
bottega egli non vale un semplice droghiere che abbia
studio d'aritmetica e di conteggio mercantile. Pertanto,
non solo non si abilita a prestar l'opera sua ail'indu-
stria locale, ma non è in grado di soddisfare alle in-
chieste legali che ad ogni istante gli si potrebbero in-
dirizzare dai magistrati; e vi è doloroso dubbio ch'egli
possa, senza pericolo, conservare, mescolare e misurare
quelle terribili sostanze, nelle quali un minimo errore
può decidere dell'onore del medico e della vita del-
l'infermo. Divenuto nella sua bottega il ricapito delle
dicerie del villaggio, egli è il custode dei pregiudizi e
il disprezzatore degli studii, quando potrebb'essere il
promotore delle scienze naturali e dell'industria. Fra
tanto lamento che il numero degli studenti sia So-
I

88 CATTANEO SCRITTI POLITICI - III

verchio, cagion vuole che la carriera della farmacia si


riserbi a quelli che compiono il triennio filosofico ».
È superfluo il dire che presso il Laboratorio me-
desimo, o presso l'ospitale potrebbe promuoversi l'isti-
tuzione già più volte desiderata e proposta duna Of-
ficina farmaceutica, nella quale li alunni si addestras-
sero alla preparazione delle principali sostanze, non
solo d'uso medico, ma d'uso industriale, con apparec-
chi e procedimenti quali li richiede il progresso dei
tempi. Sarebbe questa una porta per la quale s'intro-
durrebbero a poco a poco nel Ticino varie industrie,
ben opportune ad un paese che fornisce del suo com-
bustibile quelle dei paesi vicini. E sarebbe un'arte
nuova posta in mano alla gioventù emigrante, per
modo d'esempio, a quella che va in esteri paesi ad
esercitare l'arte vetraria.

16. La farmacia non è il solo ramo d'insegnamento


speciale e compiuto che si potrebbe innestare sopra il
fondamento d'un buon Liceo. Giova additarne un altro
di gran lunga più opportuno alle circostanze ed abi-
tudini della parte meridionale del Ticino.
Quivi grandissimo numero di giovani si reca a
cercare in lontani paesi un lavoro manuale in diversi
generi di costruzione. Alcuni con tenuissima dote di
studii si veggono salire ciò non di meno alla condi-
zione di soprastanti, di capimastri, e anco di architetti
e ingegneri, ove le leggi non richiedano apertamente
possesso di patenti e di laurea matematica. Questo
varco alla fortuna più facilmente per loro si aprirebbe,
s'essi avessero ricevuto, nelli anni perduti dell'adole-
scenza, un ammaestramento scientifico che li abilitasse
a stender progetti e rapporti in buona forma, e a
render ragione scritta di ciò che talora sanno operare
senza poterne offrire condegna e persuasiva spiega-
. . . . . . ..

VII - PUBBLICO INSEGNAMENTO 89


zione. Questo utile e popolare intento si potrebbe
molto facilmente conseguire.
E inutile il dire che un tal corso dovrebbe farsi
tutto in italiano, e come appendice ai quattro anni
compiuti nella scuola elementare maggiore e in quella
di disegno e architettura. Muniti d'onorevoli attestati
li adolescenti, al 13° o 14" anno, verrebbero ammessi,
anche senza cognizione di latino, alla scuola di Geo-
metria e Meccanica del Liceo, quindi nell'anno se-
guente alla Fisica Esperimentale, o nel terzo anno
alla Istoria Naturale e alla Chimica. Nelle ore del po-
meriggio attenderebbero al disegno s ì di costruzioni
che di machine; né sarebbe inutile che udissero an-
che le letture d'istituzioni Civili, le quali contengono
molte materie pratiche, opportune ad ogni uomo intra-
prendente.
A compire debitamente la loro istruzione, sarebbe
d'aprirsi per loro un corso speciale d'Ingegneria Pratica.
Verserebbe intorno ai materiali e alle varie loro resì-
stenze, in aggiunta a quanto avrebbero udito nella
scuola di Fisica, intorno alla Statica e Dinamica dei
solidi e alla dottrina dell'elasticità. Tratterebbe inoltre
della preparazione razionale dei cementi, delle pozzo-
lane artificiali, delle calci idrauliche, dei betoni, dei
màstici, degli asfalti, intorno agli usi speciali e novis-
simi della ghisa, dei metalli galvanizzati, della gutta
percha e d'altri materiali di nuovo acquisto. Tratte-
rebbe quindi delle fondazioni e palizzate, dei ponti,
delle arginature, dei calcoli e degli apparati meccanici
pel rapido trasporto delle terre; tratterebbe delle gal-
lerie ed altre escavazioni orizzontali e verticali, delle
strade sì comuni che ferrate, dei nuovi generi di tet-
toie in zinco e in ardesia, delle costruzioni in ferro,
e dei particolari principii della loro solidità e delle
loro proporzioni; delle costruzioni dei molini a turbine,
e delle trasmissioni, del miglioramento nelle abitazioni
90 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - IIl
urbane e rurali, e finalmente delle fortificazioni. Lo
scrivente si fa lecito di notare aver egli cooperato alla
fondazione d’uno di siffatti corsi speciali, intorno alle
Vie Ferrate, affidato al valente ingegnere Bermani,
presso la già citata Società d’Arti e Mestieri in Mi-
lano; la quale con soli privati mezzi poté aprire, oltre
a questo corso, e alle letture pubbliche di Chimica
ed al Laboratorio chimico, del signor Antonio De-
Kramer, una scuola di Tessitura Serica, tenuta dal sig.
Piazza, una di Fisica Industriale tenuta dal sig Ma-
grini, una di Geometria e Mecanica gratuitamente te-
nuta, prima dal signor Sarti e poscia dal Sig. Jacini.
Le quali cose si ricordano per provare quanto possa
farsi con limitati mezzi e in circostanze assai difficili,
soltantoché si proceda con zelo e perseveranza.
Ciò che qui si propone sarebbe un corso d’lnge-
gneria, meno lo studio del latino e quello dell’alta
matematica. Assomiglierebbe col corso attuale degli
Agrimensori italiani, o meglio a quello degli Ingegneri
inglesi e americani, i più dei quali non sogliono adire
alla laurea universitaria; eppure sono in grado di trat-
tare con felice ardimento opere di mirabile difficultà.
Questo ramo d’istruzione si potrebbe collocare nel
pomeriggio del secondo o terzo anno, oppure si po-
trebbe aggiungere a tal uopo un quarto anno. In ogni
modo, i giovani di minor fortuna, in sui diciotto anni
incirca, potrebbero entrare nella pratica camera, re-
cando seco l’attestato d’aver percorso li studi di capi-
mastri architetti, con dichiarazione che il Governo ti-
cinese, dopo certo numero d’anni di pratica fatta, li
ammette a dirigere qualunque opera publica. Ciò ba-
sta per qualificarli a maturo tempo anche in molti
paesi stranieri.
Finché le popolazioni non abbiano imparato dal-
l’esperienza ad apprezzare questo nuovo sussidio, do-
vrebbe un tal corso essere interamente gratuito. Ma
VII - PUBBLICO INSEGNAMENTO 91
nel licenziare li allievi si potrebbe esiger da loro pro-
messa scritta che delle primizie di loro emolumenti
faranno partecipe in qualche misura la madre scuola;
è una consuetudine assai diffusa in Italia presso quei
che corrono la carriera musicale. Dovrebbero anco
promettere d'assister paternamente, tanto i condisce-
poli, quanto tutti i compaesani; anzi potrebbero costi-
tuirsi in perpetua Società d'emigrazione e Tipatrio.

17. D'altri rami d'insegnamento che possono con


poco sforzo aggrupparsi intorno a questo primo nucleo,
è superfluo far parola in questo momento.
I1 Liceo, coll'unita scuola tecnica dei capimastri,
avrebbe sette professori. 1. d'Istoria e letteratura, 2. di
Filosofia e Istituzioni civili, 3. di Matematica e Meca-
nica, 4 . di Fisica esperimentale, 5 . di Chimica, 6.
d'lstoria naturale e Fisiologia, 7 . d'lngegneria pratica.
All'insegnamento delle scienze fisiche in Lugano è già
provveduto col generoso legato Vanoni; alli altri sei
professori si può provvedere per ora con 2 mila fran-
chi per ciascuno, o franchi 12 mila in tutto. A ciò si
richiedono però due condizioni: - 1° Che il profes-
sore con tale stipendio non sia poi costretto a procac-
ciarsi con suoi denari i libri nuovi, i giornali e altri
sussidii necessarii a chi vuol veramente seguire il con-
tinuo progresso delle scienze: - 2° Che abbia I'aspet-
tativa d'ottenere sopra un Fondo comune di pensione
un assegno proporzionato al tempo del servigio. Al
che si potrebbe destinare, come per le scuole ginna-
siali, un contributo degli allievi, il quale può stimarsi
di sei o sette mila franchi all'anno. Il dividendo così
formato si dovrebbe a suo tempo ripartire in modo
che il divisore fosse costituito dal numero dei profes-
sori moltiplicato per li anni di servigio prestati da
ciascuno.
92 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

18. Ciò che rimane della prestabilita somma era-


riale di franchi 25 mila, sarebbe a destinarsi per li
apparati scientifici, i giornali, i libri. Dividiamo questa
spesa in due parti: l'una di primo stabilimento; l'altra
d'annua dotazione. - Quella di primo stabilimento rap-
presenta un capitale, e a tal uopo converrebbe appun-
to commutare la rendita in effettivo capitale; ossia,
invece di fare u n assegno annuo, a cagion d'esempio,
di mille franchi, disporre immantinenti della relativa
somma capitale di franchi 25 mila. Ciò servirebbe:
- 1° Per un meno incompleto corredo di macchine fi-
siche; 2° Per la costruzione d'un piccolo Laboratorio
chimico; 3" Per li scaffali destinati alle collezioni e ai
libri; 4° Per la istituzione d'un orticello botanico con
una stufa.
L'annua dotazione dovrebbe destinarsi : 1° Allo sti-
pendio d'un inserviente macchinista e d'un giardiniere,
i quali si dividano inoltre fra loro la cura d'assistere
i professori nelle operazioni, di custodire le collezioni
e i libri, e di tenere in assetto ogni cosa; 2" All'annua
compera di libri nuovi, in certa proporzionata somma
per ciascun professore; 3° In consumo d'alcune ma-
terie fisiche e chimiche per le esperienze. Ma per li
apparati non sarà indarno sperare, massime nel seguito
del tempo, qualche anno soccorso, e dall'illuminata ge-
nerosità dei cittadini, e dalla riconoscenza degli al-
lievi, e sopratutto di quelli che torneranno da remote
regioni.

19. Altre necessarie parti di publica educazione


mancheranno ancora, e alcuno potrà dolersi che l'inse-
gnamento scientifico sia raccolto in una sola città. Ma
è chiaro, primamente che cosa vìen da cosa; e in se-
condo luogo, che da un nucleo unito tutto il paese, e
primamente i capiluoghi, ritrarranno più verace frutto
. . . .. . .

VII - PUBBLICO INSEGNAMENTO 93


che non da membra sconnesse e prive di reciproca azio-
ne, epperò impotenti.
I1 solo adunamento di molta gioventù studiosa
porge ansa a molti rami accessorii, a cagion d'esem-
pio, all'insegnamento delle lingue vive. Basterà per
siffatte cose, vigilare, proteggere il merito e la diligen-
za, concedere in date ore il gratuito uso delle sale, e
dare incoraggiamento ai professori e maestri che nelle
ore libere vi dessero opera spontanea.
I1 gratuito uso di vasti e suntuosi recinti, che in
luoghi di scarsa popolazione riescono altrimenti inu-
tili, basterà per invogliare persone di proposito a sta-
bilire buoni Collegi femminili, altra, e suprema, delle
pubbliche necessità. In luogo d'affitto, si potrebbe sti-
pulare che dovessero nello stabilimento medesimo eser-
citare un certo numero di maestre.

20. In processo di tempo, e coll'ulteriore svilup-


po degli studi scientifici, converrebbe fare un passo in-
nanzi; - sottrarre qualche anno agli studi speciali e
professionali dell'università per aggiungerlo agli studi
di generale e comune cultura nel Liceo. Si potrebbe co-
stituire in tal modo un quarto anno almeno, nel quale
primeggiasse, come studio di riassunto e di corollario
delle scienze naturali, l'Agraria; e seguirebbe, come stu-
dio accessorio, un corso di Scienze militari, opportunis-
simo dacché li alunni del Liceo sono naturalmente chia-
mati a costituire in appresso la classe delli officiali.

21. In quanto all'agricultura, non si potrà mai dire


che, uno o due anni dedicati a questa madre dei popoli,
sarebbero male impiegati, in un paese ove tutti li SCO-
lari sono possidenti, tanto più che il tempo viene vera-
mente ad avvantaggiarsi sul ginnasio, che si riduce ad
anni quattro. Ma non vuolsi dimenticare che se tale
studio si rendesse accessorio ad altre professioni, come
94 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - IIl
l’avvocatura e la medicina, ritarderebbe ai candidati di
queste l’ingresso all’università. Il che provocherebbe la-
gnanze, poiché le famiglie sono impazienti di toccar
segno.
Due professioni però vi sono a cui l’indugio d‘un
anno o due dopo il Liceo, sarebbe anzi opportuno. Nei
Seminari ambrosiani v’era già la consuetudine di non
ammettere i giovani alla filosofia se non a 18 anni
compiuti, affinché, fatti poscia due anni di ciò che qui-
vi chiamasi Fisica e Metafisica, entrassero nel corso
teologico in tempo di compierlo verso li anni 24. Per-
tanto si citano esempi di giovani che fecero 5 anni di
Retorica, oltre a 3 d’umanità maggiore e minore e 2
di Grammatica: in tutto anni 10, senza raggio alcuno
di scienza! Adunque non sarebbe assurdo né improv-
vido che li aspiranti al sacerdozio, trovandosi d‘aver già
compiuto sui 17 o 18 anni d’età, o poco dopo, il corso
del Liceo, occupassero uno o due degli anni seguenti
nello studio dell’Agruria per trovarsi verso i 20 anni in
grado d’entrare nel Seminario teologico. Anche li aspi-
ranti ad essere maestri di scuola potrebbero giungere
con tale occupazione all’età di entrare in servizio. Tanto
i curati quanto i maestri si renderebbero allora capaci
e, giova credere, anco desiderosi di propagare e insi-
nuare nei popoli le più fruttuose riforme agrarie e sil-
vicole. Ma bisognerebbe che il governo potesse poi
dare o far dare ad ogni maestro di scuola, che avesse
fatto lodevolmente il corso d’agricultura, tre o quattro
pertiche d’orto, da coltivare a buon esempio degli alun-
ni o dei vicini. Il corso d‘Agraria potrebbe formare an-
che alcuni Veterinarii e li Ispettori delle selve. In pro-
cesso di tempo, e cattivata che fosse dal buon esito la
publica opinione, si potrebbe imporre questo utilis-
simo studio anche ad altre classi di persone. Ma da
principio non giova costringere.
Fermo stando che nel triennio del Liceo, i giova-
VII - PUBBLICO INSEGNAMENTO 95

ni siansi iniziati alli studi preliminari, cioè alli ele-


menti di geometria, mecanica, fisica, chimica, istoria
naturale, fisiologia, meteorologia, dovrebbero nell'an-
no, o direm pure, nei due anni d'Agraria attendere
alle seguenti materie: - 1° Studio delle terre e loro
miscele; marnature, concimi, dottrina della vicenda
agraria; 2° Coltivazione di foraggi, cereali ed altre
derrate campestri; 3° Coltivazione delle piante orten-
si; 4° Arbori fruttiferi; viti e vino; gelsi e bachi; olivi
e olio; 5° Selve e cedui; 6° Pastorizia, veterinaria,
latticini secondo l'uso di vari paesi; 7° Ingegneria ru-
rale; case, cantine, fenili, stalle, stabbi e pollai; leta-
mai, cisterne, pozzi e depuratoi, fonti artesiane; aie e
portici; camini, stufe, forni, serre, asciugatoi, lavan-
derie; ghiacciaie e conserve; torchi e altre macchine e
veicoli; irrigazioni e bonificazioni; arginature, favre e
altri ripari, siepi, chiudende; 8° Principii di salubrità;
ventilazione, disinfezione; cibi, bevande, e cura degli
infortunii repentini; 9° Legislazione rurale, servitù pre-
diaii e difesa; 10° Conti, rendiconti, registri delle ope-
razioni; inventarii, consegne e riconsegne; smercio e
compera delle derrate. Una volta al mese, li allievi do-
vrebbero poi fare qualche esercizio letterario.
Questi rami d'insegnamento si possono porgere in
uno o due anni da due o tre professori, secondo il mag-
giore o minor dispendio che mano mano si potrà fa-
re. Nell'Istituto Nazionale Agronomico di Versailles i
professori sono 10, e 10 i ripetitori.
Ma quivi si destinarono a grandi lavori esperimen-
tali 1.500 ettari, ossia pertiche milanesi 22 mila. Anche
la succitata Società d'Arti e Mestieri presso la Ca-
mera di Commercio di Milano, prima delli eventi del
1848, essendone relatore lo scrivente, meditava d'isti-
tuire un Podere-Modello in una signoria tra Lodi e
Crema, ch'è di pertiche 24.000. Si trattava di prati-
carvi con procedimenti scientifici tutte le varietà del-
96 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

l’agricoltura insubrica, sostituendo interamente ai CO-


Ioni di quelle terre li scolari, li allievi agricoli, li al-
lievi operai, i professori, e li amministratori del nuovo
stabilimento e degli annessi opifici. L’opportuno sito
d’un vasto Podere-modello sarebbe sul Piano di Ma-
gadino, qualora il risanamento fosse felicemente conse-
guito. Ma ora è discorso troppo immaturo.
i n luogo d’un Podere-Modello, si può fare una
semplice scuola con poco terreno, per farvi alcune di-
mostrazioni pratiche, e li esperimenti soltanto delle
coltivazioni, non delle amministrazioni. Non mancherà
tempo di allargare le ali, se il vento seconda. Forse di
maggior utilità, in paese ove la possidenza è molto sud-
divisa, sarebbe qualche modello di piccola masseria,
istituito con apposita soscrizione. Una o più case ru-
rali, disposte con bell’ordine, salubrità ed economia di
spazio e di materiali, servirebbero di guida alla rico-
struzione d’edifici ora accumulati a caso, senza cal-
colo d’opportunità e per forza cieca di tradizione.

Le buone scuole daranno i valenti maestri. Quan-


to ai maestri attuali, che si sono dovuti formar pri-
ma che vi fossero scuole, potrebbero anch‘essi miglio-
rarsi continuamente. Siccome due terzi di loro incirca
sono occupati solo nel verno, così quelli di miglior vo-
lontà e più desiderosi di rendersi utili alla patria e a
sé medesimi, potrebbero in estate radunarsi, come le
milizie, in una caserma, e quivi attendere a perfezio-
narsi tanto nelle cose che devono insegnare, quanto nel
metodo d’insegnarle, occupando a ciò una metà del
tempo, e occupando poi l’altra metà ad acquistare nuo-
ve cognizioni. Potrebbero, a cagion d‘esempio, in que’
due o tre mesi prendere una lezione di lingua francese;
tornati poscia ai paesi loro, dovrebbero continuare a
farne esercizio scritto, e nella susseguente tornata esti-
va renderne conto. Acquistata in due o tre anni questa
VII - PUBBLICO INSEGNAMENTO 97

nuova abilità, potrebbero giovare a sé medesimi e ai


loro vicini, insegnando quella Lingua, sia ai giovani che
intendono recarsi in lontani paesi, sia alle giovinette
che non potessero allontanarsi dal focolare paterno per
recarsi in collegio. Tutto ciò dovrebbe costar pochissi-
mo, perché l'insegnamento potrebbe esser mutuo, po-
tendo ognuno insegnare ai compagni ciò che sa me-
glio, sia di Metodico, sia d'Aritmetica, o di Geogra-
fia o di lingue vive. E riceverebbe in premio certificati
e abilitazioni a progredire nella sua carriera. Questo
annuale congresso de' maestri sarebbe ad un tempo una
Scuola di Metodica e una Scuola Normale, in cui fa-
re esperimento di nuovi metodi. Terrebbe luogo di
ciò che in alcuni paesi del settentrione si chiama Se-
minario di Maestri (Schullehrer Seminar). Senonché,
per sopperire al Corso Agrario e alla Scuola dei Mae-
stri sarebbe mestieri d'altro assegno di pubblico dena-
ro, tranne il caso che si volesse a tal uopo rivolgere
una parte del contributo degli studenti, che qui sopra
si propose di consecrare a un Fondo di Pensione.
Queste difficultà pecuniarie appariranno minori, ove
si consideri che tutti questi rami d'insegnamento non
si possono far germogliare d'improvviso, poiché bi-
sogna prepararvi successivamente li scolari.

Varcati i limiti prefissi alle spese sarebbe super-


fluo spaziare più oltre. Ma egli è ben certo che, se le
popolazioni vedranno il Governo provvedere con isti-
tuzioni novelle e vigorose all'avvenire delle loro fi-
gliuolanze, non mancheranno di corrispondere con ma-
no generosa. i magistrati, dopo aver pensato alla di-
fesa della patria, non hanno più sublime officio di que-
sto. Un buon governo, diceva Romagnosi, è una gran-
de tutela e una grande educazione.
98 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

21 luglio 1852

Illiceo di Lugano *
Ai giorni in cui viviamo è men danno essere ignaro
affatto di geografia e di geometria che non di chimica;
poiché dei paesi nostri e degli altrui qualche cosa si
ode e s'impara ogni giorno; e d'un triangolo, d'una
circonferenza, d'un raggio, ogni uomo, che non sia sce-
mo, ha qualche implicita idea. Ma non così delle in-
visibili combinazioni e delle proporzioni numeriche
con cui l'ossigene, il carbonio, l'idrogene si compon-
gono e si scompongono assiduamente in tutto ciò
ch'è intorno a noi e dentro noi. La superficie del
globo è una grande officina chimica, e questo nostro vi-
tale respiro è una delle operazioni che vi si vanno gior-
no e notte arcanamente elaborando. La chimica molti-
plica ogni giorno le sue scoperte, penetra tutto, spiega
tutto, rifonde tutti i principii delle scienze, dei me-
stieri, dell'agricoltura, della medicina, della vita. Edu-
care la studiosa gioventù a farsi un'idea del mondo
senza nozioni chimiche, è come condannarla a vedere
senz'occhi. Ogni giorno che passi renderà sempre più
manifesta e fulgida codesta verità.
Testimonii del favore col quale vennero accolte da
tutta la cittadinanza di Milano le publiche letture
di chimica aperte dalla nostra Società d'arti e me-
stieri presso quella Camera di Commercio, e generosa.-
mente promosse dal Sig. Enrico Mylius : testimonii del-
la quotidiana frequenza di forse quattrocento uditori,
cioè di quanti il teatro chimico ne poteva capire, con-
siglieremo i magistrati a fare ogni sforzo per istituire

* Pubblicato dalla « Gazzetta Ticinese » del 21 luglio 1852.


M.R.M. Ms. Archivio Cattaneo, cart. 14, pl. I X , doc. 2.
VII - PUBBLICO INSEGNAMENTO 99
immantinenti nel Ticino un siffatto nuovo focolare di
coltura scientifica e di publica utilità. Un piccolo
. laboratorio chimico, già necessario alla scuola, giove-
rebbe indirettamente a molte occorrenze amministra-
: tive, alle indagini giudiziarie, alla esplorazione delle
acque e delle terre, alla ricerca fin qui negletta delle
miniere, e ad altri anche impreveduti servigi.

7 Maggio 1862

Di alcuni rami d'insegnamento scientifico


da istituirsi in Milano *
Lettera al Senatore e ministro Carlo Matteucci.
Illustre Signore!
Vi debbo grazie del pregevole scritto che confida-
ste al vecchio nostro Politecnico e che perfettamente
consuona col nostro principio scientifico: esperienza.
Al leggere poi la pregiata ultima vostra, debbo ima-
ginarvi impaziente di lasciar memoria del vostro pas-
saggio dalle serene aure della scienza ai foschi pene-
trali della burocrazia e della centromania, dove temo
per verità che ogni vostro bel pensiero rimanga soffocato
nel nascere.
Vi vedo desideroso anzi tutto di dare qualche spe-
ciale istituzione a Milano. E sarebbe giustizia; e sic-
come avete la cortesia d'invitarmi a dire il parer mio
sopra alcuni studii che sareste consigliato a istituire in
questa città, vi dirò sincero.

* Pubblicato in POL., 1862, XIV, pp. 84-93,in 0.E.I


e S.L.A.L., II, pp. 401-413.
VII - PUBBLICO INSEGNAMENTO 99
immantinenti nel Ticino un siffatto nuovo focolare di
coltura scientifica e di publica utilità. Un piccolo
. laboratorio chimico, già necessario alla scuola, giove-
rebbe indirettamente a molte occorrenze amministra-
: tive, alle indagini giudiziarie, alla esplorazione delle
acque e delle terre, alla ricerca fin qui negletta delle
miniere, e ad altri anche impreveduti servigi.

7 Maggio 1862

Di alcuni rami d'insegnamento scientifico


da istituirsi in Milano *
Lettera al Senatore e ministro Carlo Matteucci.
Illustre Signore!
Vi debbo grazie del pregevole scritto che confida-
ste al vecchio nostro Politecnico e che perfettamente
consuona col nostro principio scientifico: esperienza.
Al leggere poi la pregiata ultima vostra, debbo ima-
ginarvi impaziente di lasciar memoria del vostro pas-
saggio dalle serene aure della scienza ai foschi pene-
trali della burocrazia e della centromania, dove temo
per verità che ogni vostro bel pensiero rimanga soffocato
nel nascere.
Vi vedo desideroso anzi tutto di dare qualche spe-
ciale istituzione a Milano. E sarebbe giustizia; e sic-
come avete la cortesia d'invitarmi a dire il parer mio
sopra alcuni studii che sareste consigliato a istituire in
questa città, vi dirò sincero.

* Pubblicato in POL., 1862, XIV, pp. 84-93,in 0.E.I


e S.L.A.L., II, pp. 401-413.
100 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

I due rami di scienza medica (Igiene e Fisiologia)


mi sembra riescirebbero stralciati dalla loro pianta; te-
mo, non avrebbero allievi. Forse, per l’ampiezza de-
gli ospitali, sarebbe piuttosto il caso di fondarvi qual-
che ramo di Clinica. - L’lstoria delle Scienze mi par
piuttosto argomento d’un’opera che materia d’insegna-
mento. - D’Economia sociale, chi non possa ingolfarsi
nelle ardite speculazioni rivoluzionarie, non troverà fa-
cilmente a dire ogni giorno, o anche solo ogni settimana,
cose che non siano già notissime agii amatori. Man-
cando questi, chi non abbia uditori obligati, rimarrà
solo. Questo sistema ha già compromesso molte buone
riputazioni; l’insegnamento non può essere una perpe-
tua solennità.
In ogni città grande, sarà sempre utile la Tecnolo-
gia; se fra i grandi mestieri avesse pure a migliorarne
uno solo, già sarebbe un beneficio perpetuo. In Milano,
farebbe corpo colle parti d’insegnamento industriale che
abbiamo già incamminato presso la Società d’Arti e
Mestieri. E quivi, come anche presso l’Istituto, già si
trova a tal uopo qualche principio di collezioni.
L a Geologia applicata, o mira allo studio delle mi-
niere: e allora nella pianura di Milano non è al suo
luogo; o accoppiandosi alla Zoologia applicata mira
all’agricoltura : ed ambedue vi sarebbero molto oppor-
tune. Ma sarebbero troppo isolate, e praticamente de-
relitte. l?, troppo poco.

Or qui mi sia concesso ricordarvi il mio pensiero


della specificazione delle facultà universitarie. Vi ho già
raccomandato una facultà d’Ingegneri agronomi. Delle
cinquanta e più facultà specifiche ch‘io contemplo nel-
l’immancabile avvenire, questa, se fosse la prima, fa-
rebbe manifesta la convenienza di tutte le altre. Pe-
rocché con essa avreste inaugurato un generale rinova-
mento e uno sviluppo immenso di tutta l’istruzione
. . .

VII - PUBBLICO INSEGNAMENTO 101

scientifica, cominciando dall‘oggetto che più profonda-


mente interessa l’universa nazione, cioè dall’agricul-
tura.
Nel corso degli ingegneri, i quali per antica tradi-
zione sovrintendono alla nostra agricultura irrigatoria,
non si trova dalla legge Casati nominata l’Idraulica,
non si trova tampoco nominata l’Agricultura! È bein
giusto che un’alta Facultà Matematica comprenda il
Calcolo diferenziale e integrale, la Mecanica razìo-
nale, la Geometria descrittiva (Legge Casati, art. 51),
e che in Torino e Pavia vi si annetta anche l‘Analisi e
Geometria superiore, la Fisica matematica, la Mecani-
ca superiore (art. 53). Ma noi sappiamo per lunga
prova che la classe degli ingegneri agrarii nell’uscire
dall’università si lascia tutte queste belle scienze dietro
le spalle. E tranne solo le prime operazioni d’aritmetica
e qualche regola di geodesia pratica, comincia allora gli
studii veri e vivi della sua carriera, senza verun sussi-
dio di scienza speciale e al solo lume della tradizio-
ne che si formò coi secoli negli antichi collegii degli in-
gegneri. È un processo scientifico che in un cerchio di
cose assai più ristretto ricorda quello della giurispru-
denza; oscuramente germinata dalle circostanze della
città romana, ma infine elevata sull’olmo eccelso della
filosofia stoica. E fatto che da codesti collegii furo-
no dettate alla nostra agricultura e possidenza molte
consuetudini che hanno forza di legge. Esse vennero
praticamente sancite dai tribunali e tacitamente accet-
tate da tutte le legislazioni. Le quali in casa nostra si
mutano ad ogni tratto, quasi come se fossero mode,
mentre queste consuetudini, radicate nelle terre, nelle
aque e nei grandi affitti, e fortunatamente trascurate dai
legislatori, non si mutano mai.
Poiché dunque l’istituzione è nata per forza spon-
tanea di natura ed è consacrata dalla legge, è d’uopo
compirla e fecondarla, accoppiandola alla scienza speri-
102 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - II

mentale. È come una pianta della flora indigena, che


vuolsi invigorire e propagare con ragionata coltiva-
zione.

Qui dovrei segnare il circo scientifico che a senso


mio questa facultà, o parte di facultà, dovrebbe ab-
bracciare, quando venisse trasferita da Pavia in Milano,
per ricevere un incremento degno de' nuovi suoi de-
stini e divenire istitutrice e rigeneratrice dell'agricul-
tura italiana.
Pongo fra gli studii necessari l’Idraulica, ma non
per le alte dottrine della geografia dei fiumi collegata
con la meteorologia e la geologia, né per i più profondi
problemi intorno al moto delle acque limpide e torbi-
de, alle grandi difese fluviali e maritime, alla costruzio-
ne dei porti, all'ordinamento delle foci e delle lagune.
Tuttociò come già dissi altra volta, io riserverei a fa-
cultà speciali d'Alta idraulica in Padova e Bologna.
Per me l'Idraulica agraria dovrebbe, in minor cir-
colo teorico e larghissimo campo pratico, abbracciare,
oltre alla difesa dei terreni dalle aque minori, le col-
mate, le capitagne mantovane, le tubulature e altri
modi di drenatura, le irrigazioni, il reciproco collega-
mento delle irrigazioni e degli scoli, ossia la conversio-
ne delle acque nocive in acque utili, invano desiderata e
implorata in molti vasti territorii della penisola e delle
isole. Dovrebbe abbracciare la formazione dei grandi
serbatoj, tanto oggidì studiata in Francia; la ricerca
delle acque sotterranee : l'approfondimento e la trivel-
latura dei pozzi; la costruzione di pescine, cisterne, ab-
beveratoj, lavatoj, fontane, fontanili, aquedutti di pie-
tra, legno, metallo o altre materie, canali-sifoni, ponti-
canali, recipienti di deposito e filtrazione e tutti li al-
tri modi di render pure e fresche le aque domestiche.
Il legislatore non ignora come da ciò dipenda che mol-
VII - PUBBLICO INSEGNAMENTO 103

te popolazioni abbiano vita vegeta e feconda; o trista,


fiacca e breve!
Sarebbe pensiero ben più cristiano e umano propa-
gare dalle università queste opere di misericordia, che
non gi'indovinelli di S. Tomaso d'Aquino e i sospiri di
S. Tomaso da Kempis. E se a quegli utili e caritatevoli
studii rivolgeste parte delle ricchezze prodigate dalla
legge Casati alle otto catedre di ambiziosa e turbolenta
teologia, da ripetersi a publico impaccio io non so quan-
te università, io non posso dirvi, mio caro e illustre Si-
gnore, che avreste i premii dell'eterna vita; ma eterna
certo sarebbe la gratitudine dei popoli al vostro nome.
Altro special ramo di studii sarebbe l'Architettura
rurale. Voglio dire la cognizione degli asfalti, dei be-
toni, dei cementi idraulici, che danno anche a terreno
abitazioni asciutte e sane, la conservazione e chimica
preparazione dei legnami d'opera negli arsenali delle
cascine, le molte nuove applicazioni del ferro e del
zinco; la costruzione delle stalle e dei barchi, in vista
alle tante meravigliose pratiche introdutte nella stabu-
lazione ragionata; tutti i più moderni miglioramenti di
cantine, ghiacciaj, granaj, casare, aje, letamai, forni,
seccatoj, ventilabri, torchi, pressoj. E potreste lasciare
ai professori medesimi, anche secondo le personali loro
attitudini, di giudicare se dovesse appartenere alla clas-
se d'idraulica o d'architettura la costruzione dei molini a
vento anche per sollevare le aque, quella dei molini
d'ogni maniera per farine, olii, ossami, delle piste da
riso e degli altri opificii d'industria rurale.
Ma vorrei che mirando al profitto, e non dimenti-
cando mai la salubrità, si porgessero alla imaginazione
della gioventù modelli svariati di rustica e non dispen-
diosa eleganza per le dimore sì degli agiati possidenti e
fittuarii, s ì delle famiglie lavoratrici. La bellezza risulta
principalmente dall'armonica proporzione e disposizio-
ne delle parti. Ma la proporzione e l'armonia non CO-
104 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

stano nulla; e nelle costruzioni l‘ordine può essere anche


un risparmio. Un casolare può esser semplice e povero,
e tuttavia bello come una bella contadina. Dando il
primo impulso a questa sociale riforma anche tra noi, vi
fareste benemerito eziandio dell’arte. La quale, accen-
trando avaramente e superbamente il bello in poche
ville per lo più deserte dilapidate, lasciò sempre spa-
ziare sulla vasta superficie delle campagne italiane l’odio-
so regno del brutto e del sordido.
All’architettura si dovrebbe dunque aggiungere un
esercizio di Disegno rurale, sotto il triplice aspetto del-
l’opportunità, del risparmio e dell’eleganza. Questo
ramo d’insegnamento in una città grande avrebbe molti
amatori.
L’agricultura è una grande operazione chimica,
che può cominciare coIla formazione artificiale dello
strato coltivabile. Le ghiaje della bassa Insubria furono
nel corso dei secoli trasformate per la mescolanza delle
sottili materie insensibilmente diffuse dall’irrigazione,
senza che anima al mondo .vi avesse pensato. Questo
fatto spontaneo suggerì un’arte nuova; è una nuova for-
ma del principio delle colmate, non per empire la ca-
vità, ma per modificare la superficie. Fin dal secolo
scorso, nell’Alto Milanese, venne applicato in vicinanza
di certi torrenti, che spagliati sulle sterili brughiere le
resero atte a divenire bellissime selve. L’arte di me-
scolare utilmente i diversi strati del suolo ha le sue ra-
gioni, non solo nella chimica, ma nella geologia come
la ricerca delle aque sotterranee; non però mi pare che
renderebbe necessario un insegnamento speciale di Geo-
logia applicata. Il vero è che codeste pratiche sareb-
bero a spiegarsi con idee chimiche e geologiche; e sa-
rebbero a spiegarsi con idee chimiche e fisiologiche le
pratiche della concimazione animale e minerale, la pre-
parazione dei concimi artificiali, il calcolo del loro va-
lore comparativo e della loro particolare attitudine, e
VII - PUBBLICO INSEGNAMENTO 105

tutta la conseguente dottrina degli avvicendamenti.


Perloché questo intreccio indivisibile di studii chimici,
geologici e fisiologici mi pare si potrebbe raccogliere sot-
to il nome d'Agricultura teorica,
La concimazione conduce alla Zoologia applicata;
e qui avrebbe ampio luogo il vostro pensiero. Poiché sa-
rebbero a diffondere largamente tra i pratici tutte le
scoperte, finora inutilmente note ai lettori curiosi, intor-
no all'alimentazione degli animali ed al pregio delle
singole loro varietà. Anzi non si potrebbero obliare li
elementi di Veterinaria. E nei paesi irrigatorii e in vi-
cinanza di laghi, paludi e fiumi, potrebbe acquistare
importanza grande la Pescicultura, e per quanto ho
udito, anche nel senso d'una squisita letaminazione,
comparabile a quella del guano. Un ramo di zoologia
che non si potrebbe affastellare cogli altri, e che in Mi-
lano trovereste già istituito, è quello della Bachicultura.
Una parte della mecanica agraria resta già com-
presa nell'idraulica e nell'architettura; ma rimane an-
cora tutta la parte degli strumenti e apparati mobili. Or
qui, mio caro signore, non si tratterebbe tanto d'inse-
gnare, quanto di studiare e imparare. Nell'immensa sel-
va delle nuove invenzioni, noi non sappiamo ancora
quali siano da raccomandarsi in Italia. Tutto ciò che si
verrebbe utilmente avverando, potrebbe trovar luogo in
un insegnamento d'Agricultura pratica. Non so se PO-
trebbe per ora avervi parte ciò che riguarda l'uso del
vapore. E meglio che queste cose siano determinate
poi dagli stessi professori della nuova facultà.
Ma vi sono rami d'agricultura pratica, i quali po-
trebbero avere un particolare insegnamento, come l'Or-
ticultura, che abilita le famiglie povere a viver sul mi-
nimo spazio di terra, e rende gradevole colla varietà e
continuità dei frutti e degli erbaggi la vita delle fami-
glie agiate, E anche la Floricultura è un dovizioso ramo
d'industria suburbana, che nel vasto ambito della na-
106 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

zionale economia e civiltà non si potrebbe dimenticare.


Credo poi che la scelta opportuna delle viti e la prepa-
razione dei vini sia cosa di sì enorme valore in Italia,
che un saggio e calcolato paragone scientifico di tutto
ciò che si fa con tanta varietà, diciam pure con tanta
contradizione di pensamenti, nelle singole regioni, non
potrebbe non discoprire e correggere molti dannosi er-
rori e salvare da disperdimento molte ricchezze.
Alla Vinicultura si dovrebbe aggiungere la Silvi-
cultura nel suo più ristretto senso. Perocché i grandi
problemi del riboscamento dei monti sarebbero di tale
importanza e di tal pratica estensione da doversi racco-
mandare ad una speciale facultà universitaria, desti-
nata, come presso alcune più culte nazioni, ad allevare
varie classi di publici funzionarii.
Nell'aspettativa che in progresso di tempo appa-
risse la necessità di fondare altra speciale facultà d'agro-
nomia nel Mezzodì, si dovrebbe fin d'ora preludere a
questo con un particolare insegnamento di Culture me-
ridionali, non inutile alle riviere lacuaii e maritime
anche nell'Italia settentrionale. Non intendo che co-
desti sommarii insegnamenti possano per sé formare
esperti operatori; ma è certo che possono diffondere in
seno alla nazione gran numero d'idee direttive e di utili
riforme.
Quando poi si pensa non esservi ramo della prisca
agricultura saturnia che non sia venuto all'ltaiia dal-
l'Oriente, assai prima d'ogni memoria scritta: che nei
secoli istorici il novero delle nostre culture venne sem-
pre crescendo; che in tempi comparativamente moderni
si partecipò a noi la coltivazione di moltissimi frutti e
sopratutto degli agrumi, quella del riso, del saraceno e
del cotone, le culture americane or tanto popolari del
maiz, della patata, del tabacco, della robinia, e che pri-
meggia su tutta la nostra azienda agraria l'allevamen-
to del baco serico: non può rimaner negletto ed esclu-
VII - PUBBLICO INSEGNAMENTO 107
so un apposito studio delle culture novelle. A ciò inten-
dono oltralpe gli stabilimenti d'Acclimazione. Ma que-
sto nome non risponde al fatto vero, bensì all'illusione
che debbasi far violenza o inganno al clima. Vero
è piuttosto che sotto latitudini torride, a grandi eleva-
zioni, sugli altipiani del Messico, del Perù, della Nigri-
zia, della Malesia regnano climi paragonabili a quelli
che si riscontrano a minori altitudini o a più favorevoli
esposizioni in Italia. Fondamento di questo nuovo stu-
dio sarebbe dunque la nuova scienza della Geografia
botanica e geologica. Non si tratta di combattere la na-
tura, ma di osservarla e invitarla a ripetere in simili
circostanze i suoi doni.
Agli antichi collegii d'ingegneri, oltre la dottrina
degli avvicendamenti, si deve la luminosa scoperta che,
assimilando l'agricultura al commercio, ridusse le azien-
de ad un bilancio agrario d'un numero d'anni, ossia
d'una data serie d'avvicendamenti. Questa idea dovreb-
be dominare l'insegnamento della Registrazione e del
Conteggio agrario; poiché nulla è lodevole in economia
rurale che non possa giustificarsi col bilancio.
E necessario infine che gli ingegneri agronomi co-
noscano quella parte di Giurisprudenza che riguarda i
confìni, le servitù prediali, gli affitti, e quelle ragioni
d'aque a cui Romagnosi dedicò uno speciale trattato.
Infine nello staccare dalla Facultà Matematica que-
sto tralcio, resta a vedersi qual parte possa recar seco
della pianta materna. Senza dubio, la Geodesia pratica.
Se poi debba comprendere altri studii del dominio ma-
tematico, io lo lascio a giudizio altrui.

Raccolgo quanto fin qui esposi col dire che questa


Facultà d’Agronomia, ben determinata e perfettamente
dalle altre distinta, già verrebbe ad abbracciare un nu-
mero di parti, alcune forse non necessarie, ma molte
necessarie e assai complicate, e tutte più che suffìcienti

. ... ... . . ... ... .


108 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

ad occupare un triennio e più. Si potrebbero ordinar


così: 1° Geodesia pratica; 2° Idraulica agraria; 3° Ar-
chitettura agraria; 4° Disegno agrario; 5° Conteggio e
bilancio agrario; 6° Giurisprudenza agraria; 7° Agricul-
tura teorica, ovvero Chimica, Geologia e Fisiologia ap-
plicate; 8° Agricultura pratica; 9° Zoologia applicata e
Veterinaria elementare; 10° Bachicultura; 11° Vinicul-
tura; 12° Orticultura e Floricultura; 13° Silvicultura
elementare; 14' Culture meridionali; 15° Culture no-
velle o Geografia botanica e zoologica.
Alcuni di questi rami si potrebbero per ora unire
in una sola mano, per suddividerli poi, quando il voto
publico favorisse un'istituzione la quale in breve com-
penserebbe a mille doppii ciò che la nazione vi avrebbe
speso.
È inutile il dire che la Facultà d'Agronomia do-
vrebbe aver intima alleanza coi Poderi-Modelli e cogli
altri stabilimenti della medesima indole ovunque siano,
sopratutto nell'intento di non far duplicati, e d'inol-
trarsi sempre più nella specificazione, e per dirlo più
scientificamente, nell'analisi, e sodisfare un sempre mag-
gior numero di publici voti.
Forse da principio i giovani preferiranno lo studio
di Pavia perché, qualificandoli ingegneri architetti,
apre loro una carriera già riconosciuta nella publica
opinione. Perloché conviene che anche nella nuova fa-
cultà si conferisca loro questo medesimo titolo, più
quello d'Agronomi. Ma son persuaso che le riforme le-
gislative, le vendite dei demanii, l'abolizione degli
ademprivii e degli altri barbari impedimenti, le banche
agrarie, le ferrovie promuoveranno tali e tante intra-
prese agrarie, principalmente in Maremma, in Umbria,
in Apulia, in Lucania, in Sicilia, in Sardegna, che chi
abbia fatto questo corso di studii avrà cagione d'esserne
ben contento.
In Milano alcuni rami della nuova facultà saranno
VII - PUBBLICO INSEGNAMENTO 109

frequentati dai ragionieri, ordine d'amministratori pur


peculiare a questa regione e ch'esercita notabile in-
fluenza nelle aziende rurali dell'alta pianura. E molti
possidenti, nonché i più agiati fittuarii frequenteranno
l'una o l'altra sezione d'insegnamento, purché sia con-
fidata ad uomini veramente esperti e non imposti alla
scienza da favor di parte.
Ma io vorrei vedere un altro ordine di uditori; e
dacché volete nella vostra rete scientifica avvolgere un
poco anche i teologi, vorrei che per voto del popolo,
chi di essi fosse additato già per amore del ben publi-
co, dello studio e dell'agricultura, venisse inviato ad at-
tingere in queste fonti, per farsi poi dispensatore d'un
tanto bene fra le più neglette campagne. Vorrei ricor-
dare al nostro clero come i sacri libri dell'antica Persia
facciano dire alla divinità: che, chi semina il grano con
purità, compie tutta la legge; ed è così meritevole co-
me se avesse fatto diecimila sacrificii (Vsndidad, 3).
Certo è che i popoli ne avrebbero giovamento; e il cle-
ro ne avrebbe onore e conciliazione.

La facultà di Pavia, sfrondata di questo estranio


ramo, al quale essa non dà e non può dare l'alimento
speciale del quale abbisogna, diviene tanto più vera-
mente e più specificamente matematica. Essa vi darà
i dottori in matematica per le specule astronomiche,
per i settanta licei e per tutti li altri collegii e stabi-
limenti publici e privati.
Così viene per questa scienza adempiuto ciò che vi
sareste proposto d'ottenere colla Scôla Normale pei
professori, e che per quella via non credo si possa ot-
tenere. Infatti ogni buon liceo deve avere matematica,
fisica, chimica, istoria naturale, filosofia, istoria uni-
versale, letteratura. La Scôla Normale non può esser
dunque più che un grande liceo. Epperò supponiamo
pure che in luogo duna sola cattedra di scienze mate-
110 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

matiche, ne abbia due o tre; non ne avrà mai tante


quante ne ha la facultà matematica in Torino e Pavia.
Lo stesso si dica di ciascun altro ramo d'insegnamento
liceale. Avrete dunque più forti allievi e più larga scelta
di persone nelle facultà speciali universitarie che non
nella Scôla Normale. E qui, oltre alle spese del corpo
insegnante, avreste anche le non giustificate esenzioni
e pensioni degli allievi. Or se raccogliete i 48 mila
franchi di spese e i 24 mila franchi di pensioni alun-
nari, che avete preveduto per la Scôla Normale, avrete
a disposizione della nuova Facultà d'Agraria, 7 2 mila
franchi.

Ma intorno a ciò non posso oramai più lungamente


occupare la vostra attenzione.
Concedete piuttosto che vi accenni d'altra cosa alla
quale io non aveva mai pensato. Da uno scritto che il
signor Biondelli, direttore del Museo Numismatico di
Milano, va publicando nel Politecnico, gli studiosi ven-
nero con dolorosa meraviglia a sapere come giaciano
negletti e pericolanti in Milano, e in parte già perico-
lati e guasti, i materiali d'uno splendido Museo d'an-
tichità e belle arti. Qui mancherebbe solo di destinare
a questo tesoro nascosto un locale d'ordinamento al-
men temporario, e una tenue somma pei primi adat-
tamenti e trasporti, da continuarsi poi con lieve an-
nualità.
Non vi sarebbe necessità di stipendii, potendo la
sovrintendenza pel momento venire accomodata allo
stesso Museo Numismatico e potendosi in qualche sala
del palazzo medesimo ricoverare i vasi etruschi e li
altri più delicati oggetti. Né potrebbe mancare presso
l'Istituto e l'Academia di Belle Arti chi spontaneo
partecipasse a queste cure. Anzi a poche parole d'in-
vito già corrisposero alcuni cittadini, che promettono
d'associare a tal uopo e cure e denaro. Inoltre il Mu-
VII - PUBBLICO INSEGNAMENTO 111

nicipio mostra qualche proposito di voler salvare da


disperdimento i marmi della collezione Archinto. Ma
in tutto ciò, per risolvere molte questioni di proprietà
e di competenza e d‘altro, i poteri sono in vostra mano.
Io ve ne fo dunque istanza a nome della mia città
nativa, a nome dell’istoria e dell’arti, e a vostro pe-
renne onore.
E con questo abbiatemi, illustre Signore.

Gennaio 1862

Sul riordinamento degli studii scientifici


in Italia *
Lettera al Senatore Matteucci.
Illustre Signore.
Ebbi’per sommo onore quando con lettera 21 giu-
gno m’invitaste a communicarvi liberamente le mie
obiezioni, modificazioni e aggiunte al disegno vostro di
riordinamento degli alti studii.
Ve ne son grato; e mi fo a parteciparvi una serie
di pensieri, anzi un principio generale, che tende a
incremento e sviluppo di tutta la famiglia delle scienze
nelle università italiane. E certamente, per poco che
vogliate apprezzarlo, non potrebbe non modificare in
più parti il primo vostro intendimento.

Io sono affatto con voi in questo: che si debba


- « fornire al commune degli uomini la guarentigia
della idoneità degli individui all’esercizio delle profes-
sioni per le quali la scienza è messa a profitto » (p. 4).

* Pubblicato in POL., 1862, XII, pp. 61-75,in O.E.I. e


S.L.A.L., II, pp. 380-400.
VII - PUBBLICO INSEGNAMENTO 111

nicipio mostra qualche proposito di voler salvare da


disperdimento i marmi della collezione Archinto. Ma
in tutto ciò, per risolvere molte questioni di proprietà
e di competenza e d‘altro, i poteri sono in vostra mano.
Io ve ne fo dunque istanza a nome della mia città
nativa, a nome dell’istoria e dell’arti, e a vostro pe-
renne onore.
E con questo abbiatemi, illustre Signore.

Gennaio 1862

Sul riordinamento degli studii scientifici


in Italia *
Lettera al Senatore Matteucci.
Illustre Signore.
Ebbi’per sommo onore quando con lettera 21 giu-
gno m’invitaste a communicarvi liberamente le mie
obiezioni, modificazioni e aggiunte al disegno vostro di
riordinamento degli alti studii.
Ve ne son grato; e mi fo a parteciparvi una serie
di pensieri, anzi un principio generale, che tende a
incremento e sviluppo di tutta la famiglia delle scienze
nelle università italiane. E certamente, per poco che
vogliate apprezzarlo, non potrebbe non modificare in
più parti il primo vostro intendimento.

Io sono affatto con voi in questo: che si debba


- « fornire al commune degli uomini la guarentigia
della idoneità degli individui all’esercizio delle profes-
sioni per le quali la scienza è messa a profitto » (p. 4).

* Pubblicato in POL., 1862, XII, pp. 61-75,in O.E.I. e


S.L.A.L., II, pp. 380-400.
112 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

E giusto che chi viene solennemente chiamato in giu-


dizio a proferir sentenza sulle tracce chimiche o fisio-
logiche lasciate da un veleno in un cadavere, debba
essersi debitamente educato alle relative cognizioni e
pratiche; e in tal modo, che la società ne abbia pronta
certezza. Ma io non posso seguirvi nel principio che
codesti studii, che voi chiamate normali, debbano per-
ciò ridursi ad un insegnamento uniforme (p. 6 ) in
tutte le università e facultà d'Italia.
Vengo al fatto. Un corpo d'ingegneri laureati so-
vrintende alle grandi irrigazioni nelle provincie di
Lodi e Pavia e in parte di quelle di Milano e Novara.
Fra i 450 ingegneri (notate il numero) che si contano
nella sola città di Milano, molti attendono unicamente
a questo ramo, non pigliando parte veruna alla cura
delle strade, delle navigazioni, delle arginature, del
censimento, delle machine e della bella architettura.
Ma senza alcun avvedimento di legislatori) pel corso
spontaneo delle cose, e anche per antichi statuti di
loro corporazione, avvenne che codesti ingegneri, nel-
l'attendere alla consegna e riconsegna delle possessioni,
avendo a prender conto esattissimo delle piantagioni,
delle culture perenni o avvicendate, dei bestiami, edi-
ficii e canali e d'ogni miglioramento, approvando e
compensando ogni operazione, ovvero riprovandola e
multandola) e di tuttociò facendo generale bilancio a
denaro, vi acquistarono autorità d'intendenti e magi-
strati di quell'agricoltura : istituzione, credo, unica nel
mondo. Adunque sta in loro non solo l'isinuare qual-
siasi grande innovazione agraria; ma se non la vo-
gliono, o non la intendono, ritardarla per secoli, con-
trariandola nella interpretazione e rinovazione dei lun-
ghissimi affitti.
A questa classe d'ingegneri, alla quale poco vera-
mente necessita di sapere in che la trabeazione dorica
si distingua dalla ionica, io vi proporrei di dare, non
VII - PUBBLICO INSEGNAMENTO 113

importa il nome, una solida e larga preparazione scien-


tifica d’ingegneri-agronomi, ingegneri-silvicultori, piut-
tosto che d‘ingegneri-architetti. Tanto si ragiona nei
congressi e nelle esposizioni intorno alla convenienza
di riformare coi nuovi lumi le nostre agriculture. E
coloro che possono per loro istituto arrecare in una
vasta e perenne esperienza i rigori del calcolo, i lumi
della scienza e il peso dell’autorità e del comando,
non ne dovranno studiar nulla! Signore, noi dobbiamo
compiere e perfezionare tutte le utili cose che già in
Italia si trovano.
Non dovrei dunque riescimi indiscreto, se vi chie-
dessi che prescrivereste come specialmente normale al-
la facultà degli ingegneri in Pavia un forte insegna-
mento di scienze agrarie, a spese, s’è necessario, di
qualche più alto ramo di calcolo o d’eleganza archi-
tettonica. Da presente vostra deliberazione dipende che
quell’agricultura, che Arthur Joung prese a primo mo-
dello e punto di partenza dell’alta coltura inglese, possa
risolutamente avviarsi a un corso di nuove trasforma-
zioni, sicché i figli dei maestri non siano più lunga-
mente da meno dei figli degli scolari.
Non v’è altra parte d’Italia dove i grandi proprie-
tarii e i grandi agricultori siano gii per avita consue-
tudine disciplinati a subire in tutti i loro accordi la
dittatura d’una classe dotta. Nella vostra Toscana co-
desto corpo di arbitri perpetui fra i padroni e i colti-
vatori non esiste, non ha ragione d’esistere; e io non
potrei consigliare a volerveli educare per mero propo-
sito d’uniformità.
Ma voi per converso avete le Chiane, avete i fossi
di Pisa e gli stagni di Maremma. Le vostre aque, come
quelle di Sardegna, discendono da monti che hanno
larghissime piogge, ma non hanno nevi perenni; le
a p e hanno indole torrentizia; nella stagione asciutta
vi mancano; o si volgono in dannose paludi. Voi non

8. - C.ATTANSEO. S c r i t t i politici. III.


114 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

potete assicurare ai ricolti nell'istante supremo un sorso


d'aqua che li salvi; anzi guatate con sospetto ogni
pozza che vi rimanga intorno. Non so s'io cada in
grave errore dicendo che, preoccupati sopra tutto nelle
opere d'asciugamento, né potendo, come a noi, gio-
varvi le irrigazioni a mescolare per assidua azione
idraulica terre e terre, voi potreste nella facultà spe-
ciale per gli ingegneri toscani e sardi introdurre studio
normale di drenatura e marnatura, dando esatte no-
zioni geologiche, almeno per la parte della stratigrafia.
Con che non solo si potrebbe alleviar di molto la
dispendiosa aratura dei campidani, ma promovere a
gran ristoro de' popoli lo scoprimento d'aque salubri.
Gli ingegneri milanesi ricavarono gran profitto agrario
dalle aque sotterranee. In altro modo, altretanto fecero
i modenesi.
' Così parimenti, nelle facultà di Bologna e Padova,
che da secoli sono in guai per le rotte del Po, e i
tagli dell'Adige e della Brenta, e per tutto quel la-
birinto di fiumi e lagune che cinge l'Adriatico da
Ravenna ad Aquileja, sono di somma opportunità le
scienze idrauliche e sopratutto la fisica de' fiumi; men-
tre nell'Insubria l'uso di quelle scienze si riduce a
poco più della misura delle aque, cioè alla dottrina
dei battenti.
Or codeste tre varietà d'insegnamento, se mai per
decreto d'uniformità venissero imposte agii ingegneri
della facultà di Genova o di Palermo, converrete meco
che sarebbero tutte inopportune e oziose.

Il principio che abbisogna alle facultà italiane, è


adunque ciò che in economia si chiama divisione del
lavoro; è ciò che in psicologia si chiama analisi. La
sintesi sarà l'Italia. La sintesi non è la ripetizione, non
è l'uniformità; ma è la più semplice espressione della
massima varietà. Quanto più fuggirete l'uniformità, tan-
VII - PUBBLICO INSEGNAMENTO 115

to più l'opera vostra sarà compiuta; o dacché in sif-


fatte cose non vi può esser mai compimento né fine,
tanto più sarà grande.
Sì, è la suddivisione delle facultà, è la loro spe-
cificazione ch'io vi dimando per gli ingegneri italiani;
voi potete farvene l'istitutore. Voi darete all'Italia in-
gegneri architetti, ingegneri idraulici, ingegneri agro-
nomi, ingegneri censuarii, ingegneri delle miniere, in-
gegneri militari, navali, geografi, ferroviarii, e uomini
nati con genio mecanico, ma fondati anche nel calcolo
e nella fisica e intenti per la loro carriera ad appro-
priare a questa antica industria italica tutte le nuove
applicazioni delle forze.
In codeste facultà, sebbene speciali, certi rami d'in-
segnamento potranno essere uniformi; certamente sarà
necessaria in tutte una certa parte delle matematiche.
Ma se intendete conferire ad alcuno il titolo alquanto
arduo di dottore in matematica, e non volete che sia
una vanità, è necessario che dimandiate ad una fa-
cultà speciale di prepararvi i professori di matemati-
che pei cento licei d'Italia, per tutti li altri stabili-
menti di primo e secondo ordine, per le scôle militari
e maritime, per le specule astronomiche, per I'inse-
gnamento privato, e in fine, di educare degnamente
quei rari intelletti che cercano la scienza per la scienza,
e hanno diritto d'attingere immantinente e solamente
alle fonti più sublimi. Non vi mancheranno dunque
centinaia d'allievi, se doveste concentrare in una fa-
cultà speciale d'alta matematica, poniamo in Modena,
quanto nervo di potenti matematici si trovasse ora di-
sperso per tutte. Allora non vedremo più spendersi in
Pavia la mente d'un Bordoni a spiegar geodesia ele-
mentare agli agrimensori. Ogni classe di scienze sa-
rebbe ordinata nelle sue armi speciali, come un eser-
cito. A corona di più facultà pratiche, una grande
facultà speculativa!
116 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

Potrete coilocare allora la scôla degli ingegneri na-


vali nel più gran centro di costruzione, o almeno di
navigazione; potrete collocare gli ingegneri fluviali in
Padova o in Bologna, o in ambo le città fino a che
il genio dei professori, o l'incremento della scienza,
o i bisogni della nazione, additassero qualche ulte-
riore specificazione; di che non è a dubitarsi. Potrete
collocare gli ingegneri delle miniere in luogo dove non
possano girare li occhi senza vedersi affacciare da monti
e valli le evoluzioni del globo. E gli ingegneri archi-
tetti, davvero architetti e ministri del bello, non avran-
no a sfogliar volumi per raccoglienti una fioca ombra
dei monumenti di Roma, anziché aggirarsi fra quelle
venerande moli, e stimarle dal vero, e contemplarle
per anni a lume di sole e a lume di luna.

Ora vengo ai numeri. Suppongo che le vostre fa-


cultà uniformi siano per gli ingegneri in tutta l'italia
una decina. Voi, con cento professori, avrete nulla più
che dieci rami di scienza, uniformemente ripetuti in
dieci luoghi. Io col medesimo numero di professori,
la metà dei quali dia le parti d'insegnamento neces-
sarie e communi a tutti i corsi, e l'altra metà si de-
dichi ai rami speciali di ciascun corso, avrò parimenti
ripetuti dieci volte nella prima metà cinque rami di
scienza; ma nella seconda metà potrò avere cinquanta
diversi rami. La vostra analisi avrà fatto dieci passi;
la mia ne farà cinquantacinque. La mia sintesi nazio-
nale avrà una forza quintupla della vostra. Sarà quin-
tupla la varietà dei servizi speciali ch'io potrò rendere
alla nazione.
Applicate questo calcoIo a tutto il circo scientifico;
e avrete a riconoscere che dove il primo vostro pensa-
mento alimenterebbe cento o duecento rami di scienza,
il mio, collo stesso numero di persone, ne nutrirebbe
cinquecento o mille!
VII - PUBBLICO INSEGNAMENTO 117

Aggiungo, al capitolo delle spese, che nella mia


supposizione si risparmiano molti stabilimenti speciali,
di cui non si potrebbe in ogni modo far senza; ov-
vero, come ben piuttosto vorrei, l'Italia potrebbe, a
pari dispendio, avere una più varia e vasta enciclo-
pedia. E l'Italia avrebbe già dato alle nazioni sorelle
l'esempio d'una cosa veramente utile e grande.
Questa idea di ripartire in diversi luoghi le varie
sezioni degli studii, non è strana né nuova. Le uni-
versità così cominciarono. In Parigi, fino ai tempi di
Luigi XIV, unica scienza officiale era, come al tempo
degli antichi druidi, la teologia; e ancilla theologiæ,
la logica disputativa, la dialettica. I1 papa Onorio III
vi aveva proibito lo studio del diritto civile, e l'inter-
detto durò 460 anni (1220-1679). Non vi parrà vero,
ma dacché fu abolito quell'interdetto papale in Fran-
cia, non compiono ancora due secoli, tanto siamo an-
cora vicini alla barbarie. Nel mondo cristiano, era unico
asilo allora della giurisprudenza la libera Bologna.
Poteva scrivere sul suo stemma: Bononia docet, per-
ché scriveva sulla sua moneta: Libertas. Unico asilo
della medicina nel mondo cristiano era Salerno; e i
diabolici misterii dell'astronomia, dell'algebra e della
chimica solamente in seno al mondo arabo si salva-
vano dagli angeli dell'inquisizione,
Non mi direte che sarebbe un rinovare quella di-
spersione delle università che si vide nella vostra To-
scana all'ultimo ritorno degli arciduchi. Io non vi pro-
pongo di cacciar da Pisa i medici o i matematici. Ma
quando un professore, od uno studente, volesse dedi-
carsi unicamente alla matematica, io gli direi: Avrete
più forti scolari, o più forti maestri, nella facultà di
Modena; e quando aspirasse all'idraulica, gli direi :
I1 caso vostro è piuttosto in Padova o in Bologna.
Nell'esterno della facultà nulla è mutato; ma nell'in-
temo, ogni ramo d'insegnamento è più adatto a chi
118 . CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

lo riceve e a chi lo dà, e sopra tutto al paese ove


si dà.

Né codesta specialità di studii sia propria solo della


facultà matematica. Assento con voi che lo studio del-
le Pandette non sia normale per tutti; non per i pro-
curatori, né per i causidici, né per quanti mirano a
impiegarsi nella publica amministrazione. Ma li ope-
rosi legulei, carichi d'affari e leggieri di dottrina, van-
no di quando in quando a chiedere il verbo a pro-
fondi consultori; ed è necessario che ogni città ne
abbia. E sui più alti scanni dei tribunali devono chia-
marsi uomini che fin dalla gioventù si siano debita-
mente preparati alle più recondite quistioni del diritto
civile. Né si può ammettere che in una gran nazione,
e nella terra madre della giurisprudenza, questa debba
essere passatempo di dilettanti.
Fra tutte le facultà legali in Italia datemi adun-
que una che sia pel diritto ciò che spero mi abbiate
già concesso per la matematica. Quivi si formeranno i
giureconsulti, i sommi magistrati, i giovani aspiranti
alle catedre legali nelle altre università e tutti coloro
che vogliono sapere per sapere. Io credo che questa
facultà troverebbe il favore d'antiche e maestose tradi-
zioni in Napoli. I suoi allievi potrebbero chiamarsi dot-
tori in legge; e questo titolo sarebbe dimandato a chi
aspirasse a certe alte funzioni.
Voi riponete parimenti fra gli studii meramente
complementari nel corso legale il Diritto Amministra-
tivo; e nel corso di filosofia e filologia, epperò alquanto
fuor di posto, la Statistica. Io penserei che queste due
scienze dovessero far parte d'un corso normale per
tutti coloro che dimanderanno al ministro degli Interni
qualunque officio che sia più che di scrivano. Io non
so come si possano rispettare governanti d'alcun grado
che siano oggidì al tutto ignari della statistica; anzi li
VII - PUBBLICO INSEGNAMENTO 119

vorrei iniziati da gioventù anche nell'economia pu-


blica. E così, accanto ad una speciale facultà giuridica,
vorrei una speciale facultà amrmnistrativa. In tanto
diluvio di burocrazia, credo che il numero degli ac-
correnti sarebbe forse soverchio per una università sola.
E allora, si potrebbe distinguere in due gradi: uno dei
quali inteso a formare professori speciali, consiglieri di
stato, aspiranti ai consolati e alla diplomazia; e vi si
potrebbe dare per programma lo Staats-Lexikon. Do-
vrebb'essere nella sede dei ministerii, affinché potes-
sero e dovessero frequentarla tutti i loro aspiranti.
E anche nel ramo giuridico non vi potrebbe non
essere qualche differenza affatto locale. Laddove in
cima all'edificio penale sta inconcusso, e quasi osten-
tato con orgoglio da magistrati il patibolo, la gradua-
zione delle pene e la loro teoria non può essere come
nelle università della vostra mite e ragionevole To-
scana. Voi non vorrete contendere ai giovani che spe-
rano nell'umanità d'andare a confortarsi nelle serene
tradizioni di quelle città, dove alla voce di tre genera-
zioni di filosofi risponde la coscienza del fabro che ne-
ga di edificare colle onorate sue mani il palco dell'infa-
mia. Pur troppo, per barbarie nostra, è necessario che
in Italia si stiano ancora a fronte due contrarie scôle
di diritto penale, le quali si combattano finché la ra-
gione vinca e l'umanità trionfi. S'io potessi accettare
l'uniformità in ogni altra dottrina, sempre, finch'io viva,
negherei quella del diritto patibolare.
Illustre mio Signore, è un sogno di molti, ma è un
sogno, che un fischio di verga magica possa improvi-
sare per tutta Italia una sola legge. No, vi saranno per
molte generazioni in Torino, in Parma, in Roma, in
Napoli, in Sicilia, contratti compiuti e diritti acquisiti
che hanno radice in leggi antiche e moderne le quali
possono venir nominalmente abrogate, ed esser cre-
dute dal vulgo dei legislatori morte e sepolte, e che
120 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

tuttavia seguiranno come un destino ineluttabile le


discendenze; non dico solo le famiglie; dico le popo-
lazioni. Ed è necessità che avvocati e giudici, dovun-
que sanno di dover essere chiamati a trattare di quelle
leggi, le intendano per sommi principii lucidamente de-
dutti, sicché non abbiano a battagliar nelle tenebre. Io
ebbi almen due volte ad occuparmi della Sardegna;
e ambe le volte feci ogni mio potere per delinearmi in
mente una distinta e precisa idea di ciò che fossero le
vidazzoni, le portadie, le roadie, le cussorgie e i fu-
riardorgi e altri simili vetusti diritti. Ma se avessi
la sventura d'essere, da un cieco e ingiusto principio di
promiscuità, balestrato a seder giudice di siffatti enigmi
in alcun tribunale di quell'isola, io son fermamente per-
suaso che dovrei stupefare coll'ignoranza mia quegli
infelici che invocassero il mio senno e la mia giustizia;
e mi rassegnerei fin d'ora a udir maledirsi in seno alle
spogliate famiglie il mio nome. Ho letto in una rela-
zione parlamentare, se ben mi ricorda, del marchese
Gustavo Cavour, che in forza di siffatti antichi titoli
rimaneva nel 1848, e ben m'imagino rimanga oggidì
ancora, controverso in legge, inculto e quasi deserto,
notate bene, in una terra più fertile della Lombardia,
un millione di ettari; spazio ch'equivale a una metà
della Lombardia!
No, le leggi non muojono di morte repentina, co-
me vaneggiano gli improvvisatori. Vivono e regnano
dal fondo dei sepolcri; e finché vivono e regnano, giu-
stizia vuole che il magistrato le intenda, e perciò, che
la facultà legale per la sua patria gliele spieghi. Non
si tratta d'opportunità; si tratta di giustizia.
Necessita ben altro che qualche catedra d'antico di-
ritto sardo, in Sardegna. Necessita di delegare alti po-
teri a un consiglio provinciale, sì, se la Francia non
deve aver titolo di rinfacciare più oltre l'indegno stato
di quell'isola alla nostra nazione.
VII - PUBBLICO INSEGNAMENTO 121

Alle scienze mediche naturalmente offronsi più


grandi occasioni nelle più grandi città, dove aprono
larga voragine il vizio, la miseria, il dolore. L'ostetri-
cia, la cura dei parti derelitti e delle donne infette non
danno sufficiente corredo di casi pratici nelle piccole
città universitarie. Ma devono costituirsi naturalmente
in luminose specialità presso i giganteschi ospizii dove
si addensano a migliaja le vittime della società. Voglia-
te o non vogliate sancirlo con legge, quivi sempre
avrete un insegnamento; forse rami nuovi di scienza. E
sarebbe ingiusto e improvido il non tenerne conto ai \
giovani che vi si fossero interamente dedicati. Di là
potrebbero arrecar nuovi lumi alle vetuste università,
se vi venissero chiamati anche solo a porgere brevi
corsi speciali. Una grande scôla d’oculistica, parimenti
da voi obliata (pagina 26), viene assegnata dalla natura
a qualche gran città nei climi infestati dalle oftalmie.
Un asilo d'invalidi sarà sempre un museo vivente per
la chirurgia operativa. Un popoloso carcere è la na-
tural sede di quella scienza penitenziaria che ondeg-
gia tra il diritto, la medicina e la psicologia, e che voi
parimenti obliaste. Anche di questo altissimo ramo si
potrebbe dare, a intervallo d'anni, un corso speciale.
E fra i giovani che lo seguissero, si dovrebbero a prefe-
renza scegliere i medici carcerarii e i direttori delle
prigioni.
E anche la medicina teorica ha le sue varietà. Non
sarebbe lodevole che gli eletti dei ministri invadessero
la facultà medica di Parma, e soffocassero una tradi-
zione che fu per mezzo secolo la maggior gloria me-
dica dell'Italia, sia poi, come alcuni scrivono, troppo i
ontologica e ideale, o come in modo diametralmente
opposto scrivono altri, troppo ciecamente empirica : a
laedentibus et juvantibus. In verità, è unanalisi che si
è fermata a mezza via. Nelle facultà mediche v'è so-
vente qualche splendido ingegno, il cui prestigio sog-
122 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

gioga prima li allievi, poscia i colleghi, e a poco a poco


attrae nel suo vortice teorico tutti i rami collaterali,
sicché alcuni rimangono immolati alla nuova idea. Può
essere un traviamento; e può essere un progresso; è
un'idea che da una scienza trapassa nelle altre, e si
compie e si rettifica. Ma se assoggettaste tutte le fa-
cultà mediche alla dottrina favorita in palazzo, una
sola influenza peserebbe su tutte le scôle d'Italia. Bi-
sogna che le facultà mediche siano fra loro indipen-
denti. Nella gran sintesi nazionale, le varie ipotesi mi-
litanti e incomplete si fanno equilibrio e si danno
lume.
E il caso delle filosofie greche, che perciò perirono
colla libertà. Cousin, colle sue cento catedre d'eclet-
tismo, cioè d'istoria della filosofia, oppresse in Fran-
cia la filosofia francese. Ciò che più gli importava nei
professori era che sapessero il greco e il tedesco. Il
progresso della scienza, sui problemi del giorno, rimase
interamente fuori delle scôle, in mano d’uomini im-
preparati, che ignoravano, i più, le verità trovate; i so-
cialisti l'economia. Quindi la filosofia soverchiata e cal-
pestata dalla politica e dalle teologie.

Vi rendo omaggio in ciò che proponete per la chi-


mica, scienza sì poco feconda in questa patria della
fisica. Promotore io stesso, come scrittore del Politec-
nico e come relatore della Società d'arti e mestieri,
d'una grande scôla chimica in Milano, alla quale nel
1848 meditava d'aggiungere un insegnamento pratico
d'Arte Tintoria a compimento di quello della Tessitura
Serica, mi rallegro di trovar da voi collocate in diverse
facultà tante varietà e attinenze dello studio chimico 1.

Chimica generale, organica, metallurgica, agraria, m e


dica, patologica, farmaceutica, farmacia pratica, farmaco-
logia, tossicologia ec.
VII - PUBBLICO INSEGNAMENTO 123
In questi argomenti non oso consigliarvi. Vorrei però
consideraste bene come questi rami, sparsi e ripetuti
in molti luoghi, non potrebbero facilmente avere suffi-
cienti apparati. Al che si ovvierebbe, se, come per l'alta
matematica e la giurisprudenza, voi costituiste per la
?
fisica e la chimica una facultà speciale in qualche città,
supponiamo in quella ove voi medesimo dimorate. E
potrebbe, con minore dispendio, essere una splendida
istituzione. Quivi potrebbero compiere debitamente il
loro noviziato scientifico i professori di fisica, chimica,
agricultura, geologia, per i cento licei e per le scale
speciali, nonché i farmacisti e i chimici industriali. Non
OSO inoltrarmi a dire che vi potrebbero stanziare per
il primo anno del corso anche i medici; studiando, ol-
tre ai rami speciali di chimica da voi mentovati, anche
alcune parti della fisica, per esempio, perdonatemi se
cado in errore, la meteorologia.
In siffatto emporio di fisica e chimica, si potrebbe-
ro facilmente dare, in diversi anni, diversi corsi di
chimica applicati successivamente a diverse arti; e così
ringiovanir mano mano tutte le industrie. Le camere
di commercio, le società d'agricultura, le società ope-
raje, che mi sembrano una grande speranza d'Italia, vi
darebbero li allievi. Anzi forse una sola di siffatte fa-
cultà non basterebbe; e se fossero due, l'una dovrebbe
coordinarsi specialmente alla medicina, l'altra all'in-
dustria.
Voi ben vedete meglio di me quante cose in que-
sto proposito si potrebbero dire, né io da me solo le
troverei.

E ancora fin qui la scienza ci rivolse una sola


delle sue fronti; fin qui abbiam ragionato della tradi-
zione scolastica, che deve consegnare alle novelle ge-
nerazioni il patrimonio del sapere qual è. Ma la scienza
viva mira al futuro; a lato al fiume della tradizione,
124 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

s’aprono ogni dì le fonti della scoperta. Si levano a


poco a poco nel seno delle università certi uomini che
divengono Galileo, Newton, Vico, Volta. Questi allora
devono lasciarsi proseguire imperturbati le arcane loro
vie, Non si può dir loro: In ogni tal dì della setti-
mana, ad ogni tal ora, voi troncherete a un tocco di
campanello i romiti voli del genio; e scenderete a
guidare nel polveroso trivio la calca degli esseri vul-
gari, pei quali la scienza è solamente la pianta del pane.
Ah per codesti uomini rivelatori, vi debb’essere una
scienza ad hominem. Morto l’uomo, la sua sedia si
chiude; e sopra vi si scrive in lettere d’oro il suo
nome. Quando è morto Vico, a chi si può dire: Ve-
nite qua voi, a compiere la Scienza Nuova? Quando
è morto Newton, a chi si può dire: Vi preghiamo e
incarichiamo d’esser grandi come lui?
Anche senza tale altezza di genio, è proprio della
scienza esperimentale, è proprio dell’osservazione dei
fatti, la quale comprende anche lo studio dei feno-
meni mentali e morali il condurre quasi infallibilmente
alla scoperta. È la via che Leonardo da Vinci previde;
che Galileo mostrò gloriosamente al mondo, che Ba-
cone filosoficamente descrisse. Quando un professore
entrò con felice ardimento in una di queste novelle
vie, non son più le sue lezioni che importano, sono
i suoi secreti studii, sono le imminenti sue scoperte.
Non importa più qual sia la consegna che la disci-
plina universitaria gli ha dato; non importa più qual
sia la scienza antica che lo addusse all’atrio della
scienza nuova. Adamo Smith era professore di filosofia;
Genovesi, suo precursore, insegnava retorica in un se-
minario. Non importa con qual titolo uomini siffatti
possano avere in un’università o altrove un tetto ono-
revole, una licenza d’ozio scientifico. Vi debb’essere
un noviziato nella scienza come nella chiesa O nella
milizia.
VII - PUBBLICO INSEGNAMENTO 125

Io non credo adunque con voi che « le catedre


normali siano affidate ai professori di maggior dottrina
e specialmente a coloro che hanno un lungo esercizio
d’insegnamento; i corsi di Complemento invece siano
il campo dove si esercitano i dottori aggregati, una
specie di scôla normale superiore, stabilita accanto al-
le grandi università, dove i cultori della scienza si
perfezionano dandosi a studii e insegnamenti speciali »
(p. 12).
Io vi consiglio d’invertere codesta scala.
Gli scienziati di maggior dottrina, molto più s’eb-
bero già lungo esercizio d’insegnamento, quando sono
uomini di genio, sogliono trovare cammin facendo, e
nel correre e ricorrere le generalità della scienza tra-
dizionale, m punto oscuro che arresta la loro mente,
che sveglia l‘attenzione e suscita il dubbio dove prima
appariva una superficiale evidenza, come crosta di
ghiaccio sovr’aqua profonda. Ecco cominciare per loro
in quell’istante una seconda vita. Dalla dottrina, dal-
la tradizione, essi trapassano all’induzione, all’ipotesi,
alla scoperta, all’evoluzione di quelle idee alle quali
si fecero, coi lunghi studii e col possesso delle cose
note, lentamente maturi. Essi ne annunciano al pu-
blico le primizie, essi dimandano di potervi dedicare
il loro tempo oramai sacro, la loro vita che oramai
sarà breve al volo che li attende. Essi per alti diritti
devono esser fatti esenti dalla quotidiana fatica, dalla
snervante assiduità. Daranno conto di sé in corsi emi-
nenti, nei quali esporranno brevemente ogni anno la i
serie dei loro studii. S’inviteranno ad assistervi i col-
leghi, e più, i professori delle scienze affini nelle altre
università. Che più? Io vi rammento Volta in Parigi
avanti a Bonaparte, avanti all’Academia attonita, umi-
liata, quasi incredula. Io m’imagino che in Roma no-
stra, in una facultà unica, soprastante a tutte, in una
facultà delle Scienze Nuove, venissero ogni anno in
126 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

giorni solenni gli eroi della scienza a narrare in breve


al fior della nazione e ai peregrini dell'idea le loro
ultime gesta. A questi giochi olimpici dell'Italia pen-
sante, dell'Italia liberata dal giogo delle inquisizioni,
inviterei con alta ospitalità i più gloriosi campioni del-
la scienza straniera.
Ora all'altro capo della scala.
I più valenti figli dell'università, venuti da tutta
Italia agli studii speciali, quelli in cui si palesa pre-
coce la passione del sapere, devono circondar le cate-
dre come assistenti; raccogliere le antiche dottrine e
le nuove come ripetitori; far le prime prove come
supplenti. Quando un veterano si raccoglie ne' suoi
studii, essi gli succedono. Essi apportano all'insegna-
mento la vivacità degli anni, il diletto della novità,
le simpatie dei giovani. Afferrano la scienza all'ultimo
suo punto d'arrivo; non portano sul cancello vetusti
zibaldoni, ove dorme da trent'anni la scienza della
passata generazione : o perché il professore favorito
del potere non ha mente o non ha cuore: o perché
vive assorto in un'idea, la quale traccerà un solco in-
delebile nell'istoria della scienza, ma deve rimanere
disciolta e fusa, priva di nome, nelle generalità del-
l'insegnamento elementare.
Tutto ciò debb'essere per le università un'eredità
di famiglia. Io non credo che giovi chieder loro una
terna, da proporsi, come voi dite, al re, e come voi
sapete, al ministro del giorno, ovvero a quelli che
imperano in suo nome, a quegli astri senza luce che
non tramontano mai. Nessuno è più interessato alla
gloria d'un'università di coloro che in essa nascono e
vivono al sapere e all'onore. Possono essere ingiusti
quant'altri, ma non possono essere ingannati. Quando
in tutte le altre cose la legge dimanda il giudizio dei
periti, solo nelle più ardue cose voi sancirete il giu-
dizio dei meno penti? No, illustre Signore, tenete lon-
VII - PUBBLICO INSEGNAMENTO 127

tane dai santuarii della verità le nebbie del favore,


l’alterna intemperanza delle fazioni. Vi sono molti uo-
mini che si terrebbero gloriosi d’esser chiamati dal
voto dei loro pari; e che non vorrebbero mai dare
ad un capo di parte, fosse anche la propria, il diritto
di chiamarli ingrati; che non vorrebbero mai dare a
giovani generosi il diritto di sospettarli venali.
Voi sapete che chi vuol far prevalere un nome,
sovente lo pone in tema con due nomi oscuri. E al-
lora, se trionfa il merito, la terna è una vana forma,
è un sopruso; se non trionfa, il ministro può lagnarsi
che gli fu tesa un’insidia. Vi sono catedre a cui non
è difficile trovar cento aspiranti di bastevole valore.
Ad altre, troverassi appena in tutta Italia un occu-
patore che non debba temere di sembrar da meno.
Nel primo caso la terna è poco; nel secondo è un
numero inarrivabile.

IO non posso dire in poco tutte le altre cose che


la lettura del vostro scritto mi destò nella mente; e
mi pare d‘aver già varcato i termini che mi era giu-
stamente prefissi.
Ma non posso non aggiungere qualche parola in-
tomo la lagnanza vostra che l’istruzione teologica manca
nelle scöle ecclesiastiche, e che pertanto è dovere in
noi di porgerla ai preti nelle nostre università (p, 13).
Se l’insegnamento nei seminarii è soverchiamente let-
terario, superficiale in teologia e assolutamente nullo
in ogni altra scienza, e se voi credete che questa
cura appartenga a voi, siete legislatore; fate che là
dov’è la mancanza si provveda. Ma non dimandate che
i preti già fatti vengano a ricominciare gli studii nel-
le università. In quelle vuote aule non avrete mai se
non qualche aspirante agli onori, al quale giovi po-
tersi chiamar dottore in teologia.
Voi vorreste in tutte le università istituire facultà
128 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

teologiche di professori irreprensibili per le dottrine e


riconosciuti per tali dall'autorità ecclesiastica (p. 13).
Signore, l'autorità ecclesiastica in Italia è una sola; ed
è quella che cinta d'armi straniere combatte l'Italia
in Roma. È quell'autorità sì poco amica alla scienza,
che in nome di Dio negò solennemente
--...--
l'esistenza de-
gli antipodl e il moto della terra; che Combatté l'ana-
tomia, la geologia, la linguistica, l'etnografia, la cro-
nologia; che ci cavilla ancora oggidì la lettura del-
l'Evangelio. Solamente jeri, essa rapiva in Barcellona
trecento volumi; e con barbara ostentazione li gettava
nelle fiamme. La teologia è un miscuglio di Cristo e
d'aristotele, d'Aristotele che non credeva né manco
alla immortalità dell'anima; la teologia non è I'Evan-
gelio; non è la religione.
Quegli uomini che Roma non può giudicare irre-
prensibili se non sono apertamente o celatamente no-
stri nemici, verranno adunque per mano nostra intro-
dutti in tutte le nostre « fortezze scientifiche », alber-
gati a nome della filosofia che verranno a invigilare
e a minare, protetti dalle vostre leggi, dal vostro man-
dato regio, inviolabili, intangibili! E se vi sarà un prete
evangelico che ami Iddio e la patria, e perciò non
possa esser giudicato irreprensibile in Roma, voi vi la-
scierete intimare di cacciarlo dalle vostre sale?
Io non posso concepire altra facultà teologica in
Italia che un venerabile asilo pei teologi perseguitati.
Il loro titolo evangelico e scientifico sia la persecu-
zione che soffrono.
No21 allegate l'esempio della Germania, del popolo,
come voi dite, intellettualmente più libero del mondo
(p. 13). Il popolo germanico è intellettualmente libero,
perché nel suo seno si stanno a fronte tre grandi
chiese; e lo splendore degli studii liberi le costringe
tutte a scendere nell'arena con armi eguali; la libertà
illumina anche i suoi nemici. Ma l'Italia non ha que-
VII - PUBBLICO INSEGNAMENTO 129

ste forti dottrine radicate nella coscienza dei popoli.


Voi dovete inchinarvi a tutto ciò che discende dal
Vaticano, essendoché la dottrina infallibile del Vati-
cano è la religione dello Stato, nella quale giurate.
Per I'amor dell'Italia e della verità, non fate più di
ciò che avete giurato.
. Anziché protendere nuovamente su tutte le univer-
sità le antiche ombre duna teologica inquisizione, io
ben piuttosto vorrei che l'illustre mano vostra vi span-
desse la viva luce e li ardori del genio guerriero. Io
vorrei che meditaste qual parte di scienze militari si
potesse innestare in ciascuna facultà e in ciascuna
scienza. Noi dormiamo troppo spensierati, poche mi-
glia fuori dal campo nemico. Mai non avremo altri
salvatori che noi tutti; mai non saremo tutti una na-
zione libera, se non dopo che saremo tutti un esercito.
Questa è per la nostra generazione la scienza delle
scienze. Ad ogni più alto pensiero la gioventù deve
sempre intessere un pensiero di guerra: unâ manu
faciebat opus; et altera tenebat gladium (Esdr., II,
IV, 17).
Dateci nelle università nostre una gioventù che sia
presta sempre a guidar sul campo la nazione armata!
Questa sia una nuova gloria della vostra vita.
Vi rendo nuove grazie, illustre Signore, e vi sono, ec.

Luglio 1883
Raccolta di scritti politici
e sulla publica istruzione *
Son qui svolti con ampiezza, con schiettezza, gli
intendimenti che diressero l'ex ministro Matteucci nel-
le riforme da lui progettate o compiute nell'istruzione

* Pubblicato anonimo in POL., 1863, XVIII, pp. 137-141.

9. . CATTANEO. Scritti politici. III.


VII - PUBBLICO INSEGNAMENTO 129

ste forti dottrine radicate nella coscienza dei popoli.


Voi dovete inchinarvi a tutto ciò che discende dal
Vaticano, essendoché la dottrina infallibile del Vati-
cano è la religione dello Stato, nella quale giurate.
Per I'amor dell'Italia e della verità, non fate più di
ciò che avete giurato.
. Anziché protendere nuovamente su tutte le univer-
sità le antiche ombre duna teologica inquisizione, io
ben piuttosto vorrei che l'illustre mano vostra vi span-
desse la viva luce e li ardori del genio guerriero. Io
vorrei che meditaste qual parte di scienze militari si
potesse innestare in ciascuna facultà e in ciascuna
scienza. Noi dormiamo troppo spensierati, poche mi-
glia fuori dal campo nemico. Mai non avremo altri
salvatori che noi tutti; mai non saremo tutti una na-
zione libera, se non dopo che saremo tutti un esercito.
Questa è per la nostra generazione la scienza delle
scienze. Ad ogni più alto pensiero la gioventù deve
sempre intessere un pensiero di guerra: unâ manu
faciebat opus; et altera tenebat gladium (Esdr., II,
IV, 17).
Dateci nelle università nostre una gioventù che sia
presta sempre a guidar sul campo la nazione armata!
Questa sia una nuova gloria della vostra vita.
Vi rendo nuove grazie, illustre Signore, e vi sono, ec.

Luglio 1883
Raccolta di scritti politici
e sulla publica istruzione *
Son qui svolti con ampiezza, con schiettezza, gli
intendimenti che diressero l'ex ministro Matteucci nel-
le riforme da lui progettate o compiute nell'istruzione

* Pubblicato anonimo in POL., 1863, XVIII, pp. 137-141.

9. . CATTANEO. Scritti politici. III.


130 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

publica. Nella rapina in cui le crisi ministeriali tra-


volgono le patrie istituzioni, nell'incalzarsi disordinato
e confuso di programmi che a parer più compiuti, più
nuovi, più risolutivi, sdegnano aver ricorso a quelli
delle amministrazioni antecedenti, rifacendosi ogni vol-
ta da capo, obliando o sconoscendo i buoni tentativi
dei ministri caduti, questo libro può tornare di sin-
golare beneficio. E d è un esempio che non dovrebbe
passare inosservato perché adduce la publicità nelle
altre regioni governative, contiene un omaggio all'opi-
nione del paese, attesta nell'autore la forza di una
convinzione che non teme il giudizio nazionale. Que-
sta specie di postuma professione di fede di un mi-
nistero che diede innegabilmente buon saggio delle
proprie intenzioni, contiene una serie di consigli di
cui quanti gli succederanno sono tenuti profittare, per-
ché sono il risultato di esperienze coscienziose e di
un sistema razionalmente collegato; e noi crediamo che
ai nuovi ministri verrà sempre gran lode del saper
congiungere l'ardore dell'iniziativa a quella schietta
modestia che ci fa attenti e benevoli agli esempi dei
predecessori. E sarebbe pur bene che gli amministra-
tori mirassero a fissare, come il Matteucci qui, attra-
verso le minute disposizioni di legge i concetti che
ne informarono lo spirito, le norme generali che gui-
darono la loro condotta, lasciando un testamento po-
litico sul quale soltanto avrebbero per molti riguardi
diritto di essere giudicati. Che se le opere fossero
state dissimili dai principj proclamati, tanto più ap-
parirebbe la necessità di portare nell'amministrazione
un programma discusso, alieno del pari dalle intolle-
ranze sistematiche, come dalle studiate servilità.
Per certo noi non vogliamo imporre limiti ed im-
pacci allo svolgimento di una buona amministrazione;
e ci guarderemo bene di chiudere una sola porta al-
le forti e robuste idee, delle quali la publica cosa
VII - PUBBLICO INSEGNAMENTO 131

tra noi ha sì gran bisogno; ma vorremmo, eziandio


alio scopo che la responsabilità ministeriale non re-
stasse un vano nome, che all’opinione publica non
mancassero i termini di giudizio e di confronto, e al
paese non mancasse una guida nel labirinto delle leg-
gi e disposizioni governative; vorremmo, ripetiamo, che
gli uomini di Stato sapessero, abbandonando il potere,
dar conto di sé, potessero invocare e incontrare il
publico giudizio più presto che subirlo; col che pro-
vederebbero meglio che in ogni altra guisa alla pro-
pria fama e al decoro e al vantaggio del paese. Giu-
dichiamo i ministri coll’autorità e colla calma di chi
non ha mai adulato; ma risparmiamo ad essi lo spet-
tacolo di una demolizione inconsulta che ne abbatte
le opere senza conoscerne il piano, senza esaminarne
le basi; non moltiplichiamo le rovine.
Il Matteucci, abbandonando il potere, ebbe da Gino
Capponi una lode rara, d’essere morto in piedi. A
mostrarsegli grato, e vivo, il Matteucci gli scrive una
lettera che precede la presente raccolta, la cui ele-
gante e densa esposizione riassume quanto egii venne
operando come ministro. E comincia dal dichiarare
che egli fu dei primi a propugnare lo scentralizza-
mento, negli articoli sul riordinamento del regno ita-
liano dettati per la Revue des deux Mondes; né mo-
dificò, com’altri, le sue opinioni poiché passò al go-
verno della cosa publica; soltanto ebbe a riconoscere
non nativa fra noi quella qualità della schiatta anglo-
sassone, anima delle istituzioni inglesi ed americane,
che dà scatto alla vita della parochia, del borgo, della
contea; sicché lo scentralizzamento non basta iscriverlo
nelle leggi, ma bisogna prepararlo nei costumi, di-
struggendo le fiacche abitudini eredate da governi di-
spotici a cui conveniva imitare la Francia, accumulare
la forza in poche mani, in pochi centri. Fra un pas-
sato in cui il governo fu tutto, poté tutto, abusò di
, . .. _I__--- . . ... .

132 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

tutto, ed un avvenire, forse non lontano, in cui il go-


verno, spogliandosi degli abusati poteri, si suddividerà,
si confonderà intimamente col paese organizzandosi
nelle associazioni, e ritemprandosi nell’iniziativa pri-
vata, il Matteucci addita l’ufficio educativo che do-
vrebbe assumere oggi in Italia, con un’azione non mi-
nuziosa, non lesiva, non aspreggiatrice, ma larga, com-
plessa, che riformando i vecchi ordini li atteggiasse ai
bisogni speciali di ogni provincia, e inculcasse alle
autorità locali il diritto e il debito di quella respon-
sabilità, senza cui l’onniscienza e l’onnipotenza dello
Stato resterà sempre una pretesa per alcuni, una scusa
per molti ed un male per tutti.
Solo l’istruzione in ogni guisa sollecitata e promossa
potrà addurre un rimedio alla paralisi delle intelli-
genze e delle volontà, onde veggiamo colpite le nostre
popolazioni, e che lascia la via allo Stato d’impadro-
nirsi delle forze del paese, di cui diviene solo e asso-
luto amministratore. Quanta più luce si diffonde in
un paese, tanto più lo Stato si ricongiunge alla na-
zione, da cui in tempi di barbarie e di servaggio stac-
cossi violentemente, e cessa di soverchiare coll’ineso-
rabile assolutismo della spada, laonde è manifesto che
l’istruzione è la più valida tutela della libertà. Mat-
teucci, scienziato e toscano, presceglie le armi morali
che toccano e sanano; sicché nelle provincie meridio-
nali moltiplicò le scuole elementari, distribuì sussidi a
maestri e maestre, ordinò speciali ispezioni; e nel bi-
lancio del 1863 voleva che la somma destinata al-
l’istruzione primaria salisse da mezzo milione, qual’è
attualmente, ad un milione; ma dal ministro delle fi-
nanze, s ì poco misurato in altre spese, poté solo ot-
tenere ottocentomila franchi. Rendere l’istruzione al-
lettante sembra al Matteucci miglior providenza del
renderla obligatoria con misure coercitive: « Dove la
libertà arriva col movimento economico che necessaria-
VII - PUBBLICO INSEGNAMENTO 133
mente trascina seco, l'interesse privato è eccitamento
per diffondere l'istruzione elementare, molto più effi-
cace di certe sanzioni penali scritte in alcune leggi
scolastiche le quali è difficile e anzi impossibile ap-
plicare con giustizia. » I buoni metodi ed i buoni
maestri varranno meglio di qualsiasi coazione a con-
vincere i più restii del pregio e dell'utilità degli studj;
abolendo nella primissima istruzione dell'infanzia e del-
la giovinezza tutto che havvi di freddo, di pedantesco,
di mecanico, sostituendovi il moto, la gioja, un eser-
cizio graduale e dilettevole di pensiero, avremo fatto
un gran passo. Ma senza larghi sussidi non potremo
arrivare a questo segno; e dovrebbe il paese confor-
tarsi a fare per l'istruzione primaria i maggiori sacri-
ficj, pensando che il governo inglese, che sì poco si
ingerisce nelle cose locali, pure trovò necessario di
spendere negli ultimi vent'anni nelle scuole elementari
oltre un miliardo. La scuola in ogni comune è monu-
mento di civiltà, nel quale gli animi si affidano ben
più che nella caserma. Collocata accanto al tempio,
ne modera le intolleranze. Arieggiata, pulita porge
esempio di nettezza, d'ordine; onde ne pare lodevole
l'insistenza con cui l'ex ministro nelle sue circolari
raccomandava ai communi di cominciare dall'erigere
un edificio scrivendovi sopra Asilo infantile e Scuola
elementare; raccomandazioni che egli più volte avva-
lorò col fornire vistosi sussidi.
Proveduto ai locali, convien pure pensare alla con-
dizione dei maestri, sollevandola. La republica fran-
cese del febraio, non solo accrebbe le mercedi degli
istitutori, ma determinò premi, dispose graduali avan-
zamenti. « I1 maestro come il soldato, diceva Carnot,
deve avere il diritto di acquistarsi dei gradi ». In
vero il maestro è pur egli un soldato, il soldato del
vero, che combatte una fiera e ostinata battaglia contro
il pregiudizio e l'errore, nella quale se non si richiede
134 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

forza materiale si richiede amore. - L'amore val bene


la forza!
Noi potremmo utilmente imitare la Francia che da
una lieve retribuzione pagata ai communi dalle fami-
glie non del tutto indigenti per l'istruzione primaria,
ritrae una grossa somma con cui ricompensa i servigi
dei maestri; esempio non nuovo in molte provincie
italiane, dove gran numero delle scuole elementari sono
private, e dove anche l'operajo, prodigo per affetto
paterno, è sovente lieto di spendere non lieve somma
purché vedere allevati i propri figli in scuole speciali,
accanto a quelli del borghese o del patrizio.
Gli istituti speciali furono veramente l'oggetto del-
le maggiori sollecitudini del Matteucci, accostandosi
in ciò ai voti espressi altresì dal Politecnico Tali isti-
tuti mancano quasi del tutto fra noi, dove l'istruzione
parve più intesa a formare degli eruditi e dei filologi
che degli uomini pratici, la cui scienza potesse a giu-
sto tempo maturarsi e rassodarsi in un'abilità. La pre-
valenza delle scuole classiche uniformi, plumbee, le
sole che facessero capo agli studj superiori, se poté
da un lato educare fra noi il senso estetico, poco con-
ferì a darci una gioventù robusta, intraprendente, in-
dipendente, munita di quelle cognizioni che avvivano
e dirigono l'operosità umana. La cultura classica, su-
perficiale perché sdegnosa di ricorrere alla specializ-
zazione, a quel principio della divisione del lavoro,
dal nostro periodico altrove invocato auspice delle ri-
forme educative, che è applicabile così alle opere del-
la mecanica come alle occupazioni dell'inteliigenza,
non valse a produrre quelle individualità gagliarde che
attingono al sapere il bisogno e l'energia delle forti
iniziative, una severità d'idee ed una saldezza e fran-
chezza di propositi che invano si cerca in chi trastullò

Vol. XII, pag. 61; vol. XIV, pag. 84.


.,I-_.-__-_-._. . _---

VII - PUBBLICO INSEGNAMENTO 135

I'intera gioventù nelle esercitazioni fluttuanti e mal


precise dell'ingegno. Tanto è ciò vero che vedemmo
le scuole publiche italiane influire più presto a pro-
strare il carattere nazionale che a formarlo, alienan-
dolo dal bisogno dell'azione, trattenendolo nelle sodi.
sfazioni indecise e nelle inquietudini morbose di una
scienza di parole e di date, di servili declamazioni o
di ammirazioni codarde. Ed è a considerare con gran
cura l'influsso educatore degli studj, la connessione,
cioè, fra gli studj e la vita; perocché in tal guisa
perverremo ad imitare e fors'anco a superare l'Inghil-
terra, ove l'insegnamento, appunto perché poté assu-
mervi le forme più spontanee e native, s'adatta alle
più svariate esigenze della nazione, e contribuisce a
serbare il carattere inglese all'altezza che raggiunse
mercé le franchigie politiche ed il lungo e sapiente
esercizio della vita publica.
Volendo imprimere un indirizzo nuovo all'istruzione
secondaria, la quistione dei professori si presenta gra-
vissima, e non sarà mai soverchio l'insistere sulla ne-
cessità di avere buone e numerose scuole normali, ad
esempio dei seminari liberi della Germania e dei con-
vitti di Francia. I1 professore, come deve avere attitu-
dine sue proprie, deve avere erudizione apposita, pro-
fonda conoscenza del soggetto che è chiamato ad in-
segnare; senza di che le leggi e le riforme saranno
insufficienti. I1 Matteucci allargò, migliorò la scuola
normale di Pisa, chiamandovi uomini distinti; ed a
Firenze tenne conferenze scolastiche (che promosse al-
tresì altrove) nelle quali, assistendo l'egregio Lambru-
schini, fu discussa anche la scabrosa materia dei libri
scolastici; ne è ad obliare che da conferenze di simil
natura pigliò vita la scuola normale di Parigi, meri-
tamente famosa.
Un fatto esce concordemente dalle pagine di que-
sto libro, ed è che il governo spende male e poco
136 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - 111

nell'istruzione elementare, e che spende male e troppo


nell'amministrazione scolastica e nell'istruzione superio-
re. Semplificando il minuzioso sistema di sorveglianza
il Matteucci crede che si otterrebbe un guadagno di
mezzo milione, inestimabile, potendosi volgere una tale
somma ad incremento degli studi primari. Le univer-
sità son troppe in Italia, e alcune potrebbero, senza
nocumento della scienza né dei diritti acquistati dalle
città ove tali università si trovano, trasformarsi in isti-
tuti speciali. Le quattordici università del regno co-
stano più di cinque milioni, ovvero 333 franchi per
ogni studente; mentre la Francia spende solo quattro
milioni e mezzo e 180 franchi per studente. Ben lon-
tani dal renderci complici di coloro che chiedono l'abo-
limento di antichi centri di cultura, i quali ci paiono
tanto più da rispettarsi quanto più remoti dal cuore
della nazione, vorremmo che divenissero di un'utilità
pratica, immediata, crescente, con ricca produzione di
opere e memorie originali, con esami severi e autore-
voli, con ampio corredo di gabinetti e machine per
gli esperimenti. E sarà ottimo divisamento il collo-
care le università mediche presso i grandi ospitali,
perché in materia dove la pratica è tutto, non manchi
il provido soccorso di una clinica, come certo non si
potrebbe avere in una città secondaria; al quale ef-
fetto il Matteucci mirò di innalzare ad importanza di
Istituto superiore la ben nota scuola di Santa Maria
Nuova di Firenze; e intendeva altresì raggruppare scuo-
le di medicina intorno l'ospitale di Milano. Nella no-
stra città eresse pure un istituto tecnico, che dovrebbe
un giorno divenire qualche cosa come l'Istituto di
Carlsruhe; e una scuola simile, ma più ampia, inca-
ricata dell'istruzione d'ingegneri maritimi e navali, dei
quali difettiamo, voleva istituire a Napoli; col che
manifestamente provò ch'egli nell'istituzione matema-
tica preferiva alle indeterminate generalità gli insegna-
VII - PUBBLICO INSEGNAMENTO 137

menti in scuole distinte e separate che potessero darci


buoni ingegneri agronomi, idraulici, architetti, o ferro-
viari; non potendosi altrimenti ottenere capacità som-
me, quali si richieggono oggi. All’alto insegnamento
della matematica e delle scienze fisiche e naturali può
provedere un grande istituto apposito, che l’ex ministro
intendeva schiudere nella città che da Galilei a Nobili
ebbe interrotte gloriose tradizioni scientifiche, presso
il Museo fiorentino col titolo Scuola normale superiore
di scienze fisiche e naturali; nel quale raccogliere quei
numerosi e costosi mezzi sperimentali omai indispen-
sabili per tali studj e che non ponno disperdersi in
più luoghi contemporaneamente.
Ne piace notare una stretta parentela fra le idee
espresse dal Politecnico e lo spirito che presiedette
alle succennate riforme; al quale nessun compenso sarà
più accetto di quello d’incorporarsi alle riforme po-
steriori, animandole della propria vita; e meritando,
mercé una calma e ponderata discussione, di sopra-
vivere in quella parte che sarà riconosciuta migliore,
nelle istituzioni del paese, che a non languire han
duopo di giovarsi del concorso di tutte le oneste e
buone intelligenze, di tutte le oneste e buone volontà.

Luglio 1865
Raccolta di alcune proposte di leggi
e di vari scritti sulla publica istruzione
del Senatore C. Matteucci *
L’istruzione elementare ben s’appella primaria, non
solo perché occupa un posto sulla soglia della vita,
ma perché possiede una importanza primissima. I1 di-

* Pubblicato anonimo in POL., 1865, XXVI, pp. 107-120,


in O.E.I. e S.L.A.L.,II, pp. 414-432.
VII - PUBBLICO INSEGNAMENTO 137

menti in scuole distinte e separate che potessero darci


buoni ingegneri agronomi, idraulici, architetti, o ferro-
viari; non potendosi altrimenti ottenere capacità som-
me, quali si richieggono oggi. All’alto insegnamento
della matematica e delle scienze fisiche e naturali può
provedere un grande istituto apposito, che l’ex ministro
intendeva schiudere nella città che da Galilei a Nobili
ebbe interrotte gloriose tradizioni scientifiche, presso
il Museo fiorentino col titolo Scuola normale superiore
di scienze fisiche e naturali; nel quale raccogliere quei
numerosi e costosi mezzi sperimentali omai indispen-
sabili per tali studj e che non ponno disperdersi in
più luoghi contemporaneamente.
Ne piace notare una stretta parentela fra le idee
espresse dal Politecnico e lo spirito che presiedette
alle succennate riforme; al quale nessun compenso sarà
più accetto di quello d’incorporarsi alle riforme po-
steriori, animandole della propria vita; e meritando,
mercé una calma e ponderata discussione, di sopra-
vivere in quella parte che sarà riconosciuta migliore,
nelle istituzioni del paese, che a non languire han
duopo di giovarsi del concorso di tutte le oneste e
buone intelligenze, di tutte le oneste e buone volontà.

Luglio 1865
Raccolta di alcune proposte di leggi
e di vari scritti sulla publica istruzione
del Senatore C. Matteucci *
L’istruzione elementare ben s’appella primaria, non
solo perché occupa un posto sulla soglia della vita,
ma perché possiede una importanza primissima. I1 di-

* Pubblicato anonimo in POL., 1865, XXVI, pp. 107-120,


in O.E.I. e S.L.A.L.,II, pp. 414-432.
.... . . ..

138 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

ritto punitivo solo in essa può avere il proprio fon-


damento di giustizia; solo in essa può il paese riporre
le proprie speranze di grandezza. Tutti i paesi av-
vertono la meravigliosa potenza che si cela nelle scòle
elementari, che, più delle secondarie e delle universi-
tarie, formano la cultura generale e il carattere della
nazione. Molti Stati spendono somme annue ingenti
nelle scòle elementari: Francia 23 milioni, di cui 12
a carico dei communi, più di 5 a carico dei diparti-
menti e 6 dello Stato, senza contare la piccola tassa
scolare pagata dalle famiglie che produce da 10 a 16
millioni distribuiti fra i maestri. Prussia spende 23
millioni. Inghilterra 48 millioni, di cui 14 sono som-
ministrati dallo Stato e distribuiti fra spese di sorve-
glianza e d'ispezione, soccorsi per edificare locali, per
fondare scôle normali, pensioni ai pupilteachers e as-
sistenza alle scôle secondo il numero degli alunni e la
loro frequenza. I1 governo italiano spende mezzo mil-
lione. È ben vero che molto fanno i principali muni-
cipi, nel cui bilancio, d'anno in anno, si ingrossa la
cifra destinata al servizio scolastico; ma i soccorsi del
governo sono del tutto insufficienti e indecorosi.
Mentre le statistiche vanno su tutti i toni narrando
la miserrima condizione intellettuale delle nostre plebi;
mentre sappiamo che in Sicilia si conta un solo alunno
elementare sovra 108 abitanti, e che una tale propor-
zione in Piemonte e in Lombardia lascia pure qual-
che cosa a desiderare, essendovi un alunno ogni 11
abitanti; mentre sappiamo che sopra 3 millioni di fan-
ciulli dai 5 ai 12 anni, 2 millioni non vanno a scala
o non trovano scala; mentre sappiamo questo e altro,
la Svizzera, l'Olanda, il Belgio, l'Inghilterra pongono
in cima d'ogni vanto quello di un'istruzione elemen-
tare che abilita tutti i cittadini all'esercizio della let-
tura e della scrittura. In Inghilterra e nel paese di
Galles vi sono oggi 2,655,777 fanciulli tra maschi e
VII - PUBBLICO INSEGNAMENTO 139

femine nell'età di frequentare le scôle elementari, di


cui 2,535,462 imparano a leggere e scrivere. La Fran-
cia disserrò ai fanciulli 63,777 scôle: le frequentano
4 millioni di alunni; se non che rimane tuttora un
mezzo millione di fanciulli privo d'istruzione, e il go-
verno ebbe ultimamente a dichiarare che non avrà
pace fino al giorno in cui quest'ultima cifra sarà scom-
parsa o ridotta ai minimi termini. Che cosa non do-
vremmo dire e fare noi che nelle provincie meridio-
nali veggiamo solo 1,8 della popolazione da 5 a 12
anni assidersi sovra i banchi della scola!
I1 movimento educativo inglese, vivacissimo e ve-
locissimo come è proprio di tutti i movimenti di quel
regno, rivela la saggezza di un congegno, il quale
trae la ruota governativa nel rapido giro delle pri-
vate iniziative a moltiplicazione di quegli impulsi che
non sono mai troppi in materia d'istruzione. Venti-
cinque anni sono gli Inglesi si sentirono inferiori nel-
l'istruzione elementare ad altri paesi d'Europa; senti-
rono il danno e la vergogna di tale inferiorità. Un ro-
manziere illustre, Carlo Dickens, svelò le profonde
miserie della vita fanciullesca. Un grido di dolore, d'in-
dignazione, di protesta s'alzò nella Gran Brettagna. I1
Board of education ed il Committee of the Privy
Council on education diedero mano a que' provedi- i
menti che parvero conciliabili col rispetto della li-
bertà. I sussidi s'affacciarono come la forma migliore
d'intervento dell'autorità governativa. Per essi l'inge-
renza dello Stato non dovea mai sostituirsi all'opera
dei privati; non si voleva l'istruzione gratuita; si com-
prendeva il dovere di rispettare nell'educazione popo-
lare le credenze religiose. I1 governo stabilì dunque
che i sussidi verrebbero dati costantemente in una
certa proporzione colle spese complessive sostenute dal-
le società o dai privati per le scôle ed in ragione del-
la frequenza degli alunni e dei frutti dell'istruzione.
. . .

140 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III


Secondo tali norme si dà ora un tanto per cento
sulla spesa della prima costruzione della scala; si pro-
porziona l'assegno annuo al numero degli alunni, alla
frequenza, ai risultati; colla proporzione medesima si
aumenta lo stipendio dei maestri, si largheggia di sus-
sidi colle scale normali, che si riconobbero le più ne-
cessarie a formare buoni istitutori e quindi a sollevare
il livello dell'istruzione. I pupilteachers, che escono
da tali ginnasi, hanno assicurato uno stipendio di due
o tre mila franchi.
Questo sistema, che ha costato in venti anni 125
millioni di franchi, non è senza inconvenienti né di-
fetti, ed ora si provede a rettificarlo in alcune parti
ed a compierlo in alcune altre; ma pure esso, senza
ledere o indebolire la cooperazione privata, ha saputo
recare l'Inghilterra, in fatto distruzione primaria, al-
l'altezza raggiunta dalla Svizzera e dalla Germania.
Due grandi insegnamenti si contengono in questo fat-
to; e sono che un governo, quando voglia e sappia,
può ottenere con una giusta ed illuminata ingerenza
que' risultati che coll'istnizione obligatoria non si po-
trebbero ottenere senza ingenerare molti arbitrii e
molti abusi; e che i sussidi, dati dallo Stato con ac-
corgimento e con riprova di esami, ispezioni, espe-
rienze, sono d'una innegabile efficacia. I larghi sus-
sidii, ingegnosamente distribuiti dal governo, rispet-
tando nel tempo stesso la libertà e l'ingerenza locale,
potevan solamente ottenere che un gran numero di
locali per le scale surgessero in così breve tempo, che
si formassero tanti buoni maestri e maestre come li
ha ora l'Inghilterra, che tanti asili e scale elementari
riuniti sotto la custodia amorevole e intelligente delle
maestre surgessero nei villaggi e nelle campagne, che
il sistema per molte ragioni efficace degli allievi mae-
stri si sviluppasse con tanto vigore, che una somma
di cognizioni pratiche, provenienti da una perseve-
VII - PUBBLICO INSEGNAMENTO 141
rante e svariata esperienza sull’arte educativa, venisse
a rischiarare quest’arte così difficile a benefizio di
tutta l’umanità.
I1 Matteucci prende gli esempi da lontano; attinge
lumi dapertutto. Però non gli accade quel che inter-
viene a molti, d’essere, cioè, dominati dagli esempi
che recano in mezzo, dalle esperienze a cui assistono.
E si serve de’ fatti raccolti ed esposti come di una
vasta suppellettile. Loda e non adula; ammira e non
imita servilmente. Dichiarato ed esplorato il sistema
inglese, addita le parti che si potrebbero introdurre
fra noi, ma, stante la disuguaglianza di cultura, com-
prende che non tutte sono attuabili nell’eguale mi-
sura nelle varie provincie del regno. <( Noi non pos-
siamo applicare lo stesso sistema di sopraveglianza, la
stessa misura e distribuzione di sussidi per promuo-
vere l’istruzione elementare nelle varie provincie del
regno. Questo punto è essenziale ». Una tale indipen-
denza ci piace e ci rassicura. Matteucci vorrebbe a
ragione abbattere quella barocca impalcatura che ma-
schera l’edificio scolastico e gli porge sembianze di
una fabrica non mai compiuta; vorrebbe, come ve-
dremo inanzi, semplificare l’amministrazione delle scôle.
Gli spiacciono le troppe e troppo minute e troppo co-
stose ingerenze ed ispezioni. Noi siamo, e’ scrive,
lontanissimi dal raccomandare al nostro paese un si-
stema d‘istruzione scolastica, che sostituisca l’opera del-
lo Stato a quella de’ municipii, delle società di be-
neficenza e dei privati nell’educazione popolare, e più
volte manifestammo publicamente la convinzione che
la libertà non avrebbe mai messe vere radici in Italia
senza una larga partecipazione delle provincie, dei
communi, dei privati nel maneggio degli affari locali.
E per applicare queste idee al servizio dell’istruzione
publica, noi crediamo ogni giorno più di essere nel
vero raccomandando l’istruzione di un ristretto nu-
142 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

mero di autorità scolastiche forti per la dottrina e


per l’esperienza propria e dotate di larghe attribu-
zioni, incaricate di sopravegliare e promuovere le auto-
rità communali e provinciali per le scôle ».
Dall’altro canto però e’ dilata gli orizzonti entro
i quali deve agire lo Stato. « Se in Inghilterra, dove
l’ingerenza delle autorità locali è la massima possibile,
dove questa ingerenza è giustificata dai lumi, dalla
ricchezza, dal patriottismo, dall’uso della libertà delle
classi aristocratiche, del clero, dei grandi proprietarii
e industriali; se malgrado tutto questo, l’opinione pu-
blica, il parlamento, il governo hanno sentita la ne-
cessità di concorrere con grandi sussidii e con molta
sorveglianza in quell’opera d’istruzione e d‘educazione
popolare che le società private, le parochie, la chiesa
sostenevano con molte migliaia di scôle e con una
spesa di molti millioni, potrebbe esservi per noi pen-
siero più inopportuno, più imprudente, quanto quello
di considerare i nostri communi sufficienti ad un uffi-
cio così difficile ed importante nel tempo stesso? Se
dalle nostre tradizioni, dalle condizioni varie del no-
stro popolo, dell’industria, del genio proprio delle va-
rie provincie italiane, ci sentiamo spinti ad organiz-
zare il paese dilatando le amministrazioni locali, dovrà
per questo venirne l’assurda conseguenza che lo Stato
è il meno atto, il meno interessato a sviluppare le
forze intellettuali del paese? Forse che gl’interessi ge-
nerali della nazione e di una nazione che si forma
in mezzo a tante ruine e a tanti ostacoli, i quali
hanno appunto la loro radice nelle influenze e nelle
tradizioni locali, non devono, e soprattutto in questo
momento, prevalere in una giusta misura e special-
mente negli ordini educativi e d’istruzione popolare,
non fosse altro che per promuovere in tutto il paese
quelle virtù e quel certo grado di civiltà, senza di
cui l’ingerenza delle autorità locali rimane una vana
VII - PUBBLICO ISEGNAMENTO 143

parola scritta nelle leggi? Se nelle antiche provincie


gli uomini che ressero l'istruzione publica, mossi dai
più lodevoli sentimenti e seguendo l'impulso di quella
forte disciplina e organizzazione che ha dato loro una
delle migliori armate d'Europa ed oggi un esercito
all'ltalia, hanno forse ecceduto nell'imaginare un si-
stema troppo intricato e costoso d'amministrazione sco-
lastica, sarebbe egli giusto e savio di trarne la conse-
guenza che ogni ingerenza, ogni attiva sorveglianza
dello Stato sulle s c l e è perniciosa ed inefficace, men-
tre le statistiche ci provano la grande differenza che
passa nel grado distruzione fra queste provincie e
le altre del regno in cui i governi trascurarono le
scôle elementari? Non sarà invece più savio e più
prudente partito quello di riconoscere, come evidente-
mente lo provano le statistiche, essere oggi più che
mai necessaria l'ingerenza dello Stato nell'indirizzare
e incoraggiare quello spontaneo impulso che si sve-
glia nei communi a quel fine, nel regolare quest'inge-
renza in grado diverso secondo le varie popolazioni
del regno, nell'ordinarla fin da principio in modo che
possa quasi naturalmente diminuire a misura che i
suoi frutti saranno cresciuti; e che potrà con vantag-
gio trapassare alle autorità locali? ».
Ecco un linguaggio gravissimo perché pratico; al
quale si connettono due proposte non meno gravi:
quella di obligare con legge i communi rurali ad apri-
re gli asili accanto alle prime classi elementari con-
dutte dalle maestre (sul che & a leggersi una savissima
lettera del Matteucci al senatore Lambruschini); e
quella di porgere ai consigli provinciali la facultà di
fissare, nei grossi centri di popolazione e salva l'ap-
provazione delle autorità scolastiche superiori e se-
condo norme stabilite dal governo, una tenue tassa
scolastica per le famiglie non indigenti, colla quale
si possa aumentare lo stipendio dei maestri e delle
144 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - 111

maestre; tassa introdutta in molti paesi liberi, e gra-


dita dal popolo che fa con essa atto d’omaggio al-
l’istruzione, di cui meglio avverte e pregia i beneficii.
Copiosi sussidi sono intanto indispensabili. Grande
e vergognosa distanza intercorre fra le nostre scôle
elementari e quelle degli altri paesi delI’Europa. Nel-
la lutta odierna le scale valgono più degli eserciti;
questi ultimi vincono, ma le scôle convincono, trion-
fano durevolmente. Se ci cale dell’avvenire, e dei
soli successi che l’avvenire accetta e consacra, ar-
miamo le braccia, ma armiamo altresì le intelligenze.
Il Parlamento si convinca una buona volta che bisu-
gna cominciare di là: perché di là ci viene il futuro,
la luce, la forza. Rivolga esso all’istruzione elementare
una parte di quel denaro che disperde nelle troppe
università, nelle tante academie di belle arti, negli edu-
candati. Non tema di parer prodigo. C’est la seule
matière (scrive Jules Simon) ou un bon gouvernement
ait le droit et le devoir d’être prodigue.
L’istruzione secondaria versa fra noi in condizioni
migliori della primaria? Ci sarebbe caro rispondere a
questa domanda nel senso delle communi speranze;
ma nol possiamo. I nostri licei sono frequentati solo
da 4000 alunni ed in tutto fra licei, ginnasi, scôle
tecniche ed istituti tecnici non si arriva a 30,000 alun-
ni, cioè ad un alunno per ogni 66 giovinetti in grado
di ricevere l’istruzione secondaria; cifra estremamente
bassa, la metà di quella della Francia. E nullameno
ognuno vede che l’istruzione secondaria vuol dire tutto
il sapere delle classi medie, che formano il nerbo de-
gli Stati, e la preparazione degli studj superiori, senza
de’ quali un paese non può aspirare ad un seggio fra
le nazioni inventrici ed iniziatrici. Tanta importanza
è riconosciuta anco dall’Inghilterra, ove l’economista
Senior, assai benemerito delle scôle, propose la no-
mina di una commissione, la quale, sull’esempio del
VII - PUBBLICO INSEGNAMENTO 145

Privy Council, faccia per l'educazione delle classi me-


die quello che venne operato per l'educazione po-
polare.
Anche in questo campo il Matteucci, senza esclu-
dere, anzi invocando più che mai l'ausilio dei com-
muni e dei privati, vede due sole vie di salute, cioè
un impulso generoso e sapiente impresso dallo Stato
sopratutto nelle scôle normali superiori e nelle scôle
superiori d'applicazione e un sistema rigoroso d'esami.
A rendere più solenni quest'ultimi, il Matteucci
nella legge iniziata in Senato (art. 17) propone che
ogni anno si tenga presso ogni delegazione (regione)
un concorso generale e quindi vi sia una distribuzione
di premj fra gli alunni più distinti degli istituti se-
condari governativi e non governativi, e che ogni tre
anni questo concorso abbia luogo nella capitale. Anco
la Francia ha dei concorsi generali di questa specie;
e l'Inghilterra introdusse da poco con sommo vantag-
gio i local or middle class examinations con commis-
sioni e programmi forniti dalle università. Persone dot-
te ed autorevoli, estranee alla scôla, potrebbero, come
già usavasi durante il primo regno d'Italia, crescere
il decoro e la festa.
Educazione in famiglia e istruzione alle scôle pu-
bliche quanto più si può e dove si può; la qual mas-
sima generale il Matteucci viene applicando ai col-
legi ed agli educandati con esempi tratti dai pitto-
reschi e variatissimi costumi scolastici inglesi e dalla
Francia ove il collegio è quasi un'istituzione nazionale
e caratteristica. I1 Matteucci saviamente accetta il col-
legio solo nel caso in cui i1 padre sia astretto a ri-
corrervi, e in tal caso vorrebbe e' si dilatasse a pi-
gliar le forme del pensionato, retto da persone come
i Tutors e le Dames dell'Inghilterra, ricorrendo per
l'istruzione alle scôle communi, che danno sempre
maggiori guarentigie di successo.

10. . CATTANEO. Scritti fiolitici. III.


146 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

Queste scale communi secondarie si dovrebbero


dividere in due gradi. L'insegnamento secondario di
primo grado, fondandosi sulle istituzioni più antiche
e più diffuse dell'Italia, dovrebbe costituire una pre-
parazione generale ai licei, agli istituti tecnici, alle
scôle professionali. Codesto primo grado consiste a
tutto dire nelle nostre scôle ginnasiali inferiori con
aggiunta delle prime nozioni delle scienze fisiche e
naturali, di uno studio maggiore delle matematiche,
di una almeno delle lingue moderne e del disegno;
ed è commesso alle cure dei municipi, ben inteso con
tutte quelle garanzie che appariranno del caso; av-
vertendo però in ciò (nel che svelasi la liberalità del
proponente) che meglio assai d'una ingerenza minuta
e continua varrà una larga sopraveglianza affidata ai
veri ottimati dell'insegnamento, i quali si accertino
dell'esecuzione della legge e diano più che altro pru-
denti consigli ed utili eccitamenti. Una palestra com-
mune, ove i giovinetti si preparino agli studj secon-
dari più elevati o alle scôle speciali, o si rendano atti
ad esercitare le minori professioni e ad entrare nelle
minori carriere, è veramente richiesta dallo spirito di
eguaglianza del nostro tempo e dal sommo bisogno di
uniformità.
Al di sopra delle scale communali e quando gli
alunni, giunti all'età di 13 a 14 anni al più, hanno
ricevuto quell'insegnamento commune della lingua na-
zionale, d'aritmetica e di matematica, di nozioni di
fisica e di storia naturale, di geografia e storia, di di-
segno, che è per la maggior parte di essi termine ul-
timo di istruzione, veggiamo surgere oggi in tutti i
paesi, che hanno un vero ordinamento scolastico, due
rami più elevati e distinti d'istruzione secondaria. Que-
sta divisione è necessaria, provida; e l'inghilterra, trat-
ta a grave litigio pel bisogno di rinvigorire collo stu-
. .. , I .

VII - PUBBLICO INSEGNAMENTO 147


dio delle scienze l’istruzione interamente classica dei
vecchi suoi collegi, ne fa oggi sperienza.
I1 Matteucci acconciamente provede al dicentra-
mento di queste scôle per modo che non rimangano
sciolte dall’autorità ministeriale, ma avvinte a norme
irremovibili benché liberissime, con freno e impulso
di dodici licei governativi modello, con esami rigorosi,
con insegnanti provatissimi.

Con quali regole, con quale misura l’insegnamento


delle scienze fisiche, matematiche e naturali deve en-
trare nelle scôle secondarie, speciali ed universitarie?
I1 Matteucci tratta in forma epistolare codesto que-
sito, e lo fa colla sicurezza dell’uomo che si trova nel
proprio campo. Anche qui sono da fuggire molte esa-
gerazioni; ed è a lodare l’acume pratico con cui il
Matteucci sa tenersi lontano dagli estremi, che pur
seducono i più. Mentre in Inghilterra Gladstone vor-
rebbe bandire dalle scôle secondarie le scienze spe-
rimentali, che nuociono, secondo lui, alla soda istru-
zione classica e alla formazione del carattere, Mat-
teucci saggiamente avverte che gli studj classici non
si ponno scindere dalle scienze esatte come non si
può separare il presente dal passato, la sapienza greca
e romana dalla nova sapienza che con Galileo e
Newton venne affermando e dilatando il regno del-
l’uomo sull’universo. La filosofia naturale è gran parte
ormai della potenza degli Stati, e non può obliarlo
l’Inghilterra, la terra privilegiata dell’osservazione.
Quella filosofia, che già si compenetra le più arcane
ragioni delle cose, deve avere un posto in tutte le
scôle non solo pel suo meraviglioso svolgersi in quo-
tidiane scoperte ed in quotidiani beneficii, ma altresì
per il metodo robusto e severo con cui essa venne
drizzando la mente alla conquista della verità. Di-
sciplinare le intelligenze a quel metodo fecondo &
148 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

ormai precipuo scopo d'ogni buona istruzione; laonde


se fosse mestieri eleggere pei licei l'una o l'altra ma-
niera di studj sarebbe lecita l'esitanza, ma per for-
tuna l'arte antica e la scienza moderna si porgono
mutuo commento e mutua gloria. In Francia dal 1850
in poi si adottò negli studj secondari la biforcazione,
dalla quale ebbero origine i due baccellierati paralleli
di lettere e di scienze. Questo sistema fece cattiva
prova, ed ora si sente la necessità di rimettersi sulla
primiera via; esperienza che non dovrebbe andare
smarrita per noi. Però importa assaissimo di far pro-
cedere le due materie in guisa che gli studj speri-
mentali non facciano ingombro alle intelligenze chia-
mate a ritemprarsi nella serena contemplazione della
bellezza antica. Forse e senza forse le matematiche e
la fisica occupano ora troppo spazio del campo in
precipua guisa serbato alla cultura estetica, e s'ad-
dentrano in troppi e troppo minuti particolari, e ag-
gravano la mente di cognizioni, che meglio conver-
rebbe rimandare a luogo e tempo più propizio. Il pro-
blema si riduce pertanto ad una quistione d'orario e
di programmi; quest'ultimi dovrebbero semplificarsi e
mirare più ch'altro ad imprimere negli scolari con-
cetti larghi, chiari, comprensivi. Non si tratta d'ap-
prendere per disteso e per minuto quelle scienze, ma
sibbene di segnarne i principali contorni e di appre-
stare, quasi diremo, una salda intelajatura al succes-
sivo lavoro mentale, a cui vengono convitati i giovani
nelle scôle superiori. Così nello studio delle matema-
tiche pei Iicei ciò che più importa è Ia distribuzione
delle materie e la loro successione, laonde la parte
che vien dopo conferisca ad illustrare ed assodare
l'antecedente. Similmente la fisica pei licei non deve
consistere nella minuta esposizione e dimostrazione
sperimentale dei fatti. L'alunno del liceo deve vedere
anzi tutto nella fisica l'applicazione frequente delle
VII - PUBBLICO INSEGNAMENTO 149

cognizioni di aritmetica, di geometria, di trigonome-


tria, di algebra che venne via via acquistando; quindi
la prima parte della fisica liceale deve essere la me-
canica elementare. Sopra questa base e senza entrare
in troppe particolarità, senza ripetere le più minute
esperienze, bisogna limitassi a dare quelle cognizioni
sull’elettricità, sul calore, sulla luce, nelle quali non
vi è contestazione, che con poche e ben nette espe-
rienze si dimostrano e che lasciano idee chiare ed
esatte delle leggi naturali e dei legami che passano
fra esse. Con questi fondamenti, il giovane può pro-
seguire da sé quegli studj e perfezionarli nelle univer-
sità e nelle scôle speciali.
Eccoci alle scale speciali, che formano la parte
più felice e più ardita delle riforme proposte od at-
tuate dal Matteucci. Lo specializzamento è senza meno
uno dei poli intorno a cui si equilibrano i pensieri
del Matteucci; se non che, come antecedentemente
vedemmo, e’ non lo accetta ne’ primi anni quando
può generare danni senza numero, e uggia infinita ed
infinita grettezza; ma lo invoca solo negli anni più
tardi e più maturi. Posta un’ampia e solida base, su
cui stanno scritte le parole cultura generale e nazio-
nale, il Matteucci erige un edificio con bella economia
e proporzione di parti, il quale a ciascuna vocazione
e a ciascuna carriera porge opportuno asilo. La fisica
e le scienze affini, nelle scôle speciali, pigliano per-
tanto fisonomia propria in accordo con quella della
materia fondamentale a cui si consertano. Nelle scôle
complete di medicina, a mo’ d’esempio, dev’esservi
un insegnamento peculiare di fisica a mo’ di quello
dal Matteucci medesimo circa vent’anni sono iniziato
nell‘università di Pisa col titolo di corso dei fenomeni
fisico-chimici de’ corpi viventi, Negli istituti tecnici e
nelle scale d’applicazione per gli ingegneri vi sono o
vi devono essere scôle di fisica e di chimica destinate
150 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

a trattare ampiamente quelle teorie che sono il fon-


damento delle grandi applicazioni della fisica e della
chimica alle arti ed alle industrie.
Nelle scôle normali superiori, come sono il College
de France, il Seminario di fisica di Newman a Ko-
nisberga e come dovrà essere un giorno il Museo di
Firenze, dove insomma si formano i professori ed i
cultori delle scienze sperimentali, si svolgono trattati
speciali di fisica e gli alunni si esercitano nell'uso de-
gli apparecchi di misura e nei metodi sperimentali e
imprendono a ripetere le ricerche più delicate.
Vi è finalmente un'altra forma d'insegnamento del-
le scienze fisiche e naturali che ha già preso posto
fra i vani modi che la civiltà nostra ha imaginato per
diffondere le cognizioni utili nelle classi medie. A
Londra, a Bruxelles, a Boston da molti anni, e dal-
l'anno scorso a Parigi e fra noi, esistono società pri-
vate che hanno per oggetto di fornire un insegna-
mento scientifico adattato alle signore e a quegli uo-
mini culti che non possono seguire le scuole univer-
sitarie. Così, le grandi riviste scientifiche e letterarie
e le così dette « letture », che sono una delle mi-
gliori forme con cui può attuarsi l'insegnamento li-
bero fra noi, mantengono alta la cultura di queste
classi e diffundono i progressi delle scienze e delle
lettere nella società intera.
Quest'ultimo appello all'insegnamento libero, che
il Matteucci addita come il necessario complemento
degli studii universitari, e considera come riprova di
cultura e di vita intellettuale, attesta i nobili intendi.
menti dell'ex-ministro, il quale, non solo non s'allarma
dell'iniziativa privata, ma è costante nemico della so-
verchia ingerenza governativa, amico costante d'un gra-
duale dicentramento, che introduca una specie di sè
reggenza nelle cose d'istruzione. Questi suoi avanzati
pensieri, che sono tanto in armonia col programma
VII - PUBBLICO INSEGNAMENTO 151
del nostro periodico, e che escono davvero dai voti
e dai bisogni del paese, vengono chiaramente esposti
in una lettera al deputato Scarabelli, che menta per-
ciò e per altro attento esame. Ben si vede che il
Matteucci da buon scienziato cerca le opposizioni,
virtù e abitudine mentale senza cui nulla puossi af-
fermare di certo, e nulla fondare di utile e di dure-
vole. Però le opposizioni dello Scarabelli sono più
apparenti che reali, giacché in sostanza egli vuole ciò
che vuole il Matteucci. Lo Scarabelli, animato di sde-
gno contro l'infesta burocrazia scolastica, vuole pochi
offiziali e buoni con facultà larghe e risolutive. il
Matteucci alla sua volta, in una delle relazioni di
legge da lui proposte in Senato, ebbe a scrivere: ciò
che oggi importa nella legge dell'amministrazione sco-
lastica è che stabiliscasi un sistema semplice, econo-
mico, pronto nell'agire ed efficace nell'istesso tempo.
Né il Matteucci s'accontenta di esprimere sulle ge-
nerali questo pensiero, ma propone la nomina di do-
dici delegati od alti commissari, i quali leghino le
opere provinciali e communali a quelle dello Stato, e
serbino la necessaria conformità ed armonia risedendo
in ciascuna grande regione e accogliendosi spesso in-
tomo il ministro a formarvi una specie di consulta
dell'istruzione primaria e secondaria. I1 Matteucci porta
un colpo di scure nella selva selvaggia della buro-
crazia scolastica. Sia lode al di lui coraggio! Se si
vuole, come si deve volere sinceramente, operosa ed
efficace l'ingerenza delle provincie e dei municipj sul-
le scôle se si vuole che la vigilanza dello Stato non
si traduca in impedimenti, in molestie, in pedanterie
d'ufficio come la fanno sempre diventare e soprattutto
in quelle materie molti e quindi piccoli, mal pagati
e anche per ciò poco autorevoli agenti di governo; se
si vuole finalmente che cessi quell'attrito che soffrono
gli affari viaggiando ogni giorno dal ministero ai pro-
152 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

veditori e agli ispettori provinciali e viceversa, e senza


guadagnare di chiarezza, di semplicità, di giustizia nel-
le risoluzioni, bisogna non avere che un ristretto nu-
mero di autorità scolastiche superiori con ampie at-
tribuzioni interposte fra i communi, le provincie e il
governo e che perciò arrestino e risolvano i nove de-
cimi di quei cento e più affari che in media piovono
tutti i giorni al ministero.
Un’altra ruota di questo congegno, che il Matteucci
mira a semplificare, sono le conferenze scolastiche,
pure proposte dal Matteucci in Senato, formate dei
deputati delle università governative e libere, dei de-
legati della publica istruzione, di alcuni presidi di
licei provinciali. In Francia, fra il 1848 e il 1850,
sotto la presidenza del Thiers, queste conferenze eb-
bero buonissimo successo; e sono una specie di con-
siglio superiore, che illumina e francheggia il governo,
e porta nelle provincie la parola d’ordine, un’ispira-
zione elevata ed ardita.

A diffundere l’autorità, a spanderla in ampio giro


di persone e di luoghi (com’è principalissimo desiderio
del Matteucci), può giovare l’accrescimento delle at-
tribuzioni dei consigli universitari. E infatti il regola-
mento universitario del Matteucci venne ampliando
d’assai gli uffici dei corpi academici. Un’idea, che ci
sembra ottima, sgorga da questo fecondo principio;
ed è quella di scegliere dai consigli academici e dalle
facultà universitarie le commissioni di esame e d’ispe-
zione dei licei e degli istituti tecnici sull’esempio del-
l’odierna Inghilterra. Un legame di più fra questi due
rami di istruzione, i quali hanno tanti e s ì stretti rap-
porti, ci sembra opportunissimo; tanto più che le uni-
versità hanno in certo qual modo diritto di giudicare
il merito di que’ giovani che stanno per entrare nella
. cerchia degli studj superiori; i quali profitteranno alla
VII - PUBBLICO INSEGNAMENTO 153

nazione sol quando la gioventù vi pervenga matura


di mente e disposta ai più ardui cimenti del pensiero
e della scienza.
Il Matteucci è caldo favoreggiatore del trapasso
dell'istruzione secondaria alle provincie; se non che
avvisa la necessità di alcuni temperamenti; necessità
accertata quotidianamente dall'incuria o dall'insipienza
di molti communi e dalle lugubri cifre che attestano
la nostra ignoranza.
A tale proposito egli fa una distinzione molto sa-
gace : nessun giudice migliore, nessuna autorità più
interessata e più atta della provincia e del commune
a determinare i modi, l'estensione, l'indirizzo che con-
viene dare a quelle scôle le quali devono fornire alla
grande maggioranza dei cittadini cognizioni immedia-
tamente applicabili all'esercizio delle industrie e dei
commerci; le provincie e i communi non lascieranno
sicuramente mancare quest'istruzione : potranno ecce-
dere, commettere errori, ma più presto e meglio dello
Stato si ravvederanno: gli studi classici invece non
risvegliano questo interesse immediato nelle autorità
locali, e lo Stato ha l'obbligo di conservarli in credito
e di difenderli dalla concorrenza dell'insegnamento
professionale che già vi è penetrato con danno loro
e minaccia di invadere tutto.
Di qui la convenienza di serbare sotto la dire-
zione governativa alcuni licei i quali servano di mo-
dello agli istituti provinciali, mantengano I'emulazione,
alzino il livello degli studj e degli esami. Perché pri-
varsi di alcuni istituti coi quali si potrebbero stabilire
i concorsi generali, a cui sarebbero liberamente chia-
mati gli alunni di tutti gli istituti e dove sederebbero
commissioni esaminatrici formate dalle facoltà univer-
sitarie? Che ragione vi può essere per togliere allo
Stato una facoltà che eserciterebbe nell'interesse ge-
nerale e che è lasciata in gran parte alle provincie e
154 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

ai communi? Farà male; e i suoi licei saranno deserti


e l'opinione publica li condannerà: farà bene; allora
quegli istituti sveglieranno un'utile concorrenza, la
quale tenderà a migliorare le scôle provinciali e com-
munali.
Se in Germania, che è il paese della massima li-
bertà scolastica, i ginnasi, le scôle così dette reali,
i seminari o le scôle normali sono mantenute e di-
rette dallo Stato; se in questo momento veggiamo in
Inghilterra reclamata dalla publica opinione I'inge-
renza del governo nelle scale nazionali; dovremo noi
abbandonarci senza alcuna àncora di salute a una ri-
forma il di cui successo è di un supremo interesse per
la nazione e che d'altronde dipende da un grado di
civiltà, di ricchezza publica, di uso di libertà che
malgrado tutto il patriottismo possibile non possiamo
riconoscere in molte provincie del regno? Ci sembra
di no, ed il Matteucci ha fede che la prudenza pra-
tica del parlamento salverà l'Italia da un grave pe-
ricolo, accogliendo la proposta di un ristretto numero
di licei governativi, la quale non esclude, ma anzi
promuove e vivifica la concorrenza delle scôle pro-
vinciali e communali.

I1 Matteucci è scrittore sì denso e copioso che


torna arduo, per non dire impossibile, sunteggiarlo.
Molti particolari d'alto pregio sfuggono alla nostra
rappresentazione compendiosa, la quale però attesta
la larghezza e connessione delle idee da cui il Mat-
teucci trae le proprie ispirazioni. Da queste idee si
può in parte dissentire, ma è forza riconoscere che
formano un tutto armonico, un corpo vivente. Ebbimo
già ad avvertire questa connessione in una antece-
dente nostra rassegna]; e ci piace ripetere queilla

Politecnico, vol. XVIII, p. 137.


VII - PUBBLICO INSEGNAMENTO 155

lode, la quale riceve una conferma da quante scrit-


ture il Matteucci manda fuori sulle cose d'istruzione,
le quali cospirano ai medesimi intenti e spargono
crescente luce sul sistema da lui ideato. Ed è si-
stema lontano così dal servile empirismo come dalla
mania teorizzatrice, che si consulta nei fatti e si com-
pie nell'esperienza, che procede cauto ma sicuro, tem-
perato ma ardito. Tali innegabili caratteri gli meri-
tano per fermo l'esame del paese, che deve libera-
mente e imparzialmente discuterlo anche in omaggio
a quel grande principio, che nessun riordinamento
nella publica cosa può e deve imprendersi senza una
robusta preparazione della mente, senza un lungo e
amoroso studio delle massime direttive e dei concetti
generali.
VIII
CRITICA ALL’ASSOLUTISMO
E PREPARAZIONE ALLA DEMOCRAZIA
( 1829-1847)
Luglio 1829

Discorsi nella camera dei Comuni


in Inghilterra sulla tariffa daziaria delle sete
tenuti nella seduta del 13 aprile 1829. (Times) *

Discorso del sig. Fyler Deputato di Couentry.

Soddisfacendo all'impegno assunto oflriamo i di-


scorsi accennati alla p . 22 del V. X X di questi Annali.

Il Sig. Fyler presentò due petizioni imploranti una


indagine officiale sullo stato di setificio - l'una dei
tessitori di nastri a Coventry segnata da 5000 persone;
l'altra dei tessitori e torcitori di Manchester e Maccles-
field. Furono deposte sulla tavola; e se ne ordinò la
stampa.
I1 Sig. Fyler disse, che quando considerava che
egli al cospetto della Camera iniziava la gran que-
stione del setificio, una questione che in varie e re-
plicate occasioni era stata argomento di tante discus-

* Pubblicato in A.U.S., 1829, 11, pp. 3-25 e pp. 258-310.


Sulla possibile attribuzione a C. di altri articoli in argomento
e sulla conseguenza, se questi altri articoli fossero di C.,
di ritenere che egli avesse compiuto un viaggio in Inghil-
terra nel 1828, vedere Sestan, Opere di Romagnosi, Cattaneo,
Ferrari in « La letteratura italiana, stona e testi », vol. 68,
Milano-Napoli, 1957, LII, ed AMBROSOLI,La formazione
di Carlo Cattaneo, Milano-Napoli, 1960, p. 145.
160 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

sioni; quando egli considerava che sarebbe stato astretto


a entrar nel labirinto di quelle intricate e complicate
particolarità, che avevan dato origine a sì opposte
opinioni; quando egli considerava l’immensa impor-
tanza degli interessi compromessi in quella questione,
e di capitali impegnati (ed egli potrebbe dire irrevo-
cabilmente impegnati); e quando sopra tutto conside-
rava la sventurata condizione di quella parte di po-
polo che erasi vincolata a quelle manifatture, che era
nelle più dure angustie e che ansiosamente attendeva
dalla Camera qualche sollievo : egli schiettamente sen-
tivasi poco idoneo a trattare in maniera condegna un
sì vasto e grave argomento. Se appartenendo egli a
un ampio distretto manifatturiero gli avesse occupati
per una considerevol porzione della seduta, sperava
che la condizione in cui era posto sarebbesi nguar-
data come una raccomandazione alla loro indulgenza
nell’atto che ci produceva quelle osservazioni che il
soggetto e la passione gli avrebbero suggerito. (Udite,
udite)
Qualunque opinione si potesse nutrire sulle cause
che avessero condotte le presenti angustie, su un pun-
to particolare egli era certo non potervi essere diver-
sità di sentimenti, ed era che un senso universale di
compassione regnasse verso gli infelici che soggiace-
vano a sì aspre difficoltà, e che si nutrisse un pari
desiderio di alleviarli e confortarli per quanto fosse
possibile. (Udite, udite) Era pienamente persuaso che
tale fosse il sentimento dominante nella Camera, e
che da nessuno fosse sì vivamente provato quanto dal
molto onorevoIe signore che gli sedeva a fronte, lono-
revole rappresentante di Inverness (G. Grant) il cui
nome gli sarebbe accaduto di citar soventi volte nei
corso di queste discussioni. Egli ben s’avvedeva che
nel trattar quella questione gli si offrirebbero molti
punti di grave e profonda importanza ch’ei non per-
162 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

monopolio. (Udite, udite) Come mai il libero com-


mercio delle manifatture era compatibile col ,mono-
polio dei cereali? (Udite) Egli era certo che una par-
ziale introduzione della libertà di commercio non po-
teva arrecar utile alle manifatture nazionali; e voleva
anzi dire che se eravi mai alcun ramo che dovesse
rimanerne danneggiato più di alcun altro, lo era quel
ramo appunto su cui cadeva la presente discussione.
(Udite, udite) Se essi consideravano i gravi svantaggi,
a cui doveva soggiacere questo ramo abbandonato al-
la concorrenza dei nostri vicini e rivali; se considera-
vano le diverse condizioni del suolo e del cielo, se con-
sideravano la maggior agevolezza con cui i loro rivali
potevano procacciarsi le materie migliori; e le grandi
difficoltà, che il manifattore britannico comunque an-
sioso di ben fare, incontrava nell'introdurle in questo
paese, quando egli riguardava alla sproporzione nel prez-
zo di provisioni, e nell'istessa ragione, nel prezzo del la-
voro nei due opposti paesi: egli non si stupiva me-
nomamente della trista riuscita provata in questa ine-
guale e ruinosa concorrenza, che per tre anni aveva
sì duramente oppresso l'industria. Uno de' nomi più
autorevoli in commercio che si annoverasse in questa
camera, l'onorevole rappresentante di Callington (A.
Baring) benché difensore ei medesimo del libero com-
mercio, quando presentò la petizione dei negozianti,
disse qual dovrebbe probabilmente essere il finale ef-
fetto di questo sistema su questa industria particolare.
Forse il tempo preveduto dall'onorevol membro non
era giunto ancora; ma certo si era che una manifat-
tura già sì florida giaceva ora in uno stato di lenta
decadenza, anzi ben poteva egli asserire, volgeva al-
l'ultima ruina Prima di proceder oltre non sarebbe

Doveva dire di sospensioni di lavori per averlo aumen-


tato oltre lo sfogo dello spazio.
VIII - CRITICA ALL'ASSOLUTISMO 163

inopportuno l'accennare le svariate provisioni su que-


sto commercio poste in opera dal 1824 in poi. In quel-
l'anno l'onor. rappresentante di Liverpool (Huskisson)
aveva introdotto la massima del libero commercio del-
le seterie. Aveva ridotto il dazio sulle sete torte da
scell. 14.d 7 172 a scell. 7.d 6; e il dazio sulle sete
grezze da scell. 3 a 1 denaro per libbra. Nel 1825 il
dazio sulle sete torte erasi ridotto da scell. 7.d 6 a d 5
e questo ultimo cambiamento erasi eseguito in un mo-
do che a lui sembrava tanto o quanto arbitrario, cioè
con un ordine della tesoreria, essendo intenzione del
molto onorevol gentiluomo di imporre nel 1826 un
dazio ad valorem del 30 per % sull'introduzione del-
le seterie estere, Però nel 1826 un altro molto ono-
revol gentiluomo successore nell'officio commerciale
(Board of Trade) del molto onorevol rappresentante
di Liverpool, propose un altro procedimento. E ben-
ché affezionato alla massima del libero commercio, e
desideroso di applicarlo al setificio pure non giudicò
cosa possibile o fors'anche non giudicò savio partito il
seguir le pedate del suo predecessore. Ripudiato quindi
il pensiero di un 30 per % ad valorem; sostituì una gra-
duale scala di dazi regolati sul peso, sulle pezze, ecc.
la cui base era il 30 per % E questa sera doveva
udire la proposta di un nuovo progetto diverso, sen-
za dubbio da due precedenti; o almeno in alcuni
particolari, ei credeva, diverso dall'ultimo. Era suo
intento di mostrare che in questi cinque anni il seti-
ficio era stato la vittima degli esperimenti; che le mas-
sime fondamentali erano ondeggianti; e che i propu-
gnatori stessi del presente sistema dubitavano de' suoi
vantaggi. Lievi variazioni insurgevano ogni giorno,
ogni giorno scorgevansi cangiamenti e oscillazioni, il
sistema degenerava in una sequela di prove e d'espe-
rienze, funestissima a chi vi soggiaceva. (Udite, udite)
Ma per mostrare che questi medesimi onorev. genti-
164 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III
luomini non riguardavano la cosa che come un sog-
getto di esperimenti, egli si farebbe lecito di leggere
alla Camera un breve tratto che esprimeva le opinioni
del molto onorevole rappresentante di Liverpool e del
molto onorevole rappresentante d'Inverness. I1 molto
onorev. rappres. di Liverpool disse : a Questo sistema
sia francamente e pienamente esperimentato ad utile
del paese, e soddisfazione di quelli che lo sostengo-
no >. Il molto onorev. rappres. di Inverness disse:
« Esser dovere in faccia al consumatore e in faccia
alla nazione che tale esperimento (sempre trattandolo
come esperimento) fosse tentato ». E il molto onore-
vol gentil. soggiungeva: « Ma l'esperimento fu egli
mai tentato? È follia il parlar degli effetti di tale espe-
rimento se il tempo di farlo non è giunto ancora? »
E il molto onorev. gentil. proseguiva: «Tentate fran-
camente la prova, apportate le vostre merci al mer--
cato, e se non riescite, allora presentatevi alla camera
con un caso che reclami giustizia e interessamento ».
(Udite, udite) Ebbene egli ora voleva invitare il m. o.
gentil. a redimere la sua parola. Le prove da lui com-
mendate eransi francamente eseguite, l'esperimento
erasi tentato, e qual ne era il risultamento? Qual era
lo stato del paese? Guardino que' gentiluomini al di-
sastroso stato de' territorj occupati nel setificio. Leg-
gano le prove del disastro nella somma dei capitali.
perduti; lo leggano in un terzo di quella popolazione
priva di lavoro mentre gli altri ad onta del lavoro
non possono soddisfare alle necessità della vita. Lo
leggano nell'inerzia dei filatoi, nell'abbandono dei te-
lai; e nella stessa capitale fra le suppliche di migliaja
di lavoratori affamati 1. Egli perciò chiamava quel

Perché l'argomento fosse concludente avrebbe dovuto


escludersi la causa del pauperìsmo e la mania di cumular
troppo lavoro.
VIII - CRITICA ALL'ASSOLUTISMO 165

m. o. gentil. del cui discorso avete rammentato uno


squarcio, lo chiamava nel nome dell'umanità e della
giustizia a redimere la sua parola. Ei sentiva di presen-
tarsi con un fatto vittorioso alla Camera, ed era certo
ch'ella non avrebbe tradito il suo dovere. Non voleva
lasciar che questa industria fosse immolata a speciose
dottrine ed illusone speculazioni; né permettere che
chi vi si era avventurato rimanesse trastullo, come
fino ad ora, di vaghi e ruinosi esperimenti. Ei cre-
deva che ognuno dei signori che l'ascoltavano sapeva
che ogni ramo di questa industria soggiaceva a fiere
angustie, ma non gli credeva informati della spaven-
tevole inudita estensione di un disastro che opprimeva
non solo questo paese ma la Scozia eziandio e l'lr-
landa. Comunque spiacevole fosse l'approfondire que-
sto doloroso argomento, pure ei vedeva necessario
l'esporre qual fosse precisamente lo stato in cui ge-
mevano i tessitori dediti al setificio. A tale intento
avrebbe posto inanzi la Camera squarci di relazioni
forniti dalle più considerevoli città che avessero inte-
resse a questo oggetto; e se la Camera avesse ricono-
sciuto cosa di momento (come certo lo doveva rico-
noscere) l'avere informazioni in proposito, gli avrebbe
permesso di leggere, con quanta brevità era possibile
alcune di tali relazioni. In primo luogo avrebbe letto
uno squarcio di lettera giuntagli la mattina antece-
dente da Coventry. E d era di questo tenore. - In
una generale adunanza convocatasi all'uopo di esami-
nare il preciso stato delle manifatture di seta si deli-
berò: esser opinione comune dell'adunanza che si trovi
accresciuto di 500 il numero dei tessitori senza lavoro
dopo l'adunanza del 17 marzo; e il numero degli
orditori, filatori, e avvolgitori senza lavoro nel mede-
simo intervallo sia cresciuto nella medesima propor-
zione.
166 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

Senza lavoro : Tessitori 2547


Avvolgitori 861
Orditori 204
Filatori 64 1

Totale 4253

« Gli abitanti delle sottoscritte terre della contea


di Warwick (ed egli non le annoverava) dichiarano
d'esser in simile situazione. Quanto ai salarj pel la-
voro dei telai erano così miseri che non bastavano a
provederli a sufficienza nemmeno delle infime neces-
sità della vita 1, e piuttosto di convenire d'un ulteriore
abbassamento di prezzo, erasi giudicato opportuno il
ridurre le mani ora occupate a mezzolavoro; ma il
procedere in questa via era impossibile poiché il loro
stato peggiorava ogni giorno. Le merci di moda e di
lusso erano ingorgate dall'enorme importazione di la-
vori forastieri; ed il male erasi talmente inoltrato che
i proprietarj avevano rinunziato a quei rami di ma-
nifatture, intavolandone un regolare commercio col-
l'estero ». (Udite, udite) A questo luogo egli voleva
notare che se alcuna cosa poteva mai provare I'avvi-
limento in cui era caduta questa industria, lo era il
vedere che quegli stessi ch'erano prima manifattori
trovavano meglio l'abbandonare la loro anteriore oc-
cupazione, e divenire importatori. (Udite, udite) La
relazione proseguiva dicendo che « quantunque alcuni
operai rimangano tuttora occupati, ogni settimana su-
biscono una diminuzione di salarj. Molte delle ami-
chevoli società erano astrette a rinunziare alle loro adu-
nanze per l'incapacità dei soci di continuare le loro
contribuzioni; essendo questi forzati a privarsi d'ogni

Pel soverchio loro numero.


... . .. .

VIII - CRITICA ALL'ASSOLUTISMO 161


verrebbe a rappresentare efficacemente, e conosceva
che a quanto egli esporrebbe si sarebbe trovato ri-
sposta dall'ingegno e dalla avvedutezza sagacità e fa-
condia del molto onorevole Presidente dell'officio c o m
merciale (Board of Trade) e dalla industria e destrezza
di quei gentiluomini che potevano considerarsi come
fondatori di questo nuovo sistema. Pure egli confidava
pienamente che se la Commissione di cui questa sera
egli avrebbe proposto la nomina, si fosse ottenuta;
egli le avrebbe partecipato una tal copia di prove,
un tal complesso di fatti incontestabili, fatti ricono-
sciuti da uomini esperimentati, che non rimarrebbe
dubbio, la massima del libero commercio applicata al
setificio avere interamente fallito, anzi aver prodotto
vero danno, e ben lungi dall'arrecare alcun beneficio,
dover produrre l'annientamento del setificio in questo
paese. Egli si accorgeva che gran numero di gravi
argomenti se non direttamente, almeno indirettamente
si collegavano a quella questione; e benché gli fosse
impossibile il determinare la piega che questa discus-
sione avrebbe preso, pure per quanto era in lui si
sarebbe disbrigato da quegli accessorj limitandosi al
soggetto principale.
Non voleva farsi a ventilar le massime del libero
commercio in generale, ma esaminar fin dove l'espe-
rienza le dimostrasse applicabili a questo particolar
ramo d'industria, lo stato del quale egli doveva pre-
sentare all'attenzione della camera. La sola osserva-
zione che di passaggio egli voleva toccare si era che
quantunque egli considerasse il sistema del libero com-
mercio bello speculativamente, (udite, udite) pure in
un paese come questo, ch'era posto in uno stato arti-
ficiale, che gemeva sotto un gravoso carico di imposte
ed era oppresso da un debito enorme egli non cre-
deva che potesse sussistere un libero commercio per
le manifatture, mentre in ogni altra cosa dominava il

il. - CATTANEO. Scritti politici. III.


VII - CRITICA ALL'ASSOLUTISMO 167

men che necessaria cosa per procacciar pane a se ed


alla figliuolanza ». E si soggiungeva con asseveranza
« che tali fatti erano strettamente veri, e s'era d'uopo
sarebbero attestati con giuramento ». Egli voleva pur
proseguire questi lagrimevoli particolari. Era verisi-
mile che a Congleton eranvi 26 filatoi inoperosi. Nel
1824 il salario medio settimanale era scell. 12 8; nel
1828 scell. 4 7. A Paisley nel 1824 erano in opera
2/3 di filatoj più che nel 1828. Il salario medio era
nel 1824 di scell. 15, e nel 1828 di scell. 8,1 172.
A Macclesfield nel 1824 erano in moto 52 molini, e
nel 1828 ve n'erano 16 inoperosi. A Taunton nella
contea di Somerset di 70 filatoj occupati nel 1824
50 erano inerti e i salarj erano scaduti del 70 per %.
A Spitalfields nel 1824 e 25 il Gros-de-Naples paga-
vasi in ragione di scell. ld 6 la verga, ed ora den 6;
il lustrino che era a i scell. la verga, valeva ora
den. 8; altri tessuti pagati allora in ragione di scell.
1 2 la verga erano a d. 9. Ora si guardi al numero
de' telai occupati nel 1824 e 25 e si raffronti al nu-
mero ora occupato a Spitalfields. Erano nel 1824 e
25 impiegati 17,000 telai, e al presente soli 9000. Il
salano medio era allora scell. 17; ora non più di 9.
Le merci di moda e le figurate producevano nel 1824
e 25 un salario medio di scell. 22 per settimana; ri-
dotto ora a 14. E qui era mestieri notare che nel
1824-25 un terzo di tutte le seterie di Spitalfields con-
sisteva in cose di moda; ma ora di 9000 telaj soli 2000
erano dedicati alle merci di moda ch'era appunto il
ramo di gran lunga più proficuo. Egli voleva 'citare
un altro documento e poi lasciar ch'essi traessero da-
$ esposti fatti le conseguenze. Lo scritto di cui s'ac-
cingeva a legger loro un brano, eragli 'stato affidato
questa sera medesima dall'on. rappresentante di Du-
blino, e attestava la decadenza del setificio in quella
città. Pareva che nel 1824 e 25 fossero in moto 1200
168 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

telai larghi, ed ora erano soli 200. Nel 1824 e 25 con-


tavansi 966 telai da nastri ridotti ora a 144. Nel 1824
e 25 il numero totale de' tessitori di pezze era 2196
e soli 444 nel 1828. E nel 1828 i salarj eran dimi-
nuiti del 35 per % Eranvi nel 1824 in pieno moto
10 filatoj; al presente 2, soli e solo parzialmente oc-
cupati. Nel 1824 annoveravansi 2200 persone occupate
a torcere, e nel 1828 non più di 138. Nel 1824 i
salari erano di 8 scellini e nel 1828 di 5. Ora benché
si potesse aspettare ch'egli si escusasse presso la Ca-
mera d'essere disceso a sì aridi particolari, pure cre-
devasi in debito di esporre questi fatti comunque spia-
cevoli, affine di provare alla Camera la ruinosa e di-
sastrosa condizione in cui languivano i manifattori; e
poteva assicurarli che la pittura non era caricata od
esagerata. Ma taluno potrebbe asserire esser questo
un disordine passeggiero e provenuto da passeggiera
cagione. Al che egli non poteva aderire; ma non per-
tanto qualunque la cagione ne fosse, era dovere del
Parlamento di rimovere le difficoltà che sì fieramente
aggravavansi sugli industri e famelici poveri del paese.
Se i salarj eran diminuiti del 50 per % e pure l'ope-
rajo inglese non trovava ancora lavoro, era impossi-
bile il non avvedersi ch'era disperata impresa il soste-
nere una concorrenza ch'erasi iniziata colla speranza
d'esito felice. Eranvi alcuni punti ancora che menta-
vano l'attenzione del Parlamento. Era manifesto che
sotto al vigente sistema eranvi una ridondanza di brac-
cia necessariamente inoperose; e che gli operaj adope-
rati non guadagnavano abbastanza per soddisfare ai
bisogni della vita. Nondimeno erasi detto alla Camera
una delle sere antecedenti che tali difficoltà non erano
limitate al nostro paese sicché non sì provassero in
pari grado anche a Lione. Ma tra il nostro paese e
la Francia passava una grande e manifesta differenza.
La Francia lavorava per esportare; nemanco un terzo

i'
VIII - CRITICA ALL'ASSOLUTISMO 169

delle sue seterìe era destinato al consumo nazionale;


il che non era il caso nostro. Ora i mercati esteri, i
mercati delle due Americhe erano sopraccarichi di se-
terie, e qualora non solo per l'importazione delle merci
francesi ma anche pel crescente traffico tra l'America
e la China fossero sopraccarichi quei mercati, conse-
guenza ne sarebbe che gran copia di quelle merci si
riverserebbe nel nostro paese. La Francia farebbe ogni
sforzo per rivolgere sull'Inghilterra quelle spedizioni
che non avevan esito altrove. E questo era il caso
contro cui dovevam premunirci. Non si doveva per-
mettere che le nostre manifatture soggiacessero alle
casualità che provenivano dagli ordinamenti di stra-
niere contrade, e se mai ragione alcuna provava che
a questa industria dovevasi una protezione, era lo stato
nostro a fronte della Francia. Ma al disastro assegna-
vansi vane cagioni. Se ne accusava una ridondanza
di produzione ed altre cause ancora. S’ei vedeva 8000
telai in ozio a Spitalfields gli si rispondeva ch'era l'ef-
fetto della concorrenza d'altri fabbricatori. Se trovava
angustie e miserie tra i manifattori di Congleton e di
Coventry, si attribuiva alla estesa introduzione delle
macchine. Se notava la medesima desolazione in altre
città gli si diceva esser il manifesto effetto di una so-
verchia produzione. Ma a lui pareva invece che la
ovvia cagione di tutto questo disordine venisse stu-
diosamente taciuta ed era l'enorme quantità di seterìe
straniere introdotte in questo paese. (Udite, udite) Il
m. o. rappresentante di Liverpool aveva asserito che
una gran prova dell'utilità grandissima delle misure
da lui proposte era il ravvivamento di queste mani-
fatture. Il m. o. gentiluomo, s'ei non errava, dichiarò
che quelle misure avevan dato vita a una industria
novella, e che tale era la loro efficacia, che la preser-
vazione dell'industria nazionale dopo l'anno 1824 po-
tevasi loro attribuire. Egli invero non credeva equo
170 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - II

il desumere da un unico anno o da due le prove di


importantissime asserzioni. Laonde prenderebbe un
termine medio sugli anni trascorsi tra il 1815 e il 24,
durante il quale intervallo il setificio fece costanti e
progressivi miglioramenti; e poi prenderebbe ad esame
l'effetto delle susseguenti riforme. Negli anni 1815,
1816 e 1817 l'importazione complessiva delle sete grez-
ze ammontò a 4,007000 libre che davano per anno
un medio di 1336,000 lib. Negli anni 1818, 19 e 20
l'importazione complessiva fu di 6,592000 libre che
producevano un medio annuale di 2,194000 lib. Ne-
gli anni 1821, 22 e 23, il complessivo importo fu di
8,072000 lib. il cui medio annuo era di 2,691000 lib.
Laonde l'importazione delle sete grezze e torte andò
crescendo ogni anno dal 1815 al 24 finché nel 1823
sommato coi due precedenti giunse ad 8,072000 di lib.
cosicché gli onorevoli suoi colleghi vedevano chiara-
mente che non si potevano con giustizia ripetere dai
novelii principj la floridezza di questo commercio. Poi-
ché era venuto gradatamente e visibilmente crescendo
d'anno in anno, e poteva a buon diritto asserirsi che
senza promulgazione di nuove misure avrebbe prose-
guito dello stesso passo ad aumentarsi. Il m. o. suo
collega aveva preso il quanto della seta grezza di-
chiarata alla dogana nell'anno passato e nel 1827, anni
in cui l'importazione delle sete fu senza dubbio con-
siderevole e affidandosi a quel dato aveva conchiuso
che il setificio era in florida condizione. Ma il quanto
dichiarato alla dogana in un unico anno non porgeva
alcuna idea del consumo; che non potevasi ottenere
che dall'importazione media di parecchj anni. Ora se
l'onor. rappresentante volesse cercare il termine medio
sull'importazione complessiva degli anni 1826 e 1827,
vi troverebbe un decremento a fronte del medio ter-
mine degli anni 1824 e 1825 che era 1,149153 lib.
Eppure il 1824 e il 1825 erano anni di proibizione;
VIII - CRITICA ALL'ASSOLUTISMO 171

e gli altri no. (Udite, udite) Ma vi erano particolari


circostanze che cagionarono una grande importazione
nel 1827. Forse i suoi onorev. colleghi rammenteranno
ancora la grande sospensione d'animi cagionata dalle
presunte intenzioni dei ministri mentre non sapevasi
ancora qual effetto sortirebbero le novelle misure; e
perciò solo una piccola parte della provisione fu posta
in giro. Ma verso la fine del 1827 la confidenza si
ravvivò, ribassò il prezzo delle sete, e gran parte del-
la provisione fu chiamata in consumo; e se il molto
onorev. gentiluomo voleva osservare al 5 gennajo 1828
vedrebbe che la provisione giacente era maggiore che
nel 1827 di 600.000 libre. La differenza nel quanto
della seta grezza dichiarata alla Dogana nel 1827 e
nel 1824 era di sole 215,878 lib. Ora per riguardo
all'importazione di quest'anno era cosa di gran rilievo
appurare l'aumento nella importazione delle sete grez-
ze e torte attesoché si era citato in prova della flori-
dezza del setificio. Ebbene il totale aumento d'impor-
tazione del 1828 a fronte del 1827 era di 78,550 lib.
L'importazione del 1828 salì a 4,547812 lib. Dal che
però è d'uopo sottrarre lib. 380000; cosicché in fatto
si ricade a 4,167812 lib. Nel 1827 l'importazione giunse
a 4,209257 libre, e con una sottrazione simile all'an-
tecedente si ritraeva a 4,089257 libre; cosicché l'au-
mento era come egli aveva affermato di 78550 libre
ponendosi il 1828 a fronte del 1827. Ma ciò non
aveva alcuna proporzione coll'enorme quantità della
provisione giacente; e quando parlavasi d'introduzione
bisognava defalcarne I'eccesso di provisione giacente
alla fine dell'anno, e non chiamato in consumo, il
quale, se non si fossero importate le manifatture stra-
niere avrebbe aggiunto vita e vigore all'industria Ma

Questo è un sofisma. L'importazione viene provocata


dalla ricerca dei fabbricatori: e la ricerca vien provocata
questa importazione di merci estere era in quest'anno
cresciuta enormemente. Nel 1828 era salita al valore
di sterline 676973 sc. 19 d. 6 rapidissimo accresci-
mento poiché nel 1826 giungeva a sole sterline 445,000
e nel 1827 a 555987. Ora se si prendeva un terzo di
quella somma come ammonto delle merci introdotte
per contrabbando, lasciando alla regolare introduzione
due terzi, gli produrebbe in peso 2,000,000 di libre,
che ad equo calcolo corrisponderebbe a un vaIore di
1,000,000 di sterline sottratto alle manifatture di que-
sto paese l . Onde spingendosi oltre poteva aggiungere
che tenendo conto della differenza nel prezzo del la-
voro tra questo paese e la Francia, poteva dirsi per-
duta per i nostri operai escludendoli dal ridurre la
materia grezza in merci d'uso, una somma non mi-
nore di 1,066233 sterline. Ei s'avvedeva d'essere inol-
trato in troppo aridi e tediosi particolari. (Udite, udite)
Non era sua intenzione; ma pure ei credevasi in do-
vere di determinare i singoli fatti, per mostrare il vero

dallo spaccio delle manifatture. Sussistendo il fatto delle


sempre crescenti importazioni era dunque cresciuto il la-
voro. Le provvisioni giacenti sono scorte deliberate per non
mancar di materia da un anno all'altro. È un assurdo im-
maginare che si spendano grossi capitali in importazioni
per lasciar morta la roba nei magazzini. E se qualche paz-
zo si avvisasse di eseguire questo capriccio lo sconterebbe
ben caro. Le successive importazioni sempre crescenti for-
mano un fatto assorbente che esclude qualunque obbiezio-
ne perché involge il consumo stesso
visione. Si noti che qui si parla di materia prima
vorarsi. Quando manca il lavoro la prima cosa che manca
è la ricerca delle materie prime; ed il pronto decadimento
del prezzo delle medesima ed un incaglio nelle compre e
quindi nelle importazioni.
ECCOil solito idiotismo economico. S i domanda se
l'Inghilterra abbisogni o no di vender al di fuori? Ora fatto
il bilancio e messo in conto questo milione col sistema proi-
bitivo vi avrebbe o no perduto per molti e molti milioni?
VIII - CRITICA ALL'ASSOLUTISMO 173
stato dell'industria in questo paese. Eravi un ramo par-
ticolare che sembrava irne affatto perduto per noi,
cioè la fabbrica delle merci di moda, ch'egli trovava
abbandonato interamente agli stranieri. I1 qual fatto
gli suggeriva l'osservazione che in alcuni rami di que-
sta industria la quantità dei lavori e non il mero
numero delle libre di seta era l'unico e verace se-
gnale di floridezza o decadenza. Queste merci in par-
ticolare erano di considerevol peso e richiedevano gran
copia di seta, e formando pure la più lucrosa parte
di queste manifatture, erano in balìa dello straniero.
Né bastava che il m. o. rappresentante esponesse loro
la quantità dell'importazione, se non dimostrava alla
Camera l'efficacia del nuovo sistema. Ed egli (M. Fy-
ler voleva dimandare qual vantaggi se ne fossero ri-
tratti) non conosceva quali misure il governo inten-
desse di proporre: però era fama che fosse deliberato
di fare ogni sforzo per combattere il contrabando.
I1 che non dovevasi ottenere colla vigilanza armata
ma con una sagace ponderazione nello stabilire il da-
zio. Che se questo non si ricava a livello del prezzo
di contrabbando, l'industria nazionale ne sarebbe di-
strutta. La qual cosa se doveva pur avvenire, in vero
poco importava se lo fosse per la via delle dogane o
del contrabbando. Egli parlava col solo appoggio del-
la voce pubblica e senza autorità d'alcuno quando di-
ceva esser fama che il governo fosse per diminuire i
dazi sulle sete torte all'estero. Un argomento favore-
vole a tal proposta si era che mentre l'importazione
delle sete grezze erasi aumentata, quella delle sete
torte all'estero erasi diminuita, ma pur dovevasi aver
riguardo al numero delle braccia occupate da ultimo
a torcere, ed a vilissimo salario. I1 qual salario si an-
drebbe ora deprimendo ancor più, di modo ché le
proposte riforme comincerebbero a recare un certo e
positivo danno a un ramo di questa industria. La
174 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III
causa ch'ei sosteneva presentemente non era quella
dei torcitori; era però certo che le persone per cui
erasi fatto a parlare non desideravano alcun sollievo
che tornasse a danno dei torcitori. Però si consideri
che se il dazio delle sete torte fosse ridotto da 7 scell.
a 5 i torcitori sarebbero privati d'un terzo dei loro
capitali già investiti.
D'altra parte il capitale impiegato in edifizj e mac-
chine non poteva trasferirsi ad altra industria. Anche
ammettendo che un ramo d'arte si dovesse beneficare
a spese d'un altro voleva pur notare che lo scarso
sollievo così procurato appena sarebbe sentito, disper-
gendosi l'effetto su tutti quanti gli altri rami di que-
sta industria, mentre era un fiero aggravio per quelli
che ne farebbero le spese. In favor di questo sistema
non recavasi alcun vero argomento, ma solo ripete-
vansi le lodi del libero commercio, che si diceva dover
trionfare alla fine. Ma i trionfi non vi erano. Eravi
bensì una penosa lotta per deviare un colpo che do-
veva alla fine sopraffarli. Quando un disastro come il
presente veniva presentato alla loro attenzione non
dovevano appagarsi di mezze misure. Se il molto onor.
gent. (Visey Fitzgerald) era deliberato di seguir le ve-
stigie del suo predecessore e pigliarsi ad impresa ve-
stigia nulla retrorsum, egli tremava pel setificio na-
zionale. Egli sperava che m. o. g. non vorrebbe con-
siderarsi come avvincolato con loro ma avrebbe ope-
rato da se. Gli infelici di cui egli aveva assunto la
causa guardava il m. o. g. come patrono e protettore.
Egli li pregava a conchiudere proponendo la nomina
d'una commissione.
VIII - CRITICA ALL'ASSOLUTISMO 175

Discorso del sig.. Robinson1

I1 Sig. Robinson si levò in favore della proposta.


Pregò la Camera a rammentarsi che nel 1826 grandi
difficoltà gravitavano sul setificio, e che le dimande
con cui le persone interessate imploravano la nomina
d'una apposita commissione furono rigettate perché non
esponevano un caso di bastevol momento. I m. o.
signori ch'erano allora alla presidenza e vicepresidenza
dell'officio commerciale dissero che le loro misure avreb-
bero rimediato ai mali che allora dominavano e l'onor.
rappresentante di Inverness (C. Grant) soggiunse che
se sotto l'azione di quelle misure le pubbliche diffì-
coltà non si alleviassero, il caso dei petenti sarebbe
divenuto al cospetto della camera d'irresistibile effi-
cacia. In virtù di questa dichiarazione, ei confidava
che I'on. rappresentante d'Inverness o darebbe una
satisfacente spiegazione del disastro ora dominante, o
promoverebbe la nomina di una Commissione. Dopo
la luminosa maniera in cui il suo on. amico (M. Fyler)
avea trattato quell'argomento non era necessario a lui
l'avvolgersi in minuti fatti. Invero sarebbe poca schiet-
tezza in lui il non riconoscere per sua vera opinione
che tutto il male non era nato da quelle riforme 2 ;
ma l'importazione delle merci straniere non aggravava
questi mali? I1 dilemma solito a proporsi era questo;
le setene estere entrano certamente o per via lecita o
per contrabbando; eccovi adunque un'alternativa, VO-
lete voi riceverle per via lecita, o volete che la pub-
blica rendita ne sia frodata? Se questa fosse l'unica
alternativa nessuno esiterebbe nella scelta; ma egli

Questo non è lord Goderich l'amico di Caning; ma un


altro privato dello stesso cognome.
Ecco una gran confessione.
176 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

sosteneva che la lecita importazione dava ansa al con-


trabbando rendendo difficile a canoscere, delle merci
una volta sbarcate qual fosse di contrabbando, e quale
non fosse.
Non negava egli, esservi stato eccesso di produ-
zione in questa come quasi in ogni altra delle nostre
manifatture 1; ma giudicava però che l'importazione
delle merci estere aggiungesse male a male. Questi
principj, a torto chiamati principj di libertà commer-
ciale, furono primieramente introdotti nelli atti del mi-
nistero nel 1824 dal Lord cancelliere dello scacchiere
che allora promise loro grandi e faustissimi effetti se
il nostro sistema di proibizioni si fosse rilasciato.
Uno di questi fausti effetti doveva essere un vasto
commercio di esportazione all'estero per l'aprirsi dei
porti forastieri alle nostre merci; ma ad onta di sì
belle speranze, gii stranieri persistettero nel loro si-
stema di proibizione.-Noi soffrendo che gli esteri ve-
nissero a gareggiar con noi nel nostro paese, in ricam-
bio non ottenevamo che esclusione. Il governo era
stato ammonito nel 1826 della necessità di iniziare una
indagine offciale, ma le persone che la proponevano,
incontrarono si acre opposizione nei propugnatori della
libertà commerciale che la Camera non poté occuparsi
della proposta di una commissione. E supplicava la
camera a non lasciar: passare questo oggetto senza de-
cretare una indagine. Non si cercava ai Ministri né
di retrocedere d'un sol passo né di obbligarsi ad al-
cuna misura bensì soltanto d'instituire una indagine.
Una discussione nella camera non sortirebbe alcun ef-
fetto; poiché persone di molta autorità vi si facevano
avanti con certe asserzioni esposte con tanta fidanza,
che il giudicio della Camera ne veniva trascinato; asser-

Ecco un altro fatto di grave momento contro la 'pro-


pria causa.
VII - CRITICA ALL'ASSOLUTISMO 177
zioni che si scoprivano poi precipitate e mal fondate,
cosicché poteva dirsi che la Camera era stata sorpresa.
Egli sperava che l'onor. rappresentante di Liverpool
(Huskisson) lo scuserebbe s'egli alludesse a una lettera
che quell'onorevol membro avea letto alla camera.
Era questa una lettera scritta da un agente dei pro-
prietarj di navi nell'Inghilterra settentrionale; la quale
esponeva che i proprietari di navi non mancarono di
commissioni, ma anzi ne abbondavano più che mai.
« Incontrando io lo scrittore della lettera il dì seguente
disse l'onor. rappresentante (Robinson) io gli diman-
dai perché avesse messo una tal arme nelle mani del
m. o. gentil. (Huskisson) il quale era già troppo for-
midabile? Ed egli mi rispose, che il m. o. gentil. aveva
taciuto il passo susseguente della lettera, in cui egli
diceva che quantunque vi fosse afluenza di commis-
sioni, ciò era senza tornaconto e senza frutto al capi-
tale >. I1 m. o. gentil. certamente sarebbe persuaso
ch' ei non intendeva di mover sospetto che il passo
fosse a bello studio taciuto. Uno degli argomenti ado-
perati contro i manifattori di seta si era l'affluenza
delle commissioni. L'on. rappr. di Inverness. (Grant)
aveva asserito che un grande aumento era sopravve-
nuto nell'importazione della materia grezza, e ne traeva
la conseguenza d'un accrescimento di lavoro. Ma il
fatto non istava così, perché i cambiamenti di moda
nelle stoffe rendevano necessaria per una eguale quan-
tità di stoffa una maggior quantità di materia grezza
che per io inanzi. Inoltre l'estensione del lavoro per sé
non faceva prova della sua floridezza, se non ne veniva
un tornaconto al paese e un mezzo di sussistenza
alle persone a ciò dedicate, Ei sosteneva non esservi
assurdo maggiore che applicare i principj della libertà
commerciale a quel ramo d'industria ch'era il men
preparato a sostenere l'urto di quel sistema e in pari
tempo stabilire per la merce più necessaria alla vita

12. - CATTANEO. scritti poiitici. III.


178 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

qual era il grano un sistema di poco meno che intera


proibizione. Ei dimandava alla Camera se si fosse avve-
rata la predizione proferita nel 1824 da Lord Gode-
rich, che l’Inghilterra in breve fornirebbe di seterie
tutto il mondo. Dopo che ogni sforzo erasi tentato per
indurre la Francia a stabilire un sistema di reciproca
libertà, erasi ottenuto un rifiuto; e di soprappiù l’In-
ghilterra aveva trovato anche dal lato dell’America
una ferma adesione al sistema proibitivo, ed una
ostilità commerciale. Se dopo un’officiale inchiesta la
Camera trovasse utile il sistema seguito nell’ultimo
quinquennio, vi si persistesse pure; altrimenti era d‘uopo
abbandonarlo I..

Discorso del signor Visey Fitz-Gerald in risposta ai


signori Fyler e Robinson, e in favore del libero
commercio delle seterie in Inghilterra; tenuto nella
Sessione del 13 aprile 1829.

I.
Benché io non possa, Signore 2, non veder le molte
e singolari difficoltà che involgono e intralciano que-
sto argomento, o ignorare la mia poca perizia a trat-
tarne le varie parti e penetrare nei complicati suoi
particolari con quella chiarezza colla quale vorrei poter
esporre alla considerazione della camera ogni soggetto;
benché io scorga quanto di sopra più sia penoso, fra
le dolorose circostanze che l’onorev. gentiluomo ci ha
dipinto, e fra le sventure che opprimono le popolazioni

Gli altri discorsi in favore si daranno in progresso.


I discorsi nel Parlamento non si dirigono all‘adunan-
za, ma al presidente detto oratore (speaker).
178 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

qual era il grano un sistema di poco meno che intera


proibizione. Ei dimandava alla Camera se si fosse avve-
rata la predizione proferita nel 1824 da Lord Gode-
rich, che l’Inghilterra in breve fornirebbe di seterie
tutto il mondo. Dopo che ogni sforzo erasi tentato per
indurre la Francia a stabilire un sistema di reciproca
libertà, erasi ottenuto un rifiuto; e di soprappiù l’In-
ghilterra aveva trovato anche dal lato dell’America
una ferma adesione al sistema proibitivo, ed una
ostilità commerciale. Se dopo un’officiale inchiesta la
Camera trovasse utile il sistema seguito nell’ultimo
quinquennio, vi si persistesse pure; altrimenti era d‘uopo
abbandonarlo I..

Discorso del signor Visey Fitz-Gerald in risposta ai


signori Fyler e Robinson, e in favore del libero
commercio delle seterie in Inghilterra; tenuto nella
Sessione del 13 aprile 1829.

I.
Benché io non possa, Signore 2, non veder le molte
e singolari difficoltà che involgono e intralciano que-
sto argomento, o ignorare la mia poca perizia a trat-
tarne le varie parti e penetrare nei complicati suoi
particolari con quella chiarezza colla quale vorrei poter
esporre alla considerazione della camera ogni soggetto;
benché io scorga quanto di sopra più sia penoso, fra
le dolorose circostanze che l’onorev. gentiluomo ci ha
dipinto, e fra le sventure che opprimono le popolazioni

Gli altri discorsi in favore si daranno in progresso.


I discorsi nel Parlamento non si dirigono all‘adunan-
za, ma al presidente detto oratore (speaker).
. . . . ... . . . . . . .

VIII - CRITICA ALL’ASSOLUTISMO 179

dedite al setificio quanto sia penoso, io dico, e mala-


gevole il combattere il pietoso interessamento della Ca-
mera, ed oppugnare la proposta di una officiale inchie-
sta fatta dall’onor. gentiluomo: pure non so dolermi
che un’occasione siami alla fine offerta, in cui mi sia
concesso difendere i principj e le massime dietro cui
il governo si condusse a questo riguardo, e mi sia dato
dimostrare che i mali e i disastri degli uomini consa-
crati a questa industria, comunque profondamente da
noi si debbano sentire e compiangere, pur non si
debbono imputare a quelle cause cui furono ascritti; e
che anzi scaturirono da cagioni sulle quali né il go-
verno né il parlamento ha potere’, e mi sia permesso
di sopportare alla Camera una spiegazione di quelle
misure, ch’era dovere del governo di proporre, come
sola via di ricondurre a sicura e salutevole condizione
questo importante ramo dell’industria nazionale. Prima
ch‘io m’inoltri, o Signore, a considerar nella sua mag-
giore ampiezza questo argomento debbo rispondere di-
rettamente alla proposta dell’onor. rappresentante di
Coventry, ed esporre quegli argomenti, ai quali mi
sarei limitato nel combattere la sua proposta di una
inchiesta officiale qualora nel suo discorso egli si fosse
solamente appagato di raccommandare una tal misura,
e non avesse soggiunto altri ragionamenti, ed altri fatti
ch’io non posso trapassare in silenzio. Nel decorso
delle osservazioni ch‘io sto per sottoporre alla camera,
mi troverò astretto ad appor qualche commento a cotali
passi, perché passando ad esame le cause delle presenti
angustie sarò condotto a combattere i suoi raziocinj
ed a provare non solo ch‘egli a torto le attribuì alle me-
desime sorgenti a cui tutti i soscrittori delle petizioni

Qui si tocca al frutto proibito e quindi non si sgom-


bra il mistero del pauperismo.
180 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

ascrivono i loro mali, ma che la stessa misura ch’egli


commenda sarebbe il primo passo ad un peggiore
aggravamento di miseria.

E primieramente, Signore, io posso assicurare l’onor.


rappresentante che se potessi persuadere a me mede-
simo che la nomina d’una commissione potesse me-
nomamente alleggerire le disgrazie di coloro che ri-
corsero supplici alla camera, proverei molto maggior
ripugnanza a contradire alla sua proposta. Ma son
convinto che la nomina d’una tal commissione deve
accrescere le difficoltà del manifattore e l’arenamento
dell’industria, ed avvivare la credenza già studiosa-
mente diffusa che il Parlamento sia per cangiar tenore,
ed appigliarsi al sistema proibitivo; e son persuaso che
se concedeste loro quel tardo sollievo che una commis-
sione può procurare, voi in questa stagione massima-
mente in cui il traffico ha bisogno di impulsi ed il
manifattore di lavoro, aggravereste a un punto incom-
portabile il mal essere d‘ogni ramo di questa industria.
Veramente non posso lagnarmi che l’onorev. gentiluo-
mo o i petenti abbian fatto mistero del fine per cui
implorano una inchiesta: il loro intento apertissimo è
d’indurre il ’parlamento ad abbracciare il sistema di
proibizione. Quanto a coloro che sono avversi a un
tal sistema non in virtù d’una massima generale, ma per
la persuasione ch‘ei riescirebbe funesto a questa ma-
nifattura in particolare, non ho bisogno di prove per
dissuadergli dall’aderire ad una proposizione che im-
plorando per ora una inchiesta, palesa uno scopo ulte-
riore, e manifesta l’intento de’ suoi autori. Bensì mi
lagno che i petenti siano stati indotti a credere che
l’abbandono del sistema proibitivo sia la sorgente dei
VIII - CRITICA ALL'ASSOLUTISMO 181

loro disastri, e che ritornando a quello, ogni causa del


male sarebbe tolta. Questa credenza fu loro inculcata
pur troppo da molti che son capaci di ragionar meglio,
e che dovrebbero avergli disingannati.

III.

Io vorrei dimandare all'onorev. gentiluomo quali


indagini avanti una Commissione della Camera po-
trebbero comprovare le opinioni di lui o de' suoi
clienti? Egli invero ci rappresentò in qual maniera la
proibizione ha operato. Ma all'arnmonto riconosciuto
delle merci estere importate egli non poté ricorrere.
L'importazione non fu tale, ed ei ben lo sa non fu
tale che intaccando il consumo potesse intaccare l'in-
teresse dei inanifattori. Ma egli dice che dalla frodolenta
importazione e dall'ineguale concorrenza del mani-
fattor personale col contrabbandiero, si deve ripetere
la situazione dell'industria inglese. Estinzione! Ma ha
l'onor. gentiluomo dato uno sguardo anche all'ammonto
della produzione in Inghilterra? Le stesse petizioni,
le rappresentanze stesse che si fanno alla Camera non
lo convincono che non vi fu mai tempo in cui la
produzione superasse di tanto la dimanda? Che se
con un sistema di proibizione forzosa essi potessero
torre ogni concorrenza straniera, se potessero colla pro-
tezione che implorano, elevare i prezzi e il valore
delle manifatture patrie, assicurando ai negozianti que-
gli emolumenti che ora diconsi perduti, rendendo agli
operai quelle grosse paghe che ricevevano per lo ad-
dietro, e che tanto la concorrenza interna quanto la
esterna contribuiscono a diminuire, se questi signori
potessero mallevare al cresciuto numero e dei manifat-
tori e dei filatori gii stessi lucri e lo stesso monopolio,
ch'essi godevano sott'altro sistema quando erano in
182 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

numer minore, a detrimento dai numerosissimo ceto dei


consumatori: - forse è loro opinione, io dico, che
questa industria che si estese tanto, per l'abbassamento
dei prezzi e la concorrenza, col venir meno di questi
principalissimi fomenti non riceverebbe nocumento?
O che tale sia la moda e l'amor patrio in questo paese
che il pubblico e i consumatori sian per adattarsi a
pagar per le merci nazionali i grossi prezzi che il mo-
nopolio pretenderebbe? Non cade in pensiero agii ono-
rev. Signori che se un richiamo delle proibizioni avesse
a produrre quell'accrescimento di prezzo a cui mirano,
produrrebbe eziandio immediatamente i più funesti
effetti su tutti quei territorj in cui si diffusero tali
manifatture, e sui singoli privati e sulle intiere masse
di uomini a quelle dedicati? Egli è d'opinione che non
vi ha limite ai prezzi e ai lucri del monopolio, e che
da siffatte piccole alterazioni il consumo generale non
sarebbe probabilmente affetto. Ma egli pretende, che
non v'è al presente congruità di prezzo, per alcun ramo
di queste manifatture cosicché non si può smaltire il
vasto residuo giacente. Crede egli perciò che se col
ricorrere alle proibizioni si aumentassero gli emolumenti
del filatore in primo luogo, e gli stipendj del manifat-
tore in secondo luogo, non vi sarebbe pericolo che i
consumatori s'appigliassero ai cotoni, o a qualche altro
genere non sostenuto da proibizioni, e così non si
aggravasse il male, se non per gli industri clienti del-
l'onorev. rappresentante, almeno per quegli stabilimenti
che sursero precisamente dopo l'abolizione dei regola-
menti proibitivi? Io lascio qui o Signore questa parte
dell'argomento, solo permettendomi di dimandare a co-
loro che credono ogni pezza ed ogni verga di stoffa
comunque raccomandata ai compratori dalla bassezza
appunto del prezzo, doversi se forastiera espellere
colla proibizione, se nazionale inalzare di prezzo, di-
mandar loro, io dico, s'essi tengansi certi di poter con-
VIII - CRITICA ALL'ASSOLUTISMO 183

servare eguale il numero dei compratori; e se mentre


sperano di sollevare chi languisce al momento non
siano per creare in fatto cause di più durevole ruina.

IV.
Ma è al commercio di contrabbando, è alla illecita
e immensa importazione delle seterie estere, che i petenti
universalmente ascrissero i loro presenti disastri. i o
credo che l'aumento delle merci frodate sia esagerato.
Ma di questo a suo tempo. Ora vorrei dimandare all'ono-
revole gentiluomo se vigente il sistema proibitivo, non
vi fosse contrabbando? Non è ella cosa nota e innegabile
che a quel tempo vedevansi in ogni famiglia ed in ogni
socievole convegno le stoffe francesi? La estensione dei
contrabbando e i suoi riprovevoli effetti, erano oggetto
di universale lamento. Nelle indagini fatte innanzi una
commissione dell'alta camera vi si fece particolare osser-
vazione, e si proposero provvedimenti per affrontarlo
e distruggerlo. Ma cinque anni prima, quando questa
manifattura nella capitale soggiaceva ad una di quelle
crisi da cui fu periodicamente colpita, quando ad onta
delle proibizioni si diceva che due terzi dei telai giace-
vano inoperosi - tutto il male non fu attribuito al con-
trabbando delle seterie forastiere? Lo stesso si asserì
nell'anno seguente, ed io credo che fosse tanto quanto
al presente. Se volete accrescere il contrabbando delle
stoffe estere, proibitele; se volete dar vigore al capric-
cio della moda, e accreditare l'imaginaria superiorità
delle merci straniere, appigliatevi alle proibizioni! Ma i
petenti, ci si dice, fanno questa dimanda perché si pos-
sano distinguere le manifatture estere dalle nazionali
e perseguitar quelle, e i loro proprietarj, ovunque si
scoprano. Io credo che se sperano di poterle così legger-
mente distinguere, s'ingannano. All'ombra nociva d'una
indebita protezione le stoffe nazionali erano riconoscibili
184 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

a prima vista per la loro inferiorità alle francesi; ma


l'imitazione e il perfezionamento han progredito sotto
gli stimoli della concorrenza, e riescì più d'una volta
assai difficile il sostenere un sequestro quando erasi
fatto. Signore, vigente la proibizione, il commercio
era il trastullo di inique ed arbitrarie leggi, che imbri-
gliavano il legittimo esercizio delle inclinazioni del po-
polo, e conculcavano i suoi desiderj. Erano leggi che
non imponevano alla coscienza d'alcuno una sanzione
morale, e così una abituale indifferenza alla violazione
delle leggi si radicava nell'animo dell'universale. Ma io
dissi che erano inefficaci, e dovrà la camera dar retta
a coloro che riconoscono per unico scopo della loro di-
manda l'ottenerne il ntorno? Io, fin dove posso, voglio
espungere dai nostri codici quei delitti legali, che il
popolo non riguarda come delitti morali. Io non vorrei
giammai armare il gregario doganiere del diritto di in-
trodursi nei privati domicilj. Io non vorrei tampoco
permettere allo stesso officiale del re, di violare col titolo
di un regolamento fiscale, la santità del domestico asilo
d'ogni cittadino britannico.

V.
Signore, esposte così alcune delle cagioni per cui
mi oppongo alla proposta dell'onorevole gentiluomo,
passo alle altre parti dell'argomento. A convincer tutti
dell'indole dei presenti disastri col risalirne alle fuori
sorgenti, non sarà di proposito fare una breve revista
dello stato del setificio in alcuni anni che precedettero
le riforme fatte in primavera del 1824; seguir l'anda-
mento e i progressi delle riforme, e confrontare lo stato
presente e conseguente alle riforme, con un egual periodo
anteriore. Utile sarebbe tracciar l'istoria di tal manifat-
tura in Francia, riportando i relativi effetti sulle mani-
fatture nostre. Io penso esser fuori di dubbio una delle
VIII - CRITICA ALL'ASSOLUTISMO 185

cause del disastro un eccesso di produzione in ambo i


paesi, poiché è noto che il male è tanto grande in Fran-
cia quanto fra noi. Molti fatti si scorgono dipendenti da
questo oggetto e che sono segnali e prove di soverchia
produzione. 1." L'immenso accrescimento nell'importa-
zione delle sete grezze. 2." I prezzi elevati a cui per la
concorrenza dei filatori si comperarono le sete grezze
fin alla gran vendita al Palazzo delle Indie (East
India House) alla fine di Gennajo. 3°. I numerosi filatoj
e stabilimenti surti dopo il 1823. 4.° II disastro con-
temporaneo in Francia a cui già feci allusione. I1 fatto
solo del consumo della materia prima grandemente ac-
cresciuto, e dell'accresciuto numero delle persone, degli
edifizj o delle macchine dedicate a questa industria pro-
verebbe bastevolmente l'eccesso. Datando il cangia-
mento di sistema dal principio del 1824, saranno tra-
scorsi cinque anni del nuovo ordinamento. In questo
quinquennio l'importazione delle sete grezze e torte fu
di libbre 18,584,213. Nel quinquennio precedente al
1824 l'importazione era stata di sole lir. 10,925,646,
l'accrescimento fu dunque di lir. 7,650,567.
Io non intendo però che il lavoro sia cresciuto in
ragione pari alla quantità della materia prima; poi-
ché dopo che il dazio sulla seta grezza fu ridotto alla
somma nominale di 1 denaro per libbra, si fabbricarono
articoli più grossolani e più pesanti, e si consumò con
minor riguardo la seta in molte maniere che non entrano
nella manifattura propriamente detta. Ma se si defalca
un quarto dell'accrescimento (cioè 1,912,641 da
7,650,567) rimane ancor vero che la manifattura pro-
priamente detta si è accresciuta di una vera metà
(5,737,926) ponendosi a confronto l'ultimo quinquennio
dell'antico sistema col primo quinquennio del sistema
novello. il seguente è un prospetto dell'importazione
nei due succennati quinquennj.
A/

186 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III


Primo quinquennio.

Grezza. Torta. Totale.

1819 1,480,990 301,588 1,782,578


1820 1,709,416 309,953 2,012,369
1821 1,040,516 350,209 2,290,725
1822 2,030,415 370,273 2,407,688
1823 2,085,972 346,314 2,432,286

10,925,646

Secondo quinquennio.

Grezza. Torta. Totale.


I

1824 3,540,906 452,469 3,993,379


1825 3,030,756 556,642 3,589,398
1826 1,955,325 289,325 2,244,367
1827 3,755,242 454,015 4,209,257
1828 4,162,550 385,262 4,547,812

18,584,213
10,925,646

7,658,567
VIII - CRITICA ALL’ASSOLUTISMO 187

VI.

Durante i primi cinque anni il dazio sulla seta


grezza era di scell. 5 den. 6 la libbra, e sulla seta
torta non tinta scell. 14 den. 8; il dazio sulla seta tinta
equivaleva a una vera proibizione. Eravi nel medesimo
tempo un largo premio sulle sete esportate, il che pro-
duceva una esportazione forzosa, l’ammontar della quale
deve defalcarsi dalla massa delle sete importate sì torte
che grezze se vuolsi far un calcolo del consumo nazio-
nale. Le importazioni del 1817 e del 1818 eguagliano
col loro medio l’importazione del 1819. In quei tre
anni pare che questo commercio rimanesse stazionario.
Per qualche tempo avanti il 1817 pare che soggiacesse
ad uno de’suoi periodici disastri; e se si risale più oltre
noi ci troviamo o al tempo della guerra, o a quello
della sua cessazione, i quali son del pari disadatti a
un ragionevole confronto. Molto prima del 1824 il
setifìcio veniva pullulando nelle nostre città provinciali
e gli effetti sinistri cominciavano a risentirsi a Spital-
fields e se il consumo venisse ora restringendosi a quei
punto a cui lo porterebbe il richiamo del sistema proi-
bitivo, non si può supporre che i telaj della capitale
troverebbero lavoro, a fronte dei tanti nuovi stabilimenti
posti in movimento nelle provincie. Gli operaj di Spital-
fields, male intendendo i loro propri interessi, impetra-
rono che il corpo legislativo sancisse un libro di prezzi
fissi pel loro lavoro. Ma il Parlamento non poteva ren-
der fissi su quel terreno gli intraprenditori che gli im-
piegavano, però una opportuna abolizione del libro
impedì che tutto il loro lavoro non venisse rapidamente
trapiantato in altri territorj non soggetti al legame del
libro. Fu detto che il sopravvenuto ristagno di lavoro
- Quartier della capitale dedito al setificio.
188 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

non produsse la prima volta a Spitalfields tanta miseria


quanta è la presente, perché gli operai che avevano
ricevuto anteriormente grossi stipendj avevan fatto al-
cuni avanzi che valsero a sostentarli fino al ritorno di
lavoro. Ciò può esser vero in parte; ma è più ampia-
mente vero che il ristagno proveniva dalla altezza de-
gli stipendj, e da quella dei dazj e degli altri aggravi,
per cui il consumo delle sete era quasi limitato a quelle
classi su cui i capricci della moda han maggiore impero.
E forse a cangiamenti di moda piuttosto che ad eccesso
di produzione possono attribuirsi i disastri precedenti;
ed è manifesto che quelle congiunture dovevano riescir
tanto più disastrose a Spitalfields quanto più si svi-
luppava la concorrenza dei manifattori di provincia.
A que' tempi non era possibile rinvigorire lo smercio
coll'abbassamento de' prezzi, perché di ciò poco im-
portava ai consumatori d'allora; e l'abbassamento non
potevasi recare a tale da procurare immantinente una
novella classe di compratori.

VII.
Lo stato della torcitura sotto il passato sistema è
specialmente degno di considerazione. Con un dazio
di scell. 9 den. 2 (che è la differenza tra i dazj delle
sete grezze e delle torte) in favore del torcitore in-
glese, egli non era capace di escludere le sete torte
all'estero; e si è visto che l'importazione delle sete
torte nel primo intervallo eguagliò quella del secon-
do, poiché qualche cosa bisogna pure attribuire al
contrabbando sotto la tentazione di 14 scellini e 8
denari per libra. Ma in proporzione alla quantità della
seta grezza introdotta in ambedue gli intervalli, la
seta torta importata nel primo, sotto un sì grave da-
zio proibitivo superava di gran lunga quella che si
importò nel secondo sotto un dazio rispettivamente
. ... - . . ......

VIII - CRITICA ALL'ASSOLUTISMO 189


minore. Però questa importazione di seta torta, fra
le tante altre variazioni di circostanze nel commercio,
non deve considerarsi confrontando un quinquennio
coll'altro, ma bensì paragonando ogni singolo anno
dell'intero quinquennio coll'anno precedente, quandan-
che la differenza nelle sete torte possa esser 'grande.
E il fatto prova che le sole sete torte all'estero sono
atte ai lavori più fini, e che il consumo di tali ma-
terie era ed è ancora determinato in questo regno
dall’alto prezzo della materia stessa per un lato e per
l'altro dal contrabbando. Eppure ad onta e della im-
portazione e del contrabbando delle sete torte, i tor-
citori nazionali sotto l'antico sistema esercitavano l'arte
loro ricavando grossi guadagni, e pagando grossi sti-
pendj agli operaj; il che essi attribuiscono a mento del
sistema. Però deve pur assegnarsi qualche altra causa;
perché giusta ogni natural conseguenza de' fatti dove-
vasi attendere un effetto totalmente opposto. Sotto I'an-
tico sistema al torcitore estero toccava quasi un quinto
del lavoro; ora non gli tocca che un nono, e la quan-
tità totale del lavoro è quasi raddoppiata. In sostanza,
i loro precedenti guadagni non possono attribuirsi
che al limitato numero dei filatoj.

VIII.
La riforma introdotta nel setificio dall'atto di aprile
1824 ci si rappresenta come tale da cagionarne la
distruzione, e quei che tengono simil discorso affer-
mano che ogni uomo assennato fin dal momento della
promulgazione ne previde le conseguenze. Ma se la
succennata opinione avesse qualche fondamento, sa-
rebbe ad osservarsi che le persone date al setificio
avrebbero operato colla più strana imprudenza; poi-
ché invece & restringere le loro intraprese, immanti-
nenti le estesero. Asseriscono che il manifattor fran-
190 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

cese avrebbe venduto a minor prezzo dell'inglese e


che bisognava quindi aspettarsi per l'inglese poco la-
voro e scarso lucro, mentre il francese avrebbe avuto
molto lavoro e grossi emolumenti. Per certo se la
diminuzione di guadagno deriva al manifattore inglese
dall'essere soppiantato dal francese, questo dovrebbe
trovarsi in assai florida condizione. Ma la cosa procede
a rovescio; il setificio soggiace in Francia al medesimo
disastro che fra noi; ed i manifattori francesi convinti
dalla dura esperienza che non è così agevole soppiantare
il manifattore britannico hanno messo fuor d'opera molte
migliaia di telai. I temperamenti impetrati dalle vee-
menti suppliche dei fabbricatori alfine di introdurre
alquanto lentamente la riforma, partorirono male per
bene. L'atto fu decretato il 12 aprile 1825, e benché
si cominciasse immantinente ad abbassare i dazj sulle
sete grezze e torte, la proibizione delle stoffe estere
doveva durare fino al 5 luglio 1826. Si sostenne che il
tempo intermedio sarebbesi occupato a preparar le
merci che dovevano sostenere la futura concorrenza. Ma
i Francesi eziandio impiegarono lo stesso spazio di
tempo a far preparativi per il nuovo mercato che
dovevasi loro aprire; atteso che avevano prestato fede
alle dicerie dei manifattori inglesi sulla possibilità di
soppiantarli. I1 governo naturalmente aspettavasi che il
fabbricatore inglese intraprenderebbe di perfezionare le
sue macchine, e le sue merci, poiché la superiorità dei
Francesi nei lavori più fini era universalmente ricono-
sciuta. E appunto con questa sola mira si concesse un
ritardo; e un subitaneo accrescimento nella produzione
era la cosa che men di tutto si aspettava. Ma l'accre-
scimento subitaneo ebbe luogo, e benché l'atto non
fosse decretato se non il 12 aprile 1824, la quantità
della seta grezza e torta di cui i fabbricatori fecero
incetta in quell'anno fu di 1,500,000 libbre più che nel
precedente. Anche nel 1825 fu una assai grande quan-
VIII - CRITICA ALL’ASSOLUTISMO 191

tità, ove si paragoni a qualunque degli anni anteriori al


1824. Ma verso la fine del 1825 e l’entrar del 1826 si
sparse tra i manifattori qualche timore sugli effetti
probabili della prossima conferenza straniera che dove-
va iniziarsi sullo spirar di giugno. Erasi chiarito che i
Francesi avevano accumulato gran copia di stoffe; e si
riconobbe allora quanto meglio sarebbe stato il sor-
prenderli impreparati aprendo di repente il libero com-
mercio, che il conceder loro due e più anni di prepara-
tivi. Gli Inglesi inoltre erano caduti nell’errore di accre-
scere la quantità piuttosto che migliorare la qualità, e
videro che un profluvio di merci si verserebbe da due
parti sullo stesso mercato. Alcuni savj manifattori s’av-
videro per tempo dell’errore ch‘erasi preso, e consi-
gliarono che si raccorciasse la durata della proibizione,
ma il loro parere non fu udito. S’introdusse nel progetto
di legge una tariffa daziaria, e fra i dibattimenti si
proposero dai manifattori varj temperamenti, e tutti al
fine di attraversare il commercio straniero. Uno fra gli
altri aveva per fine di escludere dal nostro mercato
tutte le merci francesi già ultimate. E consisteva nel
promulgare che si ammetterebbero le sole pezze di
una certa lunghezza; e siccome di tali pezze non se ne
era mai fatto in Francia fino a quel tempo, questa sola
condizione escludeva tutta quanta la merce straniera.
Ma anche questo ripiego produsse male invece di bene
a quegli stessi che lo implorarono. I Francesi si misero
tosto all’impresa dì fabbricar altre pezze della prescritta
lunghezza; mentre le pezze scartate decadendo subita-
mente di valore, furono comperate a vil prezzo, e versate
di contrabbando in questo paese. Inoltre il manifattore
nell’intervallo concessogli non si applicò a perfezionare
i suoi lavori. Il dazio sulle sete torte rimase troppo
elevato, del che sono ad incolparsi gli stessi manifattori.
Essi s’accordarono coi torcitori ad esporre ragioni al
governo per cui si dovessero serbar alti i dazj sulle sete
192 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

torte. Ad impedire che si provedessero le sete torte in


Italia, per quei lavori nei quali non si può adoperare
altra seta si aggiungeva un altro ostacolo; ed era il re-
golamento marittimo che vietava l'importazione della
seta torta quando non provenisse direttamente dal paese
che la somministrava. Conseguenza ne fu che sullo
spirar del 1825 i manifattori si presentarono al governo,
dichiarando ch'erano interrotti i loro lavori per man-
canza di materia prima. Esposero essere eccessivi i dazj,
esservi una certa qualità d'organzini che non si poteva
produrre in Inghilterra, gli speculatori aver accapar-
rato tutta la merce ch'erasi importata, o potevasi giusta
il regolamento marittimo direttamente importare dal
paese originario. Esposero eziandio potersi trar da altri
paesi gran copia di seta torta in Italia quando fosse con-
cesso importarla. E dietro tali rappresentanze un ordine
del consiglio abbassò il dazio di 5 scellini. Bisogna che
allora si presumesse che il torcitore inglese riescirebbe
a lavorare a sì buon prezzo da respingere le sete torte
all'estero; poiché dalla riduzione del dazio sulla seta
grezza si fece sperare un commercio d'esportazione, che
non si poteva mai aspettare sotto i gravi dazj imposti
alla materia prima e fintantoché tali dazj eran necessarj
per proteggere il consumo interno delle nostre merci.
È certo che il governo non ebbe speranza di pronte
esportazioni, poiché prima di tutto bisognava far fronte
in casa nostra all'industria francese.

IX.
Laonde le cause veraci delle .disgrazie dei nostri
torcitori possono chiarirsi osservando pochi fatti. Io
tengo un prospetto del numero dei filatori stabiliti
dopo il 1823, come pure del numero dei rocchetti
ch'erano in opera allora, e di quelli che sono inope-
rosi a quest'ora o che piuttosto lo erano di recente

,
VIII - CRITICA ALL’ASSOLUTISMO 193
quando si assunse il prospetto. Molti fatti mi furono con-
fermati, o per relazioni trasmessemi, o per confessione
delle stesse persone esaminate all’officio commerciale; e
chiaramente proveranno che le più gravi angustie pro-
vengono dall’improvido accrescimento dei filatoj. Preso
un certo numero di città considerevoli, ritrovo che prima
del 1824 il numero dei rocchetti che vi erano in opera
era 780,000; e nel 1829 nelle stesse città il numero
era 1,180,000; il che dà un incremento di 400,000.
Supposto che prima del 1824 fossero in opera tutti e
senza eccezione, siccome il numero degli inoperosi in
quest’anno ci si annunzia essere 300,000, è chiaro che
a fronte del 1824 non vi è diminuzione di lavoro. E qui
voglio aggiungere che nello stesso anno 1823 il nu-
mero dei filatoi era di 175; ed ora è di 266. È forse
d’uopo aggiungere altre prove di un’eccessiva produ-
zione in questo ramo? Ma sfortunatamente l’improvida
gara dei torcitori accrebbe le angustie che opprimono i
manifattori. Avrebbe giovato al tessitore, qualora il tor-
citore non avesse preteso una protezione che è il più
grave inciampo pel manifattore, perché eleva il prezzo
di quella che è per lui materia di quel particolar ramo
di manifatture ch‘ei si lagna di aver perduto. È manife-
sto che il dazio sulle sete torte italiane, pesando princi-
palmente sugli organzini che s’importano dal Piemonte
toglie ai nostri manifattori di poter produrre le seterie
più fine, e gli esclude dai mercati stranieri. E noi troviam
necessario di proteggerli anche in patria non solo con-
tro la differenza dei salarj in Francia e in Inghilterra,
non solo contro i naturali svantaggi a cui si lagnano di
soggiacer essi soli e non i loro rivali; ma eziandio contro
gli effetti di questo dazio stesso che i loro rivali hanno
il senno di non imporre, un dazio che in coscienza
non credo necessario (tale qual è al presente) per pro-
teggere il torcitore. I o ammetto che questo sia i1 più
difficile lato della questione. E la difficoltà è aumentata

13. . CATTANEO. Scriiti politici. III.


194 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

dall‘unione, dalla unione contro natura e congiura dei


torcitori e manifattori. Solo di recente e da una parte
sola delle persone interessate si riconobbe che i loro
interessi non sono inseparabili. Io confesso che l’accordo
del torcitore e del manifattore sarebbe naturale, e profi-
cuo ad entrambi se non si interponesse il prezzo della
materia grezza. Sarebbe giovevole al manifattore senza
dubbio, il trascegliere certe sete particolari e dirigerne
la preparazione, se per una necessaria ed indispensabile
qualità di sete non fosse astretto a pagare un prezzo
che rende impossibile ogni concorrenza cogli esteri. Ma,
quanto al fatto, comunque dura fosse questa necessità,
la sua condizione è peggiore ancora, poiché il torcitore
inglese è incapace di somministrargli la materia indispen-
sabile ai lavori più fini: in modo che il dazio sugli
organzini italiani non reca vantaggio al torcitore, e di-
strugge dalle radici un ramo intero, che è il più lucroso,
delle manifatture nostrali. Il torcitore implora prote-
zione. Ma questa non è protezione per lui, bensì ruina
pel tessitore.

X.
È mestieri forse ch’io m’inoltri a provare che questo
ingrediente delle più eleganti manifatture non può
somministrarsi dal torcitore inglese? S e i fosse capace
di somministrarlo, non lo avrebbe fatto all’ombra del
dazio anteriore di scellini 14 den. 7? Un così enorme
dazio non avrebbe egli prodotto gii effetti di una vera
proibizione, se gli organzini inglesi avessero concesso
al manifattore di far senza gli organzini italiani? La dif-
ferenza del dazio tra la seta grezza e la torta era allora
di sc. 9 den. 2; somma più che bastevole invero a qua-
lunque protezione. Ma la quantità importata non fece
che aumentare d‘allora in poi, quandanche la differenza
attuale sia di soli 5 scell. E comparativamente alla quan-
VIII - CRITICA ALL’ASSOLUTISMO 193

tità della seta grezza importata ho già dimostrato di


quanto abbia diminuito. Io credo non potersi negare
che gli organzini piemontesi siano necessarj per le sete-
rie soprafine ed è del pari manifesto che per quanto s’ac-
cresca la richiesta di questa materia presso i manifattori,
non ne verranno respinte le sete torte nazionali. Anzi
accoppiata con altre sete potrà respingere una certa
quantità delle stoffe più fine, delle quali si dice che
c’inondi la Francia; ma tale effetto si otterrà o impiegan-
dora in nuove stoffe che non si fabbricherebbero per altra
maniera in questo paese, o combinandola con quelle sete
che possono proficuamente torcersi in Inghilterra l’uso
delle quali debbasi estendere, estendendosi generalmente
la manifattura. Io non posso, me ne avveggo, non posso
spinger la riduzione fin dove la mia massima richiede-
rebbe. Non posso far sì che il manifattore inglese ottenga
la materia grezza a que’ patti a cui l’ottiene il francese.
Un riguardo agii interessi già vincolati alla torcitura
delle sete in questo paese mi rattiene; e quantunque
persuaso che se la manifattura languisce debba sof-
frirne anche il torcitore, e s’ella decade il torcitore debba
pur cadere, pure pel momento voglio considerare non
tanto qual sia la minima gravezza da imporsi alla ma-
teria prima (e per tale devo riguardar gli organzini ita-
liani in alcuni rami di manifattura) quanto indagare
qual parte di quel dazio di protezione che noi possiamo
concedere alle manifatture patrie, si debba conservare
al torcitore; ovvio essendo che il dazio debba proteggere
tutti proporzionatamente. Io non posso unirmi a coloro
che dimandano, come fecero alcune delle deputazioni
presentatesi all’officio commerciale, un tal dazio che
assicuri loro sulla torcitura degli organzini scell. 9
den. 6 per libbra. Sarebbe irragionevole lo sperare che
la proibizione o almen altro ripiego possa sostenere
l’industria inglese sotto I’aggravio di una s ì esorbitante
carenza di materie prime. Ma io non so come questi
196 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

signori possano misurare sul dazio il lucro della lor tor-


citura. Al presente non v’è tra loro chi non riconosca
torcere essi a 5 scellini per libbra la miglior seta che
sian capaci di torcere; ed a prezzo considerevolmente
minore la seta più scadente. Ora siccome la torcitura
degli organzini finissimi costa in Italia solo scellini 2
denari 9 (come io posso asseverare sull’autorità di uno
de’ primarj negozianti di questa città, oppositore altron-
de di tutte le mie massime su questo argomento, e fermo
difensore delle proibizioni, e autore dei più ingegnosi
calcoli per provarne la necessità); siccome mi vien rife-
rito da lui che tali finissimi organzini entrano in questo
nostro paese con un carico di scell. 3 den. i per libbra
al disopra del prezzo di simili sete non torte; questo
carico sommato col dazio d’introduzione che è di scel-
lini 5 forma un totale di scellini 8 den. 1. Quanto espongo
alla Camera riguarda gli organzini esteri ma può dirsi
eziandio delle trame. E sono adoperate in egual propor-
zione come gli esperti di queste materie ben sanno.
Una persona grandemente interessata e nella torci-
tura e nella manifattura (non è necessario citar no-
mi proprj) mi riferì di aver di recente fatto ampia in-
cetta di seta grezza in Lombardia, metà della quale
fu ridotta a trame in Italia, e l’altra metà in Inghil-
terra; e che aggiungendo il dazio d’entrata di scellini 3,
le trame italiane gli costarono 1 scellini e denari 10
più che le inglesi. Per riguardo dunque alle trame
non vi può essere difficoltà a far una riduzione. Ed io
non credo che se ne opporrà alcuna alla proposta ch’io
avrò l’onor di fare; che si riduca cioè il dazio sugli or-
ganzini esteri da scellini 5 a scell. 3 den. 6. So che
da un lato mi si apporrà ch‘io vo troppo avanti colla
mia proposizione e che il torcitore e massime il torcitore
di sete soprafine ne sarà gravemente affetto. E dall’altro
lato mi si farà rimprovero da quelli con cui nelle mas-
sime fondamentali son d’accordo per non farmi avanti
VIII - CRITICA ALL'ASSOLUTISMO 197

abbastanza, e togliere, come essi mi accuseranno di fare,


al manifattore inglese la materia prima. Io debbo sotto-
pormi a tali imputazioni; ma mi conforto pensando che
coll'oppormi alla dimanda di ciò che i torcitori chiamano
aumento di perfezione, li proteggo contro loro mede-
simi; poiché la ruina loro è inevitabile se il manifattore
non è sostenuto.

XI .
Nel proporre una riduzione del dazio presente io
tengo ferma credenza che darà sufficiente protezione,
e che senza tal riduzione il manifattore non può so-
stenersi. Io non impegno né me, né il governo a qual-
siasi riduzione futura; né ciò deve involgere alcuna
nostra obligazione in ciò ch'io considero come uno spe-
rimento per mettere il manifattore in istato di conservarsi
sui mercati nazionali, all'ombra di quei dazj sulle ma-
nifatture compite che ci è possibile imporre. Laonde
i dazj sulle tre qualità di seta torta saranno: sugli
organzini scell. 3 den. 6 per lib. il che suppone una
riduzione di scell. 1 d. 6; sulle trame scell. 2 cioè
una riduzione di 1 scell. e sulle semplici scell. 1 den. 6
cioè una riduzione di den. 6 per libb. Io opino che
così ridotti i dazj sulla materia, e nella maniera ch'io
verrò proponendo ridotti i dazj sulle stoffe estere,
avremo assicurato ai nostri tessitori la gran massa del
consumo interno.

Ma se vogliamo vendere all'estero bisogna far di


più. Lo sperare di tener fronte sui mercati stranieri
quando siamo astretti a sostenerci artificialmente sui
mercati nostri nazionali, è un assurdo; è un assurdo
il conservare i dazj sulla materia prima e il mandar
198 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

le nostre merci aggravate d'imposte al consumatore


straniero. Io proporrei allora un rimborso della quota
di dazio su quella seta torta all'estero che si fosse
adoperata nelle stoffe inglesi. Né si creda già che ciò
sia un premio d'esportazione.
Sarebbe impossibile il riconciliare il Parlamento al-
l'idea di un premio d'esportazione ed io sarei l'ultimo
di tutti a proporla; ma fu una massima nel nostro
commercio d'esportazione l'alleviare dai dazj di con-
sumo le merci quando si esportano. Ora i dazj sulla
seta torta estera, sono in questo paese dazj di con-
sumo; e se non si rimborsano all'atto dell'esportazione
delle stoffe fatte di quella seta, diventano un dazio
di transito. Ed io credo che nessuno penserà ad im-
porre un dazio di transito su una manifattura che
anche pel consumo interno abbisogna di una mano
protettrice. Si può objettare che le stoffe esportate po-
trebbero esser fatte di seta non torta all'estero. Ma
che monta ciò? Dovrassi forse prender pensiero di una
sostituzione qualunque che potesse farsi, fintantoché
non si sorpassa la quantità importata? Quando ai raffi-
natori di zucchero si permette d'introdurre lo zuc-
chero straniero per raffinarlo ed esportarlo, non sono
astretti ad esportare lo stesso ed identico zuccaro; e
nel recente atto che permette la macinazione del fru-
mento estero per l'esportazione, la legge mira solo
alla quantità e non si cura dell'identità. Laonde per
impedire che le dimande di rimborso sorpassino i dazj
percepiti, e per, riservare il diritto di rimborso alle
persone che pagarono i dazj, il rimborso non si farà
che all'importatore stesso qualora egli diventi esporta-
tore o ad un sostituito da lui quando l'esportazione si
faccia per altra mano. Se col soccorso della seta torta
all'estero alleviata per questo modo dei dazi non potes-
simo avviare un traffico d'esportazione che colle sete
inglesi non potremmo sostenere, senza dubbio la ma-
VIII - CRITICA ALL'ASSOLUTISMO 199

teria estera entrerà in paese nella necessaria quantità.


E se dall'altro lato i torcitori inglesi van migliorando i
loro lavori fino al punto di poter torcere a prezzi
d'esportazione, la importazione della seta estera anderà
diminuendo, e le dimande di rimborso scemeranno in
proporzione. Io posso asserire che siccome quei lavori
che sono di tutta seta sono fatti di eguali quantità di
trama e d'organzino, il rimborso corrisponderà al dazio
rispettivo delle due metà. Riguardo poi alle stoffe miste
io non devo dire se non che certe proporzioni saranno
ad adottarsi, le quali diventeranno familiari agli officiaii
delle dogane come al tempo in cui si davano premj
d'esportazione.

XIII.
Ora io vengo, Signore, a una parte dell'argo-
mento, la quale sia che si riguardi all'interesse del
consumatore o a quello del produttore, non è di minor
momento delle già ,trattate; intendo di parlare della
quantità del dazio che ci converrà imporre sulle stoffe
estere; e che dovremmo calcolare sui principio di pro-
teggere le manifatture patrie portandolo alla maggior
somma che si possa riscuotere, senza dar con ciò una
troppo grande tentazione al contrabbandiere. Quando
io dico la maggior somma, m'intendo naturalmente quel-
la che s'accorda col solo giusto principio di protezione,
e che si misura da un lato sul prezzo del lavoro negli
altri paesi; e dall'altro sugli svantaggi dimostrati che
agiscono contro il manifattore britannico e in favore
dell'estero competitore. Non ho mai udito che si im-
plorasse una tariffa daziaria superiore al 30 per 100.
Avanti la Camera dei Pari il 15 per 100 fu considerato
da alcuni come sufficiente, ma ognuno riconoscerà
che se si oltrepassasse il 30 per 100 non se ne ritrar-
rebbe una verace protezione, poiché quel commercio
200 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

passerebbe inevitabilmente nelle mani del contrabban-


diere. Nel primo caso si stabilì un dazio in genere
sul valore; ma prima che si ponesse in esecuzione,
dietro una rappresentanza degli interessati si , adottò
una tariffa di dazi variati, stabiliti però suila base del
30 per 100. Sulle stoffe liscie, che è il genere più co-
pioso s’imposero scellini 15 per libbra. Ma per rispet-
to e a quelle ed alle altre, le variazioni di valore
da quell’epoca in poi unite ad altre circostanze furono
causa che i dazj della tariffa riescissero, benché in
varj gradi, pure sempre superiori al tanto per cento
che s’indicò; e variassero dal 30 al 40 per 100.

XIV.
Io propongo di unire il principio di un dazio ad
valorem con quello della tariffa che si esige al pre-
sente, riducendola però come verrò poi esponendo.
Egli è giovevole ed agli importatori ed al pubblico
reddito il continuare a riscuotere il dazio sul peso; ma
per prevenire l’importazione delle merci di gran va-
lore e di una classe più distinta il cui valore non si
possa stabilire e desumere da una tariffa, propongo
che l’officiale abbia facoltà di caricarle di un dazio
sul valore. Con questo ripiego si proteggeranno i ma-
nifattori contro l’introduzione di merci superiori con un
dazio insufficiente, del che si mosse già lamento; poi-
ché è manifesto che promulgata una tariffa, deve essa
applicarsi a tutte quante le merci di una data classe
comunque diverso ne sia il valore. I1 più basso dazio
sulle stoffe non indiane sarà del 25 per 100 il che
darà per le stoffe liscie circa 11 scellìini per libbra in-
vece di 15 che è il dazio presente. E la bassezza di
questo dazio è l’unico efficace mezzo di attraversare
le speculazioni dei contrabbandieri le quali coll’incen-
tivo di un dazio elevato si estesero oltremodo sulle
VIII - CRITICA ALL’ASSOLUTISMO 201

stoffe lisce. Tali merci reggono ad una fortissima com-


pressione nell’imballatura, e riducendosi a poco vo-
lume son più facilmente introdotte di furto. Altre stoffe
estere più voluminose e facili a guastarsi ove siano
compresse, sono meno agevoli introdursi per contrab-
bando. E perciò possono soggiacere a più grave dazio.
Questa osservazione convien principalmente ai veli cre-
spi (crêpes) ed altre merci di più delicata tessitura,
come pure ai velluti che provengono principalmente
dalla Svizzera e dalla Germania. Si pretese da persone
interessate in questi traffichi che col limitare i porti
pei quali sia permessa l’importazione delle seterie si
impedirebbero le intraprese dei contrabbandieri. Io
credo che si esageri l’importanza di simili restrizioni.
Penso però ch‘esse gioverebbero porgendo il mezzo di
avere più efficaci dogane e officiali meglio esperti e
della qualità e del valore delle varie mercanzie, che
se i luoghi d’importazione fossero illimitati. Il pro-
spetto delle importazioni mostrerà altronde quanto po-
chi siano i porti per cui introduconsi tali merci; ma
io proporrò per le suesposte ragioni di limitarci a Lon-
dra e Dover o due o tre degli altri porti principali
del regno. Da parte dei trafficanti si suggerì eziandio
di restringere il diritto d‘importazione a navi di tal
capacità e forma che non sogliano adoperarsi al com-
mercio di contrabando tra l’Inghilterra ed il continente.
Non vi sarà difficoltà di accogliere questo suggerimento,
e nell’aumentare, come fu proposto le ricompense ai
doganieri sulle prese fatte. Insomma non vi è suggeri-
mento che venendo proposto legalmente dalle persone
a ciò interessate perché non contrasti colle nostre mas-
sime fondamentali non sia per trovare il Governo di-
sposto ad accoglierlo favorevolmente; e ne son certo
anche l’officio delle Dogane pronto a sostenerlo con
ogni facoltà.
202 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

XV.

Considerati così i dazj sulle manifatture europee,


io credo di assecondare il desiderio della Camera tra-
passando ad esaminare le altre provisioni, raccoman-
dando la riduzione dei dazj anche sulle merci del-
l'India orientale. Sia che noi riguardiamo in generale
la nostra politica convenienza verso i nostri lontani
possedimenti, o le peculiari circostanze dei nostri do-
minj indiani, non può esser dubbio dover noi ammet-
tere le loro mercanzie a men gravi patti. Noi man-
diamo le nostre manifatture a gareggiare colle loro, e
non abbiamo ragione di riguardarli come nazione stra-
niera. Io suggerirei un dazio del 20 per 100 ad valo-
rem per le seterie dell'India britannica. Si vedrà quanto
più opportuno riesca per tali merci un dazio ad ualo-
rem che una tariffa. Ciò s'accorderebbe alle rimostranze
di quei manifattori che combatterono la massima dei
dazi presi sul peso, temendo che i fazzoletti banda-
nas di finissimo tessuto, pesando meno, soggiacessero
quindi a minor dazio mentre il loro valore andò gran-
demente crescendo. Io non voglio caricar d'esempj
questo argomento onde provare qual siano stati sulle
manifatture di questo paese gli effetti della concor-
renza. Lo smercio dei bandanas inglesi fu citato in
prova, alcune sere sono. Non sarà necessario adoperarsi
con alcun ragionamento, io spero, per ottenere questo
ribasso, o per stabilire il dazio in ragione del valore.
attesoché nell’ultima sessione del Parlamento, l'opinio-
ne della Camera a tal proposito si enunziò assai ma-
nifestamente. Invero non so quali interessi in Inghil-
terra possano giustamente reclamar contro ciò, mentre
l'India, e tutti gli uomini interessati alla nostra navi-
gazione, o al commercio di quel paese debbono ri-
cevere ogni simile agevolezza come un riguardevole
beneficio.
VIII - CRITICA ALL’ASSOLUTISMO 203

XVI.

Io ho dunque, o signore, imperfettamente, me ne


avvedo, sottoposto alla Camera quelle proposte ch’io
credo essenziali per ricondurre il setificio a più pro-
spera condizione. Mi sono adoperato a dimostrare che
le difficoltà che pur troppo regnano ed a cui ogni
buon animo dee partecipare non sono da imputarsi
all’abolizione di quelle leggi che reggevano dapprima
il commercio. È manifesto che le angustie non afflig-
gono un solo ramo di questa industria, né questa in-
dustria soltanto, né soltanto la nostra nazione. Esten-
donsi esse ad altri generi di manifatture, e devonsi
in tutte egualmente ascrivere a un eccesso d’importa-
zione e di produzione. Ma nelle altre manifatture quel-
li che s’abbandonarono a speculazioni e ne rimasero
danneggiati, non ebbero alcun cambiamento di leggi
a cui attribuirne la colpa, né poterono imputare al
governo l’evidente effetto d’una concorrenza ruinosa.
Io ho assicurato schiettamente l’onorevole gentiluomo
che se l’inchiesta ch’ei propone lasciasse sperare un
sollievo ai presenti mali, io sarei l’ultimo tra i viventi
ad oppugnarla. L’opporvisi riesce ingrato assunto ad
ogni membro della Camera, e doppiamente ingrato a
coloro su cui cade la responsabilità d’ogni novella mi-
sura proposta al Parlamento. Mia credenza si è che
l’esitazione che susseguirebbe l’inchiesta e il ristagno
degli affari, aggraverebbero oltremodo le angustie dei
numerosi ricorrenti. Per me privatamente, e per la
maniera mia di mirar tal questione, non mi opporrei
all’inchiesta, persuaso come sono che i fatti conferme-
rebbero quanto esposi alla camera. Ma mi vi oppongo
come ad uno sconsigliato tentativo per ricondurci a
una ruinosa proibizione. i o non ho, o signore, SU que-
sto oggetto né dichiarazioni anteriori che mi leghino
né opinioni obligate a cui debba attenermi. Io, al pari
204 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

d'altri membri di questa camera, diedi negli anni an-


tecedenti il mio tacito consentimento alle misure del
governo. In seguito, com'era dover mio, ho consacrato
agli oggetti relativi a queste misure e particolarmente
a quelli su cui s'aggirarono le discussioni di questa
sera, la mia più ferma e coscienziosa attenzione. Ho
tenuto conto d'ogni rimostranza, e mi sono sforzato
fin dove giungeva la mia capacità di scandagliare ogni
particolare; ed eccomi fermo tuttavia nell'opinione che
aveva preso, e che per la prima volta questa sera,
enunzio nel mio carattere officiale. Non tratterrò più
a lungo la camera. La gravità dell'argomento, gli in-
teressi delle persone impegnate in questo prezioso ra-
mo dell'industria nazionale, e soprattutto l'importanza
di quei principj dei quali la camera è chiamata, a
giudicare, sarà, mi confido, la mia discolpa. Mi ver-
gogno di avervi trattenuti sì a lungo; ma più assai mi
vergognerei se avessi scansato la responsabilità che
I'officio mio m'impone, o mi fossi rifugiato all'ombra
degli atti altrui o dell'altrui autorità, per una risolu-
zione che la coscienza del mio dovere mi conduce ad
abbracciare.
I l molto onorevole gentiluomo si assise fra rumo-
rosi applausi che durarono parecchi minuti.

Estratto del discorso del signor Baring


in risposta a quello del sig. V. Fitz-Gerald.

Il sig. Baring era dolente di osservare che quan-


tunque tutte le parti del regno ch'erano in alcuna
maniera interessate al setificio avessero nelle loro pe-
tizioni esposto la miseria e i disastri sotto cui geme-
vano, nulla vi fosse nel discorso del M. O . Presidente
dell'officio commerciale che lasciasse sperare un sol-
lievo a tanti mali. Né egli intendeva di dire che fosse
204 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

d'altri membri di questa camera, diedi negli anni an-


tecedenti il mio tacito consentimento alle misure del
governo. In seguito, com'era dover mio, ho consacrato
agli oggetti relativi a queste misure e particolarmente
a quelli su cui s'aggirarono le discussioni di questa
sera, la mia più ferma e coscienziosa attenzione. Ho
tenuto conto d'ogni rimostranza, e mi sono sforzato
fin dove giungeva la mia capacità di scandagliare ogni
particolare; ed eccomi fermo tuttavia nell'opinione che
aveva preso, e che per la prima volta questa sera,
enunzio nel mio carattere officiale. Non tratterrò più
a lungo la camera. La gravità dell'argomento, gli in-
teressi delle persone impegnate in questo prezioso ra-
mo dell'industria nazionale, e soprattutto l'importanza
di quei principj dei quali la camera è chiamata, a
giudicare, sarà, mi confido, la mia discolpa. Mi ver-
gogno di avervi trattenuti sì a lungo; ma più assai mi
vergognerei se avessi scansato la responsabilità che
I'officio mio m'impone, o mi fossi rifugiato all'ombra
degli atti altrui o dell'altrui autorità, per una risolu-
zione che la coscienza del mio dovere mi conduce ad
abbracciare.
I l molto onorevole gentiluomo si assise fra rumo-
rosi applausi che durarono parecchi minuti.

Estratto del discorso del signor Baring


in risposta a quello del sig. V. Fitz-Gerald.

Il sig. Baring era dolente di osservare che quan-


tunque tutte le parti del regno ch'erano in alcuna
maniera interessate al setificio avessero nelle loro pe-
tizioni esposto la miseria e i disastri sotto cui geme-
vano, nulla vi fosse nel discorso del M. O . Presidente
dell'officio commerciale che lasciasse sperare un sol-
lievo a tanti mali. Né egli intendeva di dire che fosse
VIII - CRITICA ALL’ASSOLUTISMO 205

in potere del M. O . Gentil, di arrecarlo; nondimeno


era doloroso che il M. O. Gentil, dopo tutta I’atten-
zione che aveva dedicata a questo argomento, non
potesse proporre alcun conforto alle calamità che avea
deplorate. Le persone impegnate nel setificio dichia-
rarono di non poter sostenere la concorrenza cogli
esteri e il M. O. G . disse immantinente: « Noi am-
metteremo gli esteri a più agevoli condizioni ». Gli
era forza dire che nelle misure proposte quella sera
dal M. O . G. nulla eravi, se si eccettui il rimborso
agli esportatori, che tendesse a beneficare il manifattor
nazionale. E a fronte di quelle misure egli doveva
dire che il setificio in questo regno era una industria
proscritta. Egli aveva presentata la petizione dei ne-
gozianti di Londra, e doveva pur dire di convenir pie-
namente seco loro nelle massime fondamentali; quan-
tunque potesse accertare la camera che la petizione
non era sua scrittura. Egli aveva accolto con satisfa-
zione grandissima quella riforma nei regolamenti com-
merciali di cui il regno doveva andar riconoscente al
suo M. O . amico, che si era applicato a quell’argo-
mento con un zelo veramente incomparabile. Era que-
sta la sola manifattura in cui gli esteri avevano una
decisa superiorità sui nostri. I1 M. O. G. aveva rico-
nosciuto che il popolo di Coventry vergognavasi delle
stoffe fabbricate prima della rivoluzione francese. Eravi
stato nelle manifatture di Francia un manifesto pro-
gresso, e le nostre manifatture eran rimaste di gran
lunga inferiori. I Francesi possedevano il materiale
grezzo e si erano fatti del setificio un monopolio; ben-
ché ciò non s’accordasse colle massime degli econo-
nisti Francesi. Cause e circostanze particolari rende-
vano talvolta inapplicabili i principj generali, e chi
gli applicasse senza farsi carico delle circostanze, ca-
deva in inganno. I Francesi avevano un’arte di tin-
gere tutta propria, ed eranvi tintori inglesi che reca-
206 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

tisi a Lione avevano involato, com’essi lusingavansi,


il secreto; ma poi per una o per altra ragione non
potevano produrre in Inghilterra gli stessi colori. Inol-
tre le signore inglesi erano invaghite delle stoffe fran-
cesi. E il far leggi senza riguardo a tutte queste con-
siderazioni era far leggi nel bujo. Se si considerava
adunque che Lione era in un paese fertile di seta, e
che aveva I’avvantaggio nelle tinture e nei campioni,
e che la man d‘opera vi costava la metà in paragone
dell’Inghilterra, come potevasi creder possibile che un
paese senza tali vantaggi potesse colla libertà del com-
mercio escludere la concorrenza dell’altro? Qual ri-
medio fosse praticabile in tal caso, era un’altra que-
stione. Ma in tanto gli pareva che rimedi non ce ne
fosse, e che fosse un’industria proscritta. Gli doleva
che personaggi di grande autorità avessero persuaso
al popolo ch’ei poteva sostenere con buon esito la
lotta. Per riguardo alle sete torte era impossibile ai
manifattori dì far senza i torcitori. Se nessuna prote-
zione si fosse mai compartita ai torcitori non vedrem-
mo alcuno dei tanti filatoj ora stabiliti nel regno. Era
una bella cosa l’andar dicendo che questa era solo un
turbine passaggiero; la povera gente diveniva il tra-
stullo di certe illusioni. Era degno dell’attenzione del-
la camera il considerare se queste angustie nascessero
dalle cagioni medesime per cui era angustiato ogni
altro ramo di commercio, e se non erano in gran
parte affatto particolari e proprie. Certamente era ge-
nerale il deperimento e la decadenza dell’industria pa-
tria in ogni genere di lavori; ma in moltissimi degli
altri casi, le difficoltà erano momentanee. Nel mede-
simo tempo gli incresceva di dire che qualora la pace
durasse a lungo, egli credeva impossibile che questo
paese continuasse ad essere un paese manifatturiero,
e sostener la concorrenza col resto del mondo; la que-
stione era se non potessimo recare ad effetto l‘intero
VIII - CRITICA ALL’ASSOLUTISMO 207

sistema della libertà commerciale, quando non pote-


vamo difendere una parte delle nostre manifatture con-
tro l’invasione delle estere. E ben presto ci troverem-
mo alla stessa condizione anche per le lane e i cotoni.
Come potevansi sostener tali massime per riguardo a
quest’ultime manifatture quando le stesse manifatture
sorgevano contemporaneamente a Orleans, Boston e
Liverpool. Dove la perizia e l’affluenza dei capitali
era eguale, il solo prezzo delle sussistenze sarebbe il
fatto decisivo, e noi dobbiam rammentarci del grave
debito che ci aggrava le spalle! (Udite) La camera
non poteva far il suo dovere senza discutere queste
difficoltà. Le difficoltà negli altri rami d’industria erano
nate da qualche eccesso di produzione; si erano fatte
speculazioni per l’India e per altre regioni; i mercati
dell’America Meridionale erano stati interclusi dalle
politiche agitazioni. Inoltre eransi adoperati capitali
fittizj. A Glasgovia le banche avevano, con prestiti a
lungo respiro, sospinto il popolo ad avvolgersi in spe-
culazioni, ch’erano cadute a vuoto. I1 M. O. G. avea
fatto allusione al prezzo del contrabbando che avea
valutato dal 24 al 28 per 100. Ma egli (il sig. Baring)
doveva esser stato ingannato d’assai se il 15 o il 16
per 100 non era il total prezzo che si sarebbe pagato.
Quanto poi al rimedio, supponendo che noi venissimo
alla conclusione di persistere, la nazione era ridotta
all’alternativa o di sostenere un genera1 sistema d’esclu-
sione, o di abbandonarsi alle massime del M. O. G.
le quali involgevano la distruzione delle manifatture.
I regolamenti proposti egli temeva che nescissero in-
fruttuosi, se si eccettui il rimborso agli esportatori,
riguardo al quale egli non poteva enunziare la sua
opinione finché non ne avesse visto nella proposta mi-
nisteriale (bill) i particolari. Il caso dei rimborsi sullo
zucchero, che il M. O. G. aveva citato non era o p
portuno; era condotto con pessimi regolamenti; il prin-
208 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III
cipio fondamentale era buono, ma riprovevoli i par-
ticolari. Nel caso delle sete indiane, il dazjo delle
quali dovevasi ridurre dal 10 per 100 al 20 per 100,
era ben vero, come erasi detto, che gli abitanti del-
l’India erano consudditi nostri, e che non era equità
l’assoggettare le loro manifatture ad un dazio per pro-
teggere le nostre. Questo era un bello e plausibile ra-
gionamento dettato da sentimenti generosi, ma egli
non poteva trattenersi dal notare che noi avevamo con-
cittadini alquanto più vicini a casa nostra, ed esposti
a più dure difficoltà per procacciarsi pane, ed oppressi
da più gravi bisogni che coloro che non avean d’uopo
di vestimenta e si nutrivano di riso. (Udite) Nessun
disastro, nessuna difficoltà soffrivasi in India; ed ei te-
meva anzi che coi naturali loro vantaggi, gli indigeni
di quel paese si trovassero in grado di versar nel re-
gno quella qualità di stoffe che soffocherebbero l’unico
ramo superstite fra di noi. Seria questione era questa
per la camera, benché potesse parer durezza il metter in
campo alcun ostacolo ai riclami del popolo indiano. Egli
(Baring) non vorrebbe opporre al sistema alcun osta-
colo casuale o di poco momento; ma la maniera di
procedere delle altre nazioni in questa materia era
sistematica. Nulla egli poteva apporre al M. O. G. che
avea trattato la questione in modo condegno della sua
altissima difficoltà. Egli (Baring) non credeva che noi
dovessimo retrocedere al vecchio sistema; e al mede-
simo tempo non approvava che si formasse una com-
missione se prima l’animo suo non fosse persuaso di
ritornare a quel sistema che il regno avrebbe allora
aspettato. Ma in una commissione di semplice inchie-
sta egli sarebbe stato contrario ai ricorrenti. (Udite)
Nessun argomento poteva oppugnare il fatto della sem-
pre crescente importazione della materia grezza. Ben
potevano i manifattori porre inanzi l’enorme quantità
di quella merce giacente nei loro depositi, ma la mag-
VIII - CRITICA ALL’ASSOLUTISMO 209

gior difficoltà per la commissione sarebbe tuttora quel-


la cresciuta importazione. Nondimeno le angustie dei
manifattori erano veraci; erano tali da non potersi
esagerare, ed a questo proposito tutto il regno era
d’una medesima opinione.

Estratto del discorso del sig. Sadler.


I1 sig. Sadler riputava un atto di mera giustizia
verso i ricorrenti che avevano gravissimi interessi in
pericolo, il far per loro la proposta di una commis-
sione. Ciò non obbligava ad altro che a prendere in-
formazioni. Sotto ogni aspetto una tal proposta era
cosa da concedersi; né v’era alcuna solida ragione in
contrario. Mentre la camera si occupava di un ano-
nimo contrabbandiere non doveva ricusarsi ad udire
un onesto manifattore. Il principio poi della libertà
commerciale, come poteva applicarsi a questo paese,
era complicato e pericoloso. Fino a un certo punto
egli ammirava quei principj, benefici certamente quan-
do compartivano a tutti egualmente, i doni della na-
tura, e facevan mutuo scambio dei prodotti dell’umana
solerzia, Ma prima di acconsentire a distruggere una
parte della industria britannica egli avrebbe voluto tro-
varvi un compenso. Gli ripugnava I’animo al pensiero
della noncuranza con cui eranvi accolti i consigli che
riguardavano il prezzo dei viveri; poiché gli pareva
che per compiere le idee di certi ragionatori non solo
era necessario porre il manifattore britannico in grado
di vivere a basso prezzo al pari dell’abitator del con-
tinente ma forzarlo a ridursi alla medesima povertà.
Quale spettacolo per quegli onorevoli membri che SO-
stenevano le massime novelle! In una parola se i loro
computi dovevano recarsi ad effetto, bisognava ridur
Inglesi da uno stato di industre agiatezza e di
benessere, a una sì bassa e vil condizione da gareg-

14. - CATTANEO. Scritti politici. III.


VIII - CRITICA ALL’ASSOLUTISMO 209

gior difficoltà per la commissione sarebbe tuttora quel-


la cresciuta importazione. Nondimeno le angustie dei
manifattori erano veraci; erano tali da non potersi
esagerare, ed a questo proposito tutto il regno era
d’una medesima opinione.

Estratto del discorso del sig. Sadler.


I1 sig. Sadler riputava un atto di mera giustizia
verso i ricorrenti che avevano gravissimi interessi in
pericolo, il far per loro la proposta di una commis-
sione. Ciò non obbligava ad altro che a prendere in-
formazioni. Sotto ogni aspetto una tal proposta era
cosa da concedersi; né v’era alcuna solida ragione in
contrario. Mentre la camera si occupava di un ano-
nimo contrabbandiere non doveva ricusarsi ad udire
un onesto manifattore. Il principio poi della libertà
commerciale, come poteva applicarsi a questo paese,
era complicato e pericoloso. Fino a un certo punto
egli ammirava quei principj, benefici certamente quan-
do compartivano a tutti egualmente, i doni della na-
tura, e facevan mutuo scambio dei prodotti dell’umana
solerzia, Ma prima di acconsentire a distruggere una
parte della industria britannica egli avrebbe voluto tro-
varvi un compenso. Gli ripugnava I’animo al pensiero
della noncuranza con cui eranvi accolti i consigli che
riguardavano il prezzo dei viveri; poiché gli pareva
che per compiere le idee di certi ragionatori non solo
era necessario porre il manifattore britannico in grado
di vivere a basso prezzo al pari dell’abitator del con-
tinente ma forzarlo a ridursi alla medesima povertà.
Quale spettacolo per quegli onorevoli membri che SO-
stenevano le massime novelle! In una parola se i loro
computi dovevano recarsi ad effetto, bisognava ridur
Inglesi da uno stato di industre agiatezza e di
benessere, a una sì bassa e vil condizione da gareg-

14. - CATTANEO. Scritti politici. III.


210 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

giar coi miseri artigiani del continente o coi più mi-


seri schiavi delle barbare nazioni d‘oriente, dove quel-
l’industria era indigena. Nel calor del ragionamento e
nel fervore d‘uno zelo scientifico, la gente obliava lo
stato totalmente artificiale della nostra società; e per
quanto riguardava le migliaja e le dieci migliaja di
persone dedicate a quelle manifatture si troverebbe
che il prezzo del lavoro era in proporzione strettissima
coll’avvilito prezzo della seta lavorata. (Udite) Né egli
poteva rallegrarsi col suo paese di quel decremento
di prezzo. Fino ad ora la seta era stato un distintivo
delle condizioni sociali; e il suo grave prezzo era un
bene in quantoché era un mezzo di disseminare e
porre in giro fra una classe d’ingegnosi artigiani la
soverchiante ricchezza degli opulenti; ma certamente
gli dorrebbe che una sfarzosa signora o una came-
riera fosse posta in grado di comprarsi stoffe di seta
a metà del solito prezzo se ciò doveva rapire al po-
vero e industrioso manifattore metà de’ suoi agi, se
non anco metà del suo vivere. (Udite) Era quella un
delicato genere d’industria, e certamente non natu-
rale a noi. Poteva riguardarsi come un arbore d‘altro
clima che a fatica avessimo trapiantato e accostumato
al nostro ciclo. Negli ultimi anni erasi ad un tratto
cangiato sistema; gli si era tolta ogni protezione o
almeno grandemente diminuita, ed era a temersi che
la prima cosa che noi faremmo sarebbe d’estirpare af-
fatto quell’inandito tronco dal suolo britannico. Dietro
questi motivi egli avrebbe sostenuto la proposta di
una commissione.

Estratto del discorso del sig. Huiskisson.


I1 sig. Huskisson confessava di aver provato non
poco piacere nel vedere come il suo molto onorevole
amico e i suoi colleghi dopo un accurato esame del-
210 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

giar coi miseri artigiani del continente o coi più mi-


seri schiavi delle barbare nazioni d‘oriente, dove quel-
l’industria era indigena. Nel calor del ragionamento e
nel fervore d‘uno zelo scientifico, la gente obliava lo
stato totalmente artificiale della nostra società; e per
quanto riguardava le migliaja e le dieci migliaja di
persone dedicate a quelle manifatture si troverebbe
che il prezzo del lavoro era in proporzione strettissima
coll’avvilito prezzo della seta lavorata. (Udite) Né egli
poteva rallegrarsi col suo paese di quel decremento
di prezzo. Fino ad ora la seta era stato un distintivo
delle condizioni sociali; e il suo grave prezzo era un
bene in quantoché era un mezzo di disseminare e
porre in giro fra una classe d’ingegnosi artigiani la
soverchiante ricchezza degli opulenti; ma certamente
gli dorrebbe che una sfarzosa signora o una came-
riera fosse posta in grado di comprarsi stoffe di seta
a metà del solito prezzo se ciò doveva rapire al po-
vero e industrioso manifattore metà de’ suoi agi, se
non anco metà del suo vivere. (Udite) Era quella un
delicato genere d’industria, e certamente non natu-
rale a noi. Poteva riguardarsi come un arbore d‘altro
clima che a fatica avessimo trapiantato e accostumato
al nostro ciclo. Negli ultimi anni erasi ad un tratto
cangiato sistema; gli si era tolta ogni protezione o
almeno grandemente diminuita, ed era a temersi che
la prima cosa che noi faremmo sarebbe d’estirpare af-
fatto quell’inandito tronco dal suolo britannico. Dietro
questi motivi egli avrebbe sostenuto la proposta di
una commissione.

Estratto del discorso del sig. Huiskisson.


I1 sig. Huskisson confessava di aver provato non
poco piacere nel vedere come il suo molto onorevole
amico e i suoi colleghi dopo un accurato esame del-
VIII - CRITICA ALL'ASSOLUTISMO 211
l'oggetto e le varie rimostranze dei manifattori e de-
gli altri interessati, fossero venuti nella deliberazione
di perseverare nelle misure ch'egli in tempo di sua
amministrazione erasi studiato di far adottare alla ca-
mera. Né questo gradevole sentimento gli si era gran
fatto diminuito per le scoraggianti rimostranze del-
l'onorevole rappresentante di Callington. Benché quel-
l'onorevole membro avesse predetto nel 1824 la ruina
di questa industria, e pretendesse ora che il suo pre-
sagio si era adempiuto, pure aveva trovato necessario
di profetar per una seconda volta una seconda ruina.
E nella stessa maniera egli avea veduto la ruina ine-
vitabile delle nostre manifatture di cotone e di lana,
attesoché per l'alto prezzo delle provvisioni in questo
paese era impossibile che gli stranieri non ci soppian-
tassero sui mercati. Ed ora rammentandosi che cosa
fosse avvenuto per riguardo all'America che era il più
intraprendente dei nostri competitori commerciali, egli
(Huskisson) non vedeva perché si dovesse temer l'adem-
pimento di questa sua profezia. Poiché quandanche
nel 1824 l'America avesse posto un dazio di prote-
zione di 30 o 40 lire per 100 sulle cotonerie, che poi
nel 1828 era salito a 70 od 80 lire per 100, pure ella
trovò impossibile di conservare a se stessa l'ampio ap-
provvigionamento de' suoi proprj mercati. L'onorevole
membro erasi studiato di trattar la proposta come se
non fosse un preludio al tentativo di rimettere in cam-
po avanti la Commissione i dazj proibitivi. Ed egli
ne argomentava che la proibizione appunto ne fosse
il secreto scopo. Era manifesto che il caso di queste
manifatture richiedeva o la proibizione o una prote-
zione; e questa ultima era lo scopo riconosciuto e di-
chiarato del suo molto onorevole amico e così ampia-
mente svolto nella sua ingegnosa risposta. Tre erano
le classi gravemente interessate nella questione sotto-
posta alla Camera; la prima per avventura era quella
212 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III
dei torcitori; la seconda dei manifattori; e la terza,
e non la minore per certo si era il publico ossia i
consumatori della cui prodiga magnificenza nell'uso
della seta l'onorevole rappresentante di Newark, il sig.
Sadler, si mostrava così profondamente scandalezzato.
Egli non voleva sanzionare l'orgoglio, la vanità, il ca-
priccio, l'albagìa, che spingeva certe persone a con-
trastare a chiunque non facesse parte del ceto più
elevato, ogni godimento della vita. (Udite) Non era-
vamo schiavi di leggi suntuarie, ma vivevamo sotto
un governo al quale simili soverchiene riescivano scon-
venevoli ed odiose. Se il torcitore era angustiato, come
si vedea, l'onorevole membro non esitava ad accagio-
narne le riforme operate nel 1824. I1 dazjo di scell. 14
den. 9 su ogni sorta di seta lavorata che si impor-
tasse, quand'anche lasciasse al solo torcitore un da-
zio di protezione di 9 scellini non bastava allo scopo.
Allora il governo pubblicò che in anni due e mesi
tre dalla data, ogni proibizione sulle seterie cesse-
rebbe, e allo spirar di quel termine si promulgò un
atto per porre ad effetto tal risoluzione. Tosto l'ono-
revole membro profetò che ciò avrebbe tolto al seti-
ficio tutti i capitali e ridotto a miseria e mendicità i
manifattori. Ora il fatto si era che nel 1821, 1822 e
1823 la quantità della seta importata per l'approv-
vigionamento delle nostre manifatture non superava
1,947,000 libbre annualmente; mentre la quantità me-
dia sui due anni susseguenti al 1824 era di 2,736,000
libbre, e dopoché i nuovi regolamenti sulle sete eb-
bero pieno vigore non si importò meno della quantità
media di 3,760,000 libbre. Erasi così avverata la pro-
fezia dell'onorevole membro, o avevano i torcitori tan-
ta ragione di mover lamenti? Benché l'importazione
non fosse caricata più che di 5 scellini, l'importazione
della seta torta nei due ultimi anni fu di sete 417,000
libbre. La torcitura della seta costava in Inghilterra
VIII - CRITICA ALL'ASSOLUTISMO 213
5 scellini e in Italia 3. La protezione implorata era
contro il contrabbandiere francese non contro il torci-
tore estero. Ed egli opinava che se tutto quanto il
dazio si fosse abolito sarebbe stato tanto meglio. Gli
si era apposta l'ingiusta taccia di aver offerto ai ma-
nifattori e torcitori inglesi speranze lusinghiere che
furono poi deluse e finirono colla loro ruina. A questo
egli dava una pienissima negativa, poiché ben lungi
da ciò, egli avevali ammoniti e messi all'erta. Ben
essi non ne fecero caso, e s'ingolfarono in vaste spe-
culazioni, eressero filatoi grandissimi e con enormi com-
pere di seta grezza produssero un sì strano incremento
di prezzi, che in molti casi questa singolare follia
trasse loro adosso l'estrema ruina. Quanto poi al con-
trabbando francese, e dentro e fuori della Camera eran-
si fatte grandi esagerazioni. La Francia non aveva
mai esportato per questo paese per 3,000,000 sterlini,
ma si era voluto mostrare ch'essa mandava per con-
trabbando da 1,400,000 sterlini a 2,000,000 per anno.
Egli pregava gli onorevoli membri che miravano con
sì avverso occhio l'abbandono del sistema proibitivo,
di considerare e comparare lo stato delle nostre ma-
nifatture prima e dopo quel cambiamento. Prima che
egli avesse intrapreso quelle riforme nelle nostre leggi
commerciali di cui le parti interessate facevan tante
lagnanze, molte delle nostre merci, per esempio le se-
terie (udite, udite) erano il ridicolo d'Europa. Ma co-
me erano le cose dopo l'abbandono dei regolamenti
proibitivi? Ecco; noi eravamo in grado di gareggiare
colle manifatture di qualsiasi paese, in quelle merci
stesse in cui prima eravamo sì inesperti. Ma si con-
sigliava loro di ritornare al sistema proibitivo affin di
proteggere le manifatture patrie contro l'importazione
delle merci estere e assicurare all'artigiano britannico
l'usato lavoro nelle manifatture nazionali. Ora egli
non voleva far parola sul sacrificio d'interessi esistenti
214 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

o sui diritti dei cittadini inglesi, ma vedeva pregare


gli onorevoli membri a considerare quanto sotto le
leggi proibitive e le svincolanti il contrabbando fosse
o represso o promosso; e perciò quanto sul publico
reddito inftuisse l'incremento o il decremento dei con-
trabbandi. Come stava il fatto?
I1 contrabbando s'aumentava col rigor delle proibi-
zioni; e scemava col rilasciarsi delle restrizioni; co-
sicché i propugnatori del sistema precedente tendevano
a nutrire il contrabbando e tutte le sue perniciose
conseguenze invece di sradicarlo. D'altra parte quando
gli onorev. membri parlavano della seta come d'una
materia esotica e perciò opportuna a un grave dazio
proibitivo, obbliavano che altre materie delle nostre
manifatture erano parimenti esotiche, e con pari ra-
gione dovevano comprendersi sotto quelle misure che
chiamavansi di protezione. (Udite, udite) Ma eran poi
disposti ad accrescere i dazj sul cotone? Era pure un
esotico, si importava dall'estero al pari della seta; e
si pagava l'uno e l'altro. L'equo trattamento dei ca-
pitali e delle varie industrie nazionali sì caldamente
inculcato dall'onorev. rappresentante di Newark non
si poteva ottenere se due materie straniere non erano
, o egualmente respinte o egualmente ammesse sui no-
stri mercati. Né I'onorev. membro ben si apponeva
quanto al modo in cui il manifattor nostro riceveva
dall'estero il cotone; poiché quel materiale non for-
mava alcuna eccezione alla solita e necessaria legge
delle permutazioni commerciali, colle quali il prodotto
dell'industxia e dei capitali di un paese si cambia col
prodotto dell'industria e dei capitali di un altro. Se
non vi fosse altra obbiezione da fare al ripristinamento
del vizioso sistema delle proibizioni, in cui le circo-
stanze avean permesso che il nostro paese perseverasse
finora, egli vi si opporrebbe per questo che noi non
dovremmo retrocedere in un solo ramo ma in tutti
VIII - CRITICA ALL'ASSOLUTISMO 215
egualmente, come per esempio nelle lane e nel ferro,
dalle quali materie avevam pur rimosso quelle restri-
zioni, che inceppavano le relative nostre manifatture.
E così ragionando non intendeva di negare che alcuni
privati eransi arricchiti per effetto delle proibizioni,
ed erano quindi danneggiati dalla distribuzione del
loro monopolio. Ma alla Camera non incombeva di
pigliarsi cura di ciò che favoriva o pregiudicava tale
o tal altro privato ma di ciò che promoveva i gene-
rali interessi dell'intera comunanza nazionale (Udite)
né doveva considerare se questo o quello de' singoli
rami d'industria ritrarrebbe vantaggio o nocumento
dall'abolizione o diminuzione dei dazi vincolanti, ma
se tutti gli altri rami ne sarebbero giovati oppur dan-
neggiati. (Udite) E questa e non altra essendo la que-
stion parlamentare, egli francamente voleva asserire che
le riforme del nostro sistema commerciale ch'egli aveva
cooperato ad introdurre, qualunque effetto potessero
avere su tale o tal altra classe, avevano contribuito a
promuovere e prosperare la universale industria nazio-
nale. E lo stesso fatto citato dagli avversarj ne por-
geva la prova. Si era affermato che le seterie pote-
vansi avere per un terzo od un quarto meno che nel
1824. Ma questo fatto che altro provava se non che
noi potevamo procacciarci egual quantità di prodotti
stranieri con minore lavoro; e la differenza era un
tanto di più ch'erasi aggiunto al capitale dall'industria
nazionale da potersi impiegare in altri rami di com-
mercio e di manifatture? Per qual'altra via potevasi
spiegare Io straordinario incremento sopravvenuto nel
nostro consumo interno dopo l'alterazione del sistema
proibitivo se non per l'accresciuta facilità di ottenere
i prodotti esteri e il conseguente aumento dei capitali
e dell'industria del regno? I1 fenomeno, (ed era pure
un fenomeno) non potevasi spiegare con altra suppo-
sizione. Se guardavano allo straordinario aumento che
216 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

negli ultimi anni avea preso l'importazione dei cotoni,


avrebbero visto un evidente esempio dell'aumento stra-
ordinario che negli ultimi anni ebbe luogo nell'interno
consumo. Se guardavano alla gran ricerca nelle lane
surta da pochi anni, in virtù della quale non solo
maggior numero di pecore erasi allevato in paese, e
quindi raccolta maggior copia di lana nazionale, ma
eransi importati 40,000,000 di libbre di lane forestiere
per far fronte alle dimande, avrebbero veduto una va-
lida testimonianza dello straordinario consumo interno.
E se per egual modo guardassero all'incremento delle
importazioni e dei lavori del ferro, della seta ed altre
materie, vedrebbero le prove di una consumazione
immensa di cui potevasi render ragione soltanto, ri-
conoscendo per un fatto le cresciute facilitazioni, che
li ponevano in grado di aggiunger tanto ai capitali ed
all'industria del regno da moltiplicare i mezzi di con-
sumar le manifatture nazionali. (Udite, udite) Egli era
ben vero che alcuni rami d'industria avean subito par-
ziali danni; ma questi danni non potevansi dir conse-
guenze delle riforme nei nostri regolamenti commer-
ciali. Anzi al contrario senza l'opera di queste sareb-
bero riusciti d'assai più gravi. Lo stato del nostro
sistema bancario, ora fortunatamente riordinato, molto
vi contribuì; e molto contribuì alle ruinose specula-
zioni del 1825 in cui lo scialacquo e la jattura de' ca-
pitali fu maggiore che in qualunque degli anni della
passata guerra, e dalle cui ferite la nazione non si era
riavuta ancora. Ma egli sosteneva che quelle ferite
sarebbero riescite più funeste se non le avesse prece-
dute appunto la riforma commerciale. Però ad onta
di tante perdite essi furono in grado di rilassare pa-
recchie tasse, e sì le manifatture che il commercio
avean preso rapidi progressi. E per tal motivo ap-
punto si doveva deplorare l'illusione per cui tanti e
tanti sulla speranza di subiti e grossi guadagni si la-
VIII: - CRITICA ALL'ASSOLUTISMO 217

sciarono andare ad imprese che con un momento di


ponderazione si sarebbero avvisti dover finire in una
total mina o almeno in un doloroso disinganno. Ono-
rev. gentiluomini avevano affermato che il commercio
nazionale andava in decadenza. Ei facevasi lecito di
dimandar loro qual prova recassero di sì grave asser-
zione? Le relazioni officiali quali fatti recavano che
attestassero un tal preteso decadimento? Ei chiedeva
alla Camera di porger orecchio ad uno o due fatti
incontestabiii tratti dal più autorevole monumento del-
la decadenza o della floridezza delle transazioni nostre
commerciali, cioè dal registro delle esportazioni. Ora
nel 1827 le esportazioni sommarono in cifre tonde ad
un valore di 40,323,000 sterlini; nel 1828 a 51,000,000
e fino al 5 gennajo del corrente anno a 52,000,000
(Udite, udite) mostrando un accrescimento di niente
meno che 12,000,000 di sterlini nelle esportazioni del
1829 a fronte di quelle del 1827 e di un 1,000,000 a
fronte di quelle dell'anno passato. (Udite)
D'altra parte, guardassero alla navigazione, altra
rilevantissima parte del nostro sistema commerciale, e
vedrebbero che quantunque i lucri non eguagliassero
quelli del monopolio goduto dalle navi britanniche du-
rante la guerra, pure anche in questa parte erasi un
incremento, mentre la navigazione degli stranieri verso
i nostri porti era diminuita, Ben sapeva ch'eravi fran-
camente asserito il contrario, ma confidava che non
sarebbesi ripetuto nella Camera un'altra volta. I1 to-
tale del carico delle navi britanniche, riunendo I'en-
trata e l'uscita sommava per l'anno che terminò il 5
gennajo 1828 a tonnellate 27,700,000; e per l'anno
che terminò il 5 gennajo 1829 a tonnellate 31,003,000;
il che dà l'aumento di più di un nono nel corso di
un anno. (Udite, udite). Ma forse taluno degli onor.
membri direbbe che anche l'ammonto dei carichi por-
tati ai nostri porti & navi straniere sarà cresciuto in
. .. .. .. . .

218 CATTANEO - SCRITTI POLITICI III

ragione eguale o forsanco maggiore. Ebbene come sta-


v a il fatto? I1 carico totale delle navi forestiere en-
trate od uscite dai nostri porti nel 1828 sommava
a 700,000 tonnellate, e quello dell'anno presente a
600,000 il che produce una diminuzione di 100,000
tonnell. ossia di un settimo del carico intero nel corso
di un anno. Questi fatti non decideranno ogni que-
stione? (Udite, udite).
« Una parola, disse il M. O. Gentil. sulla mia pri-
vata posizione per rapporto alle riforme operate nel
nostro comune reggimento in questi ultimi anni. I1
mio onorev. amico il rappresentante di Callington (Ba-
ring) fece allusione alle detrazioni, alle maldicenze in-
terminabili, alle calunnie che si accumularono sul mio
capo come quello che fui l'instrumento adoperato dal
governo a queste riforme. Io assicuro il mio onore-
vole amico che quando sentii esser mio dovere di
raccomandar le riforme che con sì benefico effetto si
operarono nelle leggi mercantili e marittime di questo
regno, chiaramente previdi tutte le diffamazioni e le
imputazioni che si versarono sopra di me. Conobbi
che i privati e i partiti vorrebbero ricattarsi sopra di
me dei danni tratti loro addosso dalla loro propria
imprudenza o da altre cause sulle quali io non aveva
potere. Ma chiaramente prevedendo tuttociò non men
chiaramente io vidi né men fortemente nell'animo mio
sentii, ch'io verso me medesimo come membro di que-
sta assemblea e come ministro della corona era in
dover di raccomandare una determinata politica, co-
munque maigradita ella potesse riescire all'interesse
privato, e comunque facile pretesto altrui di denigrare
i miei motivi ed i miei fìni,quando la mia coscienza
mi attestava che per promovere il comun bene della
mia patria era questa la più certa via. (Udite, udite)
IO sentii che nessuno era idoneo a presiedere agii in-
teressi commerciali di una gran nazione se non era
VIII - CRITICA ALL'ASSOLUTISMO 219
pronto a sacrificare i sentimenti personali al pubblico
benessere; (Udite) che nessuno doveva esser ministro
britannico se non era superiore ad ogni simile privato
riguardo. (Udite) E ciò sentendo, calmo e f e m o io
perseverai in ciò che la mia coscienza mi diceva es-
sere il mio dovere. Né son rimasto senza il mio gui-
derdone; poiché quando mi si parla degli svantaggi
che ai privati derivarono dalle riforme ad introdur le
quali nel nostro regime commerciale io fui adoperato
dal governo, io do per risposta che quelle riforme
appunto più che ogni altro avvenimento e provvedi-
mento qualunque, contribuirono ad imprimere nella no-
stra nazione e negli altri stati giuste nozioni sull'uti-
iità di una libera corrispondenza commerciale, e a con-
vincerli della perniciosa assurdità delle gelosie mer-
cantili e delle pretese al monopolio commerciale. I1
vigente savio sistema di politica commerciale inculcò
una massima preziosa per le pacifiche relazioni di un
paese ad un altro, dimostrando che uno stato non s'ar-
ricchisce della povertà di un altro, ma che un mutuo
concambio dei prodotti rispettivi è l'unica sicura base
di una reciproca prosperità. Tende con ciò e tenderà
di giorno in giorno a prevenir sempre più le contesta-
zioni dell'egoismo mercantile - a troncare il ritorno
di quelle guerre marittime che alla fine danneggiano la
floridezza industriale di ambe le parti guerreggianti.
Ha fatto surgere più giuste nozioni sul commercio colo-
niale, ponendo fine a tutte quelle misere rivalità in cui
le colonie finora involsero le loro madri patrie. E tutto
ciò era forse una nuda asserzione? Ebbene il fatto
inudito nella nostra istoria - che per quindici anni ab-
biam goduto pace commerciale con tutta la terra -
e che per la prima volta un sì lungo decorso d'anni il
Parlamento non fu chiamato dalla Corona a proteggere
con forze terrestri e meritare qualche diritto del com-
mercio coloniale o a ribattere qualche ingiuria com-
220 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III
merciale - questo fatto solo risponda alla dimanda.
(Udite, udite). I principj generali del nostro vigente si-
stema di libertà commerciale disarmarono le altre na-
zioni di quella solita loro vendetta di respingere le-
nostre manifatture, col convincerle ch'esse avrebbero a
soffrir maggior danno di noi in caso di rappresaglia.
Io mi farò più oltre e dirò che se non avessimo rifor-
mato le nostre leggi vincolanti, noi saremmo già da
lungo ingolfati in una funesta guerra con qualche altra
nazione, cieca al pari di noi sui proprj interessi. Adun-
que il calunniato sistema della libertà mercantile non
solo tende a calmare le ire nazionali, ed a conservar
la pace alle colonie ma anche a prevenir la guerra
cogli altri popoli. L'onorev. rappresentante di Newark
(Sadler) dice di volere a tempo opportuno mettere in
discussione le massime del libero commercio. Io non
anticiperò tal questione per ora, ma dirò soltanto che
qualunque momento ella possa insorgere io sarò pronto
alla risposta. E potrò io senza diffondermi su tal que-
stione, fare all'onorev. oratore una dimanda, che più
volte gli diressi invano, cioè che cosa intenda egli colle
parole libero commercio? Mi dirà egli quai fini egli
brama vedere adempiuti, quai mali brama veder ripa-
rati, fini e mali che il presente sistema non giunga ad
adempiere o a riparare? Che vorrebbe egli permettere?
che vorrebbe egli vietare nel nostro sistema commerciale
che non sia permesso o vietato? L'onorev. membro
invece di lasciarsi divagare in malcerte parole, ci pale-
serà egli la precisa definizione di tutti quei mali ch'ei
crede abbracciati e racchiusi in quelle parole libertà
commerciale? (Udite, udite). Per agire dietro i principj
della libertà commerciale, io intendo che noi dobbiamo
rallentare o sciogliere affatto ogni vincolo che imposto
senza necessità al nostro commercio, tenda a inceppare
l'impeto della privata attività, senza lucro del pubblico.
Questi principii io ho lungamente sostenuti, e persisterò
VIII - CRITICA ALL'ASSOLUTISMO 221

a difenderli; poiché l'esperienza mi ha dimostrato che


un graduale svincolamento del nostro commercio, trasse
costantemente seco un progressivo incremento e nel-
l'industria patria, e ' nel commercio e nella publica
entrata. (Udite, udite). E in quei principj io confido
che il mio molto onorev. amico (V. Fitzgerald) sarà per-
severante ad onta dei clamori, delle dicerie e delle ca-
lunnie. Egli può esser sicuro della mia cordiale coope-
razione; poiché non desisterò mai dal propugnare i prin-
cipj che partorirono quelle riforme nel nostro sistema
commerciale, delle quali io fui l'officiale instrumento,
finché io mi vedrò spalleggiato, come finora dal general
favore e consenso del parlamento e della nazione.
(Udite, udite). E finché io potrò far valere quei prin-
cipj, sarò conscio a me medesimo di porgere alla mia
nazione i mezzi di sostenere i suoi gravosi obblighi e
progredire eziandio nella communale e industriale pro-
sperità. Taluni degli onorevoli membri diranno che que-
ste massime vengono a porre il nostro paese in uno
stato artificiale; ma io dimando: non è ogni altro paese
a noi noto in uno stato artificiale? La instituzione stessa
di un sociale governo non è artificiale? Non è la
Francia, per esempio, in simile artificial condizione?
Non ha essa un debito pubblico a soddisfare, imposte
a riscuotere, una polizia, un esercito, una manna, una
corte, un parlamento (tutte in sostanza instituzioni arti-
ficiali) da conservare? In una parola non deve chia-
marsi artificiale ogni paese che non è chiuso in se solo,
e dipendente dalle sole sue produzioni - senza alcun
concambio con altri stati, insomma senza alcun bene-
ficio né a ricevere né a compartire? Laonde l'appel-
lazione di stato artificiale è vuota di senso. Io mi sento
orgoglioso di aver avuto parte a stabilire un sistema
di commercio che son persuaso essere il più vantag-
gioso che si potesse adottare pel comune interesse na-
zionale, La vigoria ingenita del nostro impero né verrà
222 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

ampiamente svolta, la sua industria e i suoi capitali


saranno proficuamente applicati e le sue forze saranno
poste nella condizione più favorevole per rispondere ai
bisogni di quelle guerre a cui le grandi nazioni commer-
ciali sono esposte ed a cui non devono mai essere im-
preparate. Quanto poi alla proposta assoggettata alla
Camera, io soltanto aggiungerò che pienamente con-
vengo col mio molto onorev. amico (V. Fitzgerald) che
il miglior modo di conservare, accrescere e perfezionare
il setificio nazionale si è la perseveranza nelle riforme
già abbracciate dal Governo (applausi).
I1 signor Hume propose che la discussione venisse
prorogata all'indomani, affinché parecchj onor. mem-
bri (fra gli altri egli stesso) bramosi di parlare alla Ca-
mera avessero opportunità di farlo. La proposta fu
acconsentita.

1 Gennaio 1833

Manifesto per gli « Annali universali


delle scienze e dell'industria » *
MANIFESTO

. SOCIETÀ
degli editori degli Annali universali
delle scienze e dell'industria.
La nostra Società è lieta di annunziare per l'anno no-
vello la prospera continuazione di tutte le sue intra-

* M.R.M. Ms. Archivio Cattaneo, cart. 11, pl. II, doc. 7.


Manifesto a stampa della Società degli editori degli An-
nali universali delle scienze e dell'industria. Non ripub-
blicato sino ad ora.
222 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

ampiamente svolta, la sua industria e i suoi capitali


saranno proficuamente applicati e le sue forze saranno
poste nella condizione più favorevole per rispondere ai
bisogni di quelle guerre a cui le grandi nazioni commer-
ciali sono esposte ed a cui non devono mai essere im-
preparate. Quanto poi alla proposta assoggettata alla
Camera, io soltanto aggiungerò che pienamente con-
vengo col mio molto onorev. amico (V. Fitzgerald) che
il miglior modo di conservare, accrescere e perfezionare
il setificio nazionale si è la perseveranza nelle riforme
già abbracciate dal Governo (applausi).
I1 signor Hume propose che la discussione venisse
prorogata all'indomani, affinché parecchj onor. mem-
bri (fra gli altri egli stesso) bramosi di parlare alla Ca-
mera avessero opportunità di farlo. La proposta fu
acconsentita.

1 Gennaio 1833

Manifesto per gli « Annali universali


delle scienze e dell'industria » *
MANIFESTO

. SOCIETÀ
degli editori degli Annali universali
delle scienze e dell'industria.
La nostra Società è lieta di annunziare per l'anno no-
vello la prospera continuazione di tutte le sue intra-

* M.R.M. Ms. Archivio Cattaneo, cart. 11, pl. II, doc. 7.


Manifesto a stampa della Società degli editori degli An-
nali universali delle scienze e dell'industria. Non ripub-
blicato sino ad ora.
VIII - CRITICA ALL'ASSOLUTISMO 223
prese librarie, le quali all'ombra del publico favore
si vanno ognora più consolidando ed estendendo,
A beneficio e lustro della patria letteratura si divisò
di publicare un nuovo Giornale destinato a far co-
noscere ai popoli da noi divisi per clima e per favella
lo stato presente delle scienze, delle lettere e delle
arti in Italia, il quale riesce mal. noto ben anche ai
più culti e volenterosi nostri concittadini. È in parte
compimento d'un disegno infruttuosamente tentato ben
quarant'anni sono dall'illustre Romagnosi in consorzio
col Conte Savioli, fratello del celebre poeta. Questo
Giornale redatto in idioma germanico da dotta, impar-
ziale ed elegante penna, sotto al titolo di = Echo,
Zeitschrift für Litteratur, Kunst, Leben und Mode in
Italien, recherà due volte per settimana fino alle re-
mote rive del Baltico il nome e le lodi di quei valenti
che coltivano fra noi l'antico retaggio del sapere; e
porgerà non dispregevole sussidio alle intraprese li-
brarie, e quindi qualche incremento ai preziosi emo-
lumenti dei letterati; giacché a mostrar con quanta
ospitalità si accolgano quei pochi fra i nostri viventi
scrittori che son conosciuti in quelle remote contrade,
basti l'accennare che Manzoni vi ottenne tosto e lodi
schiettissime, e ripetute traduzioni, e in Jena un'edi-
zione nella lingua originale, Così rischiarerassi all'inge-
nua curiosità dello spassionato straniero il misterio del-
la moderna Italia, tanto infedelmente interpretato dai
Bonnstetten, dai Lessing, dagli Heinse, dagli Eustace,
dai Lalande, e dall'autrice stessa della Corinna; onde il
forestiero pur inchinandosi alle tombe di Virgilio e di
Galileo saluti con rispetto anche quella generazione
presso cui vive recente la memoria di Galvani, di Volta,
di Lagrange, d'Alfieri, di Massena, di Canova, e tanti
si annoverano degni d'essere accolti a celebrità europea,
il nome dei quali non ha ancora varcato le Alpi.
A rendere sempre più accetto agli abitanti della
224 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

capitale e questo nuovo foglio e il vecchio nostro Eco


italiano, venne da qualche tempo instituito di invitare
gli associati sì dell'uno che dell'altro all'ufficio di quel
Giornale situato nella Galleria De Cristoforis ai N.ri 52,
53, 54; dove è offerta loro dal mattino a mezzanotte
la gratuita lettura di tutti i Giornali tanto nazionali
che esteri permessi.
Anche gli Annali di Statistica ed Economia, pei
quali volge omai il nono anno di vita, riceveranno no-
vello incremento per cura del loro fondatore il nostro
F . Lampato e per la saggia assistenza dell'illustre Ro-
magnosi. Incamminati dapprima sulle traccie d'una ri-
spettosa imitazione, cominciarono nel terzo anno a fre-
giarsi di Memorie originali, di raffronti e di aggiunte:
cosicché ben tosto poterono dagli studiosi anteporsi allo
stesso Bollettino di Statistica ed Economia del Barone
Férussac; gli articoli del quale, se pingui di variate
notizie facilmente procurate in Parigi, non erano con
egual cura elaborati, e non potevano certamente uscir
di penne più insigni che non fossero quelle di Roma-
gnosi e di Gioia. E d è pur mestieri riconoscere che
questi Annali sono l'unica opera periodica nella quale
alle pratiche informazioni della statistica e dell'etno-
grafia si accompagnino discussioni ragionate e dottri-
nali di economia publica. Ed è in queste pagine che
si fecero i primi tentativi per associare l'economia al
diritto ed alla morale, e svolgere le mal note ragioni
del vero incivilimento. Col principio dell'anno 1830
questi Annali erano già condotti a tanta dovizia di ma-
terie che fu mestieri ordinarli su un nuovo disegno,
nel quale precede: Prima, un Sunto bibliografico; se-
guono in secondo luogo le Memorie originali e le Analisi
ragionate d'opere nuove, poi in terzo luogo un Bollet-
tino statistico italiano e straniero che si conchiude, ove
il caso richiegga, colla necrologia, cogli articoli di car-
teggio e coi più importanti programmi delle Accademie
VIII - CRITICA ALL'ASSOLUTISMO 223
scientifiche. Quest'ultima parte, che si dà anche sepa-
rata, è di molto ampliata e resa per tutti di un van-
taggio al certo non inferiore di quello che ponno essere
in Francia il Mémorial Encyclopédique, ed il Journal
des connaissances utiles.
Gli Annali di Medicina del dottore Omodei sono
omai giunti con sempre crescente successo alla 17a an-
nata, e non solo li diramiamo in tutta l'Europa, ma
persino in America ed in Egitto; sicché non ne rimane
in commercio alcun esemplare completo. A renderne
più agevole l'uso, si compilò l'anno scorso un copioso
indice per materie e per autori.
Considerevoli miglioramenti si vennero divisando
anche agli Annali di Agricoltura dal redattor principale
Dottor Lameni, dal Conte Bossi e dall'illustre fisico
Canonico Bellani, che con tanto amore e disinteresse vi
assistono, cosicché e il pregio dell'opera e la tenuità
del dispendio dovrebbero farli raccomandati a tutti i
proprietarj e i coltivatori che ne sanno apprezzare la
materiale utilità in un paese tutto d'agricoltura.
Giovevoli all'industria non meno che alla scienza
salutare divengono ognor più gli Annali di Farmacia-
Chimica redatti dal dott. Antonio Cattaneo, i quali
saranno sempre più arricchiti di materie scientifiche di
ogni genere spettanti alla farmacia-chimica, alla fisica,
alla storia naturale ed all'economia domestica.
Il solo Giornale di Giurisprudenza Pratica dell’Av-
vocato Zini rimase alquanto ritardato per affollamento
di circostanze estranee del tutto alla compilazione. Si
è già annunciato che d'ora in avanti prenderà il titolo
di Giurisprudenza teorica e pratica e quindi diverrà
sempre più interessante ed utile agli associati che vanno
tutto dì aumentandosi, ai quali si distribuirà gratuita-
mente l'Indice generale dei primi XIX volumi conforme
al contenuto nel vol. IV. Esso formerà il volume XX
di quest'opera.

li. - CATTANEO Scritti politici. III.


226 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

La nostra Società ha già posto in luce il volume III


delle Opere inedite e rare di Vincenzo Monti, edizione
condotta con molta eleganza e fregiata del ritratto del-
l'immortale Poeta desunto da un insigne marmo di
Marchesi, e inciso dal pregevole bulino di Carlo M.
Borde. E saremmo molto più inoltrati in questa impresa
se non avessimo dovuto trovar modo di eludere in
qualche parte la pirateria libraria già mossa da un
indiscreto tipografo della vicina Piacenza, il quale tra-
scurando sempre gli obblighi che assume col publico,
lascia in ritardo le antiche associazioni del Buffon e
del Goldoni per volgersi a nostro danno.
Abbiam perciò divisato di dar mano ad una nuova
edizione economica in 12°, pure in 5 volumi al prezzo
di austriache lire 3 e 50 ciascuno. E invochiamo il
giusto patrocinio del publico che non vorrà certo pro-
teggere chi si arroga di mietere senza aver seminato;
dacché non sono ignote le gravi spese da noi assunte
nella ricerca e nell'acquisto di originali inediti, emende,
raffronti ed illustrazioni. I tre primi volumi di que-
sta edizione sono ormai apprestati e pubblicati, né ce-
dono, per pregio almeno di diligenza tipografica, ai
loro primogeniti.
Alcuni degli Associati a queste Opere inedite hanno
mostrato vaghezza di possedere nella stessa forma ed
eleganza tutte le altre più divulgate opere del Cavalier
Monti, e noi siam pronti a porvi mano, a compimento
sì della edizione più dispendiosa, sì della economica;
perciò invitiamo gli Associati dell'uno e dell'altra a
farci conoscere se concorrono in questo desiderio. Ap-
pena che potremo contare un numero di richiedenti ba-
stevole ad assicurarci delle prime e maggiori spese,
intraprenderemo questa publicazione in ambedue i
formati.
Raccomandiamo alla grave e studiosa gioventù, sì
numerosa fra noi, il Saggio di Romagnosi sull'lncivili-
VIII - CRITICA ALL’ASSOLUTISMO 227
mento, testé da noi publicato. È uno splendido in-
cremento alla Scienza già promossa da Vico, da Stel-
lini, da Mario Pagano e da Jannelli. E prende per la
prima volta a determinar l’indole del vero incivili-
mento, il quale nella mente anche di molti illustri
uomini di Stato va tuttavia confuso con una barbarie
mal velata dal lusso e dalla pompa delle arti, o con una
mollezza corrotta e criminosa. E per ciò che riguarda
all’Italia sì nell’evo romano, come nel medio e nel
moderno, porge la soluzione di infinite difficoltà; e
rischiara eloquentemente la storia delle intemperanti do-
minazioni che trassero a mina la civiltà antica; quella
delle conquiste barbariche discioltesi a poco a poco
in innocua opulenza privata; e quella delle lotte inte-
stine fra la possidenza feudale e la municipale industria,
in mezzo alle quali surse vigorosa la novella civiltà,
assai prima delle tanto vantate emigrazioni dei crociati
e dei grammatici bizantini.
Publicammo tempo fa quella applaudita opera nella
quale sotto il titolo di Feste Veneziane la pur ora estinta
Giustina Renier Michieli raccolse il fiore della venete
istorie. Ora ci proponiaino di aprire una nuova associa-
zione per le non molte copie residue, e c’intendiamo di
renderla più gradita fregiandola di dodici rami rap-
presentanti le feste principali, disegnati dal valente pit-
tore veneto Dusi e incisi all’acquerello dal Lanzani. I
sei volumi di quest’opera verranno distribuiti ad inter-
valli mensili al prezzo di austriache lire due e 50 per
cadauno; e a chi li prendesse tutti ad una volta si da-
ranno a sole lire dodeci austriache.
Un Commentario alla parte seconda del vigente
Codice Penate venne publicato dal Dottor Kudler, e
ristampato poi con varie aggiunte. I1 tipografo Rossi
di Verona, che publicò fra di noi i Commentarj del
Pratobevera, intraprese a publicare anche la traduzione
del Kudler sulla seconda edizione originale. Ora gli
228 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

reputò convenevole di cedere a noi la continuazione di


quest’opera condotta da lui fino al quarto fascicolo del
primo volume. E noi la compiremo serbando la stessa
forma e gli stessi caratteri, e daremo il fascicolo quinto
verso la fine del prossimo Aprile chiudendo così il primo
volume. Nel susseguente Maggio comincieremo il se-
condo volume, distribuendone un fascicolo al mese.
Aggiungeremo al primo volume il frontispizio e la
prefazione perché i numerosi Associati che ci vennero
ceduti riescano pienamente paghi dell’opera nostra.
Alcuni valenti giovani sono concorsi a comporre di
loro eleganti traduzioni un Novelliere francese in cui
raccolsero alcuni recenti saggi dei più applauditi scrit-
tori di questo genere in Francia, cioè di Balzac, Mé-
rimée, Alessandro Dumas, Sue, Janin e Martignac, que-
sto venne per noi publicato in elegante forma. Daremo
mano anche ad un Novelliere italiano, scritto da alcuni
colti ingegni. Raccomandiamo pure al publico il nostro
Panorama di Milano, che fu tanto favorevolmente ac-
colto sì alla semplice acqua tinta che colorato. E annun-
ziamo di aver preso le necessarie misure per eseguire
con la maggior sollecitudine qualunque commissione
di cui fossimo onorati delle più recenti opere fran-
cesi ed inglesi a poco più del prezzo al quale si han-
no a Londra e Parigi, come eziandio di qualsiasi Gior-
nale italiano e straniero, e di tutte le opere che nei
sette Giornali da noi editi verranno per avventura an-
nunziate.
Offriamo finalmente in questi, e massime nell’Eco
italiano, un campo aperto a tutte le opinioni letterarie,
e a tutte le discussioni e difese che piacesse a chicches-
sia di produrre, ove la giustizia e la decenza nol vieti.
Invitiamo i dotti a farci conoscere le loro opere, che
annunzieremo con equa e moderata critica ai numerosi
nostri Associati in tante e sì lontane regioni; li preghia-
mo ad esserci cortesi della loro cooperazione, perché
VIII - CRITICA ALL'ASSOLUTISMIO 229

non abbiamo altra mira che di fare il meglio che si può,


porgendo a tutti la mano e ricevendola vogliosamente
da tutti, senza seconde mire e artificiosi raggiri. Invo-
chiamo il favore di tutti gli uomini a cui non è straniero
l'amore degli studj e il desiderio di veder prospera ed
onorata la patria.

La SOCIETÀ
degli Editori degli Annali
Universali delle Scienze e
dell'Industria.

Agosto 1836

Memoria di Claro Malacarne


sui combustibili fossili dell'dlta Italia *

L'egregio naturalista Claro Malacarne la cui acerba


perdita ha reso più dolorosi questi giorni di publica
calamità, poco prima della sua morte ci aveva permesso
di publicare nei nostri Annali questo suo voto scientifico
lasciato da lui in mano del nostro amico Luigi Azimonti.
LO aveva dettato di volo per incoraggiamento di una
società che si stava formando all'intento di intrapren-
dere l'escavo dei combustibili fossili dell'Alta Italia, e
massime di questo regno, giovandosi di tutti i mezzi
che ci porgono le scoperte del secolo, la potenza delle
macchine, e la esperienza delle altre nazioni. Ognuno
vedrà che sotto a queste vaghe indicazioni stava una
molto più profonda e precisa cognizione della scienza
o dei luoghi, Questo scritto fu inserto pochi giorni sono

* Pubblicato in B.N.S.E., 1836, II, pp, 226-227.


VIII - CRITICA ALL'ASSOLUTISMIO 229

non abbiamo altra mira che di fare il meglio che si può,


porgendo a tutti la mano e ricevendola vogliosamente
da tutti, senza seconde mire e artificiosi raggiri. Invo-
chiamo il favore di tutti gli uomini a cui non è straniero
l'amore degli studj e il desiderio di veder prospera ed
onorata la patria.

La SOCIETÀ
degli Editori degli Annali
Universali delle Scienze e
dell'Industria.

Agosto 1836

Memoria di Claro Malacarne


sui combustibili fossili dell'dlta Italia *

L'egregio naturalista Claro Malacarne la cui acerba


perdita ha reso più dolorosi questi giorni di publica
calamità, poco prima della sua morte ci aveva permesso
di publicare nei nostri Annali questo suo voto scientifico
lasciato da lui in mano del nostro amico Luigi Azimonti.
LO aveva dettato di volo per incoraggiamento di una
società che si stava formando all'intento di intrapren-
dere l'escavo dei combustibili fossili dell'Alta Italia, e
massime di questo regno, giovandosi di tutti i mezzi
che ci porgono le scoperte del secolo, la potenza delle
macchine, e la esperienza delle altre nazioni. Ognuno
vedrà che sotto a queste vaghe indicazioni stava una
molto più profonda e precisa cognizione della scienza
o dei luoghi, Questo scritto fu inserto pochi giorni sono

* Pubblicato in B.N.S.E., 1836, II, pp, 226-227.


230 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

in altro giornale. Ma fu preso da altra copia alla quale


mancano le due Note che qui in calce pubblichiamo, e
che nella nostra copia sono aggiunte di pugno dal Ma-
lacarne, mentre il restante è d'altra mano. Sono pur
di sua mano alcune correzioni e variazioni di poco
momento qua e là sparse e che si potranno facilmente
rilevare dal confronto colla suddetta prima publica-
zione.
Questi studj sono presso di noi debilmente e fredda-
mente coltivati e promossi, e quindi è tanto più neces-
sario di animare e onorare i pochi valenti che vi danno
opera; tanto più che la bufera idealistica minaccia di
soffiarci ben lungi dalle viscere della terra e da tutte
omai le apparenti e sognate cose sublunari, fossili e
non fossili.
Del Malacarne non mancheremo di dar notizie più
diffuse appena ne avremo raccolte a sufficienza. Diremo
solo ch'egli a molto sapere di cose naturali congiungeva
una rara schiettezza e lealtà ed era tenuto buon citta-
dino e buon amico. Era di nascita, crediamo, di Acqui,
ed ancora di buona età. Per quanto sembra dovette il
contagio che lo tolse di vita, alle cure che non seppe
negare ad una infelice lavandaia, la quale abitando non
lungi da lui lo chiamò quandanche egli non esercitasse
omai più la medicina. Vittima inutile, giacché non tolse
che in quegli stessi giorni, l'Allgemeine Zeitung, non
sola fra le gazzette straniere, cianciasse stupidamente e
brutalmente della viltà dei nostri medici. I nostri gior-
nalisti che leggono e tacciono, debbono essere immersi
in meditazioni assai profonde di altissima politica, o
aver ben coriacea la pelle.
VIII - CRITICA ALL’ASSOLUTISMO 231

Novembre 1836

Conversione delle rendite publiche di Napoli *


Quello spirito d‘imitazione che tanto impero esercita
sui privati e sulle nazioni, ha fatto surgere nel Regno di
Napoli il desiderio di una riduzione negli interessi del
debito nazionale e il genio bancario lo ha promosso
caldamente, sperandone grandi rivolgimenti nella pu-
biica fortuna e larga scaturigine di guadagni. Gli scrit-
tori di publica economia, più numerosi di quello che in
qualunque altro Stato d’Italia forse perché Iddio manda
i panni secondo il freddo, vanno agitando la gran con-
troversia; sicché pare che per la prima volta la nazione
verrà a conoscere anzi tempo il fato che la Borsa le .
prepara. Fino ad ora tutti gli andirivieni e i meandri
del debito publico furono impenetrabili al gran numero
dei contribuenti e noti solo ai pochi eletti ad arricchir-
sene, ovvero ai pochi studiosi che non corrono sulla
via della ricchezza. Le nazioni sono state predominate
dall’arte di pochi conteggiatori; e anche nell’umile arit-
metica, infimo dipartimento della sapienza, si dimostrò
il gran principio che l‘uomo tanto può quanto sa. il
piccolo sapere dei cambiatori è divenuto in Europa
una potenza, a domar la quale è necessario che gli
scrittori ne rivelino alle moltitudini il facile e pedestre
mistero.
Fra gli oppositori della riduzione venne in campo il
signor Giuseppe Ceva-Grimaldi con un libro soda-
mente pensato ed elegantemente scritto. Ne porgiamo
un sunto il quale riescì malagevole in quantoché I’ope-
retta già per sé concisa e serrata mal si lascia compen-

* Pubblicato in A.U.S. 1836, I, p. 88.


232 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

diare senza riceverne guasto. Nel prossimo fascicolo


procureremo di recar l'estratto d'un'altra simile operetta
dell'illustre economista Cavalier Lodovico Bianchini.

10 Dicembre 1836

istituti pii di Parigi *


Noi troviamo degno d'interesse di esporre le cifre
più importanti del bilancio ufficiale attivo e passivo
dell'amministrazione degli ospedali, case pie di rico-
vero, civili e militari, e sussidi della città di Parigi
per l'anno 1833. Trovata la debita proporzione fra
una gran capitale che conta quasi un milione d'abi-
tanti, e Milano che non arriva, compresi i sobborghi,
a 155.000 abitanti, e non è, come Parigi, residenza
del governo di una possente monarchia, sarà facile
riconoscere anche ai meno istrutti, quanto il paragone
della beneficenza tomi in lode della filantropia e pietà
che anima i nostri cittadini, e che ad utile scopo è
diretta dalla savia amministrazione che vi presiede.
Successivamente non mancheremo di rendere conto
dell'entrata e delle spese dei nostri luoghi pii, e del-
l'ottimo loro governo.

Ospitali di Parigi. L'entrate ordinane, straordinarie,


ed arretrate dell'anno 1833 sono salite alla somma di
franchi 11.047.479 e 30 cent., e i pagamenti fatti
furono calcolati a 9.979.770 fr e 90 cent.

* Pubblicato anonimo nell'Eco della Borsa, 10 dicem-


bre 1836, pp.di: 1 e 2 e ricordato come suo da C. in una
lettera (Ve . Levi, S.S.C., p. 148), ripubblicato in S.I.D.,
pp. 188-191.
232 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

diare senza riceverne guasto. Nel prossimo fascicolo


procureremo di recar l'estratto d'un'altra simile operetta
dell'illustre economista Cavalier Lodovico Bianchini.

10 Dicembre 1836

istituti pii di Parigi *


Noi troviamo degno d'interesse di esporre le cifre
più importanti del bilancio ufficiale attivo e passivo
dell'amministrazione degli ospedali, case pie di rico-
vero, civili e militari, e sussidi della città di Parigi
per l'anno 1833. Trovata la debita proporzione fra
una gran capitale che conta quasi un milione d'abi-
tanti, e Milano che non arriva, compresi i sobborghi,
a 155.000 abitanti, e non è, come Parigi, residenza
del governo di una possente monarchia, sarà facile
riconoscere anche ai meno istrutti, quanto il paragone
della beneficenza tomi in lode della filantropia e pietà
che anima i nostri cittadini, e che ad utile scopo è
diretta dalla savia amministrazione che vi presiede.
Successivamente non mancheremo di rendere conto
dell'entrata e delle spese dei nostri luoghi pii, e del-
l'ottimo loro governo.

Ospitali di Parigi. L'entrate ordinane, straordinarie,


ed arretrate dell'anno 1833 sono salite alla somma di
franchi 11.047.479 e 30 cent., e i pagamenti fatti
furono calcolati a 9.979.770 fr e 90 cent.

* Pubblicato anonimo nell'Eco della Borsa, 10 dicem-


bre 1836, pp.di: 1 e 2 e ricordato come suo da C. in una
lettera (Ve . Levi, S.S.C., p. 148), ripubblicato in S.I.D.,
pp. 188-191.
VIII - CRITICA ALL'ASSOLUTISMO 233

Gli ospedali di Parigi durante il 1833


hanno ammesso e curati . . . 65.935 ind.
Le case pie hanno dato ricovero a , 12.757 »
L'amministrazione ha mantenuti figli de-
relitti . . . . . . . . 21.551 »
L'amministrazione ha mantenuti orfani 1.539 »
Le 32.910 famiglie povere che l'ufficio
di beneficenza soccorre a domicilio,
hanno un totale di . . . . 72.748 »
Vi furono adunque . . . . . 174.530 ind.
soccorsi direttamente dall'amministrazione degli spe-
dali, senza porre in conto gli operai che mediante la
filatura ebbero assistenza, i fanciulli instrutti alle scuole
di carità, consulti medici che a mille si danno ogni
giorno gratuitamente negli spedali, oltre agli indivi-
dui non inscritti, soccorsi col lascito della fondazione
Monthyon.
Se si vuole paragonare il movimento della popo-
lazione degli spedali durante l'anno 1833 con quello
dell'anno 1831, eccettuando l'anno 1832 a motivo del
Cholera-morbus, si osserva che vi furono curati 2.785
infermi più dell'anno 1831, e che nell'anno 1833, ne
uscirono risanati 3.370 più del numero risanato nel
1831; che malgrado l'aumento degli infermi di 268
scemò il numero dei morti: e che la proporzione della
mortalità, la quale nel 1831 era stata di 1 sopra 10,26,
fu nel 1833 di i sopra 11,20. Che malgrado l'aumento
degli infermi avvenuto nel 1833, il numero dei giorni
di trattamento fu inferiore di 153.739 a quello del
1831, e che finalmente la durata della dimora dei
malati nel luogo pio, nel 1833 fu di giorni 6.174 in-
feriore della durata calcolata nell'anno 1831. Il rap-
porto della Commissione attribuisce questo felice ri-
sultamento aIIa specie delle malattie, e alle diligenti
cure dell'amministrazione interna degli spedali.
234 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

Case di ricovero: il numero degli indigenti am-


messi nel 1833 in queste case superò di 353 quello
del 1831; il numero dei morti fu minore di 170.

Esposti: il numero dei bambini esposti nell'anno


1833 fu di 4.803, nel 1832 di 4.982; nel 1831 di
5.667. L'anno 1833 offre quindi una diminuzione di
179 sopra il 1832 e di 864 sopra il 1831.
La proporzione della mortalità fu nell'anno 1831
di 1 sopra 3,81; nel 1832 di 1 sopra 3,79, e nel 1833
di 1 sopra 3,09.
AI 31 dicembre 1831 furono consegnati ai conta-
dini 16.461 orfani esposti; 16.229 erano stati conse-
gnati nel 1832 e 16.306 nell'anno 1833. Quindi nel
contado, sul finire dell'anno 1833, trovavansi in pen-
sione 77 fanciulli di più che nel 1832, e il numero dei
bambini da latte è di 64 minore di quello del 1832,
sebbene il numero di quelli a cui cessò la pensione
fosse di 64 maggiore del 1832, e sebbene il numero
dei bambini riconsegnati alla nutrice superi di 52
quello deli'anno 1832.

Riforme introdotte . dall’Amrnìnistrazione francese nel


regolamento degli esposti

La circostanza che negli ultimi trascorsi anni il


numero dei bambini esposti era aumentato eccessiva-
mente, richiamò di recente tutta l'attenzione del go-
verno francese, che vide la necessità di prendere mi-
sure pronte ed efficaci, tanto pei riguardi dovuti alla
publica morale, quanto per diminuire alle provincie
un peso che di giorno in giorno si faceva più grave
ed intollerabile.
Due provvedimenti che vennero adottati siccome

t
. .. .. . -

VIII - CRITICA ALL’ASSOLUTISMO 235


idonei per raggiungere lo scopo avuto di mira, il cam-
biamento della dimora dei fanciulli esposti e la dimi-
nuzione del numero delle ruote di esposizione, hanno
suscitate alcune eccezioni inspirate da una lodevole
filantropia, e fu appunto per questi timori esagerati
che da principio vennero meno apprezzati gli utili ef-
fetti di tali misure. Si disse che il trasporto di questi
teneri bambini alterava la loro salute, e spesso ne
produceva la morte; e si soggiunse che l’abolizione
delle ruote diminuendo la facilità di esporre i figli,
avrebbe aumentato il numero degli infanticidj.
Tuttavia una felice esperienza ha dimostrato che
questi pericoli sono chiinerici. Il provvedimento di cui
si tratta venne già posto in pratica presso molti di-
partimenti della Francia, e tosto ebbe luogo una sen-
sibile diminuzione nel numero degli esposti, moltissimi
dei quali furono reclamati dai parenti che temevano
di perderne le traccie. Debbe osservarsi che general-
mente non fu a lamentarsi alcun grave inconveniente
prodotto dal trasporto, perché l’autorità aveva preso
le più savie e minuziose precauzioni onde assicurare
la salute dei bambini, ed evitare eziandio quella con-
fusione nelle rispettive annotazioni che avrebbe potuto
mettere in forse la loro condizione civile.
I1 trasporto, che sulle prime ebbe luogo per fan-
ciulli da 3 a 10 anni, poscia venne esteso anche ai
bambini lattanti, e così mancò ogni motivo di chia-
mare troppo dura la misura di ritirare i fanciulli che
le nutrici conservavano già da molti anni e ai quali
esse erano affezionate.
Nei paesi ove il numero delle ruote venne dimi-
nuito, il numero degli esposti e derelitti non fu più
frequente di quello trovato nelle Comuni che hanno
opportune case di ricovero, ed ove, per la facilità di
esporli, la quantità dei trovatelli si moltiplica di anno
in anno.
- .

236 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

Ci riserviamo di avvalorare la verità di queste ge-


nerali indicazioni, discendendo a maggiori dimostra-
zioni, e contrapponendovi i varj fatti speciali. Del re-
sto sembra certo che questo espediente debba pro-
durre un risparmio sensibile ai Comuni ed alle case
di ricovero, ora costrette a soggiacere alle gravose spese
di mantenimento ed educazione di tanti figli esposti
e derelitti.

17 Dicembre 1836

Sale d’asilo instituite in Parigi


per la custodia dei fanciulli indigenti *
Anche in Francia questi utili stabilimenti sono di
recente istituzione; e l’idea di questa filantropica intra-
presa, per la prima volta introdotta in Parigi nell’anno
1826, è dovuta ad una società di pie signore. Nei
primordi i mezzi erano assai limitati; l’esperienza non
aveva ancora dimostrato il sommo beneficio che tali
istituzioni recano alle classi povere della società. Fi-
nalmente il consiglio generale delle casse di ricovero,
che nei precedenti quattro anni aveva dato qualche
soccorso, deliberò nel 1830 di assumere la superiore
direzione, e da queli’epoca l e sale d‘asilo ottennero
un assegno fisso sul bilancio delle casse di ricovero e
della città.
Nel 1830 esistevano sei sale d’asilo, ma nel 1835
questo numero era già accresciuto a venti.

* Pubblicato anonimo nell’Eco della Borsa, 17 dicem-


bre 1836, p 1; attribuito al C. da Caddeo, Ep. IV, p. 586;
ripubblicato in S.I.D. pp. 192-193.
- .

236 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

Ci riserviamo di avvalorare la verità di queste ge-


nerali indicazioni, discendendo a maggiori dimostra-
zioni, e contrapponendovi i varj fatti speciali. Del re-
sto sembra certo che questo espediente debba pro-
durre un risparmio sensibile ai Comuni ed alle case
di ricovero, ora costrette a soggiacere alle gravose spese
di mantenimento ed educazione di tanti figli esposti
e derelitti.

17 Dicembre 1836

Sale d’asilo instituite in Parigi


per la custodia dei fanciulli indigenti *
Anche in Francia questi utili stabilimenti sono di
recente istituzione; e l’idea di questa filantropica intra-
presa, per la prima volta introdotta in Parigi nell’anno
1826, è dovuta ad una società di pie signore. Nei
primordi i mezzi erano assai limitati; l’esperienza non
aveva ancora dimostrato il sommo beneficio che tali
istituzioni recano alle classi povere della società. Fi-
nalmente il consiglio generale delle casse di ricovero,
che nei precedenti quattro anni aveva dato qualche
soccorso, deliberò nel 1830 di assumere la superiore
direzione, e da queli’epoca l e sale d‘asilo ottennero
un assegno fisso sul bilancio delle casse di ricovero e
della città.
Nel 1830 esistevano sei sale d’asilo, ma nel 1835
questo numero era già accresciuto a venti.

* Pubblicato anonimo nell’Eco della Borsa, 17 dicem-


bre 1836, p 1; attribuito al C. da Caddeo, Ep. IV, p. 586;
ripubblicato in S.I.D. pp. 192-193.
VIII - CRITICA ALL'ASSOLUTISMO 237
A misura dell'ampiamento dell'instituita amministra-
zione, si fece più regolare e più forte il sistema d'or-
ganizzazione.
Tuttavia la società delle signore, persuasa che per
adempiere il nobile scopo di migliorare la condizione
morale delle infime classi, non bastasse esercitare una
sopravveglianza generale sui piccoli fanciulli ricove-
rati, ritenne indispensabile di conoscerli, per così dire,
ad uno ad uno, per dirigerli con amorosi consigli alle
buone abitudini, all'ubbidienza, al dovere e al lavoro.
A tale intento furono di recente create delle Commis-
sioni dà sopraintendenza, composte di sei signore per
ogni asilo, e la pia società si lusingava che la pietà
delle signore Parigine non avrebbe mancato a tale
chiamata per secondarla nell'adempiere le funzioni di
questo ufficio di carità, essendo stati a tale scopo aperti
i registri d'iscrizione nei vari distretti della città.

Nell'anno 1830 erano stati accolti 900 fanciulli


» 1 8 3 2» » » 1490 w
» 1834 » » » 2800 »
» 1835 (n° presunto) 3600 »

Nell'anno 1826 (epoca della fondazione) I'entrata


non superò 6.901 fr., ma nel 1834 si raccolsero 35.192
fr., ottenuti in parte:

Con doni, sottoscrizioni e collette Fr. 21.692


Sussidio assegnato dal Comune » 4.000
Sussidio assegnato dal Consiglio
Generale delle case di ricovero » 4.000
Sussidio assegnato dagli uffici di
beneficenza , . . . . » 5.500
Fr. 35.192
238 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III
,
Nell'anno 1826, la spesa fu di Fr. 5.809
Nell'anno 1834, la spesa fu di » 42.985
In quest'ultima somma non sono
comprese le pigioni dei locali,
pagate dall'amministrazione del-
le case di ricovero per . . >) 17.783
Per cui, prendendo in conto an-
che questa somma, la spesa
totale è di . . . . . Fr. 66.577

Con avvertenza che il deficit apparente fu coperto


con residui attivi degli anni anteriori.
Dividendo la spesa totale di 66.577 fr., per 2800
fanciulli ammessi nel 1834, ne risulta per ciascun fan-
ciullo una spesa di 23 fr. 78 cent. all'anno, o 1 fr.
99 cent. al mese, o 7 cent. al giorno. Sarebbe diffi-
cile di far maggior bene a minor prezzo.
La suddetta spesa di 42.985 fr. si riferisce allo
stipendio dei maestri e delle maestre, nella misura di
1.200 fr. cadauno; alla mercede delle fantesche, che
ricevono 300 fr.; finalmente alle piccole spese dome-
stiche, cioè bucato, immagini sacre, quadri, suppellet-
tili, attrezzi, ecc.

.
28 Dicembre 1836
Mezzi di miglioramento per le ultime classi
-
della Società Casse di Risparmio *
Uno dei caratteri rimarchevoli dell'epoca nostra, è
lo zelo ardente che eccita gli animi illuminati e gene-

* Pubblicato anonimo 'nell'Eco della Borsa, 28 dicem-


bre 1838, p. 1, attribuito al C. da Caddeo, Ep. IV, p. 586.
Ripubblicaio in S.I.D., pp, 194-195.
238 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III
,
Nell'anno 1826, la spesa fu di Fr. 5.809
Nell'anno 1834, la spesa fu di » 42.985
In quest'ultima somma non sono
comprese le pigioni dei locali,
pagate dall'amministrazione del-
le case di ricovero per . . >) 17.783
Per cui, prendendo in conto an-
che questa somma, la spesa
totale è di . . . . . Fr. 66.577

Con avvertenza che il deficit apparente fu coperto


con residui attivi degli anni anteriori.
Dividendo la spesa totale di 66.577 fr., per 2800
fanciulli ammessi nel 1834, ne risulta per ciascun fan-
ciullo una spesa di 23 fr. 78 cent. all'anno, o 1 fr.
99 cent. al mese, o 7 cent. al giorno. Sarebbe diffi-
cile di far maggior bene a minor prezzo.
La suddetta spesa di 42.985 fr. si riferisce allo
stipendio dei maestri e delle maestre, nella misura di
1.200 fr. cadauno; alla mercede delle fantesche, che
ricevono 300 fr.; finalmente alle piccole spese dome-
stiche, cioè bucato, immagini sacre, quadri, suppellet-
tili, attrezzi, ecc.

.
28 Dicembre 1836
Mezzi di miglioramento per le ultime classi
-
della Società Casse di Risparmio *
Uno dei caratteri rimarchevoli dell'epoca nostra, è
lo zelo ardente che eccita gli animi illuminati e gene-

* Pubblicato anonimo 'nell'Eco della Borsa, 28 dicem-


bre 1838, p. 1, attribuito al C. da Caddeo, Ep. IV, p. 586.
Ripubblicaio in S.I.D., pp, 194-195.
VIII - CRITICA ALL’ASSOLUTISMO 239
rosi a contribuire coll’opera loro al miglioramento mo-
rale e intellettuale delle povere classi della società.
La depravazione è tanto minore nel volgo, quanto
più questo trovasi instrutto ed inclinato al bene; da
ciò il popolo è meglio disposto a riconoscere ed ac-
cogliere i beneficii d‘una forte organizzazione ammi-
nistrativa, che presta alle facoltà umane un generoso
sviluppo, ed apre una libera via di distinguersi alle
abilità di ogni specie.
La nostra istruzione elementare, fondata sopra una
solida base, è già un mezzo di perfezionamento che
non si potrebbe lodare abbastanza: ma ai fianchi di
questa sorgente feconda di tanti risultati, esiste una
instituzione, che sotto più modeste apparenze è desti-
nata ad influire possentemente sul miglioramento mo-
rale della società. Figlia di un semplice pensiero di
umanità, l’esperienza fa conoscere che ella non ottiene
questo solo scopo, ma possiede eziandio la facoltà di
educare il cuore e di instruire. Questa felice institu-
zione dei tempi moderni è la cassa di risparmio.
Infatti se questi utili stabilimenti alla loro origine
si presentarono come un espediente atto a mitigare le
sciagure della miseria nelle infime classi, e come una
semplice applicazione della scienza economica a loro
beneficio, al presente è bene assai più esteso il punto
di vista sotto il quale debbono considerarsi.
Le casse di risparmio, creando per la popolazione
degli artigiani una sicurezza di mezzi di assistenza
dapprima ignoti, vi hanno innestato nuovi elementi
di civilizzazione, vigorosi ed efficaci. L’abitudine del-
l’economia desta nell’operaio nuovi bisogni di più no-
bile portata. Quando l’operaio cessa di sciupare in
un’ora sola il frutto dei sudori della settimana, va in
traccia di altre ricreazioni: legge e impara. Se è padre
di famiglia, egli porta alla moglie e ai propri figli
non solo il prezzo della sua mano d’opera, ma, l’amore,
240 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

le cure paterne, l'esperienza del mondo, e gli scarsi


lumi che possiede. Coll'ordine regna nelle povere fa-
miglie la buona armonia, la pace e l'ottimo esempio.
L'artigiano da rozzo qual era, acquistò il sentimento
della sua dignità. Non soffre che i figli crescano nel-
l'ignoranza, e si vale delle sue piccole risorse per man-
tenerli alle scuole, aperte dalla munificenza del go-
verno. Puossi adunque con vero fondamento ripetere
che le due instituzioni a noi paternamente concesse,
l’istruzione elementare, e le casse di risparmio, sono
destinate a moltiplicare le forze morali e produttive
di queste belle provincie.
Noi crediamo nobile ufficio quello di renderne pa-
lesi i vantaggi, ora vieppiù che l'esperimento di vari
anni produsse alle popolazioni lombarde i più felici
risultamenti.
Ma se noi rivolgiamo uno sguardo all'lnghilterra
che possiede 600 casse, con un fondo di 600 milioni,
e alla Francia che, arrivata assai tardi, nel giro di
pochi anni conta a quest'ora 50 e più casse di rispar-
mio ed un introito di 160 milioni, il nostro cuore fa
voti perché l'instituzione delle casse di risparmio dei
grandi centri di popolazione possa essere largamente
propagata nelle località minori e rurali, e serva qual
leva possente ad avvalorare colla moralità la religione,
ad accrescere coll'economia le ricchezze.
Intendiamo, con un apposito articolo, di segnalare
coi fatti i sensibili miglioramenti che dalla sua origine
la Cassa di risparmio eretta in Milano ottenne, mercé
le cure indefesse e lo zelo dell'ottima amministrazione
che vi presiede.
.. . .. .. . . ...

VIII - CRITICA ALL’ASSOLUTISMO 241

22 Gennaio 1837

Rendite e spese dell’Ospitale Maggiore


di Milano e degli annessi stabilimenti *

È un dato comune fra di noi che l’ospitale. Mag-


giore di Milano sia il primo possidente del regno; e
certamente la vastità delle sue tenute e la lautezza
dell’estimo superano ogni più splendido patrimonio, e
per disavventura le pretese del povero e le censure
del non povero partono sempre da questo dato gigan-
tesco. Tutti sanno che quanto più un impiego di ca-
pitali è agiato, sicuro, tranquillo e grandioso, tanto
più si rastrema la proporzione del reddito; perlocché
la stessa ampiezza e bellezza dei possedimenti che
imprime l’idea di una maggiore ricchezza, riesce real-
mente a diinagrare le entrate. L‘annuo ricavo lordo
dell’Ospitale, compresi il lascito Macchio e i luoghi
di Santa Corona, degli Esposti e degli Alienati, su-
pera nondimeno un milione e mezzo di lire austriache.
Per l’anno 1835, venne valutato previamente in lire
austriache 1.536.217; delle quali appartengono all’an-
tico Ospitale lir. 1.126.731; al lascito Macchio lir.
111.092; a Santa Corona lir. 254.805; agli Esposti
lir. 22.467; ed agli Alienati lir. 21.121. Ciò apparirà
più distintamente dal prospetto che qui sotto si pre-
senta.
Questo magnifico reddito, per una gran parte però
appartiene in realtà ad altri proprietarii. I testatari
che legarono all’ospitale i loro patrimonii, molte volte

* Pubblicato anonimo nell’Eco della Borsa, 22 gennaio


1837, pp. 10-11.Attribuito al C . da Caddeo (Ep. IV, p. 586).
Ripubblicato in S.I.D., pp. 203-207.

16. . CATTANEO. Scritti politici. III.


I-
. - _____---- - ..

242 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

caricarono l'eredità di assegni alle famiglie, di presta-


zioni funerarie, di elemosine, di doti, di pensioni, di
sussidii d'ogni maniera; e molte volte i loro beni erano
già abantico affetti da livelli, decime, censi ed altri
pesi. Si può dire che questi e consimili redditi non
appartengano all'ospitale se non per il carico dell'am-
ministrazione. E sono per lo più parte di una natura
così complicata e così inerente alla proprietà stessa,
che non si potrebbe sperare di fame la commutazione
e lo scioglimento. Il Fondo Macchio, lasciato da un
unico benefattore, è il più scarico di tutti, e non sop-
porta che il lieve peso di annue lire 5.591: il che fa
la trentesima parte del suo reddito apparente. Ma il
luogo di Santa Corona eroga in codeste prestazioni
circa un settimo del suo reddito; l'antico Ospitale ne
eroga più di un sesto; la Casa degli Alienati ne eroga
quasi un quarto; e la casa degli Esposti quasi la metà.
Un testatore può bensì donare per testamento ciò
che è suo, ma non ciò che è di ragione altrui. Perciò
il fondo ch'egli regala all'ospitale, non diventa libero
dalla imposta resa e dalla sovrimposta comunale, le
cui ragioni rimangono nello stato primiero. Altrimenti
se il fondo trapassato in proprietà di un luogo pio
dovesse divenire esente, la parte d'imposta ch'egii so-
leva pagare, dovrebbe venir supplita dagli altri possi-
denti del comune e dagli altri abitanti dello Stato;
cosicché il lascito al luogo pio diverrebbe in sostanza
una sovrimposta alle famiglie ed un atto d'autorità
legislativa. Ciò sarebbe tanto più assurdo inquantoché
in alcuni comuni l'ospitale è il primario o quasi l'unico
possidente; e senza il suo concorso non si potrebbe
provvedere all'azienda comunale; questo discorso è
molto evidente; eppure alcuni si odono ragionare in
modo che se i pii instituti fossero esenti da ogni par-
tecipazione ai pesi comuni annessi all'utile godimento
di ogni genere di proprietà. Ma chi ben riflette non
VIII - CRITICA ALL'ASSOLUTISMO 243
si farà meraviglia che sull'arrecato reddito apparente,
l'ospitale e i luoghi annessi paghino per questa pas-
sività annue lire 254.123. I1 solo fondo degli Alienati,
perché consiste in una semplice annualità, non sog-
giace a diminuzione alcuna per questa parte.
Alcuni scrittori d'economia hanno rimproverato in
genere agli ospitali la loro magnificenza o, com'essi
dicono, il lusso. Ma un bell'ospitale è ad un mede-
simo tempo una opera pia ed un publico monumento.
Una doviziosa città dev'essere splendida in tutte le
sue cose: nelle strade, nei passeggi, nelle porte, nei
templi, nei teatri, nelle scuole, e quindi non può es-
sere meschina negli ospitali. Ma questo il lusso della
città e non del luogo pio. I1 nostro Ospitale poi, mas-
sime nel suo gran cortile, ossia nell'edificio Carcano,
è un bellissimo modello Bramantesco; e nel deperi-
mento di tutte vecchie memorie, diviene sempre più
raro e prezioso. Ora i vasti e grandiosi edifici richie-
dono grandi spese di conservazione; le quali quan-
tunque tornino a publico ornamento, ricadono a ca-
rico della fondazione stessa; perché chi ha voluto fon-
dare un minuscolo ospitale in una grande città, ha
dovuto anche pensare a decorarlo debitamente. Im-
mense riparazioni esigono anche gli 'edifici rurali ne-
cessari alla coltivazione di vasti possedimenti, e le
tante ragioni d'acque, che bisogna conservare in utile
servigio. Tutte queste spese di riparazione, restauri ed
adattamenti in campagna ed in città assorbono al no-
stro Ospitale annue lir. 156.000.
Un manifattore misura allo stato del suo capitale
il numero delle persone ch'egli deve mantenere, e
congeda le altre. Ma il numero degli infelici che il
nostro Ospitale ricetta, è limitato unicamente dallo
stato della publica salute e dalla capacità dei locali;
e in alcune calamitose annate di guerre e di carestie
si videro i letti degli infermi invadere i portici ed i
244 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

cortili. Ciò deve avvenire in quegli anni appunto in


cui la carenza d'ogni cosa necessaria alla vita angu-
stia maggiormente i provveditori del pio luogo. In tali
congiunture le spese non potevano bilanciarsi colle
entrate, molte delie quali venivano meno per le de-
vastazioni della guerra e la ruina dei coloni. Per non
respingere dalla benefica porta del publico ospizio la
inferma poveraglia, era dunque necessario prendere
un'anticipazione sulla generosità de' posteri e sopra
un migliore avvenire. Quindi nacque in parte il debito
il quale assorbe co' suoi interessi una vistosa parte
deli'entrata annuale, cioè lir. 170.144: la più parte
delle quali gravita sull'antico Ospitale; giacché la pas-
sività complessiva dei luoghi annessi supera di poco
le lir. 2000. Anche per questa parte l'ospitale non ha
che il carico dell'amministrazione nell'interesse de' suoi
creditori. Agglomerate queste quattro partite delle pre-
stazioni, delle imposte, delle riparazioni e degli inte-
ressi, si hanno circa 832.000 annue lire, le quali as-
sorbono più della metà del reddito apparente. E se
si riguarda isolatamente il solo antico Ospitale, il quale
è assai più carico degli altri stabilimenti annessi, que-
ste passività assorbono circa il 62 per 100 del reddito
apparente.
Il maggior numero suole attribuire gran parte del-
la passività dell'ospitale alle spese d'amministrazione;
il qual supposto manca affatto di fondamento. A CO-
storo farà assai meraviglia che gli onorarii e le altre
spese d'ufficio per tutti i cinque grandiosi stabilimenti
sieno solamente il 3 % dell'entrata. L'instituto Mac-
chio, poi, rovesciandosi in gran parte sull'amministra-
zione dell'ospitale antico, viene ad essere amministrato
quasi gratuitamente e appena spende una piccola fra-
zione, cioè all'incirca 32 centesimi per ogni cento lire
di reddito.
Sfrondati tutti i redditi apparenti, le necessarie
VIII - CRITICA ALL'ASSOLUTISMO 245

passività, le spese di culto e le straordinarie, la ef-


fettiva beneficenza del vecchio Ospitale si riduce a
305.000 lire circa; quella di Santa Corona a 163.000
circa; quella del Macchio a quasi 79.000; quella degli
Alienati non arriva a 9.000; e quella degli Esposti a
7.000. Abbracciando il complesso si hanno 563.000
lire circa. Chi volesse ridurre il tutto a una facile scala
per sollievo della memoria, potrebbe immaginarsi di-
viso tutto il reddito apparente in 30 parti di circa
50.000 lire ciascuna; di cui 11 andrebbero in bene-
ficenza; in prestazioni 5 ; in imposte 5; in riparazioni 3;
in debiti 3%; in amministrazione di città e campa-
gna 1 %; e in ispese imprevedute 1.
Farà stupore l'esiguità del reddito degli Alienati e
degli Esposti a chi sa che questi ultimi ascendono
allo spaventevol numero annuale di 3000; cosicché
riesce difficile il trovar loro nutriti. I pitocchi, sospinti
talora dall'ingordigia di pochi scudi di dote, privi di
ogni scorta, privi d'ogni industria corrono a impro-
vide nozze col barbaro ed immorale proposito di get-
tare nel luogo pio la prole futura. Questa dolorosa
compagnia degli esposti e degli alienati gravita insop-
portabilmente sugli altri tre instituti ospitalieri. Essa
assorbe la loro faticosa economia di 40.000 annue lire;
assorbe 200.000 lire sovvenute annualmente dallo Stato;
assorbe 500.000 altre lire, le quali vengono ingros-
sando ogni anno la mole del debito.
Quindi la privata beneficenza dovrebbe rivolgersi
principalmente ad assistere quelle due fondazioni ol-
tremodo povere e bisognose. E la privata morale do-
vrebbe adoperarsi ad alleviarli almeno dei figli di le-
gittima unione, ai quali è delitto togliere i sacri di-
ritti di famiglia; e la cui indebita invasione minaccia
ruina a tutte queste opere della comune pietà. Si dica
al povero, che quando egli depone un figlio nel tomo
fatale, forse condanna la propria vecchiaia ad essere
246 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

respinta da quel letto che l'avrebbe ricoverato nel-


l'ospitale.
Un sensato scrittore moderno, il signor Naville di
Ginevra, dice che se i poveri avessero qualche cogni-
zione dei principii elevati e delle circostanze impe-
riose che guidano gli amministratori della publica
beneficenza, le misure prese da questi non verrebbero
tante volte contrariate e rese vane dalla ignoranza e
dalla mala volontà. E si potrebbe aggiungere, che non
solo crescerebbe la loro rassegnazione alla sventura, e
la loro sommissione alla regola ed al consiglio, ma
eziandio la loro riconoscenza alla mano che tempera
loro le acerbità della fortuna.
Non è raro fra noi l'udire uomini degli infimi gradi
della popolazione corrispondere con parole querule ed
acerbe ai soccorsi ricevuti negli ospitali; e per lo più
la gratitudine può dirsi in ragione inversa del bisogno
e della miseria; mentre quelli che hanno qualche prin-
cipio di educazione e di tratto civile, sono meno esi-
genti e clamorosi. Queste dicerie talora vengono udite
e incoraggiate da persone di più fortunata condizione
o per quel diletto che produce la censura degli atti
altrui, o per quella perversità di gusto per cui taluni
preferiscono i pregiudizi del volgo ai lumi della col-
tura ed ai ragionamenti degli uomini studiosi. Gli uo-
mini di buon senso e di buon cuore mancano sovente
dei dati che colla loro evidenza basterebbero a dissi-
pare ogni sfavorevole impressione. Così una falsa idea
diffondendosi a poco a poco, aliena le volontà e di-
secca le sorgenti della publica beneficenza. Gli sta-
bilimenti allora si trovano scemar gradatamente le for-
ze con cui affrontare la pubblica miseria; ed i loro
amministratori si veggono defraudati da quello ch'è il
maggior compenso dell'uomo generoso, cioè la pro-
spera riuscita delle cure prodigate e delle fatiche sof-
ferte. Quindi crediamo che non saranno inutili le no-
VIII - CRITICA ALL’ASSOLUTISMO 247

tizie che qui abbiamo recato e che presentiamo riu-


nite in regolare prospetto, colla intenzione di ritor-
nare presto su questo argomento con altre interessanti
notizie che stiamo raccogliendo.

5 Febbraio 1837

Associazione per lo scavamento


de' combustibili fossili
nel Regno Lombardo-Veneto *
L'applicazione del vapore. quel prodigioso agente
che estese le mille sue braccia a moltiplicare il com-
mercio delle vergini terre d'America all'antica Europa,
in questi ultimi anni fece provare gli effetti della ir-
resistibile sua forza anche alle industrie del nostro
regno.
Un viaggiatore, che dopo un'assenza di tre lustri
ritorni in patria, è preso d'alta meraviglia trovando
di passo in passo in ogni piccolo villaggio tre o quat-
tro filature di seta, che tutte unite fanno ricco il paese
di 95 e più milioni all'anno; moltissimi stabilimenti
per la filatura, per la stampa e tintura delle stoffe di
cotone, varie grandi raffinerie di zuccari, pel prezzo
e qualità dei loro prodotti non seconde alle primarie
di Francia e d'Inghilterra.
Il Lario, il Verbano, il lago di Garda e i principali
fiumi solcati da eleganti e ben costrutti battelli, dove
il comodo si accoppia alla sicurezza, la rapidità al
buon mercato. Tali sono nel regno Lombardo-Veneto

* Pubblicato anonimo nell'Eco della Borsa, 5 febbraio


1837, pp. 18-19. Attribuito al C. da Caddeo (Ep. IV,
p. 586). Ripubblicato in S.I.D., pp. 208-211.

i
VIII - CRITICA ALL’ASSOLUTISMO 247

tizie che qui abbiamo recato e che presentiamo riu-


nite in regolare prospetto, colla intenzione di ritor-
nare presto su questo argomento con altre interessanti
notizie che stiamo raccogliendo.

5 Febbraio 1837

Associazione per lo scavamento


de' combustibili fossili
nel Regno Lombardo-Veneto *
L'applicazione del vapore. quel prodigioso agente
che estese le mille sue braccia a moltiplicare il com-
mercio delle vergini terre d'America all'antica Europa,
in questi ultimi anni fece provare gli effetti della ir-
resistibile sua forza anche alle industrie del nostro
regno.
Un viaggiatore, che dopo un'assenza di tre lustri
ritorni in patria, è preso d'alta meraviglia trovando
di passo in passo in ogni piccolo villaggio tre o quat-
tro filature di seta, che tutte unite fanno ricco il paese
di 95 e più milioni all'anno; moltissimi stabilimenti
per la filatura, per la stampa e tintura delle stoffe di
cotone, varie grandi raffinerie di zuccari, pel prezzo
e qualità dei loro prodotti non seconde alle primarie
di Francia e d'Inghilterra.
Il Lario, il Verbano, il lago di Garda e i principali
fiumi solcati da eleganti e ben costrutti battelli, dove
il comodo si accoppia alla sicurezza, la rapidità al
buon mercato. Tali sono nel regno Lombardo-Veneto

* Pubblicato anonimo nell'Eco della Borsa, 5 febbraio


1837, pp. 18-19. Attribuito al C. da Caddeo (Ep. IV,
p. 586). Ripubblicato in S.I.D., pp. 208-211.

i
248 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

gli effetti delle macchine e del vapore applicato come


possente conduttore di calorico e come forza motrice!
Ma se il vapore sviluppa una potenza di mezzi
così prodigiosa per alimento dimanda il soccorso di un
abbondante combustibile. La scarsità di questo eser-
cita una diretta influenza sulla fabbricazione dei ferri,
e indirettamente sulla costruzione delle macchine, pri-
mo materiale delle arti.
Allorché nell'anno 1829 la privilegiata Società de-
gli azionisti per l'impresa dei batteiii a vapore deter-
minava di estendere le proprie operazioni a tutte le
acque navigabili del regno Lombardo-Veneto, fermò
naturalmente tutta la sua attenzione sull'alto prezzo
dei combustibili vegetali, tanto più gravi, quanto più
di essi maggiore si faceva il bisogno.
Fin d'allora l'impresa di verificare, mediante esplo-
razioni ben dirette la quantità e il pregio delle r i ~ -
chezze minerali latenti nelle viscere del nostro suolo
sembrò abbastanza interessante da richiedere un'appo-
sita e separata Società di intraprenditori.
A tale scopo nell'anno 1827 i promotori di questo
progetto contribuirono un tenue fondo destinato alle
spese di viaggio, e delle prime indagini che pote-
vano dare una fondata relazione dello stato e delle
future speranze di questo ramo d'industria nuovo pel
regno Lombardo-Veneto.
La Società eleggeva a direttore dei lavori l'ora fu
professore Carlo Giuseppe Malacarne, uomo versatis-
simo in quelle materie che in tale circostanza inco-
minciò le di lui esplorazioni, a cui d'altro lato davano
mano il conte Bevilacqua Lazize di Verona, il conte
Marzari Pencati e il Periboni di Vicenza.
Poco dopo la nota ditta Gavazzi e Quinterio, vi-
vamente interessata in questa intrapresa, ottenne su-
periore licenza d'incamminare nei modi regolari, e sen-
za ledere diritti preesistenti, le ricerche necessarie per
VIII - CRITICA ALL’AS SOLUTISMO 249
tentare la scoperta di miniere di lignite e di litantrace
nelle provincie del Vicentino e del Veronese.
Nei successivi anni 1829 e 1830 l’idea non era
ancora estesa alle provincie Lombarde, perché, al dire
del direttore dei lavori Carlo Malacarne, Venezia, me-
glio che Milano, poteva convenire per farne la resi-
denza della Società e dei di lei depositi, essendo quella
città al centro di tutte le acque navigabili del Vero-
nese, del Vicentino, della Trevigiana e del Tirolo ita-
liano da che si sarebbe ridonato non poco vantaggio
all’intrapresa per la facilità ed economia dei trasporti.
Siccome avviene dei preliminari di ogni intrapresa,
i primi passi dell’associazione furono indecisi, e limi-
tati a tentare con varie prove nei fornelli dei privati
e nelle caldaie esistenti sopra i battelli a vapore del
lago di Garda e della laguna di Venezia, l’attività e
bontà relativa delle diverse qualità dei combustibili
fossili estratti dalle cave. Tuttavia se ne ottenne sem-
pre la certezza che il suolo delle nostre provincie è
dovizioso di siffatte materie, e che un sistema di la-
vori ben inteso potrebbe offrire un prodotto sufficiente
ai nostri bisogni.
Assicurata la possibilità dell’operazione nei rappor-
ti di commercio, gli interessati si accinsero tosto a
recarla ad effetto, Nell’ora scorso anno fu nominata
una Commissione dei primi sottoscrittori, alcuno dei
quali mosse verso la Francia e nel Belgio a far ricer-
ca di esperti ingegneri che dovranno dirigere i lavori.
Queste notizie ne furono gentilmente comunicate
dai soci medesimi, che del pari ci fecero conoscere
la scrittura di regolamento 18 novembre 1836, deposta
negli atti del dottor Ignazio Baroggi, notaio di Milano;
la quale per ora debbe considerarsi come un semplice
progetto, ma appena ne sarà ottenuta l’invocata ap-
provazione, formerà lo ‘statuto della nuova Società per
la ricerca e scavamento dei combustibili fossili.
..... , . . . . . .. . . .

2.50 CATTANEO SCRITTI POLITICI III

Siccome è noto che la sottoscrizione delle azioni


fu aperta, ne approfittiamo per indicarne le basi prin-
cipali.
La Società ha divisato di stabilire in Milano la
sua residenza. I1 fondo capitale primitivo è fissato a
lir. 50.000 austr., diviso in 500 azioni al presentatore
di 100 lire cadauna; ma ove fosse necessario, sarà
facoltativo di mettere in corso successive serie di azio-
ni, finché il fondo capitale ammonti a tre milioni.
I primi azionisti potranno ottenerle di preferenza.
È però dichiarata espressamente la proibizione di le-
var fondi al di là del valore primitivo delle azioni.
La Compagnia dovrà esclusivamente dedicarsi al-
l’acquisto dei carboni minerali ed altre sostanze com-
bustibili atte a supplire alla legna ed al carbone di
legna: attenderà allo scavamento delle miniere di car-
bon fossile, o accorderà sussidii ai proprietari di mi-
niere che mancassero di fondi necessari, e finalmente
potrà occuparsi della ricerca di fontane salienti, quale
oggetto secondario ed eventuale. I1 commercio di que-
ste materie spetta alla Compagnia.
Alle fonti di questi prodotti sono contrapposte le
spese per l’esplorazione delle miniere e per lo scava-
mento di esse, e il salario dei lavoratori e gli appun-
tamenti per l’ispezione delle opere e per l’andamento
amministrativo.
Fu divisato di affidare gli affari della Compagnia
ad un Consiglio di amministrazione composto di cin-
que membri non gerenti, ai quali spetterà il solo voto
deliberativo. Gli altri due membri, cioè il direttore ed
il cassiere, per la natura dei loro uffici, sono gerenti.
Tutte queste incumbenze saranno gratuite, meno quel-
la del direttore.
I1 Consiglio d’amministrazione, nelle sue adunanze
bimestrali, pronuncia le sue decisioni, eseguite dal di-
rettore e dal cassiere, che hanno il dovere di giustifì-
VIII - CRITICA ALL'ASSOLUTISMO 251

care quanto fu da essi operato. Anche la nomina e


revoca degli impiegati appartiene al Consiglio d'am-
ministrazione, il quale riceve il suo mandato e ne rende
conto nella triennale adunanza di tutti gli azionisti,
Le deliberazioni di queste assemblee sono ritenute le-
gali quando il numero dei presenti arriverà ad un
quarto più uno del totale.
Nelle adunanze generali viene eziandio assegnata
la quota dei dividendi, sui quali si perdeva il fondo
di riserva; ma la parte di utili che spetta ai soci ge-
renti non va mai soggetta ad alcuna riduzione.
FinaImente tutti gli atti della Compagnia debbono
essere firmati dal direttore, e la validità delle azioni
viene resa autentica dal simultaneo concorso delle fir-
me di altri due amministratori.
Per dar coraggio coll'esempio a questa nascente
Società lombarda aggiungiamo che la somma prospe-
rità di siffatte intraprese nel Belgio si debbe alle grandi
associazioni. Lo scavamento dei combustibili fossili, or-
ganizzato con vaste proporzioni, vi acquistò un pro-
digioso sviluppo. I1 signor de Meeus, governatore del-
la Società generale Belgica, riferiva ultimamente alla
Camera dei Rappresentanti che mercé il ben inteso
sistema dei lavori, e i possenti mezzi pecuniarii util-
mente impiegati, quelle carboniere che da un solo
proprietario condotte producevano 200.000 misure, am-
ministrate da una Società ne rendono da 350 a 380.000.
Il Belgio raddoppia le sue esportazioni, e fra tutte le
industrie, nessuna gli offre un prodotto più ricco, più
vantaggioso e più sicuro delle sue miniere.
252 CATTANEO SCRITTI POLITICI - III

12 Febbraio 1837

Il consumo effettivo delle sete in Inghilterra


dal 1814 al principio del 1836 *
Nessuna questione è tanto vitale al nostro com-
mercio, alla nostra possidenza, e quasi all'esistenza del-
le famiglie del nostro paese, quanto quella del setificio.
Tutto ciò che lo interessa non solo è oggetto di cu-
riosità intensa, ma di continua ansietà. Essa comincia
all'aprirsi della primavera, speculando sui venti, sulle
piogge e sulle brine; poi accompagna sui mercati la
lotta del filatore e del possidente; poi quelia del fila-
tore e del negoziante; poi avidamente sorveglia sulla
piazza di Londra i nostri tesori abbandonati ai rag-
giri d'astuti pegnatari ed al vortice d'una speculazione
gigantesca. I pericoli di una annata non sono ancora
finiti che sopraggiungono quelli dell'altra annata; e la
complicazione si accresce. Le previsioni di qualunque
più consumata esperienza vengono meno; i più vecchi
navigatori perdono il timone e la bussola. Il commer-
cio trapassa più volte all'anno dal timor panico alla
fiducia più esaltata. Se s'incendia una fila di magaz-
zini in un porto d'America: speranze esagerate, come
se non vi fosse più seta al mondo. I compratori spe-
culano a prezzi tali che non resta alcuna probabilità
di guadagno, e resta solo l'alternativa o di guadagnar
niente o di perder tutto. I1 possidente, che sedendo
al caminetto colle mani in mano si trova già raddop-
piato il valore della sua galletta, allora si mette in
capo di voIerIo triplicare. E se giungesse a triplicarlo

* Pubblicato anonimo nell'Eco della Borsa, i 2 febbraio


1837, pp. 21-22. Attribuito al C . dall'Ambrosoli,( a La for-
mazione di Carlo Cattaneo », p. 157). Ripubblicato in
S.I.D., pp, 212-215.
. . . . . . .

VIII - CRITICA ALL’ASSOLUTISMO 253


oggi, dimani comincerebbe a pensare che sarebbe an-
cora meglio quadruplicarlo. E così si vuole andar in-
nanzi ad occhi chiusi, sinché la stessa prosperità del
prodotto diviene una sorgente di disgrazie; perché chi
troppo vuole nulla stringe.
Se i fabbricatori tremando per l’avvenire e spe-
rando ogni settimana un ribasso, differiscono al sab-
bato a proveder la seta da mettere in fabbrica al
lunedì, e quindi le vendite si ritardano e i mercati
restano in calma; se in mezzo a questa calma un er-
rore individuale o un contracolpo reca un fallimento
a Parigi o a Londra, lo spavento è universale. Già
la seta non si consuma più; già coi prezzi che cor-
rono non è più possibile che una signora faccia una
mantiglia di raso; la nostra seta è già troppa; e inol-
tre vi è l’India; e inoltre vi è la China; e sarebbe
provvidenza sbarcare in America per estirpare i nuovi
gelsi della Pensilvania; e sarebbe provvidenza far pre-
dicare in chiesa che non piantassero più gelsi. Ecco
la nostra istona degli anni passati, che a suo tempo
diventerà la nostra istoria degli anni vegnenti.
Questo perpetuo ondeggiamento, fatale a tante fa-
miglie, viene dalla notizia che generalmente si ha dei
fatti reali del consumo e della produzione. Mentre mi-
lioni e milioni sono in pericolo, pochi sottoscrivereb-
bero alla spesa di tre centesimi per sapere con pre-
cisione qual’è il vero stato delle cose da cui dipende
il destino di tanti milioni. E dalla mancanza dei dati
viene la continua incertezza in cui viviamo; perché,
come diceva il filosofo napoletano, chi non sa, sem-
pre dubita.
Il principal mercato delle sete, è il mercato uni-
versale del mondo: è Londra. Quindi sono i fatti
del mercato di Londra che bisogna tener continua-
mente di vista. A Londra le sete s’incontrano coll’oro
del Messico, col té della China, colle lane, colle ca-
. _-..- . ,

254 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

nape, cogli zuccheri, coi cotoni, con tutte le grandi


masse dei prodotti della terra. Queste masse si divi-
dono, si suddividono, si contrappongono, si mandano
di quà, di là. Si dirige il panno all'India, la tela al
Messico, i medicinali all'Europa, il ferro all'America;
si mettono in moto anche tutte le masse giacenti nei
porti lontani d'Odessa, di Trieste, di Riga, di Malta.
Ogni mercanzia risente tutte le vicende delle altre
mercanzie; una buona annata pei piantatori di caffé,
fa crescere le dimande delle stoffe di Lione; un ribasso
nei cotoni d'America le fa diminuire. Le stoffe reagi-
scono sulle sete torte, le torte sulle greggie, le greggie
sulle gallette. Se una guerra, un imprestito nazionale,
una strada di ferro richiama i capitali, le vendite si
promovono; comincia il ribasso; le teste si scaldano;
nessuno osa comperare; le vendite necessitose precipi-
tano i prezzi. E le ragioni di questa crisi sono al di
fuori della mercanzia stessa che decade.
In mezzo a questo caos, dal quale balza fuori la
fortuna e il trionfo d'uno speculatore, e la sfortuna
e il discredito d'un altro, è però certo che una merce
che costantemente avvantaggia di prezzo, deve essere
realmente favorita da un consumo crescente. Il prezzo
delle nostre sete, che durante la gran guerra era avvi-
lito, d'allora in poi, in mezzo a tutte le fluttuazioni
e complicazioni del mercato, ha sempre mirato a salire.
Dunque si dovrebbe credere che la ricerca sia costan-
temente cresciuta. Ma ogni giorno si sente rinegare
questo ragionamento da persone che dicono che il
prezzo crescente deve diminuire il consumo. Lasciamo
le congetture delle persone, giacché talora involgono
un privato interesse, e veniamo ai fatti. Guardiamo il
mercato inglese, e vediamo qual fu il suo andamento
dall'anno della pace in poi. I1 movimento delle cifre
è tanto evidente che non fa bisogno lavorarvi intorno:
questi sono dati, alla verità dei quali si può prestar
VIII - CRITICA ALL'ASSOLUTISMO 255
piena fede perché estratti dai rapporti officiali fatti
al Parlamento nel 1832, 1834, 1836:

Quantità delle sete grezze daziate in Inghilterra


in 22 anni, dal 1814 al 1835 inclusive
Anni Importazioni Anni Importazioni
in libbre ingl. in libbre ingl.
1814 1,504,235 1825 2,848,506
1815 1,069,596 1826 1,814.188
1816 873,414 1827 3,559,138
1817 1,343,051 1828 3,912,550
1818 1,444,881 1829 2,419,962
1819 1,446,097 1830 3,771,969
1820 1,621,590 1831 3,020,045
1821 1,864,425 1832 3,382,619
1822 1,993,509 1833 3,834,244
1823 2,051,895 1834 4,520,000
1824 3,414,520 1835 5,787,000

Il 1826 fu un anno di crisi universale nel com-


mercio inglese. Alcuni potranno dire che l'accresci-
mento delle sete grezze è bilanciato dalla diminuzione
delle torte. E vero che in generale l'importazione delle
sete torte in Inghilterra è diminuita, ma non v'è alcuna
proporzione coll'immenso aumento delle grezze. Nel
1814 l'importazione delle torte era di libb. 586.505,
nel 1825 fu ancora di 559.642, e nel 1831 fu ancora
di 514.240. La massima caduta fu nel 1829, in cui
l'importazione delle torte discese fino a 172.239. Ma
questa diminuzione delle torte, in confronto del 1814,
si riduce a 400.000 libbre circa, mentre l'aumento delle
grezze tra il 1814 e il 1835 è più di 4 milioni di
libbre, e quello tra il 1816 e il 1835 è di quasi 5 mi-
lioni di libbre. Dunque le due partite sono lontane dal
bilanciarsi, e l'aumento del prezzo non ha diminuito il
consumo.
Ma i fatti sono molti e assai complessi; è quindi
necessario ritornare sull'argomento. Frattanto ricordia-
256 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

moci che il momento della paura dovrebbe esser quello


in cui s i premano le gallette, adesso la nave è sal-
pata, il solo coraggio può condurla a salvamento.

16 Aprile 1837

Il nuovo Monte delle sete *


Siamo alla vigilia di una colossale intrapresa creata
dallo spinto di associazione e nuova per noi. I1 progetto
di una società anonima per l'erezione di un Monte
delle sete in Milano venne di recente approvato.
L'idea di un Monte delle sete rammenta natural-
mente quella del Monte che esisteva prima dell'anno
1796. Ma la cosa è diversa: in allora si trattava di
salvare dagli artigli dell'usura alcuni pochi proprietari
o piccoli fabbricanti di stoffa di seta; l'instituzione di
questo stabilimento circoscritta al pegno con oneste con-
dizioni, presentava nessuno degli elementi indispensa-
bili di speculazione e di commercio.
Di fatti l'epoca contemporanea all'antico Monte ben
poco fu splendida per la produzione delle sete. La pro-
sperità delle manifatture seriche, l'aumento della pro-
duzione e l'incarimento dei prezzi vennero dopo.
Lo scopo che la nuova società ha di mira, si estende
a più vaste proporzioni. Le anticipazioni o in effettivo
denaro, o colla consegna dei Boni di cassa, alle quali
servirà di garanzia la seta messa in deposito, sono
una delle principali, ma non l'unica delle sue operazioni.

* Pubblicato anonimo nell'Eco della Borsa, 16 aprile


1837, pp. 57-58. Attribuito al C. dal Caddeo (Ep. IV,
p. 587). Ripubblicato in S.I.D., pp. 224-226.
Sul Monte o Banco delle sete C. ritornò in seguito
con una serie di scritti (vedi: Scritti economici, II, p. 111
e segg.).
256 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

moci che il momento della paura dovrebbe esser quello


in cui s i premano le gallette, adesso la nave è sal-
pata, il solo coraggio può condurla a salvamento.

16 Aprile 1837

Il nuovo Monte delle sete *


Siamo alla vigilia di una colossale intrapresa creata
dallo spinto di associazione e nuova per noi. I1 progetto
di una società anonima per l'erezione di un Monte
delle sete in Milano venne di recente approvato.
L'idea di un Monte delle sete rammenta natural-
mente quella del Monte che esisteva prima dell'anno
1796. Ma la cosa è diversa: in allora si trattava di
salvare dagli artigli dell'usura alcuni pochi proprietari
o piccoli fabbricanti di stoffa di seta; l'instituzione di
questo stabilimento circoscritta al pegno con oneste con-
dizioni, presentava nessuno degli elementi indispensa-
bili di speculazione e di commercio.
Di fatti l'epoca contemporanea all'antico Monte ben
poco fu splendida per la produzione delle sete. La pro-
sperità delle manifatture seriche, l'aumento della pro-
duzione e l'incarimento dei prezzi vennero dopo.
Lo scopo che la nuova società ha di mira, si estende
a più vaste proporzioni. Le anticipazioni o in effettivo
denaro, o colla consegna dei Boni di cassa, alle quali
servirà di garanzia la seta messa in deposito, sono
una delle principali, ma non l'unica delle sue operazioni.

* Pubblicato anonimo nell'Eco della Borsa, 16 aprile


1837, pp. 57-58. Attribuito al C. dal Caddeo (Ep. IV,
p. 587). Ripubblicato in S.I.D., pp. 224-226.
Sul Monte o Banco delle sete C. ritornò in seguito
con una serie di scritti (vedi: Scritti economici, II, p. 111
e segg.).
VIII - CRITICA ALL’ASSOLUTISMO 257
La Società si propone altresì di vendere pel conto di
terzi le sete date a cauzione, o per dir meglio a pegno,
col mezzo di asta pubblica od altrimenti, e all’occorrenza
intraprenderà lo sconto degli effetti di commercio.
A ben considerar queste basi, tosto s’affaccia il pen-
siero che queste diverse operazioni vennero in siffatta
guisa combinate per allontanare da taluno l’opinione
di favorire e fomentare il cumulo della più ricca delle
nostre produzioni, la quale nasce facilmente all’idea
di un deposito creato nel luogo medesimo della pro-
duzione.
Deviare le sete dai gran mercati di consumo europeo
colla pretensione di dettare la legge del prezzo; tenere
giacenti nell’interno preziose masse, che ad ogni nuovo
raccolto debbono scapitar di valore; finalmente forzare,
saremmo per dire, gli esteri a dimenticarsi delle nostre
sete, per dare la preferenza alle sete orientali, che il
fabbricante trova quasi alla porta della sua officina, e
può acquistare con più facili condizioni di prezzo: tutto
ciò considerato isolatamente, e al primo aspetto, desta
il timore di un monopolio poco avvenuto, con iscarso
frutto degli intraprenditori e del paese. E per la Lom-
bardia, ove la produzione delle sete ogni anno va
crescendo a dismisura, meglio vale un monopolio a
Londra che un monopolio in Milano.
Il vero rimedio per questo male è la maggior circo-
lazione del numerano.
I1 nuovo progetto se ne occupò, offrendo ai proprie-
tarii della seta i suoi Boni come denaro sonante e
scontando le loro cambiali; con questi mezzi essi avranno
somma facilità di sprigionare dal Monte le loro sete.
È certo che se i Boni di cassa sono ricevuti libera-
mente, il giro degli affari si farà con maggior rapidità.
Il beneficio recato al commercio dai biglietti di Banca
è noto a tutti.
Ma se chi depone le sete, o fa scontare le cambiali,
, . . . . .... . . .. .

258 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

preferisce l'oro alla carta, in d o r a la circolazione del


numerario si farà come al presente, né più, né meno;
e la società non potrà scontare a migliori condizioni
degli altri negozianti, mentre dovrà sempre tener conto
dell'interesse del capitale che deve pagare a chi le cede
gli effetti di cambio, ciò che non avrebbe luogo se la sua
carta trovasse corso.
La società conseguirà maggiori utilità, operando
come casa di spedizione, per vendere sulle piazze estere
quelle sete che tiene vincolate a garanzia delle fatte
anticipazioni.
Non v'ha dubbio che i molti milioni di cui può
disporre, permetteranno alla società di dare una grande
estensione alle sue operazioni; e il buon sistema di go-
verno che le assicura la sua robusta interna organizza-
zione, accoppiato alla più severa economia, le offriranno
occasione propizia di tentare utilissime speculazioni.
Ma per conseguire questi vantaggi, i di lei conti di
vendita debbono offrire assai maggior convenienza che
non offrano quelli dei nostri principali negozianti, dai
quali vien fatto il commercio per conto terzo. In caso
diverso i piccoli filandieri e i possidenti difficilmente
s'adatteranno alle cautele solenni di una grande ammi-
nistrazione, le quali poco s'addicono al segreto ed alla
prontezza dell'espediente, che è la principale attrat-
tiva di certe operazioni.
Del resto le solide basi di questo stabilimento com-
merciale inspirano un'illimitata fiducia: i di lei fonda-
tori, che senza dubbio ne saranno i principali azionisti,
sono tutti ricchi negozianti e possidenti d'alta portata.
Anche i mezzi sono proporzionati. Diecimila azioni
di 500 lire austriache; 800 di 5000, e 300 di 10000, sono
un capitale che basta a rassicurare i più timidi.
La nuova società ebbe la sorte di sfuggire l'attuale
crisi: al momento di incominciare le sue operazioni,
il livello dei prezzi si troverà rassodato, e saranno pas-
, . . , ,
. .
,..,. . .

VIII CRITICA ALL'ASSOLUTISMO 259

sate quelle terribili oscillazioni che scuotono le fortune


più solide e meglio stabilite.
Fu ottimo consiglio di scegliere Milano e Lione
per centri dell'operazione dello stabilimento.
Milano, cui fanno corona i luoghi della più feconda
e squisita produzione; mercato delle sete lombardo-
venete, e dei limitrofi stati.
Lione, le di cui manifatture assorbono 12.000 balle
di seta all'anno; città più d'ogni altra opportuna pel
transito delle sete alle piazze di consumo della Sviz-
zera e del settentrione.
Vedremo finalmente quanto valga in pratica il pro-
getto di fondar Banchi lombardi in Inghilterra, per
sottrarsi alla dipendenza dei commissionarii inglesi.
Siamo desiderosi di conoscere al paragone il valore
delle accuse mosse contro l'ingordigia di questi isolani.
Finora, ben ponderate le carte del processo, noi for-
temente siamo inclinati a credere che le case di Londra
non fanno profitto maggiore dei commissionarii delle
nostre piazze del mezzo giorno, perché certe operazioni
di commercio si rassomigliano assai in tutti i paesi, e
talvolta la differenza sta soltanto nella mancanza di
una buona occasione.

Dicembre 1837

Illuminazione a gaz *
La preparazione del gaz è ormai volgare presso
tutte le principali città d'Europa. Gli immensi bazars
di Londra, il Tunnel, le famose officine del Times, le

* Pubblicato nell'Eco della Borsa, 31 dicembre 1837,


pp. 205-206, Attribuito al C. da Caddeo (Ep. IV, p. 587).
Ripubblicato in S.I.D., pp. 260-264.
, . . , ,
. .
,..,. . .

VIII CRITICA ALL'ASSOLUTISMO 259

sate quelle terribili oscillazioni che scuotono le fortune


più solide e meglio stabilite.
Fu ottimo consiglio di scegliere Milano e Lione
per centri dell'operazione dello stabilimento.
Milano, cui fanno corona i luoghi della più feconda
e squisita produzione; mercato delle sete lombardo-
venete, e dei limitrofi stati.
Lione, le di cui manifatture assorbono 12.000 balle
di seta all'anno; città più d'ogni altra opportuna pel
transito delle sete alle piazze di consumo della Sviz-
zera e del settentrione.
Vedremo finalmente quanto valga in pratica il pro-
getto di fondar Banchi lombardi in Inghilterra, per
sottrarsi alla dipendenza dei commissionarii inglesi.
Siamo desiderosi di conoscere al paragone il valore
delle accuse mosse contro l'ingordigia di questi isolani.
Finora, ben ponderate le carte del processo, noi for-
temente siamo inclinati a credere che le case di Londra
non fanno profitto maggiore dei commissionarii delle
nostre piazze del mezzo giorno, perché certe operazioni
di commercio si rassomigliano assai in tutti i paesi, e
talvolta la differenza sta soltanto nella mancanza di
una buona occasione.

Dicembre 1837

Illuminazione a gaz *
La preparazione del gaz è ormai volgare presso
tutte le principali città d'Europa. Gli immensi bazars
di Londra, il Tunnel, le famose officine del Times, le

* Pubblicato nell'Eco della Borsa, 31 dicembre 1837,


pp. 205-206, Attribuito al C. da Caddeo (Ep. IV, p. 587).
Ripubblicato in S.I.D., pp. 260-264.
260 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - Ill
fabbriche di Liverpool e di Manchester, i teatri, le prin-
cipali piazze di Parigi, il palazzo della Banca di Vienna,
molti edifici di Berlino e di Pietroburgo, sono splendida-
mente illuminati col gaz. Gli elementi del gaz si trovano
dovunque, poiché questa sostanza ormai viene estratta
con facile processo dal carbon fossile, dall'olio, dalla
resina, dal petrolio, dalla pece e da varie sostanze grasse,
ed anche dall'acqua.
Quante volte, passeggiando di notte tempo le nostre
contrade alla fosca luce delle nostre lanterne, o seduti nei
nostri teatri, le di cui candide pareti sono ben presto
annerite dal fumo, abbiamo udito risuonar gli encomii
dell'illuminazione a gaz.
I commercianti di stoffe di lusso, di oggetti brillanti
di oro, o di preziosi colori, hanno bisogno di una vivida
luce per dar risalto al loro magazzino. Quale vantaggio,
se le nostre fabbriche ed officine, massime nelle lunghe
giornate d'inverno, potessero sostituire lo splendore del
gaz al pallido lume della lucerna! Avrebbero guadagno
dal lato del tempo, poiché la giornata dell'operaio si
allungherebbe di alcune ore; dal lato della fattura, per-
ché i lavori eseguiti di notte sono sempre assai imper.
fetti; dal lato del prezzo, perché crescerebbe la massa
della produzione. Ma se tanti sono i pregi dell'illumi-
nazione a gaz, chi impedisce a Milano di possederla?
Se universale ne è il desiderio, che mai si oppose
finora a soddisfarlo? L'inerzia, l'implacabile nemica
delle cose nuove; l'abitudine, che rende gli uomini av-
versi a tutto ciò che non è loro famigliare, e ne esa-
gera a mille doppi le difficoltà e i pericoli.
Udirete cento voci a declamare che ci vuole il
gazometro, che ci vogliono centinaia di braccia di
tubi, e il carbon fossile e l'olio e che so io. E poi i
nostri chimici fabbricheranno un gaz che non farà lu-
me; e se mai trovano la maniera di farlo come si
fanno tutti i gaz del mondo, mancherà chi vorrà usar-
VIII - CRITICA ALL'ASSOLUTISMO 261

ne e bisognerà far la guerra alle candele di sego, al-


l'olio purificato: i paurosi temeranno lo scoppio della
macchina, e gli aritmetici da caffè calcoleranno sulle
dita l'interesse di qualche centinaio di migliaia di lire
perduto per tre o quattro anni, e quel che è peggio
il rischio del denaro impiegato contro stracci di carta
che si dicono azioni, senza rogito di notaio e senza
ipoteche.
Ma poco credito hanno queste corbellerie dopo
quello che abbiamo veduto coi nostri occhi: la com-
pagnia d'assicurazione, la società della strada di ferro,
che raccolsero capitali cento volte maggiori, ambedue
pagano ai loro azionisti l'interesse del loro denaro con
regolarità, e nulla toglie che questi possano vendere
le loro azioni con buon agio. Eppure tra la prima
impresa e la seconda passa una gran differenza; per-
ché l'una vive del presente, e l'altra dell'avvenire; ma
si ha fede nella sostanza della cosa e nelle esperienze
già fatte altrove.
Se poi vogliamo l'esempio dei vicini paesi, è re-
centissimo il regio biglietto di S. M. il re di Sardegna
del 12 settembre scorso, che autorizzò una società ano-
nima composta di azionisti sardi e francesi, diretta
dal sig. ingegnere Gautier, la quale ha per iscopo
l'illuminazione a gaz della città di Torino, delle abi-
tazioni e degli stabilimenti sì pubblici che privati, tanto
internamente che esternamente.
Nessuno pensi che per una fabbrica di gaz ci vo-
gliano molti milioni; non vedemmo noi nel 1831 un
animoso privato intraprenderla col solo sussidio dei
proprii mezzi? Basteranno 500.000 lire, basterà al più
un milione per una azienda che illumini mezza Milano.
Questo capitale può trovarsi in mezz'ora da una Casa
che ispiri fiducia al commercio.
I centri più propizi per illuminare a gaz, cadono
da sé sotto alla mano: Galleria De Cnstoferis, corsia
262 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

dei Servi, coperto dei Figini; e volgendo a destra,


teatro Re, contrada di s. Margherita, il gran teatro
alla Scala, teatro Filodrammatici, i sei caffè circostanti,
le vicine trattorie, ecc.; località ottime, e fra di loro
vicinissime, che consumeranno assieme ben più di tren-
tamila fiammelle.
Ma di questo genere d'illuminazione, di cui ognuno
vuol parlare economicamente, non riuscirà senz'inte-
resse qualche dettaglio speciale, massime nella parte
che riguarda la preparazione del gaz.
L'apparecchio consiste in un recipiente a forma di
cilindro, nel quale si introduce il carbon fossile, da
cui si distilla il gaz.
Questo cilindro è calato in una specie di forno
che lo investe da ogni lato; si accende quindi un vivo
fuoco, finché tutte le pareti del recipiente siano arro-
ventate con un calore uniforme. I1 carbone, sottoposto
all'azione dell'interno calorico, viene distillato, e le di
lui parti volatili passano col mezzo di una storta in
un rinfrescatoio di ferro, ove avviene la condensazione
del gaz e la deposizione degli empireumatici. Il gaz,
per la sua leggerezza, esce da un tubo superiore per
entrare nel gazometro.
I1 gazometro è una cassa colossale a forme cilin-
driche, di rame, di ferro o di zinco, le di cui pareti
sono ermeticamente connesse per impedire ogni fuga
del gaz. Il gazometro non ha bisogno di fondo, essendo
immerso nell'acqua; ma il meccanismo è tale che può
innalzarsi, e discendere fino a fior d'acqua. Quando è
in questo ultimo stato, si trova completamente pieno
d'acqua, a grado a grado però che vi penetra il gaz,
sposta l'acqua ed innalza il gazometro, il quale sta
sospeso mediante funi sostenute da carucole e tese con
opportuni contrappesi.
Ilgazometro serve a regolare l'uscita e la distri-
buzione del gaz nei becchi d'illuminazione.
VIII - CRITICA ALL'ASSOLUTISMO 263

Questi hanno varie forme: talora avvi un semplice


tubo che all'estremità ha uno o molti orifizi: talora è
un anello vuoto e bucherellato sulla periferia, da cui
il gaz arde in figura di corona. Questa è la forma
più comune: in fatti l'aria che può investire la fiamma
da tutte le parti, somministra in copia maggiore I'os-
sigeno necessario alla combustione del gaz, e questo
rende una luce assai più brillante.
Per accenderlo basta di avvicinargli un corpo in-
fiammato, e la combustione continua finché il tubo
conducente somministra il gaz.
Un gazometro che avesse un metro e mezzo di
diametro e due di altezza, sarebbe capace di tre me-
tri cubi e mezzo di gaz, e questa quantità basta per
somministrare, durante 40 ore, una luce eguale a quel-
la di una buona lanterna ad argand; oppure basta a
mantenere per cinque ore otto becchi, la fiamma dei
quali vale quanto quella di 160 lucignoli delle nostre
lanterne da strada.
Bastano 18 libbre di carbone di terra a sommini-
strare questa quantità di gaz; l'avanzo che resta nel
recipiente distillatorio dopo l'evaporazione del gaz, è
un coke eccellente, col di cui valore si può pagare
quasi tutta la spesa della distillazione.
La distillazione dell'olio e della resina, che si fa
mediante un metodo eguale, produce una fiamma as-
sai più brillante di quella del gaz estratto dal carbon
fossile: l'uso di queste materie è fatto molto comune
in Inghilterra, ove il gaz di carbone è destinato pre-
feribilmente per l'illuminazione delle mine, delle gran-
di officine, dei publici passeggi, piazze e strade, men-
tre il gaz d'olio ed anche quello di resina serve spe-
cialmente per le abitazioni, per piccoli teatri, ecc.
Ilprincipale vantaggio che presenta l'illuminazione
a gaz d'olio è quella d'utilizzare quelle infime specie
d'olio che non si confanno alla semplice iliuminazione.
264 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

Si distillano oli greggi di pesce, che essendo pel loro


fetore insoffribili nell'interno delle case, perciò possono
vendersi a vilissimo prezzo a confronto degli oli da
seme che servono per le nostre lucerne.
Per coprire la spesa della fabbricazione del gaz
ad olio, quella delle macchine, del combustibile, dei
forni e della mano d'opera, debbonsi alimentare col
gaz almeno 200 becchi.
Ecco il conto della spesa di 200 becchi, sul dato
che ognuno di essi consumi 160 litri di gaz al giorno,
ed arda per 4 ore: al paragone di 200 lucerne che
facciano il consumo di 120 grammi d'olio al giorno,
ardendo per un eguale spazio di tempo.
Il conto è fatto, per un adeguato di 300 giorni.

Gaz
18.000 kilogr. d'olio a 45 cent. . . fr. 8.100
Combustibile . . . . . . . » 1.000
Interesse del capitale delle macchine
al 5 % . . . . . . . » 1.500
i
fr. 10.600

Lucerne
7.200 kilogr. a 1 fr. 40 cent. . . fr. 10.080
Lucignoli. . . . . . . . » 300
Interesse del capitale delle lucerne al
5 % . . . . . . . . » 300
fr. 10.680

Ognun vede che la spesa è quasi eguale, ma la


luce somministrata dal gaz è più che doppia di quel-
la data da una lucerna; e così col gaz basteranno soli
VIII - CRITICA ALL'ASSOLUTISMO 265

10.000 fr. per una illuminazione, la quale richiede-


rebbe la spesa di 20.000 fr. se dovesse alimentarsi
coll'olio non distillato.
Per poi stabilire la differenza fra l'illuminazione
al gaz d'olio e quella al gaz di carbone, giova rite-
nere che la forza irradiante del gaz d'olio è triplice
di quella del gaz di carbone, cosicché per ottenere
l'effetto di 38 litri di gaz d'olio appena bastano 140
litri di gaz di carbone. La luce di un becco a gaz
d'olio di quella forza, corrisponde a quella di dodici
candele di sego da sei per ogni libbra, o di nove
candele di cera da 5 per ogni libbra.
Un kilogrammo di carbone somministra 200 litri
di gaz e un kilogrammo d'olio 800; e siccome la luce
di questi è pari a quella di 2.800 litri di gaz di car-
bone, un kilogrammo d'olio equivale adunque a 14
kilogrammi di carbone, oltrecché le macchine neces-
sarie per distillare l'olio e la mano d'opera relativa
costano assai meno.

Maggio 1839

Sulla riforma del sistema monetario *


In questo pregevole opuscolo un economista italia-
no propone un principio tutto nuovo di monetazione.
Le sue premesse coincidono colle più solide e pru-
denti dottrine intorno al credito ed al numerano, nel-
10 stesso tempo ch'egli ne ricava le più contrarie con-
seguenze, Noi, com'è del nostro instituto, ci faremo
interpreti delle une e delle altre, non senza imporci
il carico di soggiungere qualche nostra opinione. ECCO
come l'autore vien ragionando.

Pubblicato in POL., 1839, I, pp. 541-559.


VIII - CRITICA ALL'ASSOLUTISMO 265

10.000 fr. per una illuminazione, la quale richiede-


rebbe la spesa di 20.000 fr. se dovesse alimentarsi
coll'olio non distillato.
Per poi stabilire la differenza fra l'illuminazione
al gaz d'olio e quella al gaz di carbone, giova rite-
nere che la forza irradiante del gaz d'olio è triplice
di quella del gaz di carbone, cosicché per ottenere
l'effetto di 38 litri di gaz d'olio appena bastano 140
litri di gaz di carbone. La luce di un becco a gaz
d'olio di quella forza, corrisponde a quella di dodici
candele di sego da sei per ogni libbra, o di nove
candele di cera da 5 per ogni libbra.
Un kilogrammo di carbone somministra 200 litri
di gaz e un kilogrammo d'olio 800; e siccome la luce
di questi è pari a quella di 2.800 litri di gaz di car-
bone, un kilogrammo d'olio equivale adunque a 14
kilogrammi di carbone, oltrecché le macchine neces-
sarie per distillare l'olio e la mano d'opera relativa
costano assai meno.

Maggio 1839

Sulla riforma del sistema monetario *


In questo pregevole opuscolo un economista italia-
no propone un principio tutto nuovo di monetazione.
Le sue premesse coincidono colle più solide e pru-
denti dottrine intorno al credito ed al numerano, nel-
10 stesso tempo ch'egli ne ricava le più contrarie con-
seguenze, Noi, com'è del nostro instituto, ci faremo
interpreti delle une e delle altre, non senza imporci
il carico di soggiungere qualche nostra opinione. ECCO
come l'autore vien ragionando.

Pubblicato in POL., 1839, I, pp. 541-559.


266 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

Il commercio, ossia il cambio delle cose, originò


la divisione dei lavori. D'allora in poi l'uomo coll'eser-
cizio d'un'arte sola, o della minima porzione d'un'arte,
poté procurarsi copiosamente tutta la varietà delle co-
se bisognevoli. Un popolo, nell'associarsi all'immensa
azienda della produzione universale, poté serbarsi in-
dipendente, ed esimersi dal livello d'una uniforme esi-
stenza sociale.
Nei cambj non si dimandano se non quelle cose
appetibili che sono in quantità limitata e in potere al-
trui. Le cose che vengono richieste in cambio, si dicono
aver valore; le cose utili, ma non richieste in cambio,
perché illimitate di quantità e libere d'uso, come a ca-
gion d'esempio l'aria, si dicono di nessun valore. Il
valore non è dunque l'utilità. Il valore è la misura in
cui le varie cose, possedute dagli uomini, sogliono ve-
nir date in vicendevol cambio.
Quanto più il desiderio d'una cosa è generale e
intenso, quanto più largamente gli amatori si trovano
provisti d'altre cose da dare in pérmuta di quella,
tanto più ne cresce la dimanda, ovvero il valore. Al
contrario quanto più una cosa è abbondante e divul-
gata ed esibita in cambio da maggior numero di per-
sone, e quanto più scarseggiano le occasioni di otte-
nere in ricambio altre cose, il suo valore diminuisce.
Così la proporzione tra la dimanda e l'offerta deter-
mina di giorno in giorno il valore, ovvero il prezzo
corrente, come se un'autorità suprema lo prescrivesse.
Questa legge ora promove ora allenta la produzione
a misura dei bisogni; e mette in armonica corrispon-
denza le indipendenti e sconnesse volontà degl'indi-
vidui e delle nazioni.
La cosa che più comunemente si dà in cambio
sono i metalli preziosi, non solo perché originariamente
adatti a certi usi e diletti del genere umano; ma per-
ché limitati ad una quantità poco e lentamente va-
VIII - CRITICA ALL'ASSOLUTISMO 267

riabile, facili a riconoscersi con sicurezza, incorrutti-


bili, divisibili in parti minime, e perciò atti a propor-
zionarsi con precisione alle diverse quantità e specie
delle cose, colle quali si cangiano. Così i metalli pre-
ziosi, oltre al valore di merce, ottennero il valore di
moneta, ossia di misura commune degli altri valori.
A questo fine si divisero in parti d'un dato peso, e
d'una data purezza, che diciamo monete, o unità mo- ?
netarie.
Quanto più col processo dei secoli la massa dei
metalli preziosi s'accrebbe, tanto più ribassò il valore
d'un medesimo pezzo di moneta; ossia un maggior
numero di monete si diede in prezzo d'una medesima
quantità di derrate. Se il numero dei pezzi ad un
tratto si duplicasse presso tutte le nazioni, ogni pezzo
varrebbe la metà. È lo stesso come se si allungasse
o si accorciasse il braccio che serve a misurare di-
verse stoffe.
Il numero dei pagamenti, ossia il complesso dei
contratti, che si fanno in un dato paese e in un dato
tempo, richiede una data quantità d'una certa specie
di moneta, come il trasporto d'una data massa richiede
una certa quantità di forza motrice. E se s'introduce
nella circolazione un maggior numero di pezzi, senza
che ne cresca a proporzione il bisogno e la dimanda,
il valore di ciascuna unità monetaria decade in pro-
porzione. Ma il valore deIIa massa universale della
moneta resta il medesimo, e corrisponde all'ammonto
delle dimande, ossia alla quantità delle contrattazioni;
nulla importando che si suddivida in un maggior o
minor numero d'unità monetarie. Il che mostra l'as-
surdità del vecchio sistema mercantile, e della pre-
sente opinione di Borsa, che mira sopratutto alla mol-
tiplicazione delle unità monetarie.
Per lungo tempo i metalli furono l'unica materia
veramente idonea a servir di moneta. Ma col progre-
268 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

dire del commercio, nei grandi emporj del globo i


pagamenti giornalieri giunsero a somme così stermi-
nate, che non fu più possibile praticarli in moneta
metallica. Nel gran liquidatorio di Londra (Clearing-
house) talora i pagamenti d’una sola giornata s’avvi-
cinano a quattrocento milioni di franchi, cosicché rie-
scirebbe materialmente e assolutamente impossibile di
numerare e verificare il denaro sonante. F u quindi
necessità locale di girar da negoziante a negoziante
i varj crediti, e rappresentare con segni convenzionali
i diversi pagamenti.
Altrove i negozianti deponevano il loro valsente
in una cassa commune, e si trasmettevano fra loro i
segni di proprietà, in forza dei quali chi abbisognava
del contante lo riscuoteva.
Ma a poco a poco i proprietarj delle banche non
si appagarono più di mettere in giro una quantità di
segni che corrispondesse precisamente al denaro che
custodivano in cassa. L’abuso era così facile che venne
convertito in regola. Le banche più prudenti sono
quelle che si appagano di promettere il triplo di ciò
che posseggono. Però le loro carte continuarono a cir-
colare come rappresentativi di vera moneta; e così po-
terono esse percepir l‘usura di capitali che non avevano.
Che cosa è veramente un capitale? È una massa
di cose utili, che il proprietario non consuma, ma
tiene in serbo; sia ch’egli le custodisca nella loro
forma primitiva, sia che le cangi o in altra merce più
facile a conservarsi e a cambiarsi, o direttamente in
moneta metallica, o anche in un semplice segno e
titolo di credito; il che avviene quando egli mette il
capitale ad uso altrui, sotto patto di restituzione en-
tro un dato tempo. Il nolo che allora ne ricava dicesi
interesse.
Il corso alto degli interessi in un paese indica so-
vente penuria di capitali, ma talora indica all’opposto
VIII - CRITICA ALL'ASSOLUTISMO 269

grande attività e prosperità nella produzione. Così, per


esempio, negli Stati Uniti, dove un terreno ubertoso
si compera a vilissimo prezzo e si riduce facilmente
a produzione, l'agricultore largamente compensato del-
le brevi sue fatiche, può cedere larga parte de' suoi
lucri al capitalista, il quale gli fa scorta e lo abilita
a provocare il ricolto ed aspettarlo. È chiaro che il
prestar denaro, o titoli di credito, è lo stesso che pre-
stare utensili, bestiami, case, terre, o altra qualsiasi
cosa che sia oggetto di cambio. Ma i capitali, quan-
tunque possano prender forma di crediti e di pro-
messe, sono sempre cose vere e reali, e non sono
creazioni metafisiche, che si possano moltiplicare ad
arbitrio, come van fantasticando gli uomini della Borsa.
Chi presta un titolo fittizio, un segno rappresentativo
d'un capitale che non possiede, può appropriarsi l'in-
teresse d'una cosa altrui, ma non può dar vita a ciò
che non esiste.
Il credito, cioè la confidenza, facilita il prestito
dei capitali, che altrimenti rimarrebbero molte volte
inerti nelle mani d'un proprietario sospettoso o mal-
destro. Perciò le instituzioni che promovono il credito,
e s'incaricano di procacciare impiego ai capitali, ali-
mentano le forze produttive; ma non creano i capitali.
Il credito poi che una nazione proba e giudiziosa gode
all'estero, le può procurar l'uso anche di fondi stra-
nieri; e quando ella sappia ricavarne un frutto mag-
giore dell'interesse che paga, certamente accrescono la
sua prosperità. Ma in ogni modo il credito non fa
che muovere i capitali da luogo a luogo, e tenerli
nel più continuo e fruttuoso impiego.
Nel seno d'uno Stato l'ammonto del credito non
può sorpassare la somma dei prodotti esistenti e di-
sponibili. E se per mezzo delle banche gl'intrapren-
ditori di nuove e grandiose operazioni possono attrarre
a sé grandi masse di capitali, ossia di cose, quando
270 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

ciò non avvenga sopra capitali rimasti fin allora sepolti


nelle casse dei privati, ciò deve riescire a scápito d'al-
tre industrie anteriori. E quindi non è giovevole se
non nel caso, che codeste antiche industrie siano meno
lucrose di quelle, che vengono loro sostituite. Allora
la spinta del credito ajuta la nazione a fare un più
utile impiego tanto de' suoi risparmj, ovverossia de'
suoi capitali, quanto delle forze produttive de' suoi
industrianti.
Una banca spalleggia un nuovo fabricatore e col
SUO credito lo abilita a incettare in piazza le materie
prime, e attende ad esserne rimborsata quando esso
potrà smerciare le manifatture che ne avrà ricavate.
Avviene allora che le persone solite a provedersi a
contanti quelle materie prime, sono astrette per l'ac-
cresciuta dimanda a pagarle più caro. Ne proviene
dunque un incarimento fattizio delle derrate, e un
eccitamento febrile degli organi della produzione, la
quale in questo suo sviluppo non ha seguito la legge
della dimanda. Nasce allora l'ingorgo, ossia una pro-
duzione intempestiva, nella quale l'incarito prezzo del-
le materie prime e delle mercedi, congiungendosi alla
soverchia offerta delle manifatture ed al loro avvili-
mento, priva il fabricatore dello sperato compenso, e
dei mezzi di compiere verso la banca il nolo e il
rimborso dei capitali.
Ciò non avverrebbe, se le sovvenzioni delie banche
si misurassero sulla massa metallica, che realmente si
custodisce nelle loro casse. Allora le cedole di banco
non farebbero che tenere il luogo del metallo; il quale
rimarrebbe riposto in salvo da ogni logoramento, men-
tre una moneta d'egual valore, ma più agile e trattabile,
faciliterebbe le contrattazioni. Ma quando l'emissione
delle cedole si fa allo scoperto, essa accresce il numero
delle unità monetarie, senza accrescere il valore della
massa totale, ossia la dimanda. Allora l'unità monetaria
VIII - CRITICA ALL'ASSOLUTISMO 27 1

cade in ribasso. A cagion d'esempio, in un paese le cui


transazioni richiedano duecento milioni d'unità moneta-
rie, se si versano nella circolazione cinquanta milioni
di cedole, senza ritirare e riporre in tesoro una corri-
spondente quantità di pezzi metallici, il valore dell'uni-
tà monetaria cade al disotto del valore delle paste
metalliche. V'è dunque un margine di guadagno per
chi esporta la moneta o la fonde, fino a che siasi ri-
messo l'equilibrio tra i bisogni della contrattazione e la
massa del numerario.
È vero che l'esporto dei cinquanta milioni di me-
tallo dà luogo all'introduzione d'un egual valore di
derrate, le quali si mettono a disposizione degli in-
dustrianti; ma il frutto di questo capitale torna a lu-
cro dei privati azionisti della banca, in gran parte
fors'anche stranieri, i quali per mezzo delle loro ce-
dole ne dispongono come di cosa propria. Lo stato,
preso in disparte dalle banche, non avrà fatto che
tradurre da metallo in carta cinquanta milioni del suo
numerario.
Del resto non bisogna poi nemanco esagerar l'as-
serzione che le banche sieno tanto efficaci a dar moto
ai capitali inerti; poiché i proprietarj hanno già troppo
interesse a non lasciarli lungamente senza frutto; e
mentre le somme ragguardevoli trovano facilmente a
collocarsi ogni giorno in fondi publici, in azioni di
società, in cambiali, le casse di risparmio e d'accu-
mulazione adunano ad ogni istante i più esigui ritagli
di capitale.
Invalsa la massima che le banche non devono li-
mitarsi a prestare il rappresentativo dei fondi real-
mente deposti nelle loro casse, l'emissione delle ce-
dole a scoperto si va spingendo al punto, che la mi-
nima vicenda basta a deprimerne il corso al disotto
del loro valor nominale. Nasce allora la convenienza
di cangiarle in metallo; il ritorno delle cedole desta
272 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

sospetto nei più meticolosi; l'esempio propaga il ti-


more e affolla i rimborsi. La banca paga finché rimane
la speranza di calmar gli animi; ma le sue casse pos-
sono trovarsi già vuote quando ella raggiunge appena
la terza parte de' suoi impegni; è forza dunque che
si dichiari impotente. Allora la carta rimasta in giro
diventa mera carta; il poco denaro residuato in paese
è insufficiente a ristabilir d'improvviso una circolazione
tutta metallica; manca dunque il numerario ai con-
tratti; l'urgenza precipita le male vendite e i falli-
menti; tutte le transazioni si arenano, e la paralisi
sociale dura fino a che una ruinosa esportazione di
derrate giunga a richiamare in paese la necessaria
scorta metallica. Ma con questa esportazione le indu-
strie promosse dalla banca si trovano ad un tratto
prive della loro fattizia dote, e cadono inaridite. Tutti
gli avviamenti, le anticipazioni, gli apparati vanno al-
lora perduti; e la circolazione ristabilita non vale a
rialzare quelle vaste ruine, che lasciano negli animi
una lunga impressione di sgomento e di diffidenza. A
questo rapido annullamento del numerario, in conse-
guenza di smoderate emissioni di cedole, l'autore ap-
plica particolarmente il nome di crisi.
Siccome poi, mentre attendeva alla publicazione
del suo opuscolo, intervenne la sospensione dei paga-
menti della Banca Belgica, con gravissime conseguenze
non solo commerciali ma eziandio politiche, così egli
si trovò in debito di notare, che codesto avvenimento
calamitoso non fu però una crisi, nello stretto senso
da lui inteso, Infatti quella banca aveva venti milioni
di capitale effettivo, mentre le sue cedole circolanti
non giungevano ancora a tre milioni, ed ebbero tran-
quillo corso fino all'istante in cui per altre cause la
banca fu costretta a far punto. I1 fatto sta che i di-
rettori aveano stabilmente investito in imprese d'indu-
stria i capitali, che per condizione potevano da un
VIII - CRITICA ALL'ASSOLUTISMO 273

istante all'altro ripetersi dai proprietarj. E vennero ve-


ramente richiamati, appenaché divenne palese quel-
l'abusiva licenza. I direttori non poterono allora tener
fronte alle rapide e continue dimande di denaro. La
sleale condotta duna banca che godeva somma con-
fidenza, perché invigilata dai commissarj degli azioni-
sti e dai delegati del governo, diffuse nel publico
uno spaventoso disinganno in un momento di grave
ansietà politica. Le intraprese sussidiate dalla banca
si trovarono senza appoggio; le cambiali protestate
rifluirono sui banchieri; tutte le società vennero scosse
e incagliate; e la Società Generale poté reggere al-
l'urto solamente in virtù dell'immenso suo capitale e
della rara puntualità de' suoi amministratori.
Con tutto ciò non vi fu quella strage di carte che
costituisce la vera crisi; le poche cedole circolanti nel
Belgio vennero redente coll'oro custodito nel tesoro
della Società Generale. Perloché vi fu bensì sommo
sgomento e ritiro violento di capitali; ma non vi f u
annullamento subitaneo del numerario. E il male non
poté aver lunga durata, perché i capitali tendono per
loro natura ad uscir dai nascondigli, e rimettersi in
azione e in ricavo. Si vide allora qual ventura fosse
pel Belgio l'aver solo piccola frazione del stio nume-
rario in carta, e averne la maggior massa in metallo.
E l'autore pensa che il Belgio non può soggiacere a
vera crisi finché dura questo stato di cose, ossia fino
a che non abbia assorbito tanta carta da produrre
l'esportazione della maggior parte della moneta so-
nante. E qui si vedrà quanto vada errato chi crede
che l'uso prodigo delle banconote sia condizione ne- i
cessaria alla vita industriale. In qual parte del con-
tinente l'industria fiorisce più che nel Belgio? E l'in-
dustria francese non fu ella sino a questi ultimi anni
nella medesima situazione?
Ma postoché tutte le nazioni più ricche sembrano

18. . CATTANEO. Scritti politici. III.


274 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

dover pervenire a quel punto, in cui la moneta me-


tallica non basterà più alla moltiplicità e velocità del-
le transazioni, l’autore pensa che non perciò le nazioni
debbano investire i privati azionisti di banche del so-
vrano officio di coniar moneta, e lasciarli Arbitri di
sconcertare per ignoranza o per avidità il vitale orga-
nismo del numerario. Essi hanno niente meno che il
potere di attingere col mezzo delle loro banconote il
denaro publico, esportarne la maggior quantità, can-
giarla in derrate da sovvenirsi con immenso loro lucro
ai nuovi industrianti, e appropriarsi così il frutto d‘una
vasta parte dei patrimonio publico. E quando l’inte-
resse privato ha spinto questa operazione all’estremo
limite, il paese sconcertato in tutti i prezzi e in tutti
i salarj per la profusione d‘un numerano che nulla
costa, viene precipitato nella crisi, che distrugge la sua
fortuna al di dentro e la sua riputazione al di fuori.
Perloché l’autore è di parere che la carta mone-
taria non debba emettersi se non per conto dello Sta-
to, e che, con tutto il rigore e tutta la solennità delle
leggi e degli ordini fondamentali, se ne debba pro-
porzionare la quantità al bisogno, ossia alla massa del-
le contrattazioni, dimodoché il suo corso non discenda
mai sotto a quello del metallo. Finalmente fa notare
che se la carta rimborsabile suppone un deposito me-
tallico sempre pronto al rimborso delle banconote, ciò
si riduce ad una finzione, perché non avviene mai che
la quantità del metallo corrisponda veramente alla quan-
tità delle cedole circolanti. Propone adunque che si
rinunci affatto alla falsa dimostrazione d’una carta rim-
borsabile; e che perciò la carta non debba più essere
un rappresentativo della moneta metallica; ma deb-
ba essa medesima essere la sola e diretta moneta dello
Stato. E, con poco espressiva distinzione, chiama car-
ta monetata la carta rimborsabile, e moneta di carta
la non rimborsabile da lui proposta.
VIII - CRITICA ALL’ASSOLUTISMO 273

L’idea di escludere affatto dalla circolazione la mo-


neta sonante erasi già proposta in Inghilterra dal Ricar-
do; ma secondo lui la carta doveva esser sempre rim-
borsabile in verghe d’oro e d’argento; cosicché la misu-
ra fondamentale dei valori restava in ultima analisi nei
i
metalli preziosi, e vi s’implicava pur sempre la finzione
che la massa del metallo vergato corrispondesse alla
quantità delle cedole. Né Ricardo avrebbe potuto at-
tribuire alla carta un valor proprio e diretto, senza
contravenire al famoso suo principio, che il valor del-
le cose dipende dalle spese di produzione, e non dal
rapporto tra l’offerta e la dimanda. Laonde la sua non
era una moneta legale, ma un rappresentativo e un
riverbero del valor dei metalli.
Nei grandi emporj commerciali il negoziante prefe-
risce spesso alla moneta legale le cedole dei banchi,
massime per la facilità di metterne in portafoglio un
enorme valsente. Ora se la moneta legale fosse essa
medesima di carta, non vi sarebbe più la ragione di
preferirle in alcun caso le cedole di codesti banchi, le
quali infine non sono per sé moneta, ma solo promesse
i
di pagare in moneta. Si dimanda dunque se con una
materia senza valore, com’è la carta, si può formare, non
già un rappresentativo di denaro, ma una vera moneta.
Nelle monete doro, d’argento, di rame, vi sono due
valori distinti, il metallico ed il monetario. Essi però
tendono continuamente ad unificarsi, perché appena il
valor monetario si eleva minimamente al disopra del
metallico, i negozianti fanno coniare altre verghe, per
guadagnarvi l’agio; e viceversa pei bisogni delle arti
si fondono a preferenza quelle monete in cui, a titolo
eguale, il valor corrente è più basso. Questa somma
facilità di accrescere e diminuire la massa circolante
per un impulso spontaneo del commercio, riduce pron-
tamente e continuamente la dimanda della moneta, e
quindi il suo ualore, al livello del valor metallico; e
276 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

fa suppor facilmente che quello sia mera conseguen-


za di questo, mentre è una conseguenza della dimanda,
ossia della proporzione fra la massa circolante e i bi-
sogni della contrattazione. Perloché se la moneta fos-
se anche d'altra materia, ma vi fosse una forza CO-
stante che ne proporzionasse la quantità alla dimanda,
il valor corrente di questo numerario non metallico ben
potrebbe farsi corrispondere al valor mercantile dei
metalli preziosi.
A mostrare che il pregio della moneta non dipen-
de dalla sua materia, ma dalla sua quantità, l'Inghil-
terra offre un luminoso esempio. Ivi ogni privato può
far coniare in zecca l'oro, ma non l'argento. Per con-
seguenza la moneta d'oro è un oggetto mercantile, che
ha il medesimo valore del metallo che la compone;
cosicché un sovrano d’oro, che contiene 7318 milli-
grammi di puro, suol valere altrettanti milligrammi
d'oro in verghe. Lo stesso sovrano ha il valore di venti
scellini, i quali contengono in complesso 104530 milli-
grammi d'argento puro; ma se lo si adopera a com-
perare argento non coniato ma della stessa finezza,
vale 115000 milligrammi, i quali basterebbero a co-
niare più di ventidue scellini. Questo maggior valore
dell'argento monetato dipende dalla sua limitata quan-
tità; e il governo potrebbe elevarlo assai più, qualora
ne ritirasse dalla circolazione una considerevole quan-
tità di pezzi, ovvero ne coniasse uno stesso numero,
ma di minor peso o di titolo più basso. Un simile
esempio porgono dappertutto le monete di rame, le
quali sarebbero di soverchio peso e d'uso incommo-
do, se il loro valore corrente adeguasse quello del
metallo. Perloché nel Belgio un chilogrammo di rame
monetato ha ricevuto dalla zecca un valore di cin-
que franchi, mentre con cinque franchi si possono com-
perare due chilogrammi di rame laminato. Ma se un
governo, stretto da un bisogno, ne coniasse doppia quan-
VII - CRITICA ALL’ASSOLUTISMO 277

tità, nulla potrebbe impedire che la moneta di rame


non ricadesse tosto a valere non più del suo metallo.
LO stesso avviene delle carte monetarie; poiché le
note della Banca d’Inghilterra, quantunque fossero
emesse nella quantità di 48 milioni sterlini nel 1810,
di 60 milioni nel 1814, e di soli 40 milioni nel 1819,
ebbero sempre il valore effettivo di poco più di 10
milioni d’once d’oro; poiché l’oncia d’oro si valutò
successivamente ora a sterlini 4 1/2, ora a 5 1/2, ora
a 3 9/10, a proporzione della più o men profusa
emissione delle carte; ma il valore della sua massa
non poté mai sorpassare il limite sopradetto.
A ciò si potrebbe opporre che nei paesi in cui si
volle batter moneta di minor peso o di basso titolo
il corso del denaro si avvilì proporzionatamente. Que-
sto è vero; ma fu perché dalla stessa quantità di me-
tallo puro si volle ricavare un maggior numero di pez-
zi; e così mentre la massa totale della moneta conservò
il suo primo valore, ossia si conservò nella stessa pro-
porzione colla dimanda, si trovò suddivisa in un mag-
gior numero di unità; ciascuna delle quali per con-
seguenza ebbe a valer tanto meno.
I1 valore intrinseco non produce altro effetto se non
d’impedire che una moneta, o un’altra cosa qualunque,
decada al disotto del valore della sua materia. Una
moneta, un lambicco, un altro oggetto qualsiasi di ra-
me, conserveranno sempre il valore di rame; il quale
è ben altro da quello che possono avere come mo-
neta o come lambicco, in forza dell’uso che prestano
sotto una tal forma, ossia in forza dell’utilità e della i
limitata quantità. Siccome la moneta è utile a soddi-
sfare un imperioso bisogno sociale, e può limitarsi a
quella quantità che si vuole, perciò può avere un va-
lor monetario diverso dall’intrinseco. i
I famosi assegnati di Francia erano pure ipotecati
sui beni nazionali, e ne venivano ricevuti in prezzo.
278 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

Ma la loro quantità, essendo proporzionata al valor


capitale d'una sterminata estensione di beni, era af-
fatto superiore al bisogno della circolazione. Perciò l'of-
ferta loro, essendo immensamente maggiore della di-
manda, produsse un enorme avvilimento. La quantità
della moneta circolante non deve essere proporzionata
ad una o ad altra parte della ricchezza publica, ma
bensì all'importo dei contratti, al compimento dei qua-
li deve servire; come il numero dei carri che devono
trasportare la legna da fuoco, non deve essere propor-
zionato alla vastità del bosco, ma bensì alla quantità
di legna che si vuol trasportare in un dato tempo.
Quindi appar chiara la semplicità di certi sognatori
di borsa, i quali vorrebbero arricchire il paese metten-
do in giro carte, che rappresentino qualche ramo del
patrimonio nazionale; e pretenderebbero sostenerle ad
un corso pari al valore ch'esse rappresentano, quand'an-
che la loro quantità eccedesse i bisogni della contrat-
tazione generale.
Quanto più la nazione s'inoltra nella sua prosperi-
tà, la sua moneta deve rendersi capace di servire al
pronto movimento d'una maggior quantità di valori.
Perloché deve fabricarsi di quella materia che meglio
giovi all'uso; e se la fabricazione si riserva all'autorità
publica e vien rattenuta nel limite di ragione, e resa
d'uso legale, verrà certamente dimandata, e per con-
seguenza avrà valore. Né codesto valore dipenderà mai
da un decreto arbitrario, ma dalla suprema legge del-
l'offerta e della dimanda, ossia dalla proporzione tra
la sua quantità e il bisogno del paese.
Su questi fondamenti l'autore passa a mostrare, che
la più opportuna materia monetabile sarebbe la carta,
perché, in confronto del metallo, più facile a nume-
rarsi e trasportarsi e infinitamente più atta a racchiu-
dere alto valore in piccol volume. Inoltre si risparmia
la spesa del logoramento del metallo, la quale si valu-
VIII - CRITICA ALL’ASSOLUTISMO 279

ta annualmente a 1/8 per 100 nella moneta d’oro, e


1/2 per 100 nella moneta d’argento; cosicché un pae-
se, che conti duecento milioni di numerario metallico
può logorare ogni anno il valor d’un milione. Infine si
potrebbe vendere all’estero tutta la massa circolante
d’oro e d’argento, che si valuta pel Belgio a trecento
milioni. E l’autore soggiunge che torna lo stesso come se
gli antenati ci avessero lasciato le carrozze cogli assi
d‘argento, e noi vi supplissimo con assi di ferro, che
sono più saldi ed economici. Dimostra quindi che que-
sta moneta di carta sarebbe assai diversa dalla vecchia
carta monetata: e perché non sarebbe un ripiego di cir-
costanza, ma un sistema migliore deliberatamente adot-
tato in seno alle più favorevoli circostanze: e perché
non accrescerebbe la massa circolante, e quindi non
cagionerebbe ribasso di valute e sconcerto di contratti.
Laonde la nuova unità monetaria dovrebbe conserva-
re il nome e il valore dell’antica, anche per non contra-
riare le abitudini se non dove è strettamente necessa-
rio; e dovrebbe quindi conservare il nome di franco,
ed equilibrarsi in modo che un chilogrammo d’argento
puro valesse, come al presente, 222 fr. 22 cent., ovve-
rossia con un decimo di lega valesse come al presente
200 fr.
Ma siccome tutto il nodo della cosa sta nel cono-
scere precisamente il limite delle emissioni, così que-
ste dovrebbero stabilirsi per Iegge, solennemente pro-
posta e publicamente discussa e deliberata, e verreb-
bero governate da una commissione monetaria, alla qua-
le partecipasse l’autorità legislatrice e l’amministrativa,
e il corpo commerciante e l’industriante, sotto pene
rigorose, che francheggiassero le coscienze a fronte
d‘ogni seduzione.
Si annunzierebbe sei mesi prima l’epoca in cui il
metallo cesserebbe d’esser moneta legale; e tre mesi
prima si aprirebbero in ogni parte dello stato officj di
280 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

cambio reciproco tra la moneta metallica e la nuova


carta, per conservar l'equilibrio tra i due valsenti. Do-
po un certo intervallo non si farebbe più cambio se
non con verghe, quando però venissero offerte sotto il
limite di 222 fr. 22 cent. per un chilogrammo d'argento
puro, e di 3444 fr. 44 cent. per un chilogrammo d'oro.
E viceversa si riceverebbe la carta stessa in ricambio
di monete o verghe, che venissero ricercate al pari.
Attivata la nuova circolazione, si chiuderebbero gli
offcj di cambio, ma la commissione monetaria avrebbe
l'incarico di comperare all'occasione le verghe metal-
liche, per ristringere, ove fosse d'uopo, il giro del nuo-
vo numerario, e così sostenere il franco di carta al va-
lore di grammi 4 1/2 dargento puro, come il franco
d'argento. Ciò avrebbe luogo solamente in casi rari; e
la differenza del prezzo di compra e vendita dovrebbe
compensare l'infruttifera giacenza del metallo. Perlo-
ché, se qualche paese vicino trascorresse soverchiamen-
te nell'emissione delle sue carte, e con ciò producesse
un ribasso e quindi un esporto delle monete, se ne
potrebbe far compera al disotto del consueto corso.
E quando poi il sopravenire della crisi costringesse
quello stesso paese a ridimandare precipitosamente il
valsente metallico, si avrebbe occasione di rivenderlo
a più elevato prezzo. Per tal modo il paese diverrebbe
quasi un emporio al commercio dell'oro e dell'argento;
e gli altri vi ricorrerebbero in caso di crisi, o di lonta-
ne guerre, o d'altro bisogno di metallo, e se ne po-
trebbe formare un'industria di zecca.
L'autore è persuaso che la materia metallica espo-
ne l'unità monetaria a risentire le fluttuazioni del valor
mercantile dell'oro e dell'argento, mentre la moneta,
come misura degli altri valori, dovrebbe avere un va-
Ior fisso e indipendente. E trova che se fosse stata in
uso la moneta di carta al tempo della scoperta dell'Ame-
rica, non vi si sarebbe introdotto sì enorme ribasso.
VIII - CRITICA ALL'ASSOLUTISMO 281

Tuttavia per gli spezzati e i piccoli saldaconti ammet-


terebbe poca moneta dimetallo, e non vorrebbe mo-
nete di carta al disotto di dieci franchi. Ma codeste
specie metalliche non sarebbero che di lieve peso e
poco valore intrinseco; e si potrebbero distinguere non
tanto nella grossezza, quanto nel colore delle varie le-
ghe che vi si potrebbero adoperare.
Conchiude affermando che, se il Belgio persiste nel
presente suo sistema metallico, dovrà pel rapido svi-
luppo degli affari trovarsi in necessità di adottare le
cedole bancarie, le quali, assorbite progressivamente e
copiosamente nella circolazione, cagioneranno l'espor-
tazione del metallo, e in séguito il periodico flagello
delle crisi; il quale si può allontanare soltanto coll'abo-
lire in tempo e la moneta metallica e i suoi rappre-
sentativi, per sostituirvi una moneta nazionale di carta.
Non tutti vorranno soscriversi a questa e ad altre
opinioni dell'autore; ma nessuno potrà negare che nel
corso del suo ragionamento egli abbia messo in chiaro 1
molte verità, non nuove certamente, ma opportune a
ridirsi e ripetersi in varj modi, fino a che il senso com-
mune degli uomini non le abbia assorbite, e infuse nel-
la pratica del discorso giornaliero e degli affari.
Tra le cose non dimostrate appieno, né forse dimo-
strabili mai, vi è quella che una moneta di carta debba
per sé avere corso più immutabile e solido che quella
di metallo. Il valor della prima dipende da molte cir-
costanze estrinseche, non foss'altro, dalla quantità del-
le emissioni; il che è come dire dagl'interessi, dall'opi-
nione, e dalla perpetua lealtà e vigilanza degli uomini
incaricati di regolarle. Al contrario il valore di quella
moneta sonante che serve al commercio straniero, cioè
dell'oro sempre, e il più delle volte anche dell'argento,
corre parallelo al valore del metallo; il quale dipende
dalla sua quantità universale in confronto del numero
e delIa civiltà di tutte le popolazioni della terra. Dipen-
282 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

de adunque da un fatto antico e perpetuo della natu-


ra e dell'umanità, che si modifica solo nel lentissimo
corso delle generazioni, in modo che poco o nulla ri-
levano a ciascuna di loro codeste variazioni secolari.
Una tale difficoltà viene implicitamente riconosciu-
ta anche dal sig. Chitti, il quale ripone al di fuori della
moneta stessa il fondamento di codesta stabilità, ap-
poggiandola ai contrapesi politici, e riservando perciò
la nuova instituzione a quei soli governi che soggiac-
ciono a publica responsabilità. Ma con ciò esclude tut-
te quelle nazioni incivilite, che son governate altrimen-
ti; ed eziandio tutte quelle che possono per avventura
soggiacere all'invasione od all'influenza d'altri stati. Re-
sta poi a considerarsi, che nei governi medesimi che
hanno nome di risponsabiii, spesso predomina una fa-
zione, o almeno un partito; che i partiti non sempre
si astengono di parlare e operare nel senso degli spe-
ciali loro interessi; e che spesso sono costretti a subire
il predominio di certi capi necessarj; e che in quest'or-
dine di persone, alcune volte l'amore dell'opulenza
vinse quello della gloria e della dignità; e allora le
nazioni videro con cordoglio e stupore gli abusi del
telegrafo, delle confidenze diplomatiche, degli imprestiti
nazionali, dei monopolj e delle tariffe protettive; e quin-
di potrebbero aspettarsi di vedere anche gli abusi del-
le emissioni monetarie, e più ancora quelli del merci-
monio che l'autore vorrebbe addossare al governo sulle
verghe d'oro e d'argento, e sui conj delle vicine nazioni.
Ma senza far conto di queste corruttele, basta pur
troppo il facile traviamento del publico giudizio intor-
no all'opportunità di emettere nuovo numerano o di
rivocarlo. Egli ha ingiunto un'ardua condizione al suo
sistema, quando volle supporre le nazioni tanto bene
intese dei proprj interessi; e non pose mente alle tan-
te illusioni publiche, che durano pertinaci, a dispetto
della scienza e dell'esperienza. Trova egli forse che gli
!

VIII - CRITICA ALL'ASSOLUTISMO 283

Stati Uniti d'America abbiano assicurato gl'interessi del


loro commercio, abbandonando la circolazione allo sfre-
nato arbitrio dei privati? Chi avrebbe creduto, che, do-
po Adamo Smith, gli Americani potessero indursi a
stabilire dalle fondamenta un sistema di dogane protet-
tive, il quale, oltre ai danni economici, per poco non
produsse anche la guerra civile? Che importa che la
scienza esista, quando i pratici che trattano gli affari
si fanno pregio di non conoscerla, e vanno decantando
come cardini fondamentali i più manifesti errori? La
moneta di metallo porta seco un regolatore perpetuo
nel valor mercantile della sua materia. Pare che le al-
lucinazioni dell'umana debolezza giungano al sommo
ogniqualvolta si parla di carta, e si riducano al mini-
m o ogniqualvolta il discorso si riduce al metallo. Fra
cento trafficanti, a stento se ne trova uno, il quale
non creda che collo stampino delle banche si creino i
capitali. Ben pochi hanno la chiara e sobria persuasio-
ne, che i vantaggi delle banconote sono unicamente il
commodo del minor volume, e l'economia sull'interesse
del metallo e sul logoramento della moneta.
Dove l'autore parla dell'effetto della carta nazio-
nale sul corso dei cambi coll'estero, dice che «il com-
mercio fra le nazioni si riduce in sostanza a un vero
baratto di merci con merci; e non è come quello dei
privati, il quale si fa coll'intermezzo della moneta ».
Veramente e le nazioni e i privati devono bilanciare
le compere colle vendite, ossia cedere i prodotti che
hanno, per ottenere quelli che non hanno. Ciò si riduce
in fin del conto a un vero baratto, ma nel decorso del-
le operazioni veste varie forme. Non solo un paese non
ha bilancio preciso d'esportazioni e d'importazioni con
tal altro paese, ma in un dato intervallo di tempo ta-
lora avviene, ch'esso non abbia bilancio preciso con
tutti quanti insieme i paesi, coi quali si trova in com-
mercio. Nel qual caso se non si trova creditore, ma
i
284 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

debitore, salda la differenza delle merci esportando por-


zione della sua scorta metallica. Non è questo il caso
attuale e penosissimo dell'Inghilterra?
Quella nazione fa il massimo commercio col mini-
mo di moneta metallica, appunto perché, avendo un
vastissimo giro d'ogni sorta di derrate con tutte le par-
ti del mondo, può quasi sempre dar merce per merce
a tutte le nazioni. Ciò non possono fare i popoli cui
il commercio è meno esteso e vario; ed è questo un
fatto al quale non si è ancora ben posto mente da
quelli che scrissero sulla diversa proporzione del nu-
merario fra le diverse nazioni. Ora avvenne che l'Ame-
rica Settentrionale ingorgata di manifatture europee,
e bisognosa di contante per rianimare l'arenata circola-
zione, preferì al consueto baratto la uendita, e così
estrasse dall'Inghilterra grosse somme di metalli. Una
straordinaria importazione di grani dall'Europa orien-
tale si dové parimenti saldar dagli Inglesi a contante,
poiché il sistema proibitivo, e la conseguente mancan-
za di dimande, non permisero di potervi rimettere di
slancio una proporzionata massa di mercanzie. ECCO
un altro caso in cui il commercio da nazione a nazione
non si poté ridurre a pronto baratto, e dové subir pri-
ma la forma di vera compera. Bisognò che una gran
nazione facesse pel momento ciò che farebbe un pri-
vato, cioè pagare a contanti le fatte compere, salvo a
rincassare il danaro colle successive vendite, quando
verrà fatto di collocare una massa di merci superiore
al consueto spaccio annuale.
La massa metallica è già in Inghilterra sommamen-
te circoscritta, poiché non suol essere più di mille mi-
lioni di franchi. Il commercio dové dunque levarne
quella parte che stava nei tesori delle banche, per
mandarla all'estero. Ma se il bisogno casuale, accresciu-
to dai timori dei privati e dal giuoco delle opinioni,
dovesse continuarsi, si prevede che le banche, dopo
VIII - CRITICA ALL'ASSOLUTISMO 283

avere esausti i loro depositi, dovrebbero trarre a sé e


porre a disposizione del commercio, ossia degli stra-
nieri, anche la moneta girovaga che si trova dissemina-
ta nelle tasche d'ogni cittadino. La Banca lo può fare
facilmente, emettendo banconote di minuto valore, p. e.
d'una sterlina o di due, le quali verranno facilmente
aggradite dai privati. Ma ognuno vede, che, se le chia-
mate del denaro dovessero ripetersi, o dovesse sopra-
venire un gran movimento militare, la più ricca di tutte
le nazioni si troverebbe nel caso di quei negozianti che
abbiamo visto, con lauti patrimonj e con magazzini pie-
ni di preziose merci, cadere in fallimento, non per
alcuna perdita fatta realmente, ma perché il magazzino
non può far le funzioni di cassa. Le nazioni, al pari dei
privati, hanno dunque bisogno d'una maggiore o mi-
nore scorta metallica, con cui far fronte agli impegni,
e acquistar tempo di liquidare vantaggiosamente le lo-
ro attività. Laonde se alla fine d'un dato periodo può
sempre dirsi che il commercio è un baratto, nel frap-
posto intervallo spesso riesce vera compra e vendita, e
richiede insolite e repentine importazioni od esporta-
zioni di metallo.
Quanto più le nazioni sono grandi e mercantili, tan-
to più facilmente potranno trarsi d'impegno colle va.
rietà dei traffichi, e men facilmente subiranno codesti
sbilanci; perloché potranno operare con minor quan-
tità di contante, e fare maggior commercio con minor
capitale. Ma quanto più sono piccole, ristrette al com-
mercio di pochi generi di derrate, inviluppate da pros-
sime frontiere, avranno maggior bisogno d'intermezzo
metallico. A cagion d'esempio, se la Lombardia in un
anno perdesse gran parte del suo ricolto di sete, o non
potesse smerciarlo prontamente, ella dovrebbe pagare
le sue solite importazioni di coloniali e d'altre merci
estere con una parte della sua scorta metallica; e pri-
ma di tutto in quell'anno, per l'angustia generale che
286 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

ne dovrebbe sopravenire, vi si ‘vivrebbe con risparmio


maggiore e con minori importazioni. La situazione del
Belgio, assai differente per l’industria, è assai simile per
ciò che riguarda il commercio straniero e l’incommoda
vicinanza di molte frontiere. Ora, quando arriverà co-
desta necessità di aver contante, la carta sarà sempre
posposta al contante, sia ch‘ella porti l’impronto delle
banche, sia che porti quello della nazione; perché il
valore vien dalla dimanda; la dimanda dal bisogno; e
la cosa di cui men s’abbisogna, non può avere lo stes-
so valore d‘un oggetto istantaneamente necessario. Am-
mettiamo dunque che la carta nazionale, proposta dal-
l’autore, abbia molti vantaggi a fronte delle cedole dei
banchi, ella non sarà per questo esente dalla suprema
legge dell’offerta e della dimanda e dal pericolo del
diprezzamento e del rifiuto. Ciò posto, come potrà ser-
vir ella di campione, a preferenza di quelle materie
per cui sta l’opinione del genere umano, e che sono
ad un tempo merce e moneta?
Se l’autore non giunse a provare tutto ciò che in-
tendeva, egli provò certamente che nei grandi centri
commerciali, dove una porzione del numerano si ridu-
ce in carte, l’emissione di questa dev’essere piuttosto
d’officio publico, com’è di publico interesse. Non fu
poi superfluo l’aver rammentato di bel nuovo alla poco
mémore Europa, che l’industria belgica, la quale oc-
cupa forse sul continente il primo posto, visse e pro-
sperò finora senza il precario fomento delle emissioni
bancarie, che molti riguardano pure come il primo spi-
ro della vita industriale.
VIII - CRITICA ALL’ASSOLUTISMO 287

Febbraio 1841

« igiene e moralità degli operai di seterie » *


« I più grandi libri del mondo sono tutti tascabili »,
dice il dottor Rajberti nella sua Appendice; e noi ag-
giungeremo che i libri più utili sono talora così piccoli
che appena si può dar loro il nome di libri. Appena
si può darlo a quello che qui appunto annunciamo; ma
esso racchiude preziosi ricordi intorno alla salute e al
costume di quella numerosa parte del popolo che, vi-
vendo del lavoro delle sete, è strumento principale del-
la commune ricchezza. impossibile ridurre a più suc-
cinta espressione le buone cose che stanno addensate
in così poche pagine, e che riguardano tanto il lavoro
delle filande quanto quello dei torcitori, e tanto le fi-
latrici e le naspiere, quanto gli operai, i direttori e i
padroni, e direm pure i Parochi; poiché essi più di
noi ben sanno che nel miglior governo di questa così
estesa industria stanno le condizioni fondamentali di
ogni buon costume nelle nostre campagne. Epperò rac-
comandiamo ad essi questo libretto, il quale è piutto-
sto un’opera di carità e di religione che di scienza O
d’industria. Prima di essere stampato a parte, apparve
suddiviso in varj brani in un giornaletto che si pu-
blica a Torino ogni sabato, sotto il nome di Letture
popolari; il quale ci sembra la più morale ed utile
cosa che di questo genere si sia fatta tra noi; epperò
merita tutto il favore.

Pubblicato anonimo in POL., 1841, IV, p. 106.


288 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

Aprile 1841

Dei poveri e della carità legale,


lettera circolare ai prefetti
del signor De Rémusat ministro dell'interno *
La voluminosa opera del barone De Gérandio, sul-
la publica beneficenza fu argomento d'un lungo arti-
colo nel primo volume di questa raccolta, nella quale
non possiamo ora negare alcune pagine ad un brevis-
simo ma prezioso scritto, nel quale il sig. De Rémusat
sotto forma di lettera circolare strinse in poco spazio
tutte le più profonde questioni che si possono promuo-
vere su questo difficile argomento. Le risposte, ch'essa
invita a meditare, formerebbero un lavoro d'inestima-
bile utilità anche in ognuna delle nostre province,
dove sono assai copiose le fonti della publica bene-
ficenza, ma il difetto di giudiziose persuasioni spesse
volte dirige la mano dei donatori in un senso che non
può non essere contrario al voto del loro cuore.
I1 sig. De Rémusat, dopo aver enumerato quanto
fece negli ultimi anni il Governo francese per propa-
gare le istituzioni benefiche ai poveri, l'istruzione ele-
mentare, gli asili dell'infanzia, le casse di risparmio,
ormai sostituite in Francia alla settimana1 voragine del
lotto, le strade comunali, i ricoveri dei mentecatti, la
salubrità e I'ampiezza degli ospitali e degli ospizj, le
agevolezze nei monti di pietà, i soccorsi domestici,
dimanda che i Consigli dipartimentali vengano richie-
sti nel loro avviso su quelle circostanze che debbono
tenersi in conto, per modificare provvidamente l'unico
ed uniforme principio della legge del regno.

Pubblicato anonimo in POL., 1841, IV, pp. 159-167.


VIII - CRITICA ALL'ASSOLUTISMO 289

Le cause della miseria possono essere permanenti,


come la vecchiaja, le infermità incurabili, l'inabilità;
e possono essere momentanee, come le malattie, gl'in-
fortuni, l'arenamento dei lavori. Quali sono dunque
nei diversi territorj le più frequenti cagioni di mi-
seria? - Le infermità provengono dal clima, o dalla
natura dei lavori? - La povertà riesce ereditaria in
molte famiglie? - Le principali industrie offrono la-
voro continuo? - Quali sono i salarj giornalieri? -
Quale la somma assolutamente necessaria alla sussi-
stenza delle famiglie povere del luogo? - A qual
età i fanciulli cessano d'essere a carico della fami-
glia? - La popolazione è abile al lavoro? - solerte?
- sobria? - economa? - I poveri mostrano ripu-
gnanza ad implorare la carità? - I figli inclinano ad
abbandonare i genitori vecchi o infermi? - Avviene
questo più nelle città o nelle ville? - Quali cause
ostano allo sviluppo dei mestieri? - e come si po-
trebbe vincere? - Quali casi fortuiti accrebbero la
poveraglia? - Cresce questa, ovvero diminuisce? -
I poveri cercano di farsi quasi uno stato della loro
indigenza, oppure si accontentano d'un momentaneo
soccorso? - Sono abbondanti nel luogo le elemosine,
i doni, i lasciti? - In qual proporzione stanno col
numero dei bisognosi?
Chi non conosce le cagioni della povertà, non può
divisare le vie più opportune al duplice fine dalle-
viarla e di prevenirla. I più saggi economisti si la-
gnano a buon diritto della carità legale. Se uno stato
largheggia troppo nelle pie fondazioni, assicurando un
generale ricovero alla vecchiezza e all'infermità ed
un'elemosina sempre pronta all'indigenza, egli promuo-
ve la pitoccheria, non la combatte; e avvezza i po-
veri a ricevere i soccorsi come un'entrata e un diritto
sullo Stato, vien meno allora ogni risparmio, ogni an-
tivedenza, ogni operosità; e il povero, perdendo ogni

19. . CATTANEO. Scritti politici. III.


,
290 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

pudore, preferisce il tozzo della carità all'onorato pa-


ne della fatica. Tali sono gli effetti della tassa dei
poveri.
Ma gli abusi non tolgono la necessità e l'utilità
della publica beneficenza, la quale può ben combi-
nare i diritti dell'umanità e l'interesse dello Stato. El-
la deve sopratutto far sì che l'individuo non cada nel.
l'indigenza, o che, caduto, ne possa escire. Deve dun-
que nutrire in lui l'industria, l'ordine, l'economia, e
porgergli nei momenti più difficili il modo d'ajutarsi
co' suoi proprj sforzi. L'aspettativa d'un soccorso per-
petuo è pericolosa, ogni qualvolta l'infelice non sia
incapace affatto di lavoro, e condannato quasi dalla
natura all'indigenza.
Da questo lato la carità publica subì una gran
riforma. Le antiche instituzioni tendevano a sovvenire
sopratutto i bisogni fisici dell'indigente; ma le novelle
gl'impongono la condizione del lavoro, e non mirano
tanto a dargli ricovero, quanto ad ajutarlo a trarsi
dalla sua miseria. È questa la norma con cui si deve
apprezzare la bontà delle pie fondazioni, e sulla quale
si deve regolare la loro riforma.
Due sono le principali maniere di soccorrere i po-
veri, cioè l'accoglienza negli ospitali e negli ospizj, e
la somministrazione di sussidj domestici. Dei 58 mi-
lioni che si distribuiscono annualmente in Francia, 49
si spendono in ospitali e ospizj e soli 9 in soccorsi
domestici!
Ora egli è ben vero che gli ospizj, massime nei
grandi ammassi di popolazione, saranno sempre un bi-
sogno d'ordine publico non che d'umanità; e non
v'ha dubbio che la vita in comune rende il manteni-
mento d'un numero qualunque di poveri assai men
dispendioso che non sarebbe nelle separate loro case.
Ma l'esperienza dimostra poi che la vita degli ospizi
rallenta i vincoli della famiglia, se al tutto non li
VIII - CRITICA ALL’ASSOLUTISMO 291
discioglie; divezza i figli dal natural dovere di sosten-
tare i vecchi o infermi genitori; e persuade questi
medesimi che, per non essere di peso ai figli, debbono
di regolar finire i giorni loro nel luogo pio. E con-
sentanea a questo è la tendenza di molti amministra-
tori, di accrescere il numero dei posti pei vecchi e i
malaticci, in diminuzione ai letti pei malati ed ai soc-
corsi domestici.
Non si parla già di sopprimere gli ospizj dei vec-
chi e dei malaticci; ma bensì di considerare se non
convenga por argine alla serie crescente dei ricoverati,
promovendo a proporzione un ordine di soccorsi do-
mestici, i quali, lasciando il povero in grembo alla
famiglia, che gli deve le sue cure, stringerebbero vie
più i nodi naturali; e, sollecitando la previdenza dei
padri e dei figli, scemerebbero il numero di quelli
che aspirano ai publici soccorsi; e in ogni modo ri-
durrebbero ad un sussidio o limitato e temporario le
spese del perpetuo mantenimento del povero negli
ospizj. Anzi vorrebbesi considerare se non convenisse
mutare in dispenserie certi piccoli ospizj ed ospitali,
che appena giovano ad un pugno di ricoverati, men-
tre le spese d’amministrazione ingojano la maggior
parte dei fondi.
Giova dunque indagare qual numero di letti go-
dano negli ospizj e negli ospitali dei singoli territorj
gli ammalati, e quale gl’incurabili e i vecchi; e in
qual proporzione stia questo numero a quello degli
indigenti. Qual è la proporzione tra la somma erogata
in soccorsi domestici e quella che si spende negli
ospitali? - Non è soverchia questa al paragone di
quella? - Gli amministratori sono più inclinati a mol-
tiplicare i letti negli ospizj, o i sussidi domestici?-
Non converrebbe porre una remora a questa tenden-
za? - Non converrebbe sopprimere certi ospizj che
ricoverano pochi indigenti, e distribuire quei fondi in
!
292 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III
sussidj domestici? - Quali abusi intervengono nel-
l’amministrazione dei vecchi e degli invalidi negli ospi-
zj? - Non vien essa riguardata con piacere dagli
stessi vecchi ed invalidi od almeno dalle loro fami-
glie? - Tra i ricoverati non ve ne ha molti che po-
trebbero venir sostentati dai loro congiunti?
Sarebbe mestieri far conoscere un’instituzione già
esperimentata in qualche luogo con sommo vantaggio,
cioè le Case di Riposo, ove ammettere ad una certa
età chi abbia versato un certo capitale o pagato un
contributo vitalizio. Chi adunò coll’onorate fatiche il
capitale che gli compra l’ingresso in quei ritiri, vi
può entrare senza avvilimento; poiché vi riceve sem-
pre il compenso della sua industria e della sua con-
dotta, anche quando l’amministrazione publica so-
stiene una parte di quella spesa. Questa instituzione,
preparata dalle Casse di Risparmio, renderebbe la loro
utilità più manifesta alle classi industriose; e nasce-
rebbe una certa ripugnanza agli ospizj gratuiti, dove
si refuggirebbero i soli sciagurati che nulla previdero,
e nulla serbarono per la cadente età. Se il fondare
questi stabilimenti cagionasse pur qualche spesa, essa
verrebbe a compensarsi in breve per il diminuito ag-
gravio degli ospizj, nello stesso tempo che la pu-
blica approvazione per così provido e morale istituto,
chiamerebbe verso di essi la corrente di una saggia
liberalità.
La soverchia facilità delle ammissioni negli Ospizi
da trovatelli fomentava l’abbandono degli infanti. Laon-
de i magistrati, respingendo tutti quelli che i genitori
erano in grado di sostentare, non erano mossi da solo
fine di risparmio, ma da dovere di providenza publica
e di buona morale. Ma nel reprimere la diserzione
materna, e nel volere che il bambino rimanga al seno
che lo produsse, essi non intesero di negare ogni soc-
corso. Anzi vollero appunto che un sussidio più o
VIII - CRITICA ALL'ASSOLUTISMO 293 I
meno durevole fosse sporto alle madri, le quali, in-
vece di gettare i loro figli, li tengono cari e li nu-
trono, il che ottenne il più felice esito, massime nella
città di Parigi.
La smoderata progressione nelle spese cagionate
dai trovatelli soverchiava le forze degli amministratori,
che appena potevano provedere alla vita di quegli
sgraziati, e nulla potevano fare per la loro educazione.
Ora in più luoghi si presero concerti con compagnie,
per formar colonie di trovatelli sopra terreni di nuo-
va cultura; e vi concorse anche l'opera della privata
carità.
Se dall'una parte bisogna accogliere con tanta ri-
serva i bambini che vengono abbandonati alla publica
providenza, dall'altra parte bisogna assicurare il de.
stino di quelli che si sono accolti. Ma nell'ammini-
strare con severa prudenza i soccorsi che possono de-
generare in abuso, non s'intende di ristringerne le
fonti della carità, ma bensì di farne più fruttuoso ed
equo riparto. Si prodiga facilmente sussidio a certi
infortunj; e lo si nega ad altri che sono assai i più
gravi. Prima della legge del 1838 i mentecatti erravano
per la più parte senza soccorso, mentre gli ospizj fa-
cilmente si aprivano a men crudeli infermità; ed av-
viene tuttora che da molti ospitali si escludano le per-
sone infette di morbi attaccaticci, in onta alla carità
ed alla publica salute.
Una più patema sollecitudine si dovrebbe pure ai
sordi-muti ed ai ciechi-nati; i quali non trovano soc-
corso se non in poche fondazioni che sono quasi tutte
nella capitale, mentre nei luoghi più lontani appena
ricevono qualche ajuto dalla carità privata, e in modo
affatto insufficiente e precario. Gioverà dunque cono-
scere lo stato locale dei sordi-muti e dei ciechi-nati,
tanto più che questi infelici per lo più cadono nella
vita mendicante, a carico della publica o privata ca-
294 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

rità, mentre una buona educazione industriale, li por-


rebbe in grado di sostentarsi da sé. Il che, se dovesse
anche produrre un nuovo capo di spesa, si consideri
poi che il sovvenire con saggezza alla vera miseria è
non solamente atto d'umanità, ma di provida ammini-
strazione. Le miserie non lasciano d'esistere perché la
publica carità le trascuri; anzi, ricadendo ad aggravio
di pochi privati, riescono loro un peso soverchiante e
iniquo, mentre gli altri se ne tengono esenti; e per tal
modo chi è più caritatevole, paga il debito di chi non
lo è. Laonde chi sussidia colle forze communi la vera
miseria, fa in ultimo conto un equo riparto d'una im-
posta che dovrebbe toccare in parte eguale a tutti.
I Monti di Pietà furono bersaglio di malfondata cen-
sura, come se il grave interesse, che talora impongono
alle loro sovvenzioni, si potesse chiamare un'usura pri-
vilegiata. Ma le spese, e massime quelle che servono al-
la conservazione dei pegni, tornano a vantaggio dei
sovvenuti; e non provengono da mire di privato lucro.
Basti il dire che il Monte di Pietà di Parigi soffre per-
dita su tutte le sovvenzioni che non oltrepassano l'am-
monto di dodici franchi; le quali formano tre quarti
del totale, e sommano annualmente al numero di no-
vecentomila. Le amministrazioni che hanno ottenuto una
diminuzione di spese, hanno potuto per conseguenza
diminuire anche l'interesse del prestito.
Ad ogni modo, i Consigli dipartimentali dovrebbero
dire l'avviso loro sull'influenza locale dei Monti di Pietà;
qual sia la loro situazione; come siano considerati dal
publico; se i poveri vi mostrino avversione; se il nu-
mero dei prestiti sia sul crescere o sul diminuire; se
in certi tempi siano più numerosi, e per qual cagione,
se il ristagno dell'industria, e il ribasso delle mercedi, e
le altre angustie degli operaj vi abbiano influenza; se
I'aprimento delle Casse di Risparmio vi eserciti qualche
effetto; se ne' luoghi ove non v'è Monte di Pietà, possa
VIII - CRITICA ALL’ASSOLUTISMO 295

riputarsi giovevole il fondarlo; se i poveri ne sembrino


desiderosi; infine quali miglioramenti si possano intro-
durre in questa pia fondazione.
Se si può temere che la carità fatta ai vecchi ed
agli invalidi distrugga nei poveri l’antivedenza e la par-
simonia, il pericolo è assai maggiore quando l’indigente
non può accagionare de’ suoi mali l’età o le malattie.
Se poi la povertà nasce da inerzia o da sregolatezza,
la carità peggiora il male, e fomenta gli abiti cattivi.
Ed è perciò che la morale ad un tempo e l’economia
consigliano di dare ai validi piuttosto lavoro che ele-
mosina.
Ciò riesce opera assai difficile; poiché la mancanza
di lavoro e la piccolezza delle paghe, le quali sono le
più frequenti cagioni della miseria dei validi, proven-
gono da circostanze industriali, che nessuna mano può
regolare. E se poi deriva da imperizia, da inerzia, o
sregolatezza, la carità non può tener fronte a queste
cause inesauste e sempre rinascenti.
Per lo più in siffatti casi si suol promuovere qual-
che opera straordinaria; tra le quali le più facili e
pronte sono i lavori di terrapieno, i quali non richie-
dono previa provista di costosi materiali, né susseguente
smercio di produtti. Ma siccome ciò non si può far
sempre, né dapertutto, si pensò altrimenti; si propose
d’aprire Case di Ricovero, ove i poveri possano atten-
dere a diversi mestieri per conto del luogo stesso; ma
il difficile smercio dei lavori spesse volte sventò que-
sto divisamento. La stessa cagione per la quale arena-
vasi la privata industria; cioè la mancanza di commis-
sioni, impediva lo spaccio delle merci del luogo pio;
e se per sotrarsi a quell’infarcimento gli amministratori
ribassavano i prezzi, ne risultava danno alle fabriche
rimanenti e disimpiego d’altri operaj.
In Olanda ebbero favore le colonie di poveri in
terre inculte; ma né tutti paesi offrono terre fertili in
296 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

quello stato d‘abbandono; né l’esperienza ebbe campo


ancora di chiarire abbastanza gli effetti di codesta insti-
tuzione.
Il buon successo di tutte siffatte cose dipende dalle
particolari circostanze, le quali non concedono di ren-
der generale una sola applicazione. Siccome si tratta di
creare un lavoro vasto, facile e non caro, la scelta deve
coordinarsi allo stato delle industrie e dell’agricoltura
ed alle abitudini delle diverse popolazioni. Si vorrebbe
dunque indicare a quali lavori si potrebbero nei sin-
goli territorj adoperar gl’indigenti; e quali vantaggi o
svantaggi abbiano nei diversi luoghi le Case d’industria,
non come reclusorj dei mendici, ma come officine pei
poveri; e se fosse possibile fondar colonie di poveri, e
con quale spesa.
In tutto ciò il miglior sussidio deve trovarsi nella
carità privata. Le pie unioni, moltiplicate assai da al-
cuni anni, offrono sotto un commun fine una somma
varietà di mezzi, o pel genere di miseria al cui sollie-
vo si rivolgono particolarmente, o pel modo con cui di-
stribuiscono i soccorsi. Alcune mirano a migliorare la
condizione dei poveri, combattendo quej vizj, che li
svierebbero dal lavoro o ne disperderebbero il frutto, e
avvezzandoli all’ordine ed alla previdenza, alcune soc-
corrono certe particolari infermità, alcune le misere par-
torienti, o i bambini, altre le giovanette convalescen-
ti che la seduzione attende alla porta degli ospitali,
altre si fanno quasi tutrici dei poveri, porgendo loro i
modi e gli strumenti del lavoro, o somministrando lo-
ro a modico prezzo le materie prime; queste società
sono invero le più provide di tutte; perché, invece di
pascere la miseria, ajutano l’infelice ad uscirne.
A consimil fine, e con simil vantaggio, alcune fan-
no prestiti gratuiti ai lavoratori di nota probità; al-
cune sovvengono ai coltivatori le semenze, o il grano
necessario a vivere l’invernata, per riscuoterlo al pros-
VIII - CRITICA ALL'ASSOLUTISMO 297

simo ricolto. Questo salutare soccorso conserva nel po-


vero l'onoratezza e i'industria, nello stesso tempo che
solleva la sua miseria. E poco capitale basta a far
molto servigio, poiché si osserva che per lo più co-
deste sovvenzioni, quando son fatte con discernimento,
vengono fedelmente restituite.
Non si potrebbe far applicazione di codesto prin-
cipio ai Monti di Pietà, sostituendo alla custodia del
pegno, la quale toglie al povero, per un tempo o per
sempre, un oggetto talora indispensabile alla sua sa-
lute o al suo lavoro, la cauzione d'un'altra persona di
manifesta solvibilità? Il solo fatto della trovata cau-
zione comincia a formare una presunzione d'onestà.
Queste particolari associazioni si vogliono promuove-
re ad ogni modo. Siccome hanno per lo più fondi as-
sai circoscritti, sono difficili, diligenti, severe nel con-
cedere i loro soccorsi; ed inoltre sopra di esse il po-
vero non può arrogarsi quelle pretese di diritto che
vanta sulle publiche fondazioni. Converrebbe dunque
esaminare a quali di queste libere associazioni i ma-
gistrati potrebbero con qualche vantaggio compartire
un sussidio col publico denaro. Primeggiano fra di es-
se le Compagnie di mutuo soccorso, che si fanno fra
certe classi di operaj, col patrocinio d'altre pie per-
sone, e tendono ad assicurare un appoggio ai vecchi
e agli infermi, che vi abbiano recato a tempo un modico
tributo. Il fondo di queste società è il commune rispar-
mio, al cui frutto il bisognoso può stender la mano
senza avvilimento; i compagni conoscono intimamente
le circostanze alle quali devono arrecare soccorso; la
vigilanza è vicendevole, difficile l'abuso; e la soscrizio-
ne stessa porta già il vantaggio di promovere l'amor
dell'ordine, della previdenza e della misura. In Inghil-
terra l'inchiesta sui poveri chiarì questo fatto, che nes-
suna amministrazione distribuiva con così provida fer-
mezza i soccorsi, quanto quelle ch'erano formate dagli
i
298 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III
stessi industrianti. Queste società tendono a sviare il
concorso dei poveri ai publici ospitali. Molte volte es-
se dimandano d'essere legalmente riconosciute per di-
venir abili a ricevere i lasciti testamentari, molte volte
hanno necessità di protezione e di sussidio publico, ep-
però giova che dell'indole di ciascuna d'esse l'autorità
riceva particolare notizia.
In tutto ciò l'autorità non mira ad una violenta e
generale innovazione, ma bensì ad imprimere alle pie
fondazioni il più fruttuoso e provido andamento.
Venendo dalla circolare del sig. Rémusat al nostro
caso, noi raccomandiamo alla riflessione degli ammini-
stratori e dei privati ciò sopratutto ch'egli vien dicendo
sui soccorsi domestici, in sostituzione ai piccoli e di-
spendiosi ospitali, sui soccorsi da dare alle povere al-
lattanti per diminuire l'abbandono dei bambini, sulle
case di riposo e a tutte quelle altre instituzioni le quali
nei meriti e nei risparmj della gioventù fondano il
tranquillo e onorato vivere dell'età più matura.

Ottobre 1841

« Un curato di campagna » *
I1 dottor Ravizza, ben noto ai nostri lettori, è uno
dei giovani ai quali il buon Pozzone insegnò il secre-
to d'esporre cose non frivole con elegante facilità. Que-
sto primo libro, ch'egli ci porge, abbraccia sotto sem-
plici forme una profonda cognizione di quella supre-
ma delle umane scienze, la scienza del publico bene.
Il curato nelle nostre campagne non è solo il pre-
te di una povera chiesuccia, ma il magistrato d'un

* Pubblicato anonimo in POL., 1841, IV, pp. 454-455.

i
298 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III
stessi industrianti. Queste società tendono a sviare il
concorso dei poveri ai publici ospitali. Molte volte es-
se dimandano d'essere legalmente riconosciute per di-
venir abili a ricevere i lasciti testamentari, molte volte
hanno necessità di protezione e di sussidio publico, ep-
però giova che dell'indole di ciascuna d'esse l'autorità
riceva particolare notizia.
In tutto ciò l'autorità non mira ad una violenta e
generale innovazione, ma bensì ad imprimere alle pie
fondazioni il più fruttuoso e provido andamento.
Venendo dalla circolare del sig. Rémusat al nostro
caso, noi raccomandiamo alla riflessione degli ammini-
stratori e dei privati ciò sopratutto ch'egli vien dicendo
sui soccorsi domestici, in sostituzione ai piccoli e di-
spendiosi ospitali, sui soccorsi da dare alle povere al-
lattanti per diminuire l'abbandono dei bambini, sulle
case di riposo e a tutte quelle altre instituzioni le quali
nei meriti e nei risparmj della gioventù fondano il
tranquillo e onorato vivere dell'età più matura.

Ottobre 1841

« Un curato di campagna » *
I1 dottor Ravizza, ben noto ai nostri lettori, è uno
dei giovani ai quali il buon Pozzone insegnò il secre-
to d'esporre cose non frivole con elegante facilità. Que-
sto primo libro, ch'egli ci porge, abbraccia sotto sem-
plici forme una profonda cognizione di quella supre-
ma delle umane scienze, la scienza del publico bene.
Il curato nelle nostre campagne non è solo il pre-
te di una povera chiesuccia, ma il magistrato d'un

* Pubblicato anonimo in POL., 1841, IV, pp. 454-455.

i
VIII - CRITICA ALL'ASSOLUTISMO 299

piccolo territorio, il direttore dell'istruzione e dei pen- i


sieri d'un piccolo popolo, il depositano dello stato ci-
vile delle famiglie, il caposaldo in cui si stringono tut-
te le fila della vita. Dopo che la ineluttabile necessi-
tà dei tempi dileguò da questo bel paese le congre-
gazioni monastiche, che lo sottomettevano a influenze
incerte e lontane, questa instituzione tutta locale regna
sola sugli animi delle nostre popolazioni. L'ordine pa-
rochiale, figlio del paese, allevato nel paese, estranio
a tutte le commozioni che avvengono oltre il limite
d'ogni singola parte del paese, incapace d'opposizione
e di turbolenza, quasi inaccessibile al fanatismo, può es-
sere il più potente e sicuro ministro della prosperità
commune. E questa prosperità, che infine per la labo-
riosa plebe non è più che un'ordinata e sufficiente po-
vertà, non può mai procedere disgiunta dalla bontà del
costume domestico; poiché, in sì tenue fortuna, alla
porta del vizio la miseria batte ben tosto. E perciò il
i
nostro scrittore dimanda del dabben uomo del suo cu-
rato, «perché si desse tanta cura della prosperità ma-
teriale de' suoi >. E risponde: < perché egli era per-
suaso che il dissesto economico è causa della corrut-
tela; che la miseria o sospinge al delitto, o lascia an-
neghittire nell'inerzia, la quale non di rado al delitto
è vicina; e che una certa agiatezza conduce all'indu-
stria, alla pace dei pensieri, e degli affetti, e quindi
alla moralità ».
Il Ravizza, nell'accennare gl'innumerevoli modi coi
quali uno zelo misurato e sapiente può insinuare nelle
rustiche moltitudini, in codesta progenie degli antichi
selvaggi o degli antichi schiavi, tutti i germi del dome-
stico bene, viene dall'un lato tracciando un venerabile
modello di beneficienza, dall'altro descrive fondo a tut-
to il nostro paese. Ora è questo che vorremmo dai no-
stri scrittori, che essi ci parlassero delle cose nostre,
di quelle cose che ad uno ad uno, nelle singole parti
300 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

d’Italia, tutti sappiamo, e che per la nazione riman-


gono un secreto, finché qualche bella mente non gliene
rifletta l’artificiosa imàgine. Qual piena e feconda let-
teratura non verrebbe a scaturire dai più intimi reces-
si di questa multiforme nostra penisola, e delle isole
che le fanno corona, se in ogni sua parte un’arte sin-
cera raccogliesse le svariate forme che una parziale na-
tura vi profuse!
Dei tre elementi che formano questo libro, il de-
scrittivo forma l’ordito principale, mentre vi s’intrec-
ciano tratto tratto i più evidenti principj di publica
amministrazione; e perché tutto converge nel personag-
gio del dabben prete, vi spira per entro un senso di
schietta e affettuosa pietà. Ma più lunghe parole di-
verrebbero superflue, dove il libro può render testimo-
nianza a sé stesso.

Ottobre 1841
Gaetano Cattaneo *
Gaetano Cattaneo, direttore del Gabinetto Numi-
smatico, membro dell’Istituto di Scienze e Lettere e
della Accademia di Belle Arti, nato nel 1771 a Son-
cino presso Casorate nel Basso Milanese, fu posto
da’ suoi genitori a studiar lettere nel Collegio Calco di
Milano e quindi a studiar pittura in Roma, al tempo in
cui ferveva in Italia la restaurazione delle arti, e si
riaccendeva da ogni parte l’amore della bella antichi-
tà. Non è meraviglia, se nel mezzo di quei pensieri e
nell’ardore della gioventù, gli facessero somma impres-
sione le vicende militari, che sopravennero singolari
e improvise a scuotere l’Italia nel 1796. Queste, sedu-

Pubblicato anonimo in POL., 1841, IV, pp. 496-500.


300 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

d’Italia, tutti sappiamo, e che per la nazione riman-


gono un secreto, finché qualche bella mente non gliene
rifletta l’artificiosa imàgine. Qual piena e feconda let-
teratura non verrebbe a scaturire dai più intimi reces-
si di questa multiforme nostra penisola, e delle isole
che le fanno corona, se in ogni sua parte un’arte sin-
cera raccogliesse le svariate forme che una parziale na-
tura vi profuse!
Dei tre elementi che formano questo libro, il de-
scrittivo forma l’ordito principale, mentre vi s’intrec-
ciano tratto tratto i più evidenti principj di publica
amministrazione; e perché tutto converge nel personag-
gio del dabben prete, vi spira per entro un senso di
schietta e affettuosa pietà. Ma più lunghe parole di-
verrebbero superflue, dove il libro può render testimo-
nianza a sé stesso.

Ottobre 1841
Gaetano Cattaneo *
Gaetano Cattaneo, direttore del Gabinetto Numi-
smatico, membro dell’Istituto di Scienze e Lettere e
della Accademia di Belle Arti, nato nel 1771 a Son-
cino presso Casorate nel Basso Milanese, fu posto
da’ suoi genitori a studiar lettere nel Collegio Calco di
Milano e quindi a studiar pittura in Roma, al tempo in
cui ferveva in Italia la restaurazione delle arti, e si
riaccendeva da ogni parte l’amore della bella antichi-
tà. Non è meraviglia, se nel mezzo di quei pensieri e
nell’ardore della gioventù, gli facessero somma impres-
sione le vicende militari, che sopravennero singolari
e improvise a scuotere l’Italia nel 1796. Queste, sedu-

Pubblicato anonimo in POL., 1841, IV, pp. 496-500.


VIII - CRITICA ALL'ASSOLUTISMO 301

cendolo a subito ritorno in patria, gli turbarono per


sempre la pratica della pittura; e altre più gravi in-
terruzioni gli sopravennero, quando nel 1799 l'onda del-
la fortuna militare ricondusse altri tempi. I1 ritorno
delle nuove cose nel 1800 lo alienò sempre più dal
pennello, e lo sospinse verso altri studj, massime dopo-
ché Melzi due volte gli commise d'ideare una serie
d'impronti per la nuova moneta della Republica Ita-
liana, lavoro, che ambe le volte, compiuto fino ai
punzoni, non ebbe altro effetto. Nei seguenti anni egli
tracciò, ma sul modello francese, la moneta del Regno
Italico; ideò i bei simboli distintivi dei ventiquattro
dipartimenti del regno, per il bollo dei metalli prezio-
si; e pensò e disegnò tutte le medaglie che per pu-
blica ordinanza vennero coniate in quel bellicoso e
agitato intervallo; e molte di quelle che vennero co-
niate dopo l'istituzione del nuovo Regno Lombardo-
Véneto, fino alla morte dell'Imperatore Francesco, tut-
te quelle insegne, quei motti, e quelle forme spirano
antica eleganza, e raggiungono l'ideale di quest'arte
delicatissima, che molti manomettono senza pur so-
spettarne le difficoltà.
In quei primi tempi di guerre, di rapine e di fu-
ghe, tra gli altri capi d'arte che correvano per ignare
mani, vedevansi medaglie rarissime confluir nelle zec-
che, in mezzo alla farràgine delle confuse e strane
monetazioni, che il crogiuolo sacrifica ad una più com-
moda e morale unità. Il Cattaneo, testimonio di quel-
la inosservata distruzione, ne sentiva tutto il dolore
dell'uomo di lettere e dell'uomo d'arti; e ne mosse
arditi lamenti; e poiché la cosa era nelle mani del
ministro delle finanze, ebbe l'accorgimento di rappre-
sentare quei capi d'arte come merce di valore, ch'era
interesse dello Stato di non ridurre colla fusione a me-
ro metallo. Il ministro, o fosse sedutto dall'argomento
ad hominem, o fosse mente da più che da cifre, gli
302 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

diede incarico d'esaminare tutte le monete apportate


in zecca, e mettere da canto tutte quelle che avesse-
ro un pregio d'impronto. In breve se ne abbozzarono
molte serie; si ottennero scaffali e stanze per disporle,
e alcuni libri per guida nell'operazione. Essendosi poi
successivamente messo in vendita il medaglione di Ca-
ronni, quello dell'inglese Millingen, quello degli An-
guissola di Milano, e nei seguenti anni i musei San-
clemente di Cremona, Canonici di Venezia già ducale
di Modena, e quelli dei Collalto e dei Bottari, il Cat-
taneo dapprima seppe far intendere, che, con incorpo-
rarli alla nuova raccolta, molte serie vicendevolmente
imperfette ne avrebbero preso compiuto valore; e infi-
ne sentì d'aver condutta la cosa a tanta grandezza,
che ormai poteva parlare come d'un magnifico orna-
mento del regno, e dimandarle luogo fra quelle gran-
di instituzioni che onorano le capitali. Così dall'oscu-
ro e precario principio, che quello stabilimento ebbe nel
1803, una indefessa perseveranza lo recò ad ottenere
nel 1808 lo stabil titolo di Gabinetto Reale delle Me-
daglie; e finalmente nel 1817, sotto il nome di Gabi-
netto Numismatico, gli ottenne splendida sede nel pa-
lazzo di Brera, accanto agli altri tesori delle lettere,
delle arti e delle scienze. Ivi più di 44 mila meda-
glie, che contrassegnano le vicende e la civiltà delle
antiche e moderne nazioni, stanno ordinate in una
sala a cui il Cattaneo, a simbolo e speranza di stabi-
lità metteva una imposta di granito lucido, con let-
tere di bronzo
Nelle attigue sale sono ordinati, a sussidio di que.
sti studj, dodicimila volumi d'antiquaria, d'istoria, di
letteratura, di belle arti, di viaggi, di costumi e di

Al di fuori è scritto: ARTIBUS ET HISTORIAE; al


di dentro: IIANTA KAAYIITEI KAI ANAKAAYIITEI
XPONOE; cioè: tutto copre e discopre il tempo.
VIII - CRITICA ALL’AS SOLUTISMO 303

lingue dotte o singolari. Ed è uno degli asili più cari


a chi coltiva studj non triviali, com’è uno dei santuari
del sapere che ogni culto straniero visita nel suo pas-
saggio fra noi. Ivi il Cattaneo, per poco meno di ven-
ticinque anni, ebbe ad esercitare quelle accoglienze
d’ospitalità letteraria dalle quali spesse volte lo straniero
desume il suo giudicio sugli uomini tutti e tutte le
cose d’una nazione. Tanto in questi giornalieri ritrovi,
quanto nei viaggi che il Cattaneo fece per compiere
la supelléttile delle medaglie, delle monete, e dei li-
bri rari, egli annodò vaste e cospicue conoscenze in
varie parti d’Europa, dov’era ancora più conosciuto che
in patria, e dove ebbe molte onorificenze, ch‘egli da
modesto e solido italiano non si curò di porre in evi-
denza.
Né il suo Museo fu l’unico pensiero della sua vita;
egli studiava anche le arti mecaniche, e tra le altre
cose inventò una bilancia per servire ai sottili calcoli
della partizione dei metalli. Ma sopratutto non dimen-
ticò mai quel primo suo amore per le arti; e lasciò
un’altra memoria di sé nella Istoria delle Belle Arti in
Lombardia e nei vicini territorj, il cui voluminoso
manoscritto con corredo di disegni, egli legò all’amico
suo Ignazio Fumagalli, secretario dell’Accademia di Mi-
lano, col carico di dar l’ultima mano alle parti non
compiute; e di publicarlo. I1 primo fondamento di que-
st’opera erasi tentato molt’anni addietro da Bianconi; vi
si aggiunsero poi le memorie raccolte da Pagave e da
Albuzzi; poi gli studj di Giuseppe Bossi su Leonardo
e la sua scuola. Ed è un monumento che ben si doveva
a quella parte d’Italia che produsse Luino, Marco d’Og-
giono, Gaudenzio, Caravaggio, i Campi, Daniel Cre-
spi, Andrea Appiani, e dove un solo principe aveva
il cuore di pensare il Duomo di Milano e la Cer-
tosa di Pavia.
I meriti del Cattaneo verso la nostra Academia
304 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

non sono pochi. Congiunto in fervorosa amicizia con


Bossi, seppe approfittare di tutte le circostanze per
acquistarle quanta più parte si poteva di quei tesori
d’arte, che l’abolizione d‘innumerevoli chiese e di tut-
ti i chiostri traeva dai più rimoti angoli d’Italia, e ab-
bandonava al commercio straniero. Non è poi facile
il dire in quanti indiretti modi egli promosse tutto ciò
che abbelliva e ingentiliva il paese, e ne disgrommava
la ruggine spagnola. Cattaneo, Bossi, Cagnola, Zanoja,
secondati da numerosi amici, formavano quasi una vo-
lontaria magistratura che ajutava e diffondeva tutto-
ciò ch‘era bello e grande; e sotto l’impulso della ze-
lante loro mano, il paese nostro fu rigenerato nel suo
gusto; e le nostre annuali esposizioni, dapprima meschi-
ne e inosservate, divennero per l’Italia un nuovo em-
porio, al quale l’artista rivolge le speranze di ricom-
pensa e d’amore. Prima ancora che Cagnola fosse chia-
mato a fondare il suo Arco, all’ingresso della strada
del Sempione, Cattaneo chiamato nel 1806 a ideare
un monumento che significasse quanto le arti dovesse-
ro al conquistatore dell’Egitto, gli propose un busto,
o veramente un’erma colossale di granito, che con
egizio stile ed ardimento egizio si elevasse in mezzo
al Foro, alla meravigliosa altezza di cento braccia (60
metri). Questo singolare e unico edificio doveva esse-
re costrutto di 53 strati di granito rosso, sopra un da-
do di granito grigio; e doveva salirsi con interna sca-
la di 303 gradini in 19 spire uniformi, fino ad una
loggia di 30 braccia (18 m), scavata nel granito, den-
tro il cerchio della Corona Ferrea, e capace di qua-
ranta persone. La cosa non fu spinta oltre il disegno,
il quale rimase presso I’Academia. Ma i Francesi do-
vranno fantasticare assai, prima di trovare un monu-
mento più nobile, più semplice, più cònsono a quel
grande straniero, per cui la Francia parve per molt’an-
ni più potente di tutta l’Europa.
VIII - CRITICA ALL'ASSOLUTISMO 305

Appena il Cattaneo ebbe collocato nel palazzo di


Brera il suo Museo, accanto all'Academia pel cui lu-
stro aveva tanto operato, prese a coltivare un altro
progetto, che doveva promuovere fra noi non solo l'ele-
ganza del vivere, ma la cultura delle scienze. Si vo-
leva fondare, sotto il nome d'Ateneo, nel vasto locale
del Giardino, accanto al Teatro, un ampio edificio,
aperto in suntuosi portici, nelle cui sale non solo il
commercio doveva avere la sua Borsa, e i ricchi un
piacevole convegno tra botteghe di merci eleganti e
di caffè, ma gli studiosi dovevano avere stanze di let-
tura e sale, ove si dessero liberi corsi di scienze, co- i
me il Giardino delle Piante e in altre magnifiche in-
stituzioni di Parigi e di Londra. Questa associazione
del lusso e del pensiero avrebbe assai giovato a sot-
trarre la gioventù agli ozj d'una orgogliosa nullità, e
ad aggiungere alla flacidezza delle lettere nella pa-
tria nostra quel vivo splendore scientifico, di cui pur
troppo rifulgono non poche minori città. E nel 1819
il Cattaneo fu deputato a farne dimanda al Regnante;
ma nei calamitosi tempi che seguirono, il bel pensie-
ro andò smarrito. Possa risurgere!
Una delle qualità più belle del Cattaneo era la sua
calda affezione per tutti i begli ingegni, e la sua fra-
terna amicizia per Appiani, per Canova, per Bossi, per
Carlo Porta, per Manzoni, per Grossi, per Torti e per
tutti gli amici degli amici suoi; e fu suo officio se
Goethe, prima di compiere la gloriosa sua vita, porse
la mano ad Alessandro Manzoni, e lo presentò alla
non veggente Europa. Con quello stesso ardore, col
quale aveva promosso il ritorno dell'arte all'antica sem-
plicità, secondava egli il ritorno delle lettere alla li-
bertà nativa. E faceva stupore a molti, come l'antiqua-
rio, pieno di memorie greche e romane, avesse quella
giovanile elasticità per dottrine che sembravano ri-
pudiare ogni legame coll'antico, e curarsi solo del fu-
306 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

turo, e quasi dimenticare che il bello è sempitemo, e


l’arte è una, e ad ogni secolo basta la gloria d’aggiun-
gere un anello alla sacra catena, che lega le intelli-
genze dei popoli.
Ormai settuagenario, Gaetano Cattaneo aveva an-
cora tutte le sembianze duna vivace e socievole viri-
lità, ed era ancora l’uomo amabile e affettuoso della
sua prima gioventù, leale, candido, costante, senz’ava-
rizia, senza raggiro. Rimase estinto per colpo impro-
viso la mattina del 10 settembre 1841. Il servo, che
poco stante gli aveva aperto le finestre, e come da
trent’anni era solito, lo aveva lasciato sedente nel suo
letto a cominciare con un libro alla mano un’altra
placida giornata, pochi momenti dopo, lo ritrovò asso-
pito nell’eterno sonno. La sua morte fu onorata di lo-
di e di pianto, come d’uomo che aveva sempre pensa-
to più al suo paese che a sé.

Giugno 1842

Pietro Custodi *
I1 barone Pietro Custodi, nato a Gallinate presso
Novara, verso l’anno 1771, in umile fortuna, ma se-
, gnalato fin dalla prima gioventù per ingegno e dottri-
na e zelo del commun bene, s’inaizò in breve, per le
singolari circostanze dei tempi, ad eccelsi officj; dai
quali si raccolse nel più bel vigore dell’età, per vivere
quasi trent’anni di vita campestre in seno agli studi
e alla domestica pace, nella sua villa di Galbiate pres-
so Lecco, ove chiuse gli onorati suoi giorni.
Dallo studio giovanile delle leggi egli era stato

O Pubblicato anonimo in POL., 1842, V, pp. 286-288.


306 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

turo, e quasi dimenticare che il bello è sempitemo, e


l’arte è una, e ad ogni secolo basta la gloria d’aggiun-
gere un anello alla sacra catena, che lega le intelli-
genze dei popoli.
Ormai settuagenario, Gaetano Cattaneo aveva an-
cora tutte le sembianze duna vivace e socievole viri-
lità, ed era ancora l’uomo amabile e affettuoso della
sua prima gioventù, leale, candido, costante, senz’ava-
rizia, senza raggiro. Rimase estinto per colpo impro-
viso la mattina del 10 settembre 1841. Il servo, che
poco stante gli aveva aperto le finestre, e come da
trent’anni era solito, lo aveva lasciato sedente nel suo
letto a cominciare con un libro alla mano un’altra
placida giornata, pochi momenti dopo, lo ritrovò asso-
pito nell’eterno sonno. La sua morte fu onorata di lo-
di e di pianto, come d’uomo che aveva sempre pensa-
to più al suo paese che a sé.

Giugno 1842

Pietro Custodi *
I1 barone Pietro Custodi, nato a Gallinate presso
Novara, verso l’anno 1771, in umile fortuna, ma se-
, gnalato fin dalla prima gioventù per ingegno e dottri-
na e zelo del commun bene, s’inaizò in breve, per le
singolari circostanze dei tempi, ad eccelsi officj; dai
quali si raccolse nel più bel vigore dell’età, per vivere
quasi trent’anni di vita campestre in seno agli studi
e alla domestica pace, nella sua villa di Galbiate pres-
so Lecco, ove chiuse gli onorati suoi giorni.
Dallo studio giovanile delle leggi egli era stato

O Pubblicato anonimo in POL., 1842, V, pp. 286-288.


VIII - CRITICA ALL'ASSOLUTISMO 307

successivamente assunto a secretario del Consiglio dei


Quaranta, ad esaminatore dei conti della antecedente
Amministrazione, a membro della Municipalità di Mi-
lano, a secretario del Consiglio dei Giuniori, dell'offi-
cio dei Censori, della Contabilità Nazionale, della Com-
missione Governativa, del Ministero di Giustizia, a ca.
po della divisione d'Economia Publica nel Ministerio
deli'Interno, a cancelliere del Tribunale contro i mal-
versatori del publico denaro, a secretario dell'Ammi-
nistrazione del Demanio, e poi delle Finanze, a con-
sigliere di Stato, elettore, cavaliere della Corona Fer-
rea e barone del Regno Itàlico.
In quella rapida rinovazione degli ordini ammini-
strativi, in quella continua successione di gravi magi-
strature e di straordinarie commissioni, egli aveva do-
vuto vedere sotto i più vari aspetti la cosa publica, e
temperare ad efficacia pratica le opinioni raccolte da-
gli studj suoi e dalla tradizione di quei sommi, che
lo avevano preceduto nel promuovere la floridezza di
questo paese. E fra tante fatiche egli poneva il suo
più dolce sollievo a coltivare appunto quella scienza
della civile economia, che meglio si chiamerebbe la
scienza della commune prosperità. E tesoreggiava d'ogni
parte le obliate scritture di quei benefattori dell'Ita-
lia, che avevano nelle precorse età fatto segno delle
loro meditazioni l'azienda civile; e aggiuntevi ac-
curate illustrazioni, dava alla luce quella memorabile
raccolta degli Economisti Italiani, che non sapremmo
se sia piuttosto un monumento della passata gloria o
un pegno di perenne prosperità.
Postosi nel fervore della gioventù alla redazione
dei giornali, in quei tempi quando i meno accorti fa-
cevano pretesto di licenza la libertà del pensiero, Cu-
stodi cercava rivolgere coll'esempio suo la corrente de-
gli scrittori verso i più sodi e durevoli interessi. Ed
era inoltre fra i primi a richiamar la prosa italiana da
308 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

quella strana incuria, alla quale molti scrittori, altra-


mente pregevoli, l'avevano abbandonata. E a tal fine
si faceva a publicare le cose inedite del Baretti, felice
ingegno a cui la ricerca, e direm pure, l'affettazione
del linguaggio non tolse la risolutezza e il calor dello
stile.
11 Custodi fu appassionato e generoso raccoglitore
di libri rari e di preziosi manoscritti, e pur troppo an-
che di pitture; e vi pose quasi per intero le modeste
sue fortune, gelosamente al nobil uopo riserbate dai
frugali e puri suoi costumi. E pago di tenersene l'uso
sua vita durante, ne faceva donazione alla Libreria
Ambrosiana. E giova ben credere ne raccogliesse tanta
soddisfazione, da compensare lo splendido sacrificio e
gli agi sottratti alla sua vecchiezza e alla compagna fe-
dele de' suoi giorni.
Nelsamena solitudine di Galbiate, sul pendio del
Montebaro, egli aveva compiuto l’lstoria di Milano del
suo amico Verri; aveva scritto le vite dei due illustri
uomini di Stato, Gerònimo Morone e Cico Simonetti;
aveva preparato una raccolta di vite di Celebri Ita-
liani con corredo di lettere e opere inédite, e radu-
nava alcuni Ricordi lstorici della circostante Brianza. I
quali suoi lavori giaciono quasi tutti in manoscritto, e
speriamo avranno un amorevole publicatore.
Fra la quiete della sua villa, alla quale aveva scrit-
to in fronte honesto et utili otio, aveva saputo farsi
benefattore dei vicini, consigliero di concordia, confor-
to del debole e del pòvero; e ne raccoglieva l'osse-
quio, e l'amore e le sollecitudini; e poté vedere nel-
l'universale ansietà di quella buona gente l'affettuoso
presagio del prossimo suo fine. La mattina del 14 mag-
gio il SUO cadavere giaceva accerchiato da una pie-
tosa folla che veniva a contemplare per l'ultima volta
le venerate sembianze. E di là si scrive che, « si ac-
cresceva il concorso anche dopo che avvolto nel drap-
VIII - CRITICA ALL'ASSOLUTISMO 309

po funereo il cadàvere si deponeva umilmente, secon-


do l'uso più commune, sopra una semplice tavola per
essere indi composto nella bara; e ben presto non ba-
stando più al desiderio e al dolore degli astanti quel-
la vista, si movevano con impeto d'affetto, a baciare
gli inanimati avanzi ». La sera della Pentecoste, con
accompagnamento spontaneo, gli abitanti lo recavano
ad una chiesuola campestre, e nel mattino seguente,
dopo aver compiuto le solennità del giorno, tornavano
con singolare concorso per recarlo alla chiesa parocchia-
le di Galbiate e quindi al sepolcro, facendosi prece-
dere dalle insegne della Pia Confraternità e dalla Ban-
da musicale dei terrieri di Lecco. La valle ove giace
il camposanto, e tutte le vicine alture, erano affolla-
te di parecchie migliaja di contadini, che in profondo
silenzio ascoltarono le parole di lode e di compianto
pronunciate sull'orlo della fossa da un amico dell'estin-
to E così le povere popolazioni dei nostri monti,
colla semplice loro ammirazione e colla sincera ricono-
scenza verso il buon vecchio che sapevano aver be- i
neficato il loro paese, dimostrarono altrui come si deb-
be onorare l'ingegno consacrato al commun bene, e la
incorrotta virtù.

1843

Proposta per un annuario della Lombardia *


I. - I1 consenso generale dell'Europa ha stabilito
che i congressi scientifici abbiano ogni anno una di-
versa sede, appunto per mettere rispettivamente in
luce ciò che nei diversi luoghi vi è di buono e d'imi-

Il sig. rag. Lodovico G . Crippa, scrittore distinto di


cose tecniche, V. Politecnico, vol. I.
* Pubblicato in S.P.E., sotto la data 1843, I, pp. 83-88.
VIII - CRITICA ALL'ASSOLUTISMO 309

po funereo il cadàvere si deponeva umilmente, secon-


do l'uso più commune, sopra una semplice tavola per
essere indi composto nella bara; e ben presto non ba-
stando più al desiderio e al dolore degli astanti quel-
la vista, si movevano con impeto d'affetto, a baciare
gli inanimati avanzi ». La sera della Pentecoste, con
accompagnamento spontaneo, gli abitanti lo recavano
ad una chiesuola campestre, e nel mattino seguente,
dopo aver compiuto le solennità del giorno, tornavano
con singolare concorso per recarlo alla chiesa parocchia-
le di Galbiate e quindi al sepolcro, facendosi prece-
dere dalle insegne della Pia Confraternità e dalla Ban-
da musicale dei terrieri di Lecco. La valle ove giace
il camposanto, e tutte le vicine alture, erano affolla-
te di parecchie migliaja di contadini, che in profondo
silenzio ascoltarono le parole di lode e di compianto
pronunciate sull'orlo della fossa da un amico dell'estin-
to E così le povere popolazioni dei nostri monti,
colla semplice loro ammirazione e colla sincera ricono-
scenza verso il buon vecchio che sapevano aver be- i
neficato il loro paese, dimostrarono altrui come si deb-
be onorare l'ingegno consacrato al commun bene, e la
incorrotta virtù.

1843

Proposta per un annuario della Lombardia *


I. - I1 consenso generale dell'Europa ha stabilito
che i congressi scientifici abbiano ogni anno una di-
versa sede, appunto per mettere rispettivamente in
luce ciò che nei diversi luoghi vi è di buono e d'imi-

Il sig. rag. Lodovico G . Crippa, scrittore distinto di


cose tecniche, V. Politecnico, vol. I.
* Pubblicato in S.P.E., sotto la data 1843, I, pp. 83-88.
310 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

tabile, ovvero di emendabile e mancante. Gli studiosi


del paese sono adunque tenuti per dovere e per ri-
putazione ad aver pronte le più precise e meno di-
sputabili risposte alle domande che con maggior pro-
babilità possono aspettarsi.
Per molti paesi si sono già raccolti, sotto diversi
titoli e in forma più o meno succinta, i principali dati
che possono tornar opportuni in una adunanza com-
posta in gran parte d’agricoltori, naturalisti e medici,
La stessa isola di Sardegna possiede un libro nel qua-
le sono registrate le latitudini, le longitudini, alcune
centinaie di altitudini, i principali fatti meteorici, le
regioni geologiche, la topografia vegetale, gli animali
distintivi del paese, la distribuzione delle acque, il
riparto delle superficie, l’ordine delle proprietà, i con-
tratti agrari e le altre consuetudini di publica e pri-
vata amministrazione, gli strumenti rurali, i prodotti
ricavati e ricavabili, il movimento delle popolazioni, le
nascite, le morti, le malattie dominanti, le industrie,
il commercio, l’istruzione ecc.
L’Istituto che presiede e rappresenta fra noi le di-
verse classi degli studiosi non potrebbe in siffatte di-
scussioni rimanersi in silenzio e lasciare che l’onore di
fornire le più precise e pronte risposte trapassasse ad
altri. Inoltre lo scopo dell’Istituto è non solo di promo-
vere fra noi la cultura scientifica generale, ma di pren-
dere particolarmente in considerazione queste provin-
cie, e soprattutto attendere alla loro topografia. E se
si pensa che al tempo della promulgazione del nostro
Regolamento organico la gran carta topografica e la
idrografia erano già con onore compiute, nessuno po-
trà intendere il nome di topografia se non nel più
letterale e ovvio suo senso di descrizione del paese.
Grandissima è la copia delle notizie qua e là spar-
se, e abbondano negli atti stessi dell’Istituto. E quan-
do si faccia previo riparto dei capitoli sotto cui ricapi-
VIII - CRITICA ALL’ASSOLUTISMO 311

tarle, vi si potrà facilmente far collaborare non solo i


vari membri dell’Istituto e i suoi corrispondenti, ma
molte altre persone, desiderose o di conciliarsi la stima
di questo Corpo o di contribuire ad un’opera di ma-
nifesta utilità e di comune onore, massime in così ca-
ra e solenne occasione.
A quest’ora si potrebbe già indicare un considere-
vole numero di questi collaboratori estranei. Conver-
rebbe inculcar loro di redigere le singole notizie nella
forma più succinta; e quando meno, costerà ben po-
ca fatica il ridurre ad estratto quelle che venissero
presentate sotto forma troppo diffusa, lasciando libero
allo scrittore di publicarle per intero nei giornali o in
altro qualsiasi modo.
Il Corpo potrebbe in questa occasione interessare
i singoli suoi membri a voler nel giro del corrente anno
scegliere a preferenza per le memorie da leggersi, o
per gli articoli da inserirsi nella Biblioteca Italiana
quegli argomenti che si riferissero ad alcuno dei sud-
detti capitoli: e nel tempo medesimo o l’intero scrit-
to o il suo estratto entrerebbe al prefisso suo posto
nella Raccolta delle notizie.
Per sua parte uno dei più distinti colleghi, il si-
gnor avvocato Soleri, per quanto si sa, avrebbe già
incamminata quella parte di lavoro che si riferisce ad
una delle speciali questioni scientifiche del Congresso,
cioè lo stato delle carceri, E si sa che l’I. R. Governo
e le Autorità giudiziarie gli hanno fatto generosa co-
pia dei dati officiali da lui desiderati.
Gettate le fondamenta d’una descrizione scientifi-
ca di queste provincie, sarebbero con ciò palesate an-
che le lacune che restano a riempirsi, le quali diver-
rebbero prediletto argomento ai successivi studi. E se
la raccolta fondamentale venisse publicata, le succes-
sive Memorie che su codesti argomenti s’inserissero
d‘anno in anno nella Biblioteca Italiana potrebbero
312 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

stralciarsi a comodo degli studiosi in appendice annua


o Annuario. Si potrebbe, a scanso di spese ulteriori,
sottomettere all'Autorità la proposta d'inserirle mano a
mano nell'Almanacco imperiale di Gotha, ove questa
partita viene ora trattata in modo meno corrisponden-
te ad un fine di publica utilità.
Questa ragionata descrizione del paese potrà rimo.
vere la necessità in cui tratto tratto si trova l'I. R. Go-
verno di dimandar notizie precise, che nei casi partico-
lari, derivando da diverse persone, non possono riescire
coerenti e ordinate.
I materiali per tal modo elaborati potrebbero of-
frirsi anche all'Amministrazione Civica, la quale, in-
caricata di poco dissimile officio con generosa elargi-
zione del Consiglio comunale, non potrebbe far me-
giio che accettare lo spontaneo sussidio di questo Cor-
po e invece d'una mera Guida della città, che del
resto già esiste, e che fatta anche meglio quanto si
voglia o si possa sarebbe sempre un libro poco adatto
e giovevole ad un'adunanza composta per la massima
parte di naturalisti, di medici e di agricoltori, si avreb-
be una rispettabile informazione sull'intera superficie
di paese, la cui possidenza, l'industria e il commercio
concorrono a costituire l'intrinseca grandezza di que-
sta capitale, che ha ben altro fondamento che il suo
prossimo circondario amministrativo.
Una RACCOLTA in cui si trovassero condensate
molte notizie scientifiche, amministrative, commerciali,
e anche istoriche, letterarie ecc. diverrebbe anche un li-
bro aggradito a gran numero di persone del paese, e
potrebbe trovare qualche esito anche fuori della Lom.
bardia; e in ogni modo dal lato librario non potrebbe
essere una merce sensibilmente passiva. Ciò posto, la
lodevol somma contribuita dal Consiglio comunale, de-
dotto ciò che sarebbe a spendersi in un Indirizzo o
Guida tascabile, potrebbe dare una qualche eleganza
VIII - CRITICA ALL'ASSOLUTISMO 313

a quest'opera, la quale sarebbe un documento utile e


onorevole al paese, al Governo e prima di tutto al
Corpo, che, approfittando della solenne occasione per
dare un nobile impulso agli studiosi, avrebbe colla sua
proposta e colla sua direzione compiuto uno dei pri-
mari fini della sua instituzione.
1
II. - Per ciò che riguarda le festività, che sogliono
celebrarsi in siffatte occasioni, sembra che la natura
della cosa escluda per sé gli spettacoli d'indole tea-
trale e altre cose affatto sconnesse dagli studi e dalla
publica utilità, poiché i dotti non devono adunarsi
solennemente per dare una lezione di frivolezza al
vulgo.
Si potrebbe approfittare della rara occasione per
fare una straordinaria ESPOSIZIONE D'INDUSTRIA,
facendovi concorrere, ove si voglia, anche la distri-
buzione dei premi, con anticipare d'alcuni mesi quel-
la del successivo anno 1845 o con posticipare quella
del corrente anno. Publicandone l'annunzio nel più
breve tempo possibile, converrebbe invitare a prender-
vi parte il massimo numero dei fabbricatori, e solle-
citare nei più opportuni modi anche quelli che per
qualsiasi motivo non volendo presentarsi a concorso di
premi, potessero però indursi a concorrere a una espo-
sizione straordinaria a lustro del paese. Sarebbe a
procurarsi anche la contemporanea distribuzione dei
premi d'industria della nuova Società d'incoraggiamen-
t o d'arti e mestieri.

III. - Rappresentata per tal modo la generale i n -


dustria, nello stesso tempo che ricorre l'annua festività
delle BELLE ARTI, rimarrebbe, a compiere questa
publica rassegna del nostro incivilimento, una solen-
nità dedicata specialmente all'AGRICOLTURA. Quin-
di, anticipando d'alcuni giorni il solito e triviale mer-
314 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

cato dei fiori, invitare con appositi premi ad una gran-


diosa esposizione di questi e d'altri naturali prodotti,
come si pratica con somma utilità in altre parti d'Eu-
ropa, ove si potrebbe prender modello. Si potrebbero
assegnare diversi premi ai presentatori di piante rare
o difficili a coltivarsi o di singolar bellezza, e a va-
rietà nuove di frutti, d'ortaggi, di grani, di foraggi,
o ad animali nobili per forza o per mole o per altre
proprietà. Con questa festività rimarrebbe fondata una
instituzione a perpetuare la quale si potrebbe nella stes-
sa occasione inaugurare una SOCIETÀ RURALE, la
quale potrebbe facilmente svilupparsi nel seno della
nuova Società d'incoraggiamento e potrebbe fornire
una parte dei premi. L'Istituto potrebbe concorrervi
dando questa speciale destinazione ai fondi d'alcuno
de' suoi premi biennali. Il Municipio potrebbe dar
qualche splendore d'apparato a questa prima esposi-
zione dedicandovi quei fondi che si sarebbero altri-
menti dedicati ad uno spettacolo teatrale.

IV. - Sarebbe a prendersi concerto coll'I. R. Acca-


demia per il più opportuno ordinamento almen prov-
visorio dei MONUMENTI di vari tempi che si tro-
vano giacenti soprattutto in questo palazzo di Brera.
Il concerto sarebbe necessario affinché l'ordinamento
combinasse le viste dell'antiquario e quelle dell'artista.
Le iscrizioni potrebbero incrostarsi anche lungo le pa-
reti d'alcuni corridoi come nell'atrio di Sant'Ambrogio.
Ben pochi monumenti richiederebbero la precauzione
d'un luogo chiuso da cancelli. Ad ogni modo si comin-
cerebbe a stabilir l'ordinamento e la stabile esposizio-
ne, lasciandosi al tempo l'incarico di dilatare la rac-
colta. Tutte quelle famiglie che conservano di siffatte
memorie sarebbero a pregarsi di contribuirvi, riserva-
ta loro la proprietà o al meno indicato il nome del
donatore, come si fece nel Camposanto di Pisa in oc-
VIII - CRITICA ALL'ASSOLUTISMO 315

casione di quel Congresso. A cura dei monumenti po-


trebbe deputarsi una Commissione mista deIl'Istituto
e dell'Accademia, la quale potrebbe aggregarsi soci
e corrispondenti anche nelle altre città vicine e inco-
raggiare con ciò i donatori o illustratori dei monumen-
ti o chi avesse largito denaro per la loro conservazio-
ne. Potrebbe intitolarsi SOCIETÀ CONSERVATRICE
DEI MONUMENTI, o Società Monumentaria, e sor-
veglierebbe soprattutto i ristauri

V. - L'inaugurazione del monumento d'un uomo


illustre, se si trattasse di nome antico, farebbe ripetere
che gli italiani vogliono vivere sulla gloria dei secoli
passati. Quel solo tra gli illustri moderni la cui glo-
ria potrebbe contrapporsi a quella di Galileo (Volta),
benché sedesse nella nostra Università e in questo Isti-
tuto, non è nativo di questa città. I1 più vicino di
tempo fra i nostri concittadini è Cavalieri, al quale
uno dei nostri distinti colleghi ha già reso tributo
d'una publica statua nella galleria. Ma, se si adottasse
l'idea della Raccolta di notizie, si potrebbe, senza par-
zialità verso l'una o l'altra delle scienze o verso l'uno
o l'altro dei nostri municipi, aver nel libro stesso l'oc-
casione di rammentare a tutti gli uomini illustri che
nacquero o abitarono fra noi.

Febbraio 1845

Della censura del commercio librario


nel regno Lombardo-Veneto *
[Capitolo soppresso d'un Rapporto sullo sviluppo ulte-
riore degli studi, letto all'Istituto delle Scienze di Milano
da Carlo Cattaneo in varie adunanze del febbraio, a nome

* Pubblicato in S.P.E., I, pp. 97-99.


VIII - CRITICA ALL'ASSOLUTISMO 315

casione di quel Congresso. A cura dei monumenti po-


trebbe deputarsi una Commissione mista deIl'Istituto
e dell'Accademia, la quale potrebbe aggregarsi soci
e corrispondenti anche nelle altre città vicine e inco-
raggiare con ciò i donatori o illustratori dei monumen-
ti o chi avesse largito denaro per la loro conservazio-
ne. Potrebbe intitolarsi SOCIETÀ CONSERVATRICE
DEI MONUMENTI, o Società Monumentaria, e sor-
veglierebbe soprattutto i ristauri

V. - L'inaugurazione del monumento d'un uomo


illustre, se si trattasse di nome antico, farebbe ripetere
che gli italiani vogliono vivere sulla gloria dei secoli
passati. Quel solo tra gli illustri moderni la cui glo-
ria potrebbe contrapporsi a quella di Galileo (Volta),
benché sedesse nella nostra Università e in questo Isti-
tuto, non è nativo di questa città. I1 più vicino di
tempo fra i nostri concittadini è Cavalieri, al quale
uno dei nostri distinti colleghi ha già reso tributo
d'una publica statua nella galleria. Ma, se si adottasse
l'idea della Raccolta di notizie, si potrebbe, senza par-
zialità verso l'una o l'altra delle scienze o verso l'uno
o l'altro dei nostri municipi, aver nel libro stesso l'oc-
casione di rammentare a tutti gli uomini illustri che
nacquero o abitarono fra noi.

Febbraio 1845

Della censura del commercio librario


nel regno Lombardo-Veneto *
[Capitolo soppresso d'un Rapporto sullo sviluppo ulte-
riore degli studi, letto all'Istituto delle Scienze di Milano
da Carlo Cattaneo in varie adunanze del febbraio, a nome

* Pubblicato in S.P.E., I, pp. 97-99.


316 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

d'una Commissione scelta il 13 gennaio, nella quale ave-


va a compagni Pompeo Litta, Gabrio Pirola, Francesco
Restelli e Francesco Rossi].

Quanto alla publicazione dei libri, l'esperienza di


qualche anno ha dimostrato che i favori concessi alla
proprietà letteraria non ebber tra noi alcun effetto, e
gli scrittori non ricavano frutto veruno dalle loro fa-
tiche. In luogo di risurgere, il commercio librario di
questo Regno è in sommo decadimento; poiché, come
risulta da prospetto statistico, dal 1840 in poi si diminuì
di due tersi, trovandosi i 1200 operai, che allora ali-
mentava, ridotti al cominciare di quest'anno a soli
400, e il lavoro di 150 torchi a soli 50 in circa.
Essendo poi nel breve intervallo del nuovo anno
divenute immensamente più favorevoli all'attività ti.
pografica le legislazioni di tutta la rimanente Italia,
sembra sovrastare a questo ramo d'industria una tota-
le ruina. Per apporvi qualche riparo non sarebbe però
necessario l'invocare dal sovrano una fondamentale in-
novazione delle antiche leggi della monarchia. Le leg-
gi fondamentali, dai tempi dell'augusta Maria Teresa
sino all'istituzione di questo Regno, furono dettate dal-
lo spirito filosofico e provvido del passato secolo. Noi ci
limiteremmo perciò a invocare che venissero in tutta
la loro pienezza conservate ed effettuate. In questo
voto ci hanno già preceduti i più illustri scrittori e
pensatori delle provincie germaniche della monarchia :
i Pyrker, i De Hannover, i Littrow, i Grillparzer, i
Zedlitz ed altri, come è noto all'autorità. Noi non do-
vremmo invocare cosa alcuna ch'essi per sé medesimi
e per l'onore della loro patria non abbiano pur di-
mandato.
Noi qui dovremmo dunque esprimere il semplice
. voto che le istruzioni emanate dall'imperatore Fran-
cesco I il 10 settembre 1810, e comprese nel piano
di censura publicato in Venezia il 31 dicembre 1815,
VIII - CRITICA ALL’ASSOLUTISMO 317

vengano conservate e rese reali, attive, efficaci, col


rimuovere tutte quelle appendici che derogassero sen-
sibilmente il loro spirito. Per assicurare vieppiù il loro
pratico vigore sarebbe a desiderarsi che l’officio cen-
sorio dipendesse veramente e unicamente dall’I. R. Go-
verno e dai delegati provinciali, e che l’appello risie-
desse presso la sovrana aulica rappresentanza in que-
sto Regno, dimodoché non si dovesse mai aver ricorso
a più lontano tribunale. Con ciò, salva la sola colla-
tesal censura vescovile, meramente e strettamente per
le cose dogmatiche, dovrebbe alleviarsi il commercio
librario dal vincolo della censura medica e della spe-
ciale approvazione dei magistrati amministrativi nelle
cose che toccano gli interessi locali. Pur troppo la
lunga e dolorosa prova che abbiamo corso in Italia
in trenta e più anni ha dimostrato, che il rigore non
raggiunge l’effetto sperato, ma provoca risentimenti ed
opinioni estreme; e che la temperanza delle opinioni
non può conseguirsi se non appunto per mezzo di
quella moderazione che dettava le istruzioni sovrane I
del 10 settembre 1810. Non siamo né più malvagi né -
più innocenti di tanti altri popoli, ai quali la facilità
concessa alle manifestazioni del pensiero non tolse il
rispetto alla religione, al costume, alla sovranità. Noi
siamo poi fra tutti i popoli della monarchia quello a
cui si richiederebbe la più generosa provvidenza, per-
ché fin dal principio del secolo abbiamo sempre tenuto
in Italia il primo grado della publica coltura; e vor-
remmo conservato e perpetuato questo vanto alla no-
stra patria e a chi la governa.

I
318 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

1845
Delle istituzioni militari
nel regno Lombardo-Veneto*
[Capitolo del Rapporto di Carlo Cattaneo all’Istituto
delle Scienze].
Ciò che concerne la facultà matematica non po-
trebbe dirsi compiuto, se oltrepassassimo in silenzio
una importantissima delle matematiche applicazioni,
l’arte militare; quella che presso molte genti è la
principale, e presso altre è l’unica parte della pu-
blica educazione.
Avevamo nel 1814 un Collegio del genio (a Mo-
dena); una Scola d’artiglieria (a Pavia); una Scola mi-
litare (a Pavia); una Scola equestre (a Lodi); e un
Istituto topografico (a Milano), il quale lasciò prova
della sua scientifica attività colla carta del Regno Lom-
bardo-Veneto in 42 fogli, con quella in pari scala de-
gli Stati estensi e parmensi, e con quella del Mare
Adriatico. Tutte queste istituzioni militari furono suc-
cessivamente abolite. Tolta del pari è la pratica istru-
zione che gli operai ricevevano nelle fabbriche darmi
e nelle fonderie. Mentre altri Stati finitimi, e soprat-
tutto la Prussia e la Sardegna, si vantano di fare ogni
opera per educare i popoli ai doveri militari e alla
difesa dello Stato, quasi nessuna cura vi si consacra
in questo Regno. I1 quale, nell’indifesa sua ricchezza,
sarebbe preda d’ogni assalto, se ad ogni minimo moto
non occorressero, con immenso dispendio, alla sua di-
fesa, i soldati d‘altre più lontane provincie. Qualora,
come avvenne cinquant’anni addietro (1796), Pavia
fosse chiamata un’altra volta a levarsi in pro della

* Pubblicato in S.P.E., I, pp, 99-103.


VIII - CRITICA ALL'ASSOLUTISMO 319

casa regnante, un'altra volta soggiacerebbe a tutti i


disastri d'uno zelo non agguerrito. Solo una centesima
parte della nostra popolazione è ascritta alla milizia,
educata all'ordine, alla disciplina, all'obbedienza. Gli
esercizi sono anche limitati al tempo del servizio, non
continuati come in Prussia e in altri Stati della no-
stra medesima monarchia, mediante l'istituzione di ri-
serva (landwehr), che li protraggono anche oltre gli
anni della gioventù. Essi poi nemmeno abbracciano
tutti i rami dell'arte militare. Mentre le provincie
austro-boeme hanno 29 reggimenti di cavalli e 22 di
fanti, e l'Ungheria ne ha 10 di cavalli e 13 di fanti,
il Lombardo-Veneto, con 8 reggimenti di fanteria, ne
ha uno solo di cavalleria.
Stanno nell'esercito imperiale i cavalli ai fanti co-
me uno a cinque o sei, e gli artiglieri come uno a
dodici.
Laonde i 50,000 soldati incirca, che si levano da
6,000,000 di sudditi italiani (compreso il Tirolo e il
litorale illirico) dovrebbero contare, in un equo riparto
d'insegnamento militare, più di 8000 cavalli e 4000
cannonieri. Ora l'istruzione dell'artiglieria terrestre ci
manca affatto, come quella di tutte le armi speciali,
eccetto la marina. Ben è ragione che alle provincie
montuose e povere del Tirolo e della Croazia si as-
segni quel modo di milizia ch'è il men dispendioso.
Ma è pur ragione che alle provincie italiane, come le
più doviziose dell'impero, si assegni a preferenza un
più largo servizio della cavalleria e delle armi speciali,
appunto perchè più costose. Ora sin qui è avvenuto
il contrario. Gli italiani, colle maggiori loro contribu-
zioni, mantengono i cavalli agli altri sudditi del loro
sovrano, e militano a piedi.
I1 prezioso materiale di guerra del Regno d'Italia,
ch'era costato a questi popoli più di cento milioni,
passò in dote ad altre provincie dell'impero.
1

320 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

Essendo per tal modo discesa ad un basso grado


la milizia nostra, è naturale che le famiglie illustri
non siano allettate ad arrolarsi. Pertanto l'istruzione
militare, imperfetta nel popolo, è nulla affatto nei
signori. Epperò, mentre nella rimanente Europa la gio-
ventù facoltosa si raccoglie armata intorno al trono
dei suoi principi, ella si vede presso di noi dispersa
negli ozi d'una vita inutile e ingloriosa. È questa
adunque la parte di publica educazione che vuol
essere più fervidamente raccomandata al sovrano con-
siglio.
Avvedutosi di questa lacuna chi regge i nostri de-
stini, volle istituita una guardia del corpo, appunto
perché « rimanesse aperta, sotto forme più favorevoli,
alla gioventù del Regno Lombardo-Veneto, dietro pre-
via istruzione scientifica, una militare carriera ». Così
si esprime la sovrana patente 19 agosto 1840. Ma
questa istituzione, limitata alle sole famiglie nobili e
a soli 60 giovani, in una popolazione complessiva di
circa 6,000,000, constatò bensì il bisogno, ma non vi
provvide adeguatamente. Siccome poi all'istruzione
scientifica militare si aggiunse il gratuito mantenimento
degli allievi, le famiglie più facoltose non reputarono
onorevole il collocare i loro figli a carico delle pro-
vincie che a tal uopo vennero grauate di particolare
imposta. I1 beneficio trapassò dunque in breve tempo
alla parte più povera della nobiltà; e rimase incurata
quella che abbiamo detto massima piaga dello stato,
l'ozio della più ricca gioventù.
Le stesse famiglie nobili e povere non ebbero poi
quel vantaggio che ne speravano; poiché i loro figli,
anziché prepararsi con militare frugalità a ristorare a
maturo tempo le domestiche angustie, si trovarono av-
volti in tutte le splendidezze d'una gran corte, e in
tutte le seduzioni d'una gran città, per ricadere, dopo
, un breve sogno di vita signorile, nell'austerità d'un
VIII - CRITICA ALL'ASSOLUTISMO 32 1

reggimento o negli stenti d'una famiglia. Hanno i 60


giovani in quel collegio, veramente principesco, oltre
a una ventina d'ufficiali e direttori e molti maestri,
u n centinaio quasi di palafrenieri, cocchieri, camerieri
ed altri servi.
Perloché, senza che l'istruzione loro possa dirsi ve-
ramente compiuta, mancando essa affatto di quegli
altri studi che preparano i grandi uomini di guerra,
vengono a costare allo Stato 9000 lire all'anno per
ciascuno allievo, ossia in complesso lire 540,000.
Intorno a ciò osserveremo che le ottanta donzelle
che si allevano in questo real collegio di San Filippo,
e che appartengono a un di presso al medesimo or-
dine di famiglie, costano allo Stato sole lire 15,600,
ossia meno di due soli allievi della guardia; e ciò
quantunque 24 di esse abbiano gratuito servizio ed
alimento. Il collegio delle 60 guardie costa precisa-
mente il doppio della grande università di Pavia, che
in dotazione e stipendi costa solo lire 285,000. E se
si pon mente al numero degli studenti dell'università,
si vede che il Regno Lombardo-Veneto, ad allevare
nel collegio di Vienna un mediocre ufficiale reggimen-
tario, spende quanto ad ammaestrare in Pavia 40 me-
dici o ingegneri.
Senza inoltrarci in premature particolarità, noi ci
limitiamo a invocare rispettosamente su questi fatti la
superiore considerazione.
Aggiungiamo solo, che quell'immensa somma po-
trebbe dividersi in due parti. L'una potrebbe bastare
all'istruzione, non di soli 60, ma di TUTTI gli ufficiali
del Regno, in una o due scuole politecniche, qualora
si lasciasse alle famiglie la cura del mantenimento.
L'altra basterebbe a dotare, e tutte le da noi proposte
scuole di perfezionamento scientifico, e tutti i ginnasi
agrari e industriali da aggiungersi alle scuole elemen-
tari maggiori d'ogni provincia. E una porzione ancora

21. . CATTANEO. Scritti politici. III.


322 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

resterebbe, con cui soccorrere l’istruzione rurale ove


è più derelitta, nonché quella dei sordo-muti, dei ciechi
e dei giovani prigionieri.

1846

Prefazione al Volume II di « Alcuni scritti » *


Anche li scritti istòrici di questo volume, come i
letterarii del precedente, non sono orditi sopra un li-
bero disegno, ma seguirono mano mano le occasioni
che offeriva il propòsito preso di riassumere e venti-
lare le dottrine altrùi. Tuttavia, pur nel tenore che
hanno di sèmplici estratti, non làsciano di delineare
nel loro complesso certe opinioni che provènnero da
particolari studii; d’alcuna delle quali giova far cenno,
nel desiderio di rinvenir poi loro spazio e tempo a
men disagiata esposizione.

Quando Vico divisò che nelle selve stesse di Gre-


cia e d’Italia e d’ogni altra terra qualunque scaturìs-
sero improvvise e isolate le lingue e le leggi e le
città, per uniforme conato dell’umana natura e per
secrezione spontanea delli educàbili patrizii dal mezzo
delli ineducàbili plebèi, non aveva presente a’ solitarii
studii suoi quella parentela che poi si chiarì sin da
quelle origini manifestìssima tra quei nostri padri e
certe nazioni dell’Oriente. Al contrario, i più delli
scrittori riputàrono venute le genti occidentali con
tarde migrazioni dall’Asia, uscite, non si sa come, im-
mèmori e bàrbare da quelle antichissime, e stabilis-
sime civiltà. Ma in vero chi vede frequentate da tempo
inassegnabile anco le ispide regioni polari, ha duro

* Prefazione al volume Il di A.S., ripubblicata in O.E.I.,


III, pp. 3-23 e in S.C.E.I., I, pp. 157-160.
322 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

resterebbe, con cui soccorrere l’istruzione rurale ove


è più derelitta, nonché quella dei sordo-muti, dei ciechi
e dei giovani prigionieri.

1846

Prefazione al Volume II di « Alcuni scritti » *


Anche li scritti istòrici di questo volume, come i
letterarii del precedente, non sono orditi sopra un li-
bero disegno, ma seguirono mano mano le occasioni
che offeriva il propòsito preso di riassumere e venti-
lare le dottrine altrùi. Tuttavia, pur nel tenore che
hanno di sèmplici estratti, non làsciano di delineare
nel loro complesso certe opinioni che provènnero da
particolari studii; d’alcuna delle quali giova far cenno,
nel desiderio di rinvenir poi loro spazio e tempo a
men disagiata esposizione.

Quando Vico divisò che nelle selve stesse di Gre-


cia e d’Italia e d’ogni altra terra qualunque scaturìs-
sero improvvise e isolate le lingue e le leggi e le
città, per uniforme conato dell’umana natura e per
secrezione spontanea delli educàbili patrizii dal mezzo
delli ineducàbili plebèi, non aveva presente a’ solitarii
studii suoi quella parentela che poi si chiarì sin da
quelle origini manifestìssima tra quei nostri padri e
certe nazioni dell’Oriente. Al contrario, i più delli
scrittori riputàrono venute le genti occidentali con
tarde migrazioni dall’Asia, uscite, non si sa come, im-
mèmori e bàrbare da quelle antichissime, e stabilis-
sime civiltà. Ma in vero chi vede frequentate da tempo
inassegnabile anco le ispide regioni polari, ha duro

* Prefazione al volume Il di A.S., ripubblicata in O.E.I.,


III, pp. 3-23 e in S.C.E.I., I, pp. 157-160.
VIII - CRITICA ALL’ASSOLUTISMO 323

il figurarsi affatto silenziosa e vuota l’Italia quando


l’Asia aveva già sacerdozii e imperii e monumenti. Né
più agevole è l’imaginarsi d‘onde quelle grandi nazioni
che fin dai primordii delle singole istorie si vèdono
tener vastamente l’Europa e millantarsi nate dalla ter-
ra stessa, traèssero e siffatte loro memorie e certe in-
delèbili proprietà che le distinsero sempre dalle genti
asiàtiche. - Per verità, come a lungo si discorse nel
primo volume intorno alle lingue indo-europèe, il ri-
pètere ogni principio di civiltà sia solo dalli aborigeni,
sia solo dalli alienìgeni, ripugna ugualmente al corso
universale e perpetuo dell’istoria, al quale è d’uopo
commisurare e temperare ogni savia dottrina.
Ben altra è I’imàgine che una cauta induzione può
abbozzare di quelle remote età, fra la cui caligine si
pòsero le prime radici delle moderne nazioni. Se con-
sideriamo le cose presenti come una continuazione del-
le passate per effetto della costante natura del gè-
nere umano, possiamo figurarci la prisca Europa gia-
cere bensì per più sècoli accanto alla madre asiatica
nelle medèsime condizioni in che poscia vediamo in
paragone alla madre europèa l’una o l’altra Amèrica,
o la Siberia o l’Oceania; ma però non affatto senza
popoli; e per avventura non senza qualche albòre qua
e là di proprio e nativo dirozzamento, a quel modo
appunto che amàrono supporre Vico e Steliini. Poiché
infine ciò ch‘era avvenuto tanto prima in Asia, non
poteva essere onninamente interdetto all’umana natura
fra noi.
Chi riguardi il mappamondo non vedrà l’Europa
maggiore di superficie che l’una o l’altra delle sum-
mentovate regioni tuttora deserte. Ciò che in questi
tre sècoli operàrono in quelle terre i nostri navigatori.
è ciò che fècero tra noi, molti sècoli prima, i ventu-
rieri dell’Asia. Li Egizii, i Fenici, i Siri, i Cadi, i Lidi,
i Frigi, èrano allora lungo il Mediterraneo ciò che
324 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

poi fùrono lungo l'Oceano le colonie di Portogallo, di


Spagna, d'Inghilterra. E siccome al tempo stesso che
i navigatori nostri si annidàvano lungo le spiaggie del-
l'India, le parti interiori di quel continente soggiacè-
vano a più vaste espansioni terrestri di Persiani, Af-
gani, Mogolli, Manciuri, pare che poco altrimenti av-
venisse nell'Europa antica. Oltre alle colonie litorali
venute dall'Egitto, dalla Siria, dall'Asia Minore, si dif-
fusero più profondamente nelle terre, pel varco del-
l'Ellesponto e del Bòsforo e per le valli del Danubio
e del Reno fino alle isole cèltiche e scandinave, le
influenze d'altri popoli più interni, e principalmente
di quelli che già fiorivano a mezzodì del Caspio, e
che si pòssono significare sotto il collettivo nome di
Indopersi.
Le colonie maritìme, condutte principalmente da
popoli semiti, furono le più civili. Provenivano da città
e porti, e fondàvano città e porti; ponèvamno monu-
menti, varii secondo i pòpoli e i tempi, ma impron-
tati sempre d'una primèva semplicità, a grandi pietre
appena tocche dal ferro, e non peranco legate con
cementi. Le loro pietre e le argille si rinvèngono piut-
tosto nelle isole e sui monticelli delle maremme e
sui rialti delle lagune che non addentro pel conti-
nente; e sui monti di Volterra e d'Eugubio tanto più
eccelsi quanto più interni. Si direbbe che quei navi-
gatori non volèssero esporsi a soverchio contatto della
vasta barbarie, e amassero le sedi loro in mezzo alle
onde, o circonvallate di paludi e di rupi e di mura,
che un nemico senz'arte non poteva superare. Quei
brevi recinti di città, quei templi turriformi, con pa-
reti ora verticali, ora rastremate a cono, sègnano quasi
il portulario di quelle primitive navigazioni e il circo-
scritto raggio della loro terrestre influenza, nell'Argò-
lide, nell'Etruria, in Gozo, in Sicilia, in Sardegna, nel-
le Baleari, e persino nell'Islanda e nell'isole Scetlàn-
VIII- - CRITICA ALL’ASSOLUTISMO 325
diche. E quivi la legenda vulgare, più savia dei savii,
persèvera nell’attribuire quelle moli a uòmini venuti
per mare dall’aùstro e dall’oriente, adoratori del fuoco
e del sole.
Le migrazioni terrestri furono naturalmente meno
civili. Appena lasciàrono sul loro passo tumuli sepol-
crali, e fossati di bàrbari attendamenti. Ma vènnero
involgendo le sconnesse tribù aborìgene con quelle
grandi colleganze sacerdotali e cavalleresche, che ve-
diamo presso i Celti, i Germani, li Slavi e i Letti.
Ed è forza attribuir loro l’intima simiglianza che con-
giunge le lingue di tutte queste genti e dei Latini e
dei Greci alle sacre favelle dei magi e dei bramini.
È per tal modo che certi nomi di pòpoli appàiono in
diverse terre, quello dei Pelasgi in Tracia, in Grecia,
in Italia; quello dei Vèneti su L’Eusino, su l’Adriatico
e su l’Atlàntico; quello dei Cimmerii e Cimbri sul
Bòsfòro e su l’Elba; quello dei Goti due volte nella
Tàuride, due volte su la Vìstola.
Ma non è a credere che lì invasori spegnèssero
affatto le genti aborìgene; al che non sarebbe bastata
ferocia di bàrbari né arte di civili. Per intendère ciò
che furono in quei secoli e in Europa le famiglie in-
doperse, vediamo ciò che ora sono in America li Spa-
gnoli; poiché nella continuità della natura umana l’isto-
ria deve dar luce all’istoria. L a lingua spagnola si
trova sparsa dall’uno all’altro ocèano. Ma nel Mèssico
le stirpi aborìgene, li illustri Aztechi, i Zapotechi, i
Taraschi prevàlgono di numero alle famiglie crèole,
e in molti luoghi si conservano quasi intatti dall’uni-
formità castiliana, come isole giacenti in diffusa la-
guna ’. La communanza dei costumi e della loquela

Vedi l’articolo sul progetto di Gaetano Moro per un


canale navigabile attraverso all’Istmo Messicano. Rivista
Europea, 1845.
326 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

cresce e crescerà col tempo, quand'anche il sangue


spagnolo venga meno, e possa anche in un vasto in-
cremento di popolazione smarrirsi di vista. E già nel-
la vicina Haiti i crèoli sono estinti, e l'antica miscela
va cancellandosi anche nelli uòmini di colore; ma la
stirpe africana dei nuovi abitanti non ha più tradi-
zioni che non siano provenute da francesi o spagnoli.
Troppo spesso il nome dei dominatori si confuse
con quello delle genti da loro angariate. Troppo spesso
li scrittori credèttero diradicate immense popolazioni,
ove appena si moveva spedito sciame di venturieri.
Così vediamo i Galli errare con vita pastorale fra
l'una e l'altra città delli Umbri e delli Etruschi. Ve-
diamo più tardi i Goti aver dominio dal Bàltico al
Mar Nero, poi fugire innanzi alli Unni, stringersi in
poco esèrcito, offrirsi mercenarii all'imperatore; e li
scrittori si meravigliano di trovar poco di poi in quel-
le stesse lande la progenie delli Slavi e dei Lituani,
piovuta quasi dal cielo. Ma i Goti dovèvano aver prima
emunti i pastori sàrmati, come poi emùnsero li agri-
cultori della Dacia, dell'Italia, delle Gallie e della
Spagna. E per due mila anni almeno avèvano le in-
terne e secrete regioni del nostro continente soggia-
ciuto a quell'assidua bufera di conquiste senza monu-
menti, in cui le tribù meno inculte perdèvano le loro
memorie e si mescèvano coi rudi aborigeni. E se ad
onta di ciò alcune antiche favelle, come quella dei
Càntabri, sopravissero scevre d'innesto asiatico, e quel-
le dei Gaeli e dei Cambri ne ritènnero ben lievi tracce,
le originarie differenze di molte altre si offuscarono
assài; e alcune finalmente si ridussero a fioche varietà
di dialetto, che il tempo e il commercio e la cultura
vanno sempre più cancellando.
Come nei moderni tempi così anche nelli antichi
e oscuri un medèsimo nome non dinotò sempre un
medèsimo popolo. A cagion d'esempio, la presente na-
VIII - CRITICA ALL’ASSOLUTISMIO 327

zione britànnica risultò, a saputa nostra, dalla succes-


siva aggrègazione nelle stesse isole, prima di Gaeli e
Cambri: poi di Romani, e d’ogni altra gente libera
e serva del loro imperio in occidente e in oriente: poi
di Sàssoni e Dani, e delli schiavi da loro predati in
varie terre: poi di coloro che vènnero di nuovo con
nome di Normanni bensì, ma colla favella e col si-
gnoril costume del continente romano: poi di tutte
quelle famiglie che la speranza del commercio o i
casi dell’esilio condussero in quella terra di sicurtà.
L’agglomerazione e perfetta ancora, poiché sui
nonèd’ambo
lembi occidentali am o le isole britanniche le reli-
gioni d’alcune delle stirpi primigenie stanno ritrose e
ferme nelle avite tradizioni. Solo nella pianura e nelle
colonie trasmarine le diverse discendenze si unifòr-
mano e si confòndono, come detriti di rocce trame-
scolati dalle aque. Vista quella finale unità, lo scrit-
tore ignaro e intento ai nomi scrive che li Inglesi, cioè
i posteri delli Angli e dei Sàssoni venuti dal Bàltico,
tèngono oggidì tutta l’America settentrionale. E così
per indicare ciò che in quelle colonie pervenne vera-
mente dalla Germania e dalla Danimarca, dimèntica
quella parte immensamente maggiore che appartiene
alla primitiva popolazione delle isole e d’altre parti
del continente.
Questo errore mille volte ripetuto travisa e falsa
tutta I’istoria. Poiché, siccome non è vero che Pensil-
vani e Canàdesi siano incommista posterità dei corsari
anglòsàssoni, così se si risale il corso del tempo, non
è vero che al tempo d’Alarico tutti li abitanti del-
l’imperio fòssero Romani; non è vero che in più re-
mote età i Celti o i Traci o li Elleni fòssero un’asso-
luta migrazione indopersa, o che i Germani e li Scan-
dinavi fòssero per sangue e per costume stirpi idèn-
tiche, al punto che le poesie di questi rappresentassero
in tutto e per tutto lo stato sociale di quelli. Come la
328 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

nazione inglese provenne da un incontro di elementi


nazionali ch'ebbe luogo nelle Isole Britànniche in tem-
pi istòrici e palesi, così quei pòpoli più antichi risul-
tàrono in tempi proistorici e oscuri, da altre combi-
nazioni dei medèsimi e d'altri elementi, in altre pro-
porzioni, in altre congiunture di dominio e di servitù.
Da ciò viene a chiarirsi perché le nazioni europèe,
per quanto si vogliano aver avuto lingue e costumi
dall'Asia, pure in terra d'Europa appàiano sempre di-
verse che nella più antica patria. E se in ciascuna
di quelle grandi aggregazioni appare un commune
elemento indoperso, ciò non toglie che in ciascuna
non siano rimase molte parti di ben altre origini. Le
molte mirabili consonanze, a cagion d'esempio, della
lingua greca colla gòtica non tòlgono una molteplice
diversità e di sustanza radicale e di forma sonora,
non tolgono che le due genti non siàno state quanto
più si può dissimili d'indole e d'ingegno, che fu aper-
tìssimo nei Greci, chiuso e sterile nei Goti. Ma li
indagatori, attenti pur troppo a notar solo ciò ch'è
simile e commune, ommìsero affatto di appurare ciò
che ciascuna combinazione nazionale serbò di distinto
e nativo; e rendendo ragione delle corrispondenze col
principio delle immigrazioni, obiiàrono il principio del-
l’indigenità, che solo poteva chiarire le differenze.
Tre dunque almeno sono le grandi origini delle
istorie nostre: 1." le colonie marìtime, sopratutto di
popoli semiti e loro vicini, indicate in modo partico-
lare dai monumenti; 2.° le migrazioni terrestri, so-
pratutto di tribù indoperse, indicate in modo partico-
lare dalla commune affinità di tutte le grandi lingue
europèe; 3.° le popolazioni primitive, i bàrbari di Vico,
rammentati e nel perenne isolamento d'alcune lingue,
dei Baschi per esempio, dei Caucasei, dei Samoiedi,
e nelle indelèbili particolarità che si discèrnono an-
che nelle lingue più simili e nei più vicini dialetti,
VIII - CRITICA ALL'ASSOLUTISMO 329

questo studio dei dialetti fatto con laboriosa fedeltà,


potrebbe disseppellire gran parte delle radici sulle
quali frondeggiàrono un tempo le diverse lingue dei
popoli primitivi.
Se ad ogni passo non si rivolgono le cose sotto
questo triplice aspetto, i testi e i monumenti diven-
gono, quanto più copiosi, tanto più inestricàbili.
Nell'accennare alle tradizioni religiose e civili del-
le genti straniere li antichi scrittori si appresero prin-
cipalmente a quelli aspetti pei quali simigliàvano alle
cose della patria loro, e non curarono o non intesero
le altre facce del vero. Dissero Giove il precipuo nome
d'ogni gente; dissero Marte il dio che aveva più rife-
renza alle armi; e così raffigurarono Erculi e Saturni
e Mercurii per ogni paese. Talora vòllero veramente
coll'eguaglianza del vocàbolo significare l'identità delle
cose; ma tal altra intesero solo a una vaga similitu-
dine; e fecèro come poi per ossequio di rima faceva
Dante :
O sommo Giove
Che fusti in terra per noi crocifisso.

Né certamente quei moderni scrittori da cui Siva


fu detto il Bacco indiano e Crisna l'indiano Apollo,
suppòsero tale e tanta l'equivalenza di quei nomi,
che oggidì nell'India potesse chiamarsi Siva il vino
o Apollo il sole. Ma di queste incàute assimilazioni
sono pieni i libri antichi; e chi per entrò v'indagò le
origini delle nazioni, non sospettando in quale infìdo
linguaggio stessero avvolte, fece informe viluppo di
ogni più diversa cosa. Quando adunque si rimòvano
le molte simiglianze vere, che scaturiscono giusta la
dottrina di Vico da uniforme natura del genere uma-
no: e quelle altre pur vere, che le communi influenze
asiatiche diffusero: e quelle altre ancora, vane e po-
330 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

sticce, che provènnero da licenza delli scrittori: ciò


che rimane presso ogni pòpolo, può arguirsi cosa sua
propria e nativa. Tolta, a cagion d'esempio, la le-
genda di Giove e d'Apollo, commune all'Italia e alla
Grecia e ad altre regioni, rèstano quelle imàgini par-
ticolarmente greche o particolarmente italiche dei Ci-
clopi, dei Centauri, d'Aio Locuzio, d'Egeria, di Po-
mona. Il complesso di siffatte residue tradizioni offre
presso ogni pòpolo un senso predominante, ora astro-
nòmico, ora agrario, ora morale, ora altrimenti; il quale,
quando siasi ben chiarito, dà lume a indurre quale
di siffatti sensi potèssero avere presso quel popolo an-
che quelle altre idealità che li scrittori con inconsi-
derate traduzioni di nomi offuscàrono.

Queste proprietà indigene d'ogni gente si vèdono


anche in certe perpetue consuetudini. Sempre si visse
in Arabia per tribù; sempre in India per caste; non
mai per caste né tribù nella China; sempre in Italia
più che in Asia regnò l'unità del nodo nuziale, e la
libera dignità delle matrone; al che si conformarono
mano mano quelle genti che qui migrando recàvano
di Palestina o d'altra parte d'oriente, consacrata dal-
l'esempio dei loro patriarchi, un'altra forma della fa-
miglia. Su questi patti fondamentali delle società uma-
ne ben poca forza ha il tempo, immensa forza la
tradizione.
Né sìffatte disparità sono solo fra remote genti,
ma distinguono per tenace eredità le singole nazioni
d'Europa, ove sarebbe omài prezzo dell'òpera l'andarle
notando e descrivendo. Mentre nella mente d'un ro-
mano un enorme intervallo divideva la milizia dalla
servitù, il destino istòrico delle genti germàniche, dal
tempo dei federati goti e franchi fino a quello dei
lanzi svizzeri e assiani, anzi fino a noi, si può simbo-
leggiare nella voce servizio applicato alle armi (dienst).
VIII - CRITICA ALL'ASSOLUTISMO 331

I1 settentrione europèo, tanto oggidì quanto nei più


remoti tempi, onorò sempre nelle discendenze più il
nobil sangue che la legìtima nàscita; e la domèstica
istòria del patriziato britannico ne fa prova vivente.
Sempre nel settentrione il patrizio amò tener sede cam-
pestre in mezzo ad ampia terra e numerosi vassalli;
sempre in Italia preferse aver sede vicina ad altri
suoi pari in commune recinto di città. Onde, dopo il
mille, quando li Italiani riebbero armi e volontà, la
prima cura loro si fu quella di correre il contado, ap-
pellando per forza entro le mura le famiglie dei ca-
pitani carolini, disperse per uniformità transalpina nel-
le castella rusticali. Né quei signori si piegarono tosto
a convivere nelle città, perché le campagne d'Italia
non fossero impaludate e imboschite quanto era d'uopo
per condurvi rumorose cacce, come indusse Guizot.1
Poiché ancora nel sècolo XII il contado fra Milano e
Pavìa era tanto selvaggio che I'èsercito di Federico
poté camminarvi tre giorni per luoghi deserti. Né que-
sto vivere appartato dei settentrionali venne colla feu-
dalità del medio evo, ma era antico quanto la pre-
senza delluomo in quelle terre; e si riscontra anche
nei clani dei Celti e in altri ordini sociali affatto im-
muni dalla condizionata investitura dei feudi. La pri-
sca convivenza municipale dei patrizii in Italia risurse
naturalmente col risùrgere della diradata popolazione.
Essa era consuetudine originaria, stabilita forse colle
prime colonie maritime, poiché, pure in Italia, non si
vede nelle genti sabelle e sarde e in altre antichissime.
La lingua italiana e la latina non hanno vocabolo che
corrisponda al manoir dei Francesi, al manor, al seat
e alla hall delli Inglesi, alla hof dei Tedeschi, alla
dornizza degli Slavi, Ancora oggidì la possidenza bri-
tannica disdegna abitare le città provinciali, e in Lon-

1 Cours d'histoire moderne; lecon X.


332 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

dra medèsima celebra solo un momentaneo convegno.


I municipii in Italia e in Grecia sembrano nati coi
pòpoli; in Germania, in Polonia, in Livonia sono pro-
pàgini straniere, che dalle colonie romane del Reno
e del Danubio lente s’inòltrano, collegandosi fra loro
in anse, quasi presidii di nemica conquista, e serbàn-
dosi divise per consuetudini, e anche per lingua, e
dai servi della gleba e dai loro padroni.
L’effetto morale e mentale di quel vivere signoril-
mente agreste fu grande. Solo quando il settentrione
venne penetrato dall’italico istituto dei municipii, e le
signorìe presero forma giurata e feudale, e pure per
influenza dell’italico pontificato si legàrono in grandi
regni coll’uso commune del latino, si vide colà, dopo
due mila anni d’inerzia, qualche primordio di ragion
civile, di studii, .d’architettura. Se il patriziato etrusco
e romano ebbe cultura cittadina, e fu secondo i tempi
il più sapiente òrdine della nazione, al contrario i
signori longobardi e austrasii vissero in fastosa bar-
barie, deputando l’arte stessa di scrivere a preti e
notài. E questa fu la principal differenza fra l’evo an-
tico e il medio: la dettatura delle leggi trasferita dai
più studiosi ai più ignori. E il medio evo ebbe varia
durata presso le singole nazioni, perché codesto domi-
nio dell’ignoranza armata non poté aver fine dapertutto
nel medesimo tempo.
La famiglia feudale, sola nel mezzo delle sue cam-
pagne, delle sue cacce, de’ suoi servi, che non potè-
vano farle paragone d’altra grandezza, aveva aspetto
rusticamente regale. Ma non poteva recar seco quel.
I’isolamento maestoso nelle vie della città, ove incon-
trava ad ogni piè sospinto altri grandi, e le stava a
fronte la ricchezza mòbile, l’autorità del senno e del-
l’eloquenza, l’oposizione tribunizia, la sagacia d’una
moltitudine o indipendente o in clientela altrùi. Onde,
se i municipii d‘Italia e poscia i principi assoluti in
VIII - CRITICA ALL'ASSOLUTISMO 333

tutta Europa chiamàrono i patrizii al soggiorno delle


città, cade l'opinione di Vico ove riputò che per legge
distoria universale le città fòssero un'istituzione pa-
trizia contro le plebi. Che anzi fùrono forse un'impor-
tazione straniera nel mezzodì come più tardi furono
nel settentrione. E infatti la prisca Europa non ebbe
città grande che fosse cento miglia lungi dal Medi-
terraneo.

Istoricamente non consta che alcuna nazione sia


surta da principio tutto suo. Vico suppose questa ori-
ginalità in Grecia e in Roma; poi fece dell'istoria dei
due pòpoli, tanto vicini di paese e di favella e di
.
religione, un modello generale delle infinite genti del-
la terra. Ma nei suoi tempi non era nata la linguistica,
che in quei vocàboli, ch'egli credé improvisati tra le
nostre selve, riconobbe l'eco d'una favella asiàtica e
il documento d'una civiltà dativa. Non era nata la
simbòlica, che in Giano, in Bacco, in Apollo raffigurò,
benché distorte quasi da specchio curvilineo, le deità
dell'oriente. Non era nata l'istoria delle arti, che con-
templando le ruine dell'Etruria, dell'Egitto, dell'Asia
Minore, dell'Assiria, della Persia, argomentò dalla serie
delle forme l'età dei costruttori. Solo ai nostri giorni
si scòrse con irrefragabile evidenza che li innesti del-
l'arbore sanscrito si stèsero veramente da Battro a
Tule; da Battro onde quella civiltà si mosse coi bra-
mini, a Tule, all'isole estreme dell'occidente, ove le
consonanze linguistiche recate dai peregrini terrestri
nella Cambria, nella Caledonia e nell'Islanda, s'incòn-
trano colle Iàpidi rùniche e colle torri edificate dai
peregrini maritimi.
Le ingerenze straniere fùrono adunque necessario
sussidio alle incipienti civiltà indigene. Né ben s'appose
chi riputò avervi potuto sopperire le proprie forze
della ragione presso ogni pòpolo isolatamente; né ben
334 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

s'appose chiunque collocò nel solo pensiero tutte le


cause del pensiero; e le istorie confermano l'opinione
di Romagnosi che una medèsima fiamma di civiltà,
accesa per conflitto d'ignoti eventi in Asia, fu recata
poi da gente a gente. E si apprese loro con diversa
intensità, secondoché le attitudini naturali e li avvia.
menti dei loro padri le avèvano predisposte. Molte
stirpi perirono barbare, senza aver fatto esperienza di
quel sacro foco; e ancora oggidì vediamo perire ver-
gini d'ogni civiltà le tribù aborigene dell'America set-
tentrionale, posti a troppo aspro contatto colli Europèi,
i quali più non hanno e più non curano l'arte divina
d'insinuare fra le barbare consuetudini l'innesto d'una
progressiva cultura.

Anche presso una medesima gente le medesime


istituzioni non fanno in diversi tempi la stessa prova,
né appòrtano li stessi frutti. I1 diritto civile, che fu
aborrito primamente dai popoli renani come un'intol-
lerabil giogo, e fu il più efficace incentivo all'insurre-
zione d'Arminio, divenne al nostro tempo una prero-
gativa loro e un vanto di supenor civiltà, in paragone
alle provincie del Bàltico, ingombre ancora dalle con-
suetudini avite dei Sàssoni e delli Slavi. I Musulmani
arsero la libreria d'Alessandria, e poco stante apersero
cinquanta librerie nella Spagna. I Musulmani, dopo
aver annunciato l'eguaglianza di tutti i credenti, ne
condussero in India numerose turbe nella condizione
colà ignota di schiavi. Per egual modo li Europèi,
professando una fede che dice fratelli tutti li uomini,
inondàrono di servi le glebe della patria nel medio
evo, inondàrono di schiavi le piantagioni d'America
nell'evo moderno. Le nazioni non movono dunque per
sistemi interi, dedutti, continui; le loro consuetudini
sono frammenti di disparata origine, piuttosto accoz-
zati che ordinati.
VIII - CRITICA ALL’ASSOLUTISMO 335

Nella China e in altre parti dell’Asia li òrdini ci-


vili, essendo scaturiti abantico dal conflitto di potenze
indigene, sortirono più profonda corrispondenza colla
natura dei pòpoli, ed ebbero nelli animi più diuturna
radice. Fra noi le dottrine, le lingue, le istituzioni,
essendo venute a poco a poco e quasi per frammenti
da lontane terre, si combinàrono fra loro variamente,
e presero forma anche dai principii che rinvennero già
svolti con varia maturanza nelle genti primitive. Po-
trèbbero dirsi gettate in erràtica e fortuita giacitura
tra noi quelle medesime istituzioni che colà si posa-
rono in profondi strati. Da ciò deriva quel fatto che
Guizot riconobbe, ma non s’accinse a spiegare: la
multiforme indole del nostro incivilimento. E ne de-
riva pure quel completo dominio delle instituzioni orien-
tali su le menti e le volontà, che Cousin attribuì al
senso dell’infinito, mentre per verità l’effetto suo f u
di prefinire tutti i passi della vita e del pensiero, e
imprìmere nelle moltitudini il sigillo d’una servile uni-
formità, Altri avrebbe imaginato che più prossima al
senso del libero e dell’infinito fosse l’individuale in-
telligenza e la spontanea moralità. E allora quella stra-
niera e malcomposta natura delle origini sarebbe forse
la profonda vena da cui scaturì perenne la libertà e
varietà delle istorie nostre.

Se con troppo violento e fattizio principio Vico


attribuì a sùbita invasione di terrore e di pietà i pri-
mordii dell’incivilimento aborìgene, Stellini suppose un
principio troppo indeterminato e uniforme nel naturale
sviluppo delle famiglie selvagge, da lui descritto con
suavità di poesia pastorale 1. Si vedono bensì le fa-
miglie in siffatta condizione nelle isole dell’Oceania e

De orlu et progressu morum.


336 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

nelle terre polari e altrove; ma i figli selvaggi ripe-


tono senza progresso la vita selvaggia dei padri; la
posterità non sa sciògliersi dalle tradizioni del passato.
Ora, il progresso è appunto il mutarsi della tradizione.
Li arbori primitivi non danno, senza innesto e per
mera forza di tempo, altre frondi e altre frutta che
non comporti la loro radice. Il primo motivo alla
trasformazione progressiva d'una società, ossia d'una
tradizione, è il fortuito contatto d'un'altra tradizione
e d'un'altra società. Messe in commercio per qualsiasi
modo le due opinioni tendono a riassumersi in qual-
che compatibile forma, e pèrdono entrambe la nativa
semplicità del concetto. Il Cabailo, tratto nel con-
sorzio musulmano, non diviene al tutto àrabo; ma la
sua supellèttile mentale non è più così povera come
nel Nùmida suo progenitore.
Appenaché una tribù, sovrapponèndosi ad una col-
luvie di servi o di credenti o di gregarii soldati, si
trasse fuori dalle antiche necessità, le sue tradizioni
si turbano, poiché tradizione è vivere e pensare come
li avi. I nuovi modi, stabiliti una volta nelle famiglie,
fanno àbito e regola; e non soggiàciono a nuovo caso
di mutazione se non quando nuove circostanze li espòn-
gano a contatto d'altro principio. E se il conubio e la
milizia non confòndono le due stirpi in una, le con-
dizioni della loro convivenza vengono dettate dalli in.
teressi del dominio, non per giudizio d'imparziale e
geometrica equità, ma per voto parziale, unilàtere, ini-
quo. Che se avesse prevalso la casta inferiore, sarèbbero
le condizioni riescite inique nel senso opposto. L'officio
che ha dunque la ragione nelle transazioni istòriche è
servile alli interessi di parte, non è puro, non è conse-
guente. I giudizii dell'intelletto nell'umano consorzio
prèndono forma dal vario proposito della volontà; sono
come diceva Romagnosi, giudicii misti d'affezione. Nella
perpetua giostra delle cupidigie nazionali quelli che nel-
VIII - CRITICA ALL'ASSOLUTISMO 337

i'offèndere o nel difèndersi vèngono a prevalere, si


tròvano inanzi una serie di quesiti, che la ragione deve
risòlvere, non sopra i suoi modelli astratti, ma nel senso
concreto della passione; la quale deve perciò riguar-
darsi come la vera fonte delle conclusioni alle quali il
venale e adulatorio ragionamento perviene. L'istoria è
dunque figlia delle istorie; primaché i fatti vengano dai
pensieri, i pensieri vengono dai fatti; i fatti li ispìrano
alla ragione improvisamente scossa dal sonno tradizio-
nale. La ragione invariabile non può essere la suprema
causa delle variazioni. La ragione sta all'istoria come
la scienza dei nùmeri sta al commercio.
Quando una stirpe può giovarsi delle fatiche, delle
dovizie, delle forze d'un'altra, si esime dalle necessità
quotidiane e dalle sollecitudini più vulgari, e prende
pensieri e modi dal nuovo stato. Ma quel suo vivere
risulta sempre consentaneo alle primitive disposizioni e
all'istradamento trasmèssole da' suoi padri. Quindi nes-
suna uniformità tra pòpolo e pòpolo pur tra simili cir-
costanze. I1 Romano in Grecia apprende il sapere dei
Greci; il Turco in Grecia nulla apprende; il Longobardo
fatto àrbitro dell'Italia consuma in facinorosa inerzia
due sècoli di fortuna, Talora la presenza d'un princi-
pio straniero determina un'inclinazione delle cose con-
traria a quella che vorrebbe promòvere. Anche sotto
il règime bizantino la Grecia era inerme, impoverita,
avvilita, poco meno che sotto la conquista ottomana;
eppure poté giacer così per mille anni, senza conce-
pire alcun pensiero di libertà. Ma quando a tanta
miseria si fu aggiunto il cruccio d'obedire ai nemici
della propria fede, si accese quel lento foco che tra-
mandato di padre in figlio vedemmo divampare ai no-
stri giorni con sì vittoriosa efficacia.

Molti giudicarono eterna e una la natura della con-


quista e del feudo. Ma se vi sono caste che hanno
338 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

i l monopolio dell'armi1; se vi sono conquistatori che


minacciano la morte a quello tra i vinti che impugna
una spada o inforca un palafreno, altri ve n'ebbe che
anzi si fècero maestri di guerra; e ai nostri dì nessuna
cosa dei Francesi spiacque tanto alle moltitudini in
Italia quanto quella scola ch'essi imposero loro d'una
venturosa milizia. Nei timari della frontiera ottomana,
che sono veri beneficii militari, il godimento della
terra non apporta alcun intimo legame colli uòmini
che la coltivano, i quali rimangono cosa del sultano.
E parimenti nell'India britànnica nessuno divenne mai
uomo d'uomo inglese. Il vero fèudo carolino assegnò
nella vinta Germania ad ogni signore la sua parte
di terra e d'uòmini, con un certo modo d'obedienza
e di fedeltà. La sommissione dei servi alle signorìe,
innestata sopra la devozione antichissima di quelle
genti ai loro prìncipi sacerdoti, e riconfermata dal
tempo e dall'autorità della chiesa, divenne principio
di coscienza. Ma l'ossequio di tutti i signori ad un
commune sovrano e la condizionale forma del loro
possesso èrano cose nuove oltre Reno. Nuovo era il
principio feudale, nulla terra sine domino; il quale
non aveva potuto nàscere fra le tribù della prisca
Germania, nemiche fra loro e divise da innocupate
solitudini; ma era nato nella vera patria del fèudo
beneficiario, cioè sulla frontiera cisrenana, e nella fede
dell'eminente e universale dominio dei Cèsari che con
astratta comprensione abbracciava tutta la terra. Fin
dai tempi di Probo, cinquecento anni prima di Carlo-
magno, si concèssero in beneficio ereditario, condizio-
nato ad ereditaria milizia, le terre ov'èrano stabilmente
acquartierati i mercenarii della frontiera; e sin d'allora
vennero coltivate da servi ascritti alla gleba. Vera

Ferrari, Essai sur le principe, p. II, c. III.


VIII - CRITICA ALL'ASSOLUTISMO 339
dunque già un diritto feudale tra i soldati; e forse il
giuramento della milizia romana fu la remota fonte,
da cui nella decadenza provenne l'omaggio reso ai
conduttieri delle masnade federate. Queste istituzioni,
allignando nel vasto ordine dell'imperio, non turbarono
dunque il diritto civile delli attigui municipii, né im-
pedirono che dopo Costantino il clero acquistasse su-
premazia civile. Onde due secoli prima dell'invasione
merovingia si vedono già nati sulla sinistra del Reno
tutti quei principii dell'era feudale che altri ascrive
alle tarde immigrazioni dei bàrbari e all'opposta riva
del fiume. La conquista carolina, diretta dal clero, tra-
sportò poscia quei germi dall'angusto vivaio dell'Au-
strasia alla Germania e all'alta Italia; i venturieri fran-
cesi li recàrono in Inghilterra, in Sicilia, in Acaia, in
Palestina, in Portogallo; i cavalieri teutonici in Prussia
e Livonia; e il più giòvine rampollo fu posto per mano
delli Aragonesi in Sardegna, quasi mille anni dopo
l'invasione dei bàrbari.
Se così varie sono le forme della conquista e del
fèudo, varii parimente sono li altri modi in cui l'in-
telligenza va combinando le antiche tradizioni e i nuo-
vi interessi. Le singole serie di queste transazioni co-
stituiscono le particolari istorie dei pòpoli. Alcune si
svolsero precoci in tempi remotissimi, poi furono com-
presse da subita immobilità; alcune si svolsero tardi,
ma con potenza tanto maggiore; alcune più per forza
dei pòpoli e per virtù d'istituzioni indigene; alcune più
per effetto di principii ed esempli stranieri; alcune non
superano il confine della vita selvaggia; ma tutte del
pari illustrano la scienza dell'uomo.
Benché dunque Hegel abbia giudicate estra-istòri-
che molte nazioni, e Leo ponga fuori dell'istoria per-
sino i Chinesi, noi crediamo degno argomento d’istoria
ogni modo d'èssere dell'umana natura nei pòpoli, e
anche quelle cagioni qualunquesiano che prodùssero la
340 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

loro immobilità. È ben vero che alcune genti riverbera-


rono passivamente le idèe delle altre, come se non aves-
sero avuto propria mente e volontà; ma pure, dopo
lunga era d'assorbimento infecondo, pòssono finalmente
un giorno, quasi avèssero adempiuto le preparazioni
d'una lenta maturità, mèttere un proprio frutto. Tà-
cito non avrebbe mai previsto una Germania tutta
gremita d'officine e di scôle; né Cesare avrebbe imagi-
nato nella fangosa marèa del Tamigi il ponte subaqueo
e le darsene piene di tesori dell'India. Le càuse di
quella tardità inanzi, e di quella grandezza poi, non
sono a cercarsi nell'astratta intelligenza, la quale certo
vigeva in quei pòpoli tanto allora quanto poscia; né
sono parimenti tutte a cercarsi in avventizie istitu-
zioni straniere; ma molte procedono da particolar in-
dole dei pòpoli. I quali, anche quando vivono incon-
sci di sé, e ignoti alle altre genti, e disdegnati dalli
scrittori delle istorie universali, pòssono ben celare
qualche natural potenza, serbata a risplèndere nel fu-
turo. Già prima del secolo XIV, e quando le tribù
elvètiche pascèvano li armenti dei prelati e baroni del-
l'imperio, era in essi quella intrepidezza che si palesò
gloriosamente a Morgarten e a Morat. Chi avesse nel
medio evo giudicato estra-istòrici i Bàtavi e i Frisi,
avrebbe negato quelle càuse che preparavano sin d'al-
lora la lega delle Sette Provincie. Le spedizioni dei
popoli celti in Iberia, in Britannia, in Boemia, in Italia,
in Grecia, in Galizia manifestano già quel genio ven-
turoso che corse più volte li stessi campi di conqui-
sta con Carlomagno e con Guglielmo il Conquistatore,
con Tancredi d'Altavilla e con Pier l'Eremita, con
Giangiacopo Trivulzio e con Napoleone. E spesse volte
un principio che dormiva nel seno d'una lontana e
, ignota nazione, si propagò con luminoso effetto presso
le altre. Nessun Romano avrebbe potuto presagire che
il sacro libro delli Israeliti, sì poco da lui pregiato,
VIII - CRITICA ALL'ASSOLUTISMO 34 1

dovesse in breve tempo acquistare più popolare auto-


rità, che quanti mai libri s'èrano scritti in occidente
e oriente.

Non sembra parimenti ben fondata quella dottrina


che deduce lo stato morale delle genti piuttosto dal
paese in cui si stabiliscono che non dall'addentellato
delle trasmissioni avite o delle successive importazioni,
Se così fosse, lo sviluppo civile d'ogni gente sarebbe
tanto antico quanto la sua dimora nel paese. Ovunque
sono porti naturali e agèvoli tragitti, come in Irlanda,
in Danimarca, in Sardegna, nelle Antille, nella Cali-
fornia, neli'oceania, li uòmini sarebbero divenuti na-
vigatori famosi sin dalle prime età del mondo. Non
sarebbe stato necessario che la civiltà romana perisse,
e che la crudeltà delli Unni movesse i Vèneti a pen.
sare quanto sicura e quanto magnifica stanza poteva
edificarsi sui solitarii dorsi della laguna. L'alpigiano
svizzero non avrebbe tardato fino ai tempi di Dante
a riscattarsi alfìne dalla servitù della gleba e dell'ar-
mento. Se fosse vero che la libertà vive al monte e
l'obedienza al piano, tutte le alpestri catene che at-
travèrsano il globo, sarebbero nidi di repùbliche; e
viceversa le pianure dell'antica Inghilterra, e della nuo-
va, sarebbero regni assoluti. Se fosse vero che la va-
stità di non interrotte lande debba inspirare l'idèa del-
l'infinito, le tribù dell'Orenoco, stupidissime e quasi
atee, avrebbero avuto in sorte la manifestazione del-
l’unità di Cousin prima delle caste sacerdotali del-
l'Asia; e in tutte le regioni ove dirupi e golfi frasta-
gliano i continenti sarebbero venuti a fecondo con-
flitto l'uno, il mùltiplo e il rapporto. Il pòpolo bri-
tànnico per milliaia d'anni non s'avvide che dali'ìsola
sua fosse tanto facile tener l'imperio dei mari; e lasciò
giacere inoperoso nelle sue miniere un immenso te-
soro di forze industriali, sinché la serie delle vicissi.
342 CATTANEO - S C R I T T I POLITICI - III

tudini istòriche non ebbe maturato una condizione di


cose,in cui non solo li ingegni fòssero stimolati a fare
le scoperte, ma la nazione ad accoglierle con efficace
alacrità. Il corso delle istorie adunque anziché pren-
dere immantinenti forma dalle qualità naturali dei pae-
si, come volle Herder, procede affatto inversamente
alla sua dottrina; l’unificazione della cultura dei pò-
poli colle attitudini delle terre da loro abitate e l’ul-
timo stadio dell’istoria e la meta gloriosa d’ogni pro-
gressiva civiltà. È mestieri che un’assidua mutazione
solleciti lo sviluppo dell’intelligenza, perché non s’adagi
per via, né s’addormenti sull’eredità delli antichi. Ben-
ché le naturali difficoltà pòssano pertinacemente repri-
mere li sforzi delli uòmini, solo un maturo incivili-
mento può rivelare tutte le opportunità delle terre, dei
mari e dei climi, e consigliare la più convenevol forma
d’agricoltura, d’industria, di commercio, e il miglior
modo di rendere operosa e adorna la vita.

Non v’ha pòpolo veruno il quale, per qualsiasi ec-


cellenza di natura, abbia sortito la facoltà di perve-
nire per solo interno sviluppo ad alta cultura; né vi-
ceversa popolo veruno il quale possa dirsi veramente
inetto a fornire fatti alla scienza; né popolo veruno
l’istoria del quale sia predeterminata dalle qualità ma.
teriali del suo paese, benché queste possano opporre
all’incivilimento difficoltà negative; né parimenti alcun
pòpolo che non abbia qualche cosa di proprio e d’in-
digeno, sia per indole primitiva, sia per avita educa-
zione, e non ne dia segno in qualche ereditaria parti-
colarità della sua favella; né finalmente alcuno il quale
sia giunto a dominare li stranieri elementi che si ac-
cozzàrono nella sua civiltà, sino al punto di legarli
in sistema perfetto e chiuso.
Le combinazioni istòriche che provengono dall’in-
contro delle avventizie influenze e delle native tradi-
VIII - CRITICA ALL’ASSOLUTISMO 343

zioni fòrmano altretante serie diverse quanti sono i


popoli; e devono tutte fornire alla scienza qualche
loro special conclusione. La prima serie fu additata
da Vico nella graduale emancipazione della plebe ro-
mana; ma non rappresenta il principio istòrico di tutte
quelle altre genti presso cui fu perpetuata la servati-
chezza; né di quelle in cui le caste rèsero immutàbile
una certa forma di civiltà; né di quelle che incapaci
d’uscire per sé dalla barbarie ricevèttero dalle altre
nazioni un tardo istradamento; né di quelle che fècero
contrario cammino, ma perirono per avverse sorti, non
per interna corruzione. Quando su l’immortale esempio
di Vico, discopritore della nuova scienza, i minori
ingegni avranno dato opera a dicifrare le altre parti-
colari forme delle istorie dei pòpoli progressivi, e delli
stanziali e dei retrògradi, allora, nel riassunto delle
conclusioni, avremo frutto esperimentale e verace di
una scienza, alla quale non si può pervenire per la
via delle arbitrarie preconcezioni e del metafico ro-
manzo. Ma l’immensa fatica d’interrogare tutte le isto.
rie e ridurle alla loro più astratta espressione richiede
perseveranza e varietà di studii, affinché nessun aspetto
del sublime argomento rimanga per predilezioni scien-
tifiche inosservato.
Vògliano li studiosi accogliere con indulgenza quel
poco che quasi senza proposito, e per forza d’occa-
sione viene accennato intorno alli Spagnoli, ai Celti,
ai Valachi e alle migrazioni delli Indopersi nel primo
di questi volumi, intorno ai pòpoli principali dell’an-
tichità, alli Indiani, alli Anglosassoni, alli Inglesi, alli
Irlandesi, ai Francesi, alli Angloamericani, ai Sardi, alli
Ungari nel secondo volume; intorno ad altre parti di
queste materie nel terzo, e finalmente in due scritti
istòrici che non fanno parte di questa raccolta. E sono
le Ricerche su le interdizioni imposte dalla legge ci-
vile alli Istraeliti, publicate omai da dieci anni; e il
344 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - 111
I

sunto dell'istoria civile dell'Italia transpadana, premes-


so al primo volume delle Notizie naturali e civili su
la Lombardia Ivi si tentò mostrare come un pòpolo
primitivo, nell'assidua reazione delle genti civili e del-
le bàrbare trasformando successivamente i suoi pen-
sieri e le sue instituzioni, pervenga a valersi dei fa-
vori della sua terra e del suo cielo, per costruire una
speciale e propria varietà d'incivilimento. A siffatti
compendii sono da ridursi le istorie delle sìngole genti,
per rinvenire poi la formula e quasi la chiave delle
particolari loro instituzioni.
Molti saranno che giustamente preoccupati dalla
necessità d'attendere a ùtili ricerche, avranno siffatte
digressioni per uno sterile vaniloquio. Diremo loro che
lo studio dell'istoria, ossia del passato dei pòpoli, è lo
studio di quelle disposizioni e preparazioni su le quali
deve innestarsi il futuro. Quindi in siffatte indagini deve
cercar lume chi desidera avviate a miglior vivere le
nazioni. Vi sono in ciascuna d'esse certi modi aviti
e propni di buon costume o di licenza, d'onore o
d'abiezione, d'ossequio o d'alterigia, di dissidio o d'una-
nimità; vi sono certi modi d'istituir la famiglia, di
partire le eredità, di patteggiare le fatiche del pòvero,
d'allettare le sovvenzioni del ricco, di dare l'arbitrio
della terra o alle mani che possono essere operose, o
a quelle che per antica necessità debbono serbarsi
ignave. V'è chi spera tutto dalle scale; v'è chi con-
fida più nei commercii e nelle strade; e un'intera tribù
d'istorici addita nelle religioni il nodo unico di tutte
le differenze. Eppure addottrinato nello stesso alfa-
I
beto, trascinato dalla stessa locomotiva, genuflesso ai
!
mèdesimo altare, il Fiamingo solerte non è l'imperito
Polacco, l'Irlandese senz'arti non è l'ingegnoso Toscano,
il gàrrulo Francese non è il Corso taciturno. Vana è
la querela che l'uniforme civiltà copra tutti d'un me-
desimo colore; questa è simiglianza della veste, non
VIII - CRITICA ALL’ASSOLUTISMO 34s
della persona; ognuno di quelli uomini vive più nei
pensieri de’ suoi padri che in quelli del suo sècolo.
Eppure tutti sono capaci di ricevere un felice innesto
che svolga in loro quei modi d’èssere che i loro padri
non èbbero. Non misero perenne radice nell’austera
Roma le arti della Grecia? E viceversa i’ideale delle
genti greche non s’incadaverì egli nelle mummie del-
l’arte bizantina? l Marso e l’Appulo non obliarono
forse li ancili e il nome e la toga? Certo non è im-
possibile che un giorno si rinvenga un òrdine di pen-
samenti e d’instituzioni il quale risolva i vincoli delle
caste indiane, stretti ancora oggidì come tremila anni
addietro; il quale senza violenza spenga i roghi delle
vedove, e renda immobile il carro omicida di Jagger-
nat; il quale rinvenga un tal patto di possidenza e
d’agricultura che in Irlanda, in Sardegna, in India non
condanni a eterno squàllore una terra naturalmente
alma e feconda. E pur troppo non v’è pòpolo che
per lontano legato de’ suoi padri non abbia qualche
suo rogo e qualche suo carro, qualche suo sospetto
contro il vero, e qualche suo rancore contro il giusto,
e qualche suo secreto di dappocàggine e debolezza,
il quale opèra sul suo destino assai più che lo spirito
del sècolo in cui vive.

27 Maggio 1847

Allocuzione alla distribuzione dei premj


della Società d’incoraggiamento
d’arti e mestieri *
Quando alcuno chiamato a dire inanzi a eletta e
magnifica adunanza corre e ricorre con mente irre-

* Pubblicato negli « Atti della Società », 1847, pp. 3-11.


VIII - CRITICA ALL’ASSOLUTISMO 34s
della persona; ognuno di quelli uomini vive più nei
pensieri de’ suoi padri che in quelli del suo sècolo.
Eppure tutti sono capaci di ricevere un felice innesto
che svolga in loro quei modi d’èssere che i loro padri
non èbbero. Non misero perenne radice nell’austera
Roma le arti della Grecia? E viceversa i’ideale delle
genti greche non s’incadaverì egli nelle mummie del-
l’arte bizantina? l Marso e l’Appulo non obliarono
forse li ancili e il nome e la toga? Certo non è im-
possibile che un giorno si rinvenga un òrdine di pen-
samenti e d’instituzioni il quale risolva i vincoli delle
caste indiane, stretti ancora oggidì come tremila anni
addietro; il quale senza violenza spenga i roghi delle
vedove, e renda immobile il carro omicida di Jagger-
nat; il quale rinvenga un tal patto di possidenza e
d’agricultura che in Irlanda, in Sardegna, in India non
condanni a eterno squàllore una terra naturalmente
alma e feconda. E pur troppo non v’è pòpolo che
per lontano legato de’ suoi padri non abbia qualche
suo rogo e qualche suo carro, qualche suo sospetto
contro il vero, e qualche suo rancore contro il giusto,
e qualche suo secreto di dappocàggine e debolezza,
il quale opèra sul suo destino assai più che lo spirito
del sècolo in cui vive.

27 Maggio 1847

Allocuzione alla distribuzione dei premj


della Società d’incoraggiamento
d’arti e mestieri *
Quando alcuno chiamato a dire inanzi a eletta e
magnifica adunanza corre e ricorre con mente irre-

* Pubblicato negli « Atti della Società », 1847, pp. 3-11.


346 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

quieta tutta la stesa de' suoi pensieri, appena in tutta


l'amenità delle lettere, in tutta l'altezza delle scienze,
a prima giunta gli pare potersi raccoglier cosa che sia
ben degna, e faccia pienamente pago il suo desi-
derio, Qual animo avrà dunque in siffatta congiuntura
chi non ha seco splendore di letterario o scientifico
subjetto, ma cose disadorne, tenui radici di utilità spe-
rate, alle quali la scienza volge solo oltrepassando un
riverbero della sua luce, alle quali le lettere appena
potrebbero trovar veste di non barbara parola?
Ciò che qui avvi d'elevato e d'intellettivo, la fisica,
la chimica, la geometria, è tutto di ragione altrui;
ciò che a me pertiene di esporvi intorno alle cose no-
stre, è solo di circoscritte applicazioni intorno alle
terre, intorno alla tessitura della seta, intorno alla pre-
parazione dei formaggi e alla cultura delli orti. Ma
voi, splendidi Protettori e Promotori di questa nostra
instituzione, nel farvi testimonj e partecipi d'una fe-
stività dedicata ad umili menti, ben lo sapevate. Né
vorrete adunque appormi a colpa la povertà del mio
discorso, che fu ordinato al semplice tenore dell'officio
mio, non all'intento di fare a voi signorile e fastosa
onoranza.

Comincerò pertanto dal dirvi che nelli Atti nostri


si registrerà una seconda serie d'analisi di terre, rac-
colte nel corso dell'anno per cura quasi tutte del be-
nemerito geologo Giulio Curioni. Per le concimazioni
minerali, andiamo esplorando ad un tempo le miscele
sterili che ingombrano la morta brughiera, e li ingre-
dienti emendatori di cui la natura non assentì ad ogni
luogo lo spontaneo dono. E sono già. cinque le buone
mame che abbiamo analizzate nelle Provincie di Ber-
gamo, di Brescia e di Como, a sussidio di quei va-
lenti agricultori. Per la muratura, vi rechiamo un'altra
ventina di calci, alcune delle quali sono da aggiun-
VIII - CRITICA ALL'ASSOLUTISMO 347

gere al novero delle idrauliche. Del buon successo ci


fa già sicuri la prova del Laboratorio Chimico; e in-
torno alla prova più grande e palese da farsi all'aperto
contatto dell'aria e dell'acqua, abbiamo solo in questi
ultimi mesi potuto avere i mattoni refrattarj, dei quali
edificare l'apposita fornace. Ora è compiuta; e vi si
apre nuovo giro di ricerche più prossime a fruttuosa
esperienza.
Intanto a ristaurare quest'arte edilizia che fiorì sì
precoce nella prisca Italia, ci si aggiunse compagno
un industre concittadino' che con diuturne fatiche si
adopera a introdurre fra noi la preparazione mecanica
dei mattoni e delli embrici; onde quel risparmio di
prezzo che la machina può fare in paragone a un
negletto e ineguale lavoro, procacciando anche più
tenace ed equabile impasto e più preciso intaglio di
forme, potrà rivolgersi a conseguire più maturo stadio
di torrefazione. E quindi si avranno costruzioni più
sode, meno inutilmente voluminose, meno soggette a
patire per ingiurie esterne o per interiore decadimento.
La perfezione delle opere laterizie non tornerà for-
se infruttuosa anche alla decorazione architettonica; e
forse potrebbe ricondurre fra noi la consuetudine di
quei venusti ornamenti ch'erano usitati nel tempo che
ci diede la cupola delle Grazie e la parte più bella
dell'ospitale. Ché certo sarebbe gramo destino il no-
stro, se ci mostrassimo valenti solo nell'imitare quel
nojoso stile che contrasegnò le fogge delle più gen-
tili e gloriose età, Pur troppo i tempi delli industri
furono propizj anche alle arti del bello, e la dappo-
caggine che lasciava invilire li utili mestieri, perpetuò
l'ignominia sua anche nel goffo tenore de' suoi mo-
numenti. Solo alli ingegni esercitati nel vero e nel-
l'utile sembra largita la manifestazione del bello.

Il Cav. Giuseppe Tunesi.


348 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

Questo lavoro delle terre in cementi, in laterizj,


in vetri, in vasellami ha omai doviziosa scorta di
maestrevoli esempli nelle nostre Collezioni Industriali,
ove li opificj di Sèvres e di Choisy, di Misnia, di
Venezia, di Toscana, di Boemia, d'Inghilterra, confe-
rirono, per iterati doni dell'Augusto Principe che ci
protegge assente e presente ci onora, i campioni delle
materie naturali e dei passi d'arte pei quali si giunge
alle opere più squisite. Né la vista di tante dovizie
restò senza qualche utile effetto; poiché, per incita-
mento che qui ebbe origine, vediamo altro nostro
concittadino avere adempiuto una richiesta fin qui
vana dei nostri Chimici, apprestando all'uopo loro cer-
ti vaselli di vetro, invulnerabili ai reagenti, e per le
forme loro e l'opera dello smeriglio inaccessibili alle
esterne influenze; lavoro che fin qui era prerogativa
della sola Parigi.

Ora mi conviene far breve cenno d'altra institu-


zione nostra che possiamo dire d'unico esempio in
Italia. Aveva detto il savio greco che li adolescenti
sarebbero ad ammaestrare in quelle cose che sono ser-
bati a fare nella matura età. A ciò appunto valse nel
trascorso biennio la scuola dei tessitori della seta; nel-
la quale s'insegnò per la prima volta quest'arte a co-
loro ai quali ella debb'essere l'unico presidio della
vita. Si videro alcuni il cui destino non si sarebbe
nemmeno elevato fino al telajo, ma sarebbesi confinato
per tutta la vita al puerile officio di caricare le spole,
giungere in questi due anni al chiaro intendimento
di tutto questo magisterio. Poiché quando li onorevoli
i Fabricatori, che il nostro Consiglio invitò ad esaminare
i nostri allievi, sporsero loro uno od altro lembo dei
più artificiosi tessuti I l essi senza smarrirsi seppero

I1 sig. Deconti del Seprio,


VIII - CRITICA ALL'ASSOLUTISMO 349

immantinente descrivere in carta tutto l'ordine col qua-


le le diverse fila erano trecciate a formare le parti
liscie e le operate, le opache o le lustre, le vellutate
o le cangianti, le trasparenti o le aspre d'aurei fiorami;
- le diverse foggie dei punti e dei nodi; - li atteg-
giamenti dei licci e dei pedali; - i pesi e le qualità
delle sete prefisse all'ordito o alla tessitura o al vello;
- il computo delle quantità da commettersi alle di-
verse tinture. Né furono rattenuti solo nell'imitazione
delle opere altrui; ma venivano entro per l'anno ecci-
tati a divisare di propria mente combinazioni di co-
lori e di rilievi in varj tessuti di più consueta occor-
renza, conducendo le invenzioni loro fino a indicare la
più opportuna appostatura del telajo, e determinare in
numeri i pesi e le misure di tutto l'ordinamento. Di
queste cose i vogliosi giovani ben rare volte per l'ad-
dietro ricevevano cortese insegnamento; ma o dove-
vano con singolare sagacia carpire il secreto alli sde-
gnosi anziani, o travagliarsi tutta la vita entro il
telajo, nella condizione di semoventi ordigni d'un'arte
non intesa. Essi ora godono di sapere per filo e per
punto la ragione di quanto fanno; e i più sottili d'in-
gegno e più amorevoli possono farsi maestri ai loro
compagni, e sovvenirli a salire dal più basso al più
alto grado di maestria; il che vuol dire, ritrarli da
povero stato a ciò che fra loro si estima lodevole
fortuna. E vaglia il vero; il tessitore che fa meglio
l'arte sua, può colla stessa fatica delle braccia acqui-
starsi doppia mercede. E ove ciò avvenga a più mem-
bri d'una famiglia, spariscono dal suo seno li stenti e
i malori e i cenci e l'altra odiosa accompagnatura del-
le ingrate e non sufficienti fatiche.
Di questo insegnamento sarà fra poco partecipe
anche quell'altra sezione dei nostri tessitori che appar-
tiene alla vicina Como; ove l'arte serica, ristretta fi-
nora al liscio, potrà forse prendere ardimento di la-
350 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III
i;
vori più idonei allo svegliato ingegno del nostro po-
polo. I1 che se riesce cosa di più incerto e venturoso
traffico ai conduttori delle fabriche, torna intanto di
lunga mano più profittevole alla moltitudine delli ar-
tefici; perocché, ove il lavoro piano può recar a cia-
scuno di loro il lucro di forse ottocento lire in un
anno, il lavoro operato può anche addoppiarlo. Ciò
non sarebbe poca cosa, anche quando fosse discorso
di qualche centinajo di tessitori; e può divenire larga
vena di popolare agiatezza in città che forse ne anno-
vera tre mila. Sarà poi sempre grande acquisto, ove
si paragoni al tenuissimo dispendio di questo modo
d‘ammaestramento, al quale, fuori del buon animo del-
l’ottimo insegnatore, quasi nulla si richiede.
L’arte della tessitura è dunque posta fra noi sul
pendio che volge al meglio; e non solo per le sete,
ma eziandio per le bambagine, in cui l’uso crescente
della ]acquart e la novella fattura dei velluti aggiunge
parimenti valore alla fatica. E mentre I’uomo esercita
così la mente ai più eletti rami, il motore inanimato
succede in suo luogo nei rami inferiori, pel mirabile
congegno de’ telai mossi ad acqua, ché introdutto da
prima nello stabilimento di Vaprio è ora in procinto
di ripetersi nel nascente opificio della Castellanza.
Intanto la copia delle cose godevoli si aumenta;
le turbe lacere e scalze sono sparite dal suolo della
patria; la povertà non è più il non avere, ma solo
I’aver meno delli altri. I1 frutto di questa industria
rifluisce poi su le campagne; e non proverebbe poca
meraviglia chi non avesse da trent’anni veduto, a ca-
gion d’esempio, i distretti ove il cotonificio più fio-
risce, e ora cammin facendo vedesse al di là del-
l’Olona, nella sodaglie pocanzi vuote e silenziose, le
fauste ombre della vite e del gelso, come se col mu-
tarsi delle consuetudini avessero mutato natura e tem-
pra anche le glebe delle squallida terra.
i

VIII - CRITICA ALL'ASSOLUTISMO 351


Ma poiché son venuto a menzionare dell'agricoltura,
d'altra mutazione è a dire, non peranco di matura
certezza, ma forse prossima alla riva di probabile even-
to. È antica lagnanza e grave danno che la più pre-
ziosa derrata della nostra pianura irrigua, sia fra iut^
i latticinj il solo nel cui buon successo non ha mento
l'umana volontà. Di sedici e più milioni di libre gros-
se che i numerosi armenti si estimano fornirne, solo
una metà giunge ad avere pieno valore; il quale al
tempo della maturanza mercantile può dirsi il doppio
incirca che al tempo della vendita prima. L'altra metà,
o per sapore sgradito, o per magagne che ne defor-
mano l'aspetto, si consuma a non compiuta maturanza,
o non raggiunge mai codesto aumento del prezzo. I1
valsente che va perduto, ossia la metà del prezzo fi-
nale di otto millioni di libre, può stimarsi tra i nove
e i dieci millioni di denaro, che i nostri agricultori
per tradizione di tempo immemorabile lasciano ogni
anno in olocausto alla sorte, senza aver fatto mai
prova alcuna per salvarlo. Egli è questo reddito, che
tradutto in capitale rappresenta duecento millioni, che
un uomo d'animo deliberato si mise in pensiero po-
tersi redimere dalla voragine che lo inghiotte. Anche
quando il promettitore potesse adempiere solo la de-
cima parte del suo detto, egli avrebbe per fermo un
vanto concesso a pochi, a pochi anco di quelli che
furono annoverati fra i benefattori dei popoli. La CO-
sa parve tanto incredibile, che ne corse languida e
inefficace diceria tra le famiglie medesime che pur ne
dovevano raccogliere il frutto. Ma questa nostra SO-
cietà non ebbe rispetto d'affrontare la tacita condanna
d'un'inerte opinione. Da un lato ella provocò con per-
severanti sollecitazioni ii agricultori, e giunge a raduna-
re a convegno in queste sale un centinajo, e ordinarli
a opportuna rappresentanza.
Dall'altro lato ella indusse l'innovatore a far il
332 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - 111

sacrificio pur troppo necessario, benché forse prema-


turo, del suo secreto. Ciò che avvolto nell'arcano pa-
reva impossibile, venuto alla libera luce del sole ap-
parve probabile; si vede che in questa materia occu-
pata interamente dal caso doveva rimaner pure un
diritto all'arte e alla ragione, i l tempo stabilirà il ter-
mine ove potrà giungere in questo suo novello con-
quisto l'umana solerzia. Frattanto sembra omai poter-
si additare con qualche buona apparenza di vero ove
fosse l'errore fondamentale, che toglieva all'agricultore
ogni speranza e ogni cura del meglio.
Inesperto di scienza, avvezzo a vedere il suo de-
stino in balia delle nubi e dei venti, egli si esagerava
le variazioni che al latte potevano venire dalla vicen-
da delle celesti e terrestri influenze. Sono forse lievis-
sime, centesimali, milesimali, le variazioni che da gior-
no a giorno il latte può soffrire. Ma l'operatore, fermo
nell'opinione ch'esse fossero anzi smisurate, si sforzava
d'andar loro incontro con altre pur grandissime variazio-
ni de' suoi procedimenti. Ora lasciava il latte in pro-
lungato riposo; ora se lo figurava già fracido nelle poppe
delle floride e rigogliose giovenche, anzi già guasto
nell'erbe stesse del prato, le quali tuttavia nel giorno
anteriore o nel susseguente potevano essere di punto
in bianco scevre d'ogni malefico influsso. Nel verno,
fidandosi al lento corso della natura, sfiorava più
copioso butirro; sicché la parte albuminosa rimaneva
impoverita e insipida. Nell'estate, per fuggire la sovra-
stante putrescenza, anziché fare arte alcuna per pro-
cacciare al latte un fresco riposo, negava agio alla parte
grassa di separarsi; e quindi l'albume aggravato dalla
pinguedine non aveva fibra; e prima di giungere a ma-
turanza, le infelici forme si sfacevano in cento foggie
di malori. Infuso il latte nella ciclopica caldaja, ora
lo sferzava con soverchio ardore, ora lo lasciava ozia-
re in lenta tepidezza; non aveva pensato mai d'investi-

i.
VIII - CRITICA ALL'ASSOLUTISMO 353
gare qual grado di temperatura crescesse virtù ai pre-
same, e quale gliela scemasse o la estinguesse del tut-
to; ma ogni giorno teneva con vano studio diversa
via, e introduceva di sua mano nella volubil opera
della natura quelle assai più enormi varietà delle qua-
li poi si doleva. E intanto soffriva che il zotico ce-
saro si arrogasse secolui il sembiante di non so qua-
le inspirazione, benché troppe volte costui dovesse po-
scia confessargli gemendo, d'avere smarrito l'estro, e
com'egli diceva nel ruvido suo gergo, d'aver perduto
la balla. Fra questi vetusti arzigogoli che facevano ras-
segnata e stupida la ragione, l'agricultore non era pa-
drone del latte della sua mandra; appena osava por
piede nel sucidume dell'arcana officina. E il paese
sciupava intanto ogni anno il frutto d'un regale pa-
trimonio.
Tre riforme principali erano a divisarsi - l'una di
conservare al latte la maggior costanza delle sue chi-
miche proporzioni, non sottraendo più o men butirro
nell'estate che nel verno, affinché nell'estate non aves-
se troppo fragile natura, e nel verno non avesse trop-
po scarsa bontà; - l'altra era d'applicare costante azio-
ne di caglio, sotto uniforme grado di calore e unifor-
me misura di tempo; - la terza di porre diligente cura
a scacciare il siero, affinché prosciugandosi poi, non
lasciasse nelle vuote sedi adito all'aria perturbatrice. I
modi di pervenire a queste tre riforme potranno essere
varj, potranno farsi coll'esperienza più perfetti, massi-
me se il termometro del fisico o la bilancia del chi-
mico vi tenesse dietro mano mano, finché tutta l'opera
fosse divenuta l'espressione d'un assiduo ragionamento.
Intanto non è poco l'avere scosse le fondamenta d'una
dannosa opinione, l'aver rivendicato all'arte e alla dili-
genza, ciò ch'era trastullo all'ignoranza e alla fortu-
na. Ma il conflitto coll'oscurità delle cose, e colla Per-
vicacia e l'inerzia delli uomini sarà lungo; né si ha forse

23. . CATTANEO. Scritti politici. III.


354 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

diritto a sperare che questa innovazione abbia a com-


piersi in più breve giro d'anni che non abbiam visto
avvenire per l'abolizione dei maggesi o la piantagione
dei gelsi, alla qual opera e dai padri nostri e da noi
medesimi solo col lungo corso del tempo si assentì la
dovuta fede.
Da ogni parte adunque, nella preparazione dei for-
maggi, nella tessitura delle sete, nella modellatura dei
mattoni, nella emendazione delle terre sterili, nell'uso
dei nuovi cementi, si offre campo a publico risparmio
ad incremento alla dovizia commune.

Soltanto egli è che non conviene disseminare il tem-


po in preparazioni troppo varie e lontane, né trascu-
rando le instituzioni che già siamo giunti a fondare,
divagarci in sempre nuovi disegni d'altre ancora più
operose e più possenti società. Chi è valente, e ha
proposito verace di combattere, non getti tempo a
farsi nuove bandiere; ma segua il precetto che il gran
capitano dava ai battaglioni sviati, di volgersi con
presto passo là dove udissero tuonare il cannone e di
accorrere a lato ai più vicini combattenti. Io non in-
tendo con ciò toglier pregio ad ogni pensiero che ora
si ponga inanzi di nuove intraprese, siano generali,
siano ristrette ad una od altra provincia, siano dedi-
cate all'agricoltura ovvero al commercio e alle mani-
fatture. Ma tutti codesti rami potrebbero bene inserirsi
sopra un tronco commune, né torna necessario comin-
ciare ad ogni volta dalla radice e dalla semente. Pur
troppo, fra mille altri rigogliosi elementi di progresso,
non abbiamo ancora quella devozione del privato alla
cosa publica, per cui gli pare sempre bello ogni afficio
in cui la patria si giovi e si onori. E sono pure lnnestì,
che altri avrebbe potuti a prima giunta dire alquanto
estranj al primo proposito di questa Società, - 'e la
scuola dei tessitori, e il laboratorio chimico, e l'inse-
VIII - CRITICA ALL'ASSOLUTISMO 355
gnamento della fisica e quello della mecanica, e io
studio delle terre, e le collezioni industriali, - tutte
quasi in somma le operazioni da cui la Società nostra
raccolse, nei pochi anni dacch'ella nacque, frutto più
appariscente che non ne possano per avventura additare
altre più antiche ma non più efficaci aggregazioni. Con-
vien dunque invitare li amatori delli utili fatti a ve-
nire con noi; a seguirci, se amano; a precorrerci pure
alacremente, se hanno più lena; ma insomma, a racco-
gliere le forze, non tanto in meditazioni di più perfet-
te imprese, quanto in opere vicine e pronte e veraci.
Sarebbe dunque a desiderarsi che in questo luogo ove
già fiorisce un collegio di giovani chimici, ove si rac-
colse da più provincie a importante deliberazione un
centinajo d'agricultori, ove si tennero i primi colloquj
per la instituzione d'un podere-modello, ove si raccol-
sero i primi materiali per la nuova arte della miscela
delle terre, si diano convegno anche coloro che vorreb-
bero aggiungere più valido impulso all'agricultura del-
le provincie.

E v'è un novello ramo, l'inserzione del quale sa-


rebbe sopra ogni cosa commendevole; poiché all'utile
congiunge il bello. Ed è lo studio dell'orticultura; il
quale oltre al recarci conforto di cose giovevoli alla do-
mestica vita, dovrebbe farla maggiormente piacevole
e adorna. Pur troppo, per incontro d'oscuri eventi, la
città nostra e molte altre delle vicine vennero a tro-
varsi fondate ove questa terra della patria è assai più
feconda che non sia bella. Ma poi ch'egli fu così desti-
nato: poiché fu necessità che per noi si vivesse il
maggior numero di giorni della vita lungi dalli ameni
c h i e dai limpidi laghi, tra tediosi filari di foschi alni
e di sparuti salici dietro cui spunta velata da troppo fre-
quenti nebbie solo una riga d'alpi lontane : adoperiamo-
ci almeno ad abbellire i brevi prospetti della cerchia
i 356 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

suburbana, ad ingentilire d'ombre e di fiori e di tra-


forati cancelli i claustrali recinti delli orti, e i nudi
e riarsi spazj che rimasero sgombri tra la folla delle
case al cittadino.
I due passeggi che girano dentro e fuori la no-
stra città per molte miglia, quanta varietà di forme
e di prospetti non avrebbero potuto svolgere! Quanto
varia verdura! quanto variamente addensate in boschet-
ti le ombre o svolte in filari! a foglie patule o aghi-
formi, a foglie caduche o sempreverdi! quante diverse
tinte, e diverse alternative di fioritura non avremmo
potuto imaginare là dove vediamo frondeggiare dal-
l'alto ripetuta più di tremila volte quella solenne for-
ma dell'ippocastano, bella e pomposa e quasi fre-
giata di festive gale pochi dì all'anno, ma sempre
immobile ai venti e taciturna, e già stanca e volgente
al bruno prima che compia l'estate!
Concedete adunque che ai ragionamenti della pu-
blica utilità e delle arti necessarie s'intessa anche I'ima-
gine graziosa delle frondi e dei fiori; poiché nelle co-
se umane il bello e il buono fanno una sola catena;
e i popoli che seppero fare più gloriosa e potente la
vita, non disdegnarono di farla anche venusta e gen-
tile; e quindi ebbero nome li orti cittadini dei gre-
ci, e la solitaria grandezza delle ville romane, e la
sentimentale vastità dei britannici parchi.

Nè. poteva io più opportunamente chiudere queste


mie parole se non in questo argomento ch'era già
presente al pensiero di molti, quando mi avviene di
dire al cospetto d'un Principe, che in mezzo a gravi
cure ci porse l'esempio d'uno squisito amore a questi
studj soavi, e al cospetto di Magistrati che tanto già
operano per aggiungere amenità e bellezza a questo
nostro soggiorno nativo.
Io dunque pongo fine, invitando i benevoli e li
VIII - CRITICA ALL’ASSOLUTISMO 357
operosi a sovvenirci della compagnia loro nelle non
poche opere a cui vedono aver noi posto animosa
mano, e in quelle altre ben molte che ci fervono nel
secreto della mente, ma che ancora dissimuliamo qua-
si a noi stessi, perché i disegni nostri, per non essere
vani, non debbono soverchiare i termini delle forze
che voi ci porgete. Possano i migliori e in questa e
nelle altre città, alle quali è ora aperta una via di
farsi sorelle alla nostra impresa, non obliare di qual
conforto possa l’unanime loro consenso riescire a quel-
li che sacrano alla nostra instituzione le loro fati-
che, - al venerabil Preside che la regge con amore
e con senno, - ai Magistrati che la favoreggiano, -
e allo stesso Principe, il quale, nel prodigare alle col-
lezioni nostre una congerie di utili doni, forse ebbe
nell’animo di giovarla anche colli effetti che generoso
esempio suole avere sui generosi.

26 Dicembre 1847

Rapporto annuale del dr. Carlo Cattaneo


relatore del Consiglio sulle operazioni della
Società d’incoraggiamento d’arti e mestieri *

Onorevoli Socj Promotori,


Non solo anche per quest’anno possiamo rallegrar-
ci di qualche incremento nel novero dei Socj nostri in
questa Città, ma possiamo inoltre annunciarvi avve-
rata in parte la speranza di vedere a propagarsi nel-
le Città vicine la nostra instituzione. Non ci eravamo
illusi quando, come vi fu ricordato pur ora nel Proces-
so verbale della Generale Assemblea dello scorso an-
no, deliberavamo di perseverare nei nostri sforzi quan-

* Pubblicato negli a Atti della Società », 1847, pp. 3-10.


VIII - CRITICA ALL’ASSOLUTISMO 357
operosi a sovvenirci della compagnia loro nelle non
poche opere a cui vedono aver noi posto animosa
mano, e in quelle altre ben molte che ci fervono nel
secreto della mente, ma che ancora dissimuliamo qua-
si a noi stessi, perché i disegni nostri, per non essere
vani, non debbono soverchiare i termini delle forze
che voi ci porgete. Possano i migliori e in questa e
nelle altre città, alle quali è ora aperta una via di
farsi sorelle alla nostra impresa, non obliare di qual
conforto possa l’unanime loro consenso riescire a quel-
li che sacrano alla nostra instituzione le loro fati-
che, - al venerabil Preside che la regge con amore
e con senno, - ai Magistrati che la favoreggiano, -
e allo stesso Principe, il quale, nel prodigare alle col-
lezioni nostre una congerie di utili doni, forse ebbe
nell’animo di giovarla anche colli effetti che generoso
esempio suole avere sui generosi.

26 Dicembre 1847

Rapporto annuale del dr. Carlo Cattaneo


relatore del Consiglio sulle operazioni della
Società d’incoraggiamento d’arti e mestieri *

Onorevoli Socj Promotori,


Non solo anche per quest’anno possiamo rallegrar-
ci di qualche incremento nel novero dei Socj nostri in
questa Città, ma possiamo inoltre annunciarvi avve-
rata in parte la speranza di vedere a propagarsi nel-
le Città vicine la nostra instituzione. Non ci eravamo
illusi quando, come vi fu ricordato pur ora nel Proces-
so verbale della Generale Assemblea dello scorso an-
no, deliberavamo di perseverare nei nostri sforzi quan-

* Pubblicato negli a Atti della Società », 1847, pp. 3-10.


358 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

danche il voto delle altre Provincie ci fosse riescito


in parte avverso, e confidavamo che il corso del tem-
po e l'intrinseca bontà di questa instituzione avrebbe-
ro vinta la prova.
Possiamo dunque dirvi che, dietro offerta del be-
nemerito sig. Angelo Piazza, d'estendere anche a Co-
mo l’insegnamento dell'arte della seta già raccoman-
dato da sì vantaggiosa esperienza in Milano, li esimj
Signori che presiedono a quel Municipio e a quella
Camera di Commercio vi raccolsero tosto un numero
di Socj maggiore anche di quello che le nuove nostre
discipline richiedono, e di quello che è mestieri a
francare le spese qualunque sieno del nuovo insegna-
mento; al quale concorse poi generosamente quella cit-
tadinanza anche coll'allocamento di gratuita sala e
d'opportuna supellettile.
Questa preziosa materia della seta in Como, of-
fre la singolare circostanza che non solo ell'è la mag-
gior dovizia territoriale dei vicini colli; non solo nella
città e nel suburbio vi affacenda colla trattura di ben
novecento (916) naspi circa duemila tra donne e fan-
ciulle (1937); non solo quella medesima seta distri-
buita a 19 torcitoi vi porge lavoro ad altri quattro-
cento operai; ma senza mutar luogo va finalmente a
compiere l'orbita fabrile nella mano dei tessitori; i
quali tengono in opera continua, 2.200 telai semplici
e 186 Jacquarts; e insieme alli orditori, garzoni, tin-
tori, sovrastanti e commessi, sommano a 6500 per-
sone. Le 56 fabriche della città e suburbio produco-
no ben 34,000 pezze di stoffa, ciascuna delle quali
involge un peso incirca di dieci libre di seta; e tutte
insieme compongono un valsente di 10 a 11 millioni,
che per un quinto, e adunque per più di due millioni,
è stipendio delli operai. Como è inoltre convegno al
perenne lavoro d'altri 250 telai, sparsi nelle vicine ter-
re di Cernobio, Maccio, Caccivio, Albate e Cantù; onde
VIII - CRITICA ALL’ASSOLUTISMO 353
un altro decimo rimane da aggiungersi al novero pre-
cedente. E così al di dentro e all’intorno di quel-
l’industrioso alveare, anche senza contare le rusticaii
famiglie che allevano il gelso e il baco, quest’arte
gentile della seta alimenta più di diecimila persone
d‘ogni sesso e d’ogni età. Voi vedete dunque, Onorevoli
Socj Promotori, che in città di soli 17,000 abitanti può
questo dirsi il precipuo fonte della vita; e potete bene
apprezzare, quanto giovevole possa tornarvi il più pron-
to e sincero e perfetto ammaestramento delli operai, La
differenza di mercede dal lavoro piano all’operato è as-
sai grande; e si stima incirca del doppio. Ora fin qui,
di stoffa operata si fanno sole 25000 pezze, ovvero
sia la 14” parte del tutto. Supposta per un istante la
convenienza mercantile dello smercio, e perciò della
fabricazione, potrebbe dunque col tempo addoppiarsi
la mercede delli altri 13-14 d’un lavoro che abbiamo
già estimato a più di due millioni.
Un altro beneficio, o Signori, potrebbe questa no-.
stra instituzione arrecare in seguito a Como. Li allie-
vi che quella città ben potrebbe inviare al nostro La-
boratorio potrebbero reduci in patria giovarvi anche la
tintura, introducendo nelle officine alquanti di quei se-
creti per cui certi colori, o più fulgidi o più delicati,
sembrano prerogative di certi paesi.
Possa dunque il nuovo ramo dell’avventurosa pian-
ta allignare prospero sulle rive del Lario.
Noi dobbiamo additare intanto alla publica lode
quelli che si fecero benemeriti dell’impresa; e sono,
oltre al nostro Aggiunto Presidente signor Luigi Ses-
sa, l’egregio Podestà di Conio, dott. Tomaso Perti, il
capo di quella Camera di Commercio, signor Giovanni
Rezzonico, e il segretario signor Giuseppe Giani, il
quale a tal uopo si recò anche a Milano, e a prova
dell’importanza grande della nuova instituzione ci for-
nì le notizie ora esposte.

..
360 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

Rimane che fra questi Signori e i cinquanta socj


incirca ch'essi raccolsero, quelli che si distinguono per
cognizioni mecaniche, chimiche, agrarie e commerciali
possano adunarsi in Commissioni a simiglianza delle
nostre; onde quella nuova società, pur senza staccarsi
dal tronco materno, viva quella vita propria e muni-
cipale che pare una necessità di tutte le cose italiane.
Intorno a ciò il vostro Consiglio Direttore nell'ul-
tima sua tornata sarebbe addivenuto nell'opinione che
il denaro proveniente da questa e altre simili associa- .
zioni municipali, si debba possibilmente dedicare a di-
retto servigio del territorio che lo contribuisce, salvo
ciò che possa richiedersi a sostenere certi stabilimenti,
che, come il Laboratorio summentovato, sono a ser-
vigio di tutti ma non si possono ripetere dappertutto.
Ciò che abbiamo già conseguito in Como è vicino
a compiersi anche nella frapposta Monza. Anche qui-
vi, per commendevole zelo del signor Adone Stucchi,
si raccolse un cospicuo numero di soscrittori; anche
quivi ci vengono preposti uomini studiosi atti a coo-
perare colle nostre Commissioni, e più di tutto a quel-
la d'Agricultura, poiché vi si comprende l'egregio Di-
rettore di quei Giardini Reali, ed altri valenti allievi
della sua scuola. Ogni luogo ha i propri suoi vantag-
gi, e l'instituzione nostra peregrinando paziente e per.
severante di città in città deve proporsi di abbracciar-
ne tutto il tesoro. Intanto la prima operazione che .
all'ombra della nostra Società si vorrebbe iniziare in
Monza, sarebbe una lettura di cose fisiche con avver-
timenti sull'arte tintoria, che in quella città fiorisce as-
sai. I1 tempo e l'esempio porteranno altri frutti. Cosa
vien da cosa, diceva il savio fiorentino; e dovrebbe
questa essere l'impresa della nostra Società, la qua-
le da un disegno ben nescito trasse sempre il pen-
siero e l'ardimento d'altro e d'altro.
Frattanto pare un molto commendevole costume
VIII - CRITICA ALL'ASSOLUTISMO 361

questo delle pubbliche letture, che al luogo d'un vano


cicaleccio vespertino diffondono per le città nostre t

discorsi di utili verità, insinuandole a immediato per-


fezionamento delle arti popolari.

Altre tre città che finora sono per tal modo con-
giunte nel nostro consorzio, e che per singolari casi
dovevano anche prima delle altre trovarsi avvicinate
da una rotaja ferrata, nulla poteva tornare più op-
portuno che il pensamento dell'ingegner Giacomo Ber-
mani di recare a publica dimostrazione in queste sa-
le le doviziose notizie ed esperienze da lui raccolte
intorno alle strade ferrate, sì nell'operoso suo soggior-
no presso le strade e le officine del Belgio, sì nei pa-
recchi anni ch'egli spese intorno alla costruzione e al-
l'esercizio della Strada ferrata Veneta. Questo ramo
speciale dell'insegnamento mecanico, che speriamo non
ci torrà di approfittare delle offerte fatteci per altre
parti delle scienze mecaniche dai signori Guido Su-
sani e Francesco Brioschi, avrà due aspetti, l'uno in-
teso ad appagare una dotta curiosità, l'altro ad ammae-
strare la solerzia laboriosa. Epperò alle publiche let-
ture si alterneranno diligenti privati esercizj intorno ai
disegni d'opere e alle regole d'arte; dimodoché for-
se d'ora in poi conduttori e focolieri, dopo essersi pro-
cacciati qui una piena ed esplicita contezza di tutto
l'apparato ferroviario, potranno prestare al paese no-
stro più valevole e sicuro servigio, e divenire maestri
ed esemplari ai confrateIIi loro nei paesi vicini. Si-
gnori, come la patria nostra primeggia all'intorno con
un'opulenza fondata dal precoce intendimento dei no-
stri antichi, così ella deve primeggiare anche in quel
nuovo campo d'industrie che prepara una progressiva
i
opulenza ai nostri figli.
Ma l'assenso generale di tutte le provincie non
sembra potersi conseguire se non col promovere preti-
362 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

puamente quell’arte che tutte parimenti le interessa,


voglio dire l’agricultura. E quindi fin dallo scorso anno
vi fu detto che se mai fossimo addivenuti ad insti.
tuire un podere-modello, molte ragioni d’avveduta cor-
tesia ci consiglierebbero a collocarlo fuori della Pro-
vincia Milanese, in luogo che fosse quasi centro e con-
vegno a molte provincie. I1 nostro voto non era vano,
già nella successiva primavera abbiamo potuto accen-
narvi che in queste sale si erano tenuti i primi collo-
q u j per la instituzione d’un podere-modello. E ora
possiamo dirvi che tosto si addivenne alla redazione
d’un progetto assai grandioso, e ad una soscrizione pre-
liminare per sostenere le spese d‘uno studio del ter-
reno, studio che nei passati giorni venne compiuto da
una Commissione in cui s’arrolarono alcuni dei più
valenti nostri ingegneri, i signori Màzzeri, Calvi, Mira,
Caccianino e Possenti. Essi riscontrarono le circostan-
ze di suolo più adatte a fornire un vero fondo esperi-
mentale; poiché giacendo dove in remote età domi-
navano ampie fiumane non peranco, come ora, ada-
giate per secolari corrosioni entro i greti di profonda
valle, raccoglie in sé tutte le varie stratificazioni che
il corso delle acque, ora impetuoso ora lene, vi de-
pose alternamente; onde si apre adito a quella nuo-
va e grande arte, e ancora fra noi molto oscura, della
miscela delle terre; alla quale alcuni agricultori del-
la Provincia Lodigiana si sono dedicati. con un ardore
a cui pur troppo manca quel ragionato chimico istra-
damento che per un’unica via può conseguirsi. E già
li allievi del nostro Laboratorio vanno scrutando in
questi giorni un centinajo di campioni di terre rac-
colti nel proposto latifondo, col disegno appunto d’in-
stituire una generale esplorazione, e prepararvi uno
scientifico ordinamento di tutte le opere future.
Se non temessimo abusar troppo dell’attenzione vo-
stra e del vostro tempo, vi daremmo lettura d’una
VIII - CRITICA ALL’ASSOLUTISMO 363
relazione preliminare da cui mossero le prime tratta-
tive e investigazioni intorno ad un Progetto ai quale
non può farsi altra difficoltà che quella che più lo
dovrebbe raccomandare, voglio dire, la sua grandez-
za; la quale veramente corrisponderebbe quel cospicuo
grado che la nostra agricoltura tenne finora in Euro-
pa, e che solo con siffatte instituzioni potrà conservare
anche in appresso.

Prima di lasciare l’argomento dell’agricultura, non


possiamo non rinovarvi menzione d‘una riforma, la
quale noi, senza esserci arrogati giudicio alcuno sul-
l’intrinseco suo mento, abbiamo, com’era officio no-
stro, caldamente raccomandata alli agricultori delle
Basse, per la somma importanza della derrata intorno
a cui volgeva’. Non fu però esperimentata con quel
desiderio sincero del bene e quel deliberato propo-
sito ch’era mestieri a siffatte cose. Una particolare at-
tenzione vi si prestò solo nella Provincia di Cremona,
la quale per verità in questo ramo del caseificio è ap-
punto la più necessitosa di qualche grande innovazio-
, ne. Ci limitiamo a leggervi un brano di lettera che
uno dei più accreditati amministratori, il signor inge-
gnere Luigi Dolara, scriveva al signor Landriani, e
nella quale riferiva anche altra favorevole testimo-
nianza.
« Mancandomi le cifre onde stendere il promesso
quadro statistico dei Casoni che lavoravano col SUO
metodo sul confronto dei precedenti anni, mi limito
a queste righe per dimostrargli, come testimonio di
fatto, i risultati di tre Casoni di questa nobile casa
Barbò da me rappresentata, dove fu sentita con ve-
ro interessamento la proposta. Senza poter perfezio-

Vedi li atti della Società per l’anno 1847.


364 CATTAIVEO - S C R I T T I POLITICI - III

nare i mezzi mecanici, tentavano le sue istruzioni; e


sodisfatti presentavano al mercato la sorte estiva mi-
gliorata su quella de' precedenti anni, abondante qua-
si di un terzo, ad un prezzo maggiore pure d'un terzo
sopra li ordinarj delle sorti all'antico empirismo. Ed i
fittabili di questi casoni vivificati da questo guadagno,
accresceranno cure e diligenze; ed il fatto di questa
vivificazione chiamerà proseliti.
« Siccome io non sono pratico in partita, così per
maggiore chiarezza trascrivo le osservazioni di don
Giuseppe Soldi, siccome quegli che con vero interes-
samento ha saputo iniziare coll'istruzione la propria
famiglia ad operare nei casoni d'Ognissanti e Pugno-
lo, latifondi di casa Barbò.
« 1° Il metodo presentandosi come novità ebbe uni-
versalmente opposizioni, per cui non fu praticato con
quella sincerità e confidenza. che doveva meritare la
ragionevolezza colla quale venne presentato.
« 2" Molti nel praticarlo hanno voluto aggiungere
del loro, o modificarlo in qualche parte, sicché i ri-
sultati furono diversi a norma dei diversi modi con
cui venne alterato o modificato.
« 3° Altri per ignoranza o malevoglienza, special-
mente dei vecchi caciolaj, lo hanno appositamente
adulterato, per dimostrarlo d'impossibile riescita, e
quindi di danno a chi avrebbe voluto praticarlo.
« 4" Diversi fra quelli che lo hanno praticato con
amore e sincerità, non ebbero sempre la pazienza di
assistervi; sicché lasciate istruzioni agli operatori sen-
za sorvegliarli, loro fallivano i veri risultati, che però
vogliono attribuire al metodo, non incolpandone la ne-
gligenza.
«E dice quindi del maggior peso, del maggior
prezzo, concludendo che non si è raggiunta la per-
fezione, ma bensì la via alla perfezione.
VIII - CRITICA ALL’ASSOLUTISMO 365

« Così nella Provincia di Cremona; e speriamo col


tempo notizie certamente migliori ».
In altre provincie, ove domina tuttora un’indifferen-
za che s’accosta all’avversione, una particella soltanto
della riforma ebbe finora qualche seguito, cioè la ri-
costruzione dei locali destinati al riposo del latte, al-
l’intento di sottrarli al dominio delle variazioni atmo-
sferiche.
Signori, la via delle utili innovazioni f u sempre
sparsa di dubbi e di ripulse; onde riservando il giu-
dicio al tempo, esortiamo alla perseveranza li accorti
e docili esperimentatori.

Ora della perlustrazione che abbiamo fatta intor-


no alli opificj di Como e di Monza, alle strade ferra-
te, al podere-modello, al caseificio Creinonese, tor-
niamo a questo nostro recinto.
Qui le cose procedono con manifesto pro,gresso,
tanto nel Laboratorio, che a poco a poco speriamo fat-
to sede d’una vera Academia Chimica, quanto alle
nostre Collezioni che fra poco speriamo intitolate Mu-
seo Industriale; instituzioni ambedue che possono già
esserci invidiate dalle più sontuose Capitali. Lo stuo-
lo delli allievi si accresce; ma di estranei a questa
Provincia ne abbiamo uno solo, di Pavia; e i posti che
lasciò vuoti la nostra gioventù, vaga bensì di nuovo
sapere, ma non sempre là dove ne debba esser prez-
zo l’assiduità e la fatica, vennero ambiti da altri: da
un giovine di Trieste e da uno di Costantinopoli. Noi
ameremmo senza dubbio veder meglio compresa del
sacro foco della scienza la bella gioventù di questa e
delle altre nostre città; pure siamo lieti che, ov’ella
manca, il nostro paese divenga scola a città più lontane.
Le nostre Collezioni ebbero notevole appendice, e
per un nuovo dono di tremila lire fatte dal venerabile
366 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

nostro Presidente sig. Enrico Mylius, e per altra si-


mile somma aggiuntavi dal Consiglio che vi dedicò i
risparmj conseguiti sul Preventivo dello scorso anno,
e per i copiosi e peregrini oggetti che il nostro otti-
mo professore De Kramer venne raccogliendo nel lun-
go viaggio che fece durante l’estate e l’autunno, con
varie persone attinenti alle vostre Commissioni e al
vostro Laboratorio, in Boemia, in Prussia, nel Belgio,
in Inghilterra e in Francia. E preziosa è anche la
promessa ch‘egli ci ottenne dall’illustre veterano del-
la scienza, Alessandro di Humboldt, di prevalersi del-
la grande esposizione industriale che si celebrerà nel-
la prossima primavera a Berlino, per raccogliere ciò
che di più bello e di più giovevole potrà fornirci l’uni-
versa industria prussiana. E allora forse la Prussia si
varrà dell’occasione medesima per instituir pure un
Museo Industriale, prendendo in ricambio l’esempio pri-
mamente dato dalla nostra Società, la quale potrà far-
si merito d’aver così lontana imitatrice.
Al continuo incremento di questa nostra instituzio-
ne si fece necessario quello della controversa proprie-
tà dei nostri locali, che possiamo finalmente dire ag-
giudicata, com’era nostro interesse e nostro desiderio,
in favore del Municipio ciò che promette un grande
e prossimo sollievo d’alcune migliaia di lire alle no-
stre sociali finanze.
Onorevoli cittadini, oggi qui voi siete dunque in
casa vostra; e noi speriamo che la vostra liberalità
saprà renderla qual si conviene al luogo ch‘ella tiene
qui nel cuore della città vostra, qui dove fin dai
tempi romani le Aule Palatine furono convegno delli
studj e delle leggi, qui a lato a quella Loggia ove
si celebrarono le più memorabili scene della vostra
istoria municipale,
VIII - CRITICA ALL'ASSOLUTISMO 367

1847

Corbellerie sul sistema proibitivo *


De W., parlando delle raffinerie di zucchero bie-
tolino in Francia, dice che se non si fossero protette
non sarebbero giunte a ciò che sono. Io suppongo che
un chimico divenuto ministro, anzi liberatore, del Pe-
r ù dicesse a quei popoli: Figliuoli miei, vedo che
voi gettate le ossa ai cani; e questo è un vero in-
sulto alla providenza, la quale in quegli ossi ha ri-
posto tanta bella e buona materia mangiativa, come
potete vedere in tutti i trattati di chimica, i quali vi
dimostrano che ec., ec. Tocca a voi di trarnela fuori
e darle sapor conveniente. La necessità aguzza l'in-
telletto. Ebbene, ragazzi: io vi proibisco di mangiar
carne. In tutte le beccherie dell'impero si scarneranno
diligentemente tutte le ossa e della carne si farà colla,
che si manderà a vendere al resto del genere umano.
Una congrua porzione si darà ai cani in compenso del-
le ossa usurpate dai padroni. Si distribuirà in misura
di tante once quante libre sarà trovato pesare ogni
individuo cane, peso netto e valutata la tara di col-
lare e museruola. E si verificherà diligentemente quat-
tro volte all'anno il peso d'ogni cane, e si munirà di
bollo di piombo infilzato piacevolmente in un orecchio
con apposita machina, i cui contraffattori andranno
in galera. Qualora un cane non voglia mangiar la sua
cime nel locale stesso della distribuzione, allora il
suo padrone si munisca di bolletta indicante il quan-
titativo preciso delle once, e chi sarà trovato portare
a casa le once di carne del cane senza la bolletta non
sarà creduto e avrà pena di confisca, multa del cen-

* Pubblicato in S.P.E., I, pp. 112-115.


368 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

tuplo, galera e tratti di corda in proporzione. Così


debitamente regolato e disciplinato il buon ordine del
commercio della carne, si passa ad ordinare che le
ossa vengano esposte in vendita nelle città e nei vil-
laggi e sia repressa in tutti quelli che scrivono o par-
lano in publico ogni licenza di manifestare alcun
sentimento di disistima per le ossa o di predilezione
per la polpa sì viva che morta; non volendosi ad
ogni modo che le male lingue confermino la moltitu-
dine nelle sue ereditarie prevenzioni. I contravventori
siano puniti come da apposito statuto criminale. E
perché mentre l’una mano infligge le pene l’altra mi.
nistri le ricompense si stabilisce quanto segue. I dotti,
che si stilleranno il cervello a perfezionare l’ammolli-
tura e canditura delle sostanze ossee d’ogni qualità,
avranno una decorazione che sarà detta della Pento-
la Papiniana, con nastro di color d’acqua orlato di
color di fumo, dalla quale penderà una piccola testa
di cane fatta di zucchero di barbabietole, affine di
indicare ch‘essi hanno aggiunto alle doti del genere
umano anche le abilità della razza canina e conqui-
stato un nuovo campo all’industria ed al progresso,
giusta quanto insegna L’Ape di Capolago che farà te-
sto nelle università nazionali.
Se un povero popolo fosse così condannato per
venti o trent’anni a rosicar ossa, io son certo che i
dotti d’arti e di scienze, e i ghiottoni e i digiunatori,
e gli uomini e le donne e tutti quanti metterebbero
la testa a partito; e penserebbero seriamente a studia-
re il modo di dar vario sapore a quella fatua gela-
tina e ingannare il palato e la fantasia. Dopo aver
mangiato vent’anni da quella cucina aguzzatrice di
cervelli e raffinatrice di complessioni, verrebbe qual-
cuno a stampare nell’Ape di Capolago la lista di tutte
le acconciature e gli intingoli di quella nuova indu-
stria cagnesca; e direbbe: Vedete quante belle in-
VIII - CRITICA ALL’ASSOLUTISMO 369

venzioni! Se voi potevate insaccar carne senza impe-


dimenti e senza pensieri, come mai avreste ideato co-
tante e cotanto sottili invenzioni? Ora che l’Industria
ossivora è ben piantata fra di voi, L’Ape di Capolago
ardisce sperare che la vorrete proteggere per amore
di quei tanti che vi hanno impegnato i loro capitali
con provista di locali, machine, materie prime, ec.,
ec. Cosicché troverei che la proibizione di mangiar
carne debba continuare per altre dieci o dodici ge-
nerazioni.
La favola della carne e delle ossa dal più al me-
no regge benissimo, se voi supponete che la carne
sia lo zucchero di canna, e l’ossa lo zucchero di bie-
tole, il quale ha tutte le buone, e belle qualità del
mondo, nettezza, candidezza, leggerezza e così discor-
rendo. Gli manca solo una qualità, il sapore; per lo
che sarà una cosa eccellente, massime quando venga
condito coll’altro zucchero.
Se, ciò che Dio non voglia, gli ortolani del Borgo
dei Gozzi capitassero mai a leggere L’Ape di Capo-
lago, e venissero a capire l’arcano merito delle bar-
babietole, e l’attitudine mirabile che le hanno a di-
venire un oggetto chimico, politecnico, legislativo e
civilizzato, io non ho dubbio che subito subito comin-
cerebbero a strillare e invocare aiuto contro il zucche-
ro di canna, che porta in mano di forestieri i quattri-
ni del nostro paese e minaccia la ruina delle barbabie-
tole e degli ortolani. In questo caso vedete a che
pericolo saremmo tutti noi, poveri consumatori di of-
felle, che ci potremmo trovare da un giorno all’altro
cambiato il zucchero zucchero col zucchero non zuc-
chero, feriti crudelmente nella gola, e per maggior do-
lore persuasi che tutto questo sarebbe una canzonatu-
ra. Almeno i gonzi avrebbero il conforto d’indolciarsi
la fantasia col pensare alla publica prosperità. Napo-
leone nei giorni del pentimento maledisse il sistema

24. - CATTANEO Scritti politici III.


i. 370 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III
continentale e le femmine leccarde ch'erano divenute
sue nemiche per odio della birra e per amore dei sor-
betti e delle prugne inzuccherate. Chi avrebbe mai
pensato che le prugne inzuccherate dovessero contri-
buir cotanto a disfar l'opera delle palle di cannone?
Fatto si è che la profonda causa del trionfo degli In-
glesi in Europa stava nascosta nelle casse' di zucche-
ro, come la causa prima della loro mala fortuna in
America era venuta dalle casse di tè. Fortunato quel
popolo e quel capitano che potesse in un fondaco an-
nasare l'odor della vittoria.
IX
POLEMICHE CONTRO I MODERATI
(1851-1859)

i -
, .
Ottobre 1851

Un « errata corrige »
ai Misteri repubblicani » *
«

Giuseppe Ferrari non è figlio d'un panattiere ma


d'un medico, che gli lasciò anche sufficienti mezzi di
filosofica indipendenza. Ferrari studiò leggi a Pavia
dal 1828 al 1832, o in quel tomo; e perciò è falso
che studiasse sotto Romagnosi, la cui scuola di diritto
in Milano era stata chiusa fin dall'estate del 1821,
quando Ferrari era poco più che fanciullo.
Compiuto il corso dell'università, Ferrari non scap-
pò in Francia per ragioni personali, ma rimase parec-
chi anni con sua madre in Milano, non cercando far
carriera di guadagno, ma attendendo a disinteressati
studi. Scrisse parecchie cose d'argomento filosofico, e,
salvo errore, intorno all'opera di Mamiani. Scrisse nel
1835 la Mente d i Romagnosi, e intraprese quindi la
grande edizione delle Opere di Vico che nella colle-
zione dei Classici Italiani uscì dal 1835 al 1837 in sei
volumi in 8°. Nel medesimo tempo egli frequentava il
circolo letterario dei fratelli Porro, e contribuì assai a
dar tempra forte e filosofica a quegli eletti ingegni
che poi collaborarono alla Rivista Europea, al Crepu-
scolo e ad altri giornali di buoni studi e non di misteri
e di pettegolezzi.

* Pubblicato in S.P.E., 11, pp. 34-38.


374 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - lll

Nel 1836 Ferrari dimandò al governo licenza d'insti-


tuire un giornale di scienze filosofiche e storiche, a cui
doveva attendere secolui il dottor Cattaneo già sco-
laro di Romagnosi. Ripulsa la domanda, Ferrari risol-
se di portarsi a fare più liberi studi a Parigi; ma dové
adoperarsi un intero anno per estorcere al governo un
passaporto. Ottenutolo, partì nei primi giorni del 1838,
Non scappò dunque per ragioni personali, ma partì con
tutti i sacramenti e per la più generosa e impersonale
di tutte le ragioni: il libero culto della filosofia, e
seguendo l'esempio dei grandi antichi.
Giunto in Francia, si diede a compiere dure prove
che quivi s'impongono a chiunque, massimamente fo-
restiero, voglia essere aggregato al corpo professorio
nell'università nazionale. Publicò a tal uopo e come
tesi filosofica l'opuscolo latino De religiosis Campanel-
lae opinionibus. Nello stesso anno 1840 publicò l'opu-
scolo francese De l'erreur. Prescelto a supplire alla
cattedra di filosofia a Rochefort, passò l'anno seguen-
te col medesimo grado alla Facoltà di Strasburgo. Qui-
vi aperse il suo corso con quattro lezioni 'sulla politica
di Platone e d'Aristotile, dimostrando come la repub-
blica ideale di Platone fosse realmente un sistema di
comunismo. Di ciò si prevalse scaltramente il suo ri-
vale nella cattedra, l'abate Bautain, attribuendo al Fer-
rari stesso delle idee da lui storicamente attribuite a
Platone. Cousin ebbe la debolezza di lasciar chiamare
da Strasburgo il Ferrari. Questi fu pago di publicare
in propria difesa le quattro lezioni sotto il titolo di
Idées sur la politique d e Platon et d’Aristote. E ven-
nero negli stessi giorni tradotte in italiano nel quinto
volume del Politecnico di Milano, pag. 210.
Tornato a Parigi, nel 1843 publicò un giusto vo-
lume col titolo Essai sur le principe et les limites de la
philosophie de l'histoire. Poi, mentre si preparava ad
una grande edizione dei Politici italiani, inserì vari scrit-
IX - POLEMICHE CONTRO I MODERATI 375
ti intorno all’Italia nella Revue d e s Deux-Mondes, e
principalmente quello intitolato La révolution et les
réformes en ltalie, publicato il 10 gennaio 1848, due
giorni prima che Palermo inaugurasse la rivoluzione
italiana. Nessun scritto politico porta più evidente
l’impronta della predizione filosofica e della potenza
dei principj. « Pie IX, egli scriveva, est à la tête de la
révolution avec les principes de la contrerévolution.
Peu importe l’innocence personelle dans cette grande
guerre de la politique, où la faute d’un chef peut
être plus sanguinaire que la férocité personelle de
Wallenstein. Si Pie IX doit reculer, mieux vaudrait pour
lui ne pas être né; car, sciemment ou à son insu, il
immolera plus de victimes que n’en auraient demandé
les Borgia. Ceux-ci tuaient quelques princes. Pie IX
tuerait des peuples. La cour de Turin joue avec l’agi-
tation encore inoffensive, en la priant poliment de par-
ler d’indépendance et nullement de liberté. On le con-
çoit, l’indépendance c’est la conquête de la Lombardie.
L’idée prématurée de I’indépendance égare les pa-
triotes du Piémont. lls ne sont pas les maîtres de
l’indépendance d‘une nation. Qu’ils conquièrent donc
leur propre liberté! On recevra l’ordre de s’arrêter au
moment de l’attaque, de se retirer au moment de la
marche; et la possibiIité d’une volte-face pourra pro-
voquer ou produire les effets de la trahison. Qu’on
débute donc par le possible, qu’on localise la revolu-
tion dans chaque état. Ici on connaît l’ennemi, on n’est
à la merci de personne, on élève au pouvoir les hommes
éprouvés, on écarte le courtisan; on peut trionpher sans
porter le défi à l‘Europe. S’obstine-t-on à chercher une
vaine indépendance en ajournant la liberté? ON MAN-
QUERA L’UNE ET L’AUTRE! »
Un consigliere di questa fatta è trattato da settari
ignoranti con odio e con disprezzo. In luogo di me-
ditare seriamente le sue parole, si sogna che & figlio
376 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

d'un panettiere e che porta i biondi crini scarmigliati.


Ferrari non è. biondo, né crinito, né scarmigliato; e se
lo fosse?
Il 24 febbraio riaperse a Ferrari la Facoltà di
Strasburgo, tanto è strano lo sproposito che nelle gior-
nate di' febbraio avesse combattuto contro li insorti,
cioè in favore dei suoi nemici.
In aprile del 1848, Ferrari profittò delle ferie pa-
squali per recarsi da Strasburgo in patria; voleva che
Cattaneo intraprendesse un giornale di principj, la
Nazione; voleva ci fosse qualche indirizzo fra quelle
tante illusioni.
Enrico Cernuschi abbracciò con fervore il progetto
e procurò il capitale, l'editore e persino il locale del-
l'ufficio. Ferrari per indurre Cattaneo a prendervi par-
te, si offerse di stabilirsi in Milano, abbandonando il
suo posto di Strasburgo che gli fruttava cinquemila
franchi. Cattaneo, che conoscendo Cernuschi solo da
pochi mesi non aveva saputo apprezzare di che va-
i glia fosse come scrittore, rispondeva che bisognava ave-
re seco un partito e pensieri in molta parte conformi.
Ferrari, fermamente deliberato volle allora presentare
Cattaneo a Mazzini ch'era in Milano da circa tre set-
timane. Ma Mazzini aveva 'preso impegno nell'associa-
zione italiana, ed era pur legato al governo provvi-
sorio.
I1 lungo colloquio ch'ebbe luogo in presenza anche
di Cernuschi e d'altri persuase sempre più Cattaneo
ch'era impossibile resistere al torrente delle illusioni
e delle transazioni. Ferrari tornò allora a Strasburgo.
Mazzini si risolse a incominciare l'opposizione, e
intraprese verso la fine di maggio l'Italia del Popolo.
Ferrari tornato in Francia venne promosso dalla
supplenza di Strasburgo alla cattedra ordinaria di Bour-
ges. Ma il 13 giugno 1849, avendo preso troppo aper-
to interesse alla questione romana, fu costretto a riti-

i
. -

IX - POLEMICHE CONTRO I MODERATI 377

rarsi per qualche tempo nel Belgio. Intanto la catte-


dra di Bourges fu perduta.
D’allora in poi con indefessa attività publicò in
francese Les philosophes salariés, e l’ingegnoso libro
Machiavel juge des révolutions de notre temps e in
Italia l’opuscolo Federazione repubblicana, al quale
nocque la forma troppo veemente. Infine publicò in
due volumi la Filosofia della rivoluzione, opera di mag-
giore importanza.
Pochi uomini si sono più affaticati per illuminare
la propria nazione. Ma Ferrari ha il torto di credere
che gli Stati Uniti e la gloriosa guerra che sostennero
contro l’Inghilterra, col soccorso della Francia, possa
essere un modello imitabile, desiderabile all’Italia. Egli
ha l’infamia di credere possibili gli Stati Uniti d’Italia.
Egli crede che sia più facile pervenire all’unità
con una federazione di Stati liberi che colla violenta
fusione in uno Stato solo. Infatti stanno inanzi noi
i felici effetti della fusione della Sicilia, della Toscana,
della Liguria, della Lombardia: odii e perfidie, bombe
e patiboli, e infine l’eterna prepotenza dello straniero.

28 Febbraio 1859

All’Associazione degli operai genovesi *


Amici e fratelli! Vi sono ben grato dell’invito VO-
stro e dell’amorevole espressione delle vostre simpatie.
Siete voi, figli di Balilla, che nuovamente rive-
laste a una generazione immemore quella via per la
quale i consorzi degli operai italiani seppero fare in

* Pubblicato in S.P.E., ii, p. 157. La data è errata.


C. fu eletto da tre collegi lombardi nel 1860.
. -

IX - POLEMICHE CONTRO I MODERATI 377

rarsi per qualche tempo nel Belgio. Intanto la catte-


dra di Bourges fu perduta.
D’allora in poi con indefessa attività publicò in
francese Les philosophes salariés, e l’ingegnoso libro
Machiavel juge des révolutions de notre temps e in
Italia l’opuscolo Federazione repubblicana, al quale
nocque la forma troppo veemente. Infine publicò in
due volumi la Filosofia della rivoluzione, opera di mag-
giore importanza.
Pochi uomini si sono più affaticati per illuminare
la propria nazione. Ma Ferrari ha il torto di credere
che gli Stati Uniti e la gloriosa guerra che sostennero
contro l’Inghilterra, col soccorso della Francia, possa
essere un modello imitabile, desiderabile all’Italia. Egli
ha l’infamia di credere possibili gli Stati Uniti d’Italia.
Egli crede che sia più facile pervenire all’unità
con una federazione di Stati liberi che colla violenta
fusione in uno Stato solo. Infatti stanno inanzi noi
i felici effetti della fusione della Sicilia, della Toscana,
della Liguria, della Lombardia: odii e perfidie, bombe
e patiboli, e infine l’eterna prepotenza dello straniero.

28 Febbraio 1859

All’Associazione degli operai genovesi *


Amici e fratelli! Vi sono ben grato dell’invito VO-
stro e dell’amorevole espressione delle vostre simpatie.
Siete voi, figli di Balilla, che nuovamente rive-
laste a una generazione immemore quella via per la
quale i consorzi degli operai italiani seppero fare in

* Pubblicato in S.P.E., ii, p. 157. La data è errata.


C. fu eletto da tre collegi lombardi nel 1860.
378 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - III

altri secoli fiorente e libera e gloriosa la patria. Quel-


l'aura di nuova vita fraterna, che oggi si sente fremere
per tutte le città della penisola e delle isole, mosse
dall'esempio 'vostro.
Solo così non avremo a dubitar più della finale
nostra sorte. Solo le moltitudini pensanti e volenti e
pronte all'armi, come voi, possono, dandosi tutte la
mano, far cadere ogni speranza degli inesorabili ne-
mici della nostra libertà. Li eserciti non hanno mai
salvato l'Italia.
Se apprezzate il consiglio del fratello sessagenario,
scegliete il vostro deputato in mezzo a voi. Parlando
egli allora in nome vostro, parrà più viva e vera vo-
stra voce.
Oppresso di lavoro e di cure, e non avendo po-
tuto sedere in Parlamento quando vi fui chiamato da
tre collegi della mia regione nativa, io non potrei,
senza dare offesa, accettare altro poco dissimile man-
dato da città verso la quale avrei meno sacri doveri.
Oramai non posso servire all'Italia se non come
scrittore, e in verità, non tanto per ciò che possa fare
io stesso, come per la parte che li altri vorranno pren-
dersi all'opera mia.
Sarebbe assai lieto per me quel giorno in cui
mi fosse dato di arrecare co' miei scritti o con quelli
de' miei compagni qualche notevole giovamento all'in-
dustria genovese. Allora mi sarà ben dolce ricordarmi
a voi.
Intanto, per Genova e per l'Italia, perseverate e
sperate. E vogliate sempre tenermi grato e devoto
amico e fratello.
lX - POLEMICHE CONTRO I MODERATI 379

1859

Dell’uso strategico delle acque d’irrigazione *


Noi fummo testimoni or ora di due grandi fatti
strategici.
L’uno f u l’uso difensivo che il nemico fece della
linea del Ticino, contro l’opinione dei più che presa-
givano o una gran battaglia verso Alessandria o un
prudente concentramento sul Mincio. L’altro fu I’ap-
plicazione delle acque irrigatorie alla difesa del Pie-
monte. Essa ammortò l’impeto del nemico; distrusse il
vantaggio che gli aveva dato il possedere una ferrovia
continua attraverso alle Alpi; ruinò la sanità e bal-
danza del suo esercito, ingombrando d’ammalati gli
ospitali e d’uomini malfermi i reggimenti; procacciò a
Italiani e Francesi il prezioso tempo di adunarsi in
numero dalle guarnigioni e dalle gole dell’Appennino
e delle Alpi e intanto preservò Tonno da un disastro.
E’ poco più di un anno che ragionando nel Cre-
puscolo (N. 11 e 12) sul progetto dell’ingegnere Pos-
senti di deviare la Tresa dal Lago Maggiore, gli feci
fra le altre cose osservare che la Tresa costituiva già
parte integrante del sistema del Ticino e influiva no-
tabilmente sulla navigazione di questo fiume, sulla sua
importanza strategica e sulle prese d’acqua tanto del
Naviglio Grande quanto dei Canali Novaresi, princi-
palmente perché le acque della Tresa ossia del lago
di Lugano, non essendo di origine alpina e nivale,
ma prealpina e pluviale, e avendo piena in aprile e
maggio, facevano un complemento necessario in quella
prima stagione che precede il disgelo delle somme
Alpi e l’incremento estivo del Lago Maggiore.

* Inedito. M.R.M. Ms. Archivio Cattaneo, Cart. 14,


pl. IX, doc. 5.

i
380 CATTANEO - SCRITTI POLITICI - lll

Della questione strategica il sig. Possenti allora mi


rispose ridendo: E come risi di cuore ecc. (V. n. 16
del Crepuscolo pag. 252). Gli replicai: ch'egli non
vorrebbe negare che una massa d'acque, valutate da
lui medesimo a millecinquecento metri cubi al mi-
nuto, qualora anche solo in parte, venisse in certa
stagioni aggiunta o tolta al Ticino, potrebbe decidere
se il fiume avesse ad essere in certi punti guadabile
o non guadabile, della quale alternativa si poteva ri-
dere, ma, per fermo, non da chi si trovasse strategi-
camente costretto a passare in un cattivo momento.
Ho diritto a dire che i due fatti strategici sopra
mentovati hanno dimostrato la serietà dell'argomento.
Quest'uso dell'irrigazione per la difesa generale del
paese è un'arma della quale i nostri ingegneri non
avevano pensato a valersi. Dopo averla additata in-
darno a voce e in iscritto, a chi era incaricato della
difesa di Milano in agosto 1848, ne diedi cenno a
stampa in febbraio 1849 colle seguenti parole: « Non
ommisi per mia parte di suggerire varii provedimenti
che mi fo lecito d'accennare perché potrebbero forse
giovare IN ALTRO TEMPO E LUOGO. Raccomandai che
all'arrivo del nemico si ostruissero intorno alla città
tutte le acque correnti; che si facesse un cerchio di
fango; dal che si avrebbe ostacolo materiale al libero
giro delle artiglierie, confusione di molte linee di strade
colle linee dei canali, separazione dei corpi che intra-
prendessero il blocco, guado inevitabile dei cavalli,
impossibilità in siffatta stagione a quelle genti set-
tentrionali di rimanervi anche solo pochi giorni, se
non esponendosi a rapida distruzione ».
Aggiunsi una nota rammentando come i nostri mag-
giori nel 1515 e 1522 avessero fatto tale uso delle
acque, sebbene nella piccola scala di un campo di
battaglia, - « A tutti è nota la battaglia di Mari-
gnano ove perirono molte migliaia di Svizzeri, ma po-

i
IX - POLEMICHE CONTRO I MODERATI 381

chi sanno che il danno loro fu per divisamento ch'ebbe


il famoso guerriero Gian Giacomo Trivulzio d'inondar
intorno la campagna. Nell'Istoria di Milano del Verri
tomo 111, pag. 192 si legge il passo seguente della
Cronica di Marco Burigozzo: « 11 signor Giovan Ja-
cobo, come astuto capitano, venendo li Svizzeri in
campo su certo prato, et lui li dette l'acqua: per
modo che la fu una grande ruina a quelli poveri Svi-
zeri, tanto che a Milano non se ne vedeva altro se
non ammalati e homeni maltrattati, in modo che pa-
reva che fossero stati in campo dieci anni, tutti pul-
verulenti dal mezzo in suso, e dal mezzo in giuso
bagnati ». - « Alla battaglia della Bicocca parimenti
il popolo milanese si valse di certi fossi per avvilup-
pare gli Svizzeri e ucciderne tremila » - Insurrezione
di Milano, pag. 257 e 320.
Questo mio libro era publicato alcune settimane
prima della battaglia di Novara. E’ manifesto che
l'inondazione come giovò nel 1859, così avrebbe po-
tuto giovare anche nel 1849 impacciando la mossa di
Radetzki sopra Mortara e Vercelli e procacciando tem-
po al re di rimettersi sulla sua base di guerra, ovvero
di compire la sua marcia da Magenta a Milano.
Ora che si è fatta anche la prova in ampia scala
sulla riva destra del Ticino, io fo invito al corpo de-
gli ingegneri di delegare quelli di loro che hanno più
fondata pratica dei canali, dei terreni a intraprendere
uno studio generale di tutto il nostro sistema irriga-
torio per poterlo applicare nel modo più efficace e
più facile e col minor danno dei luoghi, alla difesa
del paese.
Le società scientifiche potrebbero farne oggetto di
concorso e di premio.
i

i
I N D I C E

VI

LIBERTÀ ELVETICA E SUOI NEMICI

I Carabinieri del Ticino ai carabinieri di Uri e Svitt ,Pag. 3


Intorno al confiitto austro-elvetico . , . . . 5
Pel tiro cantonale di Mendrisio . , . . . . 10
Tiro cantonale di Bellinzona . . , , , , 12
Ai carabinieri ticinesi, I-III . . . . , . . 13
II Clero, pel Repubblicano di Lugano . . . . 20
Anniversario del pronunciamento , , , , . . 23
Pel tiro cantonale di Locarno . . . . . . 26
Pel tiro cantodale di Lugano . . . . . . . 29
Un brindisi . . , , , , ., ., . 31
Al signor De Giorgi, editore responsabile del « Cre-
dente » . , , . . . . . . .. 33
Lettres Tessinoises - Le libre échange et le Canton
Tessin , . . , . . . . . . . 36

VII

.
PUBBLICO INSEGNAMENTO

Della istruzione monacale . . . . . . 43


Prospetto statistico dell’istruzione elementare in Lom-
bardia nel triennio 1835-37 , . . . . 48
384 INDICE

Dell‘istruzione ginnasiale in Lombardia . . . . 58


Storia. Istruzione publica . . . . , , , . 65
Sulla riforma dell’insegnamento superiore nel Ticino . 67
I1 liceo di Lugano . . , , . . . . . 98
Di alcuni rami d’insegnamento scientifico da istituirsi
in Milano , . . . . , . , . . , 99
Sul riordinamento degli studii scientifici in Italia . 111
Raccolta di scritti politici e sulla publica istruzione . 129
Raccolta di alcune proposte di leggi e di vari scritti
sulla pubblica istruzione del Senatore C. Matteucci 137

VIII
CRITICA ALL’ASSOLUTISMO
E PREPARAZIONE ALLA DEMOCRAZIA (1829-1847)

Discorsi nella Camera dei Comuni in Inghilterra sulla


tariffa daziaria delle sete, tenuti seduta del
13 aprile 1829 (Times) , . . , . , , 159
Discorso del sig. Fyler Deputato di Coventry . 159
Discorso del sig. Robinson . . , . . . 175
Discorso del sig. Visey Fitz-Gerald , . . . 178
Estratto del discorso del sig. Baring in risposta a
quello del Sig. V. Fitz-Gerald . . . .. 204
Estratto del discorso del sig. Sadler , . . . 209
Estratto del discorso del sig. Huskisson . . , 210
Manifesto per gli Annali universali delle scienze e
dell’industria » . . . . . .
. , , 222
Memoria di Claro Malacarne sui combustibili fossili del-
l’Alta Italia . . . . . . . . , . 229
. .
Conversione delle rendite publiche di Napoli . 231
Istituti pii di Parigi . . . . . . . . . 232
Sale d’asilo instituite in Parigi per la custodia dei fan-
ciulli indigenti .
. . . , . , . . 236
Mezzi di miglioramento per le ultime classi della So-
-
cietà Casse di Risparmio . .
, , . . 238
Rendite e spese dell’ospitale Maggiore di Milano e
.
degli annessi stabilimenti , . . , , . 241

i
INDICE 385
Associazione per lo scavamento de’ combustibili fossili
nel Regno Lombardo-Veneto . . , . . , 247
I1 consumo effettivo delle sete in Inghilterra dal 1814
al principio del 1836 . . , , . , , , 252
II nuovo Monte delle sete .
. . . . . . 256
Illuminazione a gaz . . .
. . . , , , 259
Sulla riforma del sistema monetario . , , . , 265
Igiene e moralità degli operai di seterie . . . . 287
Del poveri e della carità legale, lettera circolare ai pre-
fetti, del signor De Remusat ministro dell’interno 288
« Un curato di campagna » . . . . . . . 298
Gaetano Cattaneo .
. , , . . . , , 300
Pietro Custodi .. .
. , , . . . , 306
Proposta per un annuario della Lombardia 309
Della censura del commercio librario nel regno Lom-
bardo-Veneto .. . . . . . . . . 315
Delle istituzioni militari nel regno Lombardo-Veneto 318
Prefazione al Volume II di « Alcuni scritti » . . . 322
Allocuzione alla distribuzione dei premj della Società
d’incoraggiamento d‘arti e mestieri . . . . 345
Rapporto annuale del Dr. Carlo Cattaneo, relatore del
Consiglio sulle operazioni della Società d’incoraggia-
mento d’arti e mestieri . . . . . . . 357
Corbellerie sul sistema proibitivo .
. . . .. 367

IX
POLEMICHE CONTRO I MODERATI (1851-1859)
Un « errata corrige » ai « Misteri repubblicani » . . 373
All’Associazione degli operai genovesi . . . . 377
Dell’uso strategico delle acque d’irrigazione . . . 379

25. . CATTANEO.Scritti politici. III.


STAMPATO
CON I TIPI DELLA CARTOGRAFICA S . P . A .
VIA DELLE CASINE, -
11 FIRENZE
FEBBRAIO 1965
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BIBLIOTECA NAZIONALE
EDIZIONE DELLE O P E R E D I
CARLO CATTANEO
a cura del Comitato Italo-Svizzero

CARLOCATTANEO.Scritti economici, a cura di ALBERTOBER-


TOLINO.

Vol. I: pp. XXVIII-436.


Vol. II: pp. IV-478.
Vol. III: pp. Vi-476.

- Scritti storici e geografici, a cura di GAETANO


SALVEMINI
e d i ERNESTO
SESTAN.
Voi. I: pp. XII-436.
Vol. 11: pp. IV-440.
Vol. III: pp. IV-376.
Vol. IV: pp. IV-556

- Scritti filosofici, a cura di N. BOBBIO.


Vol. I: pp. LXX-498.
VOI. II: pp. IV-384.
Voi. 111: pp. IV-446.

- Scritti politici, a cura di MARIO BONESCHI


Voi. i: pp. XXIV-448.
Vol. II: pp. VIII-528.
Vol. III: pp. VIII-388.
v o l . IV: pp. IV-536.

Dì prossima pubblicaszione:
- Scritti letterari, artistici e linguistici. Nuova edizione
a cura di MARIO FUBINI.

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