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Marco Di Francesco
2
Indice
2 Modelli di diffusione 19
2.1 L’equazione del calore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 19
2.1.1 Un modello di propagazione del calore . . . . . . . . . . . . . . . . 19
2.1.2 Problemi ben posti per l’equazione del calore . . . . . . . . . . . . . 21
2.1.3 Evoluzione della temperatura in una sbarra omogenea. Tendenza
all’equilibrio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 22
2.1.4 Il metodo dell’energia. Unicità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 26
2.1.5 La soluzione fondamentale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 27
2.1.6 Il problema di Cauchy . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 29
2.2 Diffusione e probabilità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 30
2.3 Diffusione non lineare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 33
2.3.1 Conducibilità termica nei gas diluiti . . . . . . . . . . . . . . . . . . 33
2.3.2 Le soluzioni di Barenblatt . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 34
2.3.3 Diffusione veloce . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 36
3
4 INDICE
Questo libro raccoglie gli argomenti dell’omonimo corso di Modelli matematici per l’Ingeg-
neria, previsto per l’Anno Accademico 2007–2008, alla Facoltà di Ingegneria dell’Università
degli Studi dell’Aquila. Lo scopo di base di questo corso è duplice: in primo luogo trattare
alcuni metodi standard per ricavare modelli di equazioni alle derivate parziali applicati ad
alcuni semplici problemi di fisica e di ingegneria; in secondo luogo e compatibilmente con
il background matematico degli studenti, fornire loro gli strumenti analitici per risolvere o
per studiare qualitativamente i problemi posti.
Riguardo al primo aspetto, verranno ad esempio studiati modelli di trasporto, con-
vezione, diffusione (o dispersione), reazione e dissipazione, con applicazioni alla dinamica
dei fluidi, ai modelli di traffico, alla propagazione di onde elastiche lineari, ad alcune di-
namiche particellari. Per la maggior parte di questi modelli si fornirà una descrizione di
tipo ‘cinematico’, ovvero in cui vengono trascurati gli effetti dinamici (o inerziali) causati
dalla relazione tra le accelerazioni e le forze in gioco. Sono questi i modelli per cui verranno
forniti maggiori strumenti dell’analisi matematica, data anche la loro relativa semplicità.
Verranno anche introdotti modelli dinamici (idrodinamici nel caso dei modelli di fluido–
dinamica) per cui è assai difficile trattare una teoria matematica adattata alle conoscenze
matema- tiche degli studenti. In questo caso si studierà soprattutto il comportamento di
tali modelli mandando certi parametri al limite.
Riguardo ai metodi matematici usati nel corso, nel caso di modelli lineari (ed anche in
qualche model- lo nonlineare, come ad esempio l’equazione viscosa di Burgers) verranno
forniti metodi per la risoluzione analitica esplicita. La teoria nonlineare ha nello studio
delle onde di shock per le leggi di conservazione nonlineari il suo argomento principale. Per
il resto, nel caso di modelli nonlineari si cercherà di analizzare le soluzioni da un punto di
vista qualitativo.
Il corso è organizzato distribuendo gli argomenti dal punto di vista dei modelli matemati-
ci piuttosto che delle aree di applicazione. Ad esempio, il capitolo sui modelli di trasporto
conterrà sia modelli di traffico che modelli di scambio chimico. Ci sembra questo un modo
per abituare lo studente a riconoscere la matematica che c’è dietro un problema al di là
della branca specifica di applicazione.
Per quanto riguarda i prerequisiti matematici, si considerano note la teoria delle
funzioni reali ed il calcolo differenziale in una e più variabili, il calcolo integrale multiplo e
la teoria di base delle equazioni differenziali ordinarie. Alcuni concetti sono richiamati per
comodità in Appendice. Per quanto concerne l’introduzione alle derivate parziali ed alcuni
7
8 INDICE
semplici metodi di risoluzione, si è ritenuto opportuno richiamarle nel primo capitolo del
testo (parte del quale è stata curata da Corrado Lattanzio).
Capitolo 1
Lo studente che si accinge ad affrontare il presente corso si è già imbattuto nel concetto di
equazione differenziale ordinaria 1 . Risolvere un’equazione differenziale ordinaria consiste
nel determinare una funzione incognita t 7→ u(t) dipendente da una sola variabile. Nel caso
in cui la funzione incognita sia a valori vettoriali t 7→ X(t) ∈ Rn , allora si parla di sistema
di equazioni ordinarie.
Nel nostro corso ci occuperemo invece di equazioni differenziali alle derivate parziali,
ovvero di equazioni differenziali la cui incognita è una funzione (spesso scalare) dipendente
da più di una variabile. Nelle applicazioni descritte in questo corso, le variabili indipenden-
ti saranno sempre costituite da una variabile temporale t ≥ 0 e da una variabile spaziale
x ∈ Rn . Molto spesso considereremo il caso unidimensionale x ∈ R, ovvero n = 1. Se
un’equazione differenziale ordinaria era una relazione algebrica tra la variabile t, l’incog-
nita X(t) e le sue derivate rispetto al tempo, un’equazione alle derivate parziali sarà una
relazione algebrica tra le variabili indipendenti x e t, l’incognita u(x, t) e le sue derivate
parziali ut , ux , utt , uxx , etc. . . . In situazioni più generali, le variabili spaziali saranno più
di una (fino, ovviamente, ad un massimo di tre!), nel qual caso saranno indicate con (x, y)
nel caso bidimensionale e (x, y, z) nel caso tridimensionale2 . Riportiamo qui una lista di
equazioni alle derivate parziali che incontreremo nel seguito del corso.
9
10CAPITOLO 1. INTRODUZIONE ALLE EQUAZIONI ALLE DERIVATE PARZIALI
λu1 + µu2
Analogamente alle ODE, si definisce ordine di una PDE come l’ordine massimo di
derivazione che compare nell’ equazione. Una PDE di ordine n si dice semilineare se essa
è lineare nelle derivate di ordine n. In particolare, le uniche equazioni nonlineari nella lista
precedente (ovvero la (d) e la (e)) sono semilineari.
Richiamiamo ora alcuni metodi analitici per alcune semplici PDE del primo e del
secondo ordine.
dove la funzione incognita u = u(x, t) è una funzione a valori reali. Le funzioni a, b, f sono
funzioni regolari, ad esempio a, b ∈ C 1 (Ω) e f ∈ C 1 (Ω × R), dove Ω ⊂ R2 è un aperto del
piano (x, t). Una funzione u è soluzione dell’equazione (1.1) in un aperto U ⊂ Ω se verifica
tale equazione per ogni (x, t) ∈ U .
Definiamo ora il problema di Cauchy per l’equazione (1.1). Sia C una curva regolare
contenuta in Ω di equazioni parametriche x = x0 (σ), t = t0 (σ). Definiamo problema di
Cauchy il seguente sistema:
(
a(x, t)ut + b(x, t)ux = f (x, t, u)
(1.2)
u(x0 (σ), t0 (σ)) = u0 (σ)
1.1. PDE DEL PRIMO ORDINE SEMILINEARI 11
e u è soluzione di (1.2) se verifica sia l’equazione differenziale che il dato iniziale (ovvero
la seconda condizione in (1.2)) in ogni punto della curva C. Prima di discutere l’esistenza
e l’unicità delle soluzioni di (1.2), vediamo come determinare tale soluzione in un esempio
concreto.
ut + vux = 0, (1.3)
Dato che la condizione iniziale (1.4) è assegnata sulla curva di equazione t = 0, imponiamo
che (x0 , t0 ) sia un punto di tale curva. Ciò comporta t0 = 0. Quindi la curva caratteristica
si può riscrivere, eliminando il parametro s, come
x(t) = vt + x0 . (1.6)
x0
x
vale a dire, la soluzione di (1.3) è costante lungo le caratteristiche (1.6). Quindi, si può
risolvere l’equazione differenziale ordinaria per φ e si ha:
φ(t) = φ(0),
vale a dire
u(vt + x0 , t) = u(x(t), t) = u(x(0), 0) = u0 (x0 ),
utilizzando la (1.6) e la condizione iniziale (1.4). Per determinare ora il valore della
soluzione u in un punto generico (x, t) del piano, basta determinare il punto x0 di in-
tersezione tra la caratteristica passante per (x, t) e l’asse {t = 0}, cioè basta invertire la
relazione x = vt + x0 ottenendo
x0 = x − vt.
In definitiva, la soluzione di (1.3)–(1.4) è data da
u(x, t) = u0 (x − vt),
come è a questo punto facile convincersi anche per verifica diretta. La soluzione al tempo
t è pertanto ottenuta traslando il grafico della condizione iniziale u0 della quantità vt:
questa proprietà giustifica la definizione di velocità data alla quantità v. In altre parole, le
caratteristiche trasportano le informazioni dal dato iniziale e le fanno viaggiare con velocità
v (vedere Figura 1.2).
Nell’Esempio 1.1.1 abbiamo visto come è utile introdurre una opportuna famiglia di curve
(le curve caratteristiche), che nel caso specifico risultano essere rette, lungo le quali l’e-
quazione differenziale ha una formulazione più semplice, formulazione che permette di
risolvere esplicitamente il problema di Cauchy (1.3)–(1.4) (nel caso esaminato, la soluzione
1.1. PDE DEL PRIMO ORDINE SEMILINEARI 13
x
grafico della soluzione per t=0
t
v x
Pertanto, lungo le caratteristiche, l’equazione alle derivate parziali (1.7) si riscrive come
un’equazione differenziale ordinaria: le caratteristiche sono definite proprio in modo che il
termine a sinistra in (1.7) diventi una derivata totale rispetto al parametro che descrive le
caratteristiche stesse. Abbiamo quindi ridotto lo studio un’equazione alle derivate parziali
allo studio di equazioni differenziali ordinarie e, mediante questo metodo, siamo in grado
di determinare la soluzione dell’equazione (1.7), con dato iniziale
u(x0 (σ), t0 (σ)) = u0 (σ) (1.9)
assegnato lungo una curva C (di equazioni parametriche (x0 (σ), t0 (σ))) regolare contenuta
nel dominio Ω ⊂ R2 di definizione del problema di Cauchy preso in considerazione. Come
già osservato nell’Esempio 1.1.1, per far sı̀ che questo metodo sia efficace, le caratteristiche
devono poter “pescare” informazioni dalla curva del dato iniziale C e trasportarle in un
aperto U ⊂ Ω, nel quale otterremo la soluzione cercata. Pertanto, nel teorema di esistenza
e unicità locali per (1.7)–(1.9), ci aspettiamo una condizione di compatibilità tra le carat-
teristiche dell’equazione (1.7) e la scelta della curva del dato iniziale C. Più precisamente, è
naturale richiedere che, in ogni punto della curva C nel quale vogliamo costruire la soluzione
locale del problema di Cauchy, la curva caratteristica e la curva C siano trasversali, cioè
non abbiano la stessa tangente. Questo risultato è stabilito dal teorema seguente.
Teorema 1.1.2 Sia dato il problema di Cauchy (1.7)–(1.9) per (x, t) ∈ Ω ⊂ R2 , dove la
curva iniziale C ⊂ Ω è regolare e le funzioni a, b, f sono funzioni regolari delle loro variabili
e tali che a(x, t)2 + b(x, t)2 6= 0 per ogni (x, t) ∈ Ω. Sia (x0 , t0 ) = (x0 (σ0 ), t0 (σ0 )) ∈ C un
punto della curva iniziale tale che C non sia caratteristica in (x0 , t0 ) rispetto all’equazione,
vale a dire:
dx0 dt0
a(x0 , t0 ) − b(x0 , t0 ) 6= 0. (1.10)
dσ σ=σ0 dσ σ=σ0
Allora esiste un aperto U ⊂ Ω, con (x0 , t0 ) ∈ U , e un’unica soluzione u = u(x, t) di
(1.7)–(1.9), che verifica (1.7) in ogni (x, t) ∈ U e (1.9) in ogni punto di C contenuto in U .
Osservazione 1.1.3 Come abbiamo anticipato, per poter avere un risultato di esistenza
e unicità per (1.7)–(1.9), è necessario avere una condizione di trasversalità tra le caratteri-
stiche stesse e la curva del dato iniziale C. Tale trasversalità è garantita dalla condizione
(1.10) del Teorema 1.1.2. Infatti, il vettore τ = (b(x0 , t0 ), a(x0 , t0 )) rappresenta il vettore
tangente alla caratteristica nel punto (x0 , t0 ) (si veda la definizione delle ! caratteristiche
dt0 dx0
tramite il sistema (1.8)), mentre il vettore ν0 = − , è il vettore nor-
dσ σ=σ0 dσ σ=σ0
male alla curva iniziale C nel punto (x0 , t0 ), essendo ortogonale
! al vettore tangente a tale
dx0 dt0
curva, vale a dire il vettore T0 = , . Pertanto, la condizione (1.10) in
dσ
σ=σ0 dσ σ=σ0
termini di tali vettori diventa hτ, ν0 i 6= 0. In altre parole, il vettore tangente alla carat-
teristica non è ortogonale alla normale alla curva del dato iniziale C in (x0 , t0 ), cioè la
caratteristica e la curva del dato iniziale C non hanno la stessa tangente in (x0 , t0 ) (vedere
la Figura 1.3).
1.2. EQUAZIONI SEMILINEARI DEL SECONDO ORDINE IN DUE VARIABILI 15
τ
curva iniziale C
ν0 T0
caratteristica
Esempio 1.1.4 Una classe di esempi fisicamente importanti è fornito dal seguente proble-
ma di Cauchy: (
ut + b(x, t)ux = f (x, t, u)
(1.11)
u(x, 0) = u0 (x),
cioè problemi di Cauchy con dato assegnato lungo la curva {t = 0} per equazioni della
forma (1.7) con a(x, t) = 1. In questo caso, l’asse delle x non è caratteristico rispetto
all’equazione considerata in ogni punto (x0 , 0). Infatti, il vettore normale a tale curva è
dato, in ogni punto, da (0, 1) e pertanto la condizione (1.10) diventa:
1 · 1 + b(x0 , 0) · 0 = 1 6= 0.
Osserviamo che lo stesso risultato si ottiene per equazioni con coefficiente a(x, t) 6= 0 (e
non necessariamente uguale a 1), in quanto in questo caso (1.10) diventa:
ma, d’altra parte, tali equazioni si possono ricondurre alla forma (1.11) semplicemente
dividendo per a(x, t).
ove F è supposta analitica nelle sue componenti per semplicità. Supponiamo anche che a, b
e c siano analitiche nelle loro componenti. Non esiste un metodo generale per la risoluzione
dell’equazione (1.12) senza ulteriori ipotesi sui coefficienti a, b e c. Una equazione della
forma (1.12) viene classificata a seconda del segno del determinante
a(x, y) b(x, y)
d := detA = = a(x, y)c(x, y) − b2 (x, y). (1.13)
b(x, y) c(x, y)
ut − αuyy = 0, α > 0.
Durante il corso incontreremo equazioni di tutti e tre i tipi sopra elencati. Si tratta di
equazioni per le quali è spesso possibile determinare esplicitamente le soluzioni. Analoga-
mente ad una ODE, anche una PDE può avere infinite soluzioni a meno che non si imponga
il valore della soluzione su un dato insieme. Nella sezione A.7 è richiamato un risultato
di esistenza ed unicità per sistemi di ODE nel caso in cui si imponga il dato iniziale su
un punto (ad esempio t = 0). Dato che nelle PDE la variabile indipendente è un vettore
multidimensionale, appare naturale che il dato debba essere imposto su un insieme di di-
mensione maggiore di un semplice punto. In particolare, vedremo come nel caso in cui la
variabile indipendente è un vettore bidimensionale, il dato debba essere assegnato su una
curva del piano. Prima di anticipare un risultato di esistenza per PDE del secondo ordine,
è necessario introdurre – anche qui come nella sezione precedente – un concetto di curva
caratteristica.
Definizione 1.2.1 Una curva γ in forma implicita Φ(x, y) = 0 del piano R2 si dice una
curva caratteristica per l’equazione (1.12) nel punto (x, y) ∈ R2 se valgono le seguenti
condizioni
• La curva γ è regolare,
1.2. EQUAZIONI SEMILINEARI DEL SECONDO ORDINE IN DUE VARIABILI 17
Nel seguente teorema diamo un risultato generale di esistenza locale di soluzioni. L’u-
nicità della soluzione è un problema spesso complicato, che tratteremo in alcuni casi
particolari.
Teorema 1.2.2 (Teorema di Cauchy–Kovalevsky) Sia data una curva γ che non sia
una curva caratteristica per l’equazione (1.12) in nessun punto del suo supporto. Supponi-
amo che le funzioni a, b, c, F nella (1.12) siano analitiche. Supponiamo assegnati i dati al
bordo
∂u
u(x, y) = φ(x, y) (x, y) = ψ(x, y), per ogni (x, y) ∈ γ, (1.14)
∂n
∂u
ove il simbolo ∂n (x, y) indica la derivata di u lungo la direzione normale a γ. Supponiamo
anche che i dati φ e ψ siano analitici. Allora esiste una soluzione u dell’equazione (1.12)
accoppiata con i dati al bordo (1.14) definita in un intorno piano della curva γ.
accade, il problema dato dalla PDE accoppiata con il suo dato iniziale è detto problema di
Cauchy. Se il dato iniziale è accompagnato da dati di Dirichlet su un intervallo, il problema
è detto di Cauchy–Dirichlet, mentre se il dato iniziale è accompagnato da dati di Neumann
il problema è detto di Cauchy–Neumann.
Si può dimostrare che tutti questi problemi sono ben posti, ovvero esiste sempre una
soluzione unica e vi è continuità rispetto ai dati iniziali e alle condizioni al bordo. Quest’ul-
tima affermazione rimarrà un po’ oscura, in quanto in questo corso non sempre (quasi mai)
ci occuperemo continuità rispetto ai dati. Interpretiamola nel senso seguente: se variamo
‘di poco’ i dati iniziali ed i dati al bordo, allora la soluzione varia ‘di poco’.
Le definizioni appena date si generalizzano in modo naturale al caso n > 1, in cui la
variabile spaziale vive in una regione V limitata del piano o dello spazio tridimensionale.
Per ottenere una soluzione è necessario anche qui assegnare condizioni iniziali e condizioni
al bordo. Nel caso delle condizioni di Dirichlet assegneremo in valore di u in ogni punto
del bordo ∂V . Le condizioni di Neumann corrispondono all’assegnazione della derivata
direzionale di u nella direzione normale uscente dal bordo ν. Si possono assegnare anche
condizioni al bordo miste, ovvero fissare i valori di u in alcuni punti di ∂V ed i valori di
∂ν θ negli altri punti. Un’altra possibilità è quella di assegnare in un punto del bordo un
valore corrispondente ad una particolare combinazione lineare di u e ∂ν u, ovvero
∂ν u + αu = β
con α > 0 e β una funzione data. In tal caso si parla di condizione di radiazione (o di
Robin). Infine, anche in dimensione maggiore di uno ha senso risolvere il problema di
Cauchy su tutto lo spazio. In tutti questi casi i problemi sono ben posti nel senso sopra
specificato. Dimostreremo tale asserto solo in parte e solo in alcuni casi.
Infine consideriamo il caso delle equazioni ellittiche. Esse modellano spesso un problema
in cui non vi sia dipendenza dal tempo, quindi le variabili spaziali vivono in una regione
V ⊂ Rn con n = 2 o n = 34 . Allora si parlerà semplicemente di problema di Dirichlet o
di Neumann o misto o di Robin se i dati assegnati su ∂V corrispondono a quelli descritti
precedentemente nei rispettivi casi.
4
Il concetto di equazione ellittica in più di due variabili P non è stato introdotto per semplicità. Lo
facciamo ora: Un’equazione semilineare del secondo ordine i,j ai,j (x1 , x2 , x3 )uxi xj = F (x1 , x2 , x3 , u, ∇u)
si dice ellittica in (x1 , x2 , x3 ) se gli autovalori della matrice simmetrica (ai,j )(x1 , x2 , x3 ) sono non nulli e
hanno tutti lo stesso segno.
Capitolo 2
Modelli di diffusione
µ è una costante positiva e f è una funzione nota. Nel caso in cui f ≡ 0, l’equazione di dice
omogenea. Come abbiamo visto nel paragrafo 1.2, l’equazione del calore è un’equazione
parabolica. Nel paragrafo seguente ricaveremo l’equazione (2.1) come modello di trasporto
di energia termica a densità costante. Nella sezione 4.8 vedremo che un’equazione analoga
si può ricavare da modelli dispersivi di trasporto di materia.
19
20 CAPITOLO 2. MODELLI DI DIFFUSIONE
Indichiamo con − →q il vettore flusso di calore, ovvero, data una superficie infinitesima dσ
del bordo di V centrata in x ∈ ∂V con versore normale esterno − →ν , (−
→
q ,−
→ν )dσ esprime la
quantità di energia che fluisce attraverso dσ nell’unità di tempo. L’uso del prodotto scalare
è coerente con l’osservazione che non c’è alcun flusso di energia se il vettore −
→q è parallelo
→
−
alla superficie del bordo (e quindi normale a ν ). Il flusso di calore entrante attraverso
l’intera superficie ∂V è dato da
Z Z
− →
− →
−
( q , ν )dσ = − div−→q dx,
∂V V
ove abbiamo usato il teorema di Gauss (vedi teorema A.4.3). Infine, il contributo dovuto
alla sorgente di calore esterna è dato da
Z
rρdx.
V
Assumiamo ora due relazioni costitutive. La prima è la legge di Fourier per la conduzione
del calore, secondo cui il flusso di calore è proporzionale al gradiente della temperatura
secondo la relazione
→
−q = −κ∇θ, (2.3)
dove θ è la temperatura assoluta e κ > 0 è una costante legata alle proprietà del materiale
detta conducibilità termica 1 . Il segno meno nella (2.3) è dovuto al fatto che il calore fluisce
da zone ad alta temperatura a zone a bassa temperatura. La seconda equazione costitutiva
mette in relazione energia interna e temperatura secondo la legge
e = cv θ,
ove cv è il calore specifico a volume costante del materiale. La relazione precedente, le (2.3)
ed il bilancio energetico (2.2) implicano
Z
[cv ρθt − κ∆θ − rρ] dx = 0.
V
Poichè tale relazione è vera per ogni volume V , l’integranda deve essere identicamente nulla
(vedi teorema A.4.1). Otteniamo dunque l’equazione
θt = µ∆θ + f, (2.4)
Ora, dato che la soluzione ha massa finita, essa è essenzialmente nulla per |x| → +∞.4
Supponendo per semplicità che ρ(·, t) sia identicamente uguale a zero al di fuori della sfera
B(0, R) con R grande, usando il teorema di Gauss A.4.3, l’integrale a secondo membro
nella relazione precedente si riduce all’integrale superficiale
Z
∂ρ
D dσ = 0,
∂B(0,2R) ∂ν
R
che implica che l’integrale ρ(x, t)dx si conserva nel tempo. Tale fenomeno è matemati-
camente detto conservazione della massa.
2
vedi paragrafo 1.2.1
3
Il termine ‘massa’ è fisicamente inappropriato, visto che l’incognita rappresenta una temperatura. Tale
termine viene usato per analogia con altri modelli, in particolare quelli trattati nel capitolo 6.
4
Si pensi ad esempio al caso in cui ρ ammette limite l per x → +∞. Se l fosse diverso da zero, l’integrale
di ρ su tutto R dovrebbe essere necessariamente infinito.
22 CAPITOLO 2. MODELLI DI DIFFUSIONE
con le condizioni
θ(x, 0) = θ0 0≤x≤L
θ(0, t) = θ0 θ(L, t) = θ1 t > 0.
Non lasciamoci impressionare dal fatto che il dato iniziale non si raccordi con continuità
con quello laterale all’estremo x = L; vedremo dopo che cosa ciò comporti. Conviene
riformulare il problema passando a variabili adimensionali, riducendo i dati a 0 e a 1. Per
passare a variabili adimensionali occorre riscalare tutte le variabili rispetto a grandezze
caratteristiche del sistema. Ad esempio, la lunghezza della sbarra è una caratteristica che
possiamo usare per riscalare la variabile spaziale. Poniamo dunque
x
y=
L
che è ovviamente una grandezza adimensionale essendo rapporto tra lunghezze. Notiamo
poi che 0 ≤ y ≤ 1. Osserviamo poi che la costante D ha come dimensione
[lunghezza]2 × [tempo]−1 .
2
La costante τ = LD ha dunque le dimensioni di un tempo, ed è legata alle caratteristiche
del problema. Poniamo dunque
t
s=
τ
2.1. L’EQUAZIONE DEL CALORE 23
u(y, 0) = 0 0≤y≤1
u(0, s) = 0 u(1, s) = 1 s > 0.
detta regime transitorio. Ci aspettiamo dunque che U tenda a zero per s → +∞. Os-
serviamo che U soddisfa Us − Uyy = 0 con dato iniziale U (y, 0) = y e dati al bordo
U (0, s) = U (1, s) = 0. L’introduzione del regime transitorio ha apportato un vantaggio: i
dati al bordo di Dirichlet sono diventati omogenei, ovvero nulli.
Cerchiamo ora una formula esplicita per la soluzione U usando il metodo della sepa-
razione delle variabili. Poniamo
U (y, s) = w(s)v(y),
Usiamo l’equazione (2.5) con le condizioni al bordo v(0) = v(1) = 0 per determinare λ. Vi
sono tre casi.
• Se λ = 0 si ha v(y) = A + By, il che porta a v(y) ≡ 0 in virtù delle condizioni al
bordo.
v(0) = B = 0
v(1) = A sin µ + B cos µ = 0
Ricordiamo che per le equazioni alle derivate parziali lineari omogenee vale il principio
di sovrapposizione 5 , per cui la somma di soluzioni è ancora una soluzione. Formalmente,
dunque, la somma infinita
∞
2 π2 s
X
U (y, s) = Am e−m sin mπy (2.7)
m=1
5
Vedi il teorema 1.0.1
2.1. L’EQUAZIONE DEL CALORE 25
costituisce la forma più generale della soluzione del problema con i dati al bordo. La
condizione iniziale determinerà i coefficienti Am , dandoci una soluzione unica. Per deter-
minare tali coefficienti usiamo lo sviluppo in serie di Fourier6 del dato iniziale (il cui calcolo
è lasciato per esercizio)
∞
X 2
y= (−1)m+1 sin mπy.
m=1
mπ
∞
X 2 −m2 π2 s
U (y, s) = (−1)m+1 e sin mπy.
m=1
mπ
2 −π 2 s
sup |U (y, s)| ≤ 2 e ,
y∈[0,1] π(1 − e−π )
il che dimostra la tesi e ci dice che il decadimento a zero avviene in modo esponenziale. Ciò
prova dunque in modo rigoroso che il regime transitorio tende a zero, e che la temperatura
della sbarra tende a distrubuirsi in modo stazionario per tempi grandi.
Esercizio 2.1.1 Riportare tutti i risultati e le formule precedenti nelle variabili originarie
θ(x, t) e stabilire da quali quantità dipende il tasso di decadimento esponenziale di θ(t).
6
Un breve richiamo sulle serie di Fourier è contenuto
P∞ nella sezione A.6 in appendice
7 1
Dato un numero reale a tale che 0 < a < 1, si ha n=0 an = 1−a .
26 CAPITOLO 2. MODELLI DI DIFFUSIONE
Ora, passando la derivata temporale sotto il segno di integrale (possiamo farlo perchè
l’integrale è rispetto ad x), otteniamo
Z Z 2 Z
w 1d
wwt dx = D dx = w2 dx.
V V 2 t 2 dt V
Inoltre, dal teorema di Gauss A.4.3 e dalla regola di derivazione del prodotto abbiamo
Z Z Z Z Z
2
w∆wdx = div(w∇w)dx − |∇w| dx = w∂ν wdσ − |∇w|2 dx.
V V V ∂V V
otteniamo
Z Z Z
1d 2
E(t) = D w∂ν wdσ − D |∇w| dx ≤ D w∂ν wdσ.
2 dt ∂V V ∂V
Il funzionale non negativo t → E(t) è detto energia. Esso decresce nel tempo, per cui si ha
Z
E(t) ≤ E(0) = w(x, 0)2 dx = 0,
V
da cui segue che E(t) ≡ 0 per ogni t ≥ 0. Dato che l’integranda in E(t) è non negativa,
ciò implica che essa deve essere identicamente nulla, ovvero w(x, t) ≡ 0 per ogni x ∈ V ,
t ≥ 0, ovvero u ≡ v. Quanto appena mostrato si può dunque sintetizzare nel seguente
Stiamo dunque cercando una soluzione v costruita a partire dalla soluzione mediante
omotetie sulle variabili dipendenti ed indipendenti (tale operazione
R è detta scaling, o riscala-
mento delle variabili) in modo tale che la massa totale udx sia conservata. Sostituendo
l’espressione per v nell’equazione del calore soddisfatta da u, ponendo τ = bt e y = ax,
otteniamo
1 1
0 = uτ − D∆y u = vτ − 2 D∆x v.
cb ca
Dunque v soddisfa ancora l’equazione del calore se b = a2 . Per la conservazione della massa
occorre inoltre che c = an , come appare evidente dal calcolo
Z Z Z
−n
v(x, t)dx = cu(ax, bt)dx = ca u(y, τ )dy.
Mostriamo che una u siffatta è invariante rispetto all’operazione u 7→ ua per ogni a > 0:
n 2 n 2 −n 2 − 12 −n − 12
ua (x, t) = a G(ax, a t) = a (a t) U ax(a t)
2 = t U xt
2 = G(x, t).
Per ragioni che risulteranno chiare tra pochissimo, trovare una soluzione della forma (2.9)
ci interessa moltissimo. Ovviamente, il lavoro ancora da fare consiste nel determinare U
nella formula (2.9). Imponendo che G(x, t) soddisfi l’equazione del calore, otteniamo
−n −1 n 1 n
0 = Ut − D∆x U = t 2 − U − ξ · ∇ξ U − t− 2 −1 D∆ξ U,
2 2
|ξ|2
∇U ξ
0 = div U D + = div U ∇ D log U + .
U 2 4
|ξ|2
D log U + = costante.
4
In realtà, dal fatto che U deve essere integrabile segue che non vi possono essere soluzioni
diverse. Abbiamo quindi ottenuto l’espressione
|ξ|2
U (ξ) = Ce− 4D ,
ovvero
|x|2
G(x, t) = Ct−n/2 e− 4Dt .
La funzione G è detta soluzione fondamentale (o soluzione Gaussiana) dell’equazione del
calore in Rn . La costante C è scelta in base alla massa totale. Osserviamo che la soluzione
trovata è compatibile con l’assunzione fatta in precedenza che essa debba essere sempre
diversa da zero a condizione che t > 0. Dunque, la soluzione fondamentale è una soluzione
solo per tempi strettamente positivi. Essa, in effetti, non ammette un dato iniziale ben
definito, in quanto il suo valore in x = 0 esplode quando t → 0. Cerchiamo di chiarire
meglio questo aspetto. Osserviamo anzitutto che, per ogni x 6= 0, si ha
lim G(x, t) = 0.
t&0
2.1. L’EQUAZIONE DEL CALORE 29
Questo suggerisce che, a meno di un insieme di misura nulla (ovvero l’unico punto x = 0),
il dato iniziale della soluzione fondamentale sia identicamente zero. Tale affermazione è in
un certo senso vera. D’altra parte, però, abbiamo
Z
lim G(x, t)dx = costante > 0,
t&0 Rn
dato che la massa totale di G(·, t) è la stessa per ogni t > 0. Intuitivamente, questo ci
dice che la massa di G tende a concerntrarsi tutta nell’origine quando t tende a zero. Il
dato iniziale, dunque, dovrebbe essere uguale a zero quasi ovunque ed avere una massa
totale non nulla. Questo è incompatibile con il concetto classico di funzione, visto che
una funzione nulla quasi ovunque deve avere necessariamente integrale nullo (esercizio).
In questo caso, il concetto di funzione lascia spazio a quello più generale di distribuzione.
Non è interesse di questo corso definire rigorosamente il concetto di distribuzione. Qui ci
limitiamo a dire che il dato iniziale della soluzione fondamentale è una distribuzione detta
delta di Dirac, indicata con δ, che soddisfa
Z
δ(0) = ∞, δ(x) = 0, per ogni x 6= 0 δ(x)dx = 1.
dove Z
Fu(ξ, t) = û(ξ, t) = e−2πiξ·x u(x, t)dx
Rn
Dunque la soluzione del problema di Cauchy è data dalla convoluzione della soluzione
fondamentale G (moltiplicata per una costante tale da avere massa unitaria) con il dato
iniziale f .
Concludiamo questa sezione con un’osservazione importante. La formula precedente si
può scrivere come Z
u(x, t) = G(x − y, t)f (y)dy.
Rn
Supponiamo ora che il dato iniziale f sia non negativo ed a supporto8 compatto. Scegliamo
un qualsiasi punto x ∈ Rn ed un qualsiasi istante t > 0 ed osserviamo che u(x, t) è
strettamente positivo, in quanto dato dall’integrale della funzione y → G(x − y, t)f (y)
non negativa e diversa da zero su un insieme di misura non nulla (il supporto di f , per
l’esattezza). In consequenza di ciò, il supporto della funzione u(·, t) ad un tempo t > 0
è dato da tutto lo spazio Rn . Da compatto (e quindi limitato) che era per t = 0, esso è
diventato un insieme illimitato per t > 0. Quando ciò accade si dice che si ha una velocità
infinita di propagazione.
lungo tale retta, occupando solo posizioni multiple intere di un passo fissato ∆x. Sup-
poniamo inoltre che i cambiamenti di posizione avvengano sempre e solo ogni intervallo di
tempo fissato ∆t. Se il moto non è influenzato da nessuna causa esterna, la particella ad
ogni istante k∆t ha una probabilità pari ad 1/2 di muoversi verso destra ed una proba-
bilità pari ad 1/2 di muoversi verso sinistra. Dopo un tempo N ∆t la particella può trovarsi
dovunque tra −N ∆x e N ∆x. Chiaramente, dopo un tempo grande N ∆t la probabilità che
essa si trovi nelle vicinanze di x = 0 sarà maggiore della probabilità che vi si trovi molto
lontana.
Vogliamo ora stabilire la probabilità p(m, n) che la particella si trovi in m∆x all’istante
n∆t. Supponendo m ed n fissati (ovviamente n ≥ m, altrimenti la probabilità è zero!),
e supponendo che la particella si sia mossa a volte verso destra e b volte verso sinistra,
otteniamo
n+m n−m
m = a − b, a + b = n, ⇒ a= , b=n−a= .
2 2
Si osservi che a è univocamente determinato da n ed m e che n + m è sempre un numero
pari. Per determinare il numero totale di cammini che la particella ha potuto percorrere
per raggiongere m∆x in un tempo n∆t osserviamo che un cammino è univocamente deter-
minato dall’insieme dei punti del reticolo {0, ∆x, . . . , (m − 1)∆x, m∆x} in cui la particella
si è mossa verso destra. Pertanto, vi è una corrispondenza biunivoca tra l’insieme dei
cammini voluto e le combinazioni di a elementi in un insieme di n elementi. Pertanto il
numero di cammini desiderato è
n! n! n
= = .
a!b! a!(n − a)! a
Dato che il numero totale di cammini ad n passi è 2n , la probabilità p(m, n) sarà data dal
numero di cammini ‘favorevoli’ diviso il numero totale di cammini, ovvero
1 n!
p(m.n) = .
2n a!(n − a)!
n! ∼ (2πn)1/2 nn e−n , n 1,
Pertanto,
1/2
2 m2
p(m, n) ∼ e− 2n .
πn
Ora poniamo m∆x = x e n∆t = t. Effettuiamo un cosiddetto passaggio dal discreto al
continuo, in cui m, n → +∞ e ∆x, ∆t → 0, in modo che x e t siano finiti. D’altra parte, se
effettuiamo tale operazione du p(m, n otteniamo il limite banale 0. Il numero di punti sta
tendendo all’infinito, e l’ampiezza ∆x sta tendendo a zero, per cui è ragionevole analizzare
il comportamento della quantità u = p/2∆x. Otteniamo quindi
x t
1/2
p ,
δx δt δt 2
− x2t ∆t
u(x, t) = lim = lim e (∆x)2 .
∆x→0,∆t→0 2∆x ∆x→0,∆t→0 2πt(∆x)2
Se supponiamo che
(∆x)2
lim = D > 0,
∆x→0,∆t→0 2∆t
otteniamo
1/2
1 x2
u(x, t) = e− 4Dt ,
4πDt
che coincide esattamente con la soluzione fondamentale dell’equazione del calore. Il coef-
ficiente D è detto anche in questo caso coefficiente di diffusione.
2.3. DIFFUSIONE NON LINEARE 33
θt = µ∆θ + f,
con µ = κ/cv ρ e f = r/cv . Ricordiamo che κ > 0 rappresenta la conducibilità termica del
mezzo. L’equazione precedente è stata ottenuta supponendo che κ sia costante. Tale ipotesi
è sensata qualora le variazioni di temperatura siano relativamente contenute. Tuttavia si
può verificare sperimentalmente che in generale la conducibilità termica κ dipende dalla
temperatura. Conviene dunque introdurre una funzione θ → φ(θ) tale che
κ = φ(θ).
Nel caso omogeneo (ovvero con r = 0) otteniamo dunque la seguente equazione per θ
1
θt = div φ(θ)∇θ .
cv ρ
Ponendo Z θ
1
Φ(θ) := φ(s)ds,
cv ρ 0
otteniamo la seguente equazione
θt = ∆Φ(θ) (2.10)
detta equazione di diffusione nonlineare.
Una situazione interessante è ad esempio quella di un gas a bassa densità. In questo
caso tipicamente la conducibilità termica aumenta all’aumentare della temperatura. Tale
fenomeno può essere spiegato mediante argomenti di teoria cinetica11 che portano a ricavare
la seguente formula (per un gas monoatomico)
r
1 κ3 θ
k= 2 ,
d π3m
dove κ è la costante di Boltzmann, m è la massa molecolare e d è il diametro medio
delle particelle di gas. Un fenomeno analogo avviene in casi di radiazione termica in gas
ionizzati quando le variazioni di temperatura sono molto alte.12 Situazioni del genere sono
ben modellate dalla dipendenza polinomiale
κ = φ(θ) = Cθn ,
11
Vedi Paragrafo 8.3 del libro ‘Fenomeni di trasporto’ di Bird, Stewart e Lightfoot
12
Vedi Capitolo 10 del libro ‘Physics of Shock Waves and High–Temperature Hydrodynamic Phenomena’
di Zel’dovich e Yu. P. Raizer.
34 CAPITOLO 2. MODELLI DI DIFFUSIONE
con n > 1 e C > 0 costante. Vedremo nel capitolo 11 come tale modello si applichi anche
ad un gas di fotoni ad altissime temperature. In tal caso avremo n = 5. L’equazione (2.10)
diventa quindi
C
θt = ∆θm , m = n + 1.
mcv ρ
Adimensionalizzando le variabili come nel paragrafo 2.1.3, possiamo semplificare l’equazione
precedente eliminando le costanti. In virtù di ciò, concentriamo la nostra attenzione sulla
seguente equazione
ut = ∆um , m > 2, (2.11)
detta anche equazione dei mezzi porosi. La motivazione di tale nome è dovuta al fatto che
la (2.11) è maggiormente nota in letteratura come derivante da un modello di filtrazione
in mezzi porosi, come vedremo nel paragrafo 10.4 più avanti.
Dalla definizione di λ segue che i due termini t−nλ−1 e t−mnλ−2λ sono uguali. Dunque, u
soddisfa l’equazione dei mezzi porosi se e solo se U soddisfa la seguente equazione
Come nella sezione 2.1.5, richiediamo per il momento che U 6= 0. Questo ci permette di
adottare un trucco analogo al caso dell’equazione del calore, ovvero
∇U m |ξ|2
m−2
m m−1
0 = div U + λξ = U mU ∇U + λξ = U ∇ U +λ .
U m−1 2
Dal fatto che U sia integrabile su tutto Rn segue che l’equazione precedente ha come uniche
soluzioni quelle che soddisfano
m |ξ|2
U m−1 + λ = costante.
m−1 2
Questo porta alla seguente formula per U
1
λ(m − 1) 2 m−1
U (ξ) = C − |ξ| ,
2m +
ove il pedice + indica la parte positiva13 e dove la costante C < 0 dipende dalla massa
totale. Nelle coordinate originarie otteniamo la soluzione
1
λ(m − 1) |x|2 m−1
−nλ
u(x, t) = t C− .
2m t2λ +
dato dalla delta di Dirac). Tuttavia, la non linearità non permette in questo caso di scrivere
una formula di convoluzione come nel caso lineare. Si può comunque dimostrare (non lo
faremo) che la velocità finita di propagazione caratterizza ogni soluzione della (2.11) con
dato iniziale a supporto compatto. Come conseguenza delle osservazioni appena esposte,
la diffusione lineare rientra nei cosiddetti casi di diffusione veloce, mentre la diffusione
nonlineare presente nell’equazione dei mezzi porosi è anche detta diffusione lenta.
κ = φ(θ) = Cθ−n ,
con C > 0 e 0 < n < 1. Possiamo quindi ripetere il procedimento descritto in precedenza
per ricavare soluzioni autosimilari per la corrispondente equazione di diffusione (ottenuta,
al solito, eliminando le costanti)
con λ = 2 − n(1 − m). Come si vede, si tratta di funzioni aventi per supporto tutto lo
spazio Rn , con delle code all’infinito che hanno un decadimento più lento di quello delle
soluzioni Gaussiane dell’equazione del calore.
Capitolo 3
Tra le più importanti equazioni alle derivate parziali ci sono senza dubbio l’equazione di
Laplace
∆u(x) = 0, x ∈ Ω ⊂ Rn , n = 2, 3. (3.1)
e di Poisson
∆u(x) = f (x), x ∈ Ω ⊂ Rn , n = 2, 3, f data (3.2)
Esse possono essere ricavate ad esempio come modello stazionario di diffusione, ma vedremo
nel capitolo 8 come esse siano importanti anche in idrostatica. Una funzione u : Ω → R
tale che ∆u = 0 per ogni x ∈ Ω si dice armonica su Ω.
Per calcolare ∆u in questo caso occorre scrivere l’operatore Laplaciano in coordinate polari.
Fissato i ∈ {1, . . . , n}, si ha
x2i 1 x2i
0 0 xi 00 0
uxi = v (r)rxi = v (r) , uxi xi = v (r) 2 + v (r) − 3 .
r r r r
Sommando su i si ha
n−1 0
∆u = v 00 (r) + v (r) = 0.
r
Se v 0 6= 0 si deduce
0 0v 00 1−n
(log(v )) = 0 =
v r
37
38CAPITOLO 3. PROBLEMI STAZIONARI. EQUAZIONI DI LAPLACE E DI POISSON
con a, b costanti. Abbiamo cosı̀ ricavato (con una scelta particolare delle costanti), la
seguente soluzione fondamentale dell’equazione di Laplace
(
1
− 2π log |x| se n = 2
Φ(x) = 1 1 (3.3)
n(n−2)α(n) |x| n−2 se n = 3,
∆u = f (3.4)
su tutto lo spazio Rn . Più precisamente, affermiamo che se fè una funzione continua su
Rn , allora Z
u(x) = − Φ(x − y)f (y)dy (3.5)
Rn
Usiamo il metodo della separazione delle variabili, già visto in precedenza, per cui cerchiamo
una soluzione del tipo
u(ρ, θ) = g(ρ)v(θ),
che sostituita nella (3.7) dà l’equazione
1 g(ρ)
v(θ) (ρg 0 (ρ))ρ + 2 v 00 (θ) = 0.
ρ ρ
Separando le variabili otteniamo le due equazioni
Per imporre le condizioni al bordo consideriamo la serie delle un (che soddisfa ancora
l’equazione di Laplace per il principio di sovrapposizione) e poniamo r = 1. Otteniamo
+∞
X
(an cos(nθ) + bn sin(nθ)) = f (θ).
n=1
Usiamo il Teorema di Fourier, richiamato nella sezione A.6. Esso ci dice che
+∞
a0 X
f (θ) = + [An cos(nθ) + Bn sin(nθ)] ,
2 n=1
40CAPITOLO 3. PROBLEMI STAZIONARI. EQUAZIONI DI LAPLACE E DI POISSON
con Z 2π Z 2π
1 1
An = f (θ) cos(nθ)dθ, Bn = f (θ) sin(nθ)dθ.
π 0 π 0
Questo implica che an = An per ogni n ≥ 0 e bn = Bn per ogni n > 0. Per cui otteniamo
Z 2π +∞ Z 2π
1 X
n1
u(ρ, θ) = f (φ)dφ + r f (φ)[cos(nθ) cos(nφ) + sin(nθ) sin(nφ)]dφ
2π 0 n=1
π 0
Z 2π " +∞
#
1 X
= f (φ) 1 + 2 rn cos(n(θ − φ)) dφ.
2π 0 n=1
La funzione G(ρ, θ) sopra definita si dice funzione di Green sul cerchio unitario dell’ope-
ratore Laplaciano. Possiamo allora scrivere la soluzione u nel modo seguente
Z 2π
u(ρ, θ) = f (φ)G(ρ, θ − φ)dφ.
0
dove Ω è un dominio limitato con frontiera regolare con normale n. Prima di procedere,
richiamiamo la seguente identità di Green
Z Z
∂v ∂u
(u∆v − v∆u)dx = u −v dσ. (3.9)
Ω ∂Ω ∂n ∂n
È chiaro che la convoluzione con la soluzione fondamentale Φ non si applica a questo caso,
per via delle condizioni al bordo. L’idea per risolvere tale problema è di introdurre un
correttore φx (y) tale che
∆φx (y) = 0, y∈Ω
e
φx (y) = Φ(x − y), y ∈ ∂Ω.
che è la soluzione desiderata. È chiaro che il tutto sta nel trovare il correttore φx (y) della
funzione di Green. Questo procedimento dipende fortemente dalla geometria del dominio.
Esempio 3.3.1 (Metodo delle cariche immagini) Supponiamo che Ω ⊂ R2 sia il semi-
piano {(x1 , x2 ) ∈ R2 , x1 > 0. Usiamo la notazione x = (x1 , x2 ), y = (y1 , y2 ). Per deter-
minare φx (y) occorre scegliere una funzione che sia armonica su Ω e tale che φx (y1 , y2 ) =
Φ(x − y) per y1 = 0. L’idea di questo metodo consiste nello scegliere la soluzione fonda-
mentale centrata in un punto che sia esterno al dominio, in modo da evitare la singolarità
in x = y. In questo caso conviene scegliere φx (y) = Φ(e x − y) con xe(−x1 , x2 ). È chiaro che
Φ è amonica su Ω. Inoltre, per un vettore y = (0, y2 ) è ovvio che kx − yk = ke x − yk, e dato
che Φ è una funzione radiale, si ha
x − y) = Φ(x − y),
φx (y) = Φ(e y = (0, y2 ).
w := u − v.
Dato che le condizioni al bordo per u e v sono le stesse, possiamo affermare che w soddisfa
il problema
wt = ∆u
x ∈ Ω, t ≥ 0
w(x, t) ≡ 0 x ∈ ∂Ω, t ≥ 0 (3.13)
w(x, 0) = u0 (x) − v(x) x ∈ Ω.
Quindi
Z Z
d 2
t 2 2 2
t 2
t d
e C(Ω) w(x, t) dx = e C(Ω) +e C(Ω) w(x, t)2 dx ≤ 0.
dt Ω C(Ω) dt Ω
e di conseguenza Z Z
2
2 − C(Ω) T
w(x, T ) dx ≤ e [u0 (x) − v(x)]2 dx.
Ω Ω
Supponendo ora che il dato iniziale u0 sia continuo, dato che la soluzione stazionaria v è
di classe C 2 e quindi continua, possiamo certamente affermare che l’integrale a secondo
membro è finito. Pertanto Z
2
w(x, T )2 dx ≤ Ae− C(Ω) T ,
Ω
per qualche numero A > 0. Mandando T → +∞ vediamo che l’integrale
Z
w(x, T )2 dx
Ω
converge a zero esponenzialmente. Abbiamo cosı̀ dimostrato che, data u soluzione di (3.11)
e detta v la soluzione stazionaria di (3.12), si ha
Z
lim [u(x, t) − v(x)]2 dx = 0,
t→+∞ Ω
Modelli di convezione e di
convezione–diffusione
45
46 CAPITOLO 4. MODELLI DI CONVEZIONE E DI CONVEZIONE–DIFFUSIONE
[a, b] ad un determinato istante t. Chiamiamo tale numero M (t) ≥ 0. Escludendo gli effetti
causati dall’ingresso o dall’uscita dei veicoli in a e in b rispettivamente, ci aspettiamo che
M (t) sia costante nel tempo, dato che il numero totale di veicoli si conserva. Vedremo in
seguito come tale proprietà risulterà conseguenza del modello che avremo ricavato. Oltre
al numero totale di veicoli, ci interessa avere anche un’informazione localizzata del traffi-
co, ovvero, vogliamo sapere quanti veicoli ci sono in un determinato punto x ∈ [a, b] ad
un determinato istante t. Chiamiamo tale numero g(x, t) ≥ 0. Le due quantità M (t) e
g(x, t) sono ovviamente in relazione tra loro. Intuitivamente, M (t) deve essere ottenuto
‘sommando’ tutti valori di g(x, t) al variare di x. Dato che x varia ‘nel continuo’ (ovvero
è descritto da una variabile reale), la relazione tra M e g sarà di tipo integrale, ovvero
Z b
M (t) = g(x, t)dx. (4.1)
a
La quantità g è dunque la densità di veicoli al tempo t nel punto x. Essa esprime la quantità
di veicoli nell’unità di lunghezza. Supporremo che la densità g sia continua rispetto a x, per
cui possiamo intendere l’integrale (4.1) nel senso di Riemann. Tale ipotesi di continuità,
ovviamente, non è realistica, dato che il numero di veicoli in un dato punto può assumere
solo valori interi. Tale inconveniente, tuttavia, non crea grossi problemi di interpretazione.
Passiamo ora a descrivere l’evoluzione della densità g. Per semplificare momentanea-
mente la trattazione, immaginiamo che il casello a venga chiuso all’istante t = 0. In tale
modo, l’evoluzione è determinata da due fattori:
Dato che il nostro modello non ‘segue’ il percorso dei singoli veicoli uno per uno, ma
descrive la loro quantità in un determinato punto dell’autostrada, la velocità dei veicoli
non dipenderà dalla volontà del singolo guidatore, ma da altri fattori quali ad esempio la
posizione del veicolo o la densità di veicoli in quella stessa posizione2 . A tale proposito,
è conveniente introdurre il concetto di flusso di veicoli nell’unità di tempo, nel punto x e
all’istante t, che chiameremo f (x, t). Tale quantità descrive il numero di veicoli nell’unità di
tempo che transitano in x al tempo t (ovvero che attraversano il punto x nell’unica direzione
possibile). Intuitivamente, il numero di macchine passanti nell’intervallo infinitesimo dx
nell’intervallo infinitesimo di tempo dt è dato da g(x, t)dx. Dunque, la quantità f (x, t) è
data da
g(x, t)dx
f (x, t) = .
dt
Dato che il rapporto tra infinitesimi dx dt
non è altro che la velocità istantanea, possiamo
stabilire la seguente relazione costitutiva per il flusso f
Il limite
Q()
l = lim (4.4)
→0
ci fornisce la variazione istantanea del numero di veicoli nell’unità di tempo nel tratto
[c, d] all’istante t. Dalla definizione di flusso data in precedenza segue anche che l equivale
alla differenza tra il flusso di veicoli passanti per c (veicoli in più) ed il flusso di veicoli
passanti per d (veicoli in meno), entrambi al tempo t. Quanto appena detto è riassunto
nella relazione
l = f (c, t) − f (d, t),
che, insieme a (4.3) e (4.4), implica
Z d
1
lim [g(t + , x)dx − g(t, x)] dx = f (c, t) − f (d, t).
→0 c
Usando note proprietà degli integrali (tra cui il teorema fondamentale del calcolo) ottenia-
mo la formula Z d
∂g ∂f
(x, t) − (x, t) dx = 0. (4.6)
c ∂t ∂x
Dato che (4.6) è vera per ogni sottointervallo [c, d] ⊂ [a, b], l’integranda deve essere
identicamente nulla (vedi teorema A.4.1). Abbiamo cosı̀ ottenuto l’equazione di continuità
∂g ∂f
(x, t) + (x, t) = 0, (4.7)
∂t ∂x
che, in virtù della (4.2), diventa
∂ ∂
g(x, t) + (V (x, t)g(x, t)) = 0. (4.8)
∂t ∂x
L’equazione di continuità (4.7) ottenuta in precedenza è un oggetto ben noto in fisica
matematica. Essa modella l’evoluzione di quelle quantità che possono essere descritte
localmente da una densità secondo una relazione analoga alla (4.1), e tali che la quantità
48 CAPITOLO 4. MODELLI DI CONVEZIONE E DI CONVEZIONE–DIFFUSIONE
totale all’interno di un determinato dominio (un volume o un intervallo) varia solo in virtù
del flusso attraverso il bordo del dominio stesso, ovvero non vi è un guadagno (o una
perdita) di quantità dovuto a fattori esterni.3 Qualora volessimo tenere in considerazione
fattori addizionali, quali ad esempio l’ingresso di veicoli dal casello a secondo una legge
prescritta che dipenda dal tempo, si può aggiungere un termine forzante nell’equazione di
continuità (4.7), ottenendo la sua versione non omogenea
∂g ∂f
(x, t) + (x, t) = F (x, t).
∂t ∂x
Inoltre, dato che non siamo interessati agli effetti di bordo (ovveri al flusso di veicoli
ai caselli), possiamo immaginare che il moto avvenga su una retta infinita anziché su
un intervallo. Nelle prossime sezioni analizzeremo il comportamento della soluzione del
problema di Cauchy (4.8)–(4.9) a seconda della forma che assume la legge costitutiva per
la velocità V . Nel caso in cui V dipende solo da x e t diremo che g è descritta da una
equazione di trasporto lineare. Qualora V dipenda anche da g stessa, il trasporto è non
lineare.
∂g ∂g ∂V
+ V (x, t) =− (x, t)g
∂t ∂x ∂x
ci dice che la soluzione g è costante lungo le rette del piano (x, t) di equazione (x(s), t(s)) =
(x0 + cs, s), con x0 ∈ R. Per verificare tale affermazione calcoliamo
d ∂g ∂g
g(x(s), t(s)) = c (x(s), t(s)) + (x(s), t(s)) = 0.
ds ∂x ∂t
In particolare, poiché deve essere soddisfatta la condizione iniziale, deve valere
g(x, t) = g(x − ct, 0) = g0 (x − ct).
D’altra parte, si verifica direttamente che la funzione g0 (x−ct) risolve il problema in esame.
Dunque essa è l’unica soluzione.
Il metodo appena utilizzato è un caso particolare del cosiddetto metodo delle caratte-
ristiche descritto nella sezione 1.1. Tale metodo ci permette di calcolare esplicitamente la
soluzione anche nel caso generale (4.10) con F = 0. Le curve caratteristiche (x(s), t(s), g(s))
sono in questo caso definite dal sistema di equazioni ordinarie
ẋ(t) = V (x, t) x(0) = x0
ġ(t) = d(x, t)g g(0) = g0 (x0 ).
La soluzione g(x, t) si ottiene nel modo seguente: si considerano la soluzioni (locali) del
sistema di caratteristiche x = x(x0 , t), g = g(x0 , t). Si determina poi la corrispondenza
x0 = x0 (x, t) invertendo le relazioni precedenti, cosa che è possibile in generale solo in un
sottinsieme del piano R2 contenente l’asse t = 0. A questo punto la soluzione si ottiene
come
g(x, t) = g(x0 (x, t), t). (4.12)
Un’ulteriore osservazione riguarda la regione di spazio su cui avviene il moto. Assumendo
che il dato iniziale g0 abbia supporto compatto, il metodo delle caratteristiche ci dice
indubitabilmente che il supporto della soluzione g(·, t) rimarrà compatto ad un qualunque
istante t > 0. Quando ciò accade in generale si dice che vi è una velocità di propagazione
finita del supporto, un fenomeno che non accade, ad esempio, nei modelli di diffusione
lineare, ma che è tipico della diffusione lenta, come abbiamo visto nel capitolo precedente.
Dato che il supporto di g(·, t) è sempre compatto, possiamo ricavare la conservazione del
numero totale di veicoli nell’equazione di continuità (4.8) calcolando
Z Z Z
d ∂g ∂g(x, t)V (x, t)
g(x, t)dx = (x, t)dx = − dx = 0
dt R R ∂t R ∂x
ove l’ultimo passaggio è giustificato dal teorema fondamentale del calcolo integrale. La
proprietà appena dimostrata viene spesso chiamata conservazione della massa totale, ed
è soddisfatta tutte le volte che l’evoluzione del modello è descritta da un’equazione di
continuità.
Nel caso in cui il termine forzante F in (4.10) non sia identicamente nullo (caso non
omogeneo) si ricorre al seguente metodo di Duhamel. Per semplicità consideriamo il caso
lineare
∂g ∂g
+c = F (x, t). (4.13)
∂t ∂x
50 CAPITOLO 4. MODELLI DI CONVEZIONE E DI CONVEZIONE–DIFFUSIONE
Fissato un punto (x, t) ∈ R × [0, +∞), consideriamo la caratteristica passante per tale
punto, ovvero la retta s 7→ (x + sc, t + s). La soluzione g calcolata lungo tale retta è data
dalla funzione z(s) = g(x + sc, t + s), s ∈ R. Calcoliamo
In questo modo, V (gmax ) = 0 e V (g) ≤ vmax per ogni g ∈ [0, gmax ]. In alcuni casi
l’osservazione dei dati relativi a flussi di traffico reali ha suggerito l’utilizzo di altre formule
g
per la velocità, quali ad esempio V (g) = a log gmax . In generale, posto f (g) = gV (g), si
considerano funzioni f (g) soddisfacenti alle seguenti proprietà
• f (0) = f (gmax ) = 0,
In particolare, esiste una densità intermedia gm per cui di realizza il flusso massimo di
veicoli (ricordiamo che il flusso è dato dal prodotto di g per V ). Qualora valgano le ipotesi
sul flusso f (g) sopra elencate, la corrispondente equazione di trasporto per il flusso di
traffico
∂g ∂f (g)
+ =0 (4.15)
∂t ∂x
è detta equazione di Whitham–Lighthill.
Nelle prossime sezioni analizzeremo da un punto di vista puramente matematico le
proprietà di una equazione di trasporto nonlineare generale del tipo
∂ρ ∂f (ρ)
+ =0 (4.16)
∂t ∂x
con f una generica funzione nonlineare di classe C 1 . La (4.16) è detta legge di conservazione
nonlineare scalare.
solido stesso, fino ad una capacità di soglia A. Un processo analogo avviene per la sostanza
passante dal materiale al fluido, secondo una capacità massima B. Detti k1 e k2 i tassi di
reazione (tutte le costanti in gioco sono naturalmente positive), otteniamo
∂
ρs = k1 (A − ρs )ρf − k2 ρs (B − ρf ). (4.18)
∂t
In condizioni di equilibrio, ovvero in assenza di scambio, il secondo membro della (4.18)
sarebbe nullo, e questo implicherebbe una relazione algebrica tra ρf e ρs , cioè
k 1 ρf
ρs = A =: R(ρf ). (4.19)
k2 B + (k1 − k2 )ρf
In un regime quasi statico, cioè nel caso in cui lo scambio di sostanza sia relativamente lento
rispetto alle costanti di reazione k1 e k2 , possiamo accettare in buona approssimazione la
relazione (4.19), che sostituita nella (4.17) implica la seguente equazione per ρf
∂ V ∂
ρf + 0
ρf = 0. (4.20)
∂t 1 + R (ρf ) ∂x
la parte occupata dalle particelle è di fatto trattata come un fluido, quindi il problema
è analogo a quello del moto di due fluidi in un letto. Per scrivere la legge di bilancio
della massa di particelle usiamo lo stesso procedimento visto nei paragrafi precedenti.
Supponendo che il moto avvenga in direzione verticale z, e supponendo che non vi siano
variazioni apprezzabili lungo le altre direzioni, scriviamo la legge di bilancio per la fase
fluida. Dato che la quantità infinitesima di fluido per unità di volume è pari a dzερf , detta
uf la velocità del fluido otteniamo l’equazione di continuità (avendo diviso per ρf )
∂ε ∂
+ (εuf ) = 0.
∂t ∂z
Analogamente, per la fase particellare otteniamo
∂ε ∂
− + ((1 − ε)up ) = 0. (4.21)
∂t ∂z
Sommando le due equazioni precedenti otteniamo
∂
(εuf + (1 − ε)up ) = 0,
∂z
ovvero
εuf + (1 − ε)up ≡ U0 ,
il che è una conseguenza del fatto che l’insieme fluido + particelle sia incomprimibile.
La relazione precedente dice che la velocità del fluido e quella delle particelle non sono
indipendenti. La velocità relativa uf − up dipende solo dalla velocità delle particelle,
mediante la formula
U0 − up
u f − up = .
ε
Scriviamo ora la legge di bilancio della quantità di modo per l’insieme di particelle. Come
ricavare in maniera rigorosa una legge di bilancio della quantità di moto, tenendo in con-
siderazione le forze di volume e le forze di pressione, sarà argomento del capitolo 6. Qui
diamo per scontato che l’equazione è la seguente
∂up ∂up
(1 − )ρp + up = F, (4.22)
∂t ∂z
dove F è la risultante di tutte le forze agenti sulle particelle. La prima forza da considerare
è la forza di gravità FG , che è pari a FG = −(1 − ε)ρp g, il segno meno è dovuto al fatto che
la direzione z punta verso l’alto. La seconda forza da considerare è la forza di interazione
FI tra il fluido e le particelle. Mediante considerazioni empiriche, essa si può quantificare
in γ
U0 − up
FI = (1 − ε)(ρp − ρf )g ε−β ,
ut
dove i coefficienti γ e β hanno valori vicini rispettivamente a 4.8 e 3.8 e dove ut è un
parametro detto velocità di caduta. 6 . Supponiamo ora di osservare il comportamento di
6
Per maggiori precisazioni si veda il libro Fluidization Dynamics di L.A. Gibilaro.
54 CAPITOLO 4. MODELLI DI CONVEZIONE E DI CONVEZIONE–DIFFUSIONE
questo sistema per tempi molto grandi. A tale proposito riscaliamo il tempo nel modo
seguente
τ
t= , δ 1.
δ
Coerentemente, riscaliamo anche le velocità in gioco
up ut U0
vp := , vt := , V0 := .
δ δ δ
L’equazione (4.21) diventa
∂ε ∂
− + ((1 − ε)vp ) = 0. (4.23)
∂τ ∂z
L’equazione (4.22) diventa
γ
2 ∂vp ∂vp ρp − ρf V0 − vp −β
δ + vp = g −1 + ε .
∂τ ∂z ρp vt
nota anche come legge di Richardson–Zaki, che sostituita nella (4.23) dà come risultato
l’equazione " #
1/γ
∂ε ∂ ρp
+ −V0 (1 − ε) + vt (1 − ε)εβ/γ = 0,
∂τ ∂z ρp − ρf
∂ u2
∂u
+ = 0, (4.24)
∂t ∂x 2
ut + uux = 0.
Non ci soffermeremo sulla motivazione di tale equazione, accennando solo al fatto che essa
può essere considerato il modello più semplice (unidimensionale) per la velocità euleriana
di un fluido incomprimibile in cui la pressione viene trascurata (vedi capitolo 7). Data la
sua estrema semplicità, l’equazione di Burgers viene spesso usata come propotipo di una
legge di conservazione nonlineare. Essa è certamente il modello più semplice di convezione
non lineare.
4.5. LA LEGGE DI CONSERVAZIONE SCALARE NONLINEARE 55
ρt + f 0 (ρ)ρx = 0. (4.26)
Scrivendo l’equazione in questo modo appare chiaro come essa rappresenti un trasporto
nonlineare. Appare comunque conveniente, data l’analogia con le equazioni di trasporto
lineari, tentare di risolvere la (4.26) usando il metodo delle caratteristiche. Come nel caso
delle equazioni di trasporto lineari, anche qui supponiamo a priori di avere una soluzione
ρ(x, t), e tentiamone una rappresentazione. Fissato un punto x0 ∈ R, la caratteristica
t 7→ x(x0 , t) risolve l’equazione ordinaria
con condizione iniziale x(x0 , 0) = x0 . D’altra parte, la soluzione ρ è costante lungo una
caratteristica. Infatti
d
ρ(x(x0 , t), t) = (ρx ẋ + ρt ) |x=x(x0 ,t) = (ρx f 0 (ρ) + ρt ) |x=x(x0 ,t) = 0.
dt
Dunque,
ρ(x(x0 , t), t) = ρ(x(x0 , 0), 0) = ρ(x0 , 0) = ρ0 (x0 ),
e l’equazione differenziale per la caratteristica si può riscrivere come ẋ(t) = f 0 (ρ0 (x0 )), che
dà come soluzione
x(x0 , t) = f 0 (ρ0 (x0 ))t + x0 , (4.27)
ovvero, le caratteristiche sono delle linee rette. Fino a questo punto sembra che la non-
linearità non abbia apportato difficoltà significative alla soluzione del problema. Se da un
lato infatti la soluzione dell’equazione caratteristica può essere risolta solo conoscendo a
priori la soluzione, d’altra parte siamo stati capaci ugualmente di ottenere una espressione
esplicita (e semplice, visto che si tratta di rette) delle caratteristiche stesse, ed anche in
questo caso (come nel caso lineare senza termini forzanti) sappiamo che la soluzione è
costante lungo le caratteristiche.
Nel caso lineare poi, il problema era quello di esplicitare l’equazione della caratteristica
rispetto ad x0 , ovvero passare dalla funzione x = x(x0 , t) alla funzione x0 = x0 (x, t). Qui
ci imbattiamo in un fenomeno che non avveniva nel caso non lineare: due rette caratter-
istiche aventi come dati inziali due punti diversi dell’asse t = 0 possono intersecarsi ad
un certo istante t finito. Quando ciò accade non è più possibile stabilire una relazione
56 CAPITOLO 4. MODELLI DI CONVEZIONE E DI CONVEZIONE–DIFFUSIONE
1
t∗ = − .
inf f 00 (ρ0 (x0 ))ρ0 (x0 )
Il nostro scopo a questo punto è di dare un senso alla soluzione ρ(x, t) dopo l’istante t∗
in cui essa è divenuta discontinua.
Esercizio 4.5.1 Dimostrare che l’equazione (4.26) gode della seguente proprietà di semi-
gruppo. Sia ρ(·, ·) è la soluzione di (4.26) con dato iniziale ρ0 . Fissati t, s > 0, definiamo
ρ(x, t) = ρ(x, s + t). Allora ρ(x, t) risolve la stessa (4.26) con dato iniziale ρ(x, s).
4.5. LA LEGGE DI CONSERVAZIONE SCALARE NONLINEARE 57
Grazie alla proprietà precedente, il problema di prolungare una soluzione dopo la for-
mazione di uno shock si riduce al problema di definire (in qualche senso) una soluzione
avente un dato iniziale ρ0 discontinuo. Il primo problema che ci poniamo è se sia possibile
ammettere che la discontinuità del dato iniziale in un punto x0 si propaghi nel tempo.
Supponiamo dunque che la soluzione ρ(x, t) sia discontinua sulla curva x = s(t). Ad un
tempo fissato t scegliamo due valori x1 ed x1 tali che x1 < s(t) < x2 . Supponiamo inoltre
che la soluzione sia continua con derivate continue negli intervalli [x1 , s(t)) e (s(t), x2 ].
Data la discontinuità della soluzione, la formulazione (4.25) non è accettabile, poiché essa
coinvolge le derivate di ρ che ovviamente non sono definite nei punti di discontinuità. In
generale, un modo ragiovevole per generalizzare il concetto di soluzione senza perdere di
vista il modello originale è ricavare una relazione integrale analoga alla (4.5). Ricordiamo
infatti che abbia- mo ricavato le equazioni di continuità del tipo (4.7) da un bilancio tra
quantità integrali, in cui la discontinuità delle grandezze integrate è ammissibile. Nel caso
della legge di conservazione nonlineare, la corrispondente equazione di bilancio integrale
(relativa all’intervallo [x1 , x2 ] al tempo t) è la seguente
d x2
Z
ρ(x, t)dx + f (ρ((x1 , t))) − f (ρ((x2 , t))) = 0. (4.29)
dt x1
dove ρ(s− , t) e ρ(s+ , t) indicano rispettivamente i limiti sinistro e destro di ρ(x, t) per x
che tende ad s(t). Vogliamo ora mandare al limite x1 → s(t) da sinistra e x2 → s(t) da
destra nella relazione (4.30). Dato che ρt è limitata negli intervalli di integrazione, i due
integrali a secondo membro si annullano al limite. Otteniamo quindi
f (ρl ) − f (ρr )
ṡ(t) = . (4.32)
ρl − ρr
Abbiamo dunque ottenuto una condizione di salto che coinvolge la velocità della curva
di propagazione della discontinuità ṡ(t) e i limiti destro e sinistro della soluzione lungo
tale curva. In particolare, la velocità della curva è data dal rapporto incrementale del
7
Si osservi che in generale i valori ρl e ρr possono dipendere dal tempo t.
58 CAPITOLO 4. MODELLI DI CONVEZIONE E DI CONVEZIONE–DIFFUSIONE
flusso tra i due valori limite ρl e ρr . La condizione (4.31) è detta condizione di salto di
Rankine–Hugoniot.
Una funzione ρ(x, t) con derivate parziali continue su
tale che ρ risolve l’equazione (4.25) su L e tale che ρ soddisfa alla condizione di salto (4.32)
lungo Γ, è detta una soluzione debole dell’equazione (4.25).
La relazione (4.32) è una condizione necessaria per la propagazione di una discontinuità.
Al momento non abbiamo ancora gli elementi per capire se una data discontinuità iniziale
si propaghi o meno. Semplifichiamo la trattazione del problema con i seguenti esempi,
tutti riferiti al caso particolare f (ρ) = ρ2 /2, ossia all’equazione di Burgers.
x = s(t) = t/2.
Osservando l’evoluzione del profilo ρ(·, t), si deduce che la soluzione è continua in ogni
istante t > 0. I due stati ρl = 0 e ρr = 1 sono uniti da un segmento la cui pendenza
diminuisce nel tempo. Una soluzione di questo tipo è detta onda di rarefazione.
Dunque, si pone un problema di unicità della soluzione debole per l’equazione di Burgers.
Tale problema non riguarda solo l’esempio trattato, ma si può presentare anche trattando
esempi diversi. Esso può essere posto in termini di ammissibilità dell’onda di shock. Il
criterio per cui una onda di shock è ammissibile o meno ha una giustificazione di tipo fisico,
che chiariremo nella sezione 4.10. Per completezza, provvediamo comunque ad enunciarlo
in questa sezione.
Definizione 4.5.4 Uno shock tra due stati ρl e ρr per una legge di conservazione scalare
nonlineare è ammissibile se f 0 (ρl ) > f 0 (ρr ).
60 CAPITOLO 4. MODELLI DI CONVEZIONE E DI CONVEZIONE–DIFFUSIONE
Il precedente criterio è senz’altro un modo chiaro per selezionare uno shock o una
rarefazione. Tuttavia è molto più pratico in certi casi (ad esempio nel caso del traffico, dove
la monotonia di f 0 non è sempre la stessa) utilizzare la seguente regola: scegliere uno shock
quando le caratteristiche sono tutte entranti’ nella curva di shock. Altrimenti scegliere la
rarefazione, dato che in questo caso si crea una zona non raggiunta dalle caratteristiche.
Concludiamo questa sezione con un ultimo esempio, sempre relativo all’equazione di
Burgers, in cui mettiamo in pratica la scelta dell’ammissibilità degli shock secondo la
precedente definizione.
con x(2) = 2. Integrando l’equazione ordinaria (4.36) mediante separazione delle variabili
otteniamo Z x(t)
1 t ds
Z
dy
= ,
2 y 2 2 s
ovvero
√
x(t) = 2t.
La discontinuità tra i due stati x/t e 0 viaggia dunqueplungo una parabola con asse parallelo
all’asse t = 0. In particolare, il valore ρl è pari a 2/t. Tale valore è evidentemente il
massimo valore assunto dal profilo ρ(·, t), che dunque assume la forma di un segmento di
pendenza sempre minore, fissato a sinistra sul punto x = 0, con l’estremo detro che assume
un valore che diminuisce nel tempo. In particolare, si ha che
lim sup |ρ(x, t)| = 0,
t→+∞ x∈R
Il decadimento per tempi lunghi della solutione dell’esempio precedente svela una dif-
ferenza sostanziale tra il trasporto lineare ed il trasporto non lineare. Nel modello lineare
(4.11), la soluzione assume tutti e soli i valori assunti dal dato iniziale. Dunque l’estremo su-
periore del profilo g(·, t) rimane invariato nel tempo, contrariamente al caso dell’equazione
di Burgers, dove abbiamo visto che è possibile che l’estremo superiore della soluzione deca-
da a zero nel tempo. Ciò si esprime spesso dicendo che il trasporto nonlineare genera una
dissipazione di energia, ad intendere che il funzionale quadratico
Z
ρ(x, t)2 dx
R
usando il fatto che la soluzione è nonnegativa. Infine calcolare la massa totale del dato
iniziale ed usare la conservazione della massa totale.
dove f (ρ) = ρ(1 − ρ). Abbiamo semplificato il modello ponendo la velocità massima e la
densità massima entrambi uguali ad uno. Ci proponiamo di risolvere il problema (4.37)
con dati iniziali particolari, in parallelo a quanto fatto per l’equazione di Burgers.
corrispondenza di un semaforo). La fila è supposta, quindi, non avere fine (il che, in certi
contesti, può perfino essere realistico). Usando il metodo delle caratteristiche appare chiaro
che si crea una regione che non è raggiunta da caratteristiche, ovvero la regione −t < x < t.
Occorre dunque ‘riempirla’ con un’onda di rarefazione. Imponendo ρ(x, t) = R(ξ), ξ(x/t,
nell’equazione (4.37) si ottiene facilmente
1 x
ρ(x, t) = − .
2 2t
Si può verificare graficamente che il profilo è costituito da una zona lineare intermedia tra
i valori 0 ed 1, che si propaga in entrambe le direzioni, come è coerente con la situazione
pratica descritta dal modello.
Studiare un tale esempio corrisponde stavolta a studiare l’evoluzione in coda ad una fila di
veicoli a densità massima (ad esempio, una fila che si sta formando in corrispondenza di un
incidente). In questo caso stiamo supponendo che la fila di auto davanti a noi non ha fine.
Usando il metodo delle caratteristiche, in questo caso avviene chiaramente una situazione
da onda di shock, dato che le caratteristiche sono tutte entranti nello shock. Calcolando
la velocità della curva di shock, otteniamo s = 0, ovvero la curva è x(t) ≡ 0, ed il profilo
del dato iniziale è chiaramente invariato nel tempo.
Il presente esempio corrisponde stavolta a studiare l’evoluzione in coda ad una fila di veicoli
ferma ad un semaforo, combinando stavolta gli effetti delle due discontinuità all’inizio ed
alla fine della fila. Usando il metodo delle caratteristiche, in questo caso avviene chiara-
mente una situazione da onda di shock nel punto x = 0, dato che le caratteristiche sono
tutte entranti nello shock. Calcolando la velocità della curva di shock, otteniamo s = 0,
ovvero la curva è x(t) ≡ 0, il che significa che in coda alla fila di veicoli il profilo rimane
invariato, come ci si aspettava. Nel punto x = 1, invece, si ha una tipica situazione da
onda di rarefazione, per cui bisogna riempire la zona non raggiunta da caratteristiche con
una funzione del tipo ρ(x, t) = U (ξ), ξ = (x − 1)/t. Svolgendo i dovuti calcoli si ottiene
l’espressione ρ(x, t) = 12 − x−1
2t
. Analogamente ai casi precedenti, abbiamo che la soluzione
sarà costante lungo rette costituenti un fascio centrato in (1, 0). Queste rette possono essere
a tutti gli effetti considerate delle rette caratteristiche. Esse si intersecano inevitabilmente
4.7. ONDE SMORZATE 63
1 s(t) − 1
ṡ(t) = + .
2 2t
Svolgendo i dovuti calcoli si ottiene la soluzione
√
s(t) = t + 1 − 2 t.
La curva appena definita parte dal punto (0, 1) con pendenza parallela all’asse t e descrive
una traiettoria contenuta nel quadrante delle x positive, tendendo all’infinito per t → +∞.
Si noti che nonostante la derivata prima di s(t) tenda ad uno per t → +∞, la curva non
ha asintoti obliqui. In particolare, tale curva interseca tutte le caratteristiche provenienti
da x0 < 0 e tutte le caratteristiche provenienti dall’onda di rarefazione. Disegnando il
profilo della densità di veicoli, si osserva che prima dell’istante t = 1 il profilo è costituito
da una parte stazionaria in coda alla fila e da una parte in movimento provocata dall’onda
di rarefazione, che disegna un profilo obliquo lineare che raggiunge la coda dei veicoli al
tempo t = 1, azzerando l’intervallo dei veicoli fermi. Dopo l’istante t = 1 i veicoli in coda
iniziano a muoversi, ed il profilo è costituito solo dalla parte obliqua lineare. Analogamente
a quanto avviene per la N –wave, la densità massima di veicoli decade nel tempo.
La presenza del termine di assorbimento −au può essere originata da una dissipazione di
una sostanza o di un materiale, o da fenomeni di attrito o di frizione. Un tipico esempio
riguarda il moto di un fluido in presenza di un mezzo poroso, di cui ci occuperemo più
avanti. Tentiamo di risolvere (4.41) mediante caratteristiche. L’equazione delle curve
caratteristiche è sempre la stessa,
d
u(x(x0 , t), t) = −au(x(x0 , t), t), u(x(x0 , 0), 0) = u0 (x0 ),
dt
64 CAPITOLO 4. MODELLI DI CONVEZIONE E DI CONVEZIONE–DIFFUSIONE
per cui si ha
u(x(x0 , t), t) = e−at u0 (x0 ).
Dunque, le curve caratteristiche sono date esplicitamente dalle equazioni
1 − e−at
x(x0 , t) = x0 + u0 (x0 ). (4.42)
a
Da (4.27) appare chiaro che le caratteristiche tendono a ‘raddrizzarsi’ per tempi lunghi,
ovvero, la caratteristica x = x(x0 , t) ammette come asintoto per t → +∞ la retta verticale
x ≡ x0 + u0 (x a
0)
. Come nel caso omogeneo, la risolubilità in senso classico dell’equazione
risiede nella possibilità di esplicitare x0 nella relazione (4.27). Dal teorema A.3.2 segue che
ciò è possibile se vale la condizione
1 − e−at 0
0 6= 1 + u0 (x0 ). (4.43)
a
Ancora una volta, (4.43) è soddisfatta per t = 0. Una condizione sufficiente per cui (4.43)
sia soddisfatta per tutti i tempi t > 0 è
Ricordando che nel caso omogeneo l’invertibilità delle caratteristiche per ogni tempo (in-
sieme con la conseguente esistenza globale della soluzione) era garantita per u00 > 0, os-
serviamo che in presenza del termine di assorbimento l’esistenza globale sussiste anche nel
caso di dati iniziali decrescenti, purchè la loro derivata prima non violi la condizione di
soglia (4.44). Tale fenomeno è un esempio di come la presenza di termini di attrito possa
(non sempre) prevenire la formazione di shock.
ct + vcx = 0.
dove D > 0 dipende dalla sostanza (ovviamente la formula precedente è vera quando v = 0).
Un fenomeno governato dalla (4.45) è diffusivo, in quanto la legge di Fick è identica alla
legge di Fourier per la propagazione del calore. Se, dunque, teniamo in considerazione sia
il trasporto lineare che la diffusione, avremo la seguente formula per il flusso
Per risolvere tale equazione sotto la condizione iniziale c(x, 0) = C(x), ricorriamo al
seguente trucco per eliminare il termine di trasporto. Poniamo
Quindi, se scegliamo
v v2
h=− , k=
2D 4D
8
Si noti come la (4.45) è formalmente identica alla legge di Fourier (2.3) che abbiamo trattato nel
capitolo 2
66 CAPITOLO 4. MODELLI DI CONVEZIONE E DI CONVEZIONE–DIFFUSIONE
wt − D∆w = 0,
Nella formula precedente, l’effetto provocato dal trasporto è dato dalla presenza della
variabile x − v2 t (che indica un ‘fronte’ che avanza con velocità v/2), mentre l’effetto della
diffusione si esprime con la presenza del termine di convoluzione, che provoca una velocità
infinita di propagazione, cosa che non avveniva nel caso di trasporto semplice.
Concludiamo questa sezione modificando il modello in esame mediante l’aggiunta di un
termine di reazione o di assorbimento. Dal punto di vista fisico stiamo supponendo che la
quantità totale della sostanza in oggetto (l’inquinante) non si conservi nel tempo, ma sia
soggetta ad estinguersi, ad esempio per decomposizione batteriologica. Quando ciò accade,
nella legge di bilancio dobbiamo inserire anche un termine di ordine zero, che supporremo
lineare per semplicità. Otteniamo dunque l’equazione
con γ > 0 costante. In questo semplice caso, l’equazione precedente (detta equazione di
trasporto–diffusione–assorbimento) si può ricondurre a quella senza termine di reazione
mediante la trasformazione
u(x, t) := eγt c(x, t).
La nuova variabile u infatti soddisfa l’equazione
ut + vux = Duxx ,
Torniamo al modello di traffico introdotto nel paragrafo 4.1. Nel paragrafo 4.3 abbiamo
ricavato una legge costitutiva per la velocità dei veicoli
g
V (g) = vmax 1 − .
gmax
Tale espressione tiene conto solo del fatto che la velocità di un veicolo è influenzata dalla
presenza o meno di altri veicoli nei dintorni. In questo paragrafo introduciamo un effetto di
ordine superiore che esprima (in modo semplificato) la consapevolezza da parte del guida-
tore delle condizioni del traffico dei veicoli che lo precedono. Ovviamente, il guidatore tende
a rallentare se si accorge che la densità dei veicoli che lo precedono sta aumentando, mentre
esso tende ad accelleare se la densità dei veicoli che lo precedono sta diminuendo. Anche
in questo caso, dunque, come nel paragrafo precedente, introduciamo una dipendenza del
flusso di veicoli f dalla derivata spaziale di ρ, ovvero
g
f (g) = gvmax 1 − − νgx ,
gmax
ove ν > 0 è una costante. L’equazione di Whitham–Lighthill (4.15) diventa
gt + f (g)x = νgxx . (4.47)
Come osservato nel paragrafo 4.3, l’equazione precedente può essere un interessante ogget-
to di studio con condizioni piuttosto generali riguardo alla funzione f . La differenza
sostanziale tra l’equazione (4.47) e l’equazione di deriva diffusione (4.46) è che il termine
di trasporto f (g) è in questo caso nonlineare. Per semplificare la trattazione, esaminer-
emo anche qui il caso in cui f (g) = g 2 /2. Cambiando nome alla variabile dipendente,
concentriamo dunque la nostra attenzione sulla seguente equazione di Burgers viscosa
ρt + ρρx = νρxx . (4.48)
L’equazione (4.48) riveste un’importanza notevole in fisica matematica, in quanto è il
modello più semplice in cui interagiscono fenomeni di diffusione lineare e di convezione
nonlineare.
Studieremo il problema si Cauchy per tale equazione, accoppiandola quindi con un dato
inziale ρ(x, 0) = ρ0 (x). Per risolvere l’equazione (4.48) usiamo un procedimento sviluppato
indipendentemente da Cole (1951) e Hopf(1950). Iniziamo ponendo
Z x
ψ(x) = ρ(y)dy, 9
−∞
il che implica la seguente equazione per ψ ottenuta integrando la (4.48) nel tempo in
(−∞, t) e supponendo (ragionevolmente) che ρ tenda a zero per x → −∞,
1
ψt + ψx2 = νψxx . (4.49)
2
9
Stiamo ovviamente sottintendendo che ρ abbia integrale finito sulla retta reale.
68 CAPITOLO 4. MODELLI DI CONVEZIONE E DI CONVEZIONE–DIFFUSIONE
ψ = −2ν log φ.
Abbiamo
φt
ψt = −2ν
φ
φx
ψx = −2ν
φ
φxx φ2
ψxx = −2ν + 2ν x2 .
φ φ
Sostituendo tali espressioni nell’equazione (4.49) otteniamo
1 2ν
0 = ψt + ψx2 − νψxx = − (φt − νφxx ) ,
2 φ
ovvero φ soddisfa l’equazione del calore
φt = νφxx
Abbiamo già incontrato funzioni del genere come soluzioni dell’equazione di trasporto
lineare ut + σux = 0. Ora ci poniamo il problema di vedere se esistono soluzioni del
genere anche in un contesto nonlineare quale quello della legge di conservazione viscosa
Supponendo di avere una soluzione del tipo (4.51) della (4.52), chiamando ξ = x − σt
otteniamo l’equazione differenziale per U = U (ξ)
−σU 0 + f (U )0 = νU 00 . (4.53)
Ora supponiamo che la soluzione u(x, t) abbia degli stati limite fissati all’infinito, ovvero
u(−∞, t) = U − , u(+∞, t) = U + .
Stiamo dunque pensando ad una soluzione che congiunge i due stati U − e U + ed abbia un
profilo che viaggia nel tempo a velocità σ. Nel caso dei modelli di traffico questo può sig-
nificare che abbiamo due densità di veicoli fissate molto distanti dal punto di osservazione.
Oppure, nel caso del modello di cromatografia precedente questa situazione può rappre-
sentare il caso in cui si voglia congiungere due zone di fluido a grande distanza tra loro con
due concentrazioni diverse di sostanza disciolta. Vedremo che la velocità di propagazione
σ dipende dai due stati che stiamo considerando e dalla funzione f . Questo risultato rap-
presenta l’applicazione più diretta ai problemi di cromatografia, in quanto la nonlinearità
f , che dipende dalla sostanza disciolta, determina la velocità di propagazione dell’onda, e
quindi permette di ‘riconoscere’ la sostanza stessa.
Integrando l’equazione (4.53) tra −∞ e ξ otteniamo
−σ(U − U − ) + f (U ) − f (U − ) = νU 0 . (4.54)
per ξ → +∞, bisogna imporre che anche U + sia soluzione stazionaria della (4.54). Ciò
comporta una condizione su σ, ovvero
f (U + ) − f (U − )
σ= ,
U+ − U−
che è identica alla condizione di Rankine–Hugoniot (4.31) vista in precedenza per la legge
di conservazione scalare. Una volta fissata σ, non solo U + è anch’essa una soluzione
stazionaria, ma è possibile provare l’esistenza del profilo cercato U , e quindi dell’onda
viaggiante. Per farlo, riscriviamo la (4.54) come
f (U ) − f (U − ) f (U + ) − f (U − )
01 −
U = (U − U ) − . (4.55)
ν U − U− U+ − U−
Per semplificare la trattazione, supponiamo ora che f sia di classe C 1 e convessa (una
trattazione simile si può effettuare nel caso in cui f sia concava). Non avendo ancora
imposto alcuna condizione su U − ed U + , supponiamo dapprima che sia U − < U + . È
allora evidente che U (ξ) − U − > 0, dato che la soluzione non può mai attraversare gli stati
(U − )
stazionari per ragioni di unicità. Inoltre, i rapporti incrementali f (UU)−f
−U −
sono crescenti
al crescere di U per via della convessità, ragion per cui tutto il secondo membro della (4.55)
è negativo. Ma ciò contraddice il fatto che U sia crescente (dato che U (−∞) < U (+∞)).
Per cui nessun profilo esiste nel caso U − < U + . Supponiamo invece ora che U − > U + .
Si verifica facilmente che anche in questo caso il secondo membro della (4.55) è negativo,
quindi non vi è nessun ostacolo all’esistenza del profilo U .
Calcoliamo ora esplicitamente la soluzione nel caso particolare f (u) = u2 /2. Essendo
f convessa, occorre scegliere U + < U − . Per semplificare i calcoli, scegliamo U + = 0 e
U − = 1, il che implica σ = 1/2. La (4.55) diventa
1
U0 = (U − 1)U (4.56)
2ν
Separando le variabili nell’equazione differenziale precedente, imponendo la condizione
U (0) = U 0 ∈ (0, 1), si ottiene la soluzione
U0
U (ξ) = ξ ,
U 0 + (1 − U 0 )e 2ν
U0
u(x, t) = 2x−t (4.57)
U 0 + (1 − U 0 )e 4ν
Analizziamo ora il comportamento della u al tendere di ν a zero. Si vede subito che nel
caso in cui 2x > t il termine esponenziale tende a +∞, e dunque tutta la frazione tende
4.10. VISCOSITÀ EVANESCENTE 71
a zero. D’altra parte, se supponiamo 2x < t, si vede come il termine esponenziale tenda a
zero, mandando la frazione ad uno al limite. Riassumendo,
(
1 if 2x < t
lim u(x, t) = .
ν&0 0 if 2x > t
Abbiamo dunque ottenuto la soluzione di tipo onda di shock trattata nel esempio 4.5.2,
che risolve in senso debole l’equazione di Burgers ut + uux = 0. Come spiegheremo nel
prossimo paragrafo, ciò costituisce una giustificazione della nozione di ammissibilità degli
shock data nella sezione 4.5.
La dimostrazione della formula precedente è lasciata per esercizio. Abbiamo cosı̀ ottenuto
la seguente formula per ρ,
√ x2
νC
√ e− 4νt
tπ
ρ(x, t) = R x − y2 dy .
C
1− √
4νπt −∞
e 4νt
Ponendo
x 1
z= √ , R=
2 t ν
e moltiplicando numeratore e denominatore per eM R/2 , otteniamo
2
(eM R/2 − 1)e−Rz
ρ= √ h√ R z √R i.
tR πeM R/2 + (1 − eM R/2 ) −∞
e−y2 dy
lim √ √ R +∞ .
R→+∞
tR π + eM R/2 z√R e−y2 dy
Consideriamo
√ anzitutto il caso z < 0. Sotto questa condizione, l’integrale a denomina-
tore tende a π, cosicché l’intera frazione è maggiorata definitivamente da
eM R/2 2
√ = √ → 0.
3 tRπ M R/2 3 tRπ
2
e
Abbiamo dunque mostrato che il limite in questione è nullo sotto la condizione z < 0, che
è equivalente ad x < 0. Prima di analizzare il caso z > 0 risolviamo il seguente esercizio.
In virtù del risultato nell’esercizio precedente, possiamo affermare che nel caso in cui
z > 0 il limite in questione è equivalente al seguente
M
eR( 2 −z )
2
lim .
R→+∞ √ √
e ( 2√ )
R M −z 2
tR π + 2z R
4.10. VISCOSITÀ EVANESCENTE 73
q
Nel caso in cui z > M2 , il numeratore tende a zero mentre il denominatore tende a +∞.
Di conseguenza, sotto la condizione
√
x > 2M t
q
il limite è ancora nullo. Il caso più interessante è quello in cui 0 < z < M2 , ovvero
√
0<x< 2M t.
1. Le vibrazioni della corda sono piccole. Ciò significa che abbiamo piccoli cambiamenti
nella forma della corda rispetto all’orizzontale.
3. Lo spostamento verticale di un punto dipende dal tempo e dalla sua posizione sulla
corda. Se si indica con u lo spostamento verticale di un punto che si trova in posizione
x quando la corda è a riposo, abbiamo dunque u = u(x, t).
4. La corda è perfettamente flessibile. Essa non offre cioè nessuna resistenza alla fles-
sione. In particolare, lo sforzo può essere modellato con una forza diretta tangenzial-
mente alla corda, di intensità T , detta tensione.
L’equazione può essere dedotta dalla legge di conservazione della massa e da quella del
bilancio del momento lineare che, date le ipotesi semplificatrici fatte, ricaviamo con un
ragionamento diretto. Sia ρ0 = ρ0 (x) la densità lineare di massa della corda in posizione di
equilibrio e ρ = ρ(x, t) la densità al tempo t. Consideriamo il tratto di corda corrispondente
ad un arbitrario intervallo [x, x + ∆x] e indichiamone con
p
ds = 1 + u2x (x, t) dx
75
76 CAPITOLO 5. FENOMENI VIBRATORI: L’EQUAZIONE DELLE ONDE
L’equazione del bilancio del momento si ricava uguagliando la forza totale agente sul generi-
co tratto considerato al tasso di variazione del momento lineare. Poiché il moto è verticale,
le componenti orizzontali delle forze devono bilanciarsi. Se T (x) indica la tensione in x,
deve essere
T (x + ∆x) cos α(x + ∆x) − T (x) cos α(x) = 0
Dividendo per ∆x e passando al limite per ∆x → 0, si ha
∂
[T (x) cos α(x)] = 0
∂x
da cui
T (x) cos α(x) = τ (5.2)
dove τ non dipende da x (potrebbe dipendere da t) ed è positiva, essendo l’intensità della
componente orizzontale della tensione. Calcoliamo le componenti verticali delle forze agenti
sul tratto in esame. Per la tensione si ha, usando la (5.2):
Possiamo poi considerare il peso ed eventuali carichi esterni. Usando la (5.1) il peso è dato
da:
x+∆x
Z x+∆x
Z x+∆x
Z
p
− ρg ds = 2
ρg 1 + ux dx = − ρ0 g dx
x x x
La componente dovuta ad un carico esterno per unità di massa, la cui risultante si può
descrivere mediante una funzione F = F (x, t), data da:
x+∆x
Z x+∆x
Z
ρF ds = ρ0 F dx
x x
5.2. L’EQUAZIONE DELLE ONDE IN ELETTROMAGNETISMO 77
Si può ora scrivere la legge di bilancio del momento lineare, coerentemente con la legge di
Newton della meccanica:
x+∆x
Z x+∆x
Z
ρ0 utt dx = τ [ux (x + ∆x) − ux (x)] + ρ0 (F − g) dx
x x
si ottiene →
−
−
→ ∂B ∂ →
−
−∆ E = −∇ × = − (∇ × B ),
∂t ∂t
1
Si veda ad esempio il libro di Mencuccini e Silvestrini Fisica II, Capitolo 9.
78 CAPITOLO 5. FENOMENI VIBRATORI: L’EQUAZIONE DELLE ONDE
ZL
1
Ecin (t) = ρ0 u2t dx
2
0
ove l’ultima relazione sta ad indicare l’equivalenza tra i due infinitesimi (ux è piccolo
per ∆x piccolo). Essa si ricava facilmente usando lo sviluppo di Taylor centrato in zero
dell’integranda. Pertanto, il lavoro compiuto dalle forze elastiche su questo elemento di
corda è
1
dW = τ u2x dx
2
Sommando i contributi di tutti gli elementi di corda si ottiene per l’energia potenziale
totale l’espressione
ZL
1
Epot (t) = τ u2x dx
2
0
ZL
1
E(t) = [ρ0 u2t + τ u2x ] dx
2
0
5.4. UNICITÀ DELLA SOLUZIONE 79
per cui
ZL
0
E (t) = [ρ0 utt − τ uxx ]ut dx + τ [ux (L, t)ut (L, t) − ux (0, t)ut (0, t)].
0
ZL
0
E (t) = ρ0 f ut dx + τ [ux (L, t)ut (L, t) − ux (0, t)ut (0, t)]. (5.4)
0
E 0 (t) = 0
per ogni t ≥ 0. Siano ora u e v soluzioni del nostro problema di Cauchy-Dirichlet, con gli
stessi dati iniziali e al bordo. La differenza w = u − v soddisfa lo stesso problema con dati
iniziali e al bordo nulli, come conseguenza del principio di sovrapposizione (l’equazione
delle onde è lineare). In particolare, wt (x, 0) = wx (x, 0) = 0 per cui, applicando la (5.5) a
w, si trova
E(t) = E(0) = 0
per ogni t > 0. Essendo Ecin (t) ≥ 0, Epot (t) ≥ 0, deve essere
Ecin (t) = 0, Epot (t) = 0
che implicano wt = wx = 0 e cioè w è costante. Essendo w(x, 0) = 0, deve essere w(x, t) = 0
per ogni t > 0, che significa u = v. La soluzione trovata è quindi l’unica.
La soluzione di questo problema si può esprimere mediante una celebre formula che dimos-
triamo subito. L’equazione delle onde si può fattorizzare nel modo seguente:
(∂t − c∂x )(∂t + c∂x )u = 0
Poniamo
v = ut + cux (5.6)
Allora v soddisfa l’equazione del trasporto lineare
vt − cvx = 0
e quindi (vedi sezione 4.2)
v(x, t) = ψ(x + ct)
con ψ arbitraria, differenziabile. Da (5.6)
ut + cux = ψ(x + ct)
la cui soluzione generale è (vedi ancora sezione 4.2)
Zt
u(x, t) = ψ(x − c(t − s) + cs) ds + ϕ(x − ct) =
0
[y = x − ct + 2cs]
x+ct
Z
1
= ψ(y) dy + ϕ(x − ct) (5.7)
2c
x−ct
5.6. SOLUZIONE FONDAMENTALE 81
ξ − ct ≤ x ≤ ξ + ct
che si chiama dominio di influenza di ξ. Dal punto di vista fisico, ciò significa che il il
segnale viaggia con velocità c lungo le caratteristiche γξ+ , di equazione x + ct = ξ e γξ− , di
equazione x − ct = ξ: una perturbazione inizialmente localizzata in ξ non viene avvertita
nel punto x fino al tempo
|x − ξ|
t= .
c
E’ piuttosto istruttivo risolvere il problema di Cauchy con g ≡ 0 ed un dato h molto
particolare: la delta di Dirac nel punto ξ e cioè h(x) = δ(x − ξ). In pratica, stiamo
considerando le vibrazioni di una corda generate da un impulso unitario localizzato nel
82 CAPITOLO 5. FENOMENI VIBRATORI: L’EQUAZIONE DELLE ONDE
è un impulso
R x unitario di durata ε, allora limε→0 Iε (x) = δ(x). Sembra allora coerente
calcolare −∞ δ(y) dy mediante la formula
Zx Zx
δ(y) dy = lim Iε (y) dy
ε→0
−∞ −∞
Rx Rx
che ha un’aria innocua. Infatti, se x < −ε, −∞ Iε (y) dy = 0 mentre se x > ε, −∞ Iε (y) dy =
1. Se facciamo tendere ε a zero si ottiene 0 se x < 0 e 1 se x ≥ 0, che è la funzione di
Heaviside. Il risultato è dunque:
Zx
δ(y) dy = H(x) (5.11)
−∞
neppure tanto sorprendente, se si ricorda che H 0 = δ. Tutto quadra. Si può quindi scrivere:
x+ct
Z x+ct
Z x−ct
Z
δ(y − ξ) dy = δ(y − ξ) dy − δ(y − ξ) dy (5.12)
x−ct −∞ −∞
1
K(x, ξ, t) = [H(x − ξ + ct) − H(x − ξ − ct)] (5.13)
2c
5.7. EFFETTI DI DISPERSIONE E DISSIPAZIONE 83
Per risolverlo usiamo il metodo di Duhamel. Per s fissato, sia w = w(x, t; s) soluzione del
problema
wtt − c2 wxx = 0
x ∈ R, t > 0
w(x, s; s) = 0 x∈R
wt (x, s; s) = f (x, s) x∈R
x+c(t−s)
Z
1
w(x, t; s) = f (y, s) dy
2c
x−c(t−s)
x+c(t−s)
Z t Z t Z
1
u(x, t) = w(x, t; s) ds = ds f (y, s) dy
0 2c 0
x−c(t−s)
La formula mostra come il valore di u nel punto (x, t) dipenda dai valori della forzante
esterna in tutto il settore triangolare Sx,t .
ρ0 utt = (Tvert )x
dove Tvert è la componente verticale della tensione. L’ipotesi di piccola ampiezza delle
vibrazioni corrisponde sostanzialmente ad assumere che
Tvert = τ ux (5.15)
La costante γ è da ritenersi non negativa: infatti se in un punto si ha, per esempio ux > 0 e
l’energia decresce, ci aspettiamo che la pendenza della corda decresca nel tempo e cioè che
(ux )t < 0. Poiché anche la tensione decresce, coerentemente deve essere γ ≥ 0. Si ottiene
allora l’equazione del terzo ordine
ρ0 utt − τ uxx + γuxxt = 0 (5.16)
Nonostante la presenza del termine uxxt , i problemi ben posti per l’equazione della corda
continuano ad essere ben posti per la (5.16). In particolare, i problemi di Cauchy-Dirichlet
e di Cauchy-Neumann sono ben posti sotto ragionevoli condizioni sui dati. L’unicitá della
soluzione segue ancora una volta dal fatto che l’energia meccanica totale decresce; infatti,
con i soliti calcoli si trova Z L
0
E (t) = − γρ0 u2xt ≤ 0
0
5.7.3 Dispersione
Se la corda è sottoposta ad una forza elastica di richiamo proporzionale ad u, l’equazione
diventa
utt − c2 uxx + λu = 0 (λ > 0)
rilevante anche in meccanica quantistica relativistica, dove prende il nome di equazione
di Klein-Gordon linearizzata. Per sottolineare meglio l’effetto del termine λu si cercano
soluzioni che siano onde armoniche del tipo
u(x, t) = Aei(kx−wt)
Sostituendo nell’equazione differenziale si trova la relazione di dispersione
√
w2 − c2 k 2 = λ ⇒ w(k) = ± c2 k 2 + λ
Abbiamo√ dunque onde che si propagano verso destra e verso sinistra con velocitá di fase2
2
= √cc2 k|k|
2 k 2 +λ
cp (k) = c |k| e velocitá di gruppo cg = dw
dk 2 +λ . Si osservi che cg < cp .
Si puó ottenere un treno discreto di onde sovrapponendo onde dispersive con diverso
numero d’onde:
N
X
u(x, t) = Aj ei(kj x−wj t)
j=1
q
mantenendo valida la relazione wj = ± c2 kj2 + λ. Le onde corrispondenti a numeri d’on-
da diversi si propagano a velocitá diverse. Si puó generalizzare sovrapponendo infinite
armoniche purché le ampiezze Aj si smorzino con sufficiente rapiditá per j → ∞ ed infine
si puó pensare di ottenere soluzioni corrispondenti ad un pacchetto d’onde della forma
Z+∞
u(x, t) = A(k)ei[kx−w(k)t] dk (5.17)
−∞
2
Ricordiamo che la velocità di fase è il rapporto w/k.
86 CAPITOLO 5. FENOMENI VIBRATORI: L’EQUAZIONE DELLE ONDE
con un integrazione su tutti i possibili numeri d’onda. Si noti che in tal caso
Z+∞
1
u(x, 0) = A(k)eikx dk
2π
−∞
Ciò significa che, anche se la condizione iniziale é localizzata in un intervallo molto piccolo,
tutte le lunghezze d’onda contribuiscono al valore della soluzione. Si noti che la dispersione
non comporta effetti di dissipazione di energia. Per esempio, nel caso della corda fissata
agli estremi, l’energia meccanica totale è data da
ρ0 L 2
Z
E(t) = (ut + c2 u2x + λu2 ) dx
2 0
ed è facile verificare che E 0 (t) = 0, t > 0.
Come nel caso della corda vibrante si utilizza il metodo di separazione delle variabili,
cercando prima soluzioni della forma
q 00 (t)v(x, y) − c2 q(t)∆v(x, y) = 0
e (
Y 00 (y) + ν 2 Y (y) = 0
Y (0) = Y (a) = 0
Le cui soluzioni risultano essere:
mπ
X(x) = Am sin(µm x), µm =
a
nπ
Y (y) = Bn sin(νn y), νn =
a
2 2 2
con m, n = 1, 2, .... Poiché λ = ν + µ , si ha
π2 2
λ2mn = (m + n2 ), m, n = 1, 2... (5.21)
a2
corrispondenti alle soluzioni
vmn (x, y) = Cmn sin(µm x) sin(νn y).
Quando λ è uno dei valori λmn , l’integrale generale della (5.19) è
qmn = a ∗mn cos(cλmn t) + b ∗mn sin(cλmn t)
Si è cosı̀ trovata la seguente successione doppia di soluzioni che si annullano al bordo:
umn = (amn cos(cλmn t) + bmn sin(cλmn t)) sin(µm x) sin(νn y)
Ciascuna delle umn corrisponde ad un particolare√ modo di vibrazione della membrana. La
frequenza fondamentale di vibrazione è f11 = c2a2 , corrispondente
√
a m = n = 1, mentre
c m2 +n2
le frequenze degli altri modi di vibrazione sono fmn = 2a
. Quando un tamburo è
sollecitato in maniera arbitraria, molti modi di vibrazione sono simultaneamente presenti
e il fatto che le frequenze di tali modi non siano multipli interi di quella fondamentale
produce una bassa qualità musicale dei toni emessi.
Tornando al problema di partenza, per trovare la soluzione che soddisfi anche i dati
iniziali sovrapponiamo le umn , definendo:
∞
X
u(x, y, t) = (amn cos(cλmn t) + bmn sin(cλmn t)) sin(µm x) sin(νn y)
m,n=1
hmn
Se poi i coefficienti cλ mn
tendono a zero abbastanza rapidamente, si può provare che la
(5.23) è effettivamente l’unica soluzione.
Ricordando la definizione data sopra per le tre grandezze ũ, g̃, h̃ l’espressione precedente
nella zona (x ≥ 0, t ≥ 0) può essere espressa come:
x+t
1 1
R
2 [g(x + t) + g(x − t)] + 2
h(y) dy (x ≥ t ≥ 0)
x−t
u(x, t) = x+t (5.25)
1 1
R
2 [g(x + t) − g(t − x)] + 2 h(y) dy (0 ≤ x ≤ t)
t−x
Si vuole ottenere una formula esplicita per u, in termini di g, h. Il metodo sarà quello
di studiare prima la media di u su determinate sfere. Tali medie, espresse in funzione del
tempo t e del raggio r, permettono di risolvere l’equazione di Eulero-Poisson-Darboux, una
PDE che può essere trasformata in un’ equazione delle onde ordinaria per valori dispari di n.
Tale formula risolutiva si ottiene applicando la variante (5.25) della formula di D’Alembert.
Sia x ∈ Rn , t > 0, r > 0. Si definisce
Z
U (x; r, t) := u(y, t) dS(y) (5.27)
∂B(x,r)
la media di u(·, t) sulla sfera ∂B(x, r). Allo stesso modo siano definite:
R R
G(x; r) := g(y) dS(y)H(x; r) := h(y) dS(y) (5.28)
∂B(x,r) ∂B(x,r)
Per x fissato d’ora innanzi si intenderà U come funzione di r e t, ed essa risolve l’equazione
di Eulero-Poisson-Darboux: Lemma Sia fissato x ∈ Rn , e sia u soluzione di (5.26). Allora
u ∈ C m (R+ × [0, ∞)) e
n−1
Utt − Urr − r Ur = 0 in R+ × (0, ∞)
U =G su R+ × (t = 0) (5.29)
Ut = H su R+ × (t = 0)
5.10. SOLUZIONE IN DIMENSIONE TRE 91
L’equazione differenziale alle derivate parziali che compare in (5.29) ,è, come detto, l’e-
quazione di Eulero-Poisson-Darboux. (Si noti che il termine Urr + n−1 r
Ur è la parte radiale
del Laplaciano ∆ espresso in coordinate polari.
Si consideri il caso n = 3 e si ipotizzi che u ∈ C 2 (R3 × [0, ∞)) risolva il problema ai
valori iniziali (5.26). Richiamando le definizioni (5.27) e (5.28) di U, G, H e ponendo poi:
Ũ := rU (5.30)
(
G̃ := rG
(5.31)
H̃ := rH
Ora si mostrerà che Ũ risolve:
Ũtt − Ũrr = 0 in R+ × (0, ∞)
Ũ = G̃ su R+ × t = 0
(5.32)
Ũt = H̃ su R+ × t = 0
su r = 0 × (0, ∞)
Ũ = 0
Poichè la (5.27) implica u(x, t) = limr→0+ U (x; r, t), tenendo conto delle (5.30),(5.31),(5.33)
si ottiene:
Zt+r
Ũ (x; r, t) G̃(t + r) − G̃(t − r) 1
u(x, t) = lim+ = lim+ + H̃(y) dy = G̃0 (t) + H̃(t)
r→0 r r→0 2r 2r
t−r
Ma Z Z
g(y) dS(y) = g(x + tz) dS(z)
∂B(x,t) ∂B(0,1)
92 CAPITOLO 5. FENOMENI VIBRATORI: L’EQUAZIONE DELLE ONDE
E cosı̀:
Z
y−x
Z Z
∂
g dS = Dg(x + tz)z dS(z) = Dg(y) dS(y)
∂t ∂B(x,t) t
∂B(0,1) ∂B(x,t)
Quella appena mostrata (5.35) è la formula di Kirchhoff per la soluzione del problema ai
valori iniziali in tre dimensioni (5.26).
per
ḡ(x1 , x2 , x3 ) := g(x1 , x2 )
h̄(x1 , x2 , x3 ) := h(x1 , x2 )
Scrivendo x = (x1 , x2 ) ∈ R e x̄ = (x1 , x2 , 0) ∈ R3 , allora la (5.37) e la formula di Kirchhoff
2
dove B̄(x̄, t) rappresenta la sfera in R3 con centro x̄, raggio t > 0, e dS̄ rappresenta la
superficie bidimensionale sul bordo ∂ B̄(x̄, t). La (5.38) può essere semplificata osservando
che Z Z Z
1 2 2 21
ḡ dS̄ = ḡ dS̄ = g(y)(1 + |Dγ(y)| ) dy
∂ B̄(x̄,t) 4πt2 ∂ B̄(x̄,t) 4πt2 B(x,t)
5.11. SOLUZIONE IN DIMENSIONE DUE 93
1
dove γ(y) = (t2 −|y −x|2 ) 2 per y ∈ B(x, t). Il fattore 2 compare in quanto ∂ B̄(x̄, t) consiste
di due semisfere.
1 1
Si osservi che (1 + |Dγ|2 ) 2 = t(t2 − |y − x|2 )− 2 , da cui:
Z Z Z
1 g(y) t g(y)
ḡ dS̄ = 1 dy = dy
∂ B̄(x̄,t) 2πt B(x,t) (t2 − |y − x|2 ) 2 2 B(x,t) (t2 − |y − x|2 ) 21
Ma essendo:
Z Z
2 g(y) g(x + tz)
t 1 dy = t 1 dz
B(x,t) (t2 − |y − x|2 ) 2 B(0,1) (1 − |z|2 ) 2
E quindi
Z ! Z Z
∂ 2 g(y) g(x + tz) Dg(x + tz)z
t 1 dy = 1 dz + t 1 dz =
∂t B(x,t) (t2 − |y − x|2 ) 2 B(0,1) (1 − |z|2 ) 2 B(0,1) (1 − |z|2 ) 2
Dg(y)(y − x)
Z Z
g(y)
=t 1 dy + t 1 dy
B(x,t) (t2 − |y − x|2 ) 2 B(x,t) (t2 − |y − x|2 ) 2
per x ∈ R2 , t > 0.
Questa è la formula di Poisson per la soluzione del problema ai valori iniziali in due
dimensioni (5.26)
94 CAPITOLO 5. FENOMENI VIBRATORI: L’EQUAZIONE DELLE ONDE
Capitolo 6
Questo capitolo è dedicato alla formulazione su base fenomenologica delle equazioni macro-
scopiche del moto di un mezzo continuo.
per una certa funzione ρ(x, t) detta densità (di massa). In altre parole, in ogni volume
elementare dx centrato in un generico punto x ∈ R3 è contenuta una massa ρ(x, t)dx, cor-
rispondente alla presenza di un enorme numero di molecole nell’elemento di volume dx. Il
punto di vista continuo ignora l’individualità di tali particelle e studia il comportamento di
questo elemento macroscopico nel suo insieme. Una parte del sistema continuo, contenuta
in un volume dx centrato intorno al punto x al tempo t sarà detta elemento materiale o
particella del sistema continuo e x sarà detta posizione della particella al tempo t. Sotto-
lineamo ancora una volta che una particella del continuo non deve essere confusa con una
molecola, rappresentando invece un agglomerato di un numero molto grande di molecole.
La posizione di ciascuna particella del sistema continuo varia nel tempo. Per individua-
re in modo univoco ciascuna particella del sistema continuo utilizzeremo ad esempio le
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96 CAPITOLO 6. MOTO DI UN SISTEMA CONTINUO
Φ(X, 0) = X. (6.1)
Assumeremo che la funzione Φ sia differenziabile rispetto ad X e t e che, per ogni t, sia
invertibile come funzione di X. Esiste cioè una funzione x → Φ−1 (x, t) tale che
Questa assunzione, che implica che ciascuna particella (macroscopica) mantiene la sua
individualità nel corso del tempo, traduce il fatto che due distinti elementi materiali non
possono mai occupare la stessa posizione (impenetrabilità dei corpi). Le condizioni di
regolarità sono essenziali agli sviluppi futuri e il loro venir meno corrisponde al verificarsi
di fenomeni per i quali il modello che ci accingiamo a formulare diviene inadeguato. La
funzione (X, t) → Φ(X, t) è detta moto o flusso del sistema continuo. L’invertibilità
di Φ mostra che possiamo indifferentemente individuare la generica particella del sistema
continuo mediante le sue coordinate X all’istante iniziale oppure mediante le sue coordinate
x al tempo t. La descrizione in termini delle X è detta descrizione Lagrangiana mentre
quella in termini delle x è detta descrizione Euleriana.
Si consideri ora la matrice F = ∇X Φ di componenti
∂Φi (X, t)
Fi,j (X, t) = , i, j = 1, . . . , 3. (6.2)
∂Xj
Per ogni X fissato, la curva t → Φ(X, t) si dice traiettoria della particella X. La velocità
e l’accelerazione della particella X al tempo t sono date ovviamente dalle espressioni
∂Φ(X, t) ∂ 2 Φ(X, t)
u
e(X, t) = , a(X, t) = . (6.3)
∂t2
e
∂t
I campi vettoriali X → u
e(X, t) e X → e a(X, t) sono detti rispettivamente campo di velocità
Lagrangiano e campo di accelerazione Lagrangiano al tempo t. Si supponga ora fissato il
punto x e si denotino con u(x, t) ed a(x, t) la velocità e l’accelerazione della particella che
transita per x al tempo t:
∂
Φ(X, t) = u(Φ(X, t), t). (6.5)
∂t
Quando il campo di velocità Euleriano u(x, t) è noto, questa equazione, insieme alla con-
dizione (6.1), può essere interpretata come un problema di Cauchy per un sistema dinamico
avente per flusso integrale X → Φ(X, t).
La relazione tra i campi di velocità ed accelerazione Lagrangiani ed Euleriani vale più
in generale per una qualunque osservabile ‘Euleriana’ g(x, t), (cioè una quantità osservabile
misurata nell’ambito di una descrizione Euleriana) e la sua corrispondente osservabile ‘La-
grangiana’ ge(X, t) (cioè la medesima osservabile misurata nella descrizione Lagrangiana).
Essa è data da
ge(X, t) = g(Φ(X, t), t), g(x, t) = ge(Φ−1 (x, t), t), (6.6)
che estende in modo ovvio la (6.4). Notiamo che tra le derivate temporali di un’osservabile
Lagrangiana ed Euleriana sussiste la seguente relazione:
∂ ∂
ge(X, t) = g(x, t) + u(x, t) · ∇x g(x, t) (6.7)
∂t ∂t
quando x ed X sono legati dalla relazione x = Φ(X, t). Per ottenere la relazione (6.7)
basta differenziare la prima delle (6.6) con la regola di derivazione delle funzioni composte,
D ∂
= + u(x, t) · ∇x .
Dt ∂t
In particolare, per g(x, t) = u(x, t) si ottiene
∂u(x, t) Du
a(x, t) = + u(x, t) · ∇x u(x, t) = (x, t).
∂t Dt
formulazione delle equazioni del moto per i sistemi continui saremo interessati a considerare
quantità che si esprimono come integrali di osservabili su volumi materiali, della forma
Z
g(x, t)dx
At