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Il riflesso miotatico non serve dunque a monitorare la lunghezza: una sua spiegazione più plausibile
prende in considerazione l’intero schema neuronale di controllo dei motoneuroni gamma. Le vie dis-
cendenti attivano i motoneuroni gamma e quindi causano lo stiramento del fuso. Quando il muscolo ha
un carico da sostenere il fuso viene stirato e la sua scarica afferente raggiunge i motoneuroni alfa del
muscolo omonimo facendolo contrarre. In caso di un aumento del carico ecco che la scarica fusale au-
menta coerentemente e il muscolo risponde in maniera più potente, opponendosi all’allungamento; se
il carico invece diminuisce il fuso smette di scaricare e il muscolo si allunga fin tanto che non combacia
con lo stato di attivazione dei motoneuroni gamma. Questo meccanismo prende il nome di regolazione
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gamma del riflesso da stiramento. I motoneuroni alfa possono dunque essere influenzati indiretta-
mente per tramite dei motoneuroni gamma e l’ipotesi è che il circuito del riflesso da stiramento serva a
mantenere una posizione pur non essendone la causa fondamentale.
Al fine di provare questa ipotesi vennero fatti vari esperimenti, tra i quali chiedere ad un soggetto di
flettere lentamente e a velocità costante l’indice. Quando un muscolo si contrae la sensibilità del fuso
viene mantenuta dai motoneuroni gamma: gli alfa accorciano il muscolo, i gamma mantengono la
lunghezza del fuso allineata con quella del ventre muscolare. In generale tutti i movimenti studiati, di
qualunque tipo, vengono eseguito mandando dei segnali eccitatori sia ai motoneuroni alfa che gamma,
quindi avvengono tramite quella che si chiama coattivazione alfa-gamma. La coattivazione garantisce
che il fuso sia in grado di segnalare la lunghezza del muscolo anche durante la fase di accorciamento.
La figura dell’esperimento mostra che, pur avendo richiesto un movimento a velocità costante, questa
in realtà oscilli tra un minimo ed un massimo: queste diverse velocità trovano corrispondenza nella
scarica fusale che è minore dove la velocità è maggiore. Questo risultato è espressione del fatto che
il SNC anche se programma un movimento a velocità costante in realtà non mantiene costante il
valore punto per punto, ma mantiene costante la media. La capacità di mantenere costante la media
ruota attorno al fuso muscolare; quando la velocità è maggiore del previsto la scarica di contrazione
del muscolo e la scarica fusale vengono disaccoppiate e il SNC interpreta questo come il segnale per
rallentare: l’opposto accade in caso di una contrazione troppo lenta. Un movimento lento di flessione
di un dito diventa dunque un movimento scorrevole privo di oscillazioni grazie all’aiuto del riflesso da
stiramento, che ha dunque una funzione di assistenza nei confronti di altri sistemi motori.
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Una seconda interpretazione del riflesso è che esso contribuisca, insieme al riflesso inverso, a man-
tenere costante la rigidezza (K) di un muscolo. La rigidezza è definita come
ΔT ensione ΔT
K= =
ΔLunghezza ΔL
Quando viene introdotta una variazione di lunghezza la tensione può aumentare o meno a seconda
dello stato di rigidezza del muscolo. Se la rigidezza è costante, e questo è ottenibile regolando i due
riflessi, la possibilità di raggiungere una posizione finale viene incrementata. La relazione tensione-
lunghezza di un muscolo dice che la tensione sviluppabile dipende dalla lunghezza, ma questo valore
cambia sempre nelle diverse condizioni meccaniche: in altre parole dovrei far partire comandi diversi
a seconda della posizione in cui si trova il muscolo e il controllo motorio sarebbe complicatissimo.
L’esistenza di un sistema capace di mantenermi costante la rigidezza mi permette di semplificare il
sistema di controllo facendo a meno di considerare la lunghezza del muscolo al momento dell’inizio del
movimento. Quando un muscolo si contrae si ha segnalazione della variazione di lunghezza da parte del
fuso e della variazione di tensione da parte dell’organo tendineo del Golgi: entrambe queste segnalazioni
possono essere modificate da segnali discendenti e quindi anche la rigidezza è controllabile. L’idea
di fondo è dunque che il comando motorio volontario fornisca l’istruzione per il movimento, ma che
l’adattamento in funzione dei carichi e in funzione della lunghezza è operato dal coordinamento di
riflesso miotatico e riflesso miotatico inverso.
Riflesso flessorio Il riflesso flessorio coinvolge i muscoli flessori che servono ad allontanare una
parte del corpo da uno stimolo; lo stimolo più importante per evocare questo riflesso è lo stimolo
nocivo, quindi l’attivazione dei nocicettori. Una proprietà fondamentale di questo riflesso è il suo ruolo
protettivo nei confronti dell’organismo: tende ad allontanare l’arto dalla sede nociva e quindi a limitare
il danno. In pazienti privi di tale riflesso spesso si nota un deturpamento delle mani che non vengono
allontanate da situazioni pericolose.
Le informazioni afferenti vengono trasportate dalle fibre A-delta e C che all’interno del corno dorsale si
ramificano e prendono contatto con diversi interneuroni: si tratta infatti di un circuito polisinaptico.
Lo schema neuronale è tale per cui il muscolo flessore viene eccitato e si contrae mentre i muscoli
antagonisti estensori vengono inibiti e si rilasciano. Questo riflesso ha la caratteristica di influenzare
i muscoli di più articolazioni: questo impone al segnale afferente di viaggiare verso altri segmenti
midollari e quindi è necessario reclutare interneuroni spinali che mettono in contatto le diverse regioni
del midollo. Quando l’arto si allontana si nota che la contrazione persiste anche dopo che lo stimolo
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non viene più percepito: un’altra proprietà del riflesso sarà dunque quella di contare su un circuito
riverberante. In questo riflesso, più che in altri, è evidente il rapporto tra la sede dello stimolo e la
sede della risposta e tra l’intensità dello stimolo e l’intensità della risposta.
In un animale bipede o quadrupede in movimento, in caso di attivazione del riflesso flessorio è concreto
il rischio di caduta: questo è evitato grazie al fenomeno dell’estensione controlaterale. La risposta ri-
flessa è infatti tale per cui l’arto controlaterale a quello in cui è evocata si estende facendo da sostegno:
una coppia di arti in diagonale si estende e supporta il peso mentre l’altra coppia si flette e si allon-
tana dallo stimolo. Il riflesso flessorio interessa dunque tutti gli arti, riducendo i danni e preparando
l’organismo ad una reazione. Questo circuito riflesso è in realtà attivato anche dai meccanocettori, solo
che gli effetti eccitatori di questa risposta sono molto modesti in condizioni fisiologiche: in patologia
invece uno stimolo innocuo può evocare una risposta riflessa completa. Un equivalente del riflesso
flessorio degli arti è presente a livello della mandibola, che infatti viene aperta inconsciamente se i
nocicettori dei denti o della lingua vengono attivati.
Il riflesso flessorio fa parte di un gruppo di riflessi polisinaptici legati ai recettori cutanei che hanno
particolare importanza in medicina; di questo stesso gruppo fanno parte anche:
• Riflessi addominali: lo stimolo dell’addome con una punta smussa genera contrazione dei mus-
coli sottostanti in un’organizzazione topografica precisa.
• Riflessi plantari: stimolando con una punta smussa il dorso del piede si ottiene flessione plantare
delle dita. Questo riflesso per manifestarsi richiede un certo grado di controllo centrale e in con-
dizioni di lesione della via corticospinale la stimolazione produce un’estensione a ventaglio delle
dita detta riflesso di Babinski. In un bambino di pochi mesi il riflesso di Babinski è fisiologico e
aspettabile, ma se oltre i due anni è ancora presente è sintomo di una lesione delle vie discendenti.
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La prima ipotesi fu la prima a cadere: se il movimento ritmico fosse volontario non dovrebbe avvenire a
seguito di una disconnessione tra le porzioni superiori ed inferiori del sistema nervoso. L’esperimento
fu semplicemente prendere un gatto spinalizzato, metterlo su un tapis roulant e vedere che in effetti
l’animale esegue una locomozione: il movimento non può dunque essere volontario, perchè può essere
prodotto anche in assenza di connessioni con il sistema nervoso intracranico.
Da un punto di vista esclusivamente teorico in effetti la locomozione potrebbe essere il risultato di una
serie di riflessi: in particolare è ipotizzabile uno schema in cui un riflesso crea le condizioni stimolanti
per evocarne un secondo e così via. Pur essendo possibile in via teorica, questa ipotesi venne messa in
crisi agli inizi del 1900 da esperimenti che diedero risultati non spiegabili con le catene di riflessi; in
questi esperimenti, dopo aver sezionato il midollo e deafferentato alcune radici spinali in un animale
da esperimento, si notò che erano presenti movimenti locomotori per un paio di minuti, appariva cioè
una locomozione spontanea non spiegabile come riflessa. Negli anni ’60 nuovi esperimenti e nuove
conoscenze giustificarono i risultati dei primi del secolo. In un primo esperimento in animali in cui er-
ano state sezionate le radici dorsali (cioè incapaci di avere riflessi) l’iniezione di L-dopa a livello spinale o
sistemico provocava l’insorgenza di movimenti locomotori. Se tramite un neurotrasmettitore è possibile
ottenere una locomozione anche in assenza di afferenze al midollo spinale ecco che cade la possibilità
che i movimenti ritmici siano generati da una successione di riflessi. Un secondo esperimento fornì altri
risultati interessanti; se ad un animale posto su di un tapis roulant viene immesso curaro in circolo la
locomozione ovviamente si blocca, ma se si va a registrare l’attività nervosa delle fibre che innervano
estensori e flessori si individua comunque un’attività ritmica alternata. L’attività nervosa dunque è
sempre presente, ma non può essere condotta a compimento perchè è presente il curaro.
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Riassumendo il discorso sulla natura del movimento ritmico:
• Non è possibile che si tratti di un movimento volontario, perchè si ottiene anche se viene separato
il midollo spinale dalle porzioni superiori.
• Non è possibile che si tratti di uno schema di riflessi, perchè è ottenibile anche in condizioni che
precludono l’esistenza di qualsiasi tipo di riflesso.
Queste due condizioni creano le basi per definire un terzo tipo di movimento: nel SNC esistono infatti
dei circuiti di neuroni definiti generatori centrali di schemi motori, che quando vengono attivati
producono un’attività motoria ritmica. Questi generatori sono attivati o da segnali volontari o da stimo-
lazioni provenienti da altre porzioni del SNC o infine da stimolazioni provenienti dai recettori periferici;
qualunque sia la via di attivazione, quando un generatore viene stimolato il segnale in ingresso atti-
vante viene trasformato in un segnale di uscita alternato con ritmicità tra fasi di oscillazione e fasi di
appoggio. Un dato interessante è che si giunge a queste stesse conclusioni anche studiando il moto dei
pesci e il volo degli uccelli: i generatori centrali sono dunque comparsi per generare schemi motori e si
sono poi adattati all’ambiente di vita dei vari animali.
I generatori centrali di schemi motori sono innati e quindi il movimento ritmico si basa su circuiti
innati e precostituiti al pari dei movimenti riflessi. I bambini non riescono a camminare perchè i
controlli discendenti non sono maturi, ma i circuiti midollari sono già pronti alla nascita. Se ad un
animale in movimento viene afferrata una zampa impedendone la locomozione non si ottiene un arresto
della locomozione stessa perchè l’altro arto continua a compiere movimenti alternati: questo è una
prova dell’esistenza di quattro generatori centrali, uno per arto, tra loro coordinati per ottenere un
movimento fluido.
In tutti gli animali da esperimento è possibile indurre locomozione andando a stimolare determinate
regioni corticali: nel gatto la regione più importante in questo ambito è la regione locomotoria mes-
encefalica; questa regione proietta ai generatori e quando stimolata produce la locomozione. Quando
la regione locomotoria mesencefalica viene stimolata a diverse intensità cambia il tipo di coordinamento
dei motoneuroni: stimoli a bassa intensità producono un’andatura lenta mentre stimoli ad alta inten-
sità non cambiano l’ampiezza dei movimenti, ma l’accoppiamento dei generatori (trotto/galoppo negli
animali).
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