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WILHELM FRAENGER
IL REGNO MILLENARIO DI
HIERONYMUS BOSCH
A C U R A D I G IA N N I C O L L U
Poco o nulla sappiamo della vita di Hieronymus
Bosch, e scarse sono anche le notizie relative all’am-
biente in cui si formò. La sua vicenda umana rimane
avvolta in un alone di leggenda impenetrabile che
non poco ha contribuito ad alimentare le più svariate
supposizioni intorno alla sua arte. Ma e proprio dei
grandi spiriti sollecitare indagini e interpretazioni tal
volta antitetiche tra loro. Nel caso di Bosch, alcuni
hanno creduto di vedere nella sua opera un corrispet
tivo, più o m eno fedele, della classificazione del m on
do elaborata dai teorici dell’alchimia; altri vi hanno
scorto un prodotto dell’ossessione demoniaca e visio
naria propria del tardo M edioevo; altri ancora, infine,
una severa critica, in chiave satirico-grottesca, dei co
stumi e delle leggi del tempo.
Wilhelm Fraenger, in questo libro di straordinario vi
gore esegetico, che compendia decenni di minuziosi
e pazienti studi sull’argomento, coglie nell’arte di
«questo Virgilio della pittura olandese» una proie
zione del messaggio religioso e rituale della comunità
adamita dei «Fratelli del Libero Spirito», ai cui m iste
ri il pittore sarebbe stato iniziato, ricevendone la
commissione del Regno millenario, concepito dun
que con intenti e finalità pedagogici, in quanto docu
mento da «leggere» affidato alla libera e personale
interpretazione degli adepti-osservatori. La tesi,
insieme enigmatica e affascinante, intorno alla quale
ruota questo viaggio dentro gli innumerevoli travesti-
menti metaforici di un universo linguistico cifrato ma
tutt’altro che ambiguo, si precisa quando Fraenger,
dietro il trittico e, più in generale, dietro l’intera fan
tasmagoria del mondo boschiano, adombra la presen
za, evidente, di un ispiratore sinora ignorato. In altre
parole, quelle che sono sempre parse immagini oniri
che partorite da una fantasia spinta talvolta ai limiti
del delirio, in realtà non sarebbero altro che rappre
sentazioni suggerite da un mentore dai vastissimi
orizzonti, il Gran Maestro del Libero Spirito, artefice
di «un progetto tanto ambizioso quanto articolato in
ogni minimo particolare», nel quale si sarebbe confi
gurato un sistema spirituale fondato su una triplice
istanza: teologica, filosofica e pedagogica. Ma, al di là
di questa tutela originaria, l’«esecuzione» dell’artista
è sottratta ad ogni artificio compositivo: ogni partico
lare, sia esso riferito al mondo minerale, vegetale,
animale o, più semplicem ente, ai comuni episodi del
la vita quotidiana, sgorga spontaneo da una «volut
tuosa delizia creativa» che illustra i concetti fonda-
mentali degli exempla dei predicatori e tutta la com
plessa simbologia della religiosità medievale.
N ella storia della pittura occidentale nessun pittore
visse un’esperienza iniziatica così profonda, che, sul
piano artistico, costituì un potente esempio di ener
gia mistico-demoniaca al quale non rimasero insensi
bili alcuni fra i più inquieti interpreti della coscienza
moderna, da G oethe a Novalis, da Fussli a Goya, da
Blake ai surrealisti.
GUANDA
N otizia sulla vita e le opere di W ilh elm Fraenger
7
singolare quanto straordinario, a noi tutti superiore per sapienza, intensità
spirituale e personalità: il dottor Wilhelm Fraenger... per me egli era il
punto di attrazione più forte di tutta la città, che pure era abitata da
molti spiriti superiori... L ’Unione di cui egli era ispiratore ad Heidelberg
formava un sodalizio spirituale, una sorta di congiura contro l ’università.
La forza esplosiva dell’arte moderna, della nuova, provocatoria letteratura,
di una spregiudicata ricerca, doveva far saltare in aria l’accademismo dei
vecchi professori e porre al loro posto una provincia pedagogica più ade
rente al nostro tempo e al nostro sentimento della vita, dotata di slancio
rivoluzionario ».
Nel 1927 gli era stato affidato l’incarico di direttore della Biblioteca del
Castello di Mannheim, che egli riorganizzò radicalmente, ma l ’acquisto da
parte della biblioteca stessa, nel 1933, di un’enciclopedia sovietica e una
conferenza su Rembrandt sul tema « Sinagoga e Oriente », furono utiliz
zati dai nazisti come pretesto per allontanarlo dal suo incarico. I suoi libri
furono bruciati ed egli venne espulso anche dalla direzione degli « Jahr
buchs für historische Volkskunde » (Annuari di storia della cultura popo
lare) da lui fondati. Fraenger tornò alla sua libera professione di scrittore.
Negli anni seguenti scrisse un’opera sull’Alhambra di Clemens Brentano,
pubblicò due opere su Matthias Grünewald, collaborò alla rivista « G e
brauchsgraphik », curò diverse antologie e collaborò ad alcune trasmissioni
letterario-musicali della radio di Francoforte e di Berlino. Si dedicò in
quel periodo anche ai suoi studi su Hieronymus Bosch e Jörg Ratgeb,
ma non potè portarli a termine poiché la libera professione non gli garan
tiva più la sussistenza.
Accettò quindi l ’incarico di consulente artistico, offertogli dall’attore
Heinrich George, suo amico di vecchia data, presso lo « Schillertheater »
di Berlino. Nel corso del secondo conflitto mondiale si trasferì a Päwesin,
dopo che un violento bombardamento aveva distrutto il suo appartamento
berlinese e gravemente compromesso la sua salute. Qui scrisse II Regno
millenario di Hieronymus Bosch. Nel maggio 1945 fu eletto sindaco della
città. Nel settembre dello stesso anno, Fraenger accettò l ’incarico di Con
sigliere per l ’Istruzione Popolare e la Cultura a Brandeburgo, dove, un
anno dopo, assunse anche la direzione della Scuola Popolare Superiore. Le
sue condizioni di salute lo costrinsero in seguito a rinunciare a questi in
carichi e alla direzione della Goethehaus di Weimar, offertagli dal Mini
stero della Cultura della Turingia.
Nel 1952 accettò la libera consulenza presso l’Istituto di Cultura Popo
lare dell’Accademia Tedesca delle Scienze a Berlino. Fondò in seguito il
« Deutsches Jahrbuch für Volkskunde » (Annuario tedesco di cultura po
polare), contribuì alla creazione della rivista « Demos » e prosegui gli
studi su Ratgeb e Bosch. Nel 1955 gli fu assegnato il titolo di Professore.
In occasione del suo 70° compleanno venne insignito deH’Ordine per il
Merito Patriottico e nel 1961 l’Accademia delle Scienze di Berlino lo no
minò membro onorario.
Morì nel febbraio 1964, in seguito a un’improvvisa crisi cardiaca.
Bibliografia
9
PP- 35' 58; ristampato in Blick auf Beckmann. Schriften der Max Beck
mann Gesellschaft (Uno sguardo su Beckmann. Scritti della Società
Max Beckmann), München, 1962, pp. 36-49.
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stra di Ensor in Germania, allestita dalla Kestner-Gesellschaft, Han
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Amsterdam, 1953, pp. 5-30; ristampato nel catalogo della mostra di
Ensor allestita dall’associazione artistica del Württemberg, Stuttgart,
1972, pp. 142-158.
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tesimo secolo), in « Jahrbuch für historische Volkskunde », vol. II,
Berlin, Herbert Stubenrauch Verlag, 1926, pp. 126-173.
Altdeutsches Bilderbuch. Hans Weiditz und Sebastian Brant (Il libro il
lustrato tedesco nell’antichità), Leipzig, Herbert Stubenrauch Verlags
buchhandlung, 1930.
Matthias Grünewald in seinen Werken. Ein physiognomischer Versuch
(Matthias Grünewald nelle sue opere. Un tentativo fisiognomie»),
Berlin, Rembrandt-Verlag, 1936.
Matthias Grünewald: Der Jsenheimer Altar (Matthias Grünewald: la pala
di Isenheim), Basel, Benno Schwabe & Co., 1937.
Hieronymus Bosch: Die Andacht zum Kinde (H. B.: l’Adorazione del bam
bino), in « Die neue Rundschau », fase. V I, 1943, pp. 221-226.
Hieronymus Bosch: Das Tausendjährige Reich. Grundzüge einer Aus
legung (H. B.: il Regno millenario. Fondamenti di un’interpretazione),
Coburg, W inkler Verlag, 1947.
Hieronymus Bosch: Johannes der Täufer. Eine Meditationstafel des Freien
Geistes (H. B.: San Giovanni Battista. Una tavola per la meditazione del
Libero Spirito), in « Zeitschrift für Kunst », fase. I l l , 1948, pp. 163-175.
Hieronymus Bosch: Johannes auf Vatmos. Eine Umwendtafel für den
Meditationsgebrauch (H. B.: San Giovanni a Patmos. Una tavola gire
vole per la meditazione), in « Zeitschrift für Religions und Geistes
geschichte », anno II, 1949-50.
Die Hochzeit zu Kana. Ein Dokument semitischer Gnosis bei Hiero
nymus Bosch (Le nozze di Cana. Un documento di gnosi semitica in
H. B.), Berlin, Gebr. Mann Verlag, 1950.
Hieronymus Bosch: Der verlorene Sohn (H. B.: Il Figliol prodigo), in
«Castrum Peregrini», fase. I, Amsterdam, 1951, pp. 27-39; ristampato
in « Zeichen der Zeit », periodico evangelico, fase. I l l , 1952; ristam
pato in « A tti del II Congresso Internazionale di Studi Umanistici »,
Roma-Milano, 1952, pp. 187-194; ristampato in « Il Figliol prodigo di
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Hieronymus Bosch: Der Tisch der Weisheit. Bisher « Die sieben Todsünden
genannt » (H. B.: Il tavolo della saggezza. Sinora detto « I sette pec
cati capitali »), in « Psyche, Zeitschrift für Tiefenpsychologie und
Menschenkunde», anno V , fase. V I, 1951, pp. 355-384.
Dürers Gedächtnissäule für den Bauernkrieg (Il monumento di Dürer
alla guerra dei contadini), in Beiträge zur sprachlichen Volksüberlie-
IO
ferung (Saggi sulla tradizione linguistica popolare), pubblicazione della
Commissione per lo Studio della Cultura Popolare, vol. II, Berlino,
! 953> PP- 126-140.
Der Teppich von Michelfeld (Il tappeto di Michelfeld), in « Deutsches
Jahrbuch für Volkskunde », vol. I, anno 1955, pp. 183-211.
Jörg Ratgeb, ein Maler und Märtyrer des Bauernkriegs (Jörg Ratgeb, pit
tore e martire della guerra dei contadini), in « Castrum Peregrini »,
fase. XXIX, Den Haag, 1956, pp. 5-25.
Der vierte König des Madrider Epiphanias-Altar von Hieronymus Bosch
(Il quarto re della pala dell’Epifania di H. B. a Madrid), in « Deutsches
Jahrbuch für Volkskunde », vol. II I , Berlin, 1957, pp. 169-198; ristam
pato in « Castrum Peregrini », fase. XXXII, Amsterdam, 1957, pp. 25-62.
Hieronymus Bosch: Der Büsser St. Hieronymus (H. B.: San Gerolamo pe
nitente), in « Castrum Peregrini », fase. XXXII, Amsterdam, 1957-58,
PP- 5-13.
Hieronymus Bosch: Die Versuchungen des hl. Antonius (H. B.: Le ten
tazioni di sant’Antonio), in « Archivio di filosofìa », Padova, 1957; ri
stampato in « Hessische Blätter für Volkskunde », voll. 49-50, 1958,
pp. 20-27; ristampato in « Castrum Peregrini », fase. XXII, Amsterdam,
1968, pp. 15-24.
« Das Lied des Moses » als Zentralmotiv der Lissaboner « Versuchungen
des hl. Antonius » von Hieronymus Bosch (« Il canto di Mosè » come
motivo centrale delle «Tentazioni di sant’Antonio» di Lisbona di H .B.),
Amsterdam, numero speciale di «Castrum Peregrini», fa se .L V III, 1963.
II
N ota sull’edizione
13
L a sim bolica di Bosch
2
G li elementi biografici sono scarsi: si perdono le tracce
di Bosch dagli inizi del X V II secolo, e i documenti d ’ar
chivio recentemente scoperti non ci forniscono alcun ele
mento sullo sviluppo spirituale del pittore. Non sappiamo
né quando sia nato né chi fossero i suoi maestri, amici o
mecenati; ignoriamo da dove abbia ripreso questi strani
soggetti che superano così singolarmente i quadri dell’arte
religiosa tradizionale. Ci risulta solo che un certo Jan van
Aken, probabilmente originario di Aquisgrana, della gene
razione di poco anteriore a quella di Hieronymus van Aken,
detto Bosch, acquistò nel 1399 il diritto di cittadinanza a
Hertogenbosch. A partire da questa data, troviamo nei re
gistri della città molte persone con questo nome in qua
lità di artisti artigiani, senza che sia peraltro possibile se
guire in modo univoco la ramificazione della famiglia. Sap
piamo che il pittore Bosch ha collaborato alla decorazione
della grande cattedrale di San Giovanni nella sua città
natale, realizzando numerose pale e progetti di vetrate,
distrutte poi dagli iconoclasti. Era sposato, proprietario di
una casa e membro della rispettabile ‘Confraternita di
Nostra Signora del Cigno'. I registri di questa confraternita
fanno menzione del suo decesso. Morì nel 1516 , quindici
anni prima della moglie, Aleide van Mervenne, alias Brants.
A giudicare da un ritratto che si trova ad Arras, avrebbe
raggiunto la sessantina.
È tutto quello che sappiamo di lui. Tuttavia, se è vero
che il tramandarsi più o meno consistente dei dati bio
grafici non è attribuibile solo alla sorte casuale dei docu
menti, si è in diritto di analizzare questo stesso silenzio
come rivelatore. Come già nel caso di Mastro Mathis
von Aschaffenburg, l’irreperibilità di elementi biografici
è un indice significativo della personalità del maestro:
egli aveva scelto di condurre una vita ritirata in una città
come Hertogenbosch, centro situato a latere delle correnti
artistiche delle vecchie scuole di pittura olandese.
Ora che i simboli della sua opera hanno perso per noi
il loro significato, possiamo solo parzialmente cogliere
l’universo interiore del pittore. Le fonti della sua arte ci
sfuggono. Se il silenzio degli archivi può spiegarsi con
la vita provinciale e il carattere riservato del pittore, la
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volatilizzazione pura e semplice dei significati della sua
opera è tra le più sorprendenti, se si pensa che solo cin
que secoli ce ne separano e che il resto dell’iconografia ''
del tardo Medioevo è stato ormai ampiamente analizzato
dagli storici dell’arte.
Anche tenendo conto del costante ed ermetico isola
mento di Bosch, è pur vero che nei simboli della sua pit
tura si manifesta un mondo deliberatamente e consapevol
mente rivelato. In nessun caso può trattarsi dei fantasmi
di un sognatore esaltato e irresponsabile, poiché questi
fantasmi sono stati dipinti su pale d’altare e su quadri di
devozione. Questi simboli, secondo il duplice senso del
termine, non sono soltanto segni che alludono a un si
gnificato, ‘parole d’ordine’, ma anche professioni di fede,
'confessioni'. Per raggiungere il loro obiettivo di edifica
zione, essi dovevano prima di tutto essere intelligibili.
Sebbene ostacolati dal capriccio della storia, ci è tut
tavia possibile analizzare questa materia ribelle attraverso
un’attenta differenziazione. Questo divide et impera porta
in primo luogo alla constatazione che i misteriosi rebus
di Bosch non si trovano in tutte le sue opere, ma soltanto
in certe pale e in taluni quadri edificanti. Questo primo
gruppo, nettamente definito, si compone essenzialmente
di tre trittici: II Regno millenario, a Madrid (conosciuto
sino ad oggi come II Paradiso delle delizie), Le tentazioni
di sant'Antonio, a Lisbona, e II carro di fieno, anch’esso
a Madrid. Accanto a queste pale, cariche di simboli, tro
viamo altri dipinti in cui il simbolismo non è che acces
sorio. In altri quadri infine, quali La Passione e L ’adora
zione dei Magi, il simbolismo scompare quasi compieta-
mente. Bisogna dunque distinguere tra queste ultime
opere immediatamente intelligibili e tradizionali e quelle
del primo gruppo, che sfuggono a ogni tradizione e con- '
venzione, e il cui simbolismo enigmatico ci sconcerta.
Proseguendo l ’analisi dei due gruppi di opere, si con
stata la significativa opposizione tra i fini devoti del se
condo gruppo e l ’aspra satira del primo. Nei motivi an
ticlericali di questi dipinti si sente già aleggiare la Ri- ;
forma. Esistono dunque nell’opera di Bosch, distinte e
opposte, una tematica clericale e una anticlericale. Que-
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sta dualità fa della sua arte la testimonianza di un’epoca
di transizione. E non è tutto: lo stesso primo gruppo
appare scisso in due, giacché alla denunzia anticlericale
si sovrappone un’altra critica, non meno appassionata,
che ha come oggetto gli eccessi fanatici di certe sette
occulte. In questo primo gruppo delle sue opere religiose
si assiste a un fuoco incrociato di satira sociale. A volte
sono le monache e i monaci, nel costume medievale del
loro ordine, ad essere attaccati, a volte lo sono preti e
sibille gnostiche, ritratti con ornamenti fantastici, accom
pagnati da una turba demoniaca di maghi e di streghe
che assumono, secondo la tradizione nordica, l ’aspetto
vegetale di nocciòli e salici.
A i due gruppi principali delle opere di Bosch corri
spondono due committenti in contrasto fra loro: la Chiesa
da una parte, protettrice accreditata della pala, e dal
l ’altra un oppositore rivoluzionario che, versando vino
nuovo negli otri vecchi, conserva la forma tradizionale
della pala facendola poi esplodere con l ’audace originalità
del contenuto. L ’ambigua tematica di questo gruppo in
dica che questo diverso committente, che simultaneamente
lottava contro le sregolatezze della Chiesa e quelle dei
culti pagani, va ricercato negli ambienti che precorrevano
la Riforma.
Bosch servì in tal modo due padroni antitetici, dato
che la sua opera riflette sia le correnti conservatrici sia
quelle riformiste: si potrebbe quindi accusarlo di una
certa mancanza di coerenza personale. Ma queste opposi
zioni irrisolte sono proprie di un’epoca di transizione qua
le la sua: la rigidità delle posizioni non escludeva per
nulla una sorprendente tolleranza. Monaci illuminati po
tevano far parte delle sette più radicali senza peraltro
abbandonare il loro convento; allo stesso modo, i più
lungimiranti tra i portavoce della Chiesa, convinti della
necessità di una sua profonda riorganizzazione, potevano
commissionare, a patto che questo non provocasse uno
scandalo pubblico, una pala ad un pittore abbastanza au
dace da non celare le sue simpatie riformiste.
Per misurare immediatamente la natura e il grado di vi
20
rulenza satirica di Bos(;h, citiamo due esempi di satira, uno
diretto contro la Chiesa, l’altro contro le sette occulte.
È sufficiente prendere in considerazione un solo mo
tivo del Carro di fieno, potente parafrasi del profeta Isaia.
Sul lato sinistro del pannello centrale osserviamo un men
dicante steso per terra, in ozio, con la testa confortevol
mente poggiata sul grembo di una monaca. Dietro il men
dicante, di spalle, simile a un predicatore nel deserto, con
il braccio destro levato si erge il profeta Isaia. Egli mette
in guardia gli Ebrei che si avvicinano contro la vanità della
carne e il castigo divino che li attende. Questa scena, a
prima vista secondaria, è invece della più grande impor
tanza e fornisce la chiave del pannello: la monaca preme
contro il suo seno un lattante. Da questo particolare pos
siamo riconoscere in lei l ’oscura profetessa di cui parla la
Bibbia. Isaia fu inviato presso di lei per assistere alla na
scita, così carica di conseguenze, del figlio di cui era in
attesa:
« Io mi ero avvicinato alla profetessa; essa concepì e
mise al mondo un figlio. L ’Eterno mi disse: dagli il nome
di Maher-Schalal-Chasch-Baz, poiché prima che il fanciullo
possa dire « padre mio, madre mia », le ricchezze di Dama
sco e il bottino di Samaria saranno portati davanti al re
di Assiria » (Isaia v m , 3-4).
Questo termine di ‘Maher-Schalal-Chasch-Baz’ (vale a
dire 'Presto saccheggia, lesto depreda’) dà il tono all’in
tero primo piano e lo riassume. Le monache e i monaci
sono in prima fila in questa calca di prevaricatori cupidi.
Monache litigiose si azzuffano e riempiono di fieno il
sacco che dovrebbe servir loro per la colletta. Con il volto
rotondo e paffuto, un abate adiposo sorveglia il sacco
mentre innalza il bicchiere con lo sguardo devotamente
levato al cielo. La monaca che si trova all’estremità del
primo piano tenta un approccio con un musico dall’aspet
to ambiguo e cerca di sedurlo con una manciata di fieno.
Bosch denunzia così, con un rigore non meno inesorabile
di quello dell’antico testamento, l ’ascetismo ipocrita. Con
la profetessa biblica, è tutta la corruzione morale dei
conventi che viene ad essere stigmatizzata: il padre di
'Presto saccheggia, lesto depreda’ non è altro che un vol
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gare mendicante. Il comune denominatore di tutta la
scena è il concetto monacale di povertà, che nei due per
sonaggi del vagabondo e della monaca si definisce come
una forma di parassitismo.
Del tutto simile alla satira antimonacale del Carro di
fieno, la satira rivolta contro le sette occulte si fonda su
citazioni tratte dalla Bibbia. Prendiamo, ad esempio, il
torvo saturnale dipinto nelle 'Tentazioni di sant’Antonio
di Lisbona. Il pannello centrale mostra in tutto il suo
orrore una messa nera. La grande sacerdotessa e due dei
suoi accoliti offrono la comunione, in bicchieri e piattini,
a una turba strisciante di creature corrotte. Sulle mitre
delle sacerdotesse si attorcigliano serpi e crescono spine,
per indicare che il vino elevato in offerta non è altro che
il ‘veleno delle vigne di Sodoma’ di cui parla la Bibbia:
« Le loro viti sono viti di Sodoma e dei dintorni di
Gomorra, la loro uva è uva di fiele, e i loro grappoli sono
grappoli amari. Il loro vino è veleno di draghi, e mortifero
veleno d ’aspide sono le loro opere» (Deuteronomio x x x n , 32-33).
Lo sguardo da basilissa della grande sacerdotessa, nera
come catrame, è quello di una vipera arrabbiata. Bosch
sottolinea il carattere sacrilego dell’eucaristia pervertita:
una negra presenta su una tavoletta rotonda il sacramento
sessuale viscoso del mistero, vale a dire una rana, idolo
dalle braccia levate, che sorregge un uovo, simbolo di pro
creazione palustre e di promiscuità rituale. Tali motivi
pittorici non sono ‘inventati’, è evidente, ma rappresen
tano nei minimi dettagli realtà rituali precise ed auten
tiche. Bosch, nemico mortale di tali sette clandestine, ri
vela questi dettagli con perfetta conoscenza di causa e li
fissa sulla tela a guisa di trofei satirici.
Siamo pienamente d’accordo con Cari Justi nel ricono
scere al clero, « che ha annoverato nei suoi ranghi i più
grandi scrittori satirici e umoristici, Rabelais e Swift »,
un « senso dell’umorismo più sviluppato di quanto non si
abbia tra i bigotti laici ». 1 Ma pur tenendo conto della
1 Cari Justi, Die Werke des Hieronymus Boscb in Spanien (Le opere
di Hieronymus Bosch in Spagna), in « Jahrbuch der Preussischen Kunst-
tolleranza relativa che precedette la Riforma, dobbiamo
decisamente escludere che tali rappresentazioni abbiano
mai avuto accesso agli altari della Chiesa. Si è tentato di
dimostrare in tempi recenti che la sede di questi dipinti
era il refettorio e non l’altare. L ’ipotesi non è certo da
prendere sul serio. Come se i refettori dei conventi fos
sero dei luoghi dissoluti! La regola monastica presenta
una tendenza contraria: diviene più dura, invece di allen
tarsi, in questi luoghi in cui l’uomo soddisfa le esigenze del
corpo, esigenze sempre sentite come umilianti da uno
spirito ascetico. Questi quadri impressionanti non sono
mai stati esposti in un luogo che avesse un qualsiasi rap
porto con la Chiesa. Che siano divenuti, in seguito, dei
pezzi da museo che decoravano i muri dell’Escoriai, que
sto è un altro problema.
A l semplicismo di interpretazioni non fondate, oppo
niamo il problema in tutta la sua crudezza: questi tre trit
tici enigmatici, Il Regno millenario, Le tentazioni di san
t'Antonio e II carro di fieno , si ricollegano per la loro
forma al genere tardo gotico della pala, ma il loro con
tenuto è in tale contrasto con le esigenze del culto, che
in nessun caso essi hanno potuto essere esposti allo
sguardo di una comunità cattolica. Eccoli dunque in una
sorta di vuoto, quadri per un altare senza fedeli, come per
duti in una terra di nessuno.
È possibile risolvere questo dilemma solo cercando il
committente di Bosch tra le comunità extraclericali. Alla
fine del Medioevo le produzioni artistiche non erano an
cora proprietà dei loro creatori. È dunque impensabile
che Bosch abbia potuto dipingere tre grandi trittici per
il puro piacere personale. È anche del tutto improbabile
che dei privati abbiano potuto commissionare per la loro
cappella personale dei dipinti così eccentrici. Ne conse
gue che solo una comunità, anche ristretta, può averli
commissionati.
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Il principio cristiano cattolico della comunità univer
sale si trasforma qui nel suo contrario: un principio eso
terico, riconosciuto solamente dalla cerchia ristretta de
gli iniziati. Accanto alle tradizionali pale, nasce un nuovo
tipo di dipinto rituale per minoranze eterodosse. Alla
Chiesa si oppone la setta. Solo una setta, una comunità
al di fuori e contro il clero, poteva trovare in simili ope
re un motivo di edificazione e la conferma della propria
fede.
Questi tre dipinti, pieni di virulenze contro la Chiesa
e i culti satanici, contengono l’essenziale dei rebus e delle
eccentricità apparentemente indecifrabili di Bosch. Ma
come spiegare questo amalgama di elementi grotteschi e
acremente satirici che già preannuncia François Rabelais
e il suo successore tedesco Johannes Fischart? Ci tro
viamo in presenza di una guerra su due fronti: la satira si
scaglia contro l ’ordine costituito della Chiesa, ma anche
contro gli anarchici eccessi delle comunità di culti miste
rici. Può solo trattarsi, quindi, di una setta che percorre
un sentiero stretto e pericoloso: essa si dibatte tra la stra
potenza della Chiesa e il rischio di vedersi scavalcata da
sette estremiste, caratterizzate dal fascino dei riti magico-
sessuali da esse praticati. Da una parte come dall’altra,
essa si scontrava con dei divieti. Una situazione doppia
mente pericolosa e che giustifica anche l ’oscurità dei rebus
di Bosch.
V i è in essi una volontà di esoterismo, il che risulta
evidente se si considera che le opere di Bosch servivano
idee eretiche; i rebus non sono altro, infatti, che crip
togrammi intelligibili ai soli iniziati. Sia come segni che
come confessioni, i simboli di Bosch erano perfettamente
intelligibili alla comunità che li aveva commissionati; al
contrario, rimanevano impenetrabili alla massa comune
che si doveva tener lontana dal segreto esoterico. La più
piccola invettiva satirica di Bosch agiva sui membri della
setta ed era da loro compresa, giacché le difficoltà e le
lotte cui dovevano quotidianamente far fronte trovavano
espressione in queste immagini polemiche. Il travestimento
enigmatico costituiva uno scudo contro i pericoli che ve
nivano dall’esterno; per di più esso aveva un fascino par
24
ticolare agli occhi dell’iniziato, che ne afferrava pienamente
il senso. Le metafore e le allegorie di Bosch sono gero
glifici, rivelazioni segrete: rappresentazioni comprensibili
per alcuni, rebus indecifrabili per altri.
Tutti i critici hanno discusso fino ad oggi intorno alla
presunta ortodossia religiosa del pittore. Così facendo,
essi hanno utilizzato nella lettura di queste opere essen
ziali uno schema sbagliato, ed hanno così deformato il loro
punto di partenza, i conflitti che esse implicano, i loro
profondi significati intellettuali, le loro intenzioni. Le
hanno inoltre svuotate del loro autentico contenuto sino
a renderle irriconoscibili.
È successo a Bosch, nel quadro della storia dell’arte,
ciò che è successo all’alchimia, così vicina all’attività del
pittore, nell’ambito della storia delle idee. L ’alchimia,
scienza dell’arcano, era considerata un tempo come sempli
ce magia nera, vale a dire, a causa dell’equivoco dominante,
una specie di ciarpame occultistico. Il positivismo scienti
fico ha ridotto un simile amalgama irrazionale alle sue
componenti razionali considerando l ’alchimia, secondo la
teoria dell’evoluzione, come una tappa preparatoria della
chimica moderna. Soltanto oggi si sono prese realmente
in considerazione, e peraltro in profondità, le premesse
teoriche proprie dell’alchimia, mostrandola per quello che
fu realmente: una ricerca della summa perfectionis che
faceva della trasmutazione degli elementi un simbolo del
l ’uomo interiore e dei misteri della creazione, della morte
e della vita eterna.
G li stessi malintesi si sono abbattuti su Bosch: egli ap
pare negli antichi trattati d ’arte come una semplice cu
riosità storica ed intellettuale, come un 'faizeur des dia-
bles’, una sorta di artista nero. Per spiegare i suoi quadri
si è riempita un’intera biblioteca di libri di miracoli, tutta
una letteratura di leggende, di visioni e di sogni, che non
ci hanno per nulla aiutato a comprenderli nella loro di
mensione profonda; con questa ricerca di ‘fonti letterarie’
si è fatta sparire l ’essenza stessa dell’arte di Bosch: l ’unità
del concetto e dell’immagine, fondamento di tutto il suo
pensiero simbolico. Le sue visioni sono state ridotte a
illustrazioni di testi assegnati, là sua simbolica a semplice
25
condensato di letture, senza scoprire peraltro una fonte
certa di uno solo dei suoi simboli.
G li storici dell’arte, fondandosi sulla teoria dell’evo
luzione, hanno iniziato a esaminare e a ordinare la sua
opera in modo più completo. Essi hanno scoperto il Bosch
paesaggista, il pittore di genere, ma eliminando tutto ciò
che egli aveva di rivoluzionario e di veramente creativo:
hanno cercato di elevare ad un genere a sé i suoi quadri
di costume, senza tuttavia vedere il carattere profonda
mente simbolico delle sue opere di genere. Anche le opere
religiose sono state rivalutate in funzione dei loro conte
nuti di costume. Il realismo positivista è rimasto estraneo
alla simbolica spirituale. Non vedendovi che un 'guazza
buglio fantastico’, si è totalmente eliminato il simbolismo
per valorizzare e celebrare il Bosch realista, precursore
del grande Bruegel il Vecchio.
La storia dell’arte è ancora molto lontana, per quanto
riguarda Bosch, dal terzo stadio raggiunto dagli storici per
ciò che concerne l ’alchimia: un’analisi interna del soggetto
in ogni suo aspetto, un processo critico conforme alla sto
ria delle idee. E questo malgrado gli studi così eruditi e
competenti che Max J. Friedländer (1927) e poi Charles
de Tolnay (1937) hanno consacrato alla sua opera, studi
seguiti da quelli di Ludwig von Baldass (19 4 4 ),2 auten
tica sintesi dell’attuale conoscenza e ignoranza di Bosch.
Si resta sempre, per quanto concerne l’insieme della sua
opera, alla vecchia ipotesi del 'faizeur des diables’. 'Scur
rile', 'fantastico' e 'grottesco', queste sono le parole alle
quali i critici d ’arte sono ricorsi per spiegare le metamor
fosi incomprensibili, le spettrali mascherate che si svol
26
gono abitualmente quando Bosch dipinge degli eremiti o
delle rappresentazioni infernali.
Sino a oggi non si.è per nulla prestata attenzione al fatto
che, di fronte a queste fantasmagorie infernali, figurano
sempre, quale controparte, un anacoreta sereno, un monte
Ararat, un Eden. In genere è stato l ’elemento infernale,
per il suo fascino più violento sui sensi, ad attirare mag
giormente l’attenzione, benché l ’idea-guida del pittore si
nasconda in realtà, questo è evidente, nelle scene elegia
che che fanno da contrappeso alle scene demoniache.
L ’errore capitale degli studi anteriori è stato quello di
interpretare tutti i simboli oscuri di Bosch come altret
tante ‘diavolerie’. Un nugolo di parafrasi cieche e di in
terpretazioni arbitrarie si è abbattuto sull’oracolo muto
ed ha annegato nella confusione il suo linguaggio criptico.
Poiché le metafore e i geroglifici di Bosch sono sempre
apparsi incomprensibili al critico, questi li ha definiti ir
razionali e non vi ha visto che dei sogni, delle allucinazioni
e delle chimere, delle ossessioni suscitate da un terrore
medievale del mondo e dell’Inferno.
Non si è pensato, da parte dei critici, che la presunta
incomprensibilità di Bosch non fosse che il risultato della
loro incapacità a comprendere. E la parola di Novalis è
rimasta lettera morta: « Ho sentito dire da lontano, che
l’inintelligibile era la manifestazione dell’inintelligenza, da
to che questa ricerca solo quello che già possiede; e ciò le
impedisce di fare nuove scoperte ».
Il Paradiso terrestre.
27
pretazione del trittico. Unanime nel seguirlo, la critica
ha perseverato nell’errore. Recentemente, è vero, Max
J. Friedländer ha espresso qualche dubbio prudente. Se
condo il suo parere le interpretazioni correnti, pur non
vedendone altre possibili, restano insoddisfacenti e in
certe. Egli riassume in questo modo i problemi che pone
il dipinto:
« Il trittico dell’Escoriai, che è stato definito, facendo
riferimento a un’impressione d ’insieme più che a un’inter
pretazione probante, II Giardino delle delizie, cela senz’al
tro dei misteri. Lo stesso Cari Justi, cui non mancavano cer
to preparazione e acume interpretativo, non ne ha saputo
fornire un’analisi esauriente. La parte sinistra rappresenta,
a guisa di prologo, la nascita di Èva nel Paradiso; la parte
destra, a guisa di epilogo, l ’Inferno e il castigo espiatorio.
Preso in esame in questa maniera, il pannello centrale ci
mostra l ’apoteosi dell’errore. Noi incliniamo in ogni caso
ad interpretare il suo contenuto ambiguo come un’allegoria
della vita terrestre dei sensi, non redenta, un’allegoria della
maledizione della carne e del trionfo della concupiscenza ».3
Un’« apoteosi dell’errore »: si può porre un paradosso
più sottile? Il concetto di apoteosi è positivo, all’interno
di una visione millenarista: esso presuppone le delizie
dell’autodeificazione, in cui l’intensità giunge sino alla
ebbrezza estatica. Mentre il concetto di errore è negativo:
esso implica la nozione di una grossolana concupiscenza.
E questo rinvia al vecchio pregiudizio: il 'faizeur des dia-
bles’ non propone che misture infernali. Verifichiamo se
la nostra nuova angolatura non ci permetterà una lettura
più fedele.
La dimensione interiore del trittico si presenta così ad
uno spettatore senza idee preconcette: la parte sinistra
rappresenta l ’Eden e quella destra l ’Inferno. Il pannello
centrale rappresenta un secondo Paradiso che sviluppa il
primo, approfondendolo. Infatti un unico e identico pae
saggio passa attraverso i due pannelli; l’unione della prima
coppia umana benedetta dal demiurgo, rappresentata nel
primo pannello, si mostra feconda nel pannello centrale
28
dove è rappresentato un vero e proprio sciame di figli di
Adamo. Queste creature, in una nudità giovanile, senza
manifestare il minimo disagio celebrano misteriosi culti
erotici vegetali.
Nel carosello della parte centrale, un’impetuosa schiera
di giovani, a cavallo di animali fieri e potenti, descrive un
cerchio attorno a un bacino la cui forma d ’uovo lo indica
quale cellula germinale e ombelico di questo mondo pa
radisiaco. Non soltanto la terra, ma anche le acque e
l ’aria sono popolate da coppie di amanti e da comunità
erotiche. Ciò conferisce a questo giardino d ’amore una di
mensione cosmica e un significato religioso di portata uni
versale. Per questa vasta famiglia adamita i piaceri ap
passionati dei sensi si uniscono a una serena purezza. La
brutale rottura introdotta con l ’Inferno sottolinea ancor
meglio l ’unità che regna tra il pannello di sinistra e il
pannello centrale. A lato di questi due Paradisi chiari,
armoniosi e raggianti, l’Inferno si leva come un’immagine
deformata, caricaturale, notturna e livida.
Tutto ciò è chiaramente espresso nelle immagini. Nes
suno, peraltro, sino ad oggi lo ha notato, giacché sem
brava impensabile che un tale dispiegarsi di nudità e di
gioia erotica, libera da ogni colpa, potesse essere cele
brato in un dipinto cristiano. Si è preferito vedervi, nega
tivamente, un ammonimento contro la voluttà, e un av
viso dei castighi che ne sono la conseguenza immediata,
senza neppure porsi la domanda se l ’erotismo di quel ,
pannello centrale non avesse un significato religioso. Si è
così stravolta sino all’assurdo una pittura dalla tematica
così nuova e ardita, e stretta nella camicia di forza del
l ’ascetismo teologico e morale una grande testipionianza
del libero pensiero.
Occorre cercare l ’origine del malinteso fondamentale
di cui ha sofferto quest’opera nell’accostamento fuorviarne
a un altro trittico di Bosch, Il carro di fieno, già citato. Il
pannello centrale di questo trittico mostra allegoricamen
te la vanità della vita terrestre: ecco un grande carro
colmo di fieno: quelli che Dio ha invitato alla mietitura
- monaci e monache, cittadini, contadini, mendicanti e
ladri di ogni sorta - arraffano con avidità manciate di
29
fieno. I più alti dignitari di questo mondo, papa e impe
ratore, clero e nobiltà, seguono il carro, alla cima del
quale è insediata una giovane coppia che si concede te
neri divertimenti al suono del liuto. Sebbene il profeta
dal mantello nero metta instancabilmente in guardia il
mondo contro le ‘vanità della carne’, nessuno dei perso
naggi si rende conto che un’orda di demoni conduce il
carro e il fieno diritti all’Inferno.
Per quanto aspro sia il contrasto tra la satira di costu
me, che si manifesta nella visione del castigo, e l ’estatica
atemporalità del nostro Paradiso, la corrispondenza tra
i due trittici si evidenzia nel fatto che entrambi, nei pan
nelli laterali, hanno dipinto l ’Inferno. Da questa simili
tudine esterna si è tratto un legame interno, e questo
passo di Isaia, di un ascetismo nemico del corpo e della
vita, ce ne darà la chiave: « Erba è tutta la carne, e tutta
la sua gloria un fiore di campo » (Isaia x l , 6).
Si è applicata questa metafora, che è all’origine del
Carro di fieno, all’antropomorfico prato fiorito del Para
diso e si è visto nelle sue delizie erotiche un florilegio del
la caducità e una scuola di lussuria. Nelle due opere,
Bosch avrebbe rappresentato rispettivamente nel pannello
dell’Eden lo stato d’innocenza del primo uomo, nel pan
nello centrale gli smarrimenti della caduta, e nel pan
nello dell’Inferno il castigo degli smarrimenti sacrileghi.
Questa analogia approssimativa è all’origine dei diversi ti
toli dati all’opera: La lussuria, II Paradiso dei piaceri,
L'attività del mondo, 1 vizi e le loro conseguenze.
Cinque argomenti si oppongono a questa estensione
della tematica del Carro di fieno al Regno millenario.
Prima di tutto, la distribuzione delle loro parti non è
la stessa. Nel Regno millenario, i due Paradisi formano
un insieme omogeneo, distintq dall’Inferno. Nel Carro
di fieno, pannello centrale e Inferno laterale si mesco
lano, si confondono, perché il carro è trascinato dai suoi
conducenti diabolici verso le fiamme dell’Inferno.
Ecco la seconda differenza. Il pannello centrale del
Carro di fieno stigmatizza spietatamente un egocentrismo
criminale, esasperato sino al delitto. Nulla di simile nel
pannello centrale del Regno millenario. Bosch non ha af
30
fatto cercato di connotare in senso peccaminoso i figli di
Adamo che lo popolano. A l contrario essi si aggirano in
questo giardino di pace con l ’innocenza di un fiore, in
pieno accordo con gli animali e le piante, e la sessualità
che li anima è percepita come gioia pura, pura estasi.
Così, l ’interpretazione corrente, secondo cui Bosch rap
presenterebbe in chiave satirica il 'Giardino della Signora
Terra', è incompatibile con l ’evidente constatazione che
manca nel dipinto ogni atteggiamento censorio. Si dirà
che, essendo sessualità e sensualità malvagie in sé, ogni
loro rappresentazione, per quanto ingenua e innocente,
resta sotto il segno di un’assoluta condanna morale. Bosch
avrebbe nascosto sotto la maschera di una innocenza in
gannevole le trappole insidiose della voluttà, rendendola
con ciò ancora più ammaliante per smascherarla in se
guito più brutalmente.
11 pannello delPInferno non conferma una simile in
terpretazione. In effetti, noi vediamo bene come qui si
torturino musici, giocatori, ladri di oggetti sacri, monache
perverse, preti dissoluti e cavalieri assassini, ma non uno
solo dei peccatori voluttuosi. L ’idea fondamentale del
seducente Giardino di Venere non vi è sviluppata: il
catalogo infernale dei peccati registra delle colpe di tut-
t ’altra natura. Nel Carro di fieno, al contrario, l ’Inferno
ha sparpagliato nel mondo i suoi sbirri e i suoi battitori:
tutta un’orda con il ventre di pesce, con la testa di topo,
di riccio, di cervo, d ’orso. Il mondo del pannello centrale
è già sotto la cappa dellTnferno.
La quarta differenza tra i due dipinti è ancora più ri
levante. Nel Carro di fieno, il pannello laterale dell’Eden
si pone come un riscontro ideale della vita terrestre. Ciò
nonostante, la degenerazione dell’uomo, tema del pan
nello centrale, è già annunziata. In questa pala dell’Eden,
la creazione dell’uomo è raffigurata in piccolo e, proprio
sotto e molto più in grande, è raffigurata la caduta. Di
più, Vespulsione dal Paradiso è il motivo centrale del
primo piano, e il motivo essenziale della caduta degli
angeli indica espressamente che tutta la vita terrestre è
asservita a Lucifero, ‘Principe di questo mondo’. Nel trit
tico del Regno millenario, al contrario, non vi è la mi
3i
nima traccia del peccato originale, della caduta, della
espulsione dal Paradiso da parte dell’angelo con la spada
fiammeggiante o, a maggior ragione, della rivolta e della
caduta del Principe degli angeli. Si tratta di una rappre
sentazione dell’innocenza originale in tutta la sua purezza,
vergine di peccato, e che non conosce vergogna. Secondo
ogni evidenza, le creature del pannello centrale non pro
vano vergogna della loro nudità. Bosch voleva evidente
mente rappresentare, senza maliziosi sottintesi e con pro
fonda serietà ideale, l ’apoteosi della felicità paradisiaca
della creatura unita a Dio e riconciliata con la natura.
Donde provengono gli esseri che popolano questo Pa
radiso? Questa preliminare ed elementare questione, di
cui sino ad oggi nessun commentatore si è preoccupato,
ci pone di fronte a un dilemma biblico in quanto, secondo
la Genesi, Adamo ed Eva non ebbero figli in Paradiso.
I figli nacquero dopo che Adamo ed Eva furono cacciati
dal Paradiso ‘tra le spine e i cardi del móndo’. Bosch
nondimeno - e contrariamente a quanto fa nel Carro di
fieno - situa la scena centrale del Regno millenario non
nel ‘mondo’, bensì nell’immediata continuazione del Para
diso. La condizione che raffigura è quella che sarebbe
stata se Adamo ed Eva non avessero ceduto alla tenta
zione. In altri termini, un’ 'utopia’, quella di un giardino
di delizie estraneo alla caduta, o meglio ancora e con più
verosimiglianza - perché Bosch non poteva ignorare pura
mente e semplicemente il dogma del peccato originale -
quella di uno stato chiliastico che sopravverrà quando
l’umanità, espiato il peccato originale, avrà ritrovato il
Paradiso e la pace delle sue creature.
Le ante esterne del trittico lo indicano chiaramente:
l’esaltazione dello stato d ’innocenza dell’uomo è il tema
conduttore dell’intero dipinto. Queste ante rappresentano
infatti, in una forma solenne e ispirata, l ’universo come
poté presentarsi il terzo giorno della Creazione, quando
emerse dal caos originario e si ricoprì della prima vegeta
zione. In quella misteriosa sfera di cristallo si trova celata
una concezione del cosmo troppo profonda, un pensiero
religioso troppo universale perché, nel pannello centrale,
il mondo possa degenerare assurdamente in un semplice
32
labirinto di sensi smarriti. La storia del mondo, che noi
vediamo mettersi in movimento in questa sfera di cristallo,
non potrebbe in nessun caso, dopo un preludio di tale san
tità, gravitare attorno a un lupanare in cui fosse rappre
sentata la colpa originale e si sprofondasse nell’Inferno,
perché, come polo opposto al giorno della Creazione, l ’In- 1
ferno sarebbe allora il giorno della distruzione, inesorabil
mente fissato da Dio nel suo piano dell’universo. Una tale
concezione non può che sorgere dal cervello di un nichilista
integrale o di un folle satanico.
Bosch ha voluto rivelare il pensiero fondamentale della
sua Creazione imprimendo a caratteri suggestivi sopra en
trambe le semisfere un versetto biblico, confidando nel
fatto che i suoi compagni di fede ne avrebbero ricono
sciuto l ’origine: queste citazioni lapidarie dovevano far
risuonare nelle loro anime l ’intero salmo da cui sono
tratte. Sull’anta sinistra si legge: « Ipse dixit et facta
sunt »; sulla destra: « Ipse mandavit et creata sunt ».
Queste maestose parole della Creazione appaiono nel sal
mo 148, versetto 5. In esso si trovano tutti gli elementi —
le altezze stellari e le profondità marine, la neve, la nebbia,
la grandine, la tempesta, le montagne, gli alberi, gli ani
mali di ogni specie - che si uniscono ai ‘giovani uomini'
e alle 'giovani donne’ in una vibrante esaltazione del
l ’Eterno: non è propriamente la fonte letteraria del trit
tico, ma ne informa nondimeno lo spirito religioso.
La citazione biblica scelta per l’iscrizione, « Giacché
egli parlò e le cose furono fatte », « Egli comandò e fu
rono create », esprime con tutta la suggestione della sua
duplice, insinuante e al tempo stesso imperiosa rivelazione,
il concetto di ‘compimento’. Le ante esterne del trittico
rendono sensibile il carattere ineluttabile di questa realiz
zazione: in alto, a sinistra, sotto una sfavillante volta di
cristallo, siede sul trono Dio Padre; sulle sue ginocchia,
un libro aperto, simbolo per antonomasia del Verbo. Il
globo del trono celeste, piccolissimo nella sua lontananza,
riappare nella sfera di vetro del cosmo, magnifico, monu
mentale simbolo della realizzazione fedele della volontà
divina di creazione. Questa seconda sfera è un’emanazione
della prima, è il Verbo di Dio realizzato in tutta la sua
33
3
purezza. Analogamente, quando si aprono le ante del
trittico, si vede il globo cosmico ‘realizzato' a sua volta
in tutta la sua pienezza. E la successione dei pannelli in
Paradiso, Regno millenario e Inferno, riflette fedelmente
l ’ordine delle differenti zone della sfera cosmica primitiva:
cielo, terra e mare, mondo infero.
Se dunque il trittico nel suo insieme è dominato dal
pensiero del Verbo Creatore che si realizza, il pannello
centrale deve necessariamente riflettere anch’esso questo
pensiero positivo. Bosch è stato un innovatore audace.
Come pioniere dei dipinti di costume e di paesaggio, ha
liberato l’arte dalla sua medievale soggezione alla Chiesa;
nell’ambito più personale della sua arte, le visioni fanta
smagoriche, ha posto in caricatura il timore di Dio con
trollato dalla Chiesa, trasformandolo in un voluttuoso e
gigantesco pandemonio. Egli ha situato questo trittico
in uno spazio intermedio in cui appare un nuovo impulso
religioso, in opposizione alla Chiesa. Nel pannello cen
trale ha dipinto l’itinerario di una salvezza fondata su
una ars amandi religiosa, su un mistero erotico, ponendo
con questo i fondamenti portanti di una nuova scala di
valori che concilia fede cristiana e sottomissione armo
niosa alla natura: un sistema secondo il quale la vecchia
opposizione tra spirito e istinto sarà superata in una
nuova concezione di un Dio-natura, a dispetto del dia
volo e della morte.
Per quale culto di tipo cristiano questo dipinto è stato
concepito? Giacché l’anta che introduce la trilogia rap
presenta il Paradiso in cui il Creatore unisce Adamo ed
Èva, e giacché il pannello centrale presenta una moltitu
dine di giovani visibilmente generati da Adamo ed Èva,
non può che trattarsi di un culto adamita. Noi oggi sap
piamo, dopo le vaste ricerche di Konrad Burdach, che il
culto di Adamo è tra i segni caratteristici dell’inizio del
Rinascimento. Una sintesi si era allora operata tra la
vecchia eredità platonica, agostiniana, neopitagorica e
gnostica e aveva dato origine a una filosofia che vedeva
nell’ ‘Uomo originale’ l’archetipo, il simbolo di un rinno
vamento interiore e dell’accesso dell’uomo a un’umanità
pura e libera.
34
« Ciò che è discusso da un punto di vista mistico, negli
scritti di sant’Agostino e dei suoi epigoni, come facente
parte della fede cristiana nella salvezza, continua a vivere
negli spiriti della fine del Medioevo, ma libero dall’as-
servimento alla Chiesa e carico di una religiosità che ha
fatto di questo mondo il regno di una nuova nascita del
l ’uomo allo stato di purezza originaria di Adamo, d’un ri
torno alla semplicità, alla bellezza, alla purezza, di un ri
torno all’umanità simile a quella che Dio aveva primitiva
mente creato: a Sua immagine » . 4
Questa nuova visione dell’ 'Uomo originale' trovò la
sua più magnifica espressione in un mediterraneo contem
poraneo di Bosch, Pico della Mirandola, il neoplatonico
fiorentino che compose un elogio appassionato di Adamo.
Situato tra l’animalità e la divinità, Adamo è il Proteo
della metamorfosi universale, giacché:
« Se egli si abbandona agli impulsi della sensualità, di
viene selvaggio e simile a un animale; se segue la ragione, si
trasforma in creatura celeste; ma se sviluppa le sue forze
intellettuali, egli diventa angelo e figlio di Dio; e se in
fine, insoddisfatto del destino della creatura, si ritira al
centro di ogni vita, diviene allora uno con Dio stesso: un
puro spirito che, elevato alle altezze solitarie dove Dio
troneggia su tutte le cose, vi erigerà il suo trono, al di
sopra di tutto ciò che è. È per questo, a buona ragione,
che Esculapio di Atene ha dichiarato che nei Misteri la
facoltà che ha l’uomo di trasformarsi nelle creature più
diverse era simbolizzata da Proteo. Ed è per questo che
i pitagorici e gli ebrei celebrano una festa della metamor
fosi ».
Anche nei Paesi Bassi, la prima coppia umana era di
ventata il simbolo esaltante di un’umanità armoniosa e
realizzata; i due nudi rivoluzionari di Jan van Eyck lo
testimoniano in maniera superba. La serena compostezza
della loro nudità, ritratta da molto vicino, esercitava un
potente effetto sugli osservatori, al punto che l’altare di
Gand - passando in secondo piano la fastosità della sua
35
poliedrica struttura - era conosciuto in quell’epoca so
prattutto per il dipinto di Adamo ed Èva. Tuttavia la
coppia originaria veniva rappresentata da Jan van Eyck,
Hans Memling e Hugo van der Goes secondo uno schema
tipologico ancora interno alla storia sacra tradizionale,
mentre Bosch, nel rappresentare il risveglio dell’umanità
originaria, le attribuisce maggiore autonomia. I figli di
Adamo ed Èva che popolano il pannello centrale del
nostro dipinto devono essere intesi nel senso di un tale
ritorno allo stato di purezza originaria dell’uomo. Essi
sono 'rinati' attraverso la mediazione di Adamo, hanno
ritrovato grazie a lui la condizione originaria del Pa
radiso. È solo in Bosch che il culto di Adamo diviene
questo vero ‘incanto’ proteiforme della metamorfosi; che,
per riprendere le parole di Pico della Mirandola, sor
gendo dalla contemplazione o immersione nel « centro di
ogni vita », « la festa della metamorfosi », di ispirazione
pitagorica, è finalmente divenuta realtà, avvenimento.
In questa prospettiva, l’anta dell’Inferno appare come
un supplemento estraneo. Quali creature l’Inferno può
minacciare in questo trittico in cui il pannello centrale
celebra le delizie del Paradiso quale si presentava al tem
po di Adamo e quale riappare sotto il segno del nuovo
Adamo? Questo pare inspiegabile. Poiché laddove non vi
è più colpa originale, l’Inferno perde ogni significato. No
nostante questo, nella nostra nuova interpretazione l’In
ferno non è assolutamente abolito; esso si illumina solo
di una nuova luce, che cerchiamo di spiegare attraverso
il prisma di una semplice analogia: nei dipinti tradizio
nali, tra la caduta e il giudizio finale incontriamo general
mente il Calvario, affinché il fedele possa prendere confi
denza con il crocefisso, certo che le anime, lavate dal
peccato originale dal sangue di Cristo, saranno assolte
nel giorno del giudizio e sfuggiranno all’Inferno.
Per spaventoso che sia, l’Inferno dell’anta laterale è
là come un semplice avvertimento destinato alle anime
cieche, chiuse alla Buona Novella. La stessa cosa vale
per il nostro dipinto: i membri della setta trovano la loro
consolazione nella contemplazione di un Paradiso eterna
mente aperto ai fratelli uniti nel nome di Adamo; co
36
loro che non sono iniziati al mistero della 'reincorpora
zione’, coloro i cui occhi non sono ancora aperti, coloro
che disprezzano il Vangelo adamita della natura divina
originariamente pura dell’uomo, questi vengono scagliati
neH’Inferno. Quelli che non possono sfuggire al castigo
infernale sono i membri della vecchia Chiesa con i suoi
monaci e le sue badesse; sono i figli di questo mondo: i
musici, i saltimbanchi, i giocatori o i cavalieri. È giusto.
I cristiani membri di una setta hanno la sensazione di far
parte del numero ristretto degli eletti ed è per questo
che essi insistono con tanta ferocia sui castighi che at
tendono nell’Inferno la folla dei farisei, degli adepti del
vecchio credo. In questo va senza dubbio ricercata la ra
gione psicologica delle temperature eccessive che regnano
negli ‘Inferi’ del nostro pittore.
Solo una tale interpretazione del trittico rende piena
mente ragione di tutti gli elementi dell’opera; inoltre è ri
gorosamente consequenziale dal punto di vista teologico.
Essa fornisce a questo dipinto, sino ad oggi inesplicabil
mente isolato nella storia delle idee e dell’arte, uno sfon
do storico e religioso ricco di insegnamenti e tale da mo
strare in una nuova luce la personalità ermetica del pit
tore.
37
I Fratelli e le Sorelle del Libero Spirito
39
care. Essi credevano di vivere già sulla terra lo stato pa
radisiaco di innocenza.
Raggruppati in comunità esoteriche organizzate come
logge, i discepoli del Libero Spirito, sotto apparenze de
vote, sono infatti adepti di una gnosi che aspira alla su
prema perfezione. I loro membri sono laici dei due sessi,
provenienti da tutti gli strati sociali, ma si reclutano in
primo luogo tra quei semi-ecclesiastici super-devoti che
sono i terziari, i begardi e le beghine. Queste ultime, in
particolare, fanno maturare a tal punto l ’eresia del Li
bero Spirito da attirarsi la condanna del concilio di Vien
na, nel 1 3 11.
Gli 'homines intelligentiae’ di Bruxelles apparteneva
no a una frazione radicale del Libero Spirito, i cosid
detti adamiti. Nel denominarsi ‘uomini dello Spirito' essi
sottintendevano il concetto scolastico di ‘ intelligentia’,
che si contrapponeva all’empirica ‘ratio’, come ‘cono
scenza soprasensibile che crea ciò che ancora non è stato
creato’. Il termine ‘homines’ ha quindi il significato di
essere umano, all’interno dell’aspirazione a una superiore
dignità umana che, nella misura in cui si fonda sulla so
miglianza a Dio, non è subordinata a nascita, posizione
sociale, rango o censo. Di conseguenza, anche la differen
ziazione tra uomo e donna era risolta nel superiore con
cetto di ‘homo’. Così la donna poteva entrare nella cer
chia dei ‘fratelli’ in qualità di uguale, liberata finalmente
dalla condizione di inferiorità cui l ’aveva condannata la
Chiesa, sottratta al disprezzo che faceva di lei la 'porta di
Satana’ o che induceva il sinodo di Macon a discutere se la
donna dovesse essere considerata un essere umano, per
tacere poi della demonizzazione del sesso femminile nel
Matteus maleficarum.
Per la sua costituzione mista questa confraternita si
distingueva dalle congregazioni caritatevoli, che raggrup
pavano separatamente uomini e donne. G li appellativi di
'fratello' e ‘sorella’ hanno d ’altronde un differente signifi
cato nei due casi. G li uni prendono questi termini nella
loro seconda accezione, derivata da 'fratelli in una mede
sima fede’, e vengono in aiuto ai loro correligionari cu
rando i malati e i poveri, assistendo le vedove e gli orfa
40
nelli, vegliando i morti. Gli altri intendono questi ter
mini nella loro prima accezione di ‘parentela fisica e spi
rituale’. Si considerano tutti come 'figli di Adamo’ uniti
da legami effettivi di parentela. Chiamati, nell’ambito di
questo mondo perduto, a riconoscersi nuovamente gli uni
con gli altri e a purificarsi, la loro speranza è di riconqui
stare la libertà spirituale, di tornare ad essere, come in
origine, 'ad immagine e somiglianza di D io’.
Gli adamiti godettero sempre di pessima fama, fin dal
loro primo apparire. Epifanio, nel passo qui riportato, de
scrive gli usi rituali di una setta adamita paleocristiana
in termini denigratori, rappresentandola come un branco di
talpe che brulicano nel buio: « Le loro chiese non erano
che caverne sotterranee, dove si riunivano attorno al
fuoco. Nell’entrare si toglievano gli abiti e, uomini e
donne, nudi come appena usciti dal grembo materno, pe
netravano nell’andito. Qui avevano luogo letture e pre
ghiere; il tutto si svolgeva senza obblighi precisi o regole,
mentre i maestri sedevano più in alto degli altri mem
bri della comunità » (Panarion haer. l x x i i ) . Sul contenuto del
loro culto il padre della Chiesa non sa dirci nulla, ma
aggiunge sarcasticamente che si trattava di « incontinenti
e vergini ». Ma è d ’altronde lui stesso a dimostrarci che
questa nudità cultuale si fondava su un principio etico,
nel momento in cui fa notare come da questi incontri fosse
escluso chiunque fosse caduto in peccato. Per loro era
come cacciare Adamo, che aveva mangiato il frutto proi
bito, dal Paradiso, cioè la loro ‘Chiesa’. Poiché essi defini
vano la loro Chiesa come Paradiso, così come, del resto,
si chiamavano l’un l’altro Adamo ed Èva. Pur senza citare
alcun loro eccesso, Epifanio fa risalire la loro nudità e i
loro commerci a una sessualità insaziabile.
Da questa prima fonte hanno attinto in parte anche
sant’Agostino (De haer. xxxi) e san Giovanni Damasceno
(De haer. l x x x v i i i , 5 2 ). Tuttavia il padre della Chiesa greca
tende a sottolineare maggiormente l ’ascetismo della loro
vita senza matrimonio. E così sant’Agostino, il quale ri
ferisce, in termini obiettivi e privi di condanna, il loro
ideale dello stato originario: « G li adamiani si chiamano
così dal nome di Adamo; essi tendono alla nudità paradi
41
siaca com’essa era prima della caduta. Rifiutano il ma
trimonio, poiché Adamo, prima di peccare ed essere cac
ciato dal Paradiso, non riconosceva la sua donna. Essi
credono che non ci sarebbero stati altri matrimoni, se
nessuno avesse peccato. Nudi, uomini e donne si incon
trano, nudi pregano, nudi ascoltano le letture, nudi rice
vono i sacramenti, e per questo chiamano Paradiso la
loro Chiesa ».
A partire da queste fonti possiamo dunque pensare che
gli adamiti, riunendosi in luoghi sotterranei intorno a un
fuoco, mitico centro di ogni divenire, anelassero, per
mezzo della loro nudità rituale, ad una rinascita all’inno
cenza paradisiaca. La celebrazione di questo rito di nudità,
all’interno dell’esplicito rifiuto del matrimonio, significava
la tensione verso una neutralizzazione ascetica della ses
sualità, alla quale facevano risalire, evidentemente, il
peccato originale. Ma significava ancor più il loro porsi,
senza coperture o mediazioni, dinanzi a Dio, poiché cre
devano di trovarsi davanti ai suoi occhi, nel Paradiso.
Infine la caverna, intesa come buio grembo materno della
terra, indica la presenza, all’interno dei loro usi, del mi
stero del « Muori e divieni! ». La caverna era dunque
anche il luogo dove gli spiriti degli avi attendono la rein
carnazione e i non ancora nati il giorno in cui sarà data
loro la vita. Per quanto generici siano i tre racconti, a
cui ci siamo riferiti, ne riceviamo comunque l’impressione
che gli adamiti abbiano fatte proprie le parole attribuite a
Gesù in risposta a Salomé che gli chiedeva quando la
morte avrebbe avuto fine e sarebbe iniziato il Regno di
Cristo: « Quando avrete calpestato l’abito della vergogna,
e quando due cose diventeranno una sola, e l’esterno l’in
terno, e il maschile femminile, così che non ci sarà più
né maschile né femminile... Io sono venuto per annullare
le opere del femminile ».
A una lettura in chiave positiva si contrappone Theo-
doret, il quale condanna la nudità adamita in quanto
orgiastica e oscena. Egli collega gli adamiti al comuniSmo
sessuale dei carpocraziani, i quali seguivano una sorta di
diritto di natura, proclamavano la partecipazione egualita
ria e comunitaria a tutti i beni terreni. Essi si spingevano
42
fino ad accoppiarsi tra consanguinei e ad offrirsi pubbli
camente. Secondo Clemente Alessandrino un certo Pro
dico avrebbe definito queste pratiche come « comunione
mistica ». Theodoret ha ripreso il nome di Prodico attri
buendogli l ’atto di fondazione degli adamiani: « Prodico,
un successore di Carpocrate, fondò la setta eretica dei
cosiddetti adamiani. Questi aggiunse alle regole di Car
pocrate quelle dell’incontinenza totale. Egli sanzionò il
possesso comune delle mogli. In seguito a questo ognuno
si accoppiava con la donna che gli capitava, in luoghi
aperti e bui, e per di più essi attribuivano a queste in
temperanze un valore di rituale iniziatico » (Haereticarum
fabularum compendium i, 6). La luce ambigua gettata da Epifa
nio su questa setta si trasforma qui decisamente nei toni
cupi di una promiscuità occulta. Nulla rimane dell’ideale
dello stato originario - così obiettivamente registrato da
sant’Agostino - che gli adamiti cercavano di rinnovare
nell’oscurità delle loro caverne.
Dopo più di mille anni appare nell’Europa del nord una
setta analoga, senza che sia peraltro possibile rintracciare
un legame storico tra gli adamiti paleocristiani e quelli
medievali. Possiamo solo constatare che nelle fonti cleri
cali le posizioni contraddittorie di Epifanio e di Theodoret
si confondono, così che il giudizio su questa setta rimane
un grosso punto interrogativo. Un esempio ce lo forni
sce il carinziano abate Giovanni Vittoriense, che nel suo
Cronicon del 1326 ci riferisce di un adamita olandese
che viveva a Colonia: « A quel tempo apparve a Colonia
una setta eretica: uomini e donne, di diverse condizioni,
si incontravano, nel pieno della notte, in luoghi sotter
ranei, che essi chiamavano il loro tempio. Un certo prete
del diavolo, di nome Walther, celebrava la Messa e,
dopo l’Elevazione e la predica, essi spegnevano le luci,
dopodiché ogni uomo faceva atto di riconoscere la donna
che aveva accanto. Dopo una ricca cena, si davano alle
danze e a ogni sorta di piaceri, che essi chiamavano lo
stato del Paradiso, com’esso era dato ai genitori originari
prima della loro caduta. Il capo di questa follia si faceva
chiamare Cristo, e Maria si chiamava la nobile e bella fan
ciulla che gli si poneva accanto. Così facendo egli degra
43
dava il Sacramento della Fede, e di conseguenza i valori
della costumatezza e della verità ».
Da questo esempio si capisce che le parole di Epifanio
e di sant’Agostino si sono caricate, nel corso del Medioevo,
della connotazione negativa, già data da Theodoret: meta
del culto adamitico non è l’innocenza paradisiaca ma l’in
temperanza del lupanare. Dovunque l’eresia adamita si
sia diffusa in Occidente, gli atti processuali riportano gli
stessi concetti guida: Adamo simile a Cristo in quanto
portatore di rivelazione; il culto della caverna sotterranea
come Paradiso; la nudità rituale; l’amore innocente reli
giosamente sentito, definito come ‘amore angelico’, ele
vato alla sfera del soprasensibile. Da ciò deriva per noi
un interrogativo, se cioè la concordanza tra queste eresie
così distanti nel tempo, ma sostanzialmente analoghe nei
contenuti, sia frutto di un appiattimento dovuto allo
schematismo delle diagnosi della patristica, o se invece
corrisponda ad una reale continuità 'sotterranea'. Può es
sere utile a una verifica constatare la presenza di posizioni
adamite in zone anche molto distanti a est, sud e nord-
ovest dell’Europa.
Enea Silvio Piccolomini ci racconta dei picardi-begardi
di Boemia, che all’inizio del quindicesimo secolo fuggi
rono l’inquisizione dei Paesi Bassi e della Germania e si
rifugiarono nella Boemia, allora agitata dai fermenti hus-
siti. Essi avevano come capo un 'pastore supremo’ che
si autodefiniva 'Adamo, figlio di Dio e Padre’ e che era
accompagnato, secondo una fonte di Kònigsgraz, da una
donna chiamata ‘Madre di Dio’. Analogamente all’olan
dese Walther, egli pretendeva di essere simile a Dio. Egli
era l’incarnazione di Adamo, che era a sua volta l’incar
nazione di Cristo: Adamo e Cristo erano dunque, per
questa setta, riuniti in un’unica personalità, quella del
Redentore e Salvatore, rappresentata dal proprio capo.
La caverna aveva un significato così profondo che gli ada
miti boemi e austriaci erano conosciuti come 'gli abitanti
delle fosse’, o ‘i minatori’. La descrizione di queste ca
verne è per lo più abbozzata, ma allorché ci si sofferma su
una rappresentazione più particolareggiata, risulta evidente
che esse venivano viste come sedi di intemperanze sessuali.
44
Gli Atti del processo inquisitorio a carico degli Alum
brados, variante spagnola di questa eresia, ci offrono
un esempio estremo del concetto di Paradiso: al centro
di questa setta di Toledo vi era una ‘Sibilla’, Francisca
Hernández, che intratteneva rapporti sessuali ‘innocenti’
con innumerevoli suoi discepoli, tra cui Antonio Medrano
e Francisco Ortiz. Medrano dichiarò che, dopo aver co
nosciuto Francisca Hernández, Dio gli aveva fatto la gra
zia di non sentire più desideri carnali, così che poteva
dormire con una donna, nello stesso letto, senza pregiu
dizio per la sua anima. Quanto a Francisco Ortiz, nella
sua dichiarazione alla corte, affermò: « Dopo aver avuto
rapporti con lei per una ventina di giorni, ho riconosciuto
di aver acquisito più saggezza a Valladolid che in vent’anni
di studi a Parigi. Giacché non Parigi, ma solo il Paradiso
poteva insegnarmi questa saggezza ».
Tali prove di castità, che ci fanno pensare alle tene
rezze del Pastore di Hermas (Cap. h ) e alle Virgines subin-
troductae paleocristiane, e che ci sono state tramandate
negli Atti dei Fraticelli (Liber sententiarum inquisitionis tholosanae,
Limborch, i, p. 282 sgg.), tornano anche negli atti stesi sui no
stri ‘homines intelligentiae' di Bruxelles:
« Similmente, usano tra loro un linguaggio particolare,
secondo cui essi designano l’atto d ’unione carnale per
mezzo del termine “ gioia del Paradiso’’ o “ via ascen
dente” (acclivitas). Ed è in questi termini positivi che essi
parlano ad altri, che non li comprendono, di questi atti
voluttuosi ».
I commissari che condussero l’inchiesta furono abbastan
za obiettivi da includere nel processo verbale questi due
esempi di terminologia libero-spirituale, che esprimevano
valori morali. Il termine ‘acclivitas’ significa in effetti
‘direzione ascendente’, volontà di giungere alla perfezione
umana. Parimenti, il loro concetto di ‘Paradiso’ sugge
risce la tensione verso una sublimazione suprema della
sessualità. Naturalmente per la moralità ascetica dei giu
dici dell’Inquisizione non vi era modo di « bene loquere
de sexualibus ». Nel loro linguaggio questa zona era sino
nimo di vergogna, lo stigma stesso della caduta. Di con
seguenza, ogni idealizzazione della sessualità non poteva
45
essere altro che un tentativo ipocrita di nascondere il
traviamento. Questa degradazione bigotta di un’eròtica
spiritualizzata in una sessualità volgare, si fondava par
ticolarmente su un passaggio della Seconda Lettera a T i
moteo (in , 4-6), in cui san Paolo descrive con i tratti di
sacerdoti di scostumatezze i tentatori che, nell’imminenza
della fine dei tempi, « amando il piacere più di Dio, avendo
l ’apparenza della pietà, ma rinnegando ciò che ne fa la
forza... s’introducono nelle case e si accattivano le donne
di spirito debole e ottuso, cariche di peccato e agitate da
passioni di ogni specie ».
Tali denunce non hanno che un valore storico limitato:
esse non si fondano su fatti reali, ma sono l’espressione di
stereotipi applicati senza distinzione a tutti gli eretici visti
come soldati dell’Anticristo, questo grande spauracchio
della fine del Medioevo. Benché questo aspetto stereotipo
del pensiero medievale sia perfettamente noto dalla pub
blicazione dell’opera di Ernst Bernheim, Mittelalterlichen
Zeitanschauungen, la critica storica, nel suo insieme, non
è andata oltre questa condanna morale del Libero Spiri
to, senza analizzare preliminarmente il sistema dottrinale
che si ricollega ai concetti essenziali di ‘cammino ascen
dente’ e ‘Paradiso’. È più che mai importante sottolineare
il giudizio ragionato e imparziale espresso da Herbert
Grundmann nei suoi Studi su Gioacchino da Fiore :
« Se noi sapessimo a loro riguardo tante cose quante ne
conosciamo su Mastro Eckhart, ed è sovente difficile
discernere in quali trattati mistici, tra quelli che ci sono
pervenuti, è la voce del maestro che parla, e in quali
è la voce del movimento che parla, se avessero risposto
alle accuse addotte contro di loro come fece Eckhart, al
lora senza dubbio noi vedremmo nella presunta moralità
rilassata e corrotta di parecchi tra questi eretici una cre
denza nella possibilità terrestre dell’ "homo perfectus” ,
credenza che, presso Eckhart ugualmente, malgrado tutte
le sue riserve e le sue rettifiche, costituisce la base pro
fonda della sua dottrina etica » . 5
46
Il loro 'cammino ascendente’ verso la perfezione inno
cente passava attraverso l ’amore platonico, inteso in senso
stretto, nella misura in cui nell’amato essi non vedevano
che l’idea dell’essere umano originario. Di origine plato
nica era anche il loro tanto diffamato comuniSmo amoroso,
che ben si distingue quindi da una banale, intemperante
poligamia. Avendo come obiettivo quello di ricostruire
la coppia originale, l’amore libero-spirituale non era ‘ indi
viduale’, ma umano. Il genere prevaleva sul singolo indi
viduo giacché l’adamismo si fondava sull’assioma del
l’uguaglianza di tutti i figli di Adamo. La degradazione
dell’uomo in quanto genere, conseguenza della caduta
nell’istinto animalesco, è esclusa dal secondo assioma della
setta: l’uomo è il ritratto vivente di Dio. Questo lo ele
vava al più alto rango spirituale che si potesse concepire.
Inoltre, l’unione mistica dei sessi a cui si tendeva non era
possibile se non attraverso una severa santificazione del
l’amore.
Un amore fondato su delle concezioni così elevate po
teva più facilmente trascurare i limiti ‘borghesi’ del ma
trimonio, tanto più che all’epoca esso non era stato in
vestito di tutto il valore etico che la Riforma gli avrebbe
in seguito conferito. La Chiesa considerava il celibato
come lo stato perfetto, e il matrimonio non era per essa
che una concessione fatta alla debolezza della natura uma
na. In più, il matrimonio nella sua forma borghese non
era, all’epoca, che una semplice istituzione economico-
giuridica, svuotata del suo contenuto specifico: l’amore.
Andrea Cappellano, il teorico dell’amore medievale, ce lo
conferma con cruda obiettività. Ora, ciò che importava
per i discepoli del Libero Spirito era solamente l’amore,
e non nella sua prosaica espressione ‘borghese’, ma nella
più alta sacralizzazione possibile.
Non erano delle qualità esteriori, ricchezza o bellezza,
che seducevano gli amanti adamiti e li univano, ma la po-
47
tenza spirituale delle 'affinità elettive'. Il sentimento reli
gioso fondamentale di essere destinati l ’una all’altro al
fine di manifestare la volontà di Dio « divenendo tutt’uno,
un’unica carne », questo sentimento escludeva l’anarchia
dei desideri sessuali. Anche se, in via di principio, il ma
trimonio plurimo era autorizzato, il matrimonio libero
spirituale aveva una forza d ’unione tale da creare una co
munità indissolubile. Per gli annunciatori dell’ ‘amore an
gelico’ sarebbe stato peccare contro lo Spirito Santo pren
dersi beffe di questa ideale liberamente scelto, ideale che
essi affermavano con tanto coraggio di fronte alle perse
cuzioni esterne, non indietreggiando neppure davanti alla
morte.
Certo, vi erano tra i loro ranghi anche esseri gros
solani, donne lascive e ‘redentori’ ambigui. Simili aberra
zioni, di cui si ha notizia nelle cronache giudiziarie, simili
degenerazioni non fanno che confermare le difficoltà di
questa scelta, senza smentirla. Simili esigenze spirituali sd
possono soddisfare solo parzialmente, e alcune ricadute
sono inevitabili allorquando il postulato etico si estende
a un ambito che cela così grandi e vertiginose possibilità
d ’errore. Ammesso questo, bisogna attribuire la cattiva re
putazione della setta a calunnie suscitate dalla regola del
silenzio prescritta dai 'misteri' adamiti. L ’ombra del so
spetto segue sempre ciò che è tenuto segreto e quando
appare una sfumatura di sessualità, essa diviene inevita
bilmente la vittima di una lubrica curiosità. Ancora oggi
sussiste la confusione grossolana tra eros e sesso, accen
tuata dall’arido materialismo sessuale delle ultime genera
zioni; non ci si può dunque attendere una valutazione più
ragionevole da parte degli zelanti tribunali inquisitòri, so
prattutto perché l’eresia era palese.
La persecuzione del Libero Spirito da parte dei tribu
nali secolari e inquisitòri era motivata sia dalle ambizioni
politiche dello stato sia da quelle della Chiesa. Di fronte
allo stato il Libero Spirito adotta lo stesso atteggiamento
di rifiuto che sarà più tardi proprio dei battisti. I suoi
adepti si oppongono radicalmente ad ogni impiego delle
armi, rifiutano di prestare giuramento e declinano ogni
carica pubblica: in una parola essi rifiutano ogni ricorso
48
alla violenza o all’autorità perché inconciliabile con le
loro esigenze etiche fondamentali di libertà di scelta e
di azione. Se è risolutamente ostile alla Chiesa quale isti
tuzione politica, il Libero Spirito assume, di fronte alla
Chiesa quale istituzione misericordiosa, un atteggiamento
di sottomissione esteriore e di indifferenza profonda. Tut
tavia, per principio, il Libero Spirito pratica la tolleranza
ammettendo nella comunità misterica chierici e monaci, e
alcuni dei suoi membri si mostrano attivi per conto della
Chiesa. Lo dimostrano il nostro carmelitano e Bosch, che
divideva la sua attività tra l ’esecuzione di commissioni
di dipinti per la cattedrale di San Giovanni e i lavori de
stinati alla comunità del Libero Spirito.
Il sistema teologico del Libero Spirito non ci è per
venuto che per frammenti. Nella sua dottrina mistico
panteistica della salvezza si mescolavano tre sfere prin
cipali di pensiero: l’identificazione Adamo-Cristo degli
ebioniti giudaico-cristiani; la profezia della ‘fine dei tem
p i’ del monaco calabrese Gioacchino da Fiore; la dot
trina della ‘redenzione universale’ di Origine, che subisce
l’influsso dell’eredità spirituale neoplatonica, ripresa da
Giovanni Scoto Eriugena, il restauratore della filosofia e
della mistica greche in Occidente, e da Pico della Miran
dola. L ’apporto originale del Libero Spirito sta nell’au
dacia inaudita con la quale esso ha trasportato nella realtà
le teorie ereditate, e nella sua volontà di realizzare la deli
cata esperienza di vivere una filosofia sul terreno più espo
sto che vi sia: quello dell’amore. Giacché le tre sfere di
pensiero si fondono tutte per costituire un’eròtica spiri
tuale il cui archetipo era l’amore innocente della coppia
originale.
49
conclusioni che se ne traggono, possiamo farci un’imma
gine relativamente completa della vita di una comunità
libero-spirituale. Veniamo così a conoscenza della sua or
ganizzazione esterna ed anche delle sue principali conce
zioni religiose, morali e sociali.
Il documento è ricco, anche nei suoi silenzi. Ed è in
una delle sue omissioni che esso forse è più rivelatore:
per violenta che sia la stigmatizzazione delle sregolatezze
libero-spirituali, esso non parla mai di culto orgiastico.
Ecco un argomento significativo da opporre a quelli che,
grossolanamente, immaginano i culti di queste conventi-
cole come delle volgari riunioni di dissoluti. La ragione
di questo vistoso ritegno è assai chiara. Il tribunale aveva
a che fare questa volta con un ecclesiastico contro cui
non si potevano utilizzare delle favole così grossolane come
quelle della dissolutezza rituale. Considerato il rango ec
clesiastico dell’accusato, il tono generale del processo si
distingue per la sua maggiore obiettività.
Il carattere inter fratres del dibattito non ne ha im
pedito la virulenza; da una parte ne ha elevato il livello,
dall’altra gli ha conferito quell’impostazione teologica
alla quale noi dobbiamo la condanna di concetti fonda-
mentali quali T'acclivitas’ e il ‘Paradiso’, nonostante il
loro contenuto positivo. Il processo verbale non contiene
solamente i diversi capi d ’accusa, ma anche le dichiara
zioni fatte dal carmelitano per la sua difesa. Questo do
cumento quindi, a prescindere dalla premessa da cui par
te, secondo cui l ’eròtica libero-spirituale non sarebbe che
lussuria mascherata, è per noi di interesse eccezionale.
Scoperto per primo da Baluze (Miscellanea n , pp. 277-297)
e da Duplessis d ’Argentré (Collectio judiciorum de novis erroribus I ,
11, pp. 201-209), questo documento è stato pubblicato da
Paul Frédéricq nel primo volume della sua opera fonda-
mentale, Corpus documentorum inquisitionis haereticae
pravitatis Neerlandicae (Gent und s’Gravenhage, 1889, pp. 269-279),
sotto il numero 249. Noi commenteremo sistematicamente
i suoi punti principali, nella misura in cui essi possono es
sere messi in relazione con il nostro dipinto, e cominceremo
con l ’esame critico del luogo della vita comunitaria degli
'homines intelligentiae’.
50
(17) « Similmente si erge una certa torre dinanzi alle
mura di Bruxelles, appartenente a un certo scabino di que
sta città, dove essi si riuniscono per le celebrazioni proprie
alle loro conventicole ».
Questa torre fuori le mura nei dintorni di Bruxel
les ricorda la grotta sotterranea di Colonia ove, già nel
1326, si celebravano in una nudità rituale i culti adamiti.
Questi due luoghi sono presentati come due covi tene
brosi, e il luogo di riunione di Bruxelles è immerso ugual
mente in un quidam molto oscuro; si potrebbe dunque
dubitare della loro esistenza effettiva e considerarli quali
invenzioni fantasiose. Tuttavia Frate Wilhelm non nega
l ’accusa, egli si limita a dichiarare di non aver fatto parte,
in dieci anni, di tali conventicole. Non vi si è recato, egli
dice, che una sola volta, circa tre anni prima, e soltanto
per scoprire l’origine delle voci che circolavano a Bruxelles
su Cantor. Tuttavia, se avesse potuto prevedere che sa
rebbe finito in una congregazione di donne, avrebbe evi
tato di andarci (risposta al paragrafo 17).
Dichiarazione assai sorprendente, anche se si tiene con
to della sua volontà di abbellire i fatti: non una parola
a proposito di eventuali sregolatezze, nemmeno la consta
tazione della presenza di uomini nella torre. L ’accusato
si limita a dire di avere incontrato un insieme di donne a
cui, nonostante la sua avversione, egli accorda l ’appellativo,
d ’origine ecclesiastica, di ‘congregatio’. Nessuna menzione
di nudità rituale. E l ’inquisitore si accontenta delle risposte
senza cercare di sapere cosa facessero queste donne. Allo
stesso modo egli ammette che l’accusato abbia potuto per
circa dieci anni ignorare completamente queste riunioni.
Questo ci permette perlomeno di pensare che pratiche nu-
diste erano molto discrete, poco frequenti, e non potevano
in nessun caso costituire l ’essenziale, l ’attrazione più forte
di un 'culto' grossolanamente sessuale.
È facilmente comprensibile come in un procedimento
contro una comunità esoterica, la cui dottrina non deve
diffondersi tra le moltitudini, l’aspetto della clandestinità,
e di conseguenza il sospetto di tenebrosi intrighi, occupi
un posto rilevante nel processo verbale. Infatti i due pa-
5i
ragrafì seguenti cercano chiaramente di svelare il preteso
‘mistero* :
(13) «Similmente, questo stesso Frate Wilhelm non
ha piena fiducia in nessuno, né fa partecipare altri alla
sua intima convinzione; essi commettevano l ’atto carnale
senza rimorsi né timore di Dio ».
L ’accusato confuta questo paragrafo, concedendo solo
« che una tale cosa abbia potuto risultare dalle parole di
Cantor ». Si può dedurre da questa confessione che la
comunità si divideva in differenti gradi d ’iniziazione: vi
erano dei novizi che non avevano ancora il diritto di
sapere tutto, e degli iniziati ai quali si poteva parlare
senza la minima riserva. Frate Wilhelm doveva occuparsi
dei gradi elementari dell’istruzione religiosa, mentre Aegi-
dius Cantor, maestro spirituale della cerchia intima degli
iniziati, era il custode del mistero sessuale. Trattandosi
di questioni sessuali, questi segreti di poco conto che
suscitavano tanti sospetti non nascondevano necessaria
mente delle cose proibite, ma rivelavano forse, al con
trario, un metodo pedagogico scrupoloso che consisteva
nel trattare prudentemente tali questioni per tappe suc
cessive.
(14) « Similmente, secondo Frate Wilhelm, tutti i loro
maneggi, ad esclusione del commercio sessuale, condan
nato dalla Chiesa, si potevano giustificare o legittimare con
riferimenti alle sacre scritture. Per questo egli aveva l ’abi
tudine di raccomandare la prudenza ai suoi discepoli nel
parlare di tali accoppiamenti illeciti ».
Frate Wilhelm nega anche questo punto. Egli afferma
di aver sempre esortato i suoi discepoli alla completa
continenza e al rifiuto delle ‘espressioni’ di Cantor. Que
ste ‘locuzioni’ (loquelae ) si riferivano senza alcun dubbio
ai concetti di salvezza della ‘via ascendente’ e del 'P a
radiso' che formano l ’essenziale della denunzia inquisi
toria. I dinieghi privi di ogni verosimiglianza dell’accusato,
che tenta di riversare su Aegidius Cantor tutte le incrimi
nazioni sessuali, mostrano chiaramente che la corte aveva
toccato là il nucleo esoterico della dottrina. Pare inso
stenibile, e inaccettabile per il tribunale inquisitorio, che
le due guide della setta, dopo una collaborazione di
52
dieci anni, predichino l ’uno la continenza totale, l ’altro
la misteriosa via ascendente verso innocenti delizie ero
tiche. Il punto di partenza dell’eròtica adamita risiede
manifestamente in questo rapporto tra la perfetta vergi
nità e 1’ ‘ascesa’ non meno perfetta.
Messo a confronto su questo punctum saliens, il carme
litano, di cui era in gioco la vita, non poteva che negare
ostinatamente. Per non perdersi e per evitare di tradire
l’intero sistema della via adamita di salvezza, egli accettò
che questo nucleo della dottrina erotica del Libero Spirito
fosse condannato come semplice aberrazione personale di
Cantor. Ma egli non poteva sottrarsi all’accusa con un
espediente così elementare. Si provò all’accusato che aveva
impiegato lui stesso questa ‘maniera di parlare’ di Cantor,
da cui egli pretendeva di essersi astenuto. L ’inquisitore
gli ingiunse di ritrattare le due gravi dichiarazioni se
guenti, di cui non poteva contestare la paternità:
« In secondo luogo, l’atto sessuale può essere compiuto
in maniera tale da assumere davanti a Dio lo stesso valore
di una preghiera ».
Aegidius Cantor stesso non avrebbe potuto esprimersi
in modo più audace. In effetti, il ruolo del ‘cammino
ascendente’ era di nobilitare a tal punto la fisiologia della
procreazione che questa non apparisse più come un umi
liante atto animale, ma fosse percepita come un principio
divino, creatore ed esaltante. Con questa affermazione il
carmelitano mostra che egli era pienamente d ’accordo
con la 'loquela* di Cantor. Egli aveva similmente adot
tato la proposizione eretica della purezza dell’anima:
« In sesto luogo, abiuro come falsa e sacrilega la pro
posizione che l’uomo esteriore non possa contaminare
l’essere interiore ».
Una tale proposizione può essere facilmente interpre
tata nel senso della separazione tra l’anima e il corpo.
In realtà essa è legata molto strettamente a ciò che pre
cede. Perché essa presuppone un’esaltazione dell’anima
e del corpo durante l’atto sessuale, che la proposizione
numero due assimila a una preghiera.
1
Il Libero Spirito ha precorso ’ ‘emancipazione della
carne’ proclamata dal Rinascimento grazie a una ‘deifica
53
zione della carne', una premonizione della sua natura di
vina. Mentre il Rinascimento libera la sessualità dalla col
pa, dimostrandola conforme alle leggi della Natura, gli
adamiti partivano dalla convinzione che l’istinto sessuale
è ‘naturale’ solo per la creatura decaduta; per l’uomo
riunito a Dio e riconciliato in Dio con la Natura intera,
esso costituisce un ‘mistero’ sia sensibile che sovrasensi-
bile. La proposizione seguente, è vero, sembra contraddire
violentemente una tale ideologia, giacché sembrerebbe
legittimare la prostituzione partendo dalla purezza stessa
dell’anima:
« In diciottesimo luogo, abiuro come falsa, erronea e
blasfema la proposizione che una donna depravata, se non
possiede marito o mezzi di sussistenza, valga tanto quanto
una vergine ».
Bisogna tuttavia trattare questo punto con pruderla.
Secondo l ’opera di Jean Jacques Altmeyer, I precursori
della Riforma nei Paesi Bassi (La Haye, 1886,1,23), la medesi
ma proposizione è stata attribuita al valdese Wilhelm Cor-
nelis un secolo prima; così si tratterebbe forse di un’accusa
stereotipa. A meno che non vi fosse realmente un’influen2a
di idee valdesi, che indicherebbe un’attività missionaria e
sociale presso questi eretici. Il fanatico olandese David
Joris, per esempio, che ha ricondotto il movimento libero
spirituale al movimento anabattista, cercava, come dice
nei suoi Hertlycken Clach-Reden, i veri amici del Signore
tra i reprobi sociali: « Non si trova dunque nessuno per
amare il Signore? Oh sì. Che genere di uomini? Un popolo
disprezzato e reietto, un popolo di pubblicani, di peccatori
e di samaritani che amano il loro prossimo ».
Per il momento lasciamo da parte il rapporto tra ver
ginità e integrità anatomica - di cui il processo verbale
non fa parola - ed esaminiamo il paragrafo che ci forni
sce la prova dell’esistenza, all’interno del Libero Spirito,
di una castità verginale:
(8) « Similmente tra le donne di questa setta, ve ne è
una che non tollera che alcun uomo la conosca. Così essa
deve sopportare molti oltraggi da parte dei membri, uo
mini e donne, della setta, che la tormentano giacché si
astiene da ogni commercio carnale ».
54
« Istud nunquam pervenit ad aures meas », questa è
la risposta del carmelitano, ed essa ci pare verosimile. In
fatti, che ragione avrebbe potuto avere questa ragazza per
entrare e rimanere in una setta che disprezzasse così gros
solanamente il suo ideale di castità? Il concetto libero
spirituale di perfezione doveva dunque essere in grado
di soddisfare anche simili esigenze ascetiche.
A questa candida ingenua il processo verbale oppone
una 'vecchia' carica di esperienza. Caricatura vivente del
l’impudicizia del Libero Spirito, questo personaggio rivela
bene il modo in cui ogni caso era manipolato per farne
una tipizzazione:
( n ) « Similmente vi è una vecchia che il laico sopra
citato ha chiamato Serafina, che ha pubblicamente dichia
rato che al di fuori dei legami sacri del matrimonio po
tevano ugualmente esservi rapporti sessuali innocenti e
che l’atto sessuale era un’attitudine puramente naturale,
come mangiare e bere. Tuttavia, ha dichiarato che solo
l ’atto sessuale è riprovato e non gli altri due. È per que
sta ragione che si stupisce, con altri, della cecità degli
uomini che pensano comunemente in tal modo ».
Questa proposizione, se la si analizza più da vicino, ap
pare anch’essa collegata al concetto della copulazione in
nocente. La prima frase può senz’altro significare che, an
che al di fuori del sacramento matrimoniale, una convivenza
innocente è possibile, proprio in virtù dell’ 'acclivitas'. Que
sto nome di Serafina parla in favore di una simile lettura
del testo, poiché significa in maniera evidente che questa
donna aveva compreso perfettamente il mistero dell’amore
serafico e che era diventata la Diotima della comunità del
Libero Spirito. La successiva giustificazione del sesso non
è affatto conciliabile, è vero, con una tale interpretazione.
Tuttavia non è impossibile che anche qui una proposi
zione presa nel suo senso 'ascendente' sia stata deformata
e interpretata nella maniera più bassa. Inizialmente que
sta proposizione voleva esprimere il vero ideale serafico:
l’uomo, in ogni boccone che inghiotte, in ogni sorso che
beve, così come nel puro amore dei sensi, partecipa della
benedizione e della potenza della terra e del cielo. E ci si
stupisce, in effetti, nel vedere l’uomo rifiutarsi di com
55
prendere questo mistero dell’amore universale. A con
ferma di una simile congettura, aggiungiamo che si è
creduto di riconoscere sotto i tratti di questa 'vecchia'
la famosa Suora Hadewicb, la Bloemardine.
Non si può affatto salvare, in compenso, un terzo tipo
di donna, di cui l’accusato per mezzo di un « istud non
credo totaliter verum » riconosce in parte la dubbia mo
ralità. Questo tipo incarna il puro animale sessuale che
obbedisce solo ai propri istinti, chiuso ad ogni eleva
zione spirituale e morale:
(12) « Similmente, vi è una donna sposata che non fa
differenza alcuna tra un uomo e un altro, ma che am
mette tutti senza distinzione, a seconda dell’ora e del
luogo, e questo, tra loro, è quasi abituale ».
A l centro di questo gruppo 'misto' dal punto di vista
dei costumi, di cui ignoriamo purtroppo il numero dei
membri e l ’origine sociale, si ergono le figure di due
capi: il carmelitano, una fisionomia resa evanescente dai
suoi stessi sotterfugi, ed Aegidius Cantor, personaggio del
tutto singolare, con le sue farse, le sue ispirazioni e le
sue spacconate. Questo Aegidius pretende di essere in rap
porto costante con lo Spirito Santo: le illuminazioni, le
rivelazioni, gli ordini che ne riceve, egli li traspone far
sescamente sul piano della vita quotidiana. Il seguente
passo è particolarmente caratteristico: lo vediamo preci
pitarsi nella strada, apparentemente sotto ispirazione, in
uno stato di nudità adamita e con un piatto di carne sulla
testa, quasi fosse un garzone di macellaio:
(19) «Similmente, ciò che essi ricevono per ispira
zione o suggestione interiore, viene attribuito all’azione
dello Spirito Santo, da cui il laico succitato aveva l’abi
tudine di trarre buona parte delle sue profezie. E proprio
a causa di una simile ispirazione di cui sarebbe stato l ’og
getto, egli una volta ha percorso un lungo cammino in
uno stato di nudità totale, portando sulla testa un piatto
di carne per qualche povero ».
Si può scoprire in questa buffonata apparentemente
assurda un significato molto profondo, non appena si
prendano in esame, collegandole, le diverse componenti
di questa scena. L ’elemento essenziale è il piatto di carne
56
che Cantor - come tanti personaggi di Bosch che portano
sulla testa degli oggetti simbolici - trasporta ostentata-
mente sul capo. Dal momento che gli adamiti di stretta
osservanza si astenevano dalla carne, è improbabile che
Cantor abbia voluto portare del cibo a un fratello biso
gnoso. La nudità rituale indica piuttosto che si doveva
trattare di vivande del tutto simboliche, da utilizzare come
ingredienti di una cura per ‘simpatia’. Nella medicina po
polare si fa uso ancora oggi di carne cruda per curare casi
di febbre o di itterizia. Se la si considera un procedimento
superstizioso, questa scena assume allora il seguente si
gnificato: Cantor ha voluto aumentare il potere curativo
del medicamento con l’irradiamento di 'mana' del corpo
nudo; è anche per questo che egli porta il medicamento
sulla sommità del cranio, reale fonte di irradiamento. Così
un banale garzone di macellaio, attraverso la potenza spe
cifica della ‘nudità’, si trasforma in medico, in prete gua
ritore adamita.
Il quarto paragrafo accusa l’eretico di Bruxelles di es
sersi ritenuto esentato dal digiuno della quaresima in virtù
di una falsa rivelazione, nel corso della quale lo Spirito
Santo gli avrebbe annunziato: « Tu sei trasformato in un
bambino di tre anni ». La frase, a prima vista, appare del
tutto priva di senso, come il passo precedente. Ma, valu
tandola più attentamente, essa apre prospettive ancora
più vaste. Si tratta infatti di una auto-assoluzione di Can
tor; essa lo pone in uno stato di innocenza analogo a
quello del 'coro dei fanciulli beati', i quali, nella apoteosi
del Faust di Goethe, « facendo cerchio attorno alle vette
più alte », accolgono Faust nell’immortalità e lo conducono
alla beatitudine eterna. Goethe ha ripreso il tema dei ‘bam
bini angelici’ dai Misteri celesti di Swedenborg; Cantor lo
ha ripreso dalla fonte originale: YEvangelium aeternum di
Gioacchino da Fiore. L ’umanità, secondo Gioacchino da
Fiore, riscoprirà alla fine dei tempi uno stato di infantile
innocenza. Aegidius, ritenendo che il regno millenario
avesse già avuto inizio, credeva già di essere, a dispetto
dei suoi sessantanni, un tale ‘putto’ paradisiaco.
Ma allo stesso tempo egli si sentiva chiamato a un
destino ancora più alto. Fin dal primo paragrafo, è po
57
sto a confronto con la seguente proposizione che egli
avrebbe « a più riprese dichiarato apertamente di fronte
a numerosi testimoni »: « Sono il Redentore e urna
mtà, e attraverso me gli uomini vedranno il Cristo, come
attraverso il Cristo essi vedranno il Padre ».
Per gli inquisitori è la peggiore delle e r e s ie . Per noi,
oggi, un delirio religioso. Per i libero-spirituali, invece,
esprìmeva la pretesa tradizionale dei loro grandi maestri
e pastori superiori., In effetti, il culto mistagogico di que
ste comunità - come per i pitagorici - era basato sulla
mediazione personale, riservata esclusivamente ad individui
dotati di un potere di divinazione, tali da essere conside
rati come semidèi. D ’altra parte, è questa funzione di me
diatore personale il fondamento della megalomania reli
giosa cosi caratteristica del Libero Spirito. Si ricordi quel
capo piccardo che si nominava 'Adamo, Figlio di Dio, e
Padre', e che certamente si sentiva chiamato a svolgere
il ruolo di redentore del mondo al pari di questo altro
figlio di Dio, Aegidius.
Come modello di tutti questi mediatori, bisogna citare
Konrad Kannler, trascinato nel 1381 davanti al tribunale
di Eichstatt. Questi, nel corso degli interrogatori, riconobbe
non solamente di essere il 'fratello di Cristo’ e il 'nuovo
Adamo’, ma anche ‘l’Anticristo nel senso buono’, e inol
tre si sentiva chiamato, quale 'nuovo Agnello innocente’,
a presiedere il giudizio universale. Nei Paesi Bassi, altri
capi di sette, contemporanei di Bosch e della sua opera
straordinaria, accamparono simili pretese. Questo dovreb
be impedirci di considerare tali personaggi come delle si
bille o dei profeti da strapazzo divenuti folli, Anche in
Mastro Eckhart si trovano formulazioni molto audaci,
come questa: « Il fatto che il Cristo sia felice non mi
renderà felice, fino a quando non sarò divenuto io stesso
il Cristo, fino a quando io non nascerò quale figlio di Dio »;
oppure: « Perché Dio si è fatto uomo? Perché io nasca
come Dio, simile a Lui ».
Tali stravaganze danno ragione a Novalis, che scrive:
« Alcune forze superiori erano presenti in tutti gli entu
siasti e i mistici. Ne sono risultati dei miscugli e delle
forme bizzarre. Più il materiale era grossolano ed etero
58
geneo, l ’uomo privo di ogni gusto, incolto, e la sua scelta
accidentale, più ciò a cui egli dava luce era strano. Sa
rebbe senza dubbio fatica sprecata voler purificare, chia
rire, delucidare questa massa di materiale grottesco e
sorprendente. Ciò richiederebbe oggi sforzi enormi. La
sciamo questo compito ai futuri storici della magia. Come
testimonianze importanti dello sviluppo progressivo della
potenza magica, questi esempi sono degni, malgrado tutto,
di essere accuratamente raccolti e conservati ».
Troviamo una testimonianza altrettanto importante nel
nono paragrafo del processo verbale di Cambrai, che
registra con una obiettività laconica la virtù che, secondo
Cantor, lo elevava al rango di mediatore di Cristo. Esso
dice precisamente: « dictus Aegidius habet modum spe-
cialem coeundi, non tamen contra naturam, quali dicit
Adam in paradiso fuisse usum ». Egli ha dunque « una
maniera particolare di fare l’amore, che non è tuttavia
contro natura, e che dice essere stata quella di Adamo in
Paradiso ».
Questa dichiarazione ci riporta al punto di partenza del
cammino ascendente’, giacché qui noi abbiamo la prova
che le comunità del Libero Spirito possedevano una scien
za erotica segreta: un’arte di amare che, da una parte,
si distingue nettamente, quale 'modus specialis’, dal co
mune atto animale della copulazione e che, d’altra parte,
'non offende’ per nulla la Natura. Noi cogliamo qui il rap
porto teoretico tra i due concetti etici di perfezione invo
cati dal Libero Spirito: quello di castità e quello di amore
sessuale innocente. Solo il dipinto di Bosch, dove si trova
immortalato l’universo erotico adamita, ci permetterà di
mettere in risalto e decifrare questo ‘ modus specialis’.
Ora si tratta di tradurre in un linguaggio chiaro e accessi
bile a tutti questa ars amandi del Libero Spirito, conte
nuta nella crittografia del simbolo.
59
Il terzo giorno della Creazione
6 In italiano nel testo. (N.d.T.: laddove non sia data questa indica
zione, la nota si deve intendere dell’autore.)
62
v e r s io n i, n e lla Vulgata e n e lla Bibbia Luterana, del passo
b ib lic o ch e ci in te ressa (Genesi n, 4-6):
« Queste sono le origini del cielo e della terra, quando
furono creati, nel giorno che il Signore Dio fece il cielo e
la terra, ed ogni virgulto del campo prima che sulla terra
nascesse, ed ogni erba della campagna prima che germo
gliasse. Perché il Signore Dio non aveva ancora fatto pio
vere sulla terra, né v ’era uomo che la lavorasse; ma una
fonte saliva dalla terra, e ne irrigava tutta la superficie »
(Vulgata).
« Ecco le origini dei cieli e della terra, quando furono
creati, al tempo in cui Dio creò terra e cielo. Nessun ar
busto dei campi era ancora sulla terra, e nessuna erba
dei campi germogliava; giacché il Signore Dio non aveva
ancora fatto piovere sulla terra, e non vi erano uomini
per coltivare il suolo. Ma un vapore si levava dalla terra
e ne inumidiva tutta la superficie » (Bibbia Luterana).
Le due traduzioni si contraddicono nell’ultima frase:
nella Vulgata l ’umidità creatrice viene designata come
‘fonte’, mentre la Bibbia di Lutero traduce 'vapore',
‘nebbia’. Bosch sceglie la versione protestante e questo, da
un punto di vista artistico, merita la massima attenzione.
Infatti in entrambi i Paradisi delle pale interne egli raf
figura, al centro dei giardini, delle fonti. Dunque, se egli
ha rinunciato nelle pale esterne al potente motivo ele
mentare di una colonna d ’acqua centrale, sgorgante dalle
viscere della terra, deve aver avuto delle ragioni parti
colari.
L ’idea pittorica di Bosch è influenzata dal testo ebraico
originale, ove l ’umidità creatrice è designata dalla parola
ed, un termine che riappare solo un’altra volta nell’An
tico Testamento (Giobbe x xx v i, 27). Secondo i commentari
rabbinici medievali, seguiti in questo caso da Lutero, la
parola ha un significato simile a 'nebbia' o ‘nube di va
pore'.
Questo motivo pittorico, che non ha potuto essere
ispirato che dal testo originale, ci pone di fronte a tutta
una serie di questioni. A ll’epoca non si poteva acquisire
la conoscenza dell’ebraico che attraverso il contatto per
sonale con dei rabbini. Prima che comparisse la gramma
63
tica lessicografica De rudimentis linguae hebraicae, stam
pata nel 1506, con la quale Reuchlin ha gettato le basi
delPumanesimo ebraico, una tale conoscenza era cosa
rara: nei Paesi Bassi ciò era appannaggio di una ristretta
cerchia di teologi eruditi quale, ad esempio, il precur
sore della Riforma Wessel Gansfort (1420-1489). Nel
Vecchio Testamento, è la Sophia onnipotente a concretiz
zarsi in un vapore creatore. Essa era, secondo i proverbi
di Salomone, l ’assistente di Dio e l ’ordinatrice della Crea
zione.
« Il Signore mi ebbe con sé dall’inizio delle sue im
prese, prima di compiere qualsiasi atto, da principio. Ab
¡eterno sono stata costituita anteriormente alla formazione
della terra. Io ero già generata e gli abissi non esistevano
e le fonti delle acque non scaturivano ancora, né i monti
ancora sorgevano con la loro grave mole; prima dei colli
fui generata; non aveva ancora creato la terra né i fiumi
né i cardini del mondo. Quando disponeva i cieli ero
presente, quando accerchiava gli abissi nel giro regolare
dei loro confini, quando fissava in alto le atmosfere e
sospendeva le fonti delle acque, quando segnava intorno
al mare il suo confine e poneva un limite alle acque af
finché non oltrepassassero le sponde, quando gettava i
fondamenti della terra, insieme a lui disponevo tutte
le cose e mi deliziavo in tutti quei giorni trastullandomi
dinanzi a lui continuamente, trastullandomi nel cerchio
della terra e la mia delizia era vivere coi figli degli uomini »
(Proverbi v a i, 22-31).
La sfera di cristallo che ingloba il singolare ibrido teo
biologico che è il disco terrestre solleva dei problemi non
meno vasti. Negli studi dei pittori, alla fine del Medioevo,
l ’immagine corrente della terra era quella di una sfera
dalle dimensioni ridotte posta al centro di un’altra sfera
più vasta, cava, che rappresentava il firmamento delle co
stellazioni; questo firmamento era circondato obliqua
mente da un cerchio che includeva i dodici segni dello
zodiaco, nelle loro rispettive posizioni in rapporto al
l ’orbita solare. Rompendo con questa visione accettata e
definita dalla Chiesa, Bosch è ricorso a un sistema cosmo
logico abbandonato da molto tempo: l ’ orbis’ della filo-
64
sofia arcaica della natura, che fluttua simile a un disco
all’interno della sfera.
Secondo questa concezione arcaica, nel racconto della
Genesi (i, 6-7) le acque sono ripartite al di sopra e al di
sotto della massa solida della terra. Sembra dunque che il
pittore abbia rinunziato alla visione del mondo comune
mente ammessa, in favore della visione e della versione pa
triarcali della Genesi e che egli si sia attenuto allo stretto
enunciato dal testo. Nonostante la sua struttura arcaica, la
rappresentazione di Bosch stupisce per la pienezza vitale
che attraversa il mito della Creazione con la sua potenza
ontogenetica. Il racconto della Genesi si sviluppa per stadi
successivi e statici. La ripetizione regolare delle tre for
mule: « Così fu sera poi fu mattino », « Questo avvenne »
e « Dio vide che era buono » ( Genesi 1, 8-9-10), stabilisce
una distanza tra i differenti avvenimenti della Creazione.
In confronto a questa placida staticità, la rappresentazione
di Bosch appare animata da un vibrante fermento crea
tivo: nella penombra la massa pulsante emerge dal vapore
e prende forma. D i fronte a queste onde ribollenti di
fermenti pensiamo alle 'sette Qualità’ di Jakob Böhme
che, in quanto deducibili dal verbo sgorgare (quellen) e
inglobanti gli stati di sofferenza (Qual-Zustände ) della
materia in gestazione, egli denomina 'Q ualitäten'. Böhme
onora in queste qualità gli 'spiriti sorgenti’ divini ( Quell-
geister) delle pulsioni e delle pulsazioni dell’esistenza co
smica e individuale.
Per misurare a qual punto questa concezione di Bosch
sia rivoluzionaria sul semplice piano artistico, basta un
rapido esame dello schematismo astratto di una Creazione
contemporanea al nostro dipinto: le xilografie della Welt-
cbronik di Hartmann Schedel. Michael Wolgemut, l ’au
tore di queste incisioni austere e pie, si è strettamente at
tenuto al testo sacro. Egli descrive la Creazione giorno
per giorno, illustrandone ogni stadio, come se si fosse
attuata in un lampo, per incantesimo. Bosch rappresenta
l ’ora palpitante in cui le forme emergono le une dalle al
tre, in cui il divenire ribolle ancora nel crogiuolo. Sul
piano delle idee annuncia Jakob Böhme; sul piano pitto
rico Rembrandt.
65
Una interpretazione cosi personale, così vitalistica della
Genesi si fonda forse su una ragione più profonda che non
quella di una semplice volontà di aderenza letterale al testo
biblico. Noi proponiamo questa interpretazione: per la sua
struttura sferica, questo antico globo celeste tagliato tra
sversalmente dal disco terrestre è la forma perfetta, il puro
concetto del ‘cosmos’. La sua trasparenza cristallina lo eleva
alla più alta spiritualità, ne fa il riflesso stesso di Dio,
mentre la forma ovale del disco simboleggia il divenire
eternamente creatore. Infine, l ’ordine tutto proiettato
verso la volta carica di nubi rappresenta il sacro principio
originale del Libero Spirito: la Sophia. Il significato di
questa triplice relazione simbolica va ben oltre lo sforzo
della fedeltà letterale alla Bibbia e costituisce il nucleo cen
trale del pensiero che informa tutto il dipinto.
L ’ampolla.
67
capire questo concetto di 'giusto occorre aver presenti 1
con cetti di ‘U om o originale m itico , di F iglio dell U om o ,
d i ‘P rim o N a to della Creazione', al quale (cfr. Luca x x i, 27;
Daniele v ii, 13; Enoch x lv iii) si riallaccia un m isterioso mes-
sianesimo.
Con fede commossa, Bosch fa suo il pathos del « Rorate
coeli! » e racchiude l ’elemento liquido nel globo di cristal
lo come in un’ampolla sacramentale. La divisione della
sfera in due ante intensifica anche l’espressività del di
pinto e aumenta la sensazione di mistero. Giacché que
sta immagine della sfera fa pensare a un libro sigillato, a
una missiva celeste sigillata con cera nera, che comuni
cherà il suo messaggio di salvezza solo in un’ora di sublime
rivelazione.
Ma Bosch non si è limitato a questo: attraverso un
particolare egli ha chiaramente fatto intendere che siamo
in presenza di un’opera devota destinata agli adepti del
Libero Spirito. N ell’angolo superiore di sinistra del di
pinto, lontana al punto da divenire impercettibile, ap
pare la figura di Dio Padre, il quale dovrebbe peraltro,
quale creatore del mondo, trovarsi al centro dell’opera.
Ora, mentre Jehovah svanisce in una inafferrabile impre
cisione, le due formule della creazione, « Ipse dixit et
facta sunt » e « Ipse mandavit et creata sunt », brillano
in tutto il loro splendore. Perché questo creatore così
sbiadito, così piccolo, in contrasto con l’evidenza delle
parole bibliche?
Se ne troverà la spiegazione nella dottrina delle ‘tre
epoche dell’umanità’ di Gioacchino da Fiore. Secondo la
sua concezione, la storia del mondo inizia con il Regno
del Padre, rivelato nell’Antico Testamento, condizionato
dalla paura della Legge. Il Regno del Padre è stato sosti
tuito da quello del Figlio, realizzato come Saggezza della
Croce nel Nuovo Testamento. Questo Regno, secondo
Gioacchino da Fiore, dura ancora e - dopo una prima
transizione all’epoca di san Benedetto, il grande fonda
tore dell’Ordine - non raggiungerà tutta la sua perfezione
che nell’anno 1260. Esso si estinguerà con l’avvento del
Regno dello Spirito Santo. G li abitanti di quest’ultimo
Regno vivranno nella pace del puro amore e nella con
68
templazione estatica del mondo, in uno stato d ’illumi
nazione che vedrà animarsi e trasformarsi nella pura com
prensione spirituale delT'Evangelium aeternum' la lettera
morta dei due Testamenti.
L ’abate e i suoi discepoli, giacché sono loro che hanno
fissato questa data, hanno stabilito il 1260 dopo un cal
colo di generazioni estremamente complicato, irrilevante
per il nostro studio, che assegnava a ogni Regno una
durata di quarantadue generazioni di trent’anni. Ma come
devono perpetuarsi le generazioni nel terzo Regno? Que
sto resta un mistero. Secondo Gioacchino da Fiore gli
eletti di questo Regno dell’amore, liberati dalla sessualità,
si trasfigureranno in una forma ideale di putto, uno dei
cui attributi, secondo Matteo (xxn, 30), è la condizione in
violabile degli angeli « che non prendono né marito né
moglie ».
Per l ’abate ascetico, che meditava nella calma della sua
celletta, non vi era in questo alcuna contraddizione, bensì
un mistero che l ’avvenire aveva il compito di svelare. Se
egli negava matrimonio e procreazione all’umanità del suo
terzo Regno, è perché ciò rispondeva al suo ideale di una
umanità libera da ogni grossolana materialità, serafica
mente sublimata. Così Gesù stesso risponde, in un passo
di Matteo, alla questione del sadduceo (« Che cosa avverrà
alla resurrezione dei morti d ’una donna maritata sette
volte, e a quale uomo deve infine appartenere? »), toglien
dole ogni ragion d ’essere con un’allusione misteriosa
all’amore angelico.
Un simbolismo armonico lega i tre Regni alle epoche
della vita, alle stagioni, alle ore del giorno e ai frutti
della natura, grazie ai quali questo calcolo cronologico
astratto prende vita e si trasforma in una solenne e con
creta santificazione dell’esistenza. Dei vegliardi servitori
di Dio, degli adolescenti bambini di Dio e dei ‘putti’
amici di Dio si succedono come rappresentanti dei tre
Regni. A l Regno del Padre corrispondono nella natura
l ’inverno, l’acqua e l ’erba, così come le costellazioni not
turne; al Regno del Figlio la primavera, il vino, la spiga
e l’aurora; al Regno dello Spirito Santo, infine, l ’estate,
l’olio, il frumento e l ’ora del mezzogiorno. Così la storia
69
del mondo si sviluppa in un divenire sempre più giovane,
luminoso e perfetto.
Tre forze santificanti - perfectio, contemplatio e li-
bertas - saranno operanti nell’ultimo Regno, ormai im
minente. Esse conferiranno ai loro soggetti una visione
completa di Dio e un distacco dalle cose di questo mondo,
in vista di fini supremi, quali sono riservati, secondo il
dogma agostiniano, alla vita dopo la morte. L ’epoca della
contemplatio, « quae requiescit in silentio heremi, ubi
non sunt studia litterarum, non doctores ecclesiasticae
institutionis, sed simplicitas vitae, sed honestas, sed so-
brietas, sed caritas de corde puro et fide non ficta », rap
presenta una sorta di taoismo occidentale e cristianizzato.
Come il suo modello biblico, il Regno millenario della Ri
velazione, si suppone che questo Regno duri sino al giorno
della resurrezione dei morti, dopodiché dalla terra sarà
assunto nel Regno dei cieli.
Queste tre epoche della storia della Salvezza formano
il motivo dominante del nostro dipinto. Le ante esterne
rappresentano il Regno del Padre, posto ormai nel pas
sato, come è indicato dall’allontanamento, dalla quasi
scomparsa di Jehovah, che rimane tuttavia l’Altissimo.
Quanto alla grande iscrizione, essa significa la maturazione
e la trasfigurazione dello Spirito onnipresente del Verbo
eterno nei Regni successivi del Figlio e dello Spirito Santo.
Tale era anche il pensiero di Bosch: i pannelli interni
del trittico sviluppano con rigore, sino alla sua conclusione
logica, la dottrina gioachimita delle ‘ tre epoche dell’uma
nità’, con le fasi della giornata che a loro corrispondono.
Al centro dell’Eden, in primo piano, il Figlio avanza
verso di noi, nello splendore dell’aurora. Il pannello cen
trale conduce il corso della giornata allo zenit della sua
perfezione, l’ora del mezzogiorno. Il Verbo divino si è
realizzato nella più alta spiritualità, come ‘Evangelium
aeternum', e si diffonde su tutti i figli di Dio. A partire
da quel momento, secondo l ’arbitraria rielaborazione li
bero-spirituale del pensiero gioachimita, l ’esistente inizia
' il declino verso la notte del peccato, verso l’Inferno, dal
cui caos, tuttavia, nasce costantemente un nuovo mondo,
70
a patto che l ’uomo conservi il 'muori e divieni! ’ nella sfera
di cristallo della propria anima.
La pala era destinata a soddisfare un’esigenza di im
mediatezza e in base a ciò è determinata anche la sua strut
tura formale. Lo stesso dicasi della simbolica dei colori,
delle figure e delle proporzioni. Queste ultime appaiono
spesso volontariamente invertite, ma sempre e comunque
finalizzate a uno scopo preciso. Il minuscolo Padreterno,
ad esempio, nella buia lontananza, riesce, proprio attra
verso la sua impercettibilità, a rappresentare il motore
dell’idea ciclica del dipinto. Più il creatore appare lontano
e piccolo, più la sua creazione acquista risalto, nel suo
passaggio dalla notte dèi tempi alla feconda creatività del
presente e quindi al futuro, appartenente allo Spirito
Santo.
Con ansia i fratelli attendevano il ritorno della Sophia
ai figli degli uomini, ed è proprio questa attesa che per
mea di sé e costituisce il significato più profondo della
sfera di cristallo. È il 'numinosum' del mondo pervaso
dallo Spirito Santo. È solo a questo punto che possiamo
presumere di capire perché Bosch abbia voluto cogliere
l ’attimo della prima pioggia: è la pioggia pentecostale
dell’eterno mattino della Creazione. È noto, del resto,
come la Pentecoste sia oggetto del massimo giubilo per
tutti i credenti, ma ancor di più per tutti i 'folli' di Dio.
La sfera di Bosch, oscillante nel vuoto, suggerisce l ’im
magine di un’apparizione che l ’uomo non può toccare,
una bolla di sapone. Allo stesso modo la dottrina dei ‘tre
stati’ di Gioacchino da Fiore non era che un sogno utopi
stico, destinato a infrangersi a contatto con la realtà. In
fatti quando gli ‘spirituali’, all’interno dell’ordine fran
cescano, e, tra i laici, i begardi e le beghine, ma in parti-
colar modo i libero-spirituali, tentarono di realizzare que
sto sogno, degenerarono nell’eresia. In realtà Gioacchino
non aveva mai criticato il pensiero ufficiale della Chiesa.
Tuttavia la somma dei suoi pensieri, all’atto della messa
in pratica, ebbe un effetto dirompente sull’istituzione della
Chiesa. Infatti, se agli uomini dell’ultimo Regno erano con
cesse la perfezione spirituale, la contemplazione di Dio e la
libertà, i sacramenti tradizionali, e quindi i preti e i papi,
7i
venivano scavalcati da una sorta di affrancamento dei libero
spirituali dalle regole religiose esteriori.
Negli atti riguardanti gli « homines intelligentiae » si
legge:
( 1 8 ) « Parimenti essi dicono che il tempo dell’Antico
Testamento era il tempo del Padre, il tempo del Nuovo
Testamento era il tempo del Figlio, mentre ora siamo
nel tempo dello Spirito Santo, che essi chiamano il tempo
di Elia. Le scritture sono annullate, così che ciò che
finora è stato ritenuto vero viene ora rinnegato: la dot
trina cattolica, le verità cattoliche che predicavano la po
vertà, la continenza e l ’obbedienza. Secondo loro, nel
tempo dello Spirito Santo sarà predicato il contrario di
queste verità ».
Ben sei paragrafi sono dedicati a denunciare il disprez
zo di questi eretici verso le usanze della Chiesa: non
pregavano (5), non si confessavano (6), non facevano
penitenza (7), non si facevano il segno della croce (20),
rifiutavano radicalmente la castità, considerando vergine
soltanto Sophìa (20), attribuivano le loro azioni sacrileghe
alla volontà divina {16), e sostenevano di essere ispirati
direttamente dallo Spirito Santo (19).
Sebbene possano esserci forzature grossolane nei passi
citati, possiamo senz’altro dedurne il sostanziale rifiuto
delle norme prescritte dalla Chiesa da parte dei libero-spi-
rituali. I tre principi gioachimiti perfectio, contemplatio ,
libertas, che Herbert Grundmann definisce « non propria
mente anticattolici, ma per così dire transcattolici »,7 por
tavano conseguentemente a una certa indifferenza verso la
Chiesa. Il concetto di 'perfectio' induceva ad una genera
lizzazione nel senso della infallibilità dell’uomo spiritual-
mente perfetto; la 'contemplatio' portava invece alla con
clusione della sua parità con Dio; la ‘libertas’, infine, si
mutava facilmente dal gioachimita 'amore angelico’ nel più
ambiguo 'amore libero'.
Per sviluppare ulteriormente l ’analisi di questo rove
sciamento radicale, ci rifacciamo a due esempi estrema-
mente significativi per il legame che hanno con il tempo
72
di Bosch, con il suo paese e con il tema dei tre Regni di
vini, che sta alla base della pala.
L ’ 'esaltato’ David Joris (1501-1556), pittore su ve
tro e scrittore dalla potente forza espressiva, attinge an
ch’egli alla dottrina storica di Gioacchino da Fiore. Egli
vede nella trinità Adamo, Cristo e Davide i rappresen
tanti delle grandi rivelazioni del tempo mondano. Adamo
impersona il Regno passato del Padre, Cristo il Regno del
Figlio, ormai in decadenza, mentre il nascente Regno dello
Spirito Santo sarebbe affidato a Davide, vale a dire allo
stesso David Joris in prima persona.
Ancora più lucido appare il contemporaneo, originario
di Münster, Heinrich Niclaes (1502-1581). Egli fondò
ad Amsterdam, come tempio di contemplazione quietisti
ca, un ‘huis der liefde', cioè una casa dell’amore, dove
si riuniva la ‘familia caritatis’ da lui guidata, per prati
care riti mistici. A ll’interno della sua concezione Mosè era
il rappresentante del Regno del Padre. Questi, in quanto
annunciatore della ‘speranza’, non era penetrato che nel
cortile del tempio. Cristo, in quanto portatore di ‘sal
vezza’, era invece penetrato nell’interno. Solo a lui stesso,
tuttavia, come incarnazione dell’ ‘amore’, era concesso giun
gere fino alla zona sacra del tempio, e instaurare così, nel
la cerchia della 'famiglia amante’ di Amsterdam, il Re
gno dello Spirito Santo.
Anche questo tempio dell’amore di Amsterdam, come
gli ‘homines intelligentiae’ di Bruxelles, si attirò ben pre
sto la fama di libertinaggio. A i seguaci di David Joris, in
particolare, si attribuivano v.n « mostruoso reggimento di
donne » ed eccessi di ogni specie. Durante il processo del
1538 molti degli accusati furono torturati per estorcere
loro la confessione.8 Anche sulla realtà di questi feno
meni rimane oggi aperta la questione.
Dal momento che la storiografia risulta una fonte so
stanzialmente contraddittoria, rimane un’unica affidabile
73
I
pietra di paragone per valutare la moralità dei libero-spi
rituali: la creazione di un supremo modello umano. Ciò
si può realizzare solo ispirandosi alla loro idea fonda-
mentale, ad Adamo, il ritratto vivente di Dio. Il divenire
uomo di questo Figlio di Dio è già annunziato dall’ambi
gua luce di questo tempo intermedio che è il terzo giorno
della Creazione: la notte si schiarisce cedendo al giorno,
il mare lascia il grembo della terra, la terraferma si copre
di vegetazione e si anima, mentre le piogge incontenibili
si rovesciano dai cieli supremi e fecondano l ’ombelico
della terra, il Paradiso. Infine il modello supremo di tutte
le forme di vita, Adamo, creatura originaria, viene alla
luce.
scinda dal mistero erotico - che pure era al centro del mondo rappresen
tativo del Libero Spirito - non può avere come risultato che un’immagine
di « purezza » tipicamente borghese; mentre la massima aspirazione di
questi antichi eretici consisteva proprio nella radicalità e originarietà, nel
concepire l ’umano-troppo umano come punto di partenza del cammino che
doveva condurre alla purificazione e santificazione dell’esistenza. A i fini
di una reale comprensione è quindi necessario non negare l’audacia dei
libero-spirituali, non chiudere gli occhi dinanzi a ciò che essi guardavano
apertamente. Non curiamoci dell’alone equivoco che circonda l ’eròtica spi
rituale di questi eretici, tentiamo invece di coglierne l’essenza.
74
I l G iardino dell’Eden
75
la sinistra tiene per il polso Èva, quasi a gioire delle vive
pulsazioni del suo sangue e a suggellare per sempre l ’unio
ne di questo sangue umano con il proprio. A questo con
tatto fisico tra il Dio creatore ed Èva si aggiunge quello,
ancora più manifesto, tra le dita dei piedi di Adamo e il
piede del Signore. Un rapporto è qui stabilito con una
insistenza sottolineata: Adamo sembra veramente disten
dersi in tutta la sua lunghezza per entrare in contatto con
il Creatore. Il mantello di Dio, che si rigonfia attorno al
cuore, cade in pieghe dai contorni marcati sino ai piedi
di Adamo, indicando una medesima 'adduzione' di ener
gia divina. Questi tre personaggi formano un circuito
chiuso di forza; una corrente di energia magica li unisce.
Questa comunicazione di forza e di benedizione mani
festa la credenza in una magia di transfert, d ’assimilazione.
Questa attribuiva alle estremità del corpo — sommità del
capo, mani e piedi - un potere del tutto particolare di ir
radiazione e di ricezione del ‘mana’. La Chiesa ha, d ’altra
parte, ripreso alcuni elementi di tale credenza, tra cui
l ’imposizione delle mani e il bacio 'in reverentia salvato-
ris’ del piede del papa. Nel contesto di un dipinto reli
gioso, tuttavia, questo motivo magico è unico: stupefa
cente per precisione, esso non può che rappresentare la
cerimonia iniziatica della comunità del Libero Spirito che
stabiliva « la comunione con il sangue di Cristo » (Prima Let
tera ai Corinti x , 16).
Il carattere esoterico della scena risulta con vigore an
cora più grande se la compariamo, ad esempio, alla Crea
zione dell’uomo del Carro di fieno, in cui si esprime una
concezione radicalmente diversa della divinità, della cop
pia originaria e dell’umanità. In quest’opera più tarda il
Creatore ha pejrso i suoi tratti giovanili, così inconsueti:
ci appare nel suo aspetto patriarcale, tradizionale, mentre
prima era ‘fratello’ di creature a lui simili; egli si erge, po
tenza suprema e inaccessibile, di fronte alle sue creature.
Egli si è pietrificato e il suo attributo è la 'roccia' mosaica
(Deuteronomio x x x i i , 4). Nel Regno millenario, invece, l ’em
blema del Creatore giovanile è la Fontana della Vita della
Apocalisse di Giovanni (xxi, 6).
L ’umanità che nel Carro di fieno vediamo dirigersi
76
turbolenta verso l ’Inferno, ha un Creatore diverso da
quello dei discepoli eletti del Regno millenario. Insieme
ai suoi reggenti terrestri, il papa e l ’imperatore, essa è
sottomessa alla Legge del ‘mondo’, al decalogo di Jeho-
vah, il giudice terribile. G li eletti del Regno vivono in
vece nella libertà di un mondo superiore in cui la gioia
è loro garantita dal Creatore stesso, il Cristo-Adamo o
'Figlio dell’Uomo’, origine e centro di ogni cosa. Nel Carro
di fieno, la Caduta conduce l ’uomo a una rottura eterna,
sempre più profonda, rispetto a Dio. Nel Regno millena
rio la filiazione divina originaria dell’uomo resta intatta.
Ogni idea di Caduta scompare di fronte alla certezza di
Salvezza garantita dal Figlio dell’Uomo: la cristallina
Fontana della Vita eclissa con il suo splendore T'A lbero
della Conoscenza', un palmizio situato all’estrema destra
del dipinto, intorno a cui si avvolge il serpente. Esso è
appena visibile, mentre l ’Albero della Vita, sopra la te
sta di Adamo, dispiega i suoi tre rami a ventaglio, a signi
ficare la natura trinitaria della Salvezza.
La ripartizione dei volumi nei due dipinti ben corri
sponde a questa differenza nelle premesse. Nel Carro di
fieno la femmina, causa del male, è al centro della Crea
zione. L ’attenzione è completamente fissata su Eva che
esce verticalmente dall’anca di Adamo; e se, anche qui, con
la pianta dei piedi Adamo sfiora quelli di Dio, ciò può
essere eventualmente interpretato nel senso di sant’Ago-
stino: « La creatura come orma dei passi del Creatore »,
ma non indica un 'rapporto' magico volontario, perché
l’uomo giace al suolo, nell’incoscienza di un sonno pro
fondo. Nel Regno millenario, pittura positiva, Adamo è
pienamente cosciente della sua dignità spirituale, del suo
destino. Del tutto lucido, la testa levata verso l ’alto, egli
è girato di profilo — non dimentichiamo che per la sensi
bilità gotica l ’angolo perfetto era il profilo - verso il
Creatore, e considera con un’attenzione tesa la donna ap
pena creata, che tiene gli occhi chiusi, trasognata.
Lo stupore di Adamo esprime tre sentimenti: lo stu
pore di scoprire reale un essere percepito in sogno; l’in
tuizione che la donna apparsa di fronte a lui è da sem
pre di una specie simile alla sua, e che, in un modo mi
77
sterioso, essa è stata tratta dal suo stesso corpo; la volon
tà maschile, creatrice, di risvegliare Èva ancora incosciente,
con la forza incantesimale dello sguardo. Così, tutto nel
l ’immagine tende verso questo attimo ancora sospeso, in
cui per la prima volta gli sguardi della coppia originaria
si incontreranno. In questo risveglio della donna attra
verso l ’uomo si compirà la ‘conoscenza’ che il gesto espres
sivo del Cristo rivela già: « Et erunt duo in carne una »
(Ed essi saranno una sola carne).
Siamo qui in presenza del tema fondamentale del di
pinto della Creazione, e anche del tema fondamentale di
tutto il trittico: l ’istituzione divina del matrimonio (Genesi
n, 24). Non bisogna soltanto interpretarlo come comanda
mento divino che impone all’uomo di moltiplicarsi, ma
anche nel senso di una 'religio’ mistica, di un ‘riallaccia
mento’, vale a dire di un tentativo di restaurare, di ‘relige-
re’ nella loro unità primitiva degli esseri che la temporalità
ha separato.
Bosch ha sottolineato il carattere divino dell’uomo e il
carattere terreno della femmina con una semplicità im
prontata di serenità liturgica, che ricorda il rituale nuziale
vedico, in cui l ’uomo prende la mano della sposa dicendo
queste parole: « Io sono qui, tu sei là. Tu sei là, io sono
qui. Io sono il cielo, tu sei la terra ».
Queste semplici parole devono la loro potenza sacrale
alla ripetizione incrociata e al riferimento ai due poli la
cui congiunzione è necessaria per la nascita del mondo.
Così Bosch ha inserito la prima coppia umana in un si
stema di coordinate estremamente semplice: l ’uomo e la
donna, con il busto eretto e le gambe parallele, costi
tuiscono una figura rigorosamente geometrica, che sim
boleggia l’armonia prestabilita della loro imminente
‘unione in una sola carne’. In Adamo, che guarda verso
l ’alto, è evidenziato ciò che tende verso la luce, in Èva,
che rivolge in basso lo sguardo, ciò che inclina verso la
terra. Infine due assi magici s’incontrano nella persona
stessa del Demiurgo: la linea dello sguardo di Adamo che
cerca di risvegliare Èva, e il pendio della collina che sale
dalle ginocchia di Èva verso la testa di Adamo e si con
clude nella corona trinitaria dell’Albero della Vita. Sot
78
tolineato con una tale insistenza, il pendio di questa col
lina rappresenta, letteralmente, P'acclivitas', la via libero
spirituale della salvezza che, attraverso la mediazione di
Cristo, ha come fine la 'reincarnazione’ della donna -
principio ctonio - nell’uomo, principio spirituale.
Questa anta non rappresenta dunque la creazione fisica
di Adamo ed Èva, ma piuttosto la loro predestinazione
metafisica. Bosch lo indica esplicitamente con la spilla
trinitaria che ha posto in evidenza sul cuore di Cristo.
Si tratta di due cerchi che, a partire da un centro comune,
divergono verso l’esterno o convergono nel loro centro:
essi si ‘decentrano’ e si ‘concentrano’. Simili a questi cer
chi, simboli di forze divergenti dell’esistenza che contem
poraneamente tendono con intensità verso il loro centro,
le forze temporali dell’uomo e della donna emanano dal
Figlio eterno dell’Uomo. Un inno profondamente poetico
del XII secolo canta le lodi del Cristo, figlio del G e lo e
della Terra vergine che lo ha concepito sotto un rovescio
di pioggia: « Terra floret coeli rore, germinatio fòlio ».
In questo quadro è la sua duplice natura che Dio comuni
ca ai primi esseri umani: ad Adamo la natura celeste del
Verbo incarnato, ad Èva la sua natura terrestre. Ed en
trambi, attraverso il legame magico che li unisce al Crea
tore, rimangono nel campo trascendentale di Dio che,
con l ’istituzione e la benedizione del matrimonio, pro
mette loro il ritorno all’unità originaria.
Questo Sanctissimum del Libero Spirito è stato sino
ad oggi misconosciuto dalla storia dell’arte. Così Charles
de Tolnay afferma: « Tutto, nel placido giardino, sembra
respirare serenità e innocenza, ma in realtà ogni cosa è
qui segnata dalle stimmate della perversità e della deca
denza. L ’Èva che il Signore presenta ad Adamo non è
la donna creata dalla costola del primo uomo, ma è già
l ’immagine della seduzione, e lo sguardo attonito che egli
getta su di lei è un primo passo verso il peccato ».9 È
così che questo tenace pregiudizio che vede in Bosch
un ‘faizeur des diables’ diffama persino le più ideali delle
sue rappresentazioni e le trasforma in immagini blasfeme.
79
Mundus patet.
83
il Figlio eterno disse: Caro Padre, che il mio essere di
venga fecondo nello stesso modo. Giacché noi vogliamo
operare un miracolo, creiamo l ’uomo a mia somiglianza,
e benché preveda grande dolore, voglio tuttavia amare
l ’uomo eternamente. E il Padre disse: Figlio, anche in
me si agita un desiderio intenso [. . .] e l ’amore in me è
come una musica che mi fa risuonare. Siamo fecondi, af
finché possiamo essere amati e affinché l ’infimo conosca la
nostra grande gloria [. . .].
Allora la Santa Trinità si chinò profondamente verso
l ’Abisso originario, dove tutte le cose hanno radice, si
adoperò con profondo amore e nell’amore ci donò un
corpo e un’anima. Ci furono allora nella natura nobili
e gloriose creature, quali Adamo ed Èva, ad immagine
del Figlio eterno, nato da sempre dal Padre. Il Figlio
rese partecipe Adamo della sua celeste saggezza e del
potere sulla terra e, attraverso l ’amore, Adamo ottenne un
sapere superiore ad ogni dubbio, e dei sensi innocenti, e fu
designato Signore di tutte le creature della Terra.
Allora Dio, nel suo amore sincero, diede ad Adamo una
nobile, casta e dolce vergine come sposa, Èva. A costei
Egli comunicò la leggiadra onestà della Sua legge celeste
a cui Egli stesso obbedisce, in onore a suo Padre. I loro
corpi dovevano essere puri, poiché se Dio aveva dato loro
delle membra, esse non potevano essere sede di vergo
gna: Dio stesso li aveva avvolti nella Tunica degli Angeli.
Il loro amore doveva essere immacolato e non costituire un
peccato. Doveva dare loro dei bambini, così come il sole
giocando dà all’acqua il suo scintillìo, senza infrangerla.
Ma non appena essi assaggiarono il cibo che era stato loro
proibito, la vergogna irruppe nel loro corpo, e lo rese quale
ora noi lo vediamo, impuro, oggetto di vergogna ».
Questi estratti delle Rivelazioni di Mechthild von
Magdeburg esaltano, nello stesso modo del quadro di
Bosch, un’etica della fecondità creatrice. In entrambi i
casi, l ’irradiazione dell’amore divino eclissa totalmente il
mito tradizionale, consueto, della creazione di Adamo con
la polvere, e di Èva con la costola di Adamo. A l posto di
un atto creatore grossolanamente concreto, 'tangibile', si
ha la celebrazione di un amore divino che, come il dolce
84
gioco della musica, penetra armoniosamente l ’intero uni
verso. Questo amore sublima il processo stesso della pro
creazione, lo rende trasparente e puro come la diffrazione
del sole nell’acqua. Bosch ha simboleggiato questa purezza
attraverso i tubi di cristallo, i globi di vetro e le fiale del
la sua Fontana della Vita: minerale e vegetale nello stesso
tempo, essa rivela nella sua struttura la quintessenza eter
na, l ’esuberanza creatrice della Natura, di Dio. Ostenso
rio scintillante, essa incarna il mistero centrale della pala.
Essa feconda la Creazione intera con le sostanze più pure
e più trasparenti: come se in essa il principio maschile
della luce raggiante e il principio femminile dell’acqua
lustrale celebrassero nozze ermafrodite e immacolate.
Nonostante queste analogie di fondo, sussistono tra
Bosch e la beghina delle differenze profonde dovute alla
differenza dei secoli. Mechthild esprime l ’ideale dell’asce-
si cristiana nella misura in cui, ai suoi occhi, la prima cop
pia umana è asessuata. Bosch, invece, appartiene al grande
periodo di transizione, durante il quale Jan van Eyck,
Hans Memling, Hugo van der Goes e i loro allievi in
trapresero la scoperta del corpo umano nella sua reale
nudità, proprio attraverso la rappresentazione di Adamo ed
Èva. Il solido realismo di questi pittori preferisce gli
esseri completi alle visioni serafiche che troviamo invece
in Mechthild von Magdeburg.
È questo il senso della natura, arricchito da tutta una
gamma di nuove conoscenze, che dona all’opera di Bosch
un’impronta così rivoluzionaria. Il contrasto tra il pittore
e la beghina spicca molto netto se si considerano le rispet
tive concezioni dell’ 'abisso originario in cui tutte le cose
hanno radice’. Mentre Mechthild non parlava che in ter
mini allusivi e mistici di questa cellula primordiale, germe
di tutta la Creazione, Bosch ci pone invece di fronte agli
occhi un vero laboratorio di metamorfosi zoologiche, dove
concezioni biologiche precorritrici del futuro si mescolano
in modo originale a una spiritualità ancora medievale.
Questo fondo originario appare nel pannello del Pa
radiso sulla destra, in primissimo piano, sotto forma di un
bacino ovale da cui emerge alla luce ogni sorta di crea
ture. A ll’interno di una profonda concezione paleontolo
85
gica, Bosch ha riunito in queste acque originarie le forme
di transizione della natura, creature che appartengono con
temporaneamente ai regni dell’acqua, della terra e dell’aria.
Una lontra si sta arrampicando sulla riva; come indica il
suo nome tedesco (Fiscbotter ), questo animale riunisce
in sé la forma di vita del pesce e quella del mammifero.
Nel mezzo dello stagno nuota un uccello-pesce, che è sul
punto di lasciare l’elemento acquatico per librarsi nel
l’aria. Un altro animale anfibio, fornito d ’un becco a spa
tola, emerge dall’acqua accanto a un liocorno. Sulla destra,
dei ranocchi risalgono verso la riva piatta. E proprio sotto
di loro, il più sorprendente degli ibridi: la parte inferiore
del suo corpo, che si muove orizzontalmente, è quella di
un delfino; la parte superiore, eretta, è quella di un mam
mifero che tende le zampe anteriori; la testa, infine, è
quella di un’anitra dal becco largo e schiacciato. Inoltre,
questo mostro tripartito è rappresentato con un libro
che tiene aperto davanti a sé.
Poiché questo ibrido recante il libro è posto in un set
tore del pannello, l’angolo inferiore di destra, in cui
Bosch generalmente riassume in forma essenziale le sue
idee basilari, dobbiamo ritenere che esso abbia un signi
ficato profondo. Crediamo di interpretare i suoi intendi
menti associando al libro l ’idea che il Verbo creatore è
presente anche nelle creature situate al più basso livello
morfologico, prigioniere ancora di metamorfosi oscure, e
che proprio attraverso la forza del Verbo partecipano
tutte dello spirito di perfezione che attraversa l ’intera
Creazione nel respiro di Dio e ispira ad ogni creatura il
desiderio del proprio perfezionamento attraverso la fusione
nel Verbo divino.
Ibis e salamandra.
87
come spirito elementare, rappresenta il simbolo del fuoco,
e si apparenta cosi alla lucertola, il cui proverbiale amore
per il sole l ’ha elevata al rango di animale sacro ad Apollo
e di simbolo orfico d ’immortalità. Essa testimonia, su
numerosi monumenti funerari, la credenza nell’eternità
della luce.
I due animali tricefali stanno a significare dunque che
il piano universale della Trinità riposa sui due principi
della moltiplicazione e della distruzione. Ma è la vita
che trionfa: tutte le creature di questo giardino affer
mano a tal punto il piacere del divenire e la loro gioia
di vivere, che la morte stessa, vinta da questo sgorgare
continuo della Creazione, diviene un elemento costitutivo
della vita. Come la notte precede il giorno, l ’abisso del
nulla il dispiegamento del tutto, la morte è qui rappre
sentata come la porta della vita. Il fatto che l ’ibis si
contorca, come un essere calpestato, ai piedi di Cristo
simboleggia la sua volontà di rimanere legato a quanto
c ’è di terreno e deve perire prima dell’aurora, mentre
la fonte del Paradiso, quale simbolo della vita eterna, s’in
nalza nel cielo.
Questo motivo pittorico risolve con semplicità e au
dacia, quasi come un gioco, uno dei problemi dogmatici
più complessi: la questione dell’origine e dell’accettazione
del male. « Deus mortem non fecit » dichiara la Vul
gata (Sapienza i, 13), e quali tesori di sottigliezze i teologi
non hanno profuso per includere in modo plausibile que
sto male che è la morte nel piano divino della Crea
zione. Essi hanno tentato di giustificare questo male con
il peccato del primo uomo, sia che essi abbiano consi
derato la Creazione intera (piante, animali e uomo) come
originariamente immortale, sia che essi abbiano ristretto
il concetto d ’immortalità solo alla prima coppia umana,
operando così con sant’Agostino una distinzione tra il
« posse non mori » e il « non posse mori »: il primo
uomo avrebbe posseduto « la facoltà di non morire » se,
con il Peccato e la Caduta, Adamo non si fosse condan
nato fatalmente alla « incapacità di non morire ».
Bosch e i Fratelli del Libero Spirito non si curavano
molto di tali finezze dogmatiche. Con le sue metafore del
88
l’ibis e della salamandra, Bosch mostra di considerare la
distruzione dell’animale ad opera dell’animale come una
necessità della natura. Egli valorizza così la morte e la ren
de uno dei principi costitutivi dell’esistenza e non un male
divenuto ereditario per colpa del peccato originario; ha
completamente svincolato la morte dalla Caduta, inclu
dendola in questo Paradiso in cui gli uomini vivono an
cora nello stato d ’innocenza. Dal punto di vista del dog
ma è una eresia, ma dal punto di vista filosofico è un
pensiero che indica come la concezione libero-spirituale
del mondo e della natura sia un audace sincretismo, un
tentativo di conciliare la dottrina cristiana della Salvezza
e la saggezza esoterica dell’antichità.
90
saggi biblici che sarebbero stati più aderenti .ad un di
pinto adamita: « Nondimeno regnò la morte da Adamo... »
(Romani v, 14); « Poiché la paga del peccato è la morte... »
(Romani vi, 23).
Il paesaggio vicino riprende e sviluppa questa dottrina
del ciclo naturale espressa prima di tutto in forma alle
gorica. Sullo sfondo, a destra questa volta, si ergono due
grandi macine attraversate da un ramo secco, tagliato, sulla
cui punta ricurva è posta una falce di luna declinante. Albe
ri dalle fronde lussureggianti spuntano tra le due macine,
e questo semplice dettaglio suggerisce il contrasto tra la
fioritura e l’aridità. Quanto alla macina, essa è stata,
nella poesia popolare di tutti i tempi, il simbolo sia del-
l 'amore sia della morte. Simbolo della morte, perché
di anno in anno il grano è triturato e macinato tra le sue
due pietre. Simbolo dell’amore, perché le sue pietre veni
vano considerate come maschio e femmina e la macina
zione stessa come un atto sessuale. È così che la lugubre
macina della morte, per la presenza del ramo secco e della
luna declinante, si trasforma, in virtù degli alberi verdeg
gianti, in una possente, feconda macina di vita.
In contrasto con la falce di luna si vedono, appesi
sulla roccia vicina, due turgidi frutti, simili a quelli che
spesso incontreremo nel pannello centrale quali simboli
testicolari. Presso ciascuno di essi è appollaiata una cop
pia di uccelli. Questa roccia, che perfora la copertura della
montagna come un aculeo, incarna la forza generatrice
maschile della natura. La quarta roccia, invece, con la
profonda caverna che la incava, è manifestamente un
simbolo femminile; Bosch vi ha aggiunto una civetta, es
sere notturno per eccellenza. La superficie, che suggerisce
la soffice consistenza di un fungo, è trapassata fallica
mente. Così, ancora una volta, Bosch eleva l ’unione tra i
sessi a simbolo cosmico.
Riassumiamo le nostre osservazioni. In primo piano,
il gruppo del Demiurgo e della prima coppia umana espri
me le tesi teologiche fondamentali del Libero Spirito.
Sullo sfondo, le strutture rocciose esprimono la sua etica.
Le scene animali, infine, e i paesaggi del centro conten
gono l ’essenziale della sua filosofia cosmogonica della na
9i
tura. Ci resta ancora un punto importante da chiarire:
quali sono le fonti culturali dell’epoca che ispirano a Bosch
questa immagine del Paradiso?
93
egli ignorava il nome della pianta e non ha compreso l’al
lusione? Non avrà, di conseguenza, usato questa pianta
solo per desiderio d ’esotismo? Poniamo tale questione
solo per confutarla subito. Il nome di un oggetto, per gli
adamiti, era un sigillo magico; il nome dato dal primo
uomo alle cose della Creazione è carico dello spirito che
impregna l’universo intero, particella del 'Verbo' divino.
È dunque da escludersi, secondo noi, che Bosch abbia
potuto riprodurre un oggetto di cui ignorava il nome
o la specie. Vi è un’altra ragione per la soppressione delle
lucertole: il pittore ne aveva bisogno in qualità di sim
boli apollinei, e questa esigenza può averlo indotto sem
plicemente a rinunciare al gioco etimologico di Schongauer.
Occorre ricercare una fonte di ispirazione più vicina e
più concreta, e rapportare le immagini esotiche di Bosch
alle contrade tropicali già conosciute alla fine del Me
dioevo. Questi paesi sono quelli del vicino e dell’estremo
Oriente, resi familiari agli occidentali dai racconti di Mar
co Polo, Giovanni da Montevilla e Bernhard von Breiden-
bach. In questi racconti l’India era al centro di tutto il
ciclo di leggende che comprende il motivo dominante del
nostro trittico: il Paradiso.
È la Leggenda di Alessandro che ha suggerito agli uo
mini l’idea di situare l’Eden nel ‘paese dei quattro fiumi’,
oltre le due colonne che il Macedone aveva fatto innal
zare alle frontiere orientali dell’India per delimitare i con
fini delle sue conquiste. Aristotele e le scienze naturali
greche trassero un profitto inestimabile dalla campagna
militare di Alessandro, prima spedizione scientifica di ri
lievo. Tutte le osservazioni e le scoperte furono largamente
diffuse nel Medioevo da un libro popolare tradotto in
alto e basso tedesqp e riedito numerose volte, la Historia
Eusebii, che narra le gesta del grande re e che costituisce
la fonte autentica di tutti i ‘miracoli’ tropicali del nostro
trittico.
Questo libro popolare semplifica schematicamente le
scoperte della natura sconosciuta dell’India, articolandosi
in una epistola tripartita di « Alessandro, re di tutti i re,
al suo amato maestro Aristotele ». Le descrizioni favolose
acquistano così un’aurea di scientificità regale. La divi
94
sione tripartita della lettera guida esattamente Bosch nella
sua selezione delle diverse meraviglie naturali del Pa
radiso.
La presente traduzione è condotta su quella, in alto
tedesco, del dottor Johann Hartliebs, apparsa nel 1472
ad Augsburg:
« Il regno delle Indie è così sorprendente che mi è
difficile descriverlo: contiene infatti molte cose strane. Al
cune piante che crescono nelle Indie sono utili all’uomo,
altre gli causano grandi danni. II paese delle Indie ha ani
mali e forme così strani che nessuno li saprebbe descrivere:
un animale può assumere nello stesso tempo questa o quel
la forma, in modo tale che nessuno potrebbe individuare
la specie a cui l’animale appartenga. Le specie comuni
degli animali mi sono note, ma non sono in grado di dire
da dove traggano origine questi strani e meravigliosi
ibridi. Per questo desidererei che tu studiassi tutta la
materia a fondo. Su ciò Aristotele scrisse il Libro della Na
tura, che ancora oggi si studia nelle Chiese Cristiane ».
Come l’esempio indica, la ‘Lettera’ studia la fauna del
l ’India esclusivamente nelle specie ibride. Lo stesso fa
Bosch, con l’unica eccezione degli animali esotici come l’ele
fante, il liocorno o la giraffa, già familiari al pubblico
medievale dopo la pubblicazione delle illustrazioni del
libro di Bernhard von Breidenbach, Viaggio in Terra
Santa. L ’esempio che segue mostra fino a che punto la
parola ‘India’ fosse sinonimo di metamorfosi zoologiche,
e quanto abbia influito sulla concezione generale del pan
nello. Bosch conosceva, da un’incisione del libro di Brei
denbach, le antilopi dalle lunghe orecchie: il loro nome,
Caprae de India, impresso a tutte lettere nell’incisione,
le destinava in modo del tutto naturale a far parte della
composizione del pannello. Utilizzandole, Bosch ha fatto
subire loro una trasformazione significativa. Egli ha dato
loro un’apparenza ancora più ‘indiana’, cioè ancora più
‘metamorfica’. Gli è sembrato opportuno attribuire al
l’antilope solo due zampe, il che suggerisce l’immagine
di un animale ibrido, intermedio tra il mammifero e l’uc
cello.
La seconda parte della ‘Lettera’ di Alessandro tratta
95
dei minerali e dei metalli dell’India; in essa si afferma:
« Inoltre, Aristotele, ti scrivo: vi sono, nel paese delle
Indie, molti minerali strani, metalli, pietre, perle ed altre
gemme, troppo numerosi perché si possa citarli tutti. Tu
sentirai senza dubbio raccontare di fiumi la cui sabbia è
d ’oro e di diamanti, in cui le perle giacciono sul fondo
come ghiaia. Ugualmente sentirai parlare di minerali puri
sino all’essenza. Non dimenticare di parlare anche di
queste cose. Su ciò il saggio maestro Aristotele scrisse il
Libro dei Metalli e dei Minerali ».
Questo passaggio chiarisce il motivo del bacino centra
le. Formando il supporto della Fontana della Vita, una col
lina nerastra emerge dalle acque. Il suo aspetto ricorda
quello di un monticello di terra sollevato dalle talpe, o
quello, ancora più caratteristico, di una palude con delle
bolle che scoppiano nel calore umido. Essa è irta di tubi
di cristallo scintillante e, come una pura semenza divina,
sgorgano da questi tubi le pietre preziose. La collina,
tutt’intorno, appare tempestata di pietre preziose, le ac
que stesse rigurgitano di perle luminose. Non è veramente
possibile rappresentare in maniera più 'aristotelica' la
ghiaia di perle dei fiumi indiani, né suggerire meglio la
sensazione della preziosa, originaria, calda e umida pro
fondità della terra.
La terza parte della 'Lettera' di Alessandro ci fornisce
la chiave di un elemento peculiare del pannello, anch’esso
di natura metamorfica: alludiamo a quelPinestricabile fu
sione di arte e natura, a quell’interferire di forme orga
niche spontanee e di forme artificiali meccaniche, che la
Fontana della Vita manifesta nella sua struttura fiabesca.
E proprio in forme simili a queste l ’autore della 'Lettera'
di Alessandro scopriva le più sublimi meraviglie che l’In
dia potesse rivelare all’Occidente. A conferma di ciò, egli
cita l’esempio di una vigna, completamente artificiale, co
stituita unicamente da sostanza minerale:
« Ho poi visto una grande vigna sostenuta da pali
d ’oro e d ’argento che mi ha stupito grandemente. In realtà,
le viti erano tutte d’oro e ricoperte di rami e di foglie,
proprio come le vere viti. Le foglie dei tralci erano fatte
di verdi pietre preziose, magistralmente cesellate e levigate.
96
Vi era un prezioso smeraldo intagliato come un ducato, dei
crisoliti che sembravano enormi foglie di vite, e in mezzo
a tutto ciò molte foglie fuse in puro oro, in modo tale che
nessuno, per quanto saggio, avrebbe immaginato, neppure
un istante, che queste viti non fossero naturali. Dai ceppi
delle viti pendeva ogni sorta di grappoli d’uva; ammirevoli
artigiani li avevano combinati con una tale maestria che
attraverso numerose pietre preziose era possibile veder
scintillare il piccolo granello interno. Vi erano numerosi
grappoli dorati e trasparenti, magistralmente composti con
il topazio e l’oro fuso. In questa sola vigna vi erano una
tale ricchezza e un tale splendore che l’intera Grecia non
avrebbe potuto eguagliarli ».
Una creazione così ammirevole, ove l’arte non si con
tenta d ’imitare fino alla similitudine la natura, ma cerca di
superarla sostituendo i suoi semplici materiali con altri,
più nobili e sapientemente scelti, possiamo vederla con i
nostri occhi nella Fontana della Vita. Per metà pianta e
per metà costruzione umana, questa Fontana è di un ma
teriale indefinibile: non è pianta, né marmo, né cristallo,
ma piuttosto una sintesi dei tre. In essa la cesellatura raffi
nata, sapiente, dei tabernacoli e degli ostiari gotici, si
unisce alla libertà esuberante dello sviluppo vegetale. Le
fiale sottili, i tubi slanciati, i globi di cristallo, le mezze-
lune e i dischi levigati si fondono con il fogliame o i
fiori dell’agave o i cilindri dell’ananas in una completa
unità di forma. Ma ciò che completa l’elevazione di que
sta Fontana nel regno del soprasensibile è il suo colore:
un rosso vivo di profondo splendore, esaltazione incan
descente della rosea aurora dell’era del Figlio.
97
7
tore è il suo esatto prolungamento. L ’asse orizzontale
passa per il centro del disco e, più precisamente, tra gli
occhi della civetta. Situato così nettamente al centro di
tutta la composizione, è probabile che il significato di
questo disco superi largamente quello, puramente formale,
di un semplice asse di costruzione. Nessuna delle linee
di forza del quadro, nel senso di un rimpicciolimento
prospettico o di una delimitazione ornamentale del paesag
gio, si dirige verso questo centro. Quindi, in mancanza
di un significato di funzionalità compositiva, non si può
intenderlo che come il centro assoluto del dipinto.
Coglieremo meglio il significato di questo disco situato
esattamente nel punto di intersezione degli assi del pan
nello - e, più in generale, dei quattro punti cardinali -
se gli attribuiremo il nome di orbis. Le due pale esterne,
in effetti, ci hanno già presentato tale orbis, ma nel mo
mento della sua fecondazione. Lo ritroviamo ora, come
simbolo del Paradiso, nel momento della sua fioritura;
10 ritroveremo ancora nel pannello centrale in tutta la
sua maturità estiva.
La parola latina orbis si adegua perfettamente al no
stro caso: essa non designa soltanto il cerchio o il disco,
ma anche la rotondità della terra, il regno, il genere
umano; tutti significati, questi, che in un dipinto raffigu
rante l’instaurazione del Regno di Dio e la creazione del
l ’uomo assumono un valore ancora più pregnante. Infine,
11 termine orbis esprime un altro significato che ci per
metterà di cogliere la vera natura di questo disco: Vor-
bis designa anche l'orbita, e l'occhio stesso che vi ha
sede.
Ma qual è il ruolo di questa orbita situata in maniera
a tal punto provocatoria al centro del pannello, da costrin
gere lo sguardo dello spettatore a prestarle una continua
attenzione? Questa forza d ’attrazione è dovuta al fatto
che il disco sembra rispondere allo sguardo come la pu
pilla magnetica di un altro occhio. D ’altra parte, se lo
sguardo dello spettatore s’immerge nel suo centro, non
vi scopre che un semplice foro, un vuoto in cui dimora
una civetta filosofica.
Ed eccoci di fronte al seguente paradosso: Bosch ha
98
sviluppato dinanzi allo spettatore tutto lo splendore co
lorato del mondo fenomenico, ma ponendovi un’insidia
che storna da questo mondo l’attenzione dello spettatore,
e la dirige verso un vuoto dove, al di là della civetta,
egli non ha nulla da vedere. Per esprimerci in termini
gnostici: il pittore ci strappa dal pleroma, vale a dire dal
mondo dell’essere imbevuto di energia divina, e ci spinge
verso il kenoma, cioè nel vuoto della materia, per con
frontarci con l’abisso del nulla, vuoto assoluto per i
sensi, ma fittamente popolato di idee, grazie alla presenza
misteriosa della civetta. Questo passo coincide con l’esi
genza formulata da tutti i mistici, e considerata da essi
come la condizione preliminare ad ogni illuminazione
contemplativa: quella dello « spogliarsi di ogni concetto,
immagine o forma », del « prescindere dal proprio essere,
come da quello degli altri », per usare la formula di
Mastro Eckhart. Questo punto centrale è un fuoco di
concentrazione, quale ancora oggi si utilizza per esercizi
di meditazione.
Quando Bosch rappresenta il punto focale della con
centrazione come pupilla, egli riprende il delfico « co
nosci te stesso » nel senso in cui viene formulato nel dia
logo platonico apocrifo Alcibiade I. In quest’opera, So
crate fa derivare l’intero processo di autoconoscenza dalla
contemplazione di sé nella pupilla di un altro occhio o
nell’immagine riflessa del proprio:
so cr a te Passo a dirti che cosa, secondo ogni vero
simiglianza, significa questa iscrizione, ciò che essa vuole
raccomandare. Non saprei chiarirla meglio che con l’esem
pio della visione. Supponendo che questa iscrizione si ri
volga al nostro occhio come ad un essere umano, essa
gli suggerirebbe di guardare un oggetto nel quale egli
potesse riconoscere se stesso.
a lc ib ia d e In uno specchio o in un oggetto analogo.
so cr a te Ma non si trova neH’occhio stesso con cu i
vediamo qualcosa di simile? Non hai notato che q u a n
do qualcuno fissa un altro uomo negli occhi, egli perce
pisce nel fondo degli occhi dell’altro il suo viso come in
uno specchio? È per questa ragione che il centro dell’oc
chio viene chiamato ‘pupilla’, vale a dire piccola sagoma,
99
perché essa riflette una piccola immagine di colui che vi
si contempla. Se di conseguenza un occhio ne guarda un
altro e lo fissa in quello che esso ha di più nobile - af
finché sia in grado di vedere realmente - suppongo allora
che in questo occhio egli percepirà se stesso.
a lc ib ia d e Ciò è v e r o .
so cr a te E quindi, se è l ’anima che vuole riconoscere
se stessa, non dovrà rivolgere i suoi sguardi verso l’anima,
e più precisamente verso la sua più nobile parte, là dove
risiedono la Saggezza e la Ragione? Questa parte del
l’anima è divina. Chi volge là i suoi sguardi ed apprende
a riconoscere in essa ciò che è divino - Dio e la chiaroveg
genza della ragione - quello, io dico, non prende cono
scenza di se stesso fin nella più profonda intimità? ».
In queste parole torna l’antica magia dell’occhio: la pic
cola immagine riflessa è considerata l’essenza dell’uomo,
la sua stessa anima, un microcosmo legato al sole, occhio
del mondo, attraverso un reciproco potente gioco di ir
radiazione. Nella concezione indiana il ‘Brahman’ agisce
nell’interno del sole come all’interno di una pupilla: il
dorato ‘Purusha’, signore delle forze del cosmo, la minu
scola scintilla nel suo occhio, signora delle potenze psi
chiche. La frase del Chàndogya-lJpanishad (vm, 7, 3) che
dice « Il Purusha nello specchio, su questo io medito »
- la cui metafora solare dell’occhio suggestionò Plotino
e Goethe - costituiva una indicazione per la meditazione:
attraverso l’autosuggestione raggiunta con la profonda
concentrazione sul proprio occhio destro, fissato sulla su
perficie di uno specchio, si verifica il passaggio dalla pro
pria essenza alT'essenza del mondo’ e al}a solare ‘essenza
della divinità’.
Qui contemplazione di sé e conoscenza nascono da un
unico e identico processo: un atto di 'concentrazione intel
lettuale’. Ed è così che il platonismo medievale ha eser
citato la sua speculazione, la sua ‘contemplazione in uno
specchio’ (dal latino speculum). Giovanni Scoto Eriugena
ha definito la speculazione come un’« esperienza di vi
sione intellettuale e di intuizione gnostica ». I Vittorini
1 hanno considerata come un cammino di conoscenza, che
passava per « la contemplazione acuta, diretta, dell’ani
100
ma ». La contemplatici è concepita come « penetrazione
magica del Tempio » (Eintempelung): anche L. B. Alberti
dichiara, nelle sue Conversationes Camaldulenses, che essa
trae la sua origine da quel ‘templum’ che gli auguri de
limitavano nel cielo con il loro pastorale per studiarvi il
volo dei corvi. Infine le parole ‘meditazione’ e ‘concentra
zione’ significano la stessa cosa: ‘la penetrazione del mez
zo’ (Er-mitte-lung). Con ‘mezzo’ occorre intendere qui
l’anima, e particolarmente la sua essenza più intima. Così
i concetti di pupilla e scintilla animae (la « piccola scin
tilla dell’anima », nozione centrale nella mistica di Ma
stro Eckhart) sono, in quanto scopi della ‘concentrazione
contemplativa’, una sola e medesima cosa.
Questa scoperta dimostra tre fatti fondamentali: in
primo luogo che la pratica Yoga della ‘meditazione’ era
nota tra i libero-spirituali; le loro riunioni dovevano,
senza dubbio, fondarsi sul principio di esercizi comuni di
concentrazione e sulle esperienze esoteriche che ne de
rivavano. In secondo luogo prova che Bosch era iniziato
a questa disciplina e alla conoscenza di queste vie non abi
tuali della chiaroveggenza e della rivelazione mistica. Ci
offre, inoltre, la chiave che ci permette di cogliere il si
gnificato profondo dei simboli didattici del pannello.
In un esercizio di concentrazione è in primo luogo ne
cessario isolarsi dal mondo esterno, eliminare ogni at
tività determinata della volontà per realizzare ciò che
la mistica medievale (cfr. Jan van Ruysbroeck) definisce
la ‘pura disponibilità’, un abbandono totale di sé e del
mondo. Eliminate tutte le percezioni sensibili e razionali,
si tratta d ’introdurre nel campo della meditazione alcune
immagini simboliche e di mantenere nei loro confronti
un atteggiamento di pura contemplazione. Ben presto al
lora il vuoto integrale dello stato di coscienza iniziale si
anima di un’attività particolare. L ’immagine contemplata
si presta, di per sé, a un’infinità di rapporti e di significati;
il campo concettuale si carica dell’energia di un campo
magnetico all’interno del quale si intersecano le molteplici
associazioni di idee provocate dall’immàgine iniziale. Senza
il minimo intervento di colui che medita, l’immagine si
avvia spontaneamente verso la sua risoluzione. È la ‘pa
101
dronanza interiore' dell’oggetto ( Innetuerden), così diversa
dalla comprensione ordinaria (Begreifen), che resta pura
mente esteriore. È il primo gradino dello stato contempla
tivo: colui che medita percepisce, in una folgorante illu
minazione, le verità fondamentali. Heinrich Senses ha così
definito questo stato spirituale nei due precetti di medita
zione, tanto semplici quanto profondi: « Il crepuscolo dei
sensi è l’alba della verità », e « Se l’uomo non riesce a
comprendere una cosa, che resti inattivo (vale a dire, resti
perfettamente tranquillo), e sarà la cosa, allora, a com
prenderlo ».
I discepoli del Libero Spirito che per iniziare il proprio
iter spirituale si ponevano di fronte a questo pannello di
meditazione, erano lentamente strappati dal mondo quo
tidiano perdendosi in questo fuoco di concentrazione, ed
entravano in un universo spirituale che scoprivano a poco
a poco, e che rivelava loro significati sempre più profondi.
Il solo modo di comprendere il pannello era di ritornare
incessantemente su questo fuoco di concentrazione. Lo
spettatore si trasformava così in co-creatore, in interprete
autonomo dei simboli solenni ed enigmatici che aveva
dinanzi agli occhi. Il dipinto non si pietrificava mai in una
statica compiutezza, ma era continuamente animato dal
flusso vivente del divenire, dallo sviluppo organico, dalla
rivelazione progressiva. E questo in armonia col sistema
evoluzionista che costituisce la struttura intellettuale del
trittico.
L ’attitudine spirituale che abbiamo appena descritto
non ha nessun rapporto con il misticismo, ma sta alla
base di qualsiasi riflessione sana, in armonia con la natura.
Goethe l’ha definita mediante i concetti fondamentali
di « intuizione riflessiva » (denkendes Anschauen), di
« giudizio riflessivo » (anschauende Urteilskraft), di « im
maginazione sensibile esatta » (exakte sinnliche Phantasie)
e di « fantasia produttiva » (produktive Einbildungskraft).
È una tale meditazione contemplativa che ha dato origine
alla sua pianta originaria'. Nel suo saggio sull 'Aspetto
soggettivo della visione, Goethe dichiara espressamente
di aver percepito, con gli occhi chiusi e la testa inclinata,
questa pianta che sbocciava in incessanti metamorfosi al
102
l ’interno stesso del suo occhio, fenomeno perfettamente
naturale nonostante il suo carattere irreale, libera crea
zione dello spirito.
La Fontana della Vita del nostro pannello è anch’essa
una 'pianta originaria’ nata dalla contemplazione. Nel suo
sviluppo per metà vegetale e per metà minerale, essa ma
nifesta ‘la legge cristallina delle forme cosmiche’ . Sgor
gata dal nulla di questo vuoto oscuro in cui ha sede la
civetta, questa pianta cresce sino a divenire l ’elemento
centrale di tutto il pannello. Essa si afferma come Albero
della Vita puramente spirituale, superando il gruppo dei
personaggi biblici in grandezza ed importanza. L ’Albero
della Vita deve questa apoteosi al suo triplice contenuto.
Con le sue radici, che si bagnano nell’acqua eterna della
vita, esso incarna l ’incessante 'autofecondazione' della
natura che in tal modo appaga il suo insaziabile desiderio di
ringiovanimento. L ’Albero della Vita è inoltre la fonte dei
quattro fiumi paradisiaci, un santuario da cui si effonde
la pioggia di Pentecoste delle due pale esterne, ma a un
livello superiore. Infine, questo tabernacolo che rappresen
ta il fuoco di concentrazione, diviene la cellula ove, per
la confraternita del Libero Spirito, ha luogo l ’unione mi
stica con l ’abisso cosmico originario.
Ma cosa significa la civetta? Tra i vari contesti in cui
essa riappare costantemente nei quadri di Bosch, citiamo
in primo luogo i quadri di eremiti, ove si mostra sulle
rovine degli eremi, compagna delle meditazioni solitarie.
L ’uccello rappresenta quindi il centro ideale del fuoco
della concentrazione. La civetta è anche costantemente
appollaiata sugli Alberi della Vita che Bosch ha rappresen
tato in molteplici varianti. Essa figura nella sommità del-
1 ’ ‘Albero di maggio’ che costituisce il pennone della Nave
dei folli, come testimonianza filosofica della vacuità di tutto
questo agitarsi. D all’alto del suo trespolo, nell’Albero della
Vita del Figliol prodigo, essa stride, piena di collera con
tro il corrotto. Infine, nel Carro di fieno, esprime drasti
camente il suo disprezzo del mondo, defecando dall’alto
dell’'Albero dei raccolti’. Qui la civetta prende partito tra
il Bene e il Male (l’angelo bianco e il diavolo blu), e
103
questo esempio ci aiuta a cogliere meglio il profondo si
gnificato simbolico di questo uccello.
La civetta, con il suo sguardo che attraversa le tenebre,
incarna la conoscenza del mistero e la penetrazione del
l ’invisibile. Essa fa parte degli esseri da sempre sapienti
e iniziati, che la Genesi designa come « scientes bonum
et malum ». Il 'summum malum’ è la morte, e la civetta,
nel suo volo notturno, penetra in quel regno. Il 'summum
bonum’ risiede nella saggezza di Dio. La civetta ha cono
sciuto tutto ciò all’inizio del mondo. Essa ha visto la
morte contorcersi, ibis tricefalo, ai piedi del giovane Crea
tore il cui regno, secondo Gioacchino da Fiore, dovrà
sbocciare nella ‘saggezza’.
Il significato più profondo della civetta risiede nel
fatto che la sua saggezza è posta nella conoscenza della
morte e nel suo superamento.
Essa indica dunque il centro focale della concentrazio
ne: al centro della struttura della Fontana della Vita, dalla
pupilla onnipresente e onnisciente dell’occhio divino, la ci
vetta ci guarda, simbolo della Sopbia.
104
L ’Inferno
113
s.
teggiamento del Libero Spirito è un’eccezione della più
grande rilevanza storica e sociale, tale da mettere in discus
sione l ’assetto giuridico dell’epoca. Nei paesaggi cosmici
dello sfondo si poteva già ravvisare uno scetticismo radicale
nei confronti della civiltà, condannata come generatrice di
guerra. Nella scena della forca è lo stato ad essere posto
sotto accusa, e in una delle sue funzioni supreme, quella
della giustizia. È lo stato stesso che viene giudicato in base
all’utopia dell’innocenza originaria. Ci troviamo qui in pre
senza dell’anarchismo paleo-cristiano che perseguiva l’ideale
di « una umanità riunificata, governata non dalle leggi, ma
dall’amore ».1S Tra i contemporanei di Bosch solo Cornelio
Agrippa manifesta con la stessa audacia e la stessa foga un
simile anarchismo. Nel x c i capitolo, « De iure et legibus »
(Del diritto e delle leggi), del suo scritto intitolato Della
vanità e dell’incertezza delle Scienze, egli è d ’accordo con
Bosch nel considerare il diritto come conseguenza diretta
della caduta di Adamo:
« Vedete ora come la scienza del diritto reclami il pri
mato su tutte le altre scienze, come essa le tiranneggi tutte
e si arroghi, quasi fosse una figlia di Dio, un privilegio
su tutte le altre discipline? [...] Essa trae la sua origine
dal crimine del nostro primo padre, crimine che è la causa
di tutti i nostri mali. Ed è ciò che ha dato origine al diritto
della natura corrotta, che si è convenuto di chiamare ius
naturale o diritto naturale, le cui regole o principi fonda-
mentali sono i seguenti: vim vi repellere licei, la violenza
può essere combattuta con la violenza; frangentem fidem
fides frangatur eidem, a colui che viola la propria parola
non può essere accordata fiducia; /attere fattentem non est
fraus, ingannare chi ti inganna non è inganno; [...] volenti
non fit iniuria, a chi acconsente nessun torto è fatto; [...] si
te vel me confundi oporteat, potius eligam te confundi
quam me, se uno di noi due deve soffrire, tu od io, prefe
risco che sia tu e non io. Ed altri principi dello stesso ge
nere riconosciuti poi come leggi ».
Questo malefico diritto naturale è, in Bosch, la forza
15 Adolf von Harnak, Das Wesen des Christentums (L’essenza del Cri
stianesimo), Lipsia, 1926, p. 72.
114
invisibile che sconvolge e corrompe tutto l’orizzonte cosmi
co. Nella sua oscurità, lacerata qua e là da incendi sangui
nosi, questo paesaggio fa pensare ad una miniera incendiata.
L ’effetto inquietante che ne risulta è essenzialmente dovuto
al contrasto tra la rigidità di pietra dei neri edifici e il gioco
furioso delle fiamme nel cielo, la fretta frenetica delle ar
mate che s’avanzano come sferzate dalla furia della guerra
e il panico dei personaggi travolti dalle acque o rifugiati
sulla riva. La rabbia e il terrore di questa enorme massa
inebetita conferiscono a questo paesaggio cosmico un’atmo
sfera di disperazione annunciatrice del Giudizio finale.
Su questo teatro del mondo che qui funge da orizzonte,
gli elementi della Natura e gli istinti malvagi dell’uomo si
affrontano. La smisuratezza dell’inventiva, della volontà di
potenza e dell’egoismo umano non soltanto fanno violenza
alla Creazione, ma distruggono anche ogni possibilità di vita
comune tra gli uomini. Dalla situazione iniziale d’un mondo
stravolto da cima a fondo a causa della Caduta, Bosch passa
al presente e mostra come l’ordine sociale del suo tempo sia
minato dalla stessa corruzione, dallo stesso male. Egli non
raggiunge qui i toni del Carro di fieno, dove più tardi, nel
pannello centrale, rappresenterà le supreme autorità del
Papa e dell’Imperatore che, accompagnati dal loro seguito
di chierici e principi, si dirigono in corteo verso l’Inferno.
Per stigmatizzare potere temporale e potere spirituale, egli
si limita qui, prudentemente, a ritrarre i monaci e i cava
lieri, bersagli tradizionali della satira popolare. Ma, po
nendo alla gogna questi due ordini — gli uni messi in cari
catura come cavalieri erranti e sanguinari, gli altri come
missionari fanatici ed ipocriti - egli manifesta una tale ag
gressività che i suoi attacchi, andando oltre i personaggi in
questione, raggiungono quelli che, invisibili, stanno alle
loro spalle. È il concetto stesso di autorità che Bosch qui
abbatte. In queste immagini militanti, denunzie feroci con
tro monaci e cavalieri, il Libero Spirito rivoluzionario in
sorge e lancia il suo grido di odio in tyrannos.
115
L ’Inferno dei cavalieri.
117
« Sarebbe troppo lungo descrivere l ’origine di tutti gli
imperi e analizzare l ’intero corso della storia. Ho trattato
questo argomento a fondo in un libro particolare [...]
dove ho provato che mai vi fu un impero - e lo stesso vale
per la nostra epoca - il cui sviluppo non fosse basato sul
l’assassinio, sul tradimento, sulla slealtà, su ogni sorta di
crudeltà, di massacri, di omicidi e di vizi orrendi: voglio
parlare di queste arti praticate dalla nobiltà. Quando avre
mo appreso a conoscere le molteplici teste di questa bestia,
potremo intuire facilmente la natura delle altre sue mem
bra, vale a dire la violenza, il saccheggio, l ’omicidio, la
caccia e gli altri esercizi consacrati al piacere e alla corru
zione. Non abbiamo più dubbi: la nobiltà è marcia non
solamente per abitudine e pratica, ma per la sua stessa
essenza. Perché tra gli uccelli e i quadrupedi non troviamo
nobili e privilegiati, se non alcuni che sono nefasti per gli
altri animali e per l’uomo, come ad esempio le aquile, gli
avvoltoi, i falconi, gli astori, i corvi, i nibbi, gli struzzi, le
arpie, i grifoni e simili altri mostri. Della stessa specie sono
i leoni, le tigri, i lupi, i leopardi, gli orsi, i cinghiali, i dra
goni, i serpenti e i rospi. E non vi sono alberi, se non
in numero limitatissimo, consacrati a Dio o considerati no
bili; essi sono comunque sterili o danno all’uomo frutti non
commestibili, come la quercia, l ’alloro o il mirto. Tra le
pietre vengono considerate nobili non il marmo né la pietra
da costruzione né quella del mulino, ma i diamanti, che non
sono utili all’uomo. E così, tra i metalli, sono considerati
più nobili il deperibile argento e il dannoso oro, per cui
tanto sangue è stato versato ».
t i
dosi qui direttamente al menestrello, « quel che il diavolo
ha vergogna di dire, tu lo dici, e tutto quello che il dia
volo ti ispira, la tua bocca lo butta fuori. Sventura a te, che
sei stato battezzato! Oh, come hai rinnegato Battesimo
e Cristianesimo! Tutto quello che ti viene dato, ti viene
dato in peccato, giacché essi (quelli che te lo danno) do
vranno rispondere a Dio nel Giorno del Giudizio. Scom
pari, se ti trovi in un luogo vicino a noi, giacché la tua
malignità e il tuo libertinaggio ti hanno reso nemico ai no
stri occhi. E vai a raggiungere i tuoi veri compagni, i diavoli
ribelli! ».
G li enormi strumenti musicali collocati da Bosch nel suo
‘ Inferno dei musici’, risplendono di un lusso luciferino, am
biguo: oggetti di una chiarezza paradisiaca precipitati nella
notte oscura del peccato. Sono strumenti usati nel Me
dioevo per il servizio divino: una sorta di ghironda chia
mata ‘organistrum’, uno strumento ibrido metà arpa e metà
liuto, e una bombarda. Le loro possenti diagonali e verti
cali formano un impressionante parallelogramma. Questi
strumenti, per le loro gigantesche dimensioni e la preci
sione con cui sono dipinti, hanno un’importanza partico
lare: con quale affettuosa minuzia, per esempio, Bosch ha
saputo rendere i tasti, l’arco e i cavicchi dell’ ‘organistrum'!
Solo un esperto e un amatore poteva riprodurre con tale
precisione, con tale competenza, le corde e le curve ar
moniose dell’arpa, posta nella sua posizione obliqua carat
teristica.
Per la loro perfezione tecnica, per la stupefacente chia
rezza delle loro linee e per l ’intensità quasi surrealista della
loro presenza, questi ammirevoli strumenti non possono
non essere accostati alle viole e ai bassi di viola che Mat-
thias Griinewald, ¿1 più devoto tra coloro che dipinsero
strumenti musicali, ha dato ai suoi angeli esultanti nel coro
di Natale. Ma qual è il senso della presenza nell’Inferno di
questi strumenti, attorniati da tamburi assordanti, da trom
be squillanti e, come per coronare il tutto, da un piffero
conficcato nell’ano di un dannato e da una bombarda che
l’accompagna?
L ’insieme di questi tre strumenti suggerisce l’idea di una
musica a tre voci: la melodia è affidata al registro di soprano
126
della ghironda, l ’arpa-liuto esegue la parte di tenore, mentre
la bombarda, come suggerisce il suo stesso nome, ha la
parte di basso. Questa polifonia a tre voci simboleggia l’ar
monia originale del Paradiso; è la manifestazione musicale
della trinità. Dal punto di vista puramente plastico, la san
tità di questo gruppo è sottolineata dalla solenne maestà
della ghironda e dell’arpa-liuto che puntano i loro assi ver
ticali verso il cielo. Sul piano filosofico, questi strumenti
'trascendenti’ si riferiscono alla teoria neoplatonica della
musica, così come era stata formulata da Giovanni Scoto
Eriugena.
Questo filosofo irlandese del IX secolo, le cui teorie mu
sicali sono state recentemente studiate da J. Handschin,16
aveva sviluppato a partire dall’idea di consonanza, e più
particolarmente da quella dell’accordo a tre suoni, tutta
una teodicea musicale, e l ’aveva ricondotta, in maniera ori
ginale, alla dottrina della ‘Redenzione universale’ . Per Eriu
gena, Dio è l ’essenza stessa dell’armonia. E la sua Crea
zione, nonostante le dissonanze, resta fondamentalmente
armoniosa: essa riposa sulla legge dei numeri; è nella na
tura stessa della dissonanza far risaltare, per contrasto, l ’as
sonanza, e risolversi, infine, in essa. Sempre secondo Eriu
gena, l ’uomo, nella sua qualità di microcosmo e in virtù
della ragione che vive in lui, è depositario dell’armonia
perfetta. La Creazione che è contenuta ‘causaliter’ in Dio
è contenuta ‘effectualiter’ nell’uomo, riflesso dello spirito
divino. Uscito dalla consonanza dell’Uno assoluto, l’uomo
è destinato a reintegrare lo stato primitivo del suo essere,
ma prima egli deve attraversare la molteplicità e la contrad
dittorietà di un mondo che, dissonante nelle sue parti, ridi
viene armonioso se lo si considera nella sua globalità.
Sino a questo punto la dottrina di Eriugena non si di
stingue dal neoplatonismo tradizionale; essa diviene ori
ginale e preziosa per la comprensione dell’ 'Inferno dei mu
sici’ solo con l ’inserimento del Male nell’armonia del
mondo. Per Eriugena, infatti, il peccato è la dissonanza
12 7
all’interno della perfezione del piano della Creazione. E
come il peccato non deriva dalla natura dell’uomo, divina
mente creata, ma da un cattivo uso del libero arbitrio, esso
non possiede alcuna realtà in se stesso: il peccato non ha
maggior esistenza autonoma nell’ordine morale del mondo
di quanta ne abbia la dissonanza in quanto forma musicale.
L ’uno e l’altra restano fortemente legati all’armonia domi
nante. L ’Inferno, luogo in cui è castigata la volontà mal
vagia, rappresenta così per Eriugena la dissonanza, destinata
a risolversi armoniosamente nella grazia, vale a dire nel
Paradiso. Come nel quadro di Bosch, i due mondi antago
nisti si uniscono nell 'accordo a tre voci dei toni acuti, medi
e gravi, quando Eriugena conclude con queste riflessioni la
sua lode del numero primo di ogni armonia:
« Cosa vi è dunque di stupefacente [... ] se in tutto ciò che
è e che non è, non resterà alcuna traccia di malizia o di mal
vagità per resistere alla Bontà universale, nessun aspetto
odioso o difforme per opporsi alla Bellezza che ritorna alle
sue cause prime, e cioè verso il Creatore? Io quindi non mi
stupisco quando intendo dire che dal castigo della cattiva
volontà e dalla ricompensa della buona volontà risulterà la
più bella delle armonie. Perché il castigo è buono quando è
giusto e la ricompensa è buona quando essa è più dono che
ricompensa del merito. Questo mi stupisce ancor meno se
vedo i suoni gravi e acuti ed i suoni medi formare tra loro
una consonanza armoniosa e precisa ».
Sino ad oggi si è visto nelT'Inferno dei musici’ una sa
tira « dei tormenti infernali inflitti a causa delle composi
zioni musicali cacofoniche » (Cari Justi). Questi strumenti
solenni sono anche stati oggetto di una interpretazione
psicanalitica: « Touts ces instruments sont des symboles
phalliques » (Charles de Tolnay). Noi siamo i primi a fare
questo accostamento con Scoto Eriugena, l ’unico che per
mette di cogliere il valore religioso e soteriologico di questi
strumenti. Per persuadersi dell’importanza che Bosch an
netteva a questa idea sarà sufficiente notare questo det
taglio: la grande arpa possiede ventuno corde, essa copre
dunque tre ottave diatoniche.
Questa precisione quasi incredibile è caratteristica della
maniera di Bosch, dei suoi metodi di percezione e di rifles
128
sione. Egli ha trattato questo dettaglio, apparentemente
secondario sul piano pittorico, con la più grande d ilig eva,
tracciando meticolosamente le ventuno corde dell’arpa. La
costruzione dello strumento è anch’essa strettamente fedele
al suo modello. Il senso della realtà, in Bosch, sorpassa
anche la stretta fedeltà alla natura di cui testimonia la
scuola olandese. Hans Memling, ad esempio, non si sarebbe
mai sognato di riprodurre il numero di ottave nelle arpe dei
suoi angeli. Egli riteneva sufficiente far apparire alcune
corde ridotte all’essenziale.
Bosch, invece, procede con l ’esattezza di un liutaio, e
ciò è ancora più sorprendente se si pensa che l ’arpa-liuto è
un puro prodotto della sua immaginazione, una combina
zione che, agli occhi di un liutaio, sarebbe sembrata una
mostruosità sotto tutti i punti di vista. Perché dunque
questa precisione nei dettagli, se essa doveva essere annul
lata al livello superiore dell’insieme? Quale fine si prefig
geva Bosch con questo paradosso?
Attraverso la condensazione estrema, precisa, della real
tà, Bosch tentò di rendere sensibile una dimensione supe
riore: l'idea dell’armonia. Essendo l ’armonia fondata sulla
legge dei numeri, la raffigurazione delle corde doveva essere
esatta, ancor più che per l ’arpa, poiché in quel caso si trat
tava dell’accordo cosmico-trinitario di tre volte sette corde,
mentre per il liuto si trattava del numero sei il cui signifi
cato e la cui importanza sono ancora più pregnanti giacché
siamo in presenza di un ‘numero perfetto', essendo la som
ma dei numeri cardinali che lo compongono, prodotti del
l ’uno, uguale al prodotto: i + 2 + 3 = i X 2 X 3 .
La singolare combinazione dei due strumenti persegue
un fine analogo. Attraverso questa funzione Bosch vuole
rendere percepibile l ’idea che l ’armonia è un matrimonio di
suoni', l ’arpa rappresenta l’uomo, il liuto la femmina, uniti
entrambi in un duo di gioia. Riprodurre eroticamente un
simile duetto può sembrare a prima vista un’idea strava
gante, superiore alle capacità intellettuali di un pittore del
XV secolo. Ciò nondimeno, la nostra interpretazione risulta
esatta: è il pittore stesso a confermarcelo.
Il quaderno di musica ai piedi dell’arpa-liuto, al quale
nessuno finora aveva prestato attenzione, così come a tante
129
9
altre indicazioni di Bosch, contiene delle note estrema-
mente curiose. Dobbiamo la loro decifrazione a Johannes
W olf, il grande esperto di annotazione musicale medievale.
Nel dipinto il quaderno è rovesciato: le note non sono
rivolte verso l ’occhio dello spettatore, ma verso quello degli
strumentisti immaginari delParpa-liuto. Questo conferisce
al tema un’intimità quasi impenetrabile. Ma se si decifrano
le allusioni segrete, rimettendo diritto il quaderno dopo
averlo fotografato, si ottiene una frase musicale a due voci
che W olf legge e trascrive in questo modo:
il U U *■* U U '
131
rimanda con il pensiero a un san Lorenzo sulla graticola,
a un prigioniero della disperazione più che a un genio invo-
lantesi verso le alte sfere. Un secondo musico si sforza di
mantenere in equilibrio sul dorso un uovo enorme. Egli do
vrebbe riuscire a drizzarsi lentamente facendo nel contempo
scivolare l’uovo sulla nuca e poi sul cranio, ponendolo in
equilibrio sulla sommità della testa. Se vi riuscisse, sarebbe
liberato dall’Inferno e salirebbe d ’un balzo in Paradiso. Ma
è evidente che non ha alcuna possibilità di riuscire.
Non si tratta qui di un semplice trucco da prestigiatore,
ma di un atto di portata simbolica profonda: solo colui che
riesce a tenere l ’uovo in equilibrio sulla testa domina la
vita in quanto possiede la perfezione. Per Bosch l ’uovo con
tiene in sé il significato del mondo. Raggiungere l’equilibrio
con il mondo, giungere a porsi all’unisono con la sua ar
monia creatrice, diventare noi stessi uno strumento del
Dio-Natura, è per il Libero Spirito la condizione prelimi
nare di ogni realizzazione spirituale. Solo una volta sotto
messi gli istinti sensuali alla regola dello spirito, il corpo,
come è detto nelle Visioni di Mechthild von Magdeburg,
diviene alato come quello del danzatore, lo spirito traspa
rente e l ’anima musicale. Regna allora quell’armonia il cui
compimento in terra è dato all’uomo dall’Eros e dalla
Musica.
I musicisti, più degli altri, dovrebbero essere in grado
di realizzare questo scopo supremo, poiché la scala dei suoni
è una scala veramente celeste. Per loro, purtroppo, la musica
diviene un fine in sé, una professione, un lievito di vanità
e di voluttà cui viene ad aggiungersi la degradazione morale
dei saltimbanchi nel Medioevo. Bosch ha affrontato il tema
su un piano puramente spirituale e ha costruito, come
spesso accade in lui, la sua idea pittorica su un doppio senso.
Per illustrare il tema della musica nel mondo, egli ha scisso
in due il concetto di 'mondo', giocando volta per volta con
i differenti concetti latini di saeculum e mundus. I 'musi
canti' si ingannano sulla loro arte e la depravano, facendo
della musica una servitrice del mondo profano, mentre i
musici, come li concepisce Bosch, onorano nella musica la
sposa reale del cosmo.
I 'musicanti' non hanno dato piena misura di sé e poi
132
ché T'ultima goccia’ manca loro, sono destinati a languire
nell’Inferno. Il terzo musico esprime questa tragedia: egli
deve superare una prova la cui posta è la piena misura del
l’elisir di vita: in altri termini, la salvezza della sua anima.
Mentre nella mano sinistra egli tiene maldestramente in
equilibrio instabile una coppa ricolma fino all’orlo di questo
elisir, di cui non si deve perdere una sola goccia, è obbli
gato, nel contempo, a girare con la mano destra la manovel
la dell’ 'organistrum\ Malgrado gli sforzi strazianti, fallisce:
ed ecco la goccia fatale, terribile, sospesa ad un filo e sul
punto di cadere; un espediente pittorico che esprime tutta
l ’angoscia dei suoi sforzi infiniti, tristemente vani.
Ma qual è mai, per la musica, questa pienezza di mi
sura di cui neppure una goccia deve essere perduta? Bosch
lo indica chiaramente: essa è contenuta nella sacralità della
legge dei numeri, e più in particolare del numero sei, glo
rificato da Scoto Eriugena come quello che racchiude se
gretamente la quintessenza della perfezione armonica. Il
numero sei « non è perfetto fino a questo punto perché in
esso Dio abbia portato sino alla perfezione tutto quello che
voleva creare, ma perché Egli ha creato l ’Universo in sei
giorni, per dare, attraverso la perfezione di questo numero,
un’immagine della perfezione della Sua opera ». Sempre se
condo Scoto Eriugena, solo una profonda ‘ contemplazione*
può svelare la totalità dei significati di questo numero:
« perché chi ha mai potuto, con mezzi naturali, misurare
tutta la potenza del numero sei, in cui si svela il fonda
mento di ogni armonia, e cogliere il rapporto di questo
numero con quello che è una volta e mezzo sei (3/ 2 ), e quel
lo che è il suo doppio (4/2), giacché la totalità del visibile
e dell’invisibile si fonda su di esso come su di un modello
prestabilito e fondamentale? ».
Se consideriamo gli strumenti di Bosch alla luce di questi
numeri canonici, scopriamo che anche qui il sei è un nu
mero-chiave: il liuto ha sei corde e la bombarda sei fori.
La manovella delT'organistrum', come indicano i cavicchi
del riccio, mette sei corde in movimento, mentre la tastiera
conta dieci tasti, il numero dei comandamenti. Sei anelli
risuonano sul triangolo, ripartiti secondo un rapporto di
tre terzi, 2 + 4, il che ricorda i 'quattro terzi’ di Eriugena.
133
Ma il più nobile di tutti gli strumenti è senza dubbio Tarpa,
perché nelle sue 3 X 7 corde, le sette sfere celesti risuonano
all’unisono con la Trinità.
Per esprimere con la massima intensità questa simbo
1
lica sacra, Bosch ha spiritualizzato " organisi rum' dandogli
un volto umano: nello strumento vi è infatti una donna
che si affaccia all’esterno con il capo avvolto in un velo
bianco, il velo delle beghine. Anima di questo strumento
sublime, essa porta nella mano sinistra il simbolo trinitario
del triangolo, che fa risuonare con l ’aiuto di una bacchetta.
Ciò che i prestigiatori, con l’uovo cosmico e l ’elisir di vita,
non hanno potuto realizzare - sono infatti rimasti 'esterni'
ai loro strumenti - , quest’anima pia riesce a realizzarlo come
si trattasse di un gioco infantile. Situata all’interno di que
sto strumento tutto impregnato di Dio, ella regge sul suo
debole indice, senza perderla, la quintessenza della 'musica
del mondo’. Il triangolo sacro è posto là, nel mezzo del
l ’Inferno, come simbolo pitagorico della bilancia, figura del
l’equilibrio dell’anima.
Anche davanti al quaderno di musica, in fondo all’arpa-
liuto, c’è un dannato che tenta di fuggire e tende le braccia
verso il liuto che lo sovrasta, come se la salvezza della sua
anima dipendesse dal contatto con le corde dello strumento.
Ma un diavolo lo afferra per i polsi e ne vanifica il tentativo:
la sua intenzione è di affumicare questo tempio strumentale
di Dio. A tale scopo ha infilzato un rospo chiazzato con un
ramo di nocciòlo e gli ha dato fuoco, affinché l ’animale, così
diabolicamente torturato, emani un puzzo nauseabondo.
Musica sacra o arte viziosa, falsa: è l ’alternativa di que
sto motivo. Per ben sottolineare che anche nell’ambito della
musica sacra vi erano a quell’epoca tendenze molto discu
tibili, Bosch ha avvolto in arabeschi ammalianti due serpenti
attorno all’arpa-liuto, diretti discendenti del 'Serpente ori
ginario’ dell’Àlbero della Conoscenza.
Questa satira della musica sacra prende di mira lo sti
le a cappella introdotto nei Paesi Bassi nel XV secolo da
Josquin Després e dal suo maestro Johannes Ockeghem.
Questo canto corale polifonico, molto ornato, aveva solle
vato una forte opposizione nei circoli della ‘devotio mo
derna'. L ’ 'Ordinarius’ della congregazione di Windesheim,
134
per esempio, aveva proibito ogni ricamo vocale e il certo
sino Dionysius von Rijckel, legato agli ambienti di Win-
desheim, aveva violentemente condannato la ‘lascivia animi’
di questa musica vana: nelle sapienti rotture della linea
melodica egli intravedeva il simbolo stesso delle anime
pervertite. Anche Cornelio Agrippa si è scagliato polemica-
mente contro la musica sacra olandese. Nel x v n capitolo
(« De Musica ») della sua Declamatio, egli traccia una cari
catura molto simile a quella di Bosch di questi cori eccle
siastici nuovo-stile, che spesso utilizzavano in maniera colta
dei temi popolari:
« Ma ai nostri giorni regna a causa della musica una tale
licenza nelle chiese, che anche durante il canto della messa
si ascoltano sull’organo infami canzoni. Esse non onorano
il servizio divino: eseguite da musicisti frivoli e mercenari,
con bestiali schiamazzi più che con voci umane, non induco
no alla devozione e all’adorazione, ma alla fornicazione. In
vece di cantare come dovrebbero, i ragazzi fanno il verso al
soprano pigolando, altri al tenore producendosi in un mug
gito; alcuni abbaiano contro tempo, altri imitano il con
tralto mugghiando come buoi, altri ancora il basso stridendo
con i denti, e fanno in modo che si sentano bene delle grida
e del rumore, ma che nessuno possa comprendere niente
del testo. Si privano così tanto le orecchie quanto la rifles
sione umana di ciò che è naturale ».
1
A sinistra, sotto ’ ‘Inferno dei musici', scopriamo- un
altro gruppo ben definito che può, grosso modo, inscriversi
in un triangolo: è P'Inferno dei giocatori’ . Il particolare
che più colpisce è la porta di una taverna, che è stata scar
dinata per venire utilizzata come tavolo da gioco. Nel suo
angolo superiore si notano dei segni di gesso che corrispon
dono ai debiti di gioco. L ’intera scena rappresenta una resa
dei conti dei debiti causati dal gioco dei dadi e delle carte.
Come colpita da un fulmine, la tavola che serviva da
banco si è rovesciata e, nella caduta, ha trascinato con sé
135
colui che teneva il banco, che ora è a terra tra le carte spar
pagliate, accanto a una brocca di vino. Assalito alla gola da
un demone dalla testa di topo, egli si preme la fronte con la
mano sinistra, nell’attitudine di un Giuda pentito. Una
spada è conficcata nel suo cuore, la mano destra è trafitta
da una candela piantata in un candeliere, e questo significa
che, avendo fatto bancarotta, egli è divenuto un saccheg
giatore della Chiesa: per trenta denari ha profanato la san
tità dell’altare.
Personificazione del gioco d’azzardo e di tutti i vizi legati
alle carte e ai dadi, la serva della taverna, schiava di Bacco
e di Venere, spicca al centro dell’immagine portando sul
capo un grosso dado, emblema della sua natura. Ella è
l’incarnazione del 'mondo a rovescio’ simbolizzato anche
dalla lepre che le è accanto, munita del corno da caccia, del
carniere e dello spiedo. Essa è di ritorno da una caccia
propizia e, come la ‘lepre-maschio’ del proverbio, si porta
a casa una puttana, legata per i piedi, come un cacciatore
farebbe con una lepre morta.
Il legame stretto tra il gioco e il bere è ulteriormente
suggerito dal diavolo a becco d ’anatra, che brandisce trion
falmente un gioco di tric-trac con tre dadi. Per chiarire la
sua natura di diavolo-beone, Bosch gli ha fornito un ventre
da ubriacone il cui ombelico è costituito da un grappolo
d ’uva. Il gioco e la violenza di un perdente assetato di
vendetta formano il soggetto di un altro tema, suggerito dal
coltello piantato nella schiena del vincitore. La passione del
gioco conduce direttamente al delitto: un giustiziato è se
duto nell’Inferno, la mannaia del boia profondamente con
ficcata nella nuca, una benda sugli occhi, non tanto per in
dicare la pena capitale, quanto l’accecamento di cui è stato
vittima.
I giocatori intorno alla tavola sono stati presi dal terrore
al tuono provocato dalla bancarotta-, tale è il significato
letterale della tavola rovesciata. Essi sono peraltro ancor
più terrorizzati dal fatto che all’istante compaiono gli sbirri
dell’Inferno per condurli con sé. Due vittime soltanto ma
nifestano vera contrizione: un personaggio nasconde il viso
tra le mani e ci fissa con un solo occhio, dal quale emana
uno sguardo di profonda disperazione e vergogna; un altro
136
leva le braccia al cielo chiedendo aiuto a Dio. G li altri gio
catori sono genericamente caratterizzati come plebaglia sen
za cuore. Un diàvolo ha infilzato sulla sua spada il cuore di
uno di loro, simbolo di tutte le loro anime.
Il gioco d ’azzardo è per Bosch il simbolo di tutto ciò che
è contrario a Dio, poiché esso sostituisce all’ordine rivelato
il caso cieco. Questi giocatori sacrificano la salvezza della
loro anima a una sete peccaminosa di guadagno. Bosch ha
riassunto questa idea centrale in un simbolo pregnante e
brutale, il disco appeso al demone del gioco, posto in primo
piano: nel centro di questo disco vi è una mano tagliata,
inchiodata da un coltello, due dita alzate sul dado in segno
di giuramento. Due pene in uso nell’antico codice penale
germanico sono qui combinate in una sola: la mano tagliata
e la « mano trapassata da un coltello » (Grimm, Deutsche
Rechtsaltertumer, n, 294), un monito solenne contro i castighi
di cui il gioco d ’azzardo è portatore.
L ’amputazione del piede sinistro, rappresentata nella
scena accanto, è un castigo analogo e corrispondente (Grimm,
n, 292). Un demone è la inginocchiato, mezzo diavolo e mez
zo salamandra, il becco irto di punte e coperto da un elmo
da cavaliere preparato e lucidato dal boia, alla cui sommità
pende l ’emblema dell’antico castigo. Ci troviamo qui in
presenza del preludio, ironicamente macabro, al più vio
lento attacco antimonacale mai intrapreso da Bosch nelle
sue satire. Infatti questo marginale elemento di criminalità
pone tutta la scena che segue sotto la competenza del boia.
Questo piccolo diavolo è un cancelliere. Attraverso la vi
siera del suo elmo, porge al condannato l ’occorrente per
scrivere. La penna viene intinta nel calamaio da un maiale,
che secondo il gusto della satira del Basso Medioevo viene
vestito da badessa. Questa ‘badessa’ sorridente, che strizza
gli occhi, è sul punto di segnare il destino dello sfortunato
dannato. Questi ha un bel contorcersi, ha poche possibilità
di sfuggire ai suoi desideri. Ma cosa dunque gli viene
richiesto?
Sulle ginocchia del condannato è steso un documento: il
sigillo e la firma apposti sulla pergamena indicano che esso
è pienamente valido. La badessa cerca di costringere que
st’uomo a prendere la penna per aggiungere, secondo ogni
137
evidenza, un’appendice al documento: un codicillo in suo
favore. Perché si tratta, certamente, di un testamento. Ma
in questa scena di un realismo straordinario Bosch sugge
risce ancora un particolare: è già la terza donazione estorta
a questo malcapitato. Il tesoriere del convento, che accorre
tutto trafelato, ha nella mano sinistra un testamento più
antico, e sul capo porta un catasto, sigillato con cera rossa,
il cui considerevole formato lascia indovinare la consistenza
dei beni già trasmessi per donazione. La piccola acquasan
tiera che porta agganciata sulla spalla indica la sua carica
di tesoriere del convento. Tuttavia non è la mano a bagnarsi
devotamente in questa acquasantiera, ma un rospo, simbolo
dell’odiosa cupidigia. Nella superstizione popolare il rospo
era in effetti considerato il guardiano dei tesori.
A questa satira dell’insaziabile sete di accaparramento
dei monasteri, Bosch associa un attacco ancora più audace
contro la verginità ipocrita della badessa. Contrariamente
alla sua abitudine, che è di indicare sempre con precisione
il sesso degli animali, Bosch ha rinunciato ad accennare
anche solo vagamente agli organi sessuali del maiale. Ma se
ha proceduto in questo modo non è per pudore: in questa
omissione vi è un’ironia sferzante. Questo maiale ‘astratto’,
che reprime ogni segno del suo sesso femminile, simboleg
gia l’ipocrisia d ’una ascesi che tende a negare la natura.
I discepoli del Libero Spirito, con la loro etica della fecon
dità creatrice, consideravano una tale volontà come per
versa e sacrilega.
Satana.
139
numerose espressioni proverbiali: « Vapore blu », « Tra
mare qualcosa di blu », « Oche blu », « Documenti blu »,
« Tirar giù dal cielo menzogne blu ».
Il principe dell’Inferno, imbellettato con il blu della
furberia, è raffigurato con una gigantesca testa di sparviero
e un corpo umano scheletrico. Lo sparviero, nella mitologia
egizia, abitava il Regno dei morti dell’Occidente e divorava
i cadaveri. Allo stesso modo questo sparviero infernale in
ghiotte voracemente le prede che la morte gli offre. Con gli
occhi fissi, sbarrati, spalanca il suo becco e ingurgita i musici,
scelti a caso. Ma questo cibo non lo sazia: la sua digestione
è così rapida quanto il movimento che suggeriscono i gal
loni che ornano la cinghia intorno al suo petto: sembra che
si spingano uno contro l ’altro per formare una sorta di
catena, un movimento continuo. Questa vera e propria
cinghia di trasmissione, suggerisce un movimento mecca
nico incessante, simbolo espressivo di un’attività che si
consuma inutilmente. Essa è l ’esatto opposto della fibbia
trinitaria che il Creatore porta sul suo cuore: due anelli
che s’irradiano a partire da un punto centrale, creando così
il simbolo del concentrarsi e del diffondersi dell’energia.
Meno il diavolo è capace di assimilare quello che divora,
più arraffa con protervo accanimento ciò che mai è stato
cotto in una cucina o conservato in una cantina. È per
questo che egli ha un enorme calderone infilato sulla testa
e due brocche di vino infilate ai piedi. Scosso da brividi
di freddo e dalle terribili scariche della sua diarrea, è acco
vacciato sul trono infernale che Bosch, nella sua inesauribile
ingegnosità, ha mascherato da trono antitrinitario: il seg
giolone bucato.
Questo trono è un tripode simile al seggio della Pizia
e, come quello, £ posto sopra una cavità della terra, co
municando in tal modo con il mondo sotterraneo. Ma il
pozzo delfico è divenuto qui una cloaca oscura, in cui vanno
a cadere, uscendo da una vescica ripugnante, gli escrementi
di Satana. Satana inghiotte una creatura dannata, la cui
anima, raffigurata da uno stormo di corvi, fugge dall’ano. In
basso, gli intestini di Satana si scaricano attraverso una
specie di storta alchemica: due omuncoli, orribili caricature
della risplendente coppia nuziale del pannello centrale, pas
140
sano per questa storta e vanno ad inabissarsi nelle profon
dità della cloaca. È questa un’immagine che ritroviamo
nelle Visioni di Mechthild von Magdeburg, dove ella dice
del diavolo: « Egli divora l ’uomo che avidamente aspirava
a possessi sempre maggiori, ma dopo averlo ingoiato, egli
lo espelle nuovamente dal deretano, [...] e con grande fre
quenza egli vuole nutrirsi e apre la bocca. Inghiotte allora
di colpo ebrei e pagani che là, nel suo stomaco, ricevono la
loro ricompensa e celebrano strane nozze. E quale sventura
per voi allora, corpi e anime! Taci, dunque, bocca degli
uomini! ».
Questa cloaca ovale costituisce il parallelo dello stagno
ovale, situato nell’angolo destro dell’Eden, da cui gli ani
mali emergono alla luce. Qui il processo si rovescia: lo
stagno di vita è divenuto pantano di morte; il luogo del
l’ascensione è divenuto il luogo della caduta, dove il ghiot
tone vomita e l ’avaro defeca il suo oro. Entrambi si scari
cano qui dei disgustosi eccessi della loro vita peccaminosa.
La dea Fortuna ha ormai giocato la sua ultima carta: ogni
speranza è vana. Sola regna sovrana la bestialità del crudo
assassinio e della necrofagia, raffigurata da due cani coraz
zati, in primo piano, al centro, che dilaniano un tronco
umano (cfr. Deutoronomio x x x i i , 24).
Il senso della vita si rovescia in un’abissale assurdità, la
vita precipita nel turbine nero del nulla assoluto. Ma pro
prio in questo punto, il pensiero conduttore del dipinto
subisce una svolta improvvisa. Bosch induce nello spetta
tore ricordi inquietanti, lo spinge a rivolgere il proprio
sguardo interiore all’indietro: si tratta del metafisico oc
chio della memoria che ripercorre il passato, come è anti
cipato dal mostro centrale che guarda all’indietro. Una
pausa si apre in questo pandemonio di dolore e scherno,
un istante di raccoglimento che dà un’intensità e un rilievo
del tutto particolari all’immagine esemplare della vanitas
vanitatum.
141
Vanitas.
143
Nella sua qualità di seconda Èva, in questo pannello
dell’Inferno in cui tutti gli altri personaggi sono di sesso
maschile, questa giovane rappresenta il sesso femminile.
I paesaggi cosmici dello sfondo sono, in effetti, subordinati
a Vulcano e a Marte, vale a dire ad attività essenzialmente
maschili, artigianali o militari. L "Inferno dei musici’, allo
stesso modo, non ha presenze femminili; le donne erano
infatti escluse dai cori di chiesa nel Medioevo. L MInferno
dei giocatori’ non ci mostra la donna, se non come prosti
tuta. Questa cantiniera avida, serva della Dama della For
tuna, si è sacrificata sull’altare dei piaceri del mondo. La
sua vicina, la monachella assetata di eredità, si è consacrata
alla fuga dal mondo. Ambedue hanno rinunziato al loro
destino di donne. Alla sterilità venale della prostituta,
Bosch associa nella sua caricatura la sterilità ipocrita della
monachella.
In questa duplice sterilità si ritrova l’idea che Èva, con
il suo peccato, ha distrutto l ’armonia spirituale e morale
che regnava tra l ’uomo e la donna. Dopo la Caduta, l’uomo
e la donna, che sono i due poli di ogni vita creatrice, invece
di sostenersi e stimolarsi vicendevolmente, restano prigio
nieri di un egoismo sterile, distruttore di ogni vita. In
questo mondo alienato, in cui è assente l ’amore, scopriamo
una sola donna che realizza l ’amore nel senso pio del ter
mine, come pura Carità al servizio dei bisognosi. Questa
rappresentante della caritas è la beghina che si trova al
centro dell’ ‘ organistrum'. I suoi occhi chiari scrutano la
notte e sono come un appello. Sono i soli occhi, in questa
immagine dell’Inferno, che guardano verso l ’alto con una
espressione di fede, d ’amore e di speranza. Ma nel frastuo
no dell’Inferno si trova un orecchio disposto a cogliere
l ’appello del suo triangolo?
1 4 5
MI
purezza morale rigorosa. Il sublime cammino verso la sal
vezza perseguito dal Libero Spirito, sintesi, come s’è visto,
dell’Eros serafico cristiano e dell’Eros cosmogonico, veniva
contaminato dai riti occulti di queste conventicole, ricac
ciato al livello d’una sessualità odiosa. Spesso confuso con
questi eretici, il Libero Spirito era accusato delle stesse
ripugnanti pratiche.
Il nostro dormiente afflitto ha avuto, per sua sfortuna,
contatti con tali spiriti impuri, gravando così la sua coscien
za senza scampo. N ell’ultima scena, con una violenza ancora
maggiore, Bosch regola i conti con questi spiriti frenetici.
È la più sconvolgente di tutto il dipinto: la caricatura della
depravazione morale è qui spinta sino ad una oscenità in
fernale. Una donna bionda e grossa, vestita ridicolmente,
il pesante petto e le natiche rotonde impudicamente osten
tati alla vista di tutti, striscia a terra come una cagna copu
lante. È montata da un demonio scarnificato che ha lunghi
speroni ai piedi. Con il suo cappello piatto, calato profon
damente sul capo, il viso pallido e la barba appuntita, con
i movimenti pressanti della schiena e delle braccia, questo
oscuro vizioso ci appare come lo Shylock spietato del desi
derio sessuale.
Lo stesso tema appare nelle molteplici versioni di Ari
stotele e Phyllis - con i ruoli semplicemente rovesciati -
ma trattato con la grazia e l’umorismo proprio delle illu
strazioni tardo-medievali. Bosch ha arricchito questo mo
tivo di dettagli nuovi, come quello della lancia puntata
diabolicamente, con precisione e oscenità, sulla cui punta
è fissata una spugna. Questi dettagli sottolineano brutal
mente l ’abuso vergognoso qui praticato. Dietro questa cop
pia una turba numerosa di uomini nudi attende il suo turno.
È un circo in cui il sesso viene esibito e costretto al più
abbietto asservimento; è l ’Eros sottomesso alle esigenze di
una sessualità imperiosa e grossolana.
Con questo memoriale infamante sulla profanazione sa
crilega dell’amore - e si sa che il Libero Spirito vedeva nel
rispetto e nella saggia regolazione dell’amore il cammino
verso la perfezione divina - Bosch, questo Virgilio della
pittura olandese, ci conduce, dopo un lungo periplo infer
nale, al nostro punto di partenza: l ’albero cosmico marce
146
scente, che eleva nella notte, al di sopra del mare cosmico
stretto dai ghiacci, l’uovo cosmico scoppiato. Perché questo
simbolo della vita devastata sia più eloquente ancora, Bosch
10 ha ripetuto sotto un’altra forma: proprio a lato, sulla
destra, egli ha elevato un edifìcio dal precario equilibrio,
destinato a crollare nell’istante stesso del suo compimento,
come un castello di carte.
Due diverse anfore rappresentano i due sessi: un’an
fora snella, verrucosa, la donna, e un’anfora levigata, spes
sa, l ’uomo. Esse servono d ’appoggio a un coltello piazzato
in diagonale che fa da supporto, a sua volta, a un piatto
posto in equilibrio sul filo della sua lama: il piatto della
vita. Perché questa costruzione fragile, dai piedi d ’argilla,
non crolli, la più grande attenzione, la più viva concentra
zione sono indispensabili. N ell’istante stesso in cui, ai suoi
piedi, sarà perpetrato il peccato mortale contro lo spirito
divino dell’amore, crollerà. Il filo del rasoio è qui il sesso.
Se esso è padroneggiato, l’edificio della vita tiene bene. Ma
se ne viene fatto un cattivo uso, la vita si disgrega.
Questa disgregazione della vita trova la sua più profonda
espressione nel mostro: in lui si manifesta brutalmente la
separazione tra i sessi causata dalla Caduta, perché questa
figura mitica è sia maschile che femminile nella sua struttu
ra. L ’albero simboleggia l’elemento maschile, l ’uovo quello
femminile. L ’armonia originaria che regnava tra le forze
maschili e femminili dell’essere è stata distrutta dalla men
te. Nel suo desiderio luciferino di conoscenza, essa si è
liberata dagli impedimenti della natura organica e si è ego
centricamente resa autonoma. Il legame, necessario, tra lo
spirito e l ’istinto, si è spezzato, per cui abbiamo da un lato
11 deperimento delle forze vegetative, dall’altro un’ipercre-
scita del cervello. La ‘reprimenda salutare’ per una simile
sproporzione è la seguente: lo spirito troppo sovrano che
si è separato da tutto è condannato a sopravvivere, in uno
stato torturante di iperlucidità, al proprio corpo, da lungo
tempo in via di decomposizione. U n’agonia cosmica, terri
ficante, dell’intelligenza! È a questo punto dell’immagine
che Bosch ha posto un ultimo ‘ritorno all'indietro’.
Nel viso del mostro, egli ha impresso un ricordo lontano,
àncora di salvezza immersa negli abissi dell’Inferno: il solo
M7
orecchio che nel tumulto di questa profondità percepisce
il suono del triangolo sacro, il solo occhio che si sente, se
non toccato, per lo meno vagamente attratto dallo sguardo
levato della pia beghina, sono quelli del mostro. Nello
scambio di questi due sguardi si stabilisce una corrente di
carità universale, che attraversa la notte delPlnferno. Per
ché verrà il giorno in cui, secondo la dottrina dell’Apoka-
tastasis, tutti i peccatori, e lo stesso Lucifero, saranno ri
scattati; e i Regni antagonistici di D io e del diavolo, poli
sino ad allora contrapposti, coincideranno al centro di una
eternità costituita dall’amore e dalla gioia di tutti i figli di
Dio finalmente riunificati. La volontà di potere, la cupidigia
e la lussuria, questi sono i nomi delle province visitate da
Bosch nel suo periplo infernale. Esse si confondono tutte
per formare un solo regno il cui principio demonico è
l ’egoismo. E soltanto al termine di questo lungo cammino,
guardando per un’ultima volta il pannello, siamo finalmente
in grado d ’indovinare il nome della mostruosa entità che
ne costituisce il centro. Il suo vero nome è E G O : tre let
tere, né più né meno. Tutte le forze distruttrici del mondo
sono contenute nelle lettere capitali di questa semplice
parola: E G O .
148
Il Regno millenario
1
Il Regno dello Spirito Santo è instaurato, ’ 'evangelium
aeternum’ è divenuto carne e sangue: innumerevoli esseri
umani 'risvegliati' lo incarnano e celebrano già, sulla terra,
il ritorno all’originario stato paradisiaco dell’innocenza.
L ’aurora dell’Eden sboccia nel pannello centrale con l’af
fermazione vittoriosa del sole di mezzogiorno che confe
risce a ogni cosa una pienezza completa, un colore profondo
e raggiante. In mezzo a una meravigliosa flora tropicale di
frutti e piante gigantesche, vediamo enormi uccelli dalle
piume variopinte, stupefacenti edifici di vetro, sorpren
denti architetture vegetali. Questi colori radiosi sottoli
neano il pallore delle formq umane: i corpi hanno la traspa
renza eterea dei petali dei fiori e si librano in questo
paesaggio come una moltitudine di farfalle bianche. A l
centro del pannello una processione trionfale di animali
familiari ed esotici, cavalcati da un gruppo di giovani turbo
lenti, gira in tondo attorno a una Fontana della Giovinezza.
Un prato, circondato da cespugli brunastri, si estende sino
al piccolo lago. Là, per metà globo cosmico e per metà fiala
scintillante, si erge una variante della Fontana della Vita.
Quattro strutture rocciose, di una mostruosità voluttuosa,
delimitano i confini di questo giardino, che abbonda, sino
negli angoli più reconditi, di gruppi umani e coppie che si
149
abbandonano a ogni sotta di piaceri. L ’aria è anch’essa
popolata da creature volanti. Dinanzi a questo panorama
esuberante ci si domanda, in primo luogo, quali siano le
direttrici secondo cui affrontarlo. Giacché al primo sguardo
si resta confusi dinanzi a questa molteplicità di figure che
brulicano frenetiche in tutte le direzioni o riposano piacevol
mente l’una accanto all’altra. Tutti questi personaggi sem
brano celebrare un medesimo e stupefacente culto erotico.
La Fontana della Vita costituisce l ’asse centrale del pan
nello. In corrispondenza con questo compatto asse verti
cale, la composizione orizzontale del pannello si stratifica
e articola in tre zone principali. La prima zona si staglia
su un fondo verde scuro ed è delimitata dalla siepe concava
che segna il percorso della cavalcata trionfale. La seconda
zona sboccia su un fondo di erba giallo-verde, essa è sbar
rata verso l ’alto dalla linea orizzontale che separa la terra
ferma dal bacino della Fontana della Vita e dalle quattro for
me rocciose. La terza zona sembra un regno transitorio tra
la terra e il cielo, attraversato in tutti i sensi dal volo di
spiriti elementari e di geni.
Nonostante questa netta divisione in tre piani distinti,
il pannello sembra mancare di una direzione precisa. I grup
pi della metà inferiore si confondono in un turbine di atti
vità apparentemente casuali. La metà superiore del pannello
si ordina in un vasto movimento circolare: la cavalcata gira
attorno al bacino ovale come attorno al mozzo di una ruota.
Ma il movimento che si irradia a partire da questo centro
è perfettamente chiuso, tutto ciò che succede in primo
piano, o sullo sfondo, non ne viene per nulla toccato. Il
movimento circolare centrale è sottolineato, 'monumenta
lizzato' dai quattro picchi rocciosi circondati d’alberi, che
con l’orlatura della foresta, in basso, formano una sorta di
cintura ovale, che chiude metà inferiore e superiore come
un anello. Il marchio distintivo del Regno millenario è il
ciclo, la sua legge quella dell’eterno ritorno.
Il pannello centrale manca, apparentemente, della tensio
ne drammatica delle pale laterali, ove si vede l ’Albero della
V ita elevarsi al di sopra della prima coppia umana, e le
scene d ’orrore circondare il mostro con una intensità cre
150
scente. Ma esaminiamo come esso è connesso alle pale
laterali.
Delimitazioni e transizioni.
151
messe che, secondo Matteo (xm , 39), significa la ‘consum-
matio saeculi' in cui Dio dona uno « spirito di saggezza e
di rivelazione nella piena conoscenza di Lui » alla comu
nità dei fedeli, « che è il Suo corpo, la pienezza di Colui che
tutto compie in tutti » (Efesini i, 17 e 23).
Non esiste invece alcun rapporto formale tra l ’Inferno e
il pannello centrale. La cesura è brutale e il contrasto così
marcato come tra il giorno e la notte. Sul piano morale,
tuttavia, esistono certi indizi di transizione. N ell’ ‘Inferno
dei giocatori’, per esempio, si nota qualche segno di ri
morso, della possibilità, quindi, di riparare. L ’‘ Inferno dei
musici’ mostra degli sforzi verso una realizzazione etica.
Infine, le note del triangolo della caritas esortano al ri
sveglio e penetrano sin nel profondo dell’Inferno. Il cam
mino che conduce dall’Inferno al Paradiso, dal mondo non
convertito a quello della vera salvezza, è così virtualmente
tracciato.
Nel pannello centrale, all’estrema destra, sei motivi paio
no riflettere questo passaggio. Alla stessa altezza dell’ ‘In
ferno dei musici’, è situata una scena che assomiglia più a
un castigo infernale che a una ricompensa paradisiaca: una
enorme civetta, dallo sguardo collerico, con le piume riz
zate, è posata su una coppia che, braccia e gambe intralciate
da rovi, busto e testa prigionieri d ’un’enorme gemma ve
getale, cerca con tutte le sue forze di liberarsi e di sepa
rarsi. Uno dei due tenta di andare verso sinistra, l’altro
verso destra; ma non riescono ad avanzare di un pollice,
puntano i piedi e si esauriscono in vani sforzi. La gemma
che li imprigiona indica che non sono ancora 'maturi' per
l’amore. La civetta, incarnazione della ‘scienza della morte’,
ci lascia intuire la ragione che spinge questi giovani a sepa
rarsi. Essi si rifiutano di sacrificare sull’altare della morte
la loro eventuale progenitura, una vita condannata a morire
appare loro priva di senso. Ora, questo contraddice la sag
gezza della Natura, ed è per questo che l ’uccello della sag
gezza li sottopone a questa prova preparatoria.
Sempre sulla destra, in primissimo piano, osserviamo
due donne in piedi: il loro cranio rasato indica che sono
monache. Non sono delle novizie nella congregazione del
Libero Spirito, ma delle iniziate, come indicano le foglie
152
che ornano le loro teste. Esse sembrano, tuttavia, provare
ancora qualche reticenza dinanzi alle gioie del Paradiso.
L ’una ne contempla le meraviglie con muto stupore, l’altra,
come per mortificarsi, port?. ancora il cilicio attorno alle
cosce. Questo strumento di mortificazione, emblema d ’un
ascetismo fanatico, ci fa ritenere che si tratti d’un residuo
delP'Inferno dei monaci’. Un adolescente ricciuto, con il
viso di san Giovanni, e un nubiano istruiscono sui doveri
del vero amore divino queste monache transfughe. Il nu
biano, puro fanciullo della Natura, porta avvolta intorno
al corpo una ghirlanda dionisiaca da cui pendono grappoli
d ’uva, in contrasto con la frusta della disciplina.
Terzo motivo di ‘transizione’, la caverna: una folla di
novizi dagli sguardi spauriti viene trattenuta dietro la porta
color fragola. Essi si ammassano all’interno di una grotta
dalle pareti rocciose coperte da ciuffi d ’erba e circondata
da cespugli verdeggianti. Tre novizi ‘avanzati’ hanno già
ottenuto il permesso di accedere a una specie di belvedere
situato sopra il portale, da dove possono gettare un primo
sguardo sugli splendori paradisiaci che li attendono. Sim
bolo della sorveglianza attenta che circonda i loro primi
passi, una fragola ricoperta da un tetto di vetro li protegge.
A l di sotto della fragola una coppia ‘prosciolta’ fa il suo
ingresso nella vita nuova. La sposa porta tra le sue braccia
una magnifica carpa dai fianchi gravidi di uova, pegno della
benedizione del matrimonio. Il maestro che li ha istruiti,
un uomo vecchio, dal viso emaciato, austero, prende con
gedo da loro all’ingresso e leva l’indice come per richia
marli, un’ultima volta, alla saggezza.
La piramide rosso-corallo e la calotta di vetro, sempre
a destra, sono anch’esse delle cellule di preparazione, di
istruzione. Attraverso l’apertura triangolare della piramide
si vedono cinque gambe, quelle di una coppia di amanti e
del loro istruttore spirituale. Un’analoga lezione sull’arte
di amare ha luogo, perfettamente visibile questa volta,
sotto la calotta di vetro. Il maestro spirituale guida l ’uno
verso l ’altro i componenti di una coppia: la donna, un’impo
nente beghina, ha conservato il suo velo, ultimo vestigio
del suo abito; l’uomo, stupefatto alla vista della cavalcata
trionfale, porta la mano alla fronte. Per chi volesse for
153
mulare un giudizio morale sul Libero Spirito, questi due
motivi pittorici sono della massima importanza. Essi for
niscono la prova che, in effetti, l ’iniziazione ai misteri
deir'acclivitas’ era strettamente privata e che, in verità,
solo le coppie 'fidanzate' vi avevano diritto in preparazione
del matrimonio.
Una scena particolarmente affascinante è quella che si
svolge sul prato che sovrasta la caverna. Una giovane coppia
è sdraiata nell’abbandono di un dolce far niente 18 estivo.
L ’adolescente, coricato sul ventre, parla a una fanciulla dal
l’aspetto sereno e disteso, con la testa morbidamente appog
giata sulla mano sinistra. Bosch ci ha chiaramente indicato il
soggetto del loro intrattenersi: il ragazzo è già un iniziato
- porta sul capo il segno dei discepoli - e istruisce la ragazza
nell’arte di amare. Costei ascolta le sue parole con attenzio
ne, ma nello stesso tempo con timida esitazione. Per scon
giurare le reticenze del suo pudore, il ragazzo tiene la ragazza
per il polso: ripete così il gesto del Creatore che stringe con
la sinistra il polso di Èva appena creata, al fine di benedire
le fresche pulsazioni del suo sangue. Nella trasposizione
di questo gesto rituale nella vita amorosa, bisogna vedere
un atto nuovo di magica 'appropriazione'. Ma il gesto ri
veste qui un significato ancora più particolare: l ’adolescente
tiene il polso della sua sposa per saggiare le loro affinità
elettive, fisiche e spirituali: giacché solo in queste affinità
risiede la legittimità dell’amore.
Un incantevole giardino giovanneo corona queste scene
di preparazione all’amore. A ll’ombra di un frutteto stanno
in ozio dei giovani d ’ambo i sessi; alcuni colgono delle
arance, altri siedono tranquillamente e conversano. È stu
pefacente constatare come la medesima temperie spirituale
neoplatonica unisse la prospera Firenze dei dialoghi camal
dolesi al nebbioso paese iperboreo.
L ’Inferno o, in senso più generale, la vita non ancora
riscattata, ma non per questo refrattaria all’idea di sal
vezza, costituisce dunque il punto di passaggio dal pan
nello centrale al pannello di destra. Verifichiamo ora l’esi
154
stenza di legami significativi tra la celebrazione del Regno
millenario e il Paradiso della tavola laterale.
Se si osserva il dipinto da destra a sinistra, si vedono
prima di tutto gruppi di amanti, la cui felicità consiste
nell’adorare con raccoglimento fiori e frutti giganteschi,
incarnazione della fertilità della terra. Essi sono chini su
fiori in boccio, mangiano fragole o altre bacche dolci, por
tano sulle spalle delle more gigantesche o tentano di en
trare in enormi zucche. Essi celebrano questo strano culto
della Natura con cura e attenzione; li anima un tale rispetto
che non osano manifestare la loro tenerezza per il com
pagno che con un timido contatto delle spalle, con leggere
carezze, con uno sguardo sognante.
Questo ritegno cede il posto a un’attività più pressante
man mano che ci spostiamo verso sinistra. La topografia
del paesaggio sottolinea questo contrasto: infatti, la terra
ferma si trasforma a sinistra in terreno palustre. Penetriamo
nella zona d ’influenza delle acque-madri, quelle da cui, nel
l ’Eden, gli animali emergevano alla luce. Penetriamo così
nel campo della Fontana della Vita, dallo zoccolo irto di tubi
di cristallo, costellato di perle. Le paludi del 'Regno mil
lenario’ sono anch’esse cosparse di perle, il cui significato
simbolico ci è rivelato dall’ostrica che serve da camera
nuziale a una coppia di amanti e che un uomo anziano porta
verso la palude. I due amanti, in questa conchiglia, stanno
consumando la loro unione, e il loro accoppiamento è sim
bolizzato dalla tre perle scintillanti sull’orlo della conchi
glia: immagini cristallizzate del seme creatore. Man mano
che ci avviciniamo all’Eden il comandamento divino del-
1’ 'unione in una sola carne* diviene il tema principale, uni
co, dell’immagine.
A ll’estrema sinistra del pannello, nell’angolo, troviamo
un gruppo di sei persone: il primo giovane a sinistra porta
con entrambe le mani un oggetto dalla forma di pera. Si
direbbe un uovo enorme racchiuso in una capsula vegetale,
evidente simbolo dei testicoli, elevato al piano spirituale
attraverso le ricche decorazioni della capsula, ornata di tri
foglio, che rappresentava il simbolo tradizionale della Tri
nità. Il calice di questa pera è anch’esso formato da tre
foglie. La potenza trattenuta dal sigillo divino si libera
nell’uccello a cui il giovane in primo piano restituisce la
libertà, levando entusiasticamente la mano destra al cielo.
Tutto il gruppo esprime l ’esaltazione delle forze della pro
creazione, considerata non come un processo sensuale e na
turale, ma come un mistero sovrasensibile, che si venera
in quanto ‘energia divina'. Tutta la scena si svolge in pre
senza di una creatura nubiana, « nigra..., sed formosa »,
come la fidanzata nera del Cantico dei Cantici (i, 4). Questi
nubiani, che appaiono a più riprese nell’immagine, sim
boleggiano l ’innocenza dei Tropici, ove regnano ancora le
condizioni originarie, paradisiache.
Proprio sopra questo gruppo fiorisce una pianta molto
curiosa: ananas nella parte inferiore, essa termina con
una sfera la cui trasparenza e immaterialità ricordano il
globo aereo del soffione. In questa 'lampada' siede una
coppia di amanti. Snelli e flessuosi, essi hanno l ’aspetto di
geni floreali sul punto di unirsi, innocentemente. La loro
dimora nuziale è l’esatta riproduzione del maestoso globo
di cristallo, dipinto sui pannelli esterni, raffigurante la terra
che si risveglia alla propria fertilità. L ’universo intero è
sbocciato dal Logos che è il 'seme di D io’ — « semen est
verbum dei » (Luca vm, n) - e questo fiorire si ripete ora al
livello umano individuale. In questo globo seminale è l’atto
divino della Creazione che si rinnova.
Questa giovane coppia corona le metamorfosi che le crea
ture emerse dalle acque-madri hanno iniziato nel pannello
dell’Eden. Abbiamo già visto che le creature dello stagno
originale si erano elevate, nella loro metamorfosi, sino al-
l ’uccello-pesce che legge il libro, che tende, cioè, allo Spirito.
Esse raggiungono ora il punto più alto dello sviluppo uma
no, che si esprime nella procreazione terrestre. Questi esseri
appaiono tuttavia a tal punto sublimati, che la loro corpo
reità diviene la garanzia d ’uno sviluppo ancor più elevato:
il loro amore raggiunge la spiritualità pura. Nel regno astra
le dell” evangelium aeternum' la humanitas trasfigurata di
viene divinitas, puro spirito.
Bosch ha chiaramente sottolineato il superiore destino
dei due amanti dipingendoli nell’atteggiamento innocente
di Adamo. (Già una prima volta egli aveva utilizzato questa
attitudine, in un contesto ugualmente importante: ci rife
136
riamo, come si ricorderà, a Èva caduta nella trappola della
Vanità, nel pannello dell’Inferno). Inoltre, affinché l ’impor
tanza di questa scena sia meglio evidenziata, egli l ’ha situata
esattamente alla stessa altezza della testa del Cristo nel pan
nello dell’Eden.
È dall’Eden, infine, che arriva nel Regno millenario la
processione degli uccelli giganti: da sinistra a destra, un’ana
tra selvatica, un gabbiano, un’oca, un’upupa, due picchi e,
dinanzi a tutti, un frosone. Le loro dimensioni gigantesche
denunciano in loro delle ‘potenze’. La loro nascita dall’uovo
‘puro’, sacra cellula creatrice, e la facoltà di volare, che
supera la libertà umana di movimento, conferisce loro que
sto status privilegiato. Essi sono infatti i portatori della
vita, ed è in loro che si rivela più profondamente il mistero
della volontà divina di Creazione.
Questa processione festosa suggerisce il tema popola
resco delle 'nozze degli uccelli’. Questo clima di gioiosa
impazienza è ribadito anche dalla coppia che si trova da
vanti al corteo e ne costituisce il proseguimento ideale. La
loro impetuosità contrasta violentemente con la tenerezza
attenta e raffinata degli amanti raffigurati nella metà destra
dell’immagine. Il tempo dei preliminari è scaduto, si di
rebbe, ed è aperta la strada allo scatenamento della sensua
lità. Notiamo tuttavia che il giovane, nonostante l ’ardore
della sua corte focosa, obbedisce a un appello morale: egli
volta la testa a destra verso lo spettatore, come se egli
sentisse un ‘richiamo’ proveniente dall’esterno. Questo at
teggiamento ha un altissimo significato morale: lo spetta
tore, qui, si identifica infatti con la congregazione del Libero
Spirito raccolta attorno al pannello didattico, e il volto
franco del giovane manifesta la purezza della sua coscienza.
Il giovane discepolo si sente sotto la sorveglianza perma
nente di un occhio superiore; cosciente delle proprie re
sponsabilità anche sotto la spinta dei desideri più impetuosi,
egli vuole rassicurarsi sul beneplacito morale della comuni
tà. Questa scena, a prima vista libertina, si rivela così come
il diapason dell’alta coscienza morale del Libero Spirito.
Per maggiore chiarezza abbiamo analizzato separatamen
te i diversi motivi sviluppati nei pannelli laterali e messo
in evidenza le idee essenziali del pannello centrale. L ’azione
157
è in realtà molto più diffusa, labirintica e complessa. Rinun
ciando a ogni tensione drammatica calcolata, a ogni dire
zione troppo precisa, evitando di dare all’azione inizio e
fine univoci, Bosch ha reso inafferrabili la trama e la con
catenazione del suo tessuto di immagini. Quale bisogno
avrebbe avuto, peraltro, di tensione drammatica, di un
inizio e di una fine, dal momento che nel Regno millenario
il fine è raggiunto, la tensione drammatica risolta, inizio e
fine assorbiti nell’eternità, e l ’essere individuale riunificato
nell’unicità universale e incandescente dell’amore divino?
Poco importa dunque da dove noi iniziamo la nostra ana
lisi: ogni dettaglio coincide con il tutto, e il tutto è una sola
ed unica cosa: amore sublime e supremo.
159
vetta, ai quali si unisce il pesce dai fianchi gonfi di uova,
uscito dall’elemento creatore umido, il mare. Ma, soprat
tutto, è là che si trasporta, sotto un velo rituale, il Santis
simo del mistero erotico. Tra il grifone e il leone si avanza
un destriero color neve, montato dall’unica coppia dell’in
tera processione: un adolescente e una giovane, seduta da
vanti a lui. Essi hanno il busto e la testa prigionieri di una
gualdrappa vegetale, le loro mani unite impugnano il verde
ramo della verga della vita.
Essi non devono essere visti, né sospettare di trovarsi
nel mezzo di una processione numerosa. Tutti gli amanti
immaginano che la loro felicità sia un’esperienza unica, che
esce dall’ordinario; questi giovani sposi, iniziati al Mistero
della coppia originaria, nell’istante del loro primo abbrac
cio devono considerarsi come le prime creature umane, a
partire dalle quali un nuovo mondo comincia. Questo non
è possibile se non quando il mondo esterno è ‘abolito’. In
quest’ora nuziale è necessario raggiungere, e conservare an
che in futuro, l ’equilibrio tra ‘ la felicità dei sensi e la pace
deH’anima', preservando l’integrità e l ’innocenza dell’amo
re anche nella sfera del godimento sensuale più intenso.
Il supremo dominio della vita, il coronamento della Crea
zione è rappresentato dall’uovo immacolato che un giovane,
nel mezzo di questa processione trionfale ed esuberante,
porta posato sulla testa in un equilibrio perfetto.
Per evidenziare particolarmente questo gruppo, ove tutta
la profonda saggezza esistenziale dell’opera è condensata,
colui che guida la processione in groppa a un liocorno fan
tasticamente ingualdrappato, indica con un gesto ampio e
preciso l’uccello della Sophia, appollaiato sul corno della
sua casta cavalcatura. Bosch proclama così con forza che
solo la più profonda calma interiore, solo la riflessione sono
in grado di mantenere la rotta della nave della vita nella
tempesta delle passioni.
Bosch era, nel senso profondo del termine, un pittore,
un maestro dell’esposizione didattica delle idee. Lo dimostra
l ’ingegnosità con cui egli ha preparato questa scena e la
conduce al suo punto culminante. Tre motivi indicano allo
spettatore l ’imminenza della rivelazione del mistero, e la
preparano. L ’impressionante cinghiale, che apre la marcia
160
della processione, si volta e guarda all’indietro. La sua testa
è come una freccia puntata sul motivo centrale. Sul dorso
del cinghiale sono appollaiate due cicogne, e il loro chiac
chierio, suggerito pittoricamente dal becco agitato, deve
stimolare la curiosità dello spettatore. Infine, dietro il cin
ghiale, avanza una pantera dagli occhi fissi e minacciosi,
innaturalmente grandi. Bosch ha adornato la sua testa con
un cappuccio per metà abbassato, che rinforza la sensazione
di una rivelazione imminente. Se il capo della processione
indica con il braccio la civetta, l ’adolescente a cavallo della
pantera si getta voluttuosamente all’indietro e forma con
la coda ritta della pantera un’altra freccia puntata in dire
zione dei simboli centrali del pesce gigante e dell’uovo im
macolato. Dopo aver così sapientemente eccitato l ’atten
zione e l’impazienza dello spettatore, Bosch svela allora al
suo sguardo il sacramento del matrimonio, doppiamente
sacro e misterioso giacché la sua rivelazione resta velata
dalla gualdrappa vegetale.
i>
erotico-mitologiche: le loro teste o le loro spalle sono or
nate dalla falce di luna di Astarte e dal pavone di Giunone;
esse sono ripartite in 'bianche' e ‘nere’. Simboli orfici, la
falce di luna e il pavone significano che il destino, felice o
infausto, della donna risiede nell’amore. La falce di luna
simbolizza le nascite, sottomesse alla caducità. Il pavone,
simbolo d’immortalità, è invece l ’immagine della vita terre
stre in tutta la sua gloria e in tutta la sua inesauribile molte
plicità, che incessantemente si dispiega in un gioco infinito
di colori.
Questo tema del ciclo eterno della vita terrestre, già pro
posto da Bosch nei Sermoni della montagna e nell’allegoria
della macina situata sullo sfondo dell’Eden, si dispiega
nella ‘cavalcata trionfale' in un vasto coro polifonico; il
cerchio ristretto della passività lunare è inscritto nel cer
chio potente e trionfale dell’attività solare e, nonostante la
sua soggezione alla morte, esso è fecondato da un eterno
rinnovamento.
Abbiamo qui un’idea pittorica di un’audacia e di un’am
piezza rivoluzionarie. A ll’epoca, essa cadde nel vuoto o
incontrò la repressione dispotica della Chiesa ufficiale che
la seppellì sotto la cenere dei roghi. Tale è l ’ardimento delle
concezioni libero-spirituali che se le pale laterali fossero
state sciaguratamente distrutte, non avremmo mai potuto
sospettare che il pannello centrale facesse parte di un di
pinto cristiano. Con una tensione fantastica e una profon
dità che non incontriamo in alcuna delle opere d’arte della
Rinascenza mediterranea, questo pannello fonde, con una
sistematicità di pensiero che ricorda i neoplatonici fioren
tini, l’eredità orfico-pitagorica dell’antica filosofia della Na
tura e i valori tradizionali del dogma cristiano, realizzando
una sintesi originalissima.
In un’autentica ebbrezza dionisiaca, questo culto estatico
della creatura, della Creazione, si distacca dalla morale
ascetica della Chiesa, estremamente intellettuale e ostile al
corpo. Nel suo entusiasmo, tuttavia, questo culto conserva
un incrollabile senso della misura e della calma spirituale,
che distingue radicalmente il nostro dipinto dalla dismi
sura grottesca e anarchica di un Rabelais. Per esprimere
tutto in una metafora: il disco lanciato dalla mano ‘co
162
smica’ della filosofia ellenica della Natura ha attraversato i
secoli; un pittore l ’ha raccolto a Hertogenbosch e ha tra
sformato Yorbis in uno specchio tardo-gotico dove si riflet
tono e si uniscono due universi filosofici distinti: l ’uno
antico, della gioia del corpo, l ’altro cristiano, del battesimo
dello Spirito. Quale non sarebbe stato il destino spirituale
dell’Occidente, se la ‘riforma delle membra e della testa’
intrapresa dal paolinismo di Wittemberg, dalla teocrazia
calvinista o dalla restaurazione tridentina, l ’avesse condotta
il Libero Spirito! Tuttavia, anche se sotterrato dalla Chiesa,
questo disco non è stato distrutto; esso è sopravvissuto ai
secoli e un giovane romantico giovanneo, Novalis, l’ha rac
colto. Nella sua magica mano esso si è trasformato, purifi
cato in una patena cristallina ove si realizza quella transu
stanziazione per la quale il poeta forgiò il motto « Sophia e
Cristo ».
167
una potente orizzontale separata in effetti il terzo supe
riore del pannello dal resto della composizione. In questo
regno superiore la fiamma della vita, morta per un istante,
arde di nuovo: essa si è riunificata alle sostanze originarie,
si è fusa con i quattro elementi. Si assiste, in queste con
trade celesti, a commossi incontri, come quello tra il cava
liere-delfino e la naiade. L ’unione si realizza tra tutte le
creature; le generazioni passate si allacciano per formare
corone e ghirlande di eterna simpatia.
I quattro elementi sono il crogiuolo della rinascita. L ’ac
qua è rappresentata dal delfino; la terra da un simbolo che
appare un po’ dovunque nel pannello, la fragola.20 La fra
gola, com’è noto, fa parte della famiglia delle rose e appar
tiene dunque al giardino di Afrodite. Con il suo dolce colo
re rosso fiamma e con la sua forma sferica disseminata di
innumerevoli grani di semenza, questo frutto esprime tutta
la dolcezza odorosa e afrodisiaca della primavera, è l’im
magine stessa della voluttà terrestre. In alto, a sinistra,
un’intera congregazione è riunita attorno a una fragola gi
gante per adorarla, mentre altri gruppi simili si radunano
attorno a fiori schiusi, a una beccaccia o alla crisalide di
una farfalla.
L ’elemento aereo è raffigurato da un grande uovo di uc
cello, rotto e posto ai bordi dell’acqua. Contrariamente
all’uovo scoppiato della 'roccia degli uccelli’, che serviva da
tomba agli uccelli anziani divenuti troppo deboli per volare,
quest’uovo simboleggia l ’origine della vita e il suo svi
luppo. I suoi bordi sono spezzati in maniera tale che essi
potrebbero nuovamente incastrarsi, richiudersi come i pe
tali di un fiore sbocciato. Una moltitudine di uomini esce
dal lago, dove sono appena rinati alla vita dopo un bagno
purificatore. Con ardore gioioso essi rientrano nell’uovo
di Leda, loro condizione originaria. Questa scena illustra
le credenze pitagoriche dell’autoringiovanimento, della me
tempsicosi: accesso progressivo dell’anima ad esistenze
superiori.
Queste anime defunte, abbandonate « nel silenzioso re
gno delle potenze segrete... alla voluttà dei giochi enig
168
matici », vegliano amorosamente sulla sopravvivenza ele
mentare del mondo. Novalis, in profonda armonia con le
idee di Bosch, ha espresso tutto ciò nel suo Canto dei Morti,
con una straordinaria penetrazione di questi misteri primari:
Solo l ’amore ci ha dato la vita;
come l ’intimità degli elementi
uniamo i flutti dell’essere,
il fervido cuore col cuore.
Con voluttà i flutti ci dividono,
perché la lotta degli elementi
è la vita suprema dell’amore,
il cuore stesso del cuore.
[...]
E in questo flusso
segretamente
ci tuffiamo nell’oceano della vita,
in Dio.
E dal suo cuore, in una risacca,
torniamo al nostro ciclo
e lo spirito del sommo bene
s’immerge nel nostro gorgo.
La provincia pedagogica.
171
1’*uccello che dà e prende la vita’, raffigurato dall’ibis tri
cefalo ai piedi del Cristo.
Questi simboli esprimono innanzitutto l ’assurdità del vo
ler fuggire e nascondersi, quando il destino naturale della
creatura è chiaramente rivelato; in secondo luogo la fal
sità, la perversità dello stesso atteggiamento del fuggitivo
che si rifiuta di riconoscere l ’istituto fondamentale della
Natura, manifestato con una gioia così ingenua intorno a
lui. Il suo rifiuto e il suo vizio sono spiegati dalla paura di
vedere la propria progenitura cadere preda della morte,
sotto la forma dell’uccello strangolatore. Impietrito nella
sua paura e nel suo pudore egocentrici, egli resta insensibile
agli esempi incoraggianti delle coppie amorose che, attorno
a lui, ignorano l’imbarazzo. Egli vuole soprattutto disto
gliere lo sguardo dalla coppia alla sua destra, che fluttua
sull’acqua in una navicella a forma di arancia.
Questi due motivi - l 'Ypsilon e l ’arancia - sono stret
tamente connessi: i loro viticci disegnano gli stessi ara
beschi, e ritroviamo l ’airone nell’uno come nell’altro. La
coppia di amanti, il buon esempio, ha preso dimora al
l ’interno del frutto; essa si lascia tranquillamente portare
dalle leggi eterne della Natura. Il solitario, cattivo esem
pio, nega la sua fecondità come qualcosa di pericoloso
che gli sarebbe estraneo. Mentre si consuma in una misan
tropia sterile, lì accanto regna l ’amore, virtù e dono ine
stimabile. Posta a metà tra i due motivi, la mora gigante
che nutre da sola una dozzina di affamati è il simbolo della
profusione dell’amore. È qui ripreso il motivo dell’uccello
di morte, cui la mora fa subire una trasformazione posi
tiva. In effetti, secondo la spiegazione di J J . Bachofen,21 la
mora è un simbolo orfico di immortalità: nel corso della
sua maturazione, essa manifesta l’unione degli estremi, il
supremo equilibrio metafisico. Il bianco vitreo iniziale del
frutto e il nero profondo del suo stadio finale trovano il
loro equilibrio nel rosso intermedio.
172
In due punti significativi del pannello ritroviamo alcune
varianti deH’esempio-awertimento. Vicino alla frontiera
che conduce all’Inferno, proprio sotto la coppia ossessio
nata dalla morte, che si rifiuta di procreare, un giovane
solitario sta nutrendo il suo uccello. Il terzo solitario del
pannello, secondo ogni apparenza, è sulla via del migliora
mento. Sprofondato anch’egli nell’acquitrino, è prigioniero
di una campana che ostacola i suoi movimenti e lo tra
scina verso il basso. Tuttavia, con gli occhi fissi sulla felice
coppia di amanti che precede la processione degli uccelli,
cerca di infrangere la sua prigionia, e il suo atteggiamento
sembra quello di chi chiede aiuto. In contrasto con questi
personaggi compromessi da una passione sterile, un ragaz
zo, vicino alla frontiera dell’Eden, si è affidato alla civetta
esprimendo così chiaramente il suo abbandono alla sag
gezza secolare della Natura, come i suoi compagni sprofon
dati spensieratamente tra le piume degli uccelli istruttori.
Il secondo attacco essenziale di Bosch si rivolge contro
l’inibizione di cui sono vittima quegli esseri che hanno un
concetto esagerato di purezza. Inorriditi dalle funzioni inte
stinali, la digestione e l ’escrezione, essi peccano di una
scrupolosità che può condurre agli eccessi del disprezzo di
sé, o ad una misantropia generalizzata. Nel Medioevo tutta
una letteratura era nata da questo 'contemptus mundi';
Huizinga, con l’aiuto di esempi brillantemente scelti, lo de
finisce « l’aspetto più lamentevole dell’etica medievale ».
L ’opera avviata da Bosch con lo scopo di risanare questo
vero inferno di fango dell’ascetismo fanatico, era altamente
giustificata. In questa ingrata letteratura, l’orrore delle fun
zioni naturali del corpo dava luogo a tutti gli eccessi d ’un
disprezzo odioso del mondo. Citiamo, ad esempio, un
estratto delle Collazioni di Odo di Cluny:
« La bellezza del corpo risiede soltanto sulla superficie
della pelle. Giacché se gli uomini vedessero ciò che si
nasconde sotto la pelle, se essi potessero vedere, come le
linci beote del proverbio, ciò che vi è all’interno, avrebbero
nausea alla vista di una donna. Questa grazia è composta
di muco e di sangue, di umore e di bile. Se si guardasse ciò
che celano le narici, la gola e il ventre, si troverebbe sem
pre dell’immondizia! E se noi siamo nauseati all’idea di
173
sfiorare, anche con la punta delle dita, un catarro o degli
escrementi, come potremmo desiderare di abbracciare que
sto sacco di lordura? ».a
Di fronte a simili follie, il quadro di Bosch si erge come
testimonianza della ragione e della scienza. Nelle funzioni
corporali, nella defecazione, Bosch, come più tardi Para
celso, venera l ’opera dell’ ‘alchimista interiore’. In primo
piano, a destra, vediamo due personaggi, uno dei quali è
inginocchiato e coglie dei fiori che escono dall’ano del suo
compagno accovacciato, mentre gli colpisce le natiche con
un ramo fiorito. Motivo assai crudo, si dirà, o per lo meno
ingenuo. Male interpretato, esso lascerebbe credere che il
Libero Spirito, nella sua profonda amoralità, avesse am
messo la praticabilità di tutte le zone erogene del corpo.
Ma se si guarda questa scena con gli stessi occhi di Bosch,
vale a dire con innocenza e serietà, non si può restare insen
sibili al suo significato profondo.
Questa scena è situata in un punto essenziale del pan
nello, tra il portale paradisiaco che conduce alla vera li
bertà e un obelisco, somma di simboli sessuali fondamen
tali. L ’obelisco è, in effetti, formato da due uova poste in
equilibrio su una conchiglia, adagiata su di un grande
cilindro di marmo. Le venature della pietra mostrano che
questo blocco trabocca di vita e di sangue; è inoltre ornato
di sempreverde, il che indica che si tratta di un oggetto di
culto e di adorazione. Nel Paradiso dei cristiani libero
spirituali si erge un fallo coronato di ghirlande: quale in
nocenza, quale sonnambolica sicurezza è stata necessaria per
operare questa sintesi tra la santificazione rituale del ma
trimonio e i culti dell’antichità!
Questo monumento è eretto, per riprendere i termini di
Rabelais, in onore del « grande operaio della natura »; esso
è là affinché gli abitanti del Paradiso si abituino a vedere
senza arrossire la sua erezione, che rammenta loro "la vene
rabile origine e i doveri del loro destino terrestre. Se questo
monumento avesse un’iscrizione, non sarebbe la formula,
malgrado tutto negativa, « naturalia non sunt turpia », ma
la sua versione positiva, « sacra sunt naturalia ». Questo per
174
liberare la coscienza umana dalla sua inibizione più pesante,
il falso pudore e la paura che ne deriva, ed esaltare invece
la « roccia che ti ha fatto nascere » (D euteronom io x x x n , 18)
e farne un oggetto di venerazione.
Per ingentilire con fascino e persuasione questa idea pe
dagogica centrale, Bosch vi ha posto a lato un’immagine
amorosa d ’una freschezza e d ’una delicatezza squisitamente
primaverili. Notiamo, nella stessa posizione di Adamo nel
l ’Eden, una giovane seduta per terra, con il viso coperto
dalla campanula trasparente di un convolvolo: immagine
dell’innocenza adamitica da poco rinata. Essa non conosce
ancora la vergogna e la ignorerà sempre, giacché il suo fi
danzato si china su di lei con un movimento di tenerezza
ineffabile e posa la mano sulla sua spalla con delicata atten
zione. In questo primo contatto i loro due corpi sembrano
risuonare melodiosamente come due coppe di cristallo.
Questa scena di nobile vicinanza imprime profondità e
serietà alle crude immagini circostanti. Questa solennità
redime la grossolanità delle funzioni della digestione. « Per
il puro, tutto è puro » o, per tradurre in parole il mazzo di
fiori: agli occhi di colui che possiede il ramo dell’innocenza,
anche il bizzarro e il grossolano acquistano l ’innocenza e
l ’evidenza della natura vegetale.
Ars amandi.
175
gazza procrastina l ’istante del bacio finale. Tutto ciò sug
gerisce l ’idea di un erotismo raffinato, basato sulla pazienza
e sull’attesa.
G li amanti conservano una certa distanza, una riserva
evidente. L ’uomo resta ancora 'esterno': il mondo interno
della sua fidanzata, raffigurato dalla zucca rotonda, gli è
precluso. Nella scena seguente, al contrario, gli amanti sono
entrambi inclusi nel campo magnetico del ‘globo seminale’.
Per queste due scene Bosch utilizza dei simboli di straordi
naria profondità psicanalitica.
La zucca, nella sua parte inferiore, è attraversata da un
tubo di cristallo accuratamente sigillato, in cui scintillano,
una volta di più, alcune perle di semenza. Un tubo di vetro
attraversa allo stesso modo l ’ananas; e in entrambi i casi
un animale striscia nel tubo. N ell’ananas s’intrufola un sor
cio, nella zucca un serpente. Si sa che questi due animali
sono correntemente interpretati come simboli fallici. Inol
tre, in entrambi i casi, un uomo sorveglia attentamente l ’in
trusione dell’animale, e il suo viso è il medesimo: grave,
con tratti acuti. Questo viso emaciato, attempato, non ci è
sconosciuto, avendolo già incontrato due volte nel pan
nello: è quello dell’uomo che porta verso l ’acquitrino la
conchiglia nuziale, affinché venga fecondata; ed è anche
quello del maestro che prende congedo dai due neofiti alla
porta del recinto.
Questo maestro, incaricato dell’educazione morale dei
novizi dopo il loro ingresso nel Paradiso, acquista, negli
ultimi stadi, la funzione del testimone. Egli deve assicurarsi
che la procreazione avvenga con la stessa purezza che regna
nell’Eden. Sorveglia l ’entrata degli animali simbolici, è
l ’ 'inoculator', il testimone oculare. Ma non dimentichiamo
che questa parola latina ha un secondo significato, che è pas
sato nel linguaggio dei giardinieri: 1’ ‘inoculator’ è anche l ’in-
nestatore, colui che innesta giovani piante su rami vecchi
e assicura così la sopravvivenza e il miglioramento del frut
teto. Questa duplice funzione trasforma il maestro in una
allegoria dell’eugenetica: egli incarna il controllo esercitato
dalla coscienza morale, che sorveglia con occhio vigile il pro
cesso della procreazione in ciascun accoppiamento.
La terza scena infine ci mostra gli amanti divenuti una
176
sola carne. Il prodotto più prezioso del mare, la conchiglia,
serve loro da camera nuziale. Nel Medioevo la conchiglia
era un simbolo mariano, perché si credeva che la perla ve
nisse concepita senza fecondazione fisica: pura emanazione
della rugiada celeste. Bosch la utilizza qui come simbolo
di generazione e di concepimento puramente spirituali. Re
miniscenza dei primi tempi del cristianesimo, la conchi
glia riappare in Melchior Hoffmann, il famoso anabattista
(m. 1 5 4 4 ), come simbolo dell’immacolata concezione di
Cristo.
Tutti questi motivi definiscono una vera e propria alchi
mia dell’amore , particolarmente avvertibile nella coppia di
amanti all’interno del globo seminale. La bolla del soffione,
insieme di innumerevoli grani, forma una palla eterea pron
ta ad alzarsi in volo al minimo soffio di vento, e somiglia
a un’ampolla alchemica. Nel linguaggio esoterico dell’al
chimia, gli utensili di distillazione e di sublimazione sono
chiamati ‘camere nuziali’, e ciò che si cerca di ottenere in
queste camere nuziali sono degli 'homunculi aurei’, dei
‘gigli bianchi’ e delle ‘rose rosse’.
Là, pretendente audace, un Leone Rosso
egli sposava al Giglio in un tiepido bagno.
E a fuoco vivo tutti e due
li tormentava da un talamo all’altro.23
Questi processi di purificazione che si svolgono nelle
ampolle, espressi eroticamente già nel linguaggio tecnico
dell’alchimia, sono rappresentati letteralmente da Bosch.
Il ‘fuoco di fiamma’ che dematerializza, questo « bagno di
spine e di cardi », come lo chiama Jakob Böhme, è qui
rappresentato dal fiammeggiare delle foglie dischiuse del
l’ananas e dal suo fiore, che sembra un’esplosione di scin
tille. Questa esuberanza, immagine dello scatenamento
delle pulsioni sensuali della Natura, appare padroneggiata
nella corolla del fiore, composta di piccole foglie a forma di
cuore. Prima che una concezione più elevata dell’amore
abbia purificato e domato la vita istintiva dei sensi, questi
non possono penetrare nella ‘camera nuziale’ . I due giovani
177
I?
racchiusi nel globo seminale con tanta innocenza, come se
fossero nel grembo materno o in una parte del proprio
corpo, vivono in realtà un amore di natura diversa. La sen
sualità si è trasformata in pura tenerezza, e la procreazione
stessa si compie in quello stato di sogno premonitore, di
cui Platone dice che « rivela il proprio volere attraverso
segni ed enigmi ».
Esprimendo questo in linguaggio alchemico: nelPampolla
si compie il matrimonio dei due principi supremi dell ’arte
aurea, l’unione tra la semenza d ’oro del leone rosso e quel
l’elisir di vita chiamato abitualmente ‘giglio bianco' o ‘gio
vane regina'. Quando si realizza l ’unione tra mercurio e
zolfo, che riesce ai grandi maestri solo in coincidenza di
congiungimenti astrali eccezionali, allora la maledizione ere
ditaria della separazione cosmica che opprime l ’uomo dopo
la Caduta, scompare. Corpo e anima, materia e spirito,
universo e Dio, divengono nuovamente uno, e l ’uomo per
fetto che « deifica il corpo e incarna Dio » nasce ancora
una volta.
La coppia nuziale all’interno del globo è sul punto di
procreare questo essere perfetto. I segni criptici platonici
del loro tenero desiderio, taciuti dal dipinto, sono stati tra
dotti in parole un secolo più tardi da un grande sapiente.
Bosch, questo mago dei Paesi Bassi, ha espresso nella sua
pianta miracolosa ciò che, nella stessa epoca, il grande
maestro di Venezia, Tiziano, fissava in una tela maestosa, e
che Jakob Böhme incideva con delicatezza eterea sulla sua
sfera di ciabattino: l ’immagine eterna dell’amor sacro e
delPamor profano.
La concordanza speculare tra la scena di Bosch e le parole
di Böhme si spiega con la corrente ininterrotta che conduce
il pensiero libero-spirituale fino a Böhme, il quale può cosi
raccogliere quello che le generazioni precedenti avevano
seminato. In entrambi i casi assistiamo al dialogo di una
coppia ideale di amanti, dialogo che si svolge, in Böhme
come in Bosch, all’interno di un microcosmo: in Bosch,
nelPampolla cosmica; in Böhme, nel 'piccolo mondo’ incar
nato, vale a dire all'interno di Adamo. La sua unità andro
gina si scinde in due, nelle voci di un adolescente luciferino
e di una vergine della Sophia. Il principio maschile è rappre
178
sentato dalP'animale’. Il topo nero di Bosch è divenuto,
in Bòhme, il 'verme oscuro’. Il principio femminile, in en
trambi i casi, è visto sotto forma vegetale, come un ‘giglio
bianco’. Infine, sia in Bòhme sia in Bosch l ’amore è il
'Paradiso' dove, in una vana fiamma di passione, il desiderio
sensuale tenta di accendere la vergine trascendente. Ma
come in Bosch il « bagno di spine e di cardi » dell’amor
profano, breve ed effimero fiammeggiare, si placa nel sereno
equilibrio del globo, così in Bòhme fa nascere dall’ ‘ani
male’ ormai dominato un fiore puro.
Ecco qualche brano memorabile di Bòhme, tratto dal
capitolo « Due potenze », ripreso dal libro Dei tre Principi
dell’Essenza divina (1618-1619). Questi brevi estratti sa
ranno sufficienti a togliere il velo di mistero che ricopre
P'amore angelico’ :
« Dio aveva creato la sua opera saggia e buona, e tratto
le cose le une dalle altre: il fondamento primo era LU I,
e da questo LU I egli aveva creato questo mondo, e da
questo mondo l ’uomo. Egli gli ha donato il Suo Spirito e gli
ha comandato di vivere in esso senza mai dubitarne né di
avere altra volontà, in maniera assolutamente perfetta.
Ma l ’uomo aveva anche lo spirito del mondo, giacché
proveniva dal mondo e viveva nel mondo. Vi era così in
Adamo una casta vergine-, [...] lo spirito immessovi da Dio,
e un adolescente, lo spirito ereditato dal mondo. Costoro
erano allora uno accanto all’altra e riposavano in un unico
abbraccio.
Ora la casta vergine doveva risiedere nel cuore di Dio
[...] e non provare alcuna concupiscenza per la bellezza
del grazioso adolescente. Ma l ’adolescente era infiammato
dalla vergine, e desiderava unirsi a lei. Egli disse: Tu sei
la mia amata sposa, il mio Paradiso e il mio rosario, la
sciami dunque penetrare nel tuo Paradiso, [...] lasciami
dunque gioire della tua grazia, del tuo amore. Quanto ame
rei godere della dolcezza della tua forza! Se soltanto potessi
raccogliere la tua bella luce, che gioia sarebbe per me.
E la casta vergine disse: Tu sei certo mio sposo e mio
compagno, ma tu non hai il mio gioiello. La mia perla è
più preziosa di te. La mia forza è indistruttibile e il mio
animo sempre costante. Invece il tuo animo è incostante e
179
la tua forza fragile. Alloggia nei miei cortili e io ti guarderò
graziosamente e ti farò del bene. Ma non ti donerò la mia
perla [...] Giacché tu sei oscuro ed essa è luminosa e
bella [...]
E il compagno [...] disse: Io non ti lascerò. Se tu non
vuoi che mi unisca a te, farò uso della mia potenza, la più
intima e forte, e userò di te a mio piacimento [...] Io vo
glio vestirti della potenza del sole, delle stelle e degli ele
menti, nessuno allora ti conoscerà. Tu devi essere mia e
per sempre. E sebbene io sia incostante come tu dici, e la
mia forza non sia come la tua, voglio conservarti quale mio
tesoro e devi essere in mio possesso [...]
Allora la vergine disse: Perché usare la violenza? Non
sono io il tuo ornamento e la tua corona [...] e tu non sei
oscuro? Vedi, se mi ricopri non avrai più luce e sarai un
verme oscuro. Come posso abitare con te? [...] Se tu oscu
ri la mia luce e insudici le mie vesti, allora non hai più
bellezza né puoi sussistere. Il tuo verme ti dilania e io
perdo il compagno che mi ero scelto per sposo, con il quale
volevo avere la mia gioia [...] Resta dunque nel mio orna
mento e nella mia virtù e abita presso di me in gioia e io ti
abbellirò eternamente.
E l’adolescente disse: Il tuo gioiello mi appartiene co
munque e userò di te a mio piacimento. Sebbene tu dica
che mi distruggerò, il mio verme è eterno e attraverso di lui
voglio regnare. Ma in te io voglio abitare e travestirti con
i miei abiti [...]
Ma la mia saggia vergine disse: Tu sei il diletto sposo
che ho scelto: vieni con me, io non sono di questo mondo,
ma voglio condurti fuori da questo mondo, nel mio regno;
là non vi è che riposo e benessere. Perché tu onori la vita
fragile? Tu devi entrare in una vita che è indistruttibile ed
eterna.
Ma ho un piccolo rimprovero da farti! Io ti ho salvato
dal bagno di spine, quando tu eri un animale selvaggio e ti
ho dato allora la mia immagine. Ora il tuo animale selvaggio
è immerso in un bagno di spine, e io non posso prenderlo
in seno [...] Liberati del tuo animale selvaggio come un
fiore che sboccia dalla terra. Ascolta, mio animale: io sono
più grande di te, e quando venne il tuo turno di esistere, io
180
fui il tuo artefice. Le mie essenze provengono dalla radice
dell’Eternità. Ma tu appartieni a questo mondo e sei desti
nato a perire. Io vivo eternamente. È per questo che sono
molto più nobile di te. Le mie opere si ergono nella forza,
le tue restano nella forma. Io non ti prenderò più come
animale. Io rifiuto i tuoi quattro elementi, perché la morte
t’inghiotte. Ma io, col mio nuovo corpo, scaturisco da te
come un fiore dalla sua radice ».
Ogniqualvolta troviamo nella pala un personaggio con
lo sguardo rivolto verso l ’osservatore, che si distacca da quei
gruppi estasiati e persi in se stessi, dobbiamo interpretarlo
come un richiamo pedagogico. Il più sorprendente di questi
personaggi è la donna in primo piano, a destra, che ci fissa
con un’espressione profonda e meditativa. Ella è seduta
vicino a un grande fiore capovolto da cui stilla una pioggia
di perle di semenza. In questa pioggia, che un giovane
uomo chinato sul fiore osserva con devozione, ella ha scelto
una perla, una sola. La tiene nella mano sinistra alzata e
la mostra all’osservatore con una espressione piena di sot
tintesi, come se volesse mostrargli T'unum necessarium’
dell’eugenetica adamitica. Abbiamo visto che, secondo que
sta dottrina, la quintessenza dell’energia vitale - proprio
come il cibo e le bevande - cela un mistero ad un tempo
naturale e divino; essa non deve semplicemente servire alla
procreazione o alla soddisfazione di bisogni fisici: nell’atto
d ’amore fisico bisogna intendere una 'comunione sacra’ con
le forze creative celesti e terrestri.
Questo motivo pittorico conferma definitivamente la no
stra ipotesi: occorre attribuire un significato trascendente
alla frase di sorella Serafina^ « ille enim actus est pure na-
turalis, sicut comedere et bibere ». Affinché non sia possi
bile dubitarne ragionevolmente, Bosch ha posto, a fianco
dell’adolescente stupito del ‘ miracolo delle perle’, un se
conde adolescente, inginocchiato esattamente nella stessa
posizione e intento a mordere con venerazione una fragola
gigante. Questo adoratore, la cui testa è coronata dal segno
supremo d ’iniziazione - un fantastico casco di petali di
fiori, sormontato da due frutti accoppiati —, sembra, novello
Anteo, voler abbracciare e divorare in questo frutto colos
sale l ’intero globo terrestre. A sinistra, sempre in primo
181
piano, parallelamente a questa scena, una ragazza disseta
il suo amato con un otre 'floreale': l ’azione, rappresentata
di profilo, ha la solennità dell’atto rituale.
Sembra essersi operata una vera e propria simbiosi fra
questi adamiti e le diverse piante, sino al punto che po
tremmo parlare di un’umanità vegetale, riflesso, senza dub
bio, dell’ideale educativo libero-spirituale che si fonda sulla
santificazione dell’origine della vita e tende a ritrovare
l’innocenza sessuale dei vegetali. Esso favorisce un tipo
umano più prossimo alla passività vegetale che all’attività
animale: contemplativo, più che attivo.
Tra i soggetti della 'provincia pedagogica’ la specie pre
vale sull’individualità. Queste creature bionde, di ambo i
sessi, si rassomigliano tutte sino a confondersi: e i loro at
teggiamenti sono anonimi e impersonali. Insieme, formano
una sola famiglia, che suggerisce l ’immagine di una famiglia
vegetale in quanto le loro manifestazioni vitali si riducono
a una meditazione sognante, a una muta contemplazione.
Solo le loro mani nobili si muovono, e anch'esse fanno irre
sistibilmente pensare ai viticci di una pianta che cerchi un
supporto su un fiore vicino.
Uomini e donne sembrano essere cresciuti come fiori in
una prateria. Nessuna disciplina formale pare pesare su
questa vita nuda e uniforme, né impedirla nelle sue ma
nifestazioni. Tuttavia, malgrado la ripartizione apparente
mente arbitraria di questi corpi mobili, qui riuniti e con
centrati, là sparsi e come sperduti, in nessun luogo vediamo
formarsi un ingorgo, uno sbandamento, né tanto meno
uno spazio, un vuoto. Ciascuno segue liberamente le sue
inclinazioni, ma un legame invisibile unisce tutti. Questo
legame è la tenerezza : essa crea tra gli abitanti della pra
teria celeste un’intimità fraterna, che li unisce come anelli
di una vasta ghirlanda d ’amore.
Così intesa, la tenerezza è antitetica al desiderio sensuale;
Hans von Hattingberg la definisce « una permanenza di
stretti contatti fisici e spirituali, un legame profondo, in
timo e durevole stabilito con l ’altro, con l ’amato, in una
quiete idilliaca. L ’atto sessuale, per converso, il dramma
della sensualità, sale brutalmente spinto da una tensione
interiore particolare, sempre crescente, fino a un punto
182
culminante. L ’eccitazione sommerge allora la trama della
coscienza e trascina in un turbine i due individui ormai
privi di resistenza [...] Si osserva una medesima dualità
nell’istinto sessuale degli animali, ove si incontrano ad un
tempo l ’istinto di unione, o contrazione, e l ’istinto di rilas
samento, o detumescenza. Questa dualità diventa antago
nismo solo con lo sviluppo della coscienza, che distrugge
il ritmo naturale. Restaurare quest’ultimo è il fine di ogni
vero amore »,24
Abbiamo lasciato la parola al medico e filosofo moderno,
poiché la sua definizione della tenerezza mostra la natura
complessa e profonda dei problemi affrontati dall’eròtica
libero-spirituale, problemi che solo nella nostra epoca sono
stati ripresi dall’indagine psicoanalitica. Hattingberg au
spica precisamente ciò che è stato realizzato in questa ta
vola: restituire alla sessualità il suo ritmo naturale, per
duto a causa dell’esasperato sviluppo della coscienza, frutto
dell’'Albero della Conoscenza'. Bosch ha espresso nel suo
linguaggio simbolico le diverse fasi di questo amore riconci
liato con la Natura. In primo piano osserviamo un’umanità
immobile, vegetale; in posizione mediana un’umanità ani
male, come agitata da una tempesta. Lo scatenamento si
placa e lascia di nuovo posto alla quiete: sono le scene
idilliache, acquatiche e terrestri, dello sfondo.
La tenerezza del clima spirituale adamitico ha dato vita
a una raffinatezza estrema nello scambio corporale e spiri
tuale, che si manifesta nelle carezze timide e circospette e
nell’intensità degli sguardi, ma ancor più nell’attitudine di
questi esseri riguardo al proprio corpo. Questo è a tal punto
divenuto parte integrante del Dio-natura che essi percepi
scono la sua vita organica come un processo vegetale. Que
sta coscienza organica ci fornisce la chiave di uno degli
accorgimenti simbolici più complessi di Bosch, che cerche
remo di interpretare ancora una volta in chiave psico
analitica.
Analizzando la ‘sposa nella zucca’, avevamo formulato
l’ipotesi che la sua inclusione nella zucca simbolizzasse il
183
suo mondo interno ancora inaccessibile all'uomo. In altri
termini, Bosch ha utilizzato la zucca come simbolo degli
organi sessuali della donna. Egli ha 'esteriorizzato' questi
organi per indicare che la donna è spinta verso l ’uomo dalla
pulsazione del suo sangue e delle sue viscere. Procedendo
‘organicamente’ sino nei minimi dettagli, egli ha ricoperto
la superficie della zucca di un sottile reticolo di vene, con
ferendole un aspetto specificamente uterino.
Identico è il procedimento simbolico quando Bosch tra
sforma la fenditura ovale dell’ananas in un accesso per la
fecondazione, e la pera in testicolo. Il frutto a forma di
mammella, con il quale la giovane disseta il suo amante, è
un’immagine del seno materno; infine, il fiore da cui si river
sa in terra una pioggia di perle, raffigura l’effusione dello
sperma. Abbiamo un ultimo esempio, riassuntivo, di questo
simbolismo vegetale in un giovane in piedi, col braccio
sinistro appoggiato sulla zucca, che porta sulla schiena una
sorta di rettile, costituito dalle metamorfosi successive della
fragola: fiore, frutto e viticcio. Come un reticolo sovran
naturale di vene irriga di sangue la zucca, così questa pianta
terricola è provvista di raggi che rassomigliano, in alto, ad
antenne di farfalla e, in basso, a spine che si sfregano con
tro la colonna vertebrale e che, veri e propri 'aculei della
carne’, rappresentano l ’eccitazione del desiderio sessuale.
Novalis, più esperto di chiunque altro nell’alchimia del
l’amore, ha fornito una descrizione visionaria dei processi
organici qui suggeriti, in due frammenti intitolati ‘sguardi
sul mondo dell’anima’ (Frammenti, 1312-1313) :
« Alla base di tutte le funzioni suddette troviamo la
voluttà. La vera funzione voluttuosa (simpatia) è la più
mistica: quasi assoluta o tendente alla totalità (miscela)
della congiunzione, la funzione chimica. Lo sguardo (il di
scorrere), il contatto delle mani, il bacio, il contatto del
seno, l ’atto dell’amplesso, ecco i gradini della scala dalla
quale l’anima discende; opposta a questa c’è una scala sulla
quale il corpo sale fino all’amplesso.
Preparazione dell’anima e del corpo al destarsi dello sti
molo sessuale.
Anima e corpo si toccano nell’atto: chimicamente o gal
vanicamente, o elettricamente, o focosamente, l ’anima man-
184
già il corpo (e lo digerisce) istantaneamente; il corpo
concepisce l ’anima (e la partorisce) istantaneamente.
Le membra mistiche dell’uomo: pensare semplicemente
ad esse, muoverle silenziosamente, è già voluttà ».
Dobbiamo pensare a tali mistici processi organici quando
negli atti processuali di Cambrai leggiamo, a proposito del
segreto sessuale di Aegidius Cantor, « ...modum specialem
coeundi, non tamen contra naturam, quali dicit Adam in
paradiso fuisse usum ». È increscioso il fatto che fino ad
ora questa ‘particolarità’ sia stata considerata solo come una
perversione stravagante. Ecco, per esempio, il verdetto pro
nunciato dal più celebre storico del panteismo medioevale:
« Il avait même découvert une manière particulière, plus
raffinée sans doute, d ’accomplir les plus grossiers péchés ».
Deformazioni di tal fatta gravano in minor misura sull’ac
cusato che sul giudice e costituiscono i più fatali errori che
la critica storica possa commettere. Poiché occorre giudi
care anche le forme più degenerate della religione secondo
le loro intenzioni primitivamente pure, e non secondo le
loro manifestazioni che ne sono, talvolta, soltanto un sor
dido abuso.
Questo pregiudizio, ancora persistente ai nostri giorni,
non deriva solamente dall’incapacità di considerare la ses
sualità con innocenza, ma anche dalla semplice ignoranza
storica. Questo famoso 'modus specialis’ di Cantor è auto
rizzato dalla teologia morale cattolica come 'coitus reser-
vatus’, e la sua pratica è ammessa nel quadro sacramentale
del matrimonio. Sino alla fine del XIX secolo, esso era
praticato dalle sette ‘ familiste’ o 'perfezioniste', delle quali
la più interessante è senza dubbio la setta 'Oneida', fondata
da John Humphrey Noyes (1811-1886). Del resto questa
pratica è stata teorizzata e sviluppata, in particolar modo in
America e in Inghilterra, da numerosi autori contempo
ranei, e la stampa ha ospitato spesso dibattiti tra esperti di
sociologia, eugenetica e medicina su questa tecnica della ca
rezza. Questo 'modus specialis’ viene praticato ancor oggi,
come se fosse una panacea universale, da quelle cerehie in
cui si crede ancora nelle parole d ’ordine della Riforma: aria
aperta, cibi crudi, luce e sole.
185
A rs moriendi.
187
coli del cavallo che porta la coppia nuziale: passa 'tra la
coppa e le labbra' della felicità della vita.
Tre enormi uccelli incarnano le 'potenze' del triangolo
discendente. Due di loro, un frosone e una ghiandaia, sono
situati alle estremità della base; il terzo, un’anatra, è posto
al vertice del triangolo. Il frosone, il più grande passeraceo
delle nostre regioni, incarna, con il suo vigoroso becco e il
suo canto stridulo, la feroce morte che fa ruotare il caro
sello della vita. Bosch, tuttavia, attribuisce un significato
positivo all’apparizione dell’uccello di malaugurio: la morte
è presentata come amica. Il frosone soccorre in effetti tre
creature disperate, prigioniere negli artigli della morte, una
delle quali è già in preda alle convulsioni dell’agonia: alla
loro bocca morente, avida, esso offre una mora rinfrescante.
Questa presenza della morte e dei suoi terrori proprio al
cospetto della prima unione degli amanti, dà pieno signi
ficato alla processione degli uccelli: essa guida i giovani
verso la morte ma, attraverso la morte, anche verso una
nuova vita.
Attorno alla ghiandaia appollaiata sulla piramide rosso-
corallo, genio tutelare di questa cella dell’istruzione coniu
gale, è riunita una folla di creature agitate, dalle grandi
bocche aperte, che cercano aiuto: esse si accalcano per rice
vere un nutrimento dall’uccello, tremanti di paura al pen
siero della vecchiaia e dell’infermità. Ma la ghiandaia strin
ge nel becco ciò che può salvarle e, con la sua semplice
presenza, rende la loro ansietà superflua. Essa è garante
della perpetuità delle forze della creazione; in virtù delle
prime due sillabe del suo nome,25 essa è infatti il simbolo
della Vita.
Nella mitologia greca, il triangolo era attributo degli dei
distruttori Kronos, Ares, Ade e Dioniso. In questo pan
nello, il suo vertice viene a cadere nel regno della morte:
in corrispondenza dell’ananas che giace al suolo, al centro,
in primo piano, simile ad un’urna rovesciata. Nel suo oscuro
orifizio ovale, scorgiamo un uomo seduto con le braccia
cadenti, senza forze, visibilmente sul punto di esalare
188
l ’anima. Consuma con calma il suo ultimo pasto, che un’ana
tra gli porge con il becco. L ’ananas, in precedenza sorgente
di vita, luogo di procreazione, ora ospita nel proprio seno
la morte. Il suo orifizio, tuttavia, è ovale: ciò significa che
esso si accinge a ridare la vita. Abbiamo già incontrato a
più riprese questa dualità, questa alternanza: nelle allegorie
delle pietre della mola, dell’ibis sacro e della processione
degli uccelli.
Questa dualità è espressa qui con particolare forza: alla
sinistra del moribondo si trova una donna, l’unica figura del
pannello a mostrarsi in posizione eretta e frontale: ella go
verna l’avvicendarsi della vita e della morte. Lunghi capelli
le fluiscono sulle spalle, e sulla testa porta due frutti accop
piati. Ella ha passato il braccio sinistro attorno a quello del
premuroso amico che assiste il moribondo, e gli preme il
polso con le dita: questo è il simbolo dell’unione effimera
del sangue. La mano destra è atteggiata in modo curioso:
essendo il pollice e il mignolo nettamente distanziati e le
dita mediane unite, essa risulta così divisa in tre parti.
Diretto verso il suolo, questo gesto della mano raffigura l’an
tico segno runico della morte, l ’asta tripartita rovesciata.
Luce e notte dell’esistenza, nostalgico desiderio di dissol
versi nell’amore, e desiderio non meno struggente di dis
solversi nella morte. Per significare che il suo dipartirsi è
gioioso, il moribondo tiene nella mano un ramo, da cui
pendono due grandi bacche divenute diafane. Questo sim
bolo, ormai familiare, dei frutti gemelli indica che la per
fetta eugenesi assicura anche la perfetta eutanasia.
Questa scena di agonia, che si svolge esattamente sulla
soglia della 'provincia pedagogica', costituisce il cardine
dell’intero sistema pittorico. Per esprimere con forza e in
modo ‘letterale’ la svolta qui in atto, Bosch ha ripetuto due
volte la 'candela' pitagorica: due donne cercano di tenersi
in piedi sulle mani. La donna sulla sinistra è tematicamente
connessa al moribondo: l’anatra che porge il viatico è in
fatti appollaiata su una delle sue gambe piegate.
Ma cosa significa quest’anatra? Nella mitologia greca,
essa è considerata l ’uccello di Penelope. Sappiamo che Pene
lope, secondo la tesi di J . J . Bachofen, incarna la 'Madre-
189
natura ’ ,26 che disfa di notte quanto ha tessuto di giorno, e
lavora dunque invano per l’eternità. Proprio come l’uc
cello dell’acquitrino pullulante di vita, questa donna è an
cora prigioniera del cieco ciclo della nascita e della morte.
La parte superiore del suo corpo e la sua testa sono rin
chiuse in una spessa corolla vegetale che le impedisce di
vedere. Nella sua cecità, ella dà la vita e facilita la morte.
Porge l ’estremo conforto al moribondo, prima di consa
crarsi, alla prossima rivoluzione della ruota, a una nuova
nascita.
La donna sulla destra ha superato questo stato di cieca
servitù nei confronti della Natura, l’ha trasformata in ob
bedienza lucida e chiaroveggente. Questa donna è anch’essa
prigioniera di una corolla, tuttavia il suo viso ci guarda
attraverso un’apertura nel bozzolo che le avviluppa il busto.
Certo, anche su di lei grava la sorte della donna: una zucca
uterina imprigiona le sue ginocchia. Ma, contrariamente
alla donna dell’anatra, ella è riuscita a tenersi ritta sulle
mani: ha realizzato la verticale. Il ciclo della nascita e della
morte è infranto da questo asse spirituale che raffigura lo
sforzo intenso, il desiderio costante di conseguire la 'vita
eterna’. È per questo motivo che ella porta, in segno di vit
toria, una mora sulle piante dei piedi orientati verso il
cielo; è il dolce frutto dell’albero del baco da seta, nel cui
bozzolo si nasconde ancora il suo corpo. È il simbolo sottile
della speranza di resurrezione della futura farfalla.
La Resurrezione.
190
a una di esse, finché non si accorge che esso attraversa in
realtà la parete dell’urna funeraria e appartiene di conse
guenza a un essere nascosto all’interno dell’urna. Questo
insieme di braccia indica che ci troviamo dinanzi a un nodo
dottrinale essenziale e complesso. La ghirlanda di discepoli
che circonda questa scuola dell’ 'ars moriendi’ non fa che
confermarcelo.
Il braccio che esce dall’ananas-sarcofago significa che il
vuoto apparente, il presunto nulla della morte è, in realtà,
compenetrato di energia vivente. La mano si stende a toc
care un enorme eglefino, i cui fianchi recano miriadi di
uova, ulteriore testimonianza del trionfo della vita e delle
energie di procreazione. A questo significato naturalistico-
sessuale, occorre aggiungerne un altro, più profondo. Il
pesce, si sa, è un simbolo sacro: è l’IC H T H Y S cristiano,
abbreviazione della formula di benedizione ‘Jesous CHristos
THeon Yios Soter’ (Gesù Cristo, Figlio di Dio, Salvatore).
Dall’avvento del cristianesimo in poi, il pesce è il sim
bolo esoterico della Salvezza, che manifesta la fede nella
Resurrezione.
Il pannello centrale è così imperniato su due simboli,
l ’uno cristiano, l’altro pitagorico, di Resurrezione. Questa
doppia radice ci dà la misura dell’audacia e della ‘radicalità’
del panteismo libero-spirituale, che attraversa sinuosamente
tutto il quadro, nel costante sentimento di fiducia nell’al
dilà. Questa fede è il coronamento della dottrina, e i suoi
simboli testimoniano la sintesi armoniosa delle speranze di
Salvezza cristiane e orfiche.
Il primo emblema di questa fede è, l’abbiamo visto, la
farfalla posata sul cardo: conduttrice d ’anime, essa appare
accanto all’adolescente malato nel momento della morte.
Poi, sempre sull’asse centrale, troviamo i due simboli mag
giori della cavalcata trionfale: l’uovo e il pesce. Nell’uovo
sonnecchia l’uccello, e la sua futura tensione a spiccare il
volo verso l’alto; il pesce viene elevato a ‘ Ichthys’. La ‘can
dela’ pitagorica collega il globo cosmico, basamento della
Fontana della Vita, all’asse centrale. Siamo in presenza di
una nuova sublimazione spirituale: la ‘candela’ della metà
inferiore del dipinto era ancora imperfetta, le resistenze
della materia terrestre l’appesantivano e le impedivano di
191
conseguire la verticalità assoluta. Ma la 'candela’ situata
sul globo cosmico è libera da ogni viluppo materiale e di
venta manifestazione della pura libertà dell’anima.
L ’asse centrale passa, in seguito, attraverso il dedalo di
storte alchemiche situate tra le due falci di luna. Questi
simboli lunari indicano che al di là dello zenit terrestre
comincia un mondo superiore: la sfera della luna, ove gra
vità e materia terrestre sono sublimate fino alla diafanità,
e trasmutate in pura spiritualità. Questa concezione della
luna si trova in una dottrina che Plutarco fa "risalire all’era
primitiva di Saturno. Bachofen, nella sua Teologia orfica,
ha consacrato uno studio dettagliato a questo scritto di Plu
tarco intitolato Libellus de facie quae in orbe lunae apparet]
eccone i punti principali:
« Alla fine dell’antichità, l’antropologia considerava l’uo
mo un composto di tre essenze: il corpo {soma), l’anima
(psyche ) e lo spirito (nous). Queste tre essenze corrispon
dono ai regni della terra, della luna e del sole. Ad ogni atto
di generazione, il sole semina lo spirito nel Cosmo; la luna
concepisce lo spirito e genera l’anima; la terra fornisce al
l ’anima la materia del corpo. L ’anima e la luna sono dunque
potenze della stessa natura: esse servono da mediatrici tra
le sfere superiori e quelle inferiori, e sono una mescolanza
delle due. Nella loro qualità di tramite, assicurano l’unità
e l’armonia dell’universo, del Tutto ».”
Quest’antropologia elementare diviene profonda sapien
za esoterica quando attribuisce alla luna, nel momento
della morte dell’uomo, la funzione di dissoluzione, di sepa
razione. Dopo la morte, il corpo ritorna alla terra; l’anima
e lo spirito risalgono alla luna, ove passano entrambi attra
verso un purgatorio. L ’uomo virtuoso, dopo un breve sog
giorno, muore una seconda volta, di una morte lunare-,
l’uomo vizioso, al contrario, è sottoposto a una lunga espia
zione e penitenza. Dopo questa seconda morte, lo spirito,
definitivamente purificato, fa ritorno al sole.
192
L ’Ascensione.
n
lescente sta vivendo quella nuova trasmutazione mistica in
cui l’immagine riflessa nello specchio e il viso (l’immagine
e il suo modello divino) si fondono l ’una nell’altro, por
tando a compimento la fase ultima del ritorno delle crea
ture mortali in seno alla Creazione.
I neoplatonici Plotino e Proclo consideravano lo spec
chio come il simbolo dell’etere luminoso e diafano nel
quale Dio contemplò il proprio essere per foggiare a sua
immagine le forme della Creazione. Nei riti di alcuni mi
steri, l’epopta utilizzava lo ‘specchio di Dioniso’ per con
seguire la conoscenza suprema di sé: vi contemplava la
sua forma originaria, come Dio stesso riconosceva la pro
pria nel fulgore dell’etere. Ma nello specchio solare del
l’adolescente astrale è ugualmente necessario ravvisare lo
‘ specchio-logos’ paolino: eros e agape si scambiano i ruoli
e perfezionano il sincretismo dottrinale. Questo passo della
Prima Lettera ai Corinti (xm, 12 , 13 ) è contraddistinto dal
suggello esoterico orfico ed esprime, compendiandola, l’idea
essenziale, fondamentale, della pala: « Noi ora vediamo,
infatti, come attraverso uno specchio, in modo non chiaro;
allora invece vedremo direttamente in Dio; ora conosco
solo in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente
nello stesso modo in cui io fui conosciuto. Adesso, dunque,
rimangono queste tre virtù: la fede, la speranza e l’amore;
ma la più eccellente di tutte è l’amore ».
I più piccoli dettagli del pannello sono intimamente con
nessi tra loro e, nel segno di questa professione di fede
paolina, l’ ‘alto’ e il ‘basso’ si fondono. Nel pannello riap
pare incessantemente il gesto rituale della mano che ci
aveva già colpito in colei che conduce il gruppo in primo
piano: una tripartizione della mano destra, con il pollice
e il mignolo distanziati e le dita mediane strettamente riu
nite. La regina del Paradiso faceva tale gesto per benedire il
moribondo: si trattava quindi del segno runico della morte.
In tutti gli altri casi, questo gesto rappresenta il segno sacro
della vita. Bisogna in egual modo leggervi un simbolo della
Trinità: il pollice rappresenta Dio Padre; il mignolo, il Fi
glio; le tre dita mediane appaiate la Trinità stessa, compresa
e realizzata nello Spirito Santo. Questa Trinità 'centrale’
va interpretata secondo le parole paoline: l’indice raffigura
194
la fede; l’anulare, la speranza; il medio, l ’amore, la più alta
delle tre virtù teologali. Questo gesto della mano era il
segno segreto di riconoscimento dei discepoli del Libero
Spirito.
Il motivo situato all’estremità superiore del pannello, e
che lo corona, proclama la legge suprema dell’amore. È il
simbolo del Cristo rivelato, che attira a sé gli sguardi come
il supremo magnete. Posto al di sopra dell’adolescente dello
specchio, esso costituisce l’apice solenne dell’intero dipinto:
è l’onnipotente 'Ichthys' che, ritratto di profilo, si libra
nell’etere, solitario e maestoso come una stella.
La complessità labirintica del pannello si chiarisce non
appena se ne colga dalPinterno l’idea direttrice, e rivela
allora un ordine rigoroso. La strutturazione del pannello in
tre zone orizzontali corrisponde all’ascensione in tre tappe
di ogni creatura. L ’essere si eleva inizialmente dal corpo
all ’anima, poi dall’anima allo spirito. La donna, grembo
materno della Creazione, incarnazione della materia, regna
sovrana in primo piano. Il piano mediano è dominato dalla
forza genitrice, maschile, dell’anima. Nella terza e ultima
zona infine, i sessi, sino ad ora divisi, si fondono nell’unità
e nella perfezione ermafrodita del genio.
Una geometria invisibile regge questa composizione tri
partita; rinunciando al contributo di una qualsiasi indica
zione ottica, essa manifesta con audacia la spiritualità della
concezione pittorica di Bosch. I due triangoli equilateri in
visibili costituiscono in effetti l’intelaiatura del pannello;
si combinano al movimento ascendente dell’asse centrale e
sono le 'chiavi pitagoriche’ della pala, che ci permettono
di penetrarne pienamente il significato. Triangoli e asse
cardinale esprimono il divenire dell’essere, il suo compi
mento e la sua dissoluzione finale nell’al di là etereo della
vita.
Il movimento che struttura tutto il pannello, ad un tem
po discendente verso la morte e ascendente verso il mondo
ultraterreno, corrisponde esattamente all’idea direttrice del
l’anta dell’Eden. Nell’Eden, come abbiamo visto, l ’ibis
tricefalo, incarnazione della morte, è il trampolino della
vita e della sua evoluzione; analogamente, nel Regno mil
lenario, la tomba aperta è la vera soglia della vita, manife
‘ 1 95
stata nei due casi dallo scintillìo della Fontana paradisiaca.
Nell’Eden, come nel Regno millenario, il Cristo compare
al centro come il 'mediatore', l’asse che collega morte e
beatitudine. Nell’Eden, il 'Figlio dell’uomo’ compare di per
sona, con i tratti del Creatore. Nel Regno millenario, il
‘ Salvatore’ si manifesta spiritualmente mediante la presenza
dei simboli d ’immortalità del pesce e della farfalla. La pro
fessione di fede inscritta, invisibile, nei triangoli di vita e di
morte, si fonda su questo passaggio della Lettera ai Roma
ni: « Perché se noi viviamo, viviamo per il Signore; se noi
moriamo, moriamo per il Signore. Dunque, sia che si viva
sia che si muoia, apparteniamo al Signore » (Romani xiv, 8).
196
C o n clu sio n i
La caverna di Pitagora.
197
rocciosa. Distesa sulla soglia, c’è una giovane nuda; la sua
testa bionda e riccioluta è appoggiata sulla mano sinistra,
e i tratti del suo volto esprimono attesa. La mela che tiene
nella mano destra rivela in lei la nuova Èva; un secondo
attributo, molto curioso, indica che è anche una sibilla-, le
sue labbra sono sigillate. Ella è depositaria di un sapere
segreto.
Il pannello di cristallo posto di fronte al suo corpo è
decorato in modo bizzarro con cinque cerchi dal centro
nettamente marcato: essi non decorano soltanto il pannello,
ma anche, per la trasparenza del cristallo, il corpo della
sibilla. Ella dunque è in un preciso rapporto di simpatia
con il cristallo. Quattro di questi cerchi sono situati in punti
arteriali di importanza vitale: sul polso della mano destra,
sulle arterie dei due gomiti e sull’arteria del collo. Il quinto
cerchio infine si sovrappone al seno sinistro. Noi sappiamo
dal gesto del Creatore che nell’Eden teneva Èva per il
polso, e anche dagli altri due esempi del pannello centrale,
come le congregazioni del Libero Spirito venerassero il
mistero del sangue. È questo un tratto tipicamente pitago
rico. Per i fratelli del Libero Spirito, come è testimoniato
da Cantor, la tradizione antica del medico-sacerdote, questo
ideale di un essere che si prende cura nello stesso tempo
delle necessità fisiche e di quelle spirituali, era ancora
ben viva.
Al di sopra della sibilla adamita, che malgrado le labbra
sigillate ci ha fatto comprendere tante cose, si staglia un’af
fascinante figura. Tra gli innumerevoli personaggi nudi del
pannello, quest’uomo è l’unico ad essere vestito, e lo è
addirittura fino al collo, con evidente severità. In tutto il
pannello troviamo esseri ideali, impersonali, teste bionde
impassibili e anime estatiche, tutte rassomigliantesi. Qui,
invece, compare improvvisamente un’individualità cosciente
di sé. Pare che da questo recesso scaturisca una nuova
visione dell’uomo.
Una capigliatura scura, dai contorni netti, distingue que
sta testa da tutte le altre: la fronte è alta, e l’attaccatura
dei capelli è ad angolo acuto in mezzo alla fronte, così da
formare una ‘M ’ nella quale sembra condensata tutta l’ener
gia maschile. Gli occhi, nerissimi, sprigionano uno sguardo
198
penetrante, irresistibile e dominatore. Il naso, audacemente
arcuato, è insolitamente lungo. La bocca è larga e sensuale,
ma le labbra, strettamente chiuse, sono disegnate dritte e
le loro fenditure si presentano come due punti, ciò che ac
centua ancor di più l’impressione di dominio e di volontà
suggerita dagli occhi. Un viso affascinante, che richiama
alla mente certi celebri ritratti, in particolare quello di Ma
chiavelli. La fisionomia, peraltro, ha qualcosa di latino.
Questo contegno di franca e intelligente imperiosità po
trebbe essere stato appreso nelle accademie italiane.
Quest’uomo enigmatico punta l’indice della mano destra
verso la nuova Èva, come per attirare la nostra attenzione
su di un fatto importante. Dietro di lui, a sinistra, alla
stessa altezza della cornacchia nella gabbia di cristallo, c’è
un’altra testa: un energico viso di donna, di una bellezza
sensuale, dagli occhi profondi e neri, incorniciato da riccioli
color dell’ebano. La donna tiene la testa appoggiata a quella
del suo compagno, e questo gesto evidenzia la loro inti
mità. Se il volto dell’uomo ha un vago aspetto mediterra
neo, quello della donna è senz’altro esotico: i suoi linea
menti sono rotondeggianti, e gli occhi ci fissano, umidi,
brillanti e tranquilli. La porta di cristallo è scivolata fuori
dai cardini soltanto per permettere l’apparizione della cop
pia. Questi due esseri si appartengono vicendevolmente
come marito e moglie, perché in questo istante la donna
congiunge il suo ‘mondo interiore', l’ovaia cristallina, alla
luce vitale dell’uomo, la candela.
La scena suggerisce una costatazione fondamentale: que
st’opera pittorica del tutto inedita, in cui si riuniscono le
creature dell’intero universo per cantare lodi cosi celestiali
che mai nessun re né regina potè ascoltarne di simili il
giorno del suo matrimonio, è la trasfigurazione di una ce
rimonia nuziale. Più noi penetriamo la ricchezza simbolica
della pala, più siamo portati a chiederci che cosa potesse
rappresentare con esattezza questa coppia quasi divina. È
manifesto che essa mirava a concentrare in sé un significato
cosmico, che in effetti ha saputo conseguire in virtù della
propria perfezione spirituale e di quella altrui.
In questo ‘hymenaeus’ si manifesta un’autoconsapevolez-
za che si eleva al di là delle frontiere dell’umano. Essa è
199
paragonabile solo alla megalomania dei tre maestri del Li
bero Spirito, Aegidius Cantor, David Joris e Heinrich
Niclaes, che, com’è noto, si autodeificarono. La dottrina delle
tre età cosmiche, magnificata nel dipinto, ha già consentito
a questi tre maestri della setta di glorificarsi oltre ogni
limite, ma la coscienza teurgica di onnipotenza di quest’uo
mo dai capelli neri è di natura differente: essa si fonda
più su concezioni neopitagoriche che su idee cristiane. Essa
trae origine dall’enunciato catechistico tramandatoci da A ri
stotele: « Esistono tre categorie di esseri dotati di ragione:
Dio, l’uomo e gli esseri come Pitagora ». A questa terza
categoria appartengono i ‘mediatori’ o ‘maestri’, al cui ran
go divino questo misterioso sconosciuto si è palesemente
elevato.
Solo un uomo creatore, nel senso più pieno del termine,
consapevole di essere investito delle potenze del Cosmo,
avrebbe potuto concepire una tale esaltazione di sé. Questo
risolve la questione dell’identità della coppia rappresen
tata: solamente due persone possono essere servite da mo
dello: il pittore, o l ’ispiratore del trittico. La prima di
queste possibilità (Bosch) è da escludere. Benché il ritratto
sia collocato nel punto in cui i pittori, abitualmente, appon
gono la loro firma, dobbiamo scartare l ’ipotesi di una
‘firma-ritratto’: fra i ritratti e gli autoritratti conosciuti di
Bosch e quest’uomo dai capelli neri non si riscontra la
benché minima somiglianza.
Si tratta dunque del ritratto di colui che commissionò
e ispirò l ’opera, il Gran Maestro del Libero Spirito: egli
ci attende, con uno sguardo penetrante e scrutatore, sulla
soglia del suo mondo paradisiaco. Solo il Maestro supremo
avrebbe potuto svelare il mistero della setta, rivelare non
soltanto il suo ideale erotico, ma l ’intero edificio della
dottrina.
1
Il dipinto esordisce con ’ 'attimo pregnante’ del terzo
mattino della Creazione e dischiude sotto i nostri occhi le
tre età dell’universo intero, quelle del Padre, del Figlio e
dello Spirito Santo. In questo divenire, l ’universo si scinde
in due mondi antagonistici: l ’uno, dell’unione con Dio;
l ’altro, della separazione da Dio. Il cammino dell’unità
(della Salvezza) passa attraverso la ‘provincia pedagogica* e
20 0
il mistero erotico della ‘cavalcata trionfale attorno al Ba
cino della vita’. All’alienazione conduce invece il cammino
del giudizio, che svela le deviazioni sacrileghe dell’umanità.
I due dipinti paradisiaci si fondono l’uno nell’altro, poiché
la loro unità è resa possibile dall ’eros cosmogonico; la dot
trina della ‘ Redenzione universale' che, come è noto, pro
mette alle anime, anche a quelle più dannate, il ritorno al
Paradiso, costituisce il legame fra il Regno millenario e
l’Inferno.
La tematica del dipinto ha un respiro cosmico, univer
salistico: valida per l’umanità intera, essa è concepita come
un’unica vasta comunità. La 'cavalcata trionfale' non è una
processione nuziale riservata al Gran Maestro: è propria
dell’intera umanità. La celebrazione delle nozze del Gran
Maestro ispirò certo il trittico, ma non ne costituì affatto
lo scopo predominante, che è l’apoteosi dell ’ethos comuni
tario del Libero Spirito.
Esistono ulteriori prove del fatto che il Gran Maestro
della congregazione sia stato l’ispiratore del trittico. Ab
biamo incontrato in un altro contesto quel viso dai linea
menti spigolosi, dallo sguardo penetrante e inquietante: è
infatti quello del Mostro. L ’'essere maligno' restò per noi
un enigma fino al momento in cui nel suo sguardo non rico
noscemmo lo sguardo retrospettivo del 'figliol prodigo’ :
penetrammo allora il senso della perdizione metafisica del
l ’anima morta e ravvisammo in lui la definizione pitagorica
dell’Ego. Questo disvelamento dell’io acquista ora il più
inquietante valore autobiografico.
Nei due casi l’io è lo stesso. I tratti sono identici, all’in-
fuori di un’unica importante differenza: il volto dell’ego
infernale, adoratore del mondo e delle sue vanità, è incor
niciato da lunghi capelli dai riccioli scompigliati; l’io pa
radisiaco, come segno dell’avvenuta conversione, porta i
capelli corti, e il loro taglio sottolinea la severità della di
sciplina esercitata dalla volontà.
Il Gran Maestro ha dunque fatto del proprio volto il
punto focale di concentrazione dell’Inferno. Questo parti
colare chiarisce in modo rivelatore la dottrina libero-spiri-
tuale del peccato e della purificazione. Così facendo il Gran
Maestro intendeva proclamare in tono solenne di fronte a
201
tutti i credenti: « Io sono passato attraverso tutto questo,
e tutto questo è passato attraverso di me. È solo immergen
domi fino alla fonte del peccato originale, solo riconoscen
dovi ‘le profondità di Satana' (Apocalisse n, 24) che sono riu
scito a estirparlo da me, e a far questo in egual misura per
voi. Con il ‘castigo della vita’ che mi è stato imposto quale
punizione del mio egoismo, sono divenuto puro; e con la
mia mediazione, voi tutti potrete ritrovare la purezza dello
stato originale ». Nel rituale libero-spirituale, l’assoluzione
dal peccato originale di Adamo era espressamente legata a
una confessione preliminare, pubblica e completa, di tutti i
peccati. Il Gran Maestro, facendo per primo questa confes
sione pubblica, dava l’esempio a tutti i novizi che attende
vano l’iniziazione.
Egli indica ad un tempo le due vie della conversione.
T utt’e due partono da lui, vale a dire da questa imperativa
questione di coscienza, che ciascuno è tenuto a porsi di
fronte all’Albero cosmico tarlato, di fronte all’Uovo co
smico forato e al Mare cosmico ghiacciato: A cosa era desti
nato? Che hai fatto di te? La prima risposta prescritta
affonda le radici nel cuore stesso della Creazione; la seconda
nel cuore di ogni uomo. Come pegni dell’armonia — il più
alto destino del cosmo - si ergono nell’Inferno i solenni
strumenti musicali, profanati dalla vana follia dell’uomo,
senza che nulla perdano, tuttavia, del potere catartico ine
rente alle loro leggi, che si basano sul numero. Accanto,
sulla destra, la versione infernale di Èva incarna la più
profonda lontananza umana dall’iniziale progetto di Dio.
L ’idea di suggellare il giorno delle nozze paradisiache e il
giorno delle nozze infernali di Èva con la ripetizione del
medesimo atteggiamento del corpo, ci consente di misurare
la vertiginosa ampiezza della Caduta: la donna lascia di sua
propria volontà il fidanzato regale e divino, scelto dal Crea
tore medesimo, per un mostruoso servitore di Satana!
La seconda rivelazione autobiografica del Gran Maestro
è ancora più sorprendente: egli afferma esplicitamente di
aver presenziato al primo giorno della Creazione dell’uomo!
Se si è immerso negli abissi dell’Inferno, egli si è anche
elevato fino al Paradiso nelle vesti di una cornacchia, l’uc
cello che feconda l’ovaia nel momento delle sue nozze.
202
In effetti, questo stesso uccello bianco e nero si trova ai
piedi di Adamo; posto di profilo, esso guarda verso destra
perché il tertium comparationis sia ben chiaro: egli ha
colto, contemporaneamente ad Adamo, l’immagine di Èva
nella sua purezza originaria.
La facoltà di mediazione del Gran Maestro si fonda su
questa autoproiezione visionaria, sia in Paradiso che nel
l’Inferno: essa gli dà le chiavi dei due mondi, quello supe
riore e quello inferiore. Per l’ispiratore del quadro, la cor
nacchia è quindi un simbolo centrale. Egli l’ha posta e sulla
soglia dell’Eden e all’entrata della caverna di cristallo che
cela il segreto della sua stessa vita. In un poema epico
medievale compare un uccello simile, dal piumaggio color
del giorno e della notte: si tratta del Parzival di Wolfram
von Eschenbach, nel quale appare, già nell’introduzione,
una misteriosa gazza, uccello araldico del primo bastione
che conduce a Monsalvaesch.
Questi due uccelli, la gazza e la cornacchia, che in en
trambe le opere compaiono in luoghi di primaria impor
tanza, hanno un’analoga funzione simbolica. Essi sono il
simbolo della lotta dell’anima. I colori bianco e nero del
loro piumaggio esprimono l’antagonismo delle forze cosmi
che, morali e metafisiche: forze del giorno e della notte,
del bene e del male, del Paradiso e dell’Inferno. Gazza e
cornacchia esortano lo spettatore a riconciliare per mezzo
della ragione le forze luminose e le forze oscure del nostro
essere.
Per il Gran Maestro, la metafora dell’uccello conferisce,
inoltre, un significato profondo al ‘conosci te stesso’ che
essa sottintende: questo simbolo è la manifestazione di
quella memoria originaria che consentiva a Empedocle,
secondo la leggenda neopitagorica, di ricordarsi delle sue
precedenti esistenze come ragazzo, ragazza, uccello, cespu
glio e pesce, o a Pitagora di rammentarsi delle sue passate
incarnazioni. Era questa memoria che permetteva al Gran
Maestro di riconoscere nella cornacchia l’uccello della sua
anima, il suo animale genealogico mitico; egli era la cor
nacchia, esattamente come il bororo brasiliano, per esem
pio, s’identifica con il pappagallo rosso, il suo uccello tote
mico. La cornacchia compare in tutti i quadri che egli ha
203
ispirato come compagna e araldo del suo destino; questo
simbolo ci permette di ripercorrere in tutte le sue tappe
il calvario di questo strano uomo. Lui, l’utopista chiliastico,
che viveva in un mondo immaginario, ideale, il cui pensiero
ruotava senza posa attorno ai due poli della preesistenza
e della reincarnazione, credeva ancora in un albero genea
logico dell’anima. Ciò rendeva possibile tutte le metamor
fosi, i ritorni all’indietro, le ramificazioni e le glorificazioni
ideali dell’io.
Questo simbolo dell’io appare per la prima volta nel
l’Eden, ove è situato in un punto molto in vista, davanti
all’uomo appena creato, conferendo al termine 'davanti'
un significato sia temporale che spaziale. La cornacchia,
nata anch’essa dallo stagno originario delle metamorfosi
zoofitiche (nella forma di uccello-pesce), incarna una delle
passate esistenze del Gran Maestro, che, nel primo giorno
della creazione dell’Uomo, aveva dunque già conseguito un
alto grado di sviluppo. Anche i due animali vicini apparten
gono già a una specie definita e duratura: la beccaccia, attri
buto di Èva, e la pantera, attributo di Adamo.
La scienza esoterica che il quadro rivela è di una tale
profondità che viene da chiedersi dove e come un uomo,
alla fine del Medioevo, abbia potuto acquisirla; quali uni
versità o accademie insegnavano una simile antropogonia?
Soltanto in Italia, nella Firenze neoplatonica di Marsilio
Ficino, di Pico della Mirandola e di Cristoforo Landino
fioriva un analogo sincretismo, in cui si fondevano la dot
trina cristiana della Salvezza, la filosofia greca della Natura,
il profondo simbolismo dei Misteri ellenistici e gnostici, e
le pratiche di magia e di terapeutica teurgica.
A Firenze veniva professata soprattutto una teosofia de
rivante dalla 'scala mystica' di Plotino, nella quale tutte le
forme della Creazione si collocavano in una progressiva rea
lizzazione della perfezione, rappresentando l’uomo il sommo
dell’elevazione. Secondo questa dottrina, il rigido mondo
delle forme inorganiche precede, come tappa indispensa
bile, il mondo organico; il regno vegetale è la forma prima
del mondo animale e quest’ultimo, a sua volta, è la condi
zione d ’esistenza dell’uomo. L ’uomo, in quanto creatura
perfetta, è il coronamento di tutte le tappe che lo prece
204
dono; egli le conduce, in qualità di mediatore della Crea
zione, al sistema superiore di un mondo astrale interamente
rivolto verso Dio.
A grandi linee, questo sistema è già presente in Scoto
Eriugena; i fiorentini, basandosi su una conoscenza più
approfondita della Natura, lo svilupparono nel senso di un
vitalismo evoluzionistico. Ecco, per esempio, un passag
gio tratto dall’Heptaplus di Pico della Mirandola, in cui
si ritrova l’idea direttrice della pala di Bosch: quella del
l’ascensione delle creature, a partire dallo stato zoofitico,
fino all’etere, al regno della deificazione:
« A ll’interno del mondo degli elementi troviamo, oltre
alla materia prima, nove sfere di forme transitorie. Tre di
esse sono inanimate: sono le sfere degli elementi e delle
loro combinazioni. Incontriamo poi le tre sfere della na
tura vegetale, vale a dire i regni delle erbe, delle piante
da frutto e degli alberi. Infine, le tre sfere della vita sensi
bile: la più bassa e la meno perfetta è quella della specie
degli zoofiti; viene quindi quella intermedia delle creature
che non si sono elevate al pensiero razionale; la terza sfera
abbraccia il mondo animale superiore, in cui si incontrano
già certi rudimenti dello spirito umano.
Accanto a questi, esiste poi un quarto mondo, che com
prende tutto ciò che esiste negli altri tre: l’uomo [...] Egli
si erge al centro della Creazione. Il suo corpo è composto
di elementi terrestri, ma il suo spirito è di natura celeste.
Egli ha in comune con le piante la vita vegetativa; con gli
animali, il senso; con gli angeli, la ragione; è considerato
un’immagine di Dio ».
Soltanto nel quadro di questa ‘scala mystica’ le peculiari
metamorfosi di Bosch, le sue pietre che si innalzano come
piante, le sue piante quasi animali e i suoi uomini eterei
e alati come geni, acquistano tutto il loro valore di funzioni
magiche. Solo questa filosofia della Natura, contemporanea
alla composizione del dipinto, spiega il senso degli ibridi
che emergono dallo stagno originario, e in particolare del
l’ibrido tripartito che tiene in mano il libro. Infine, solo la
scala neoplatonica può farci considerare un uccello come
la forma anteriore di un uomo. Il simbolo è ancora più
profondo in quanto si tratta della cornacchia, alla quale la
205
credenza popolare attribuiva, insieme al corvo, un’età seco-
lare. Orazio la definisce « annosa », « vetula »; Cicerone
scrive: « natura cornicibus vitam diuturnam dedit ». E
Matthias Claudius, parlando della luna, dice che essa è
« vecchia come un corvo », suggerendo che il corvo, addi
rittura più vecchio della luna, è veramente una creatura
della notte originaria. Il piumaggio bianco e nero della
cornacchia, per converso, è l’espressione simbolica, il rifles
so dell’ora della Creazione: della « separazione della luna
dalle tenebre ».
Questa fonte culturale ci sembra confermata dai tratti
latini dello sconosciuto e dalla sua dimora: la caverna cir
condata da cristalli. Gustav F. Hartlaub, nei suoi appassio
nati studi sulla mistica rinascimentale (in particolare nel
suo Giorgiones Geheimrtis),a cita numerosi esempi di ana
loghe grotte. I sodalizi neoplatonici erano fortemente at
tratti dalle caverne come luoghi di meditazione: essi le con
sideravano accessi alle profondità saturnine della terra, ove
si nasconde il 'seme di tutte le cose’.
È possibile verificare ancor più a fondo l’origine di que
sta epifania semisotterranea nella storia delle religioni. Pen
siamo, ad esempio, al pitagorico Zamolxis, che trascorse tre
anni nell’oscurità di una caverna. Quando ne uscì, annunciò
ai traci il mistero del superamento della morte, come una
verità da lui stesso sperimentata. U n’altra analogia sussiste
con la rigogliosa e fiorita caverna che Zoroastro consacrò
al creatore Mitra, come simbolo del grembo cosmico. R i
cordiamo infine la caverna in cui Mani scomparve per un
anno, per incidervi la tavola di Ertenki e Mani. Anche il
Regno millenario del Gran Maestro adamita vuole essere,
come la tavola di Ertenki e Mani, frutto dell’elevazione
progressiva attuata attraverso il proprio viaggio nell’Infer
no e la meditazione nella caverna. La sua area centrale non
è che una caverna scoperchiata: il mistero del sotterraneo
culto di Adamo, venuto alla luce del giorno.
206
Il Gran Maestro è penetrato con la sua sposa nella ca
verna di Pitagora, nel grembo terrestre delle Madri eterne,
divenuto trasparente nel mattino delle sue nozze; e sulla
soglia è distesa Èva, sognante, perdonata. L ’indice del Gran
Maestro è puntato verso la madre della specie umana per
indicare ch’egli si è unito alla sua sposa mortale nel segno
immortale di lei; sposandola, egli eleva la sua compagna al
rango divino degli ‘esseri simili a Pitagora': di mediatore
magico. Ed è per onorare questa mediazione che tutte le
creature, a mezzogiorno, ruotano come le sfere attorno alla
corona nuziale del Gran Maestro e della sua sposa.
11
musicale neopitagorica. Un’esegesi biblica di tale erudizione
presuppone un teologo.
La funzione del pittore sembra ridursi a quella di un puro
esecutore, al ruolo, secondario, dell’artigiano. Poiché que
sta pala altamente 'spirituale' trae la propria forza dal pen
siero che la informa, non sarebbe stato più logico consacrare
tutte le nostre energie a mettere in luce la personalità del
l ’ispiratore?
Un tale procedimento è assurdo, poiché contraddice l’evi
denza visuale. Il quadro, malgrado la tutela spirituale,
presenta la più grande libertà pittorica. Nessun particolare
della composizione pare essere stato dettato dalla costri
zione o dall’artificio. Al contrario, tutto sembra sgorgare
da una voluttuosa delizia creativa, con una pienezza, con
un’abbondanza organica che fa pensare più alla spontaneità
della foresta vergine che alla rigidità compassata di un
giardino. Ma come può questa tutela intellettuale, di cui
siamo costretti ad ammettere l’esistenza, essere compatibile
con una così completa libertà?
Tutela e libertà sono conciliabili solo se supponiamo
fra il maestro e il suo discepolo un’intesa assoluta, un’ar
monia tale da far sì che la comprensione reciproca e il senso
comune delle responsabilità annullassero le differenze fra
ordine e obbedienza, fra esigenza e adempimento. In un’in
tesa di tale natura, le differenze non vengono più consi
derate barriere, ma un incoraggiamento a creare un’opera
autenticamente comune. Chi ha coscienza del proprio do
vere raggiunge la vera libertà solo nell’autodisciplina e
nell’obbedienza. Così la sottomissione incondizionata alle
indicazioni del maestro ha fruttato a Bosch l’incommensu
rabile ricompensa della preziosa e stimolante fiducia del
Gran Maestro.
Bosch deve avere scoperto un mondo quando il Gran
Maestro gli espose il concetto latino fondamentale del-
Vorbis, nel doppio senso di 'regno' e di 'orbita' o 'pu
pilla' affascinante e magica, che occorreva situare all’inter
sezione dei quattro assi. Il Gran Maestro non omise certo
di spiegargli perché si dovesse porre Yorbis proprio in
quel punto. Tutto ciò Bosch doveva trasfigurare in un
mondo nuovo ed esemplare, quello dell’antica Roma e dei
210
misteri della fondazione delle città, così come li ha tra
mandati Varrone. L 'orbis si concentrava neWurbis, che era
situata nel punto d ’intersezione delle quattro direzioni car
dinali, e si trasformava così in centro del mondo.
Ma qual era il centro della città primitiva? Era il mun-
dus: una grotta sotterranea che restava chiusa tutto l’anno,
tranne che per tre giorni, e nella quale venivano gettate
le primizie dei raccolti. Nel corso di queste festività con
sacrate, secondo quanto dice Varrone, alle divinità dell’Ade,
Plutone e Proserpina, le porte che conducevano a questi
cupi dèi sotterranei venivano aperte, e le anime prigioniere
salivano alla luce del giorno.
Rivelando a Bosch tutti i significati profondi impliciti
nelle sue rigorose istruzioni, il Gran Maestro doveva susci
tare in lui il ‘thaumazein’, quel grande 'stupore' che è fonte
di ogni attività creativa. Allora soltanto il pittore poteva
comprendere appieno perché sull’asse centrale, a fianco
della cornacchia, dovesse figurare il simbolo tricefalo della
morte che si torce ai piedi del suo vincitore, come Satana
sotto la lancia di san Michele vittorioso; perché l’antro
della morte, dimora della civetta, dovesse trovarsi esatta
mente al di sopra della testa di Cristo. Giacché qui si trova
la risposta alla domanda: « O morte, dov’è il tuo pungi
glione? O morte, dov’è la tua vittoria? » (Prima Lettera ai Co
rinti xv, 55 ). I tre giorni durante i quali il mundus antico
restava aperto, corrispondevano infatti a quei tre giorni
che il Cristo ha vissuto nell’Inferno allo scopo di ricon
durre in Paradiso la coppia originaria e le 'prime vittime’
della morte. « Muori e divieni »: questa sentenza costi
tuisce l’asse spirituale della pala, e il mistero erotico del
Regno millenario, concentrato sull’asse centrale, è anch’esso
consacrato per intero a quest’idea fondamentale.
Quest’esempio ci è sufficiente per immaginare l’intensa
ed esaltante opera di iniziazione che il Gran Maestro compì
nei confronti del suo adepto. Possiamo addirittura imma
ginare le lunghe serate dedicate a quest’opera. Nessun pit
tore occidentale ha mai vissuto un’esperienza iniziatica pari
a quella di Bosch.
Frutto di questo straordinario incontro fu l’elaborazione
comune di una scrittura figurativa : si trattava di trasferire
i concetti fondamentali della ‘predica’ dal piano retorico a
quello artistico e figurativo. Gli effetti che un abile predi
catore sa utilizzare per rendere più penetranti le sue pa
role, hanno già, in buona parte, un carattere ‘ illustrativo’.
Charles Haddon Spurgeon, uno dei più eloquenti oratori
del secolo scorso, intitolò infatti uno dei suoi manuali L ’arte
dell’illustrazione.
Il problema delle metafore si poneva in termini al tem
po stesso oratòri e plastici, sia che si trattasse di esempi
tratti dalla vita quotidiana, sia che si trattasse di parabole
bibliche. E in questo Bosch era maestro: nel dipinto dei
Sette peccati capitali aveva realizzato un capolavoro nella
rappresentazione di costume di scene tratte dalla vita quo
tidiana. Ma non dimentichiamo che Bosch era anche un
eccezionale narratore, abilissimo nel rendere i toni cordiali
della fiaba. Sembra di sentire il Gran Maestro che narra la
favola della predica rappresentata presso la roccia degli
uccelli; sembra di udire il tono cordiale e suadente della sua
voce. Del resto, anche nella rappresentazione delle parabole
bibliche Bosch non si accontenta di una riproduzione og
gettiva, ma sempre si preoccupa di sottolinearne le implica
zioni emotive. Come il predicatore fa giungere la parola
biblica alla coscienza di chi ascolta facendo appello in primo
luogo alla sua sensibilità, così Bosch, illustrando i 'sepolcri
imbiancati' o il monito « orecchie che non vogliono udire »,
ha saputo comunicare un profondo senso di sbalordimento
e di orrore.
Anche sul piano puramente formale possiamo indivi
duare espedienti retorici. L ’elemento tempo, ad esempio,
giocato nel senso di creare artificiosamente una tensione
sempre crescente, si visualizza nello spazio figurativo attra
verso la sapiente disposizione coreografica delle figure e
degli atteggiamenti, in modo da suggerire l’idea di succes
sione. Ma la prestazione suprema, nell’arte di applicare
effetti retorici al piano figurativo, Bosch la fornisce nel ripe
tere il motivo-guida dell’atteggiamento di Adamo. Attra
verso questo espediente egli riesce a suggestionare lo spet
tatore in vari sensi. Nelle diverse sfumature del motivo di
base, quel che più conta è riflettere il tono voluto dal
Maestro. Nell’Eden l’atteggiamento di Adamo era quello
del fiore che si è da poco castamente schiuso nella rugiada
del mattino. La prima ripetizione, nella Èva infernale, ac
compagna il sentimento di contrizione, di ‘espiazione e sof
ferenza’, dal quale l’osservatore, nell’immagine lirica del
‘primo amore’ - seconda ripetizione-, si risolleva attraverso
una catarsi consolatoria. La terza ripetizione - quella della
‘coppia nell’ampolla’ - segna una svolta, poiché la morale
adamita viene qui espressa in termini alchemici. L ’ultima
replica è quella nell’aranceto dell’accademia, dove vibra la
gioiosa reminiscenza di atmosfere mediterranee.
Il Gran Maestro non hai mai preteso dal pittore, suo
discepolo, delle fantasie astratte; egli l’ha sempre indiriz
zato verso la Natura e la sua pienezza organica vivente, in
continuo sviluppo. Questa rigorosa sottomissione alla Na
tura si fonda su uno dei princìpi della magica scienza della
Natura professata dalla Rinascenza: la ‘scientia signata’, la
dottrina delle ‘impronte’, che riteneva di possedere la chia
ve delle potenze occulte di tutte le sostanze naturali e di
tutte le essenze spirituali. Secondo questa dottrina, ogni
pietra, ogni pianta, ogni essere vivente ha in sé una certa
energia, irraggia un mana; e perché questa energia, nel di
pinto, fosse captata e irraggiasse nuovamente, occorreva che
l’impronta, vale a dire la forza formativa essenziale di ogni
più piccolo oggetto, animato o inanimato, fosse compresa
e ‘raccolta’.
Questa necessità obbligava il pittore alla più stretta os
servazione della Natura; essa ha trasformato questa fedeltà
in ‘perfezionismo’, che è, come abbiamo visto, una conce
zione magica della funzione. L ’ ‘organistrum’ aveva un'im
pronta, o una ‘designazione’, solo se il suo collo, la sua
tastiera, le sue chiavi o la sua manovella erano funzionanti;
lo scopo essenziale dello spartito era realizzato solo se la
sua notazione era effettivamente cantabile. Un coltello era
coltello solo se portava il marchio del coltellaio. Infine, un
uccello e una farfalla venivano considerati animati solo se,
secondo quel che Frazer chiama « thè magic of similarity »,
si fosse potuto riconoscere in loro il frosone, la ghiandaia
o l’aglossa.
Nel mondo ordinato delle 'impronte', tutto aveva eguale
importanza. Ogni dettaglio, per quanto minimo fosse, do
213
veva esprimere la ‘vis vitalis’, la forza organica e funzionale
della vita in tutte le sue forme e in tutte le sue varie trasfor
mazioni. Bosch, da questa osservazione incessante e atten
tissima della realtà, ha tratto una conoscenza enciclopedica
delle realia della vita; in tal guisa supera tutti gli altri
pittori del suo tempo. Questa costante osservazione ha
sviluppato a tal punto la sua sensibilità pittorica per la
crescita organica, per il movimento e per il gioco delle
fisionomie, che la sua arte si è innalzata all’altezza sovrana
di una fisiognomica universale.
Iniziato da questo medico-sacerdote alla scienza della
Natura, Bosch non ha soltanto appreso a vedere e a ricono
scere; egli ha acquistato quella facoltà di appercezione pro
fonda delle cose derivante dal vero guardare, dalla penetra
zione (Innewerden): uno sguardo infallibile per percepire
le caratteristiche dell’oggetto, unito all’intuizione del suo
umore interno. Per conseguire questa visione, che i mistici
chiamano ‘visione dell’essenza delle cose’, Bosch ha dovuto
purificare il suo spirito con sistematici esercizi spirituali
di concentrazione; ne abbiamo già esposto il metodo, non
ci resta dunque che desumerne lo scopo.
La peculiare natura della concentrazione esigeva che il
pittore affrontasse un compito nuovo: occorreva creare una
scrittura pittorica di carattere geroglifico il cui signifi
cato fosse più profondo di quello sofisticato e sottile del
rebus. Il rebus si basa su una dualità: da una parte vela
l’idea fino a renderla indecifrabile, dall’altra l’investe di
un’espressione così fine che l’ironia più sottile colpisce nel
segno. I geroglifici di Bosch si fondano, al contrario, se
condo le parole della Genesi, sulla 'dualità in una sola
carne', su una visione sostanzialmente unitaria; la loro com
plessità deriva dalla loro estrema semplicità, dalla loro
inattesa 'univocità'. La chiave dei geroglifici di Bosch ri
siede nell’approccio letterale; il loro messaggio è così radi
calmente semplice che, di primo acchito, non si pensa che
tutto il significato possa essere racchiuso nella cosa rappre
sentata: si suppone una metafora celante un’arguzia, e si
cerca l’arguzia fino a quando non si scopre che la cosa rap
presentata sotto i nostri occhi contiene l’idea in tutta la sua
semplicità.
214
Consideriamo, per esempio, il simbolo più 'complesso'
della pala dell’Inferno: il mostro. Tre elementi essenziali
—albero, uovo e mare —vi sono raffigurati in uno stato di
disseccamento, di vuoto e di ghiaccio: è sufficiente riportare
queste differenti qualità al loro denominatore comune, la
morte, per scoprire l’idea positiva implicita nell’immagine
negativa: « in origine, tutto era differente ». Ma se la
soluzione è così semplice, perché nessuno l’ha mai sco
perta? Questa domanda rinvia al punto di partenza scelto
dal Gran Maestro per il suo insegnamento pedagogico. Per
lui la risposta è la seguente: « Perché la vostra capacità di
riflessione procede all’inverso; perché essa è inessenziale ».
Lo spirito umano ha ricoperto il mondo fenomenico, nel
quale vive, di un tessuto di rapporti logici e pratici, e que
sto dominio intellettuale e materiale gli ha impedito la par
tecipazione ‘naturale’ al mondo della Creazione. Ora, pro
prio questa partecipazione era l’ideale di vita della confra
ternita. Quando sentiamo, per esempio, la parola 'acqua',
immediatamente essa si pietrifica in un concetto che ispira
un’infinita gamma di pensieri utilitaristici; anche lo spirito
più semplice troverà più 'naturale' ed 'evidente' la compli
cata visione di un condotto d ’acqua piuttosto che il gero
glifico eretto da Bosch per esaltare l’acqua: 'l ’Albero della
Vita'.
Là, vediamo l’acqua scaturire come per un miracolo inaf
ferrabile, incomprensibile, come un elemento sgorgato dal
grembo oscuro della terra, che si è innalzato e purificato fino
al luminoso chiarore, simile a quei misteriosi cristalli che
elaborano le loro translucide stereometrie nelle profondità
della terra. Nel centro dell’Eden, la potenza maschile del
cristallo si unisce all’energia materna primitiva dell’acqua
in un matrimonio elementare da cui scaturisce tutta la fe
condità della Creazione.
Una tale concezione dell’acqua non si ottiene con un nor
male processo intellettuale, poiché questo mira solo al con
cetto. Nessuna considerazione pratica deve oscurarla. Essa
è il prodotto di una visione pura che si è distaccata dalla
sfera degli interessi umani per immergersi, immemore di
sé, nell’essenza originaria e divina dell’oggetto. Avevamo
individuato nel punto focale di concentrazione la cellula ove
215
si realizzano l’abbandono di sé e l’unione nella sostanza
prima della Creazione; la forma geroglifica di questa idea
esprime plasticamente la sentenza mistica secondo la quale
solo l’uomo liberatosi dal suo io, dal suo essere, riesce a
diventare un essere 'essenziale', a cogliere cioè la vera es
senza del suo essere.
Hieronymus van Aken è giunto alla propria maturità,
come uomo e come pittore, anche in virtù della collabora
zione con questo pedagogo profondamente ricco di espe
rienza umana e filosofica. Inclinazioni preesistenti in lui,
come la straordinaria capacità di rappresentazione, ne sono
risultate approfondite, e potenzialità spirituali a lui del
tutto ignote, come la sensibilità percettiva, gli si sono
rivelate attraverso costanti esercizi. La sua stessa cultura,
nella quale convivevano, all’interno della sostanziale devo
zione alla Chiesa, elementi grotteschi e di satira sociale,
perviene ad una maggiore compattezza, sino a giungere ad
una visione del mondo rigorosa e chiusa, a carattere univer
salistico e sistematico.
Bosch era pienamente consapevole di essere debitore nei
confronti del Gran Maestro: egli ha riconosciuto questo
suo grande debito in un autoritratto in cui si dichiara aper
tamente suo discepolo. A fianco della caverna di Pitagora,
un poco sopra, nello stretto interstizio tra il profilo della
monaca nuda e la testa dell’adolescente giovanneo, scor
giamo un viso che corrisponde in tutto e per tutto al no
tevole autoritratto della Via Crucis di Vienna. Il luogo
scelto per apparire è modesto, ma proprio per questo rende
più convincente la pacata autoconsapevolezza con cui Bosch
dipinse, in questo angolo recondito, il suo viso dalla fronte
spaziosa, dai larghi occhi neri e dallo sguardo diretto. Que
sti lineamenti — insieme alla bocca energicamente serrata
e al naso diritto e vigoroso — esprimono un carattere so
lido e franco, che persegue con incrollabile perseveranza
il fine scelto dopo una lunga riflessione. Scopriamo, in
questo autoritratto, la fermezza di un uomo avvezzo alla
concentrazione.
Questo dato ha per noi un triplice significato: ci per
mette, prima di tutto, di datare questo quadro. Ma ritorne
remo su questo punto in un prossimo studio, nel quale
216
analizzeremo cronologicamente l’opera di Bosch e dimostre
remo la sua cooperazione con il Gran Maestro del Libero
Spirito, a cominciare da II prestigiatore del Museo di Saint-
Germain-en-Laye, fino alla più tarda Adorazione del Bam
bino di Colonia. Questo ritratto fornisce, inoltre, un’ulte
riore prova del fatto che Bosch fosse un membro della
comunità del Libero Spirito; egli si è infatti dipinto in
mezzo alle creature del Paradiso come un fratello tra i
fratelli, come un iniziato. Infine, la deduzione più significa
tiva, che fa onore alla tanto vituperata moralità del Libero
Spirito: Bosch si autoemargina a favore del Gran Maestro,
rinunciando a una posizione di maggior rilievo. Tale ritegno
non gli impedisce tuttavia di attribuirsi un’espressione di
grande consapevolezza e dignità: la consapevole dignità di
un membro della comunità.
Questa scelta di Bosch rivela una volta di più come all’in
terno del Libero Spirito regnasse una cosciente e responsa
bile autodisciplina e una volontaria autosubordinazione. È a
questo severo costume che si deve la completa realizzazione,
nel dipinto, della formula fondamentale del Libero Spirito:
« Et erunt duo in carne una ». In virtù di contributi intel
lettuali di eguale vigore spirituale, visuale e creativo, è nata
un’opera che rende una testimonianza così completa del
l ’universo intellettuale della comunità, da compensare la
totale perdita degli scritti libero-spirituali. Il Regno mil
lenario è infatti una grande testimonianza del cristianesimo
delle sette che precedettero la Riforma, lo studio delle quali
è stato sinora trascurato dalla storia dell’arte. Quest’opera,
che è paragonabile per forza,' dignità e magnificenza a L'an
gelo mistico dei fratelli van Eyck, apoteosi della pittura
cattolica, o alle professioni di fede luterana di Lucas Cra-
nach, si protende verso di noi attraverso i secoli, solitaria,
maestosa, unica.
21 7
Indice
Il Giardino dell’Eden 75
Mundus patet 80
La visione di Mechthild von Magdeburg 83
Ibis e salamandra 86
Sermoni della montagna 89
L’India, paese di sogno 92
L’Albero della Vita 97
L’Ini*emo 105
L’Albero della Conoscenza 105
L’Inferno dei quattro elementi 111
L’Inferno dei cavalieri 116
L’Inferno dei monaci 118
La concezione libero-spiritualedell’Inferno 121
L’Inferno dei musici 125
L’Inferno della cupidigia 135
Satana 138
Vanitas 142
Gli spettri della frenesia 144
Il Regno millenario 149
Delimitazioni e transizioni 151
La processione trionfale attorno al Bacino della Vita 158
Crittografia simbolica della Natura 163
La provincia pedagogica 169
. Ars amandi 175
Ars moriendi 186
La Resurrezione 190
L’Ascensione 193
Conclusioni 197
La caverna di Pitagora 197
Il Gran Maestro del Libero Spirito 207