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34
tù, deve lasciarsi condurre dalla ragione. Tommaso usa
una formula di estrema pregnanza: le azioni si dicono
« umane o morali nella misura in cui sono determinate
dalla ragione»(8). Con ciò viene affermata l'identità di
umanità, moralità e razionalità (humanitas, moralitas, ra-
lionalitas): tutt'e tre indicano la stessa cosa c sono conver
tibili. Tommaso non vuole assoggettare l'agirc umano a
un'istanza, che si eriga maestosa al di fuori dell'uomo: né
(immediatamente) a Dio né alla società né a un’idea. Per
Tommaso « la norma del comportamento umano consiste
nel fatto che esso sia un comportamento veramente uma
no, cioè che ci si comporti da uomo ». Ma allora perché
parlare di norme 'morali’? « Parlare di norma inorale,
del bene o del male morali significa richiamare l’attenzio
ne e sottolineare nell'uomo ciò che conviene pienamente
all’uomo (convieni en toute propriété à l'homme), confor
memente alla forma caratteristica della sua specie, cioè
alla ragione » (9). La morale non è altro che il carattere
obbligatorio dell’umano. Non aggiunge nulla all’umano,
non gli impone nulla, che non gU spetti già di per sé. Le
creature irragionevoli sono guidate da leggi ad esse imma
nenti. La ragione è data all'uomo perché diriga la sua
condotta al suo proprio bene, al bonum hutnanum. Tom
maso non contesta die le norme morali possano costitui
re un mezzo di orientamento, spesso addirittura irrinun
ciabile. Ma il carattere obbligatorio di queste norme non
discende dall'autorità che le stabilisce, bensì dall'assenso
della ragione alla razionalità in esse espressa. La ragione
può stabilire l’obbligatorietà, anche se essa non è esigita
da alcuna legge positiva. Perfino ciò che è scritto dalla
legge divina trova la sua giustificazione non solo sulla
base della divina ordinazione, ma perché è « conforme a
(8) S. th. I-II, 18, 5c: « Dicuntur autem aliqui actus humani, vcl
moralcs, secondimi quod sunt a ratione. ». Nello stesso articolo ap
pena prima si dice: « In actibus autem bumanis bonum et malum
dì ci tu r per com parationem ad rationem: quia, ut Dionysius d ic it....
bonum hominis est secundum rationem esse, malum autem quod
est practer rationem ».
(9) J. Tonneau, An der Schwelle der "Secunda pars”. Starai und
Theologie, in: Die Katholiscbc Glaubenswclt. VVegwcisung und Lehre,
voi. II: Moraltbeologic, Bascl-Frciburg-Wicn 1959, pp. 5-26, qui 25s
(Initiation Théologique, voi. Ili, Paris 1955, p. 35); trad. it. Inizia
zione teologica, voi. I li, Brescia 1960).
35
natura »; più precisamente perché è conforme alla natura
umana, perché è ragionevole (10). Un'esplicita instructio
divina è richiesta solo circa divina-, fra queste Tommaso
annovera, per esempio, le proibizioni di fare un'immagi
ne scolpita di Dio o di nominare il nome di lui (11).
Anche la lex nova « ha aggiunto ben poco » alla legge
morale naturale (12). Per Tommaso la cosa è chiara: « Re
gola e misura delle azioni umane è la ragione; essa è il
principio primo delle azioni um ane»(13). Contro la ragio
ne non si dà appello, né a una legge morale positiva né
naturale, perché ambedue trovano la loro motivazione sol
tanto nella ragione; anche la lex naturalis è costituita
dalla ragione (14).
36
posto e mezzo della sua auto-realizzazione. La base natura
le dell'umana esistenza ha indiscutibilmente un suo carat
tere di legge: significa dunque che tale carattere minac
cia o addirittura elimina il carattere di essere legge a se
stessa, che la libertà razionale possiede? Senza dubbio
queste strutture e meccanismi naturali devono essere ri
spettati. Ma la ragione non è semplicemente « organo e
portavoce » dell'ordine che oggettivamente esiste e sta nel
la natura delle cose (16). Tommaso distingue rigorosamen
te la considerazione delle azioni umane secundum spe
ciem naturae e secundum speciem nioris. L’uccisione di
un uomo resta uguale secundum speciem naturae, anche
se secundum speciem tnoris essa è da valutarsi come mez
zo per il mantenimento della giustizia oppure come effet
to di una collera non raffrenata. Parimenti un’unione ses
suale può significare sia l’adempimento matrimoniale sia
l’adulterio. Con questi due esempi Tommaso vuole illustra
re la differenza tra secundum naturam vivere e secun
dum rationem vivere (17). L’ordine della natura non è il
vero e proprio criterio per valutare ciò che è morale. La
priorità spetta indubitabilmente alla ragione umana. Es
sa pone dei limiti umani — cioè anche morali — all’ordi
ne della natura. Certamente essa si rende anche conto
che la razionalità dell’ordine dei fini naturali (inclinatio-
nes naturales) indica la medesima direzione che la ragio
ne umana (18).
Pur sottolineando l'importanza della ragione umana, Tom
maso non perde di vista il fatto che vi è un ordine natura
le, che c'è qualcosa di inteso dalla natura. È possibile che
per un certo tempo Tommaso, sulla spinta di impulsi
neoplatonico-agostiniani, abbia immaginato che fosse pos
sibile rivolgersi immediatamente al mondo più elevato at-
37
traverso la partecipazione, innata nell’uomo, alla legge
eterna c quindi lasciar da parte la natura (19); ma a lun
go andare queste concezioni non poterono più essere le
sue. La ragione deve volgersi al mondo dei fenomeni e
riflettere alle esperienze che l'uomo fa mentre cerca di
venire in chiaro col mondo di questi fenomeni. Se gli
stessi concetti di essere e di bene non sono pure creazio
ni di ragione, ma possono essere formati soltanto a parti
re dalla realtà effettuale, quanto più allora sarà importan
te osservare la natura e le tendenze in essa insite per
conoscere il bene concreto. È compito della ragione cono
scere la forma del fine, indicata dalle tendenze naturali;
ciò che è inteso dalla natura è anche sicuramente qualco
sa che deve essere (20). L'uomo deve afferrare spontanea
mente c attivamente ciò che è inteso dalla natura, ricono
scere e attuare l'intenzionalità di esso al bonum huma-
n u n t. Mentre lo spirito del Dio creatore fissa alle cose la
loro misura, lo spirito umano deve ricavare la misura
dalle cose: egli giunge alla verità solo accordandosi con
la realtà (21). La morale non si identifica dunque semplice-
mente con il riconoscimento e l’attuazione dell’ordine di
natura oggettivamente dato: però ha con esso un rappor
to reale. Riconoscere e amministrare questo rapporto è
affare della ragione. Così dunque l'ordine della natura ab
bisogna di essere integrato e regolato da parte della ragio
ne umana (22).
Giustamente M. Wittmann afferma: « La legge in quanto
tale si manifesta soltanto nella ragione; ancora una volta
il ragionamento dall'ordine oggettivo dell’essere e della
natura ritorna alla ragione. Il riferimento alla ragione
38
appartiene, come sempre, all’essenza della legge di natu
ra: Lordine della natura oggettivamente dato non esauri
sce il pensiero » (23). Nelle cose regna di fatto un ordine:
però quest’ordine può essere conosciuto soltanto attraver
so la ragione e soltanto attraverso la ragione realizzato a
bene dell’uomo. Essa è il principio veramente ordinatore
e ultimamente normativo (24).
Noi affermiamo: Tommaso conserva l’autonomia della mo
rale di fronte all’ordine di natura. In quanto tale questo
non può essere un criterio dell'agirc umano. Principio e
misura della morale è la ragione pratica dell'uomo. Essa
è legge a se stessa. Il sccundum rationem vivere, cioè il
vivere e l’agire secondo le viste che la ragione desume
dall’esperienza, sviluppa il bonum humanum, ci fa riusci
re ad essere uomini. Ma l’autonomia della morale è rela
zionale: sta in un rapporto reale con la struttura di finali
tà della natura. La ragione impara dal contatto con la
realtà; essa riconosce le intenzioni, che operano nella real
tà, nel loro rapporto al pieno essere dell'uomo. L’energi
ca sottolineatura della ragione pratica quale organo della
scoperta delle possibilità umane, e quindi degli obblighi
morali (25), Fa capire quanto prema a Tommaso mettere
in evidenza l'autonomia della morale. Il fatto che per lui
39
la ragione rimandi alle intenzioni della natura, testimo
nia che egli sa che la morale è relazionata all’ordine della
natura.
40
umana concreta. La scienza morale dell'azione secondo
Tommaso si ricava soprattutto dall’esperienza rifles
sa (28). Egli certamente non pensa solo all'esperienza del
singolo, sempre necessariamente limitata, ma anche e so
prattutto al complesso delle esperienze, che nel suo con
trasto e chiarimento storico con la realtà concreta l'uma
nità volta a volta fa, rimedita e tramanda, soprattutto in
quelle formule didascaliche, le quali riassumono il risulta
to morale della riflessione sulle esperienze. Le norme eti
che possono contare sull'adesione solo nella misura in
cui la loro conferma pragmatica passata e la loro pratica
bilità futura sono avvolte c protette da un dimostrato
sapere esperenziale.
Certo anche l’autonomia della morale di fronte alla metafi
sica non è assoluta, ma anch’essa relativa. È vero che la
scienza morale può raggiungere con mezzi propri il suo
fine specifico e non è pertanto legata alla conoscenza meta
fisica dell'essenza (29). Eppure, come ogni scienza pratica,
essa richiede una conoscenza metafisica dell’essenza. Le
s’impone irresistibilmente il problema del suo proprio
quadro di fondazione: essa vuol vedere protetti e confer
mati i suoi giudizi specifici immediati attraverso la cono
scenza di strutture più vaste. Così essa si mette sulla
strada di una « metafisica dell’azione », al cui termine sta
la « fondazione » o « deduzione » metafisica della morali
tà. Fra i meriti di W. Kluxen va certo annoverato quello
di aver acutamente messo in luce che ima metafisica del-
l’agire si deve muovere nella « figura della riflessione »,
che essa costituisce un vero e proprio « movimento all'in-
dietro »: cioè che la « fondazione » o « deduzione » metafi
sica della moralità è « essenzialmente conoscenza susse
guente » (30).
Ovviamente ciò non esclude che colui che riflette abbia
già ima conoscenza previa, ottenuta per altra via, di ciò
(28) Cfr. In Eth. I, 3 nr. 38: «... quae pcrtinent ad scicnliam mo-
ra lc m ... maxime cognoscuntur per cxpericntiam ». Cfr. W. Kluxen,
op. ciL, p. 59.
(29) W. Kluxen, op. cit., p. 61, intende la stessa cosa, quando dice
che la scienza pratica non presuppone la metafisica e « non
l'csige ».
(30) Ibid., p. lS9s: cfr. l’esposizione accuratam ente differenziata
di S. th. I-II, 18.5 che vi viene proposta.
41
che egli, partendo dalla scienza morale dell'azione, ricono
sce ormai per via speculativa come ciò su cui la morale
ultimamente si fonda. Tuttavia questo non è determinan
te per le nostre riflessioni. Bisognerà però energicamente
sottolineare che l'obbligatorietà della morale non sorge
in primo luogo dalla esibizione della sua fondazione meta
fisica. Nell'ambito della scienza immediata dell’azione la
ragione pratica basta a se stessa, non ha bisogno della
conoscenza metafisica dell'essenza per ottenere il « princi
pio della moralità »; l’ottiene nell’attuare se stessa; è
essa stessa principio di moralità. A buon diritto W. Klu-
xen afferma « che nel movimento all'indietro, a partire
dall’atto dato, anzitutto esperimentato praticamente, si ri
vela la normatività dell’esse secundum rationem non sol
tanto a livello dell'essenza o a partire da questa, ma già
nell'esperienza e nella comprensione della prassi stes
sa » (31). Certo, se attraverso la riflessione si è proceduto
dalla scienza morale deH’azione alla conoscenza metafisi
ca dell'essenza, si può ora anche « dedurre » la morale
dell’essenza dell'uomo. Ma si può proprio « dedurre » sol
tanto quanto si ò già conosciuto nella scienza dell'azione,
precedente alla riflessione metafisica. La presentazione
del quadro di fondazione è affare della metafisica. La me
tafisica cerca di fondare nell’essenza deH’uomo la morali
tà, conosciuta dalla ragione pratica. La « deduzione », rfc-
sa così possibile, della morale dall’essenza dell'uomo o
dell’atto umano non ottiene con ciò un’importanza prati
ca immediata. L’essenza tanto quanto l'ordine della natu
ra non sono « immediatamente normativi »: piuttosto tut-
t’c due « fondandola, liberano il campo alla ragione, in
quanto ò ora essa stessa normante e regolante » (32). Se-
42
condo Tommaso l'ordinare e il regolare, cioè il ritrovare
mezzi concreti di orientamento monde — nel suo linguag
gio: la concretizzazione del <■diritto naturale primario »
— non si compiono soltanto per via di deduzione logica
o di un pensare che trae conseguenze (conclusio), ma pre
feribilmente per via di determinazione positiva (determi-
natio, considerano, composito). W. Schollgen la chiama la
via della « sintesi creatrice » (33). Siccome i giudizi mora
li solo raramente presentano un'intima cogente compren
sione, per la loro motivazione la ragione pratica tira in
gioco l'esperienza umana riflessa, i risultati delle scienze
umane e sociali e determinate precomprensioni antropolo
giche. Le possibilità relativamente scarse di invenire de
duttivamente le norme devono essere completate per via
di induzione (34). E come non è possibile partire dalla
conoscenza metafisica dell’essenza, altrettanto è inevitabi
le che, applicando principi generali a rapporti umani di
versi, sorgano leggi morali diverse: « I principi generali
della legge naturale non possono essere applicati a lutti
in un unico e identico modo a motivo della grande varie
tà dei rapporti umani. Da qui deriva la differenziazione
delle leggi positive nei diversi raggruppamenti (uma
ni) » (35).
43
2. Ragione pratica e legge eterna
Quanto abbiamo suesposto può anche essere chiarito sot
to un altro aspetto: con questo apriamo già la strada al
discorso teologico (III). Tommaso ha tentato di rendere
comprensibile l'insieme delle normatività, quelle fondanti
e quelle fondate, attraverso l'interpretazione del concetto
di legge. In testa al suo trattato « De lege » egli colloca
la dissertazione sulla « legge eterna » (36). Come teologo,
egli comincia col dire che tutto l’ordinamento del mondo
è stabilito da Dio come possibilità e che le leggi umane
possono stabilire un ordinamento solo nella misura in
cui esse partecipano alla «legge eterna»(37). Però ciò
non significa affatto che le singole leggi morali possano
essere dedotte dalla « legge eterna »: esse devono invece
essere sviluppate dalla ragione pratica. Ma l'uomo sente
l'esigenza di ancorare in un ultimo quadro di fondazione
le norme etiche, che egli ha sviluppato. Potremmo illustra
re ciò che si vuol dire con un paragone, preso da tutt'al-
tro campo: come nella preistoria biblica la creazione e il
peccato fungono da « interpretamento » eziologico, cosi
qui le esigenze etiche, assolutamente necessarie alla riusci
ta dell’esistenza umana, vengono spiegate metafisicamen
te attraverso l'« interpretamento » della lex aeterna. Que
sto avevano già fatto il neoplatonismo e Io stoicismo: '
Tommaso non fece altro che accogliere quest'idea, già
completata dal punto di vista teologico da Agostino. Sicco
me però la lex aeterna viene spiegata ultimamente come
la ragione creatrice di Dio, si capisce da sé che l'uomo
non può impossessarsene direttamente, non può afferrar
la concretamente. La lex aeterna non entra dunque in
gioco come regola immediata dell’agire umano; essa è in
vece un « interpretamento », che è stato sviluppato specu
45
fondamenti ultimi del comprendere pratico, sono in esso
pur sempre presenti come normativi. E cosi, nel quadro
dello stesso comprendere pratico, non v'è neppure alcun
motivo per ricercare un legislatore fondante: a meno che
si voglia ricercare la fondazione della natura in generale,
nella quale essi sono presenti ». Con questo però, sotto
l’aspetto qui discusso, la cosa è la stessa per la lex natura-
lis come per la lex aeterna: « Essa è il risultato di una
riflessione sul fondamento di ciò che si mostra nell'espe
rienza pratica; essa è una susseguente interpretazione spe
culativa di ciò che viene sperimentato praticamente » (41).
Possiamo dunque affermare che Tommaso attribuisce sicu
ramente l'autonomia alla scienza morale delazione; ma
per lui è importante mettere in evidenza la relazionalità
di questa autonomia, per il fatto che egli inquadra la
scienza morale dell'azione in un vasto orizzonte di signifi
cato. Tale è il senso del trattato « De lege ». Qui Tomma
so ha intrapreso una specie di demitizzazione; come si
esprime J. Tonneau, egli ha « liberato la filosofia morale
della scoria sociologica, per la quale essa s’era caricata
di determinazioni grossolane e soltanto approssimative:
re, capo supremo, signore, Dio è certamente tutto questo,
ma al modo di un Dio creatore ». La « chimera sociologi
ca » cerca di illustrare l'origine della moralità, sviluppan
do « l'immagine di un incontro solenne tra un signore
feudale e il suo vassallo ». Ma noi non possiamo immagi
narci l'origine della moralità in modo cosi grossolano.
Quel Dio, che ha creato l’uomo, non aveva bisogno « di
creare dapprima un uomo, formato secondo la sua natu
ra particolare, e poi, per far valere l'autorità, di regolare
e disporre i movimenti di quest'uomo ». Dio non offre la
legge morale in un secondo tempo alla sua creatura: « la
parola creatrice fissa il comandamento mentre pone l'esse
re creato nel suo ordine naturale » (42).
(41) W. KJuxen, op. cit., p. 236. Cfr. anche L. Oeing-HanhofF, op. cit.,
p. 31: la dottrina metafisica della legge di natura ha per principio
« il senso speculativo di comprendere ciò che è; non ha l’iDtcn-
zionc pratica di fornire immediatamente regole di azione. P er il
punto di vista pratico è anche ovvio clic nel compimento della
norma del vivere riuscito, ragionevole c buono deve essere in
clusa la soddisfazione delle fondamentali necessità della vita ».
(42) J. Tonneau, in: Die katholische Gtaubenswel! 11, 24s (Initiation
Théologiquc II, « La parole créatrice pose l’ordrc cn posant Tètre
L’AUTONOMIA DELLA MORALE DI FRONTE ALLA FEDE
1. Teonomia e autonomia
47
sguardo del teologo abbraccia l'intero arco dall’uscita di
tutto il creato dall’# eterna perfezione di Dio » fino al
suo ritorno alla « compiuta perfezione nell'unione con
Dio » (44). Ma se egli vuole considerare le creature in se
stesse, deve trar profitto dalle cognizioni dei phitosophi. La
creatività di Dio e la salvezza manifestatasi in Cristo sono
di natura relazionale o trascendentale; la loro accettazione
per fede non può offrire alcuna utilità immediata per la
determinazione categoriale delle creature. Queste devono
essere conosciute a partire dalle loro cause e leggi: « secun-
dum quod in propria natura consistunt ». Al teologo manca
l'autentica competenza al riguardo (45).
b) Il progetto globale
dell’etica teologica (S. th. II)
Nella parte I della S. th., così si legge nel prologo alla
parte II, si c trattato di Dio e di tutto ciò che, per sua
volontà, è uscito dal suo potere. Ormai conviene passare
alla considerazione della sua immagine, cioè dell'uomo,
in quanto questi è principio delle proprie opere, dato che
egli possiede una libera volontà e il potere delle proprie
azioni (46).
della fede « non itisi in ordine ad Deum »; l'uno trac i suoi argo
menti « ex propriis rerum causis », l'altra « ex causa prim a ».
(44) S. th. I li, 1, 5 ad 3: « ... impcrfcctionem naturac humanac du-
ratione praeccdit aetem a Dei pcrfectio: sed sequitur ipsam consuin-
m ata perfectio in unione ad Dcura ». Cfr. E. Przywara, Crucis my-
sterìum . Das christliche Hcute, Pabcrbom 1939, p. 77, con l'accenno
(la cui verità non è certam ente da dim ostrare) a De ver. 24, 4c:
• imperfetta sarebbe l'uscita delle creature da Dio, se il loro ri
torno a Dio non fosse pari all'uscita ».
(45) Il Vaticano II riporta finalmente una significativa dichiara
zione di principio, tu tta avvallata dalla concezione di Tommaso,
sull’autonomia (Gaudium et Spes. art. 36). Bisogna certo rim pian
gere il fatto che nel testo definitivo non sia stata usata la formu
lazione più risoluta. Questa si trova nel cosiddetto testo di Mcchcln
(sezione II: De mundo aedificando): * Muudus propria viget con-
sistcntia et suis regitur principiis et legibus, quas Ecclesia libenter
et sincere agnoscit, non tamquam suas (cioè non affidate alla sua
disposizione, non ricadenti nella sua competenza), sed tamen a
Dco, auctore naturac, statutas ».
(46) S. th. I-II, Prologo: « ...postquatn praedictum est de exem-
plari, scilicct de D eo ... restat ut consideremus de eius imaginc, id
Per il fatto che Tommaso introduce in questo passo signi
ficativo — dove egli fissa il contrassegno del metodo e
del contenuto delle sue riflessioni di teologia morale — il
concetto di immagine di Dio. egli sottolinea la capacità
dell'uomo di disporre in libertà di se stesso c del proprio
agire. Egli comincia così, e proprio alla maniera teologi
ca, a parlare dell'autonomia dell’uomo: l'uomo è princi
pio di se stesso, signore delle sue opere, causa di se
stesso: egli è « legge a se stesso » (Rom. 2, 14). E. Pr/.ywa-
ra vede « l’accento proprio dell'Aquinate » nel fatto che
egli inserisce l'elemento aristotelico nel tradizionale mon
do sacrale dell'agostinismo primo-domenicano e primo
francescano: « £ tramandata la maestà della sovra-eminen-
za di Dio (nello splendore della glorificazione della conce
zione dell'Aeropagita), dalla quale tutto ò, che nel tutto si
rispecchia, che nel tutto opera, che tutto conduce: Ipsum
Esse, Ipsa Forma, Causa Prima, Providentia Universalis
et Finis Ultirnus. Questo è però il segno dell’autentica
Excellentia Divina, che cioè Dio nella 'perfezione della
sua pienezza'... tanto pone fuori di se stesso le sue
creature c le lascia autonome in balia di se stesse, che
esse non solo hanno un essere proprio, ma anche una
causalità propria...; che esse hanno questa causalità pro
pria fino alla guida autonoma le une delle altre, quasi
provvidenza creata le une per le a l t r e che esse hanno
un essere proprio e un operare proprio c ima provviden
za 'propria fino alla libertà di una 'per cosi dire, causa
di se stesse'... e 'signoria su se stesse'... c 'determina
zione autonoma del proprio volere’ ... Una vera accentua
zione tomistica del 'cielo in terra' è dunque autentica
solo nella misura in cui essa ha di mira una terra, che in
quanto terra diventa fino all'estremo indipendente di fron
te a Dio e così diventa simile a Dio. Il vero tomismo è:
dal sacralismo al secolarismo » (47). In realtà Tommaso ve-
cst de hominc, secundum quod et ipsc est stiorum operimi prin-
dpium , quasi liberum arbitrium habens et suoruin operimi potcsta-
tem ».
(47) E. Przywara, op. ri/., p. 67s. Si devono tener presenti le af
fermazioni di Tommaso, raccolte in questo c in altri passi, per
lasciare il debito peso alla sua idea dell’autonomia. Riportiamone
alcune. De pot. V, 4c: • Deus autem creaturarum universitatem vult
propter si ipsam, licet et propter se ipsum eam vult esse: haec
duo non repugnant. Vult cnim Deus u t creaturae sint propter
49
de espressa nel concetto dell'immagine di Dio la compene
trazione della determinazione trascendente e immanente
dell'uomo; vi si incontrano l'orientamento all’archetipo
(come origine c fine) e l'obbligo di riprodurlo in una
piena umanità, dunque tconomia e autonomia. Con ciò
però ò anche chiaro che in Tommaso tutti gli spunti
della riflessione sull'autonomia si dovranno trovare entro
un progetto teologico globale. L’ambiente culturale e teolo
gico del Medio Evo non ha certamente escogitato un al
tro modo di considerare la cosa; tuttavia si dovrà accon
sentire alla concezione di Tommaso anche a partire dalla
cosa stessa. *• r
50
lo sforzo per ottenere una visione teologica globale della
realtà e dell’agire umano non dispensa dallo sforzo per
ottenere la conoscenza del senso filosofico né può in al
cun modo sostituirlo. Tommaso mette pressantemente in
guardia il credente dal ritenersi presuntuosamente « soddi
sfatto con argomenti non cogenti, che danno all'incredulo
solo materia di derisione, in quanto costui potrebbe pensa
re che noi riteniamo per vero, in forza di tali argomenti,
ciò che è materia di fede » (49).
Per Tommaso dunque una prospettiva filosofica in mora
le non è solo legittima, ma irrinunciabile. I motivi sono
chiari: se la somiglianza dell'uomo con Dio viene definita
come la capacità di essere libero e responsabile di sé,
allora essa può soltanto risiedere nella sua natura ragione
vole. Inoltre Tommaso vede nel « secundum naturam vive
re » il criterio decisivo della morale. E infine egli si dichia
ra risolutamente per l'assioma: la grazia presuppone la
natura. Questi tre motivi confermano il diritto proprio
del sapere filosofico e implicano la messa in essere di
una sistematica filosofica indipendente.
Certo Tommaso pone ad ogni sistematica, non per metter
le dei limiti, ma per preservarla da uno sviluppo angusto,
l’esigenza dell'apertura. L’impossibilità a essere definitiva
mente concluso ò il criterio irrinunciabile di un sistema
filosofico. Esso si deve estendere fino ad abbracciare l’inte
ra reattà. Ora però, secondo Tommaso, la misura comple
ta delle potenzialità umane non sta nell'ambito dell'imma
nenza: « Poiché la natura dell’uomo dipende dalla natura
più alta, per il suo perfezionamento non basta la cono
scenza naturale, ma si richiede una certa conoscenza so
prannaturale » (50).
Solo la teologia può dischiudere questa dimensione. Se
essa rimane nascosta, la vera totalità dell’essere umano
non si mostra al nostro sguardo. Naturalmente anche la
filosofia può dischiuderci un senso delle cose; essa può
(49) S. th, I, 46, 2c: « ... nc forte aliquis, quod fidei est deraonstrare
praesumens, rationes non necessarias induca!, quac praebeant ma
teriali! irridendi infidelibus, existimantibus nos propter huismodi
rationes credere quac fidei s u n t... ». Cfr. per tutto questo, W.
Kluxen, op. cit., pp. 13-20 e 85-107.
(50) S. th. II-II, 2, 3 ad 1: « ... non sufficit cognitio naturalis, sed
requiritur quaedam supcrnaturalis ».
51
.
tentare di anticipare la totalità vera. Appena si pensa
nell'ambito della fede, l'esplicazione del senso deve rinun
ciare alla chiusura immanentistica e mirare a un'interpre
tazione della realtà a partire dal fine ultimo. Ciò che
Tommaso esclude è « la pretesa della scienza morale natu
rale a un’ultima validità conclusiva, in cui fosse negata la
possibilità di un completamento ulteriore. £ importante
dunque che essa si mantenga in questa possibilità di com
pletamento e rimanga "aperta” al completamento teologi
co. Essa può giungere a conoscenze vere, soltanto se rico
nosce anche il limite del suo conoscere » (51).
52
le fonte naturali: Dio deve dare in più all’uomo « certi
principi, per i quali questi viene ordinato alla beatitudine
soprannaturale allo stesso modo in cui egli è ordinato al
fine appropriato alla sua natura attraverso i principi natu
rali. Tali principi si chiamano virtù teologali » (52). Ciò
che nel trattato delle virtù teologali viene definito « parte
cipazione alla natura divina » in riferimento a 2 Pietro 1,
4, nel trattato « De lege * appare come « la nuova legge *,
che non è altro che « la grazia dello Spirito Santo » o « la
legge della libertà » (53).
Possiamo dunque alfermare: per Tommaso lo specifico cri
stiano consiste, in primo luogo, nel fatto che l’uomo attra
verso Gesù Cristo è ordinato a un fine nuovo, ad avere
un significato che va oltre la vita presente; e, in secondo
luogo, che a lui vengono trasmesse delle forze, che lo
mettono in grado di muoversi verso questo fine nuovo.
Queste nuove forze, queste nuove motivazioni sono le cosid
dette 'virtù teologali'. Lo specifico cristiano non è dun
que da vedersi nel fatto che alle norme morali, trovate
dalla ragione, vengano aggiimte imposizioni ulteriori per
il comportamento nel mondo. Per Tommaso la cosa è
chiara: « Alle opere delle virtù noi veniamo guidati dalla
ragione naturale, che è una regola deU’agire um;ino ...
Perciò, da questo punto di vista, l’uomo non aveva biso
gno di prescrizioni, che andassero oltre quelle leggi mora
li che sono imposte dalla ragione » (54). Lo specifico cri
stiano è dunque davvero di natura relazionale o trascen-
(52) S. th. I-II, 62. le: « ... Alia autem est bcatitudo naturam ho-
minis cxccdcns, ad quam homo sola divina virtute pervenire po-
test, sccundum quandam divinitatis partccipationem ; ... facti sumus
consortcs divinae naturac ».
(53) S. tb. I-II, 106, 1 descrive lo specifico cristiano in questo mo
do: « Id autem quod est polissimum in lege novi testamenti, et
in quo tota virtus eius consistit, est grafia Spiritus Sancii, quac
datur per fìdem Christi. Et ideo principalitcr lex nova est ipsa gratta
Spiritus Sancti, quae datur Christi lidelibus... ». Similmente M I,
108, le e ad 2, dove come distintiva del Nuovo Patto è nominata an
che la « lex libcrtatis ». I-II, 107, 2 dice: « ... lex nova implet vc-
tcrem legem iuslificando virtute passionis Christi ».
(54) S. tb. I-II, 108, 2 ad 1: « ...ad opera virtutum dirigitnur per
rationem naturalem ... Ideo in his non oportuit aliqua pracccpta
dari ultra moralia legis praecepta, quae sunt de dictaminc ra-
tionis ». In I-II, 107, 4c la formulazione è più cauta: « lex nova,
quac praeter pracccpta legis naturae paucissima superaddidit... ».
53
dentale e non possiede perciò alcuna rilevanza categoria
le in ordine aU'ethos mondano. Questo resta di autentica
competenza della ragione umana, anche nell'ambito della
rivelazione cristiana. A ragione dunque W. van der Marck
riassume la sua esposizione del trattato sulla legge con le
parole: « Dio in quanto creatore (è) l’origine dell’uomo
autonomo e della di lui autonoma umanità ... Dio non
intacca l’autonomia umana, ma la attua come presuppo
sto essenziale e come parte costitutiva essenziale del suo
agire specifico » (55).
54
attraverso Gesù Cristo, e si lascia determinare nel suo
agire dalle motivazioni in esso implicite. La teologia mora
le odierna intende la stessa cosa, quando parla della fun
zione di integrazione che ha lo specifico cristiano in ordi
ne alla morale autonoma.
Un secondo aspetto Tommaso introduce col verbo corrige-
re. Egli parte dal fatto che gli uomini si sviano, quando
ricercano il bonum humanum; che essi possono prendere
il bene per male e il male per bene. A tale corruzione si
deve rimediare, correggendo la legge morale naturale con
la legge divina scritta (57). 1 mediatori della legge divina
(Mosè, Gesù o la Chiesa) non rimpiazzano semplicemente
la morale autonoma, sviluppatasi nella storia, con una
morale rivelata; essi cercano invece di porre sotto il giudi
zio della parola di Dio i progetti morali autonomi; essi
assicurano l’effetto critico della parola di Dio nello svilup
po della coscienza morale. Nello stesso senso noi parlia
mo della fruizione critica dello specifico cristiano in ordi
ne alla morale autonoma.
La terza formula, con cui. Tommaso cerca di interpretare
la rilevanza etica del messaggio di Gesù, è supplerc o
adimplere (58). In triplice rispetto la * legge del Nuovo
55
Patto » può compiere la lex naturae o la lex vetus e com
pensare le lacune, in esse inerenti. Colui che entra nell'o
rizzonte di significato aperto da Cristo, in primo luogo
non può più esser pago con ttn compimento meramente
esteriore della legge. Tale compimento era bastevole secon
do il parere degli scribi e farisei. Ma il messaggio di
Gesù ci introduce nel « vero senso della legge » e mette
in evidenza che nella brama disordinata v’è già un adulte
rio e ncU'accesso d'odio v'ò già omicidio: non ancora este
riormente, si capisce, però « nel cuore », cioè nèl centro
della decisione personale (Mt 5,20). In secondo luogo, co
lui che entra nell’orizzonte di significato aperto da Cristo,
giungerà a maggior sicurezza a riguardo del compimento
delle prescrizioni della legge. La citazione di Alt 5,33,
fatta da Tommaso a modo d'esempio, non è in verità
molto convincente, perché la motivazione, che il Nuovo
Testamento porta del « tu non devi giurare », va in tutt’al-
tra direzione. Un’altra osservazione di Tommaso ha però
veramente un peso oggettivo ed anche attuale: l'uomo at
traverso il messaggio di Cristo può giungere aH’interiore
sicurezza, se fra gli uomini vi sono diverse opinioni a
riguardo di ciò che è morale e quindi vi sono anche
parecchie norme morali di diverso tipo (59). E infine, in
57
t -JB
RIFLESSIONI CONCLUSIVE
Si può parlare di autonomia delia morale in Tommaso?
Il concetto manca, ma la cosa c'è. Quale si trova in Tom
maso, l'autonomia deve essere delimitata da due lati. Es
sa è di più che Tesser legge indipendente (mehr als Eigenge-
setzlichkeit) della morale di frónte al campo della religio
ne, dell’estetica, deH’econornia o della tecnica. Essa è di
meno che posizione di sé (wcniger als Selbstsetzung) nel
senso di piena identificazione di creazione di sé e creazio
ne di valore, come si verifica nell'io che pone se stesso di
Fichte, nel « superuomo » di Nietzsche e nell’espressione
radicale dell’esistenzialismo (62). In Tommaso noi trovia
mo l'autonomia della morale nel senso di essere legge a
se stessa (Selbstgesctzlichkeit). Il bonum hominis si fon
da sulla libertà — l’uomo è causa sui, principium suo-.
pcryucs p ar la simple raison sont appelócs à è tre vécus plus in-
tensèment et plus complètemcnt dans la perspeedve chrédcnnc »,
p. 57 ; « Ics vertucs rom aines... sont de l’o rdrc des moyens firia-
lisés e t dvnamisés p ar la gràce, fruit de la charité de Dieu », p.
64, «Ics vertues se voicnt promucs à une efficacìté et une fin qui
Ics dépasscnt et guéries de toutes Ics infirm ités... », p. 64; « exi-
gences morales ennobtics et transfigurées », p. 66) ; ed infine con
sostantivi (esprit nouveau, pp. 59.63 ; perfecdon, p. 63; cerdtude,
dynaxnismc, entlnisiasmc, p. 70; transfinalisadon, p. 70; une éner-
gie et un dynamistne plus grand e t ... une rcctitude plus poussée
contro Ics déviations possiblcs, p. 71; la ch arité... est le grand
facicur d’unification et de rasscmblement des hommes autour du
Christ, p. 71; intégradon, pp. 5559.61.62).
(61) J.-M. Aubcrt, op. cit., p. 7J: « Il y a donc, en gros, identificatìon
matèriche de Texigcnce morale ebrétienne et de l'exigence pcrccptì-
ble par la raison, ce qui ne vcut pas dire qu'il n ’y a pas une di-
Stinction formelle entre les deux, dans la manière et l’intentionalité
de vivre et de réaliscr les prescriptions morales communcs »
(62) Cfr. H. Blumcnbcrg, Art. Autonomie und Theonomie, in: RGG
1, 19574, 788-792, in particolare 791.
58
rum propriorum actuum, ha la potestas suorum operum
— e si realizza nel compimento ragionevole dell'esistenza,
nel secundum rationem vivere. Il concetto di autonomia
si attua precisamente se il principio e la misura della
morale sono da ricercare non nell'ordine di natura, non
nell’essenza metafisica dell'uomo, e neppure in una rivela
zione che elimini l’essere legge a se stesso dell’uomo, ma
nella ragione. Certo Tommaso vede questa autonomia co
me iscritta in determinate relazioni. All’uomo sono pro
pri dei bisogni elementari di fondo, le inclinationes nalu•
rales. Ordinarli c regolarli è affare della ragione; e quan
do la ragione si assume questo compito, essa rende con
creto l’obbligo morale. L'uomo sente l’esigenza di inqua
drare entro un vasto orizzonte di significato la sua scien
za morale dell’agire e di rapportare il suo esistere e agire
all’insieme della realtà. Questa esigenza si realizza nello
sforzo di costruire una conoscenza metafisica deH'esscnza
e una metafisica dell’agirc. L’uomo, che al di là di tutti i
tentativi di interpretazione immanentistica dell’esistenza
si spinge in un orizzonte trascendente di significato, si
imbatte infine nell’offerta della rivelazione: in essa egli
può riconoscere che il suo esser legge a se stesso ha
fondamento c fine in Dio.
£ stato detto che Tommaso già dal pieno medioevo si è
rivolto all'epoca moderna. R. A. Gauthier ha documentato
questa affermazione nella sua interpretazione del modo
in cui Tommaso intende la magnanimitas {63). Essa trova
conferma, quando si considera il modo in cui Tommaso
determina i rapporti di autonomia e teonomia. Dio e l’uo
mo non sono concorrenti. Dio dimostra la sua grandezza
e il suo amore proprio nel fatto che egli dota l'uomo di
libertà e ragione e gli rimette la capacità di disporre
della sua esistenza. Nel XV secolo il rapporto tra Dio e
l’uomo viene ancora esattamente determinato a questo
modo da Nicola Cusano nel « De visione Dei » e da Pico
della Mirandola nel « De hominis dignitatc ». Il Cusano fa
dire dall’uomo a Dio: « O Signore,... tu mi hai stabilito
nella mia libertà, perché io appartenga a me stesso, se lo
59
voglio. Se io dunque non appartengo del tutto a me stes
so, anche tu non mi appartieni »(64). Il fiorentino fa dire
da Dio all'uomo: « Nessun particolare domicilio, non un
tuo volto proprio, non un dono particolare ti abbiamo
assegnato, o Adamo. A te devono spettare il domicilio, il
volto, i doni, che tu desideri per te stesso, secondo la tua
volontà c il tuo intendimento. La natura delle altre creatu
re è determinata c delimitata dalle leggi da noi poste. Tu
sei ristretto dai tuoi limiti. Tu devi determinare a te
stesso quella natura secondo la tua libera volontà, in ma
no alla quale io ti ho consegnato. Io ti ho posto al centro
del mondo, affinché tu di lì potessi facilmente abbraccia
re con lo sguardo tutto ciò che vi è nel mondo... Come
modellatore e plasmatore di te stesso, che disponi con
libertà c onore (lui ipsius quasi arbitrius honorariusque
plastes et fictor), tu devi determinare la forma, che tu
scegli per te. Sta alla tua completa discrezione di degene
rare nel mondo inferiore degli animali o di elevarti nel
mondo superiore, celeste » (65).
Se la teologia dell’epoca moderna fosse rimasta su que
sta linea, non si sarebbe potuto fraintendere la dottrina
di Kant sull’* autonomia come presentazione della libertà
morale » (66) quasi grave minaccia dell’etica cristiana. Quel
la che era un'istanza importante per l'illuminismo, cavar
fuori l'uomo dalla « minorità di cui lui stesso era la cau
sa », non è stata sentita allo stesso modo da Tommaso. ■
Ma nello sforzo di « portare (l'uomo) ad assumersi respon
sabilmente il suo proprio essere » (67), Tommaso non può
essere superato da Kant. Tutta una serie di importanti
affermazioni dei due pensatori a riguardo del tema dell'au
tonomia sono scambiabili, tanto più che anche per Kant
« già l’autonomia, intesa come interna alla morale (inner-
moralisch verstandene), può essere compresa non come
60
assoluta ma come obbediente e perciò aperta alla trascen
denza » (68). In ogni modo Tommaso potrebbe aderire all'i
dea kantiana « della volontà di ogni essere ragionevole
come volontà legislativa universale », esattamente come al
l’esigenza che l'uomo « sia soggetto alla legislazione sua
propria e tuttavia universale » (69). Se la teologia dell’epo
ca moderna si fosse mantenuta sulla linea di Tommaso,
non si sarebbe neppur dovuta sentire colpita dalla critica
alla religione di L. Feuerbach. In Tommaso l’uomo non è
alienato da se stesso a vantaggio di un Dio immaginario,
e non v’è alcuna necessità di un ateismo umanistico per
salvare c liberare l’uomo. Il Dio di Tommaso non priva
l'uomo della sua libertà, lo crea libero c ragionevole e gli
domanda di assumersi la responsabilità della sua esisten
za e della storia del mondo.
È occorso lungo tempo perché l’etica teologica, resasi pie
namente conto della sua cronica carenza ermeneutica at
traverso le discussioni moderne di teoria della scienza, si
rimettesse alla ricerca di modelli per la determinazione
di un'autonomia teonoma. Finora non s'è trovato modello
migliore di Tommaso.
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