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Tesi di Laurea in
Fisica Teorica
MODELLO FRATTALE
DELL’UNIVERSO ED
ENERGIA OSCURA
Relatore
Dr.TEDESCO Luigi
Laureanda
CAGNETTA Fiorella Maria
Introduzione 1
1 I frattali 5
1.1 Introduzione storica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5
1.2 Proprietà dei frattali: auto similarità e dimensione . . . . . . . . 6
1.2.1 La curva di Koch . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9
1.2.2 L’insieme di Mandelbrot . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10
1.3 Frattali ed economia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13
v
INDICE
Conclusioni 83
Bibliografia 89
vi
Introduzione
1
INTRODUZIONE
come l’energia del vuoto. Il modello, noto come modello “Λ-Cold Dark Matter”
si basa su un assunto fondamentale, detto Principio Cosmologico, che afferma
che l’Universo è omogeneo e isotropo, ossia sempre uguale a grande scala da
qualunque punto lo si osservi.
Il perfezionamento delle tecniche di rilevamento, tuttavia, ha mostrato, nel corso
degli anni, che gli oggetti celesti si accorpano in ammassi, che a loro volta
tendono ad unirsi per formare superammassi creando uno scenario in cui si ha
il susseguirsi di bolle di vuoto quasi assoluto sulle cui superfici si ramificano
filamenti di galassie. Nelle zone del cosmo in cui due bolle vengono a contatto
aumenta la presenza degli ammassi e dei superammassi.
In questo contesto si colloca una nuova teoria ed una nuova interpretazione
dei dati relativi alla distribuzione degli ammassi galattici su grandi scale, for-
mulata dal fisico italiano Luciano Pietronero e dai suoi collaboratori. Questa
ricerca cerca di spiegare e descrivere la struttura su larga scala dell’Universo
ricorrendo ai canoni dettati dalla geometria frattale. Applicando inoltre metodi
propri dell’analisi statistica ed escludendo l’assunzione aprioristica di un Prin-
cipio Cosmologico, tale teoria mostra che le strutture dell’Universo tendono ad
“ammassarsi” generando zone di vuoto e filamenti, ovvero la materia segue una
distribuzione intrinsecamente frattale. La possibilità che vi sia una distribuzione
frattale su grandi scale nell’Universo è un fatto estremamente rilevante per la
cosmologia moderna. E’ bene osservare che nell’ambito della “cosmologia fratta-
le” si fa riferimento alla materia visibile luminosa, questo tuttavia non esclude
che la materia oscura possa seguire lo stesso andamento. Sulla base di queste
considerazioni l’accelerazione dell’Universo e di conseguenza l’energia oscura
non avrebbero modo di esistere.
Il presente lavoro di tesi è dedicato allo studio di un modello di Universo che
prescinde dal Principio Cosmologico e, privilegiando un Principio Cosmologi-
co Condizionale secondo cui ogni osservatore occupa un punto materiale della
struttura, si pone lo scopo di mostrare che è possibile evitare l’introduzione del-
l’energia oscura, giustificando l’apparente espansione attraverso la distribuzione
frattale della materia stessa. Il riscontro sperimentale sarà effettuato soltanto
2
INTRODUZIONE
3
INTRODUZIONE
4
Capitolo 1
I frattali
5
1.2. PROPRIETÀ DEI FRATTALI: AUTO SIMILARITÀ E DIMENSIONE
6
1.2. PROPRIETÀ DEI FRATTALI: AUTO SIMILARITÀ E DIMENSIONE
quella più nota ed importante, dal momento che si basa su metodi di misura
relativamente facili da trattare.
A tal proposito supponiamo di voler misurare un insieme di punti S ∈ Rn ,
dove Rn rappresenta lo spazio a n dimensioni che dividiamo in celle di lato
(o, equivalentemente, in sferette di raggio /2), dove rappresenta il cosiddetto
passo di approssimazione. Detto N () il numero minimo di celle (o sferette)
necessarie per ricoprire completamente l’insieme, la quantità:
7
1.2. PROPRIETÀ DEI FRATTALI: AUTO SIMILARITÀ E DIMENSIONE
Nel suo libro The Fractal Geometry of Nature Mandelbrot definisce frattale un
insieme la cui dimensione secondo Hausdorff-Besicovitch eccede rigorosamente
la dimensione topologica1 , sempre definita da un numero intero.
Si tratta di una definizione molto utile, come vedremo in seguito, soprattutto nel
caso delle distribuzioni di galassie nell’Universo, per le quali è possibile calcolare
M (R) dal numero di galassie all’interno di una sfera centrata su un punto della
distribuzione stessa.
1
La dimensione topologica di un insieme è data dal più piccolo valore n per cui ogni
ricoprimento aperto (insieme di aperti Uα la cui unione coincide con l’insieme) dell’insieme
ha un raffinamento (insieme di aperti Vα tali che ogni Vα è contenuto in almeno un Uα ) in
cui ogni punto è contenuto in al più n + 1 insiemi.
2
Nel caso caso tridimensionale l’oggetto non giace in un piano ma nello spazio, motivo per
cui si considera una sfera.
8
1.2. PROPRIETÀ DEI FRATTALI: AUTO SIMILARITÀ E DIMENSIONE
La curva triadica di Koch, o fiocco di neve di Koch, è stata una delle prime
curve frattali ad essere descritte nel 1904 dal matematico svedese Helge von
Koch [5]. Per generare questa curva si considera un segmento detto iniziatore,
lo si taglia in tre parti uguali e si elimina il segmento centrale sostituendolo
con due segmentini uguali a quello eliminato. L’elemento ottenuto, formato
da quattro segmenti, viene chiamato generatore. Ripetendo l’operazione con
ciascuno dei quattro segmenti ottenuti e iterando il processo un numero infinito
di volte, si ottiene la curva riportata in figura 1.1.
9
1.2. PROPRIETÀ DEI FRATTALI: AUTO SIMILARITÀ E DIMENSIONE
dalle considerazioni fatte finora si ricava che la sua dimensione frattale è pari a
D = log4/log3 ∼ 1.2628.
La curva di Koch risulta interessante, poichè in grado di descrivere oggetti natu-
rali con proprietà frattali. Lo stesso Mandelbrot la propone come modello della
costa di un’isola nell’articolo How long is the coast of Britain? [6]. Egli infatti
sostiene che le coste siano curve che godono della proprietà di auto similarità:
ogni piccola porzione è un’immagine ridotta dell’insieme totale. Ne deriva che
la lunghezza della costa dipende dallo strumento di misura. Ogni qual volta si
riduce la lunghezza dello strumento di misura, la lunghezza della costa aumenta,
perché si prendono in considerazione sinuosità sempre più piccole.
10
1.2. PROPRIETÀ DEI FRATTALI: AUTO SIMILARITÀ E DIMENSIONE
11
1.2. PROPRIETÀ DEI FRATTALI: AUTO SIMILARITÀ E DIMENSIONE
12
1.3. FRATTALI ED ECONOMIA
Come detto nel paragrafo 1.1, la geometria frattale trova riscontro non soltanto
in ambito matematico, ma anche nel settore economico. L’applicazione ai grafici
di mercato di modelli previsti dalla geometria frattale, si deve ancora una volta
all’opera di Benoı̂t B. Mandelbrot [8], il quale ha introdotto un modello frattale
per lo studio della variazione dei prezzi sul mercato finanziario.
Il lavoro di Mandelbrot tende a criticare le ipotesi alla base della teoria del
portafoglio: ossia la teoria ”classica” che descrive le fluttuazioni dei prezzi del
mercato e prevede la ripartizione del capitale investito sulla base del rischio
atteso e del rendimento medio atteso. Le ipotesi della teoria, ritenute infondate,
sono le seguenti:
Gli eventi estremi sopra citati, che rappresentano le grandi fluttuazioni di mer-
cato, vengono sovente ritenuti estremamente improbabili e pertanto tralasciati
nei modelli matematici alla base della teoria economica classica. Tuttavia, spe-
rimentalmente si osserva che questi eventi, definiti rari, si verificano con proba-
bilità non del tutto trascurabili e comportano la presenza di picchi, anche molto
13
1.3. FRATTALI ED ECONOMIA
frequenti, nella gaussiana dei prezzi. Pertanto la teoria del portafoglio, risulta
essere inadeguata a descrivere gli effettivi andamenti del mercato dal momento
che non trova riscontro con la realtà sperimentale.
Prendendo le distanze dalla teoria del portafoglio, Mandelbrot ha introdotto
quindi un modello frattale in grado di fornire stime più accurate del rischio,
e capace di prevedere non solo le fluttuazioni ”classiche” descrivibili mediante
distribuzioni gaussiane, ma anche quelle fluttuazioni imprevedibili che la vecchia
teoria riteneva improbabili.
Il modello si basa sull’idea che i grafici di mercato, che descrivono l’andamento
di un titolo o di una valuta in funzione del tempo, mostrano proprietà simili
qualora si effettuino delle variazioni di entità diverse sulla scala dei tempi e su
quella dei prezzi. Questa proprietà, nota con il nome di autoaffinità, differisce
dall’autosomiglianza che invece prevede una variazione dello stesso ordine su
entambe le scale.
L’idea di Mandelbrot, dunque, è stata quella di utilizzare una funzione autoaf-
fine capace di descrivere qualsiasi tipo di fluttuazione che il mercato fosse in
grado di offrire. Il procedimento che permette di definire una funzione con tali
caratteristiche è analogo a quello visto nel paragrafo 1.2.1 per la generazione
della curva di Koch. Esso prevede l’utilizzo di un generatore opportuno, ad
esempio una linea spezzata caratterizzata da almeno tre segmenti in maniera
tale da poter rappresentare prezzi che possano crescere o diminuire e un pro-
cedimento ricorsivo in cui, ad ogni passo, si sostituisce ciascun segmento della
spezzata con una copia rimpicciolita della stessa spezzata. Il generatore può
essere invertito, in modo da simulare anche fluttuazioni negative.
Come si nota in figura 1.3, il risultato di questo algoritmo è un grafico frattale in
cui ogni segmento è una copia dell’intero: è proprio la proprietà di invarianza di
scala, già incontrata nel paragrafo 1.2. Osserviamo che ad ogni passo esso mostra
un andamento sempre più frastagliato, in grado di riprodurre le oscillazioni reali
dei prezzi del mercato.
Per concludere, modificando i parametri caratteristici del generatore, si otten-
gono dei generatori, detti multifrattali, che permettono di ottenere dei grafici
14
1.3. FRATTALI ED ECONOMIA
Figura 1.3: Il generatore frattale (grafico in alto) viene ripetuto in ciascun segmento dei
grafici successivi. L’andamento finale assomiglia all’andamento reale dei prezzi di mercato.
Immagine tratta da “LE SCIENZE 368/Aprile 1999”.
15
1.3. FRATTALI ED ECONOMIA
16
Capitolo 2
La struttura frattale
dell’Universo
Nel paragrafo precedente abbiamo visto come molti fenomeni naturali siano ca-
ratterizzati da strutture estremamente irregolari, descrivibili soltanto in termini
di frattali.
Un compito fondamentale della cosmologia consiste nello studiare come la ma-
teria si distribuisce nello spazio e come evolve nel tempo.
L’aspetto innovativo consiste nel fatto che probabilmente le “irregolarità” pre-
senti in strutture su grandi scale dell’Universo possono essere analizzate in
termini di frattali.
Per capire brevemente come la frattalità entra in cosmologia basti pensare che
se consideriamo la massa contenuta in un volume, essa cresce col cubo della
dimensione lineare. Invece, per i frattali, dato che si hanno molti vuoti nel
volume che li contiene, la massa diventa proporzionale ad una certa potenza D
della dimensione lineare, detta “dimensione frattale”, e risulta D < 3.
Su scale maggiori delle dimensioni della nostra galassia, infatti, le osservazioni
mostrano la presenza di enormi agglomerati di galassie che si alternano a grandi
17
2.1. FRATTALI E UNIVERSO
vuoti. Per tale motivo è possibile pensare che la struttura dell’Universo possa
essere spiegata ricorrendo ai metodi della geometria frattale.
Lo studio statistico della distribuzione delle galassie nello spazio si basa sull’uti-
lizzo di cataloghi astronomici, in cui sono riportate le coordinate spaziali di una
qualsiasi galassia. Fino a qualche anno fa, gli astronomi hanno utilizzato cata-
loghi bidimensionali, ottenuti riportando due coordinate angolari (la latitudine
galattica e la longitudine galattica) che determinano la posizione della galassia
nella volta celeste. La singola galassia viene successivamente indicata mediante
un punto su una sfera di raggio unitario centrata sulla nostra galassia, assunta
come origine del sistema di riferimento. Sebbene questi cataloghi non fossero
in grado di fornire una proiezione tridimensionale del cielo, l’analisi effettuata
mostrava la presenza di strutture su piccole scale e una distribuzione omogenea
su scale più grandi.
Alla fine degli anni settanta furono introdotti i primi cataloghi tridimensionali,
ottenuti riportando, in aggiunta alle coordinate angolari, due parametri carat-
teristici quali la magnitudo relativa m e il redshift z. La prima è un’unità di
misura della luminosità di un oggetto celeste rilevata dal nostro punto di os-
servazione, da non confondere con la magnitudo assoluta che, invece, misura
la luminosità intrinseca dell’oggetto stesso, mentre il redshift è una variabile
strettamente legata alla distanza d di una galassia dalla relazione lineare:
z = const × d, (2.1)
v = z × c, (2.2)
18
2.1. FRATTALI E UNIVERSO
v = H0 × d, (2.3)
Sono diversi i metodi statistici che sono stati utilizzati per analizzare le distribu-
zioni angolari (in due dimensioni) e le distribuzioni spaziali (in tre dimensioni)
19
2.1. FRATTALI E UNIVERSO
dei cataloghi delle galassie. Non ci addentreremo in tali metodi che possono
essere trovati in [12, 13].
N
n= , (2.4)
V
20
2.1. FRATTALI E UNIVERSO
Figura 2.2: La funzione di correlazione a due punti descrive l’eccesso di probabilità, rispetto
a una distribuione casuale di galassie, di trovare una galassia in un elemento di volume dV1
a distanza r da una galassia nell’elemento di volume dV2 .
dalla distanza r, è data dal prodotto delle singole probabilità1 (vedi figura 2.2):
Questa equazione, tuttavia, non tiene conto del fatto che la probabilità di trovare
una galassia in un punto possa aumentare o diminuire a seconda o meno della
presenza di un’altra galassia nelle vicinanze. Pertanto possiamo correggerla nel
seguente modo:
dP = n2 dV1 dV2 [1 + ξ(r)] , (2.6)
21
2.1. FRATTALI E UNIVERSO
Figura 2.3: Funzione di correlazione a due punti in scala bilogaritmica per il catalogo CfA.
22
2.1. FRATTALI E UNIVERSO
23
2.1. FRATTALI E UNIVERSO
quindi frattale fino ai limiti del campione studiato (80M pc) e ha stimato una
dimensione frattale D ≈ 2. Lo stesso risultato è stato ottenuto per i cataloghi di
ammassi di galassie che permettono di investigare porzioni di spazio maggiori
a causa della luminosità intrinseca maggiore rispetto a quella di una singola
galassia. Questo ha permesso di concludere che, a causa della proprietà di
invarianza di scala delle galassie, la distribuzione degli ammassi di galassie è la
stessa delle galassie, ma osservata a scale maggiori.
dove k rappresenta il numero d’onda, legato alla lughezza d’onda delle fluttua-
2π
zioni dalla relazione k = λ
.
La forma e l’ampiezza dello spettro di potenza permettono di ricavare informa-
zioni sulla natura e sulla quantità di materia presente nell’Universo utili nello
studio della formazione di strutture su larga scala.
24
2.1. FRATTALI E UNIVERSO
Il progetto iniziato nel 2000 e durato circa otto anni, ha utilizzato un telescopio
da 2, 5m di diametro situato presso l’Osservatorio di Apache Point nel Nuovo
Messico. Si tratta di un dispositivo dotato di una serie di rivelatori CCD in
grado di riprendere immagini in cinque bande ottiche (nell’ultravioletto e nel-
l’infrarosso) e di due spettroscopi digitali a cui la luce arriva tramite un fascio
di fibre ottiche in grado di misurare gli spettri (e quindi le distanze) di oltre 600
galassie e quasar in una singola osservazione.
Nella prima fase di osservazioni effettuate dal 2000 al 2005 (SDSS-I) sono stati
esaminati più di 8000 gradi quadrati2 di cielo, soprattutto nell’emisfero nord, in
cinque diverse bande spettrali ottenendo gli spettri di milioni di oggetti celesti.
La seconda fase (SDSS-II), invece, principalmente volta all’osservazione delle
stelle appartenenti alla nostra galassia (la Via Lattea), ha permesso l’osserva-
zione di supernovae di tipo IA in grado di fornire informazioni importanti per
lo studio della storia dell’Universo.
2
Il grado quadrato è un unità di misura di angoli solidi, non facente parte del Sistema
Internazionale. A differenza del grado che rappresenta un’unità di misura di parte di una
circonferenza, l’angolo quadrato viene utilizzato per misurare parti di una sfera.
25
2.2. PRINCIPIO COSMOLOGICO
la figura 2.4, possiamo notare che l’isotropia intorno ad ogni punto garantisce
che tutti i punti appartenenti alla circonferenza centrata sulla prima galassia
abbiano la stessa densità, condizione valida anche per i punti della circonferenza
centrata sulla seconda galassia. Poichè le due circonferenze possiedono un punto
in comune, la densità risulterà essere uguale per entrambe le circonferenze,
ovvero la materia è distribuita in maniera uniforme.
26
2.3. FRATTALI E DARK MATTER
27
2.3. FRATTALI E DARK MATTER
28
2.3. FRATTALI E DARK MATTER
su larga scala della materia oscura con quella del gas, lo studio dell’evoluzione
su larga scala della frazione di gas e la forma di aloni che la distribuzione di
materia oscura e gas assume.
Partendo dal lavoro di Gottlöber, José Gaite [22] ha successivamente sviluppato
un metodo di analisi multifrattale mostrando che le distribuzioni di gas e materia
oscura assumono aspetti frattali in un opportuno range di valori, il cui limite
superiore è definito dalla scala di omogeneità e quello inferiore dalla scala in cui
il sistema diventa discreto. In questo intervallo la distribuzione di materia si
può considerare omogenea e la dinamica non lineare.
In questo particolare intervallo non lineare Gaite ha calcolato gli spettri mul-
tifrattali relativi a materia oscura e gas con lo scopo di verificare la proprietà
di invarianza di scala, ottenendo spettri alquanto simili e la presenza di sin-
golarità comuni. Quest’ultimo aspetto ha origine fisica e deriva dal fatto che
materia oscura e gas sono dominate, su larga scala, dall’interazione gravitazio-
nale, la quale è in grado di produrre singolarità con leggi di potenza. Inoltre, il
fatto che le due componenti siano caratterizzate da dinamiche diverse (la ma-
teria oscura è soggetta all’interazione gravitazionale mentre la dinamica del gas
è molto più complessa) non interferisce con i principali aspetti che emergono
dall’analisi multifrattale delle distribuzioni. Si potrebbe dunque asserire che
l’intera struttura cosmica abbia un solo attrattore multifrattale, indipendente
dalle condizioni iniziali.
In ultimo c’è da dire che se le galassie sono distribuite in modo frattale ciò non
è necessariamente in contrasto col Principio Cosmologico se esiste una quantità
“giusta” di materia oscura, come messo in evidenza in [23].
29
2.3. FRATTALI E DARK MATTER
30
Capitolo 3
Cosmologia standard ed
accelerazione dell’Universo
Fino a pochi anni fa gli astronomi erano convinti che la gravità stesse rallentando
l’espansione dell’Universo. Ma nel 1998 due gruppi di ricerca indipendenti,
guidati da Saul Perlmutter [24], in USA (Supernova Cosmology Project), e da
Brian Schmidt1 [25], in Australia (High-Z Supernovae Search Team), osservando
supernovae lontane, realizzarono che le loro luminosità apparenti risultavano
essere inferiori ai risultati previsti dalla teoria cosmologica. Questa divergenza
fra i dati teorici e sperimentali ha permesso di concludere che l’Universo sta
attraversando una fase di espansione accelerata. In particolare, dopo una prima
fase di rallentamento l’Universo ha subito una transizione, circa 5 miliardi di
anni fa, ed ha iniziato ad accelerare.
I fisici e gli astronomi hanno cercato di spiegare questo fenomeno postulando
l’esistenza di una strana nuova forma di energia, detta energia oscura. La rea-
le natura dell’energia oscura è ancora sconosciuta e la formulazione di modelli
che ne possano spiegare l’origine rappresenta uno degli aspetti più misteriosi
1
Premiati con il Premio Nobel per la Fisica nel 2011, insieme ad Adam Riess [26].
31
3.2. LE SUPERNOVAE IA
3.2 Le supernovae Ia
32
3.2. LE SUPERNOVAE IA
lo stato di nana bianca prima che la sua compagna lasci la sequenza principale2
e diventi una gigante rossa. Quando questo avviene e le stelle sono abbastanza
vicine, è possibile che ci sia trasferimento di massa dalla gigante rossa alla nana
bianca, come mostra la figura 3.1. La stabilità della nana bianca è mantenuta
Figura 3.1: Trasferimento di massa da una gigante rossa a una nana bianca.
dalla pressione degli elettroni degenerati che ha origine dal principio di esclusio-
ne di Pauli e che si oppone al collasso gravitazionale cui la nana bianca sarebbe
naturalmente soggetta. La massa di Chandrasekhar [27], pari a 1.44 volte la
massa del Sole, è definita come il valore limite che la massa di un corpo può
raggiungere e che garantisce una condizione di equilibrio in cui la gravità bilan-
cia perfettamente la pressione di degenerazione. Se il trasferimento di massa
sopra citato è tale da oltrepassare il limite di Chandrasekhar, il collasso gravita-
zinoale predomina, la stella si contrae comportando un aumento drastico della
temperatura che provoca l’accensione esplosiva del carbonio, nota come defla-
2
La sequenza principale è una curva molto particolare che rappresenta il cammino evo-
lutivo di una stella attraverso fasi diverse fino al raggiungimento degli stadi terminali che
rappresentano la fine del suo ciclo vitale. Essa appare nel diagramma di Hertzsprung-Russell,
importante strumento teorico utilizzato per classificare le stelle mettendo in relazione i valori
di temperatura effettiva e luminosità di ogni singola stella.
33
3.2. LE SUPERNOVAE IA
grazione. Dal momento che l’esplosione coinvolge una quantità fissa di massa,
è ragionevole affermare che essa rilasci una quantità fissa di energia. Questa
energia è sufficiente per far esplodere completamente la stella. La fusione nu-
cleare nelle supernovae di tipo Ia converte il carbonio e l’ossigeno presenti nel
56 56
nucleo della nana bianca in N i, che succeessivamente decade in Co e infine
56 56
in F e. Non tutto il materiale è però convertito in N i e questo giustifica la
presenza delle linee di assorbimento del silicio nello spettro delle supernovae di
56
tipo Ia. Secondo i modelli teorici la quantità di N i prodotta è di ∼ 0.5M .
L’analisi delle curve3 di luce permette di ottenere importanti informazioni circa
i meccanismi che regolano la formazione della supernova. In primo luogo si
osserva che la luminosità della supernova aumenta rapidamente nelle prime due
o tre settimane dopo l’esplosione fino a raggiungere un valore massimo, e poi
decresce lentamente nei mesi successivi. La luminosità del picco risulta essere
elevatissima, confrontabile con quella della galassia ospitante. Un’ulteriore pro-
prietà delle curve di luce delle supernovae Ia è la loro uniformità: è possibile
sovrapporre le curve una alle altre, come mostra la figura 3.2.
L’apparente uniformità e l’elevata luminosità del picco, che risulta avere un va-
lore standard in ogni parte dell’Universo, permettono di utilizzare le supernovae
Ia come candele standard, ovvero oggetti di cui si conosce con precisione la lu-
minosità assoluta e la cui distanza si può facilmente derivare dal confronto della
luminosità assoluta con quella apparente. Negli ultimi anni è stato possibile os-
servare che per una dato valore di redshift le esplosioni delle supernovae lontane
appaiono meno luminose del previsto. La luminosità di una supernova è stret-
tamente legata alla sua distanza dalla Terra, che a sua volta fornisce una misura
del tempo trascorso dall’esplosione. Pertanto se a fissato redshift la supernova
risulta avere una luminosità inferiore al valore atteso, si può affermare che essa
sia più lontana del previsto. La luce ha dovuto impiegare un tempo maggiore
per raggiungerci e l’Universo ha avuto bisogno di più tempo per crescere fino a
raggiungere le dimensioni attuali, come mostra la figura 3.3. Questo giustifiche-
3
La curva di luce è un grafico che mostra l’andamento della luminosità di un corpo celeste
in funzione del tempo trascorso dall’esplosione.
34
3.3. POSSIBILI FONTI DI ENERGIA OSCURA
Come già osservato nel paragrafo 3.1, una possibile spiegazione alla fase di
espansione accelerata dell’Universo è fornita dall’energia oscura. Si può imma-
ginare questa forma di energia come un’entità non identificata che genera una
specie di forza antigravitazionale sull’Universo.
35
3.3. POSSIBILI FONTI DI ENERGIA OSCURA
36
3.3. POSSIBILI FONTI DI ENERGIA OSCURA
nel tempo e il cui significato fisico è associato alla densità di energia del vuoto.
Tale termine viene interpretato come il contributo del vuoto cosmologico alla
densità cosmica. Il vuoto cosmologico può essere infatti interpretato come una
componente di “materia” con energia positiva e pressione negativa. E’ proprio
questa la caratteristica che permette di generare una forza repulsiva.
L’origine di questa energia va ricercata nel principio di indeterminazione di
Heisenberg secondo cui il vuoto sia pieno di fluttuazioni quantistiche che creano
coppie di particelle e antiparticelle virtuali che si annichiliscono in un tempo
inversamente proporzionale alla propria energia.
Tuttavia, se si calcola la densità di energia del vuoto si ottiene un valore estrema-
mente piccolo, molto simile al valore della densità critica, ovverro ρ ∼ 10−29 cmg 3 ,
valore decisamente in contrasto con quello sperimentale che è ρ ∼ 1094 cmg 3 . Que-
sta enorme discrepanza di circa 123 ordini di grandezza fra risultato teorico e
sperimentale, è alla base di uno dei problemi principali della fisica teorica, noto
come problema della costante cosmologica [32].
I tentativi per cercare di ridurre il “fine-tuning” e risolvere cosı̀ il problema
della costante cosmologica sono numerosi e riguardano teorie diverse: QCD,
supersimmetria, teoria delle stringhe. Nessuna di queste teorie sembra tuttavia
fornire una valida risposta al problema.
Esistono modelli alternativi a quello appena descitto, basati sull’ipotesi che il
valore di Λ sia nullo o trascurabile. Risolvere il problema della costante cosmo-
logica vuol dire, dunque, trovare il meccanismo che renda il suo valore nullo
o trascurabile in maniera tale da poterlo confrontare con il valore dell’attuale
densità cosmologica [33].
In aggiunta va considerato il problema della coincidenza, ovvero il fatto singolare
che la densità di energia del vuoto sembra aver iniziato a dominare rispetto alla
densità di materia pressapoco nell’epoca attuale. Si tratta di un problema
che caratterizza non soltanto il modello della costante cosmologica, ma tutti i
modelli riguardanti l’energia oscura.
La teoria delle particelle elementari afferma che alcuni campi quantistici pos-
sono essere descritti come “sostanze” con energia positiva e pressione negativa.
37
3.4. ESPANSIONE ACCELERATA: UNA SPIEGAZIONE ALTERNATIVA.
38
3.4. ESPANSIONE ACCELERATA: UNA SPIEGAZIONE ALTERNATIVA.
In questo contesto possiamo immaginare che la posizione della Terra non sia del
tutto irrilevante, ma che questa si trovi in una posizione privilegiata, ad esempio
in un gigantesco vuoto cosmico, ovvero in una depressione nella distribuzione
delle galassie caratterizzata da una minore densità di materia, come in figura
3.5.
39
3.4. ESPANSIONE ACCELERATA: UNA SPIEGAZIONE ALTERNATIVA.
Figura 3.5: Distribuzione delle strutture e dei vuoti cosmici su larga scala nel caso di un
modello di Universo isotropo paragonata a una distribuzione non omogenea.
Uno scenario del genere è stato proposto inizialmente da George Ellis, Charles
Hellaby e Nazeem Mustapha [35] e successivamente perfezionato dal lavoro di
Marie-Nölle Célérier [36].
Come sappiamo, la materia frena lo spazio-tempo facendo diminuire il tasso di
espansione. Ma se si considera una regione di spazio in cui la densità di materia
è estremamente piccola, l’effetto di frenamento dell’ espansione risulterà essere
minore rispetto ad altre regioni dell’Universo. Pertanto in ogni istante di tempo,
regioni diverse dello spazio si espanderebbero a tassi diversi. In particolare, il
tasso risulta essere massimo al centro dei vuoti, e si riduce in prossimità dei
bordi, laddove si avvertono gli effetti della densità di materia esterna.
In questo contesto, i dati relativi all’osservazione di supernovae sono fortemente
dipendenti dalla posizione in cui avviene l’emissione. Se una supernova esplode
in una regione lontana, la luce emessa attraverserà zone in cui sono presenti
vuoti e zone più omogenee. In particolare, se la nostra posizione fosse al centro
del vuoto, l’espansione dello spazio sarebbe più rapida nelle regioni limitrofe
rispetto al punto in cui si trova la supernova. L’onda luminosa, attraversando
quindi zone che si espandono a velocità sempre più elevata, subisce un allun-
40
3.5. LA GEOMETRIA DI LEMAÎTRE-FRIEDMANN-
ROBERTSON-WALKER
gamento che produce lo spostamento verso il rosso osservato sperimentalmente.
Se l’Universo si comportasse in questo modo, la luce dovrebbe percorrere una
distanza maggiore per ottenere lo stesso redshift che si avrebbe nel caso in cui
l’Universo si espandesse in maniera omogenea e con un tasso costante.
L’esistenza di un vuoto cosmico gigantesco in grado di produrre gli stessi effetti
dell’energia oscura è ritenuta altamente improbabile, ma studi risalenti ai primi
anni novanta hanno mostrato che la probabilità che gli osservatori si trovino in
una struttura simile a quella appena descritta non è del tutto trascurabile.
Osservazioni future saranno in grado di risolvere la questione tra energia oscura e
modelli di vuoto e determinare quale sia il modello più opportuno per descrivere
la fase di espansione che l’Universo sta attraversando.
41
3.5. LA GEOMETRIA DI LEMAÎTRE-FRIEDMANN-
ROBERTSON-WALKER
dove gµν = diag(1, −1, −1, −1) è il tensore metrico, a(t) e b(t) sono generiche
funzioni del tempo. In particolare la funzione a(t), detta fattore di scala, viene
determinata risolvendo le equazioni di Einstein per questa metrica. Il fattore
dσ 2 , invece, rappresenta l’elemento di linea di uno spazio tridimensionale con
raggio di curvatura costante (positiva, negativa o nulla) k 5 che, facendo uso di
coordinate stereografiche {x1 , x2 , x3 }, può essere espresso come:
(xi dxi )2
dσ 2 = dxi dxi + k , (3.2)
1 − kxi xi
in cui il prodotto scalare è fatto secondo la metrica Euclidea δij 6 .
L’equazione (3.1) può essere riscritta utilizzando coordinate polari {r, θ, φ}. Po-
nendo x1 = rsinθcosφ, x2 = rsinθsinφ, x3 = rcosφ e differenziando per cal-
colare il dσ 2 , si ottiene la forma generale della metrica di Friedmann-Lemaı̂tre-
Robertson-Walker (FLRW) [37, 38, 39, 40],
dr2
ds2 = b2 (t)dt2 − a2 (t) − a2 (t)r2 (dθ2 + sin2 θdφ2 ), (3.3)
1 − kr2
dove occorre solo specificare un opportuno gauge per la coordinata temporale.
Una peculiarità della carta comovente consiste nel fatto che osservatori statici,
dxµ
con quadri-vettore velocità uµ = dτ
= (1, 0, 0, 0), risultano anche geodetici.
Questo equivale a dire che tutte le componenti del quadri-vettore velocità uµ ,
sia spaziali che temporale, soddisfano l’equazione geodetica:
duµ
+ Γµαβ uα uβ = 0, (3.4)
dτ
dove
1
Γµαβ = g µν (∂α gβν + ∂β gνα − ∂ν gαβ ) (3.5)
2
rappresentano i simboli di Christoffel i quali, nell’ambito della relatività generale
di Einstein, coincidono con la connessione, e τ rappresenta il tempo proprio.
5
Le varietà con curvatura costante sono anche dette “massimamente simmetriche”, poiché
ammettono il massimo numero consentito di isometrie che, in uno spazio a n dimensioni, è
pari a n(n+1)/2.
6
Nell’ Eq. (3.1) gli indici Greci µ e ν assumono valori da 0 a 3, mentre nell’ Eq. (3.2) gli
indici Latini i e j assumono valori da 1 a 3.
42
3.5. LA GEOMETRIA DI LEMAÎTRE-FRIEDMANN-
ROBERTSON-WALKER
dr2
ds2 = dt2 − a2 (t) 2
− a2 (t)r2 (dθ2 + sin2 θdφ2 ). (3.6)
1 − kr
R = Rν ν = g να Rνα . (3.8)
43
3.5. LA GEOMETRIA DI LEMAÎTRE-FRIEDMANN-
ROBERTSON-WALKER
p
= γ = costante. (3.12)
ρ
Se inoltre si assume che il fluido sia a riposo nel sistema comovente, in cui
uν = (1, 0, 0, 0), l’equazione (3.11) assume la forma:
44
3.5. LA GEOMETRIA DI LEMAÎTRE-FRIEDMANN-
ROBERTSON-WALKER
Dall’equazione (3.7) si ricava che per la metrica FLRW le componenti non nulle
del tensore di Ricci sono:
ä
R0 0 = −3 (3.15)
a
ä k
R1 1 = R2 2 = R3 3 = − − 2H 2 − 2 2 (3.16)
a a
mentre la curvatura scalare definita dalla (3.8) assume la forma:
ä 2 k
R = −6 +H + 2 . (3.17)
a a
45
3.5. LA GEOMETRIA DI LEMAÎTRE-FRIEDMANN-
ROBERTSON-WALKER
dove si assume che ρ sia positiva. Il meccanismo, già introdotto nel paragra-
fo 3.1, che permette di generare questa pressione negativa e che è causa del-
l’espansione cosmica, rappresenta uno dei principali scopi di questo lavoro di
tesi.
Differenziando l’equazione di Friedmann ed usando la (3.20) si ottiene
ρ̇ + 3H(ρ + p) = 0, (3.22)
che descrive l’evoluzione temporale della densità di energià ed è nota come equa-
zione di continuità o di conservazione. A tal proposito è opportuno specificare
che la stessa equazione può essere ottenuta considerando la conservazione del
tensore energia-impulso, diretta conseguenza dell’identità di Bianchi contratta
soddisfatta dal tensore di Einstein.
Abbiamo visto nel paragrafo precedente che è possibile fare l’ipotesi che il fluido
barotropico sia formato da n componenti disaccoppiate tra loro. E’ possibile
assumere in aggiunta che ognuna di essese soddisfi separatamente l’equazione
di continuità (3.22), ovvero:
2 k 8πG X a 3(1+γn )
0
H + 2 = ρn0 (3.25)
a 3 n a
46
3.6. REDSHIFT E DISTANZA DI LUMINOSITÀ
dove
8πG k
Ωn ≡ 2
ρn , Ωk ≡ − . (3.27)
3H (aH)2
Ricordando la definizione di densità critica ρc ,
3H 2
ρc = , (3.28)
8πG
si può dunque affermare che l’ Eq. (3.26) rappresenta una relazione fra i vari
contributi alla densità totale espressi in frazioni di densità critica.
3.6.1 Redshift
Nel paragrafo 2.1 è stato introdotto il concetto di redshift come parametro stret-
tamente legato alla distanza di un oggetto luminoso. Per definire tale quantità
consideriamo una particella di massa nulla (ad esempio un fotone) con energia
E e quadri-impulso pµ che si propaga lungo una geodetica nulla di una varie-
tà spazio-temporale descritta dalla metrica FLRW. Se il fotone viene emesso e
ricevuto da due osservatori geodetici e statici situati lungo la geodetica nulla,
rispettivamente nei punti xem e xoss , l’energia misurata da ciascun osservatore
si ottiene proiettando scalarmente il quadri-impulso del fotone sulla quadri-
velocità dell’osservatore. Si definisce allora il parametro di redshift nel seguente
modo:
(gµν pµ uν )em E(tem ) ωem λoss
1+z ≡ = = = (3.29)
(gµν pµ uν )oss E(toss ) ωoss λem
E’ possibile tuttavia definire il parametro di redshift in funzione del fattore di
scala.
Ricordiamo che per un fotone che si muove lungo una geodetica, il quadri-
impulso pµ viene trasportato parallelamente a se stesso, ossia deve essere sod-
47
3.6. REDSHIFT E DISTANZA DI LUMINOSITÀ
disfatta l’quazione:
Dpµ ≡ dpµ + Γαβ µ dxα pβ = 0. (3.30)
Assumiamo inoltre che il fotone si propaghi lungo una geodetica radiale nulla
della metrica (ds2 = 0, dθ = dφ = 0), ossia:
√
2 a2 (t) 1 − kr2
dt − dr2 = 0 ⇒ dr = dt. (3.32)
1 − kr2 a(t)
a(toss ) a0
1+z = = , (3.34)
a(tem ) a(t)
48
3.6. REDSHIFT E DISTANZA DI LUMINOSITÀ
49
3.6. REDSHIFT E DISTANZA DI LUMINOSITÀ
Tale risultato si estende anche agli intervalli di tempo per effetto della dilata-
zione temporale, pertanto:
dtoss dEem
= = 1 + zem . (3.41)
dtem dEoss
Sotto queste condizioni il flusso assume la forma
Lem
F = 2 2
, (3.42)
4πa0 rem (1 + zem )2
da cui si ottiene
dL = (1 + z)a0 rem . (3.43)
Facendo uso della (3.36) e ricavando l’espressione di H(z) dalla (3.25), si giunge
al risultato finale:
z
dz 0
Z
1+z
dL (z) = pP , (3.44)
H0 0 n Ωn0 (1 + z 0 )3(1+γn ) + Ωk0 (1 + z 0 )2
dove H0 rappresenta l’attuale valore della costante di Hubble mentre Ωn0 ≡
8πG
ρ
3H02 n0
e Ωk0 ≡ − (a0 Hk 0 )2 sono parametri che definiscono lo stato cosmologico
attuale e che possono essere ottenuti direttamente dalle osservazioni sperimen-
tali.
Tuttavia per il confronto fra modello teorico e dati osservativi, si suole utiliz-
zare generalmente un parametro, detto modulo di distanza, definito nel modo
seguente:
dL
µ ≡ 5 lg10 , (3.45)
10
dove la distanza di luminosità viene espressa in pc.
I dati sperimentali con cui effettuare un confronto sono quelli relativi al catalogo
UNION2 ottenuto nell’ambito del Supernova Cosmology Project [41].
Si tratta di un catalogo che consiste in 557 supernovae Ia relative a valori di
redshift nel range z = [0.015; 1.4], ottenuto estendendo il catalogo Union con
l’aggiunta di nuovi dati relativi a supernovae Ia con valori del redshift bassi e
intermedi, trovati nell’ambito di progetti quali il CfA3 e il SDSS-II Supernova
Search, e di nuove supernovae Ia con alti valori di z scoperte attraverso il tele-
scopio spaziale Hubble. In figura 3.6 viene mostrata la distribuzione nel cielo
delle supernovae Ia appartenenti al catalogo UNION2.
50
3.6. REDSHIFT E DISTANZA DI LUMINOSITÀ
Figura 3.6: Distribuzione nel cielo delle 557 supernovae Ia del catalogo UNION2. Le su-
pernovae con redshift z < 0.1 sono indicate col simbolo più, mentre il quadratino individua
quelle con z > 0.1.
51
3.6. REDSHIFT E DISTANZA DI LUMINOSITÀ
Figura 3.7: Grafico a torta relativo alla composizione dell’Universo nel modello ΛCDM.
Ωm + ΩΛ + Ωk = 1. (3.46)
52
3.6. REDSHIFT E DISTANZA DI LUMINOSITÀ
34 Μ
36
38
40
42
44
0.0
0.2
0.4
0.6
z
0.8
1.0
1.2
1.4
Figura 3.8: Modulo di distanza in funzione del redshift per le 557 supernovae del catalogo
UNION2.
53
3.6. REDSHIFT E DISTANZA DI LUMINOSITÀ
54
Capitolo 4
55
4.1. IL PRINCIPIO COSMOLOGICO CONDIZIONALE
galassia, esso non risulta proporzionale a R3 come ci si aspetta nel caso di una
distribuzione omogenea, bensı̀ a RD , dove D ≈ 2 proprio come enunciato nel
paragrafo 2.1.
Sebbene, sotto queste condizioni, venga meno la proprietà di omogeneità, non
si può dire la stessa cosa per l’ipotesi di isotropia spaziale, confermata da molti
dati sperimentali.
L’isotropia insieme al carattere non analitico della distribuzione di materia han-
no indotto Mandelbrot a introdurre il cosiddetto “Principio Cosmologico Con-
dizionale”, ossia un principio più “debole” rispetto al Principio Cosmologico,
secondo cui l’Universo risulta statisticamente lo stesso da qualsiasi galassia lo
si osservi e in ogni direzione.
Il principio cosmologico di Mandelbrot essenzialmente è una generalizzazione
del principio cosmologico per modelli cosmologici non omogenei aventi strutture
frattali isotrope.
Ricordiamo che per osservatore si intende un osservatore comovente con il flui-
do cosmologico, definizione che esclude la presenza di osservatori in regioni di
vuoto. Inoltre, poichè tutti i punti appartenenti al frattale risultano equivalen-
ti2 , possiamo affermare che il Principio Cosmologico Condizionale corrisponde
alla richiesta che un generico osservatore sia situato su una galassia (ovvero un
punto del frattale) e non in una regione di vuoto.
In altri termini in base a questo principio cosmologico gli osservatori solidali
con la “struttura” in considerazione, sono equivalenti.
Il termine “condizionale” si riferisce alla condizione che ogni osservatore “occupa”
sempre un elemento della struttura, altrimenti non ha senso neppure definire la
densità, come si vedrà più avanti in questa sezione.
Quando si ha a che fare con mezzi continui si introduce il concetto di densità
come rapporto tra la massa contenuta in un certo volume ed il volume stesso.
Questo valore non dipende dal valore della massa nè tantomeno da quello del
volume. E’ possibile generalizzare definendo il concetto di densità in un punto
2
La proprietà non è vera per i punti non appartenenti al frattale. Si dimostra infatti che
qualsiasi sfera centrata su un punto di questo tipo risulta vuota con probabilità uguale a 1.
56
4.1. IL PRINCIPIO COSMOLOGICO CONDIZIONALE
P , dove si ha:
M (P, V )
ρ = lim , (4.1)
V →0V
in cui M in questo caso è la massa del fluido in considerazione e V il volume
intorno al punto P .
Se il mezzo è continuo il limite nella (4.1) esiste ed ha senso.
Per spiegare questo comportamento della materia possiamo supporre che essa
si distribuisca secondo i punti Pi di un insieme frattale con dimensione D. Il
concetto stesso di densità non può essere applicato semplicemente ma bisogna
assumerne un altro. Attribuendo ad ogni punto del frattale una massa mi , la
densità di materia per questa distribuzione risulta essere:
X
ρ(P ) = mi δ(P, Pi ), (4.2)
i
57
4.2. LE EQUAZIONI
nel limite R → +∞. Questo equivale a dire che la densità media non è una
quantità ben definita per un frattale in quanto nel limite di un volume infinito
essa tende asintoticamente a zero.
Questo risultato non è del tutto atteso perché ci dice che la densità frattale sta
decrescendo a partire da ogni punto del frattale. Cioè sembra che ogni punto
del frattale rappresenti il centro del nostro sistema a partire dal quale la densità
decresce.
Ma allora vi sarà una scala oltre la quale la densità della materia o di una
generica componente uniforme sarà maggiore della densità della nostra compo-
nente frattale. E’ oltre questa scala che l’Universo diventa omogeneo nel senso
“classico” del Principio Cosmologico.
Possiamo sintetizzare il tutto dicendo che su piccola scala la distribuzione della
materia è frattale, mentre su grandi scale essa è uniforme. Chiaramente tutto
ciò è dovuto al fatto che un Universo frattale non è un frattale matematico che,
essendo tale, non ha alcuna limitazione a qualunque scala.
Pertanto si può concludere che una distribuzione frattale è asintoticamente vuo-
ta e per tale motivo la densità non rappresenta più un parametro fondamentale.
4.2 Le equazioni
fˆ(r)GF RW (t) se P ∈ f rattale
f rattale 00
Ĝ00 (t, r, θ, φ) = (4.7)
0 altrimenti.
58
4.2. LE EQUAZIONI
che, integrate sul volume di una ipersfera di raggio R centrata in P, SP3 (R),
danno: Z Z X
Ĝf00rattale (P )dV = 8πG mi δ(P, Pi )dV. (4.9)
3 (R)
SP 3 (R)
SP i
ovvero
r
fˆ(r)r2
Z
GF00RW (t)a3 (t)4π √ dr = 8πGC(t)aD (t)rD , (4.11)
0 1 − kr2
che semplificata restituisce:
r
fˆ(r)r2
Z
GF00RW (t)a3 (t) √ dr = 2GC(t)aD (t)rD . (4.12)
0 1 − kr2
Osserviamo che nel caso in cui D = 3 si deve riottenere l’usuale metrica FRW,
cioè deve valere:
fˆ(r)r2 r
Z
√ dr ∝ r3 , (4.14)
1 − kr 2
0
√
condizione soddisfatta richiedendo fˆ(r) = Dν 1 − kr2 rD−3 .
3 a3 (t)r 2 senθ
Ricordiamo che possiamo esprimere l’elemento di volume come dV = √
1−kr 2
drdθdφ.
59
4.3. SOLUZIONE ESATTA PER UNA METRICA FLRW CON
DISTRIBUZIONE DI MATERIA FRATTALE
60
4.3. SOLUZIONE ESATTA PER UNA METRICA FLRW CON
DISTRIBUZIONE DI MATERIA FRATTALE
Nel caso in cui n = 0, invece, il numero di galassie presenti nella sfera è definito
da N (t) = C0 aD (t)rD , ovvero aumenta col variare del fattore di scala secondo
una legge di “potenza frattale”.
Sotto queste condizioni, assumendo un n generico, l’equazione (4.16) diventa:
2
ȧ k
3 + 3 2 = 6 G C0 anD
0 a
D−3−nD
(t) = 6 G C0 anD
0 a
D(1−n)−3
(t), (4.19)
a a
che, nel caso di curvatura nulla, si riduce a:
2
ȧ
3 = 6 G C0 anD
0 a
D(1−n)−3
(t). (4.20)
a
Fissando a0 = 1, è possibile riscrivere l’equazione nella forma:
2
ȧ
= 2 G C0 aD(1−n)−3 (t) ⇒ ȧ2 = 2 G C0 aD(1−n)−1 (t). (4.21)
a
Essendo interessati a modelli di Universo in espansione, consideriamo solo la
soluzione positiva
da p D(1−n)−1
= 2GC0 a 2 (t), (4.22)
dt
separiamo le variabili
1−D(1−n) p
a 2 (t) da = 2GC0 dt (4.23)
61
4.4. IL TENSORE ENERGIA-IMPULSO
Un confronto diretto con l’equazione (3.24) che descrive l’evoluzione della den-
sità per una generica componente di fluido composto di parti non interagenti,
permette di scrivere:
D(n − 1)
−3(1 + γf ) = D(1 − n) − 3 ⇒ γf = , (4.28)
3
che rappresenta il parametro di stato per la componente di materia distribuita
in maniera frattale. L’equazione di stato assume la forma:
D(n − 1)
pf = ρf , (4.29)
3
pertanto il tensore energia-impulso diventa:
D(n − 1) D(n − 1) D(n − 1)
Tµ ν = diag(ρf , − ρf , − ρf , − ρf ). (4.30)
3 3 3
Osserviamo che ipotizzando n = 0 e considerando che le osservazioni sperimen-
tali mostrano che D > 1, il parametro di stato diventa γf r < − 13 e quindi
soddisfa la condizione, definita nell’equazione (3.21), necessaria affinché si ab-
bia un’espansione accelerata dell’Universo4 . Questo permette di supporre che
4
La condizione è verificata per qualsiasi valore di n che risulti minore di 1.
62
4.4. IL TENSORE ENERGIA-IMPULSO
l’accelerazione non sia causata da una forma esotica di energia quale l’energia
oscura, ma sia dovuta essenzialmente alla distribuzione stessa della materia che
con la sua pressione non nulla agisce sulla varietà spazio temporale.
63
4.4. IL TENSORE ENERGIA-IMPULSO
64
Capitolo 5
Distanza di luminosità in un
Universo con distribuzione di
materia frattale
5.1 Le sorgenti
65
5.1. LE SORGENTI
3(1+γn )
a0
GF00RW (t) = 8 π G ρn0 (5.3)
a(t)
nD nD
a0 3−D a0 1
6 G C0 a (t) = 6 G C0
a(t) a(t) aD−3 (t)
nD
3−D
a0 a0 1
= 6 G C0 3−D
a(t) a(t) a0 (t)
3+nD−D
6 C0 a0
= 8πG
8 π a3−D
0 a(t)
3(1+γf )
3 C0 a0
= 8πG , (5.4)
4 π a3−D
0 a(t)
dove abbiamo moltiplicato e diviso per il fattore a03−D nel primo passaggio,
successivamente per 8π nel secondo passaggio, ed infine abbiamo fatto uso della
definizione di γf .
66
5.2. CALCOLO DELLA DISTANZA DI LUMINOSITÀ
• componente di curvatura;
• materia oscura fredda (cold dark matter ), con parametro di stato γcdm = 0;
che rappresenta la più generale distanza luminosa per questo modello frattale
di Universo considerato.
67
5.2. CALCOLO DELLA DISTANZA DI LUMINOSITÀ
(gµν uµ k ν )em
1+z = . (5.8)
(gµν uµ k ν )oss
k0
gµν k µ k ν = (k 0 )2 − a2 (t)(k 1 )2 = 0 ⇒ k 1 = , (5.10)
a(t)
diventa:
gµν uµ k ν = k 0 1 − a(t)u1 .
(5.11)
k0
k 0 (t) = , (5.13)
a(t)
aoss (1 − aem u1 )
1+z = . (5.14)
aem (1 − aoss u1 )
68
5.2. CALCOLO DELLA DISTANZA DI LUMINOSITÀ
da cui segue:
1
a(t) = . (5.17)
1 + z (1 − u1 )
In secondo luogo, differenziando la (5.15) si ottiene che:
(1 − a(t)u1 )ȧ(t) ȧ(t)u1
dz 1
= − −
dt 1 − u1 a2 (t) a(t)
1
ȧ(t)u1
1 ȧ(t) ȧ(t)u
= − 2 + −
1 − u1 a (t) a(t) a(t)
ȧ(t) 1
=− , (5.18)
a(t) a(t)(1 − u1 )
da cui, ricordando la definizione del parametro di Hubble, otteniamo:
dz dt
(1 − u1 ) =− . (5.19)
H(z) a(t)
In maniera analoga a quanto fatto nel caso della metrica FLRW possiamo adesso
ricavare la formula della distanza di luminosità. Per far questo, occorre innan-
zitutto ridefinire la distanza propria per un segnale che si propaga in direzione
radiale, emesso a distanza rem e ricevuto nell’origine al tempo t0 .
Assumendo a0 = 1, nell’ipotesi di curvatura nulla e facendo uso dell’equazione
(5.17), si ha che:
rem t z
dt0 dz 0
Z Z Z
1
dr = − = (1 − u ) , (5.20)
0 0 a(t0 ) 0 H(z 0 )
da cui segue:
z
dz 0
Z
1
d0 ≡ rem (z) = (1 − u ) . (5.21)
0 H(z 0 )
69
5.2. CALCOLO DELLA DISTANZA DI LUMINOSITÀ
A questo punto consideriamo una sorgente posta a distanza rem dall’origine, che
emette radiazione con una potenza:
dE
Lem = , (5.22)
dt em
e, seguendo una procedura del tutto analoga a quella vista nel paragrafo (3.6.2),
valutiamo il flusso F osservato nell’origine al tempo t0 , ovvero la potenza rice-
vuta, per unità di tempo e di superficie, da un osservatore posto a distanza
propria d0 = rem , che risulta essere dato dalla relazione:
Loss 1 dE
F = 2
= 2
. (5.23)
4 π d0 4 π rem (z) dt oss
Notiamo che anche per il nostro modello vale una legge di proporzionalità inversa
fra energia e fattore di scala, pertanto l’energia ricevuta è minore di quella
emessa in accordo alla relazione:
dEoss
= a(t), (5.24)
dEem
mentre gli intervalli temporali sono dilatati di una quantità opposta, ossia:
dtoss 1
= . (5.25)
dtem a(t)
Pertanto, facendo uso della (5.17), la potenza ricevuta risulta essere data da:
dE 2 dE Lem
Loss = = a (t) = , (5.26)
dt oss dt em [1 + z (1 − u1 )]2
che, inserita nella (5.23), permette di riscrivere il flusso osservato come:
Lem
F = 2 (z)[1
. (5.27)
4π rem + z (1 − u1 )]2
Essendo la distanza di luminosità il parametro per cui valga la relazione:
Lem
F = , (5.28)
4 π d2L (z)
ne consegue che:
z
dz 0
Z
1 1
dL (z) = [1 + z (1 − u )] rem (z) = [1 + z (1 − u )] (1 − u1 ) , (5.29)
0 H(z 0 )
70
5.2. CALCOLO DELLA DISTANZA DI LUMINOSITÀ
in cui abbiamo fatto uso della definizione di distanza propria data nella (5.21).
che, inserito nella (5.29), permette di ottenere l’espressione finale per la distanza
di luminosità, ossia:
z
(1 − u1 ) dz 0
Z
1
dL (z) = [1 + z (1 − u )] 3+D(n−1)
. (5.35)
H0 0 [1 + z (1 − u1 )] 2
71
5.3. SOLUZIONI A CONFRONTO
D n u1
1.71527 0.0145024 -0.0375404
mentre il valore del χ2f r risulta pari a 0.984 molto simile a quello ottenuto per
il modello cosmologico standard ossia χ2F RW = 0.981.
Come si può osservare in figura 5.1 il modello di Universo frattale riproduce
in modo eccellente i dati sperimentali delle supernovae date dal catalogo di
UNION2.
Ovviamente l’aspetto notevole consiste nel fatto che il nostro modello di Uni-
verso frattale non contempla nessuna costante cosmologica e quindi nessuna
accelerazione dell’Universo. In altri termini, l’apparente accelerazione potrebbe
essere spiegata tenendo presente che la distribuzione delle strutture su gran-
di scale è una distribuzione frattale. E’ proprio la frattalità a mimare una
accelerazione apparente.
72
5.3. SOLUZIONI A CONFRONTO
In verità questa conclusione non è del tutto nuova, anche se è ottenuta per la
prima volta con questo modello. Tentativi, più o meno riusciti, sono stati fatti
in passato con altri modelli.
Nel prossimo paragrafo, per ragioni di completezza e confronto, analizzeremo
uno di questi modelli e lo confronteremo col nostro e con quello della cosmologia
standard.
73
5.3. SOLUZIONI A CONFRONTO
34 Μ
36
38
40
42
44
0.0
0.2
0.4
0.6
z
0.8
1.0
1.2
1.4
Figura 5.1: Confronto fra il modulo di distanza per un modello di Universo con distribuzione
frattale di materia (curva blu) e per un Universo di Lemaı̂tre-Friedmann-Robertson-Walker
con energia oscura (curva arancione) per le 557 supernovae del catalogo UNION2.
74
5.3. SOLUZIONI A CONFRONTO
75
5.3. SOLUZIONI A CONFRONTO
q
1 (1 − Ω̃0 ) (2 + Ω̃0 ) + Ω̃0 z [9 Ω̃0 z − 2Ω̃20 + 16 Ω̃0 + 4] + (Ω̃20 + 2)2
cosh η = − + .
2 2 Ω̃0 (z + 1)
(5.39)
Partendo da queste considerazioni possiamo calcolare il modulo di distanza per
il modello appena descritto e confrontarlo con i dati di supernovae del catalogo
UNION2. Si tenga presente che nel lavoro originale di Wiltshire et al. il con-
fronto teorico era fatto con i dati di supernova del “Gold data set” pubblicato
da Riess et al. [47].
Invece in questo contesto aggiorneremo quel modello confrontandolo con i nuovi
dati del catalogo UNION2.
Il risultato ottenuto è riportato in figura 5.2.
44
42
40
Μ
38
36
34
0.0 0.2 0.4 0.6 0.8 1.0 1.2 1.4
z
Figura 5.2: Modulo di distanza in funzione del redshift per il modello “fractal bubble” in
riferimento alle 557 supernovae del catalogo UNION2.
76
5.3. SOLUZIONI A CONFRONTO
77
5.3. SOLUZIONI A CONFRONTO
34 Μ
36
38
40
42
44
0.0
0.2
0.4
0.6
z
0.8
1.0
1.2
1.4
Figura 5.3: Confronto fra il modulo di distanza per un modello di Universo con distribuzione
frattale di materia (curva blu), per un Universo di Lemaı̂tre-Friedmann-Robertson-Walker con
energia oscura (curva arancione) e per il modello “fractal bubble” (curva verde) in riferimento
alle 557 supernovae del catalogo UNION2.
78
5.4. INIZIO DELLA ACCELERAZIONE DELL’UNIVERSO
79
5.4. INIZIO DELLA ACCELERAZIONE DELL’UNIVERSO
Questa analisi riesce quindi a discriminare tra vari modelli e questo è di per sè
un risultato non trascurabile in attesa di conferme in un senso o nell’altro.
Chiaramente questo nostro modello è solo un particolare esempio di modelli
frattali più complessi che è possibile considerare. Tuttavia la filosofia di base
rimane la stessa ed è quella che può consentire ulteriori generalizzazioni.
80
5.4. INIZIO DELLA ACCELERAZIONE DELL’UNIVERSO
DΜ=Μmodel -ΜMilne
-0.4
-0.2
0.0
0.2
0.4
0
zacc
LTB
LTB
zacc
=1.08
1
LCDM
LCDM
=1.26
2
z
zacc
FRACTAL
FRACTAL
3
=2.99
4
Figura 5.4: Differenza, ∆µ, fra il modulo di distanza per 3 diversi modelli di Universo
(LTB, ΛCDM, frattale) e il modulo di distanza per un Universo di Milne, in funzione del
redshift.
81
5.4. INIZIO DELLA ACCELERAZIONE DELL’UNIVERSO
82
Conclusioni
83
5.4. INIZIO DELLA ACCELERAZIONE DELL’UNIVERSO
84
Appendice A
m3
G = 6.67 × 10−11 (A.1)
kg s2
km
c = 299792 (A.2)
s
1 pc = 3.086 × 1013 km = 3.26a.l. (A.3)
1 MJ = 1.9891 × 1030 kg (A.4)
H0 = 3.2 h × 10−18 s−1 (A.5)
3 H02
ρc (t0 ) = ' 1.88 h2 × 10−29 g cm−3 . (A.7)
8πG
85
86
Appendice B
Nella presente appendice ci occuperemo del calcolo necessario per poter scrivere
la distanza di luminosità nella forma più generale.
Per far questo ricordiamo innanzitutto la definizione di redshift, ossia:
a0
1 + z(t) = , (B.1)
a(t)
87
dr dz
p = . (B.4)
[1 + a20 H02 Ωk0 r2 ] a0 H(z)
Integriamo l’equazione supponendo che il segnale sia emesso da un punto con
coordinata radiale r e ricevuto nell’origine al tempo t = 0, facendo uso del
risultato analitico:
x, α = 0,
√
Z
dx
√ = √1α sinh−1 α x, α > 0, (B.5)
1+αx 2
√1 sin−1 |α| x, α < 0.
p
|α|
88
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