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«que ben devetz

conoisser la plus fina»


Per Margherita Spampinato

Studi promossi da
Gabriella Alfieri, Giovanna Alfonzetti,
Mario Pagano, Stefano Rapisarda

a cura di
Mario Pagano

Edizioni Sinestesie
Biblioteca di Sinestesie
62
«que ben devetz
conoisser la plus fina»
Per Margherita Spampinato

studi promossi da
Gabriella Alfieri, Giovanna Alfonzetti,
Mario Pagano, Stefano Rapisarda

a cura di
Mario Pagano

Edizioni Sinestesie
Proprietà letteraria riservata
© 2018 Associazione Culturale Internazionale
Edizioni Sinestesie
Via Tagliamento, 154 - 83100 Avellino
www.edizionisinestesie.it - info@edizionisinestesie.it

Impaginazione:
, Grafica editoriale di Pietro Marletta - Misterbianco (CT)

ISBN 978-88-99541-86-6 cartaceo


ISBN 978-88-99541-87-3 ebook

Finito di stampare nel mese di marzo 2018


da DigitalPrint Service s.r.l. in Segrate (MI)

In copertina:
Miniatura, ms. London, British Library, Harley 4431, c. 376
(images free: <http://www.bl.uk/catalogues/illuminatedmanuscripts/ILLUMIN.
ASP?Size=mid&IllID=28646>)
Sommario

Tabula gratulatoria p. 9
Premessa » 11
Gabriella Alfieri, «Essenza del toscano» in Profumo di Ca-
puana » 13
Beatrice Alfonzetti, «Mia figlia», La Figliastra: lapsus te-
stuale? » 27
Giovanna Alfonzetti, Di che cosa è (s)cortese parlare? » 45
Roberto Antonelli, Lunardo del Guallacca, Sì come ’l pe-
scio al lasso » 63
Marcello Barbato, Da uno scongiuro a una lauda. Il So-
gno di Maria » 73
Sonia Barillari, Meridiana o Marianna? Oscillazioni ono-
mastiche nel ms. Oxford, Bodleian Library, Bodl. 851,
cc. 52r-53v (Walter Map, De nugis curialium IV, 11) » 91
Simonetta Bianchini, Dizionario dei simboli botanici: la
mandorla » 105
Giuseppe Brincat, Il risorgimento in periferia: ricordi let-
terari degli esuli italiani a Malta prima dell’Unità » 117
Furio Brugnolo, “…Amor tenendo / meo core in ma-
no…”. Tre note sul primo sonetto della Vita Nuova » 139
Patrizia Caraffi, Il giardino delle dame e dei cavalieri » 157
6 Sommario

Francesco Carapezza, Le melodie perdute di Gugliel-


mo IX p. 177
Rosario Coluccia, Varianti e apparati » 193
Anna Maria Compagna, La versione italiana di Ulloa
(Venezia 1556) della Historia di Beuter (Valenza 1546):
il caso del Cid » 207
Sergio Cristaldi, Dante e un viaggio neoplatonico » 221
Paolo D’Achille, Sull’uso di caprino come cromonimo (e
sulle locuzioni occhi caprini, occhio caprino, occhio di capra) » 243
Antonio Di Grado, La “nuova colonia” di Elio Vittorini » 261
Paolo Di Luca, La terzina/quartina caudata nella poesia
catalana medievale » 273
Antonio Di Silvestro, Sulla genesi della Duchessa di Leyra » 289
Aldo Fichera, Un fotografo “insospettabile”. Letteratura
e fotografia: il caso Capuana » 309
Flavia Fichera, La restitutio textus del “De lo autore et de
li primi principii de la felice cità de Palermo” di Pietro
Ranzano alla luce del ms. settecentesco Qq F81 » 323
Sabrina Galano, Cuore vs Corpo: Li flours d’amours » 337
Rosalba Galvagno, Jacques Lacan: l’etica della psicoana-
lisi e l’amor cortese » 357
Claudio Giovanardi, Il parlato in Pirandello » 369
Mariella Giuliano, Letterarietà e dialetto nei Misteri di
Napoli (1869-1870) » 381
Saverio Guida, Il connettivo mas pero nella lingua dei tro-
vatori » 395
Stefania Iannizzotto, Toscano e toscanismo nell’Iconomi-
ca di Paolo Caggio » 419
Laura Ingallinella, Il “miracolo della gamba nera” dei
santi Cosma e Damiano: fonti e rimaneggiamenti nel-
l’agiografia latina, greca e romanza » 433
Sommario 7

Sebastiano Italia, La luce, le gerarchie celesti e l’universo


tripartito (Par. XXVIII-XXIX) p. 455
Gaetano Lalomia, La geografia del dono nel Roman d’A-
lexandre » 465
Fortunata Latella, Mentir coma gacha » 481
Margherita Lecco, Il Lai de Batolf nel Roman de Horn.
Un lai ‘fantôme’ e i suoi inter-testi » 495
Lino Leonardi, Per l’edizione di Guittone d’Arezzo: «Gioia
e allegranza» (V) » 511
Salvatore Luongo, “Yo te diré quien sabe mas que yo”:
il cuento Puer 4 annorum del Sendebar » 525
Mario Mancini, Bufalino e l’Opera dei pupi » 539
Andrea Manganaro, Francesco De Sanctis e la cultura napo-
letana di Luigi Russo » 553
Walter Meliga, Posizioni e diffusione dei primi trovatori » 567
Maria Luisa Meneghetti, Di cosa parliamo quando par-
liamo d’intertestualità. Un caso di studio tra innografia
mediolatina e poesia trobadorica » 583
Nicolò Mineo, Letteratura in Sicilia e Romanticismo: un
problema di storiografia della letteratura » 593
Rosa Maria Monastra, L’ambizione e lo scacco nella nar-
rativa di Capuana » 613
Giuseppe Noto, La filologia romanza a scuola: riflessioni di
un filologo romanzo prestato alla formazione degli in-
segnanti » 627
Mario Pagano - Salvatore Arcidiacono, Due ricette
inedite in volgare siciliano del ms. Parigi, BNF, lat. 7018 » 639
Marina Paino, Geocritica di un mito insulare » 657
Antonio Pioletti, Frammenti su soggetto e io lirico » 675
Arianna Punzi, Il percorso occhi-cuore in Tigre Reale di
Giovanni Verga » 701
8 Sommario

Ferdinando Raffaele, Aliscans: dalla violenza reciproca


alla scoperta dell’altro p. 721
Stefano Rapisarda, ‘Art del sanc’ o ‘art del saut’? Una ra-
ra tecnica divinatoria in anglo-normanno nel ms. Lon-
dra, British Library, Additional 18210 » 739
Giovanni Ruffino, Corrispondenze galloromanze nel les-
sico venatorio siciliano » 753
Oriana Scarpati, «Des Troïens li plus hardiz». La descriptio
di Ettore in Benôit de Sainte-Maure » 767
Salvatore Claudio Sgroi, La “legge Castellani” e le pre-
posizioni articolate » 781
Antonio Sichera, Tra desiderio e corpo. Brevi note sulla
‘questione provenzale’ nella letteratura italiana del No-
vecento » 795
Domenico Tanteri, La fantascienza di Luigi Capuana » 803
Giuseppe Traina, L’ulissismo intellettuale in Vincenzo Con-
Consolo » 821
Pietro Trifone, Totò, Peppino e la malalingua » 839
Salvatore C. Trovato, Fitonimi italiani settentrionali in
Sicilia: alberi, frutti, piante erbacee e loro utilizzazione » 843
Sergio Vatteroni, Nuove acquisizioni per il carteggio
Scheludko: sei lettere a Giulio Bertoni » 863
Gioia Zaganelli, «Si nobles songes ou fausse glose voulez
mettre». Su sogni e glosse » 877
Nunzio Zago, Noterella su Gramsci critico letterario » 891
Anna Zimbone, Nota sulla ricezione di Capuana in Grecia » 899
Andrea Manganaro

«FRANCESCO DE SANCTIS E LA CULTURA NAPOLETANA»


di Luigi Russo

Francesco De Sanctis e la cultura napoletana, la monografia di Luigi


Russo del 19281, traeva origine da un’occasione celebrativa, il set-
timo centenario dell’Università di Napoli, di cui lo studioso sicilia-
no fu chiamato a scrivere, sin dal 1924, la storia 2. Eppure non il no-
me dell’istituzione universitaria figura nel titolo, che reca invece, in
posizione eminente, il nome di chi, De Sanctis, era individuato co-
me emblema di una stagione e di una prospettiva culturale che
Russo proiettava ben oltre i confini di una prestigiosa tradizione re-
gionale. La ricostruzione della storia dell’Università di Napoli aveva
fornito a Russo l’occasione di incontrare l’opera intera di De Sanc-
tis: non solo quella, ovviamente largamente frequentata, del critico
e dello storico della letteratura, ma anche quella, non circoscrivibile
a una disciplina scientifica, di professore, di educatore, di uomo po-
litico. Studiare De Sanctis e la cultura napoletana, a partire dell’isti-
tuzione universitaria, si rivela, in quella monografia del 1928, «me-
todologicamente e politicamente felice», perché l’Università era «il
luogo storico concreto» che consentiva «un’analisi integrata del pri-
vato studioso e dell’uomo pubblico» 3. All’Università di Napoli De
Sanctis fu infatti professore, negli anni Settanta, ma prima ancora,
all’indomani della liberazione del Meridione, nell’ottobre del 1860,
protagonista di una radicale riforma. «Riforma» non tanto «di ordi-
namenti e di programmi», ma «di uomini, cioè di indirizzi mentali

1 Cfr. Russo (1928).


2 Russo (1943: 25).
3 Carpi (1983: 16).
554 Andrea Manganaro

e spirituali» 4, che realizzò in soli quindici giorni, collocando «a ri-


poso ventidue aquile di professori» 5, e segnando, con un radicale
avvicendamento nelle cattedre, «l’avvento di una nuova cultura». A
quella retriva e provinciale dei vecchi accademici partenopei, aveva
sostituito quella «dell’Italia in esilio», una cultura di prospettiva na-
zionale, che dal 1848 era maturata nelle prigioni, nelle altre città
d’Italia e d’Europa. Il confronto con l’opera storico-critica, educa-
tiva, politica di De Sanctis aveva fatto avvertire a Russo l’«esigenza»,
nel corso di quel suo studio, di «uscire dal chiuso dell’università per
immettersi nel vivo e nel pieno della cultura nazionale» 6.
La riforma desanctisiana, portando in cattedra la cultura vichiana
ed hegeliana, storicistica, aveva prodotto una dialettica nuova con
gli altri due principali centri universitari della nazione, Firenze e
Bologna: e quindi con la cultura toscana «di tipo piagnonesco e cru-
schevole», attenta alla lingua e alla filologia, e con la cultura emilia-
no-romagnola, di tipo mazziniano-giacobino, «nemica di ogni me-
dietas dialettica», con Carducci in primo piano (Carducci che, allu-
dendo a De Sanctis, polemizzava contro gli «estetici […] impostori»,
contro i critici autori di lavori «di fantasia»), distante politicamente
da quella dei moderati hegeliani napoletani 7. L’azione di rinnova-
mento condotta da De Sanctis, come riformatore dell’Università,
come professore, come studioso, parlamentare e ministro, non ave-
va riguardato solo l’accademia, ma tutta la nazione, sia sotto il pro-

4 Russo (1943: 25).


5 Russo ([1928] 1983: 40, 51).
6 Russo (1943: 26): «Una università la si riforma, come si riforma ogni scuola, se

c’è una cultura, un indirizzo scientifico nuovo, e generalmente spirituale, da far vale-
re: altrimenti si tratta di quelle riforme cartacee, che i ministri impiantano per prolun-
gare la loro permanenza al potere».
7 Russo (1943: 26-27); Russo ([1928] 1983: 249-251). Carpi (1983b: 79) vede

un «impianto storiografico manifestamente gentiliano (del Gentile del libro su Gino


Capponi)», nella «tipica e centrale contrapposizione, oggi inaccettabile in quei termi-
ni, fra Toscana provincial-piagnona e Napoli hegeliano-europea». Non va dimenti-
cato che Russo all’insegnamento desanctisiano-crociano seppe affiancare «l’attenzione
per un’analitica esegesi testuale derivata dalla tradizione della scuola fiorentina di Mi-
chele Barbi». Cfr. Tellini (2010: 40), che cita una testimonianza dello stesso Russo,
parlante di sé in terza persona a proposito del periodo 1925-1929 (cfr. Russo, 1929:
9): «Furono quelli gli anni in cui l’autore cercò di umanizzare la sua esperienza di pre-
sunto filosofante ‘siculo-partenopeo’, avvalendosi degli ammaestramenti che gli veni-
vano da un maestro fiorentino, quale Michele Barbi».
«FRANCESCO DE SANCTIS E LA CULTURA NAPOLETANA»… 555

filo culturale, sia sotto quello etico-civile. Elementi non giustappo-


sti, questi, ma costitutivi della fisionomia intellettuale di De Sanctis.
«La mia vita» – aveva confessato – «ha due pagine, l’una letteraria,
l’altra politica; né penso a lacerare nessuna delle due: sono due do-
veri che continuerò sino all’ultimo» 8. Nella monografia del 1928 è
tutta l’opera di De Sanctis a essere considerata da Russo, «in largo
senso, attività pedagogica e politica». Per De Sanctis, scrive Russo,
«la stessa ricostruzione del passato», la storia della nostra letteratura,
era «esame di coscienza, catarsi e rigenerazione, conoscenza riflessa
del nostro presente, presente idealmente concepito come lo stesso
passato in attuazione» 9.
Il desanctisiano binomio, letterario ed etico-politico, assume,
nella monografia del 1928, un valore emblematico. Russo individua-
va in De Sanctis, nel «letterato operante come educatore naziona-
le»10, più che un modello, una vera e propria figura, compiuta sì, ma
con istanze di adempimento che si proiettavano sino all’attualità. De
Sanctis diventava, in quel libro, «figura storica del suo critico»11 (em-
blema di «una sensibilità acuta per i problemi concernenti il rappor-
to società-intellettuali»12 ) e «si caricava di fantasmi» che agitavano il
presente di Russo13. Come testo simbolo della concezione desancti-
siana Russo individuava la straordinaria prolusione pronunciata pro-
prio all’Università di Napoli, nel l872, La scienza e la vita, che si con-
cludeva con un appello rivolto alle Università. Ad esse, già divenute
specialistiche, professionalizzanti «fabbriche di avvocati, di medici e
d’architetti», De Sanctis chiedeva di uscire dal chiuso della loro au-
torefenzialità partenogenetica, di tradurre la conoscenze in forze mo-
rali, di «interrogare le viscere» della «società»14. Anche Russo, sulle
orme del maestro irpino, mandava un messaggio inequivocabile, con
un monito che giunge sino a noi: «studiare e far scuola per essere
politicamente attivi, non per vegetare in accademica acquiescenza»15.

18 De Sanctis (1869: 53).


19 Russo ([1928] 1983: 317).
10 Carpi (1983: 22).
11 Carpi (1983: 20).
12 Luperini (1989: 163).
13 Carpi (1983: 20); Giarrizzo (1997: 51-52).
14 De Sanctis (1972a: 339-340).
15 Carpi (1983: 12).
556 Andrea Manganaro

L’attualizzazione di De Sanctis era però al tempo stesso condotta da


Russo a partire dalla ricerca erudita sull’Università di Napoli, con
«un quasi inusuale puntiglio filologico e documentario», che fa di
questo volume «il suo capolavoro di storico» tout-court (non solo sto-
rico letterario). Ed è «come storico» che Russo «teneva a dichiarare
e ad argomentare la propria opzione per il modello De Sanctis»16.
Assegnare un ruolo centrale a De Sanctis era una scelta dalle for-
ti valenze politico-culturali. Significava, prima di tutto, andare oltre
Croce, per tornare (in altra direzione lo auspicava anche Gentile) al
maestro dello storicismo. Su De Sanctis sin da fine Ottocento si era
infatti esercitata la mediazione e riappropriazione egemonica del «pa-
pa laico» della cultura italiana, Benedetto Croce17. Sin dal 1919 Rus-
so aveva auspicato, rispetto ai valori rondeschi di pura letterarietà, il
«tramonto del letterato» tradizionale, chiuso nella sua autoreferenzia-
lità, e, con lui, «la fine necessaria della letteratura senza contatto or-
ganico con la vita e la realtà, tutta chiusa e appagata entro la dimen-
sione estetica e formale»18. E aveva già attaccato Giuseppe De Ro-
bertis e Vincenzo Cardarelli che contrapponevano il carducciano e
serriano ‘saper leggere’ al desanctisiano ‘fare storia’19. In quello stesso
1928 usciva la Storia d’Italia dal 1871 al 1915 di Benedetto Croce 20.

16 Carpi (1983: 22).


17 Gramsci (2001: 867).
18 Mineo (1997c: 284). Cfr. Luperini (1989: 151): il saggio Il tramonto del letterato

rappresenta «il necessario, ineliminabile retroterra della monografia verghiana che,


senza di esso, risulterebbe assai meno intelligibile nella sua genesi culturale». Cfr.
Compagnino (1997: 101): Il tramonto del letterato, scritto nel 1919, pubblicato nel 1920
in una miscellanea (Benedetto Croce, Napoli, Libreria della Diana, 1920), che compren-
deva, oltre a due di Croce, scritti di Gentile e Di Giacomo, viene ripubblicato pro-
prio nel 1929 in Problemi di metodo critico; Giarrizzo (1997: 30): Il tramonto del letterato
«riprende definizione e damnatio gentiliana dell’uomo italiano di lettere».
19 Carpi (1983: 12-13). Cfr. Russo ([1928] 1933); e in particolare i giudizi su De

Robertis, definito «letterato puro, puro anche per lo strenuo disinteresse degli ideali,
il quale credeva alla sua letteratura e si consumava e struggeva per essa fino allo spasi-
mo» (Russo, 1967: 607-629) e apparentato, per la «sua fisionomia di reazionario della
critica», e i «metodi grammaticali», agli abati Cesari, Zanella, Fornari. «Critica di abati
e non di uomini nuovi, e che ci riporta, con civetterie moderne, alla vecchia critica
dei seminari» (Russo, 1967: 84). Per Cardarelli, «miles gloriosus della milizia letteraria
contemporanea», il ‘senso’ della letteratura italiana consiste, secondo Russo, nella «sua
essenza aulica, illustre, cortigiana, l’ideale dantesco pervertito nell’ideale accademico
del letterato puro, polito e compositore e niellatore del suo ozio» (Russo, 1967: 390).
20 Cfr. Croce (2004).
«FRANCESCO DE SANCTIS E LA CULTURA NAPOLETANA»… 557

E gli elementi che Croce espungeva nel suo libro erano invece con-
siderati da Russo nella propria monografia, intravisti come contrad-
dizioni strutturali nella genesi dello stato unitario, laddove ad esem-
pio riconosceva che «nel liberalismo dei nostri uomini del Risorgi-
mento permaneva un senso aristocratico e una diffidenza istintiva
verso il popolo inferiore; giacché il Risorgimento era stato creazio-
ne di una minoranza, la quale finiva col chiudersi in se stessa, insen-
sibile a ogni movimento che venisse dal basso»21.
Nella monografia del 1928 è il desanctisiano discorso sulla Scien-
za e la vita ad assumere un ruolo chiave. E quella di Russo era una
scelta certamente coraggiosa, se si pensa che su quel testo, in un an-
no cruciale come il 1924 si erano scontrati Croce e Gentile (critico
il primo, per il timore di riutilizzazioni in funzione dell’attivismo
politico, e invece apologetico, pro domo sua, il secondo)22. Della
prolusione desanctisiana Russo faceva propria la condanna contro la
scienza autoreferenziale, contro la cultura che non riconosce il suo
limite, contro la «presunzione e la degenerazione» dei dotti. E ri-
proponeva per il suo presente, con un’eco che arriva ai giorni no-
stri, le opposizioni indicate da De Sanctis: da una parte individuava
la «scienza intellettualistica», «frammentaria e centrifuga», la «scienza
del solitario», senza senso della collettività; è la cultura asistematica,
senza organicità, «“che produce idee sciolte, senza virtù di coesio-
ne”»; e che ha come «“sua arma di guerra”», come proprio stile
mentale e formale, «“non organismi opposti ad organismi”», ma so-
lo l’asserzione obliqua del contrario, «“ironia e caricatura”». A que-
sta cultura irrelata, incoerente, alle «“idee vaganti e ironiche, piovu-
te di qua e di là, miscuglio inconsistente di vecchio e di nuovo,
mutabili ne’ cervelli, secondo il successo e la moda”»23, Russo, ri-
prendendo ancora una volta De Sanctis, opponeva un’idea di cultu-
ra come «sistema, come è sistema la vita»; giacché «senza il sistema,
la scienza e la vita diventano anarchiche o schiave»24. «Intellettuali-
smo», “boria dei dotti”, «frammentarismo scientifico», «chiusa su-

21 Russo (1983: 257).


22 Carpi (1983: 13). Ma cfr. Russo ([1928] 1983: 326-327), sulle divergenti in-
terpretazioni di Croce (cfr. Croce, 1926) e Gentile (Gentile, 1924). Sui rapporti di
Russo con Croce e Gentile cfr. Cutinelli Rendina (2009).
23 Russo ([1928] 1983: 326-327).
24 Russo ([1928] 1983: 328). Cfr. De Sanctis (1972a: 333).
558 Andrea Manganaro

perbia», «neghittoso agnosticismo»25, tecnicismo specialistico, micro-


filologismo: tutti questi caratteri comportano, per Russo, interprete
de La scienza e la vita, l’irresponsabile sottomissione e la colpevole
delega in bianco «ai realisti puri», a «quelli che, con vocabolo alla
moda, si dicono i dinamici dell’azione». Per De Sanctis-Russo «gli
intellettuali prosuntuosi [sic] e impotenti e i machiavellici senza
scrupolo», «l’intellettualismo e il praticismo», sono non due opposti,
ma «due fenomeni della stessa malattia»26. La cultura non è infatti
«patrimonio di singoli intelletti, ma vita e anima segreta di tutta la
nazione»27. Vera cultura è quella che tende sempre a correlare il sin-
golo aspetto (di un’opera letteraria, di un momento storico) agli altri
fenomeni del reale: è il contrario stesso della specializzazione senza
senso storico e senza visione della totalità. Per Russo, come prima
per De Sanctis, è il «carattere di universalità» a distinguere «la vera
dalla falsa cultura, la cultura organica e positiva da quella frammen-
taria, scettica ed ironica». Poiché «una cultura da bramini ed eremiti
è ridicola; come è ridicola l’energia di un solo, in mezzo alla fiac-
chezza generale. […] Cultura, scienza, energia morale, valgono nei
singoli, se sono nella collettività»28. Come già prima per De Sanctis
de L’uomo del Guicciardini 29, così ora Russo si contrapponeva a una
concezione della cultura ridotta a «mero opportunismo e indifferen-
tismo». Di fronte all’apotismo propagandato da Prezzolini, «alla cul-
tura cinica e rinunciataria», Russo insisteva sull’assunzione di re-
sponsabilità: «la migliore visione storica del pro e contro di una qui-
stione, la più efficace historia rerum gestarum, è il rem gerere, il pren-
dere un partito». E infatti, «la storia, la politica che si viene svolgen-
do, non la si racconta; non la si commenta, non la si giustifica me-
glio, che facendola»30. Livio, ricordava Russo, «non è semplicemen-
te un historicus rerum gestarum, ma l’opera sua è essa stessa un rem ge-
rere». E Foscolo «si raccoglie in Santa Croce, o viaggia per i campi
di Maratona o per la Troade inseminata, non per piangervi i dispe-
rati lutti della patria, ma per risvegliare in quella religiosa pace il nu-

25 Russo ([1928] 1983: 328-329).


26 Russo ([1928] 1983: 330).
27 Russo ([1928] 1983: 334).
28 Russo ([1928] 1983: 338).
29 Cfr. De Sanctis (1972b).
30 Russo (1983: 310).
«FRANCESCO DE SANCTIS E LA CULTURA NAPOLETANA»… 559

me che muove le nazioni al loro risorgimento»31. L’unità di scienza


e vita, per Russo, non è solo quella indicata nella prolusione del
1872, ma quella che vedeva già incarnata dallo stesso De Sanctis, vi-
sto ancor più e ancor prima che come critico, come un «educatore»
della coscienza nazionale: i suoi Saggi critici e la sua impareggiabile
Storia della letteratura italiana («monumento lavorato e costruito,
inavvertitamente, nell’animata e umile officina della scuola»)32 erano
momenti di un’azione volta alla «ricostituzione della coscienza» na-
zionale. Solo la ricomposizione della «coscienza» (che non è per De
Sanctis, «l’interiorità morale», ma è connessa alla «comunità etica del
mondo esterno»)33, determinava, nel passato e nel possibile futuro,
la strada moderna del progresso 34. «L’unità di scienza e vita» in De
Sanctis, scriveva Russo, «non era esigenza astratta, ma realtà vissu-
ta»35. Per tale motivo la sua «scuola di critica letteraria si trasformava
in scuola di umanità, se il maestro egli stesso si lasciava prendere
nella sua interezza e sdegnava ogni vacuo dottrinarismo, atto a gon-
fiare non a nutrire lo spirito, e l’accademia, che è seminario di
scienza, ma anche, spesse volte, si sa, bottega di piccoli scandali e
campo di quel che sperano, si trasmutava per lui in una palestra del-
le più nobili e disinteressate idealità». Per il De Sanctis di Russo «il
problema etico dell’insegnamento» di fatto «coincideva assoluta-
mente col problema scientifico»36. Non si trattava di funzioni sepa-
rate, giacché «un problema di critica e un problema di politica na-
zionale gli si configuravano egualmente come un problema di rige-
nerazione morale, e un saggio letterario e un discorso al parlamento,
o una lezione universitaria, prendevano e assorbivano l’uomo in
compiti, successivamente, assoluti»37. Era un’operazione che aveva
il suo riflesso anche nello stile dello scrittore: «il De Sanctis intese,
con tutta l’opera sua, a srettoricare l’Italia, inaugurando una prosa
vivamente rappresentativa, ma asciutta e di tono bonario e parlato,
che, nel campo scientifico e speculativo, facesse riscontro a quella

31 Russo ([1928] 1983: 325-326).


32 Russo ([1928] 1983: 150-152).
33 Cfr. Tessitore (1997: 129).
34 De Sanctis (1996: 548, 623-624).
35 Russo ([1928] 1983: 153).
36 Russo ([1928] 1983: 157).
37 Russo ([1928] 1983: 350).
560 Andrea Manganaro

che, nel campo artistico, era la prosa del Manzoni»38. L’«immagina-


zione» era infatti l’«aristocratica debolezza del popolo italiano», che
«“non ci fa ben disposti all’azione e ci porta a fantasticare, che nutre
l’ozio dell’intelletto, che spesso in quegli ozi getta il germe della de-
pravazione”». Di fronte a questo vizio l’antidoto indicato da De
Sanctis, e ripreso da Russo, consisteva in quella «misura dell’ideale»
già espressa da Manzoni 39.
Ed è questa attività già esplicata dallo stesso De Sanctis, in cui
scienza e vita, ricostruzione storica, rem gerere e historia rerum gesta-
rum, erano l’una complementare all’altra, a costituire la sua profonda
«coerenza politica», antitetica al «particulare» dell’«uomo del Guic-
ciardini», all’indifferentismo, all’apotismo. Ancora una volta De
Sanctis assume, per Russo, una funzione di mediazione tra Croce e
Gentile. Ma la scelta di Russo è inequivocabilmente «anti-autorita-
ria», antidemagogica, antidittatoriale 40: «ogni forma di antropomor-
fismo politico» – scrive Russo – è sempre «una forma inferiore di
fede politica»; «forma di devozione fanciullesca», ma più spesso «for-
ma di ipocrisia e di pigrizia, per cui si abdica tutto nella volontà e
nella spiritualità di un solo, per essere esonerati dall’ufficio travaglio-
so di pensare ed agire». I valori, per Russo, stanno nella idee e nella
coerenza degli uomini. Dietro la difesa del «particulare» si nasconde
infatti sempre il culto, dissimulato, dell’interesse individuale: «gli uo-
mini più intesi al loro “particulare”, istintivamente particolarizzano,
cioè rendono interessate, anche le idee e i simboli. Solo gli uomini
affezionati alle idee, non tradiscono mai: sono fedeli a un partito, a
un movimento, a un’istituzione, per fedeltà a se stessi. Gli altri, gli
antropolatri, sono, a ogni momento virtualmente dei traditori»41.
Così Russo commentava la «coerenza politica del De Sanctis», guar-
dando anche al proprio difficile presente: «Gli assenti, i rifugiati nel-
la tenda di Achille, gli aventiniani hanno sempre torto. La nostra

38Russo ([1928] 1983: 348).


39Russo ([1928] 1983: 341); De Sanctis (1955: 77-79).
40 Cfr. Giarrizzo (1957: 51): «il critico napoletano gli è servito per fare ingoiare

a Croce la sua adesione alla ‘critica gentiliana’; ora il politico De Sanctis, con De Meis
e Spaventa, si offre come strumento per una mediazione in materia di Stato etico (di
Stato cioè che abbia in sé la religione) e in materia di liberalismo in una società di
massa».
41 Russo ([1928] 1983: 267).
«FRANCESCO DE SANCTIS E LA CULTURA NAPOLETANA»… 561

onestà si misura meglio nella lotta e in mezzo alle lingueggianti


fiamme delle tentazioni quotidiane. I rigoristi, talvolta appaiono tali,
perché sono deboli, e fuggono dal mondo profano». E «il rigorismo
etico dei contemplativi» è «spesse volte una specie di riposante egoi-
smo. […] I puritani, che si credono o sono creduti i più puri, han-
no sempre torto: la sola purezza è quella di chi la difende a tutte le
ore, contaminandosi col mondo che gli si muove attorno»42.
Non solo De Sanctis, ma l’intera cultura napoletana, quella dei
vichiani-hegeliani, Spaventa, Settembrini, Tari, De Meis (la sua tesi
sui due ‘popoli’, «l’uno sensuale ed immaginativo riflessivo e pen-
sante l’altro, conciliati infine nella ‘funzione storica’ della monar-
chia» viene «ripresa da Russo per applicarla ad ‘una situazione poli-
tica completamente rovesciata’»43 ) è evocata in questo libro per le
sue valenze attuali. Quello che della cultura napoletana Russo ri-
propone è l’‘animus’ critico, che la contrassegna e «la fa a noi vicina
e contemporanea. La critica come senso storico dei problemi, esame
di sé, nostro stimolo e rigenerazione interiore, creazione di nuovi
valori di vita». Quell’‘animus’ critico non consisteva soltanto in
«un’eredità tecnica e professionale, tramandataci da quei maestri, da
proseguire e sviluppare nel campo degli studi letterari e filologici.
La critica, come quei maestri la intendevano, non era un mero eser-
cizio dell’intelletto, ma era un esercizio di vita». È questo ‘animus’
l’antidoto al vizio del vecchio gusto italiano, lo «scetticismo ironi-
co», l’«estetico gusto del particolare, che lo faceva espertissimo nel
giudicare singoli difetti e singole debolezze, ma assai tardo nel co-
gliere la bontà e la legittimità dell’insieme». L’avversario individuato
dalla cultura napoletana era questa «forma di filologismo, trasportato
nel campo etico e politico»; l’antitesi era «la critica della piccola ra-
gione, blasone di tutti i popoli in decadenza». «Contro cotesta cri-
tica frammentaria, analitica, centrifuga, dispersiva», scriveva Russo,
avevano reagito De Sanctis e la cultura napoletana. Riproponendo
l’eredità della cultura meridionale del secondo Ottocento (e in essa
includeva «la nuova letteratura artistica del Mezzogiorno», «ispirata
dal popolo, e non letteratura elucubrata da dotti»; e pensava in pri-
mo luogo al ‘suo’ Verga, ma anche a Capuana, Di Giacomo, Se-

42 Russo (1983: 318-319).


43 Giarrizzo (1997: 47).
562 Andrea Manganaro

rao)44, Russo si riferiva «precisamente al progresso che questa critica


della grande ragione […] ha voluto generare sul vecchio scetticismo
ironico ed estetico della decadenza. La critica è organismo e sistema,
come l’arte, come l’azione politica, come ogni forma di attività che
trascenda il particolarismo della vita quotidiana»45. E come De Sanc-
tis, concludendo la Storia della letteratura, additava le nubi che si pro-
filavano sul nostro orizzonte e il pericolo del ritorno dei vizi della
nostra tradizione (retorica, arcadia, accademismo, scissione delle pa-
role dalle cose), così Russo concludeva la sua monografia storica
considerando che «la conquista dei nostri maestri […] come tutte le
conquiste, non è mai salda e definitiva, e però è sempre minacciata
o dai ritorni della vecchia critica della piccola ragione, o da una tor-
bida acrisia sensuale e mistica, atteggiamento reazionario, di recente
genesi, di tanta parte d’Italia e d’Europa»46. Emerge così pienamente
la «politicità trascendentale» della monografia di Russo: il suo senso
profondo non consiste assolutamente in un «rivendicazionismo me-
ridionalistico», ma nel «progetto, di ben più ampio respiro e impor-
tanza storica, di contrapporre all’appiattimento e allo squallore cul-
turale seguito alla vittoria del fascismo, una tradizione di pensiero
che, collegandosi al più profondo spirito del Risorgimento, riporta-
va l’Italia in Europa»47.
Il libro di Russo del 1928 assume un ruolo che va pertanto ben
oltre quello di svolta che esercitò nel panorama degli studi su De
Sanctis 48. Anche più tardi, negli anni Ottanta, nella riedizione curata
da Carpi, alcuni nuclei problematici posti dalla monografia («nesso
Stato-libertà-partiti», la riflessione moderatismo-giacobinismo, rap-
porto politica-cultura) venivano ancora segnalati come di «sorpren-
dente attualità»49. E paradossalmente anche per noi, oggi, di fronte
a una funzione della critica letteraria e dell’intellettuale umanista
straordinariamente ridimensionata, condannata, ormai da tempo,
quasi per condizione irreversibile, all’«eutanasia» o al «tramonto»50,

44 Russo ([1928] 1983: 353).


45 Russo ([1928] 1983: 365-366).
46 Russo ([1928] 1983: 367).
47 Mineo (2011: 51).
48 Cfr. Garin (1961); Landucci (1961); Carpi (1983).
49 Cfr. Carpi (1983: 11); Romagnoli (1997: 257-258).
50 Cfr. Lavagetto (2005); Luperini (2013).
«FRANCESCO DE SANCTIS E LA CULTURA NAPOLETANA»… 563

il libro di Russo appare illuminante. Seppur in modo contrastivo,


certo, ci rende consapevoli da una parte della nostra funzione inde-
bolita, di critici e intellettuali umanisti 51, ma dall’altra ci rende anche
coscienti che nessuna funzione può essere rilanciata se non indivi-
duiamo i «princìpi», i fondamenti, le «ragioni storiche e antropolo-
giche della nostra funzione», da dove trarre «le ragioni della nostra
esistenza»52. Il ridursi ai princìpi, scriveva Machiavelli, è necessario
per le «rinnovazioni», per scongiurare la fine, per evitare che una
istituzione sia «al tutto spenta», per garantirne l’esistenza e il futuro 53.

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51 Cfr. Mineo (1997b: 15): «Esiste il critico tecnico specialista e il critico intellettuale

e storico, l’uomo di cultura impegnato a capire singoli aspetti del reale nel quadro di
contesti il più possibile allargati. In questo senso furono critici – e grandi – Foscolo,
De Sanctis e Carducci. È questa la tradizione in cui si inserisce il Russo. […] Il pro-
prio della sua critica fu l’inscindibile correlazione di esigenza di comprensione del sen-
so e del valore delle opere letterarie e di sollecitazioni etiche ed ideologico-politiche».
Cfr. anche Mineo (2011: 48); Mineo (1997c).
52 Luperini (2013: p. 50).
53 Cfr. Machiavelli (2006: 309-314); Inglese (1992: 955, 975-977); Anselmi /

Bonazzi (2011: 135-141).


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