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Cipriano, D.(2003) La terapia cognitiva post-razionalista: teoria,


psicopatologia ed intervento. Tesi di laurea.

Versión electrónica editada por G.I.P.

www33.brinkster.com/gipsicoterapia

CAPITOLO IV
UN MODELLO ESPLICATIVO DELLA PSICOPATOLOGIA

4.1 Introduzione

“(...) si è reso sempre più evidente, in numerosi anni di ricerca e pratica


clinica, come un modello esplicativo della psicopatologia sia un requisito
essenziale per poter elaborare una strategia d’intervento psicoterapeutico
che abbia pretese di attendibilità scientifica. Sembra pertanto indispensabile
che la metodologia di ricerca clinica si orienti verso l’elaborazione di un
modello psicopatologico esaustivo, la cui unitarietà si fondi sulla
continuità e coerenza dei processi di sviluppo che intervengono nel ciclo di
vita individuale e la cui dinamica evolutiva consenta di stabilire quali
procedure e quali condizioni possono dar luogo a specifiche organizzazioni
conoscitive individuali in grado di produrre, se sbilanciate, quei particolari
quadri psicopatologici comunemente definiti disturbi clinici.”(Guidano
1988).
Per una maggior chiarezza e coerenza espositiva ho preferito riferirmi
principalmente all’opera La Complessità del Sé (Guidano, 1988) per la
struttura di questo capitolo; gli ultimi sviluppi degli studi di Guidano sulle
Organizzazioni di Significato Personale, pervenuteci dalle sue conferenze
(Guidano & Quiñones, 2001), verranno integrate all’interno di questa
stessa struttura.
Pertanto in questo capitolo si svilupperanno le specifiche
organizzazioni di significato seguendo le linee del modello organizzativo
del Sé presentato fino ad ora; in tal senso per ogni organizzazione di
significato si analizzeranno: i modelli di reciprocità precoce e gli stili di
attaccamento, lo sviluppo dell’identità, gli aspetti organizzazionali
(risoluzione adolescenziale, attitudine verso di sé e verso la realtà), la
coerenza sistemica e la dinamica della disfunzione cognitiva.
È pero necessario, prima di tutto, esaminare gli aspetti generali che
sottendono lo sviluppo e il comparire di un quadro clinico conclamato, per
questo motivo i primi paragrafi saranno dedicati ai meccanismi e ai
processi di base comuni a qualsiasi organizzazione ed evoluzione
psicopatologica.
4.2 Meccanismi e processi psicopatologici

4.2.1 L’influenza del comportamento parentale sui modelli disfunzionali di


attaccamento

La centralità dell’attaccamento nella formazione delle prime forme di


riconoscimento di sé pone in evidenza la crucialità del comportamento
parentale nei confronti del bambino che si trova totalmente immerso in una
condizione di complementarietà.
Perché il bambino, durante l’età prescolare e la fanciullezza, raggiunga
uno sviluppo ottimale delle sue capacità cognitivo-emotivo-relazionali è
necessario che le figure genitoriali offrano una “base sicura” (Bolwby,
1989); ovvero che il bambino abbia a disposizione delle figure
d’accudimento che lo nutrano fisicamente ed emotivamente e che gli
forniscano un luogo dove rifugiarsi e trovare sicurezza, conforto,
comprensione e accettazione così da poter uscire in esplorazione
sviluppando la propria autonomia e sapendo di poter poi ritornare in
qualsiasi momento.
Qualsiasi tipo di alterazione del comportamento parentale che perverta
le qualità della relazione di attaccamento anzidette si rifletterà nella
formazione del Sé del bambino; presenterò qui di seguito le origini e gli
aspetti più comuni di un comportamento parentale inadeguato così come ha
indicato Guidano (Guidano, 1988):
La presenza di un genitore con un’organizzazione di significato
personale problematica o con una sindrome clinica conclamata;
esistono evidenze sperimentali che confermano che i bambini di soggetti
psichiatrici presentino anch’essi un elevato rischio psicopatologico.
La mancanza di cure parentali adeguate che i genitori possono aver
sperimentato nel corso del loro sviluppo; nel senso che tale mancanza
può riproporsi nel momento che il figlio ha cui sono mancate le cure
diventa genitore e non è in grado egli stesso di offrire una base sicura,
finendo per far sperimentare al bambino le stesse cose che lui aveva
sperimentato; si può parlare in senso più generale di trasmissione
transgenerazionale, non solo delle problematiche relative al
comportamento parentale ma anche della trasmissione di attitudini verso
la realtà e verso sé stessi.

Guidano, inoltre, ci fa considerare che ciò che è più importante non è


tanto l’intenzione, consapevole o no, che guida le strategie educative e le
interazioni genitoriali bensì il modo in cui il bambino percepisce la
relazione di attaccamento, il suo specifico modo di viverla e assimilarla.
Dall’altra parte i processi di identificazione risultano essere
essenzialmente marcati dalla reciprocità in quanto come il bambino si
identifica con il genitore così il genitore si identifica con il bambino, dando
forma ad un inestricabile gioco di specchi dentro il quale si struttura il
senso di sé del soggetto in formazione.
4.2.2 La riorganizzazione adolescenziale e la dimensione
concretezza/astrazione

Come abbiamo visto nel capitolo precedente l’adolescenza rappresenta


“fisiologicamente” un momento di profonda rivoluzione personale dato che
l’emergere del pensiero astratto logico-formale spinge il soggetto, in piena
fase di sviluppo, a riorganizzare radicalmente la propria identità, la propria
percezione che ha di sé. In effetti, alla soglia dell’adolescenza ci troviamo
di fronte ad un fanciullo che ha ottenuto, attraverso lo strutturarsi di
meccanismi di controllo coalizionale, uno stabile e attendibile equilibrio
dinamico; saranno le sfide dell’adolescenza a mettere in crisi
quest’equilibrio per costituirne uno nuovo.
Le nuove capacità di astrazione e autoriflessione sottopongono il
sistema conoscitivo ad una riorganizzazione che ha come fine principale la
riequilibratura e l’integrazione fra aspetti antagonisti del Sé.
Come ormai sappiamo l’evoluzione verso un ordine strutturale di
superiore complessità passa invariabilmente per momenti di perturbazione
in cui i conflitti e le contraddizioni presenti nel sistema conoscitivo
affiorano alla coscienza innescando un processo di riordinamento
dell’esperienza di sé.
Quando però le perturbazioni raggiungono livelli non sostenibili per la
coerenza sistemica fino ad allora strutturata, tali perturbazioni sortiranno
l’effetto contrario, limitando, invece di favorire, la crescita cognitivo-
emotiva del ragazzo; in conseguenza alla situazione di emergenza in cui si
viene a trovare (ricordiamo che la perdita di identità è sempre vissuta come
un estremo pericolo per la propria sopravvivenza) l’adolescente reagirà
concentrando tutte le sue capacità cognitive e attentive verso la soluzione
e/o il contenimento degli scompensi e delle esperienza disgreganti apparse.
Tale processo “riparativo” ricadrà in maniera negativa sullo sviluppo
del sistema conoscitivo limitando ulteriormente le capacità d’astrazione e
di integrazione.
Va da sé che l’origine delle difficoltà nell’integrazione delle esperienza
discrepanti e perturbative ha origine nei modelli disfunzionali di
attaccamento che si strutturano nell’esperienza del bambino come schemi
emozionali e scene nucleari di natura problematica sia per il contenuto che
per l’intensità d’attivazione emotiva.
Per far fronte alle problematiche oscillazioni dei contorni antagonisti
del Sé e nel tentativo di mantenere la vicinanza con la figura di
attaccamento, il bambino aumenta l’esclusione selettiva dell’informazioni
così come le attività diversive messe in atto per evitare l’elaborazione
dell’esperienze discrepanti; ne consegue che, alle soglie dell’adolescenza,
un sistema conoscitivo personale così organizzato avrà raggiunto una
limitata articolazione tra differenziazione emotiva e sviluppo cognitivo,
limitazione che ostacolerà a sua volta l’emergere delle capacità logico-
astratte.
Prima ancora delle capacità astratte, però, sarà lo sviluppo delle abilità
di pensiero concreto ad essere ostacolato a causa dell’eccessivo dispendio
di energie cognitive impegnate nel controllo e nel arginamento delle
problematiche emotivo-relazionali.
In special modo due saranno le conseguenze di rilievo: da una parte la
limitazione delle capacità di distanziamento che non permetterà al
fanciullo di affrancarsi dall’esperienza immediata attraverso la costruzione
di una dimensione temporale (problematiche di sequenzializzazione);
dall’altra si produrrà una limitazione delle capacità di decentramento, cioè
una scarsa capacità di cogliere il punto di vista dell’altro cosa che a sua
volta interferirà nella corretta differenziazione emotiva; in tale prospettiva
sono interessanti le ricerche sulla metacognizione nel processo terapeutico
del III centro di terapia cognitiva di Roma (Semerari, 2000).
Le limitazioni nell’interdipendenza tra emozione e cognizione
causeranno una ridotta decodificabilità degli schemi emozionali poiché
questi ultimi, data la loro problematicità, non saranno trasformati nei
corrispondenti contenuti cognitivo-semantici; pertanto, come dice Guidano:
”l’attivazione di tali schemi emozionali tende, da una parte, a essere
espressa direttamente tramite reazioni viscero-muscolari e, dall’altra, a dar
luogo, parallelamente, all’emergere nel flusso di coscienza individuale di
sensazioni e immagini piuttosto indecodificabili e incontrollabili.”
(Guidano, 1988).
È da queste premesse organizzative che la risoluzione adolescenziale
prende avvio; le capacità logico-formali di autoanalisi si trovano, quindi,
fin dal principio a doversi confrontare con una scarsa capacità di astrazione
che favorirà una formalizzazione eccessivamente concreta e riduttiva delle
contraddizioni emergenti dall’oscillazioni dei contorni antagonisti del Sé.
In tal modo, gli aspetti negativi e intollerabili rimarranno alla stato di
“oggetti concreti” e invece di essere integrati in un senso globale di sé
verranno esclusi attivamente dalla coscienza. Dato però che qualsiasi
strategia esplicita non può eliminare i prodotti dell’elaborazione tacita, i
contenuti espulsi continueranno a determinare l’andamento del flusso di
coscienza, i processi di assimilazione e le procedure di problem solving.
A questo punto è importante introdurre due processi centrali nello
sviluppo e nel mantenimento dell’identità personale: il continuo processo
autointegrante del Sé (moment-to-moment self-synthesizing process) e
l’autoinganno (self-deception).
Nel primo caso di tratta del processo che continuamente sottende la
percezione della propria identità, del proprio essere-nel-mondo, in quanto
processo di continua assimilazione dell’esperienza, interna e esterna, dentro
della coerenza personale (vedi sopra cap. III); per mantenere questa
coerenza è però necessaria la presenza di meccanismi di autoinganno cioè
di meccanismi capaci di escludere e reinterpretare le sensazioni implicite
emergenti di modo che non perturbino la coerenza in corso nella
percezione esplicita di Sé.
Questi due processi sono presenti in qualsiasi tipo di organizzazione,
sia essa normale o patologica, ciò che cambia, insieme ad altri fattori, è il
grado di autoinganno; nello sviluppo patologico, l`autoinganno strutturerà
un’ attitudine verso di sé rigida e selettivamente esclusiva che riduce il
ventaglio di ambiti d’esperienze dal soggetto e, dentro questi stessi ambiti
esperenziali, la plasticità e flessibilità elaborativa.
Per concludere riporto le chiarificative parole di Guidano: “Così,
malgrado la rivoluzione adolescenziale, l’individuo rimarrà ancorato ai
modelli di ordinamento della realtà tipici del pensiero concreto e immaturo,
caratterizzato da monodimensionalità, globalità, invarianza e irreversibilità
e da tutti gli errori procedurali –inferenza arbitraria, pensiero polarizzato,
ipergeneralizzazione -.” (Guidano, 1988).
4.2.3 Dinamica della disfunzione cognitiva

Una disfunzione cognitiva nasce quindi da una riorganizzazione


adolescenziale in cui il sistema conoscitivo a raggiunto un livello basso di
astrazione tale da aver strutturato "una specie di disunione della coscienza
individuale" (Guidano, 1988). Infatti, la peculiarità di tale ordinamento
della esperienza sarà un'attitudine verso di sé (dinamica "Io"/"Me") marcata
per la rigidità e la scarsa flessibilità e concretezza dove i meccanismi di
autoinganno escluderanno sistematicamente ogni informazione
potenzialmente perturbante e disgregante.
L'equilibrio ottenuto in questo modo è certamente precario poiché il
profondo iato costituitosi tra livello esplicito (il "Me") e livello tacito (l'
"Io") sottopone il processo autointegrante del Sé a continue situazioni di
instabilità e di incoerenza; ciò avviene perché, anche se sistematicamente
esclusa della elaborazione cosciente, l'informazione del dominio emotivo
dirige e preforma continuamente la coscienza stessa acquisendo sempre più
forza in misura proprio della crescente indecodificabilità.
Pertanto la disfunzione cognitiva viene innescata da oscillazioni
critiche e significative che scuotono e rompono il delicato equilibrio; i
modelli espliciti di consapevolezza di sé non potendo decodificare il
materiale implicito si chiuderanno ulteriormente in modelli sempre più
rigidi e stereotipati di relazione "Io"/"Me" (attitudine verso di sé) dando
forma ad un processo di ordinamento regressivo.
Le oscillazioni dell' "Io", però, avranno raggiunto un tale livello di
elaborazione implicita che aggireranno i modelli espliciti creando un
cambiamento nella percezione di sé, vissuto come perdita del senso stesso
della realtà. L'equilibrio regressivo così strutturatosi sarà caratterizzato: da
un parte da un'ulteriore riduzione dell'accesso ai dati taciti e, dall'altra, dal
fatto che i dati taciti emersi verranno circoscritti e considerati come estranei
al Sé.
La dinamica di una disfunzione cognitiva quindi nasce sulla base di
modelli disfunzionali d'attaccamento che causano lo scarso sviluppo delle
capacità d'astrazione che a loro volta ostacolano le abilità autointegrative
del sé; una tale situazione dà vita ad un equilibrio precario caratterizzato
per una continua oscillazione tra due serie di processi conoscitivi,
antagonisti e competitivi tra loro, la cui integrazione in un’organizzazione
regressiva come quella fin qui descritta risulta essere impossibile. Passiamo
ora ad esaminare tale dinamica così come la presenta Guidano (Guidano
1988).
Da un lato abbiamo, dunque, i processi di elaborazione esplicita, il
"Me", centrati sul tentativo di mantenere il più possibile immutata
l'immagine di sé abituale; per ottenere tale scopo vengono messe in atto
due modalità principali:
L'elaborazione di convinzioni tendenti a negare la natura stessa del
significato discrepante emerso (autoinganno); l'attribuzione causale
esterna è la maniera più usuale di rendere estranei al Sé i contenuti
discrepanti e la nozione di malattia sembra che sia, nella cultura
occidentale attuale, quella che più si presti a tale funzione di
allontanamento dal sé delle esperienze perturbative (in altre culture
questa funzione potrebbero essere svolta dalla possessione demoniaca o
dall'influenza esterna di qualche entità maligna).
Elaborazione di una serie di attività diversive; queste attività, che
diventano sono parte rilevante della sintomatologia, si strutturano con il
fine di occupare l'attività attentiva della coscienza così da allontanare
qualsiasi significato critico capace di destabilizzare l'immagine di sé in
corso.

I processi di elaborazione tacita sono l'altra polarità antagonista nella


dinamica oscillatoria e competitiva; questo tipo di elaborazione,
nell'interagire con la realtà, articola continuamente nuove regole di
ordinamento tacito del significato personale. Queste nuove regole
disponibili, a loro volta, premeranno per attualizzare i modelli espliciti di
consapevolezza di sé.
Risulta chiaro però che, in un’organizzazione di significato
problematica, questi nuovi dati impliciti non potranno essere assimilati
dalle strutture esplicite, non potrà cioè avvenire una riorganizzazione della
dinamica "Io"/"Me"; il significato discrepante, quindi, non potrà che
manifestarsi come attivazione emozionale perturbante e incontrollabile che,
in assenza di una mediazione cognitiva adeguata, tenderà a scaricarsi sotto
forma di un setting viscerale-motorio agito immediatamente.
Pensiamo, per esempio, al senso di costrizione che accompagna
l'attivazione di significato discrepante in un’organizzazione fobica: questo
senso di costrizione, non incontrando un’elaborazione cognitiva, finisce
con essere innescato da tutte quelle situazioni in cui non sia direttamente
configurabile un via d’uscita (ascensore, galleria, negozi affollati, ecc.),
provocando così angoscia e al limite una crisi di panico.
Esistono quindi due percorsi verso cui può riorganizzarsi un sistema
conoscitivo individuale in seguito al presentarsi di esperienze perturbative.
Uno slittamento regressivo come quello fino a qui esaminato, in cui il
riordinamento consiste nel raggiungimento di un equilibrio dai margini
molto ristretti ed instabili tanto da produrre una fenomenologia ed una
sintomatologia psicopatologica.
Oppure uno slittamento progressivo in cui la rottura dell'equilibrio fino
a quel momento mantenuto dal sistema lo spinge a un riordinamento
interno capace di aumentarne la complessità e tutte le proprietà formali e
strutturali a questa relazionate. In questo caso possiamo parlare di una
"crisi esistenziale" positivamente risoltasi in una "rivoluzione personale" o,
più semplicemente, in un “rinnovamento personale”, configurando così
quel percorso “normativo-ideale” che ciascuna organizzazione di
significato personale può potenzialmente raggiungere; quella direzionalità
ortogenetica ottimale che si cerca di raggiungere per mezzo della
riorganizzazione del significato personale intrapresa in una psicoterapia
4.2.4 Organizzazioni di significato personale e quadri psicopatologici

Come abbiamo visto fin qui, durante le fasi di sviluppo si vanno


strutturando specifici modelli di chiusura organizzazionale, specifiche
modalità di ordinamento della realtà, che esibiscono una continuità lungo
l’intero arco del ciclo di vita individuale; in altre parole, l’insieme
gerarchico di schemi emozionali, scene nucleari, scritti e metascritti
definisce una coerenza sistemica e un significato personale.
Pertanto, la tesi essenziale sulla quale si basa tutta la psicopatologia
esplicativa in un’ottica sistemico-processuale è che a ciascun modello di
chiusura organizzazionale corrisponderà uno specifico quadro clinico; tale
per cui ogni quadro psicopatologico sarà il prodotto dei temi ideo-affettivi,
definenti ogni organizzazione di significato personale, e delle peculiari
strategie di mantenimento della coerenza adottate.
Sulla base della propria esperienza psicoterapeutica (e della letteratura)
Guidano individua quattro tipi di organizzazione di significato: depressiva,
fobica, disturbi alimentari psicogeni e ossessiva, ciascuna delle quali è
caratterizzata da un particolare itinerario di sviluppo, da una specifica
coerenza sistemica , da una peculiare organizzazione e da un prevedibile
percorso di disfunzione psicopatologica.
È bene rilevare che un organizzazione di significato personale non va
intesa come un insieme di contenuti determinati bensì “come un processo
unitario di ordinamento, la cui coerenza e continuità possono essere colte
solo considerando la specificità delle proprietà formali e strutturali dei suoi
processi di elaborazione della conoscenza, piuttosto che nel ricercare nelle
particolari proprietà semantiche dei suoi prodotti di conoscenza:”(Guidano,
1988)
Se la chiusura organizzazionale spiega gli aspetti invarianti dei quadri
psicopatologici, il controllo coalizionale, mobilizzato col fine di contenere
e riordinare le oscillazioni perturbative, spiega la variabilità delle
manifestazioni sintomatiche poiché è capace di un’ampia varietà di
modelli cognitivi, emotivi e motori.
Un ultima questione, che l’esame di una teoria esplicativa della
psicopatologia ci costringe ad affrontare, è quella relativa alle categorie di
normalità, nevrosi e psicosi; queste classiche categorie che all’interno di
una psicopatologia descrittivo-statistica (come quella proposta del DSM
nelle sue numerose versioni) sono considerate come entità fisse e stabili, in
un approccio sistemico-processuale devono essere considerate come
dimensioni di elaborazione della coerenza di un’organizzazione di
significato personale dinamiche e mutevoli. Ciò che differenzia normalità,
nevrosi e psicosi sarà, pertanto, la qualità delle proprietà formali e
strutturali di elaborazione della conoscenza quali flessibilità, generatività,
concretezza/astrazione, sequenzializzazione, autointegrazione e
autoinganno.
Le quattro organizzazioni di significato personali potranno sviluppare
le proprie tematiche di base secondo modalità tanto normali come
nevrotiche o psicotiche, all’interno di un continuum in cui i confini sono
spesso indistinti ed è quindi possibile la reversibilità.
La seguente tabella , ci aiuterà a chiarire tali dimensioni differenziali di
elaborazione:
Tabella 1 (ripresa da Guidano, 1992)

Dimensione di coerenza sistemica


NORMALITÀ NEVROSI PSICOSI
Flessibilità Alta Ridotta Rigidità
Concretezza/Astrazione Astrazione Concretezza Concretezza
Autointegrazione Alta Media Ridotta
Sequenzializzazione Presente Ridotta Assente

4.3 Organizzazioni di significato personale

4.3.1 Organizzazione di significato personale depressiva

Il tema di fondo sul quale si articola questa organizzazione di


significato è la perdita, disperazione e rabbia sono le due emozioni che
strutturano il senso di sé e la regolazione dei suoi contorni; ne consegue
che l’individuo, che possiede tale organizzazione, risponderà agli eventi
discrepanti in termini di perdita e delusione, attivandosi emotivamente con
rabbia e disperazione.

Modelli di reciprocità precoce e stili di attaccamento


Esistono diversi modelli di reciprocità precoce che possono favorire
l’elaborazione di un senso di sé organizzato intorno a un’esperienza di
perdita, anche se è importante sottolineare che la perdita non va mai intesa
come fatto oggettivo bensì come una maniera attiva di ordinamento del
flusso esperenziale.
Guidano, attraverso l’analisi della letteratura (Bolwby, Parker,
Aisworth, Crittenden) e la propria esperienza clinica, giunge ad identificare
tre modelli di reciprocità che maggiormente si riscontrano in
organizzazioni di tipo depressivo:

La perdita (morte, separazione) di una figura d’accudimento; molte


ricerche hanno dimostrato come una perdita prima o durante
l’adolescenza è altamente correlata con disturbi depressivi.
L’esperienza di non essere mai stato capace di ottenere un
attaccamento emotivo sicuro; le strategie educative utilizzate dai
genitori in questi casi sono del tipo “controllo privo d’affetto” tale per
cui al bambino vengono richiesti altissimi livelli di prestazione e
responsabilità senza pero dare alcun tipo di sostegno emotivo. Il
bambino in queste condizioni si trova a sviluppare uno scarso senso di
competenza personale e un senso di inamabilità o di amabilità
condizionata.
Inversione della relazione genitore-bambino; questa situazione
relazionale è una variante della precedente, in tal senso il bambino viene
obbligato a prendersi cura del genitore che, con atteggiamento di
costante rifiuto e distacco, lo minaccia di ritiro dell’affetto o di
abbandono; il senso di scarsa amabilità e inadeguatezza si struttura in
stretta connessione con un senso di perdita e solitudine.
Pertanto, lo stile di attaccamento presentato dai bambini cresciuti in tali
condizioni di reciprocità precoce sarà di tipo evitante (A) nei suoi due
sottotipi inibito (A1-2) e genitoriale (A3) (vedi sopra cap. III).
I bambini con stile di attaccamento evitante inibito (A1-2) sempre
stanno isolati, non parlano ed evitano il contatto con i propri genitori; sono
tra l'altro bambini che investono le proprie capacità cognitive per
controllare e dissimulare i propri stati interni (angoscia, ansia e
disperazione) nel tentativo di comunicare ai genitori che tutto va bene.
I bambini del sottotipo genitoriale (A3) rappresentano perfettamente le
conseguenze di un modello di reciprocità centrato sull'inversione della
relazione genitore-bambino, in tale senso anche le interazioni con i genitori
sono sempre iniziate e dirette da loro come se fosse sempre necessario
conquistarsi l'interesse e l'attenzione degli altri; questi bambini possono
essere molto allegri e brillanti ma è sempre un modo di autoingannarsi per
dissimulare la propria solitudine e disperazione.

Sviluppo dell’identità e strutturarsi dell’ “Io”


Come dicevamo appena sopra, il senso di perdita sembra determinare
profondamente la formazione dei primi modelli di percezione e
riconoscimento di sé, mostrando come tale esperienza è intrinsecamente
connessa con l’attivazione di sentimenti di disperazione e tristezza.
Il necessario equilibrio dinamico che compone l’organizzazione del
dominio emotivo dell’esperienza immediata (l”Io”) è mantenuto attraverso
la controattivazione della rabbia come polarità antagonista in un processo
di regolazione reciproca che impedisce che la disperazione divenga
disadattativa; in questo modo la prima esperienza identitaria si struttura
all’interno di una circolarità ricorsiva e ritmicamente oscillante tra
disattivazione-allontanamento (disperazione, tristezza) attivazione-
avvicinamento (rabbia, protesta).
Tale dominio emozionale, in quanto sistema autorganizzantesi, sarà
caratterizzato per una serie antagonista di schemi emozionali prototipici
(vedi sopra cap. II) ordinati intorno al tema centrale della perdita.
Il senso stabile di sé nascerà, quindi, come risultato del cristallizzarsi
delle scene prototipiche in scene nucleari, cosicché: ”il continuo riverberio
di scene relative alle perdite sperimentate implica costantemente il senso
della propria responsabilità nel loro essersi verificate, la percezione
emergente della propria individualità e unicità è quella di una persona poco
amabile, incapace di suscitare attenzione negli altri, e incapace di costruire
e mantenere un rapporto sicuro con le figure d’attaccamento.”(Guidano,
1988).
Fissati i vincoli-confini dell’organizzazione del Sé dentro della
circolarità autoregolantesi delle polarità antagoniste di disperazione e
rabbia, qualsiasi successiva differenziazione emotiva non può che seguire
tale direzionalità tematica capace di dare coerenza e stabilità all’intero
processo evolutivo.
Successivamente, durante la fanciullezza, apparirà l’attiva ricerca di
stati emotivi intermedi capaci di stabilizzare le continue oscillazioni, nel
tentativo di mantenere un certo grado di prossimità agli altri che però, allo
stesso tempo, non deve essere vissuta come eccessivamente pericolosa.
Il continuo processo organizzativo teso alla stabilità e alla predicibilità
spinge il sistema conoscitivo, durante gli anni dello sviluppo, a strutturare
nuove modalità di controllo decentralizzato (vedi sopra cap. III) e
meccanismi di autoinganno: da una parte l’esclusione del flusso sensoriale
procedente da aree critiche d’attivazione emotiva quali rifiuti, perdite, ecc.
e, dall’altra, un repertorio di attività diversive capaci di controllare e
modulare le conseguenze delle oscillazioni del dominio emotivo.

Aspetti organizzazionali e delinearsi del “Me”


Abbiamo tracciato come lo strutturarsi del dominio emotivo,
nell’itinerario depressivo, va definendo la unicità e stabilità del Sé per
mezzo all’anticipazione dei rifiuti, delle delusioni e dei fallimenti; con la
riorganizzazione adolescenziale il senso di sé raggiunto è sottoposto a
profonde modifiche, possibili grazie alle nuove acquisizioni cognitive.
Pertanto la risoluzione adolescenziale è fondamentalmente centrata
nella necessità di integrare il senso di sé passivo e marcato per la
disperazione, elaborato nella fanciullezza, con nuovo senso di sé
caratterizzato della sensazione di essere attivo protagonista dell’esistenza;
l’adolescente con un’organizzazione di tipo depressivo raggiungerà un
senso di maggiore attività e controllo attribuendo la causa della
incontrollabilità degli avvenimenti esterni in una caratteristica interna
(personale), negativa e stabile (attribuzione causale interna).
In tal senso, ciò che prima era subito in modo passivo, ora può essere
controllato per mezzo di una lotta atta a superare l’aspetto di sé identificato
come negativo.
Con la risoluzione adolescenziale l’attitudine verso di sé del soggetto
depresso trova, dunque, una organizzazione coerente attraverso un
atteggiamento, da un lato, di autoaccusazione e autocolpevolizzazione
(disperazione) e, dall’altro, di impegno costante nel superare il proprio
senso di inadeguatezza attraverso lo sforza continuo contro il sé stesso
negativo (rabbia); tra l'altro il sentimento di solitudine creato per il senso di
perdita e delusione insieme alla lotta lanciata contro sé stessi, dà forma
all’autosufficienza compulsiva altra caratteristica tipica
dell’organizzazione depressiva.
Tale organizzazione dei modelli espliciti di sé e del mondo (“Me”)
dipende in modo sostanziale dal livello di astrazione cognitiva che il
soggetto è stato in grado di ottenere durante la maturazione; a tal punto che,
dipendendo dal livello di flessibilità e autointegrazione raggiunti, il
rivolgimento contro di sé della rabbia può arrivare ad innescare
comportamenti autopunitivi e autodistruttivi fino agli estremi del suicidio
(tentato o reale) o dell’uso di sostanze stupefacenti.
Per lo che concerne l’attitudine verso la realtà, il soggetto con
l’organizzazione di significato di tipo depressivo, vivendo costantemente
in previsione di un pericolo di abbandono e delusione, avrà la tendenza a
relazionarsi in modo emotivamente distaccato e scostante in modo tale da
realizzare esattamente ciò che temeva; d’altra parte anche la rabbia, che
ciclicamente si attiva nel soggetto depresso, dà origine ad un stile
interpersonale caratterizzato per atteggiamenti provocatori e scoppi di
rabbia a cui seguono suppliche e implorazioni.
Il senso di condanna alla solitudine e l’autosufficienza compulsiva
confermano e chiudono ulteriormente il ciclo di automantenimento delle
costruzioni di significato depressivo.
Dinamica “Io”/”Me” e coerenza sistemica
Risulta quindi chiaro che qualsiasi processo di generatività narrativa
che si possa produrre nel ciclo di vita di un soggetto con una
organizzazione di significato di tipo depressivo rimane vincolata alla
tematica della perdita; il sistema possiede, cioè, una direzionalità
preferenziale (vedi sopra cap. II).
La chiusura organizzazionale del sistema conoscitivo determina i modi
e le articolazioni della decodificabilità di qualsiasi esperienza, esperienza
che viene riportata continuamente a quell’unica coerenza sistemica che ne
permetta la trasformabilità in significato personale.
In tale senso l’isolamento e il ritiro sociale che durante la fanciullezza
permettevano il controllo concreto dei fallimenti e dei rifiuti,
nell’adolescente, grazie alle nuove capacità d’astrazione, si trasforma in
una articolata autosufficienza compulsiva che gli permette di mantenere
un’immagine di sé dotata di un’accettabile autostima.
La continua riproduzione della perdita ricompare, quindi, in tutti gli
ambiti di vita ed esperienza come strategia conoscitiva autonoma e creativa
e non come mera riapparizione di schemi passati automatizzati; anche ciò
che per qualsiasi persona può sembrare una conquista, una vittoria per il
soggetto depresso sarà interpretata come l’ennesimo fallimento, l’ennesima
conferma della sua inettitudine, inadeguatezza o/e inamabilità.

Dinamica della disfunzione cognitiva


L’organizzazione del Sé depressivo, fin qui delineata, sembra essere
protesa alla continua previsione, controllo e assimilazione dell’esperienza
entro i confini-vincoli dei modelli espliciti di sé e del mondo col fine di
annullare qualsiasi perturbazione della coerenza sistemica; tale
strutturazione non è però immune da rotture, le discrepanze possono cioè
superare i livelli di stabilità individuale così da innescare o possibili decorsi
psicopatologici o possibili progressioni ortogenetiche. Sottoposto ad eventi
perturbanti il sistema conoscitivo, cioè, è destinato a complessificare la sua
organizzazione interna, generando un nuovo ordine strutturale, o altrimenti
irrigidirsi in modelli espliciti sempre meno predittivi ed adattativi.
In tale prospettiva, per l’organizzazione di tipo depressivo le
fluttuazioni che spingono ad un nuovo ordine (ordine attraverso
fluttuazioni) sono individuabili in una gruppo di eventi di vita percepibili in
termini di perdita o delusione che Guidano schematizza nel seguente modo
(Guidano, 1988):

Separazione o minaccia di separazione;


Rivelazione spiacevoli riguardanti una persona cara che spingono a
riconsiderare a fondo l’immagine di quella persona o del rapporto che
si ha con essa;
Perdite o delusioni economiche ovvero la loro minaccia;
Cambiamento forzato di residenza o minaccia che ciò possa accadere;
Un gruppo eterogeneo di situazioni problematiche implicanti alcuni
elementi di perdita quali il non sentirsi più utile in un lavoro effettuato
per lungo tempo, una crisi coniugale.

Come si è spiegato nei precedenti paragrafi, uno squilibrio è capace di


attivare un sintomatologia di tipo depressivo a causa della scarso potere
autointegrativo del sé (vedi sopra cap. IV) che a sua volta dipende dal
basso livello di astrazione raggiunto dal sistema conoscitivo durante
l’adolescenza e la giovinezza.
Nell’organizzazione depressiva le nuove regole tacite prodottesi in
seguito all’esperienza di perdita non possono essere adeguatamente
integrate nei modelli espliciti del sé e del mondo cosicché il sistema,
invece di progredire verso nuovi ordini strutturali, si ripiega sulla vecchia
organizzazione esplicita del sé chiudendosi a qualsiasi cambiamento.
Invece di assimilare il nuovo insieme di regole implicite (l”Io”),
permettendo così di comprendere la perdita in termini più astratti e
universali, il soggetto depresso aumenta la sua disperazione e la sua rabbia
con esiti francamente sintomatici.
La generalizzazione della disperazione a tutti gli ambiti di vita sembra
distinguere la depressione clinica dalle esperienze depressive comuni a
tutte le patologie psichiche come al genere umano in generale; in tal senso,
l’attitudine di lotta verso se stesso del soggetto depressivo che fino allo
scompenso clinico era utilizzato per controbilanciare la passività, viene ha
dichiararsi definitivamente abbandonata perché ritenuta inutile. Si apre così
l’esperienza totalizzante di un orizzonte temporale oscuro, di un Sé
irrimediabilmente negativo, di un mondo marcato solo dalla perdita e dal
fallimento.
Viene formandosi, di conseguenza, uno iato tra il livello esplicito (Il
“Me”, la spiegazione) e quello tacito (l”Io”, l’esperienza immediata) tale
per cui il livello esplicito elabora da una parte delle teorie causali
confermanti l’immagine negativa di sé, del mondo e del futuro e, dall’altra,
attività diversive che rendono ancora più difficile qualsiasi assimilazione
dell’esperienza tacita.
Dall’altro canto a livello implicito le attivazioni emozionali continuano
a manifestarsi aumentando il loro potere perturbativo a causa della loro
scarsa o nulla decodificabilità cognitiva; pertanto il soggetto con
sintomatologia depressiva si trova immerso in un continuo oscillare di
reazioni emotive incontrollabili e intermittenti in cui disperazione e rabbia
sono strettamente interconnesse. A causa dello scarso controllo cognitivo, a
disperazione e rabbia corrisponderà a livello motorio, relativamente: un
profondo stato di inerzia (chiusura-isolamento) e comportamenti
autodistruttivi (contatto-avvicinamento).

4.3.2 Organizzazione di significato personale fobica

Il tema centrale sul quale si articola l’organizzazione, nonché lo


sviluppo dell’organizzazione fobica, è il risultato dall’equilibrio dinamico
tra le polarità emotive antagoniste di bisogno di protezione e bisogno di
libertà; di modo che il soggetto fobico risponde con ansia e paura agli
eventi discrepanti che possano essere vissuti come perdita di protezione o
perdita di libertà.

Modelli di reciprocità precoce e stili di attaccamento


All’interno della variabilità delle esperienze maturative, che possono
produrre un’organizzazione di tipo fobico, esistono alcuni aspetti invarianti
che si specificano in un modello di reciprocità precoce in cui vi è
un’interferenza o una limitazione indiretta del comportamento esploratorio
autonomo del bambino.
Guidano, revisionando l’ampia letteratura che tratta questa
problemática, propone due grandi categorie capaci di riassumere i differenti
pattern interattivi producenti organizzazioni di conoscenza di tipo fobico:

Limitazione del comportamento esploratorio del bambino per mezzo di


un comportamento parentale iperprotettivo; genitori di questo tipo
descrivono al bambino un mondo esterno minaccioso e pericoloso che
non possono affrontare se non con l’aiuto di un adulto come loro,
adducendo anche una supposta vulnerabilità del bambino, che lo
renderebbe indifeso di fronte alla vita; il genitore non ammetterà che tale
comportamento iperprotettivo nasca da un proprio bisogno al contrario si
sforzerà sempre di ricordare al bambino che è per il suo bene, per
difenderlo dalla sua debolezza (fisica o/e emotiva), debolezza che finirà
col diventare fatto reale ed intrinseco del suo senso d’ identità.
Limitazione del comportamento esploratorio del bambino per mezzo di
un comportamento parentale rifiutante; la relazione con la figura
d’accudimento, in questo caso, è segnata da un atteggiamento di rifiuto e
non accettazione verso il bambino che si viene quindi a trovare privo di
quella base sicura che gli è necessaria per i suoi comportamenti
esplorativi. Genitori di questo tipo sono sprovvisti di calore affettivo e
possiedo un stile educativo basato sulle minacce di abbandono o di
suicidio; anche in questo tipo di organizzazione si possono riscontrare
modelli relazionali caratterizzati per l’inversione di ruolo genitore-
bambino.
Verso i due anni e mezzo, quando si stabilizza l’atteggiamento verso i
genitori, i bambini con organizzazione fobica presenteranno uno stile di
attaccamento del tipo ambivalente con strategia coercitiva (C) che può
differenziarsi nelle due modalità attiva (C1-3) e passiva (C4-6) che hanno
però il medesimo scopo di controllare coercitivamente l'attenzione per non
sentirsi senza protezione.
I bambini con stile di attaccamento C1, descritto come minacciante,
sono i tipici bambini iperattivi, che utilizzano l'iperattività per guadagnarsi,
in maniera coercitiva e senza rischi, l'attenzione dei genitori; in modo non
molto diverso anche i bambini con attaccamento disarmante (C2) o
aggressivo (C3) cercheranno sempre di assicurarsi l'attenzione dei genitori
con la loro tipica iperattività. Nelle forme passive le cure e la protezione da
parte dei genitori vengono coercitivamente conquistate o con
comportamenti che mostrano debolezza e fragilità (indifeso C4 e punitivo
C5) o con comportamenti apertamente seduttori (seduttore C6).

Sviluppo dell’identità e strutturarsi dell’ ”Io”


Le prime forme di riconoscimento di sé (“Io”) che il bambino arriva ad
avere sono quindi organizzate intorno allo schema di riferimento secondo
cui: la limitazione del proprio comportamento esploratorio è
intrinsecamente necessaria per il mantenimento di una vicinanza con
la figura d’attaccamento.
È importante, in questo senso, che tale limitazione venga perpetuata per
parte dei genitori in maniera indiretta di modo che il bambino la viva come
naturalmente inerente all’amore e all’attenzione che riceve; in caso
contrario il bambino sarebbe probabilmente più propenso ad avanzare
comportamenti oppositivi e disapprovanti verso le strategie educative
imposte.
Il risultato di tale situazione è uno stravolgimento radicale della
naturale (evolutivamente pre-programmata) interdipendenza tra
comportamenti di attaccamento e comportamenti esploratori, tra
avvicinamento e allontanamento, a tal punto da strutturare un vero e
proprio dilemma. Il bambino fobico invece di poter crescere e maturare
attraverso la continua oscillazione tra vicinanza e separazione dalle figure
d’accudimento, viene letteralmente intrappolato in una oscillazione
antitetica tra polarità mutuamente opposte, nel senso che l’una esclude
quasi necessariamente l’altra.
Il senso di sé stabile e coerente verrà così strutturandosi attraverso una
serie antitetica di schemi emozionali prototipici; riporto le parole di
Guidano che meglio non potrebbero spiegare tale dilemma emozionale: “da
un lato, il riverberio di scene concernenti la limitazione della tendenza
innata a esplorare autonomamente l’ambiente si riflette in un bisogno di
libertà e indipendenza, che però implica necessariamente un eccessivo
allontanamento dalla protezione delle uniche persone attendibili con il
rischio di trovarsi in balia della propria fragilità e debolezza; dall’altro, la
percezione di un mondo ostile e minaccioso comporta un bisogno
esasperato di protezione, che si riflette nella continua ricerca di una stretta
prossimità fisica alle figure di attaccamento, il che implica altrettanto
necessariamente una continua conferma del senso penoso di costrizione e
limitazione della propria autonomia.”(Guidano, 1988).
Col procedere dello sviluppo gli schemi emotivi si definiranno e
specificheranno gradualmente in scene nucleari acquisendo maggior
stabilità e ordine tanto da dar forma ad un senso di sé sempre più
contraddittorio e inconciliabile; il fanciullo infatti si vive come amato e
accettato, grazie alle cure iperprotettive che continuamente riceve, ma allo
stesso tempo incapace e debole nei tentativi di autonoma scoperta del
mondo, tentativi sperimentati con panico e paura.
Sempre nella fanciullezza il soggetto fobico trova una certa coerenza e
tollerabilità della discrepanza del sé grazie all’attiva ricerca di stati
intermedi quali il senso penoso di minaccia alla propria incolumità in
situazioni di solitudine o in altro modo il senso altrettanto penoso di
costrizione relativo alle percezioni di limitazione della propria libertà.
Con lo stesso fine di ottenere un equilibrio dinamico nella processualità
del Sé si vengono mano a mano strutturando meccanismi di esclusione
selettiva delle informazioni attivanti il bisogno di libertà, da un lato e la
formazione di attività diverse atte a mantenere la vicinanza con le figure di
accudimento dall’altro; sulla stessa linea nell’interfaccia “Io”/”Me”,
esperienza/spiegazione si organizzano complessi ed elaborati meccanismi
di autoinganno capaci di reintrepretare l’informazione emotiva nei termini
dei modelli espliciti di sé e del mondo in via di formazione.
Al culmine dell’itinerario evolutivo l’adolescente fobico sarà
caratterizzato come un soggetto che adotta un rigido autocontrollo su di un
mondo interno contraddittorio e convulso, un soggetto con scarsa capacità
di decodificazione cognitiva dell’esperienza emotiva, tale per cui tale
dimensione emotiva rimarrà prevalentemente incanalata mediante
percezioni, meccanismi mnestico-immaginativi e schemi motori.
Il bisogno di libertà, il bisogno di protezione (nella loro continua
oscillazione polare) e il bisogno di autocontrollo si cristallizzano nella
paura (di morire, di impazzire, di perdere il controllo, ecc.) che diventa così
il nucleo emotivo caratteristico dell’organizzazione di significato di tipo
fobico.

Aspetti organizzazionali e delinearsi del “Me”


Il nuovo impegno verso sé stessi e il mondo che la risoluzione
adolescenziale deve portare a termine spinge il soggetto, con
organizzazione personale di tipo fobica, ad una riorganizzazione della
propria percezione di sé come “soggetto ipercontrollante”.
Secondo tale linea di sviluppo, le nuove capacità cognitive e la nuova
possibilità di formulazione di modelli espliciti di sé e del mondo
permettono di riordinare il senso di debolezza e incapacità di fronte a
situazioni nuove; cosicché l’attribuzione del proprio bisogni di protezione
e/o libertà viene convertito in una attribuzione a fattori esterni, negativi e
stabili (attribuzione causale esterna). La realtà esterna si oggettiva come
pericolosa e inaffrontabile con le sole proprie forze.
D’altra parte l’adolescente fobico, aderendo ad una immagine di sé
(“Me”) caratterizzata per il bisogno di libertà, struttura una fitta e continua
esclusione dei messaggi emotivi che indichino il contrario (bisogno di
protezione o/e dipendenza); con l’effetto generalizzato che qualsiasi
sensazione o emozione diviene un intollerabile indice di debolezza e
fragilità.
A livello interpersonale, quindi, si viene o costruire un equilibrio
dinamico basato su di una “distanza di sicurezza ottimale” nelle relazioni
di attaccamento, dove da una parte il soggetto fobico possa sentirsi
competente ed efficace data la sua capacità di ottenere in ogni situazione un
figura di accudimento vicina (così da assicurarsi la protezione) e,
dall’altra, possa viversi come autonomo e indipendente per mezzo di un
continuo controllo della relazione (sentendosi libero).
L’attitudine verso il sé che ne deriva è, ancora una volta, l’ipercontrollo
verso emozioni e sensazioni che porta il sistema conoscitivo a ritenere le
emozioni fenomeni esterni al Sé vissuti come estranei e perturbanti, a tal
punto che il soggetto fobico diventa insensibile alle esperienze emotive
derivanti dai legami affettivi.
L’attitudine verso la realtà, invece, impegna totalmente il soggetto con
organizzazione fobico nel mantenimento di quella “distanza ottimale” di
sicurezza verso le persone significative le quale vengono sottoposto ad un
rigido controllo tale per cui non siano mai troppo vicine e coinvolte (paura
di perdere la libertà) né troppo lontane e non disponibili (paura di perdere
la protezione).

Dinamica “Io”/Me” e coerenza sistemica


L’equilibrio dinamico raggiunto con lo scopo di mantenere una
coerenza ed un’autostima accettabile deve però continuamente affrontare le
discrepanze e le problematiche che sorgono dalla natura stessa della sua
organizzazione.
Impegnato nel controllo e nella gestione delle dimensioni
inter/intrapersonali il soggetto fobico difficilmente potrà giocarsi con
spontaneità e competenza in una relazione affettiva significativa.
L’universo emotivo aperto da una relazione coinvolgente è pressoché
incomprensibile per una organizzazione prevalentemente orientata al
controllo della propria esperienza immediata (“Io”), ove qualsiasi
percezione di una possibile dipendenza viene sistematicamente esclusa.
Per le stesse ragioni è proprio uno profondo squilibrio che può far
fluttuare il sistema verso un nuovo ordine strutturale, un riordinamento in
cui sia possibile una maggiore decodificazione emotiva ed una maggiore
flessibilità e generatività delle spiegazione (spiegazione dell' ”Io” per parte
del “Me”, riordinamento a posteriori della prassi del vivere).

Dinamica della disfunzione cognitiva


Anche in questo caso Guidano (Guidano, 1988) raggruppa in due
grandi categorie gli eventi di vita potenzialmente perturbativi per
l’organizzazione di tipo fobico:

Situazioni, reali o immaginarie, che si prestano ad essere percepite


come perdita di protezione; situazione che possono attivare intensi
paure di solitudine incombente che il più delle volte compaiono sotto
forma di crisi di panico; rientrano in modo specifico in questa categoria:
morte di un genitore, grave abbandono o minaccia di abbandono. È
importante includere anche tutti quei periodi di transizione che durante
la vita comportano una maggiore libertà e indipendenza tanto da far
vacillare il precario senso di sicurezza del soggetto fobico.
Modificazioni dell’equilibrio di un rapporto affettivo significativo che si
prestano ad essere percepite come perdita di libertà e indipendenza; in
questa condizioni vengono ad attivarsi sensazioni intense ed
incontrollabili di costrizione. La formalizzazione di un legame affettivo
come il matrimonio, il cambiamento degli equilibri nella coppia come la
nascita di un figlio possono essere eventi di vita con potere
destabilizzante capace di produrre nel soggetto fobico forti sensazioni di
costrizione o di mancanza di protezione.

Nell’affrontare la descrizione delle dinamiche sistemiche


dell’organizzazione fobica ci troviamo ancora una volta di fronte
all’interazione tra i processi antagonisti e simultanei di esperienza e
spiegazione (dinamica “Io”/”Me”).
Il livello di elaborazione esplicito, organizzato su di una immagine
cosciente di sé come soggetto controllante, è sottoposto durante un evento
discrepante a oscillazioni emotive e incontrollabili, decodificabili solo
come paura pervasiva; di fatto la paura di perdere il controllo è la
caratteristica comune di tutti i disturbi d’ansia (secondo la classificazione
statistico-descrittive del DSM) sia essa sotto forma di paura di morire,
impazzire o di soffrire attacchi cardiaci. Tale forma distorta di elaborare
l’informazione emotivo-sensoriale è chiaramente indirizzata al
mantenimento di un’immagine coerente di sé, che viene anche preservata
attraverso la formulazione di convinzioni che dimostrino l’estraneità della
discrepanza percepita (autoinganno). A ciò si aggiunge una fiorente
produzione immaginativa riguardante i possibili e infiniti pericoli di un
mondo minaccioso ed indifferente, tale produzione assolve, in tal senso, il
ruolo di attività diversiva capace di allontanare ulteriormente qualsiasi
informazione perturbativa.
Sull’altro fronte, nell’organizzazione tacita dell’”Io” le oscillazioni
critiche non riordinate a livello cognitivo cosciente prendono forma come
attivazioni neurovegetative e motorie incontrollabili che sono vissute dal
soggetto come paura di perdere il controllo.
In tale stato di equilibrio critico il sistema conoscitivo può irrigidirsi
in uno slittamento regressivo manifestando una conclamata patologia
agorafobica o generare un slittamento progressivo della consapevolezza di
sé capace di aumentare la gamma di decodificabilità emotiva e la tolleranza
delle ambiguità inerenti a qualsiasi relazione interpersonale significativa.

4.3.3 Organizzazione di significato personale tipo disturbi alimentari


psicogeni

“Credo di piacermi, ma non so se ho gusto”; quest’epigrafe riportata da


Guidano per aprire il capitolo sull’organizzazione di significato tipo
disturbi alimentari psicogeni, ci introduce perfettamente all’unità tematica
dei processi di significato che sottende tale organizzazione: un bisogno
assoluto di approvazione da parte di persone significative e,
contemporaneamente, la paura di poter essere intrusi o disconfermati da
queste stesse persone.

Modelli di reciprocità precoce e stili d’attaccamento


L’aspetto invariante delle relazioni di attaccamento in una
organizzazione di tipo disturbi alimentari psicogeni (d’ora in poi DAP), che
sottendono la molteplicità dei quadri clinici possibili, sembra essere la
presenza di un attaccamento invischiante, caratterizzato per ambiguità e
scarsa definizione.
I genitori che strutturano un legame affettivo di tipo invischiante sono
particolarmente attenti e preoccupati per l’immagine esteriore tanto da non
preoccuparsi dei bisogni concreti del bambino bensì del suo aspetto
formale; lo stile parentale, assente di calore emotivo, e coinvolgimento è
completamente orientato al controllo e alla ridefinizione costante
dell’esperienza interna del bambino nel tentativo che si conformi a canoni
familiari precostituiti.
Nelle famiglie che presentano tal tipo d’interazioni vi è una scarsissima
differenziazione individuale dato che tutte le dinamiche sono infuocate
all’invasione dei limiti altrui col fine di riportare ogni esperienza, condivisa
o no, alla comune e prefabbricata storia familiare.
Il risultato in termini di percezione di sé è come dice Guidano
(Guidano, 1988; 1992) “un senso pervasivo di inaffidabilità circa la proprio
capacità di riconoscere e decodificare adeguatamente i suoi stati interni”.
Come abbiamo visto nei capitoli precedenti (vedi sopra, cap. III) con
la fine della fanciullezza e con l’inizio dell’adolescenza l’emergere del
relativismo adolescenziale permette, appunto, relativizzare l’assolutezza
della figura d’attaccamento in quanto immagine di riferimento, fino ad
allora esistente; tale relativizzazione, comune a tutti gli itinerari di
sviluppo, ha però una importanza centrale nell’organizzazione tipo DAP.
Infatti, per il soggetto “dapico” (cioè, con organizzazione DAP) esiste
un genitore privilegiato scelto per la funzione di “altro confermante” ne
consegue che una relativizzazione di tale modello di riferimento, non solo
prende le forme di una profonda delusione, ma destabilizza l’identità stessa
del soggetto; in tal senso a causa della delusione prodottasi, viene a
mancare il potere definitore che la figura significativa possedeva, con la
conseguenza che la percezione di sé comincia a vacillare, spostandosi
verso un senso sempre più pervasivo e angosciante di vuoto e inesistenza.
All'interno di tali dinamiche relazionale il bambino strutturerà un stile
di attaccamento misto evitante/ambivalente-coercitivo in modo specifico
compulsivo compiacente (A4) con una componente coercitiva, componente
coercitiva che è di maggiore intensità nella condizione anoressica (A4/C+)
e di maggiore passività nella condizione obesa e bulimica (A4/C-).
La caratteristica dello stile compiacente compulsiva, si può osservare
nel fatto che i bambini non esprimono mai quello che veramente sentono
ma sono sempre d'accordo con i genitori di cui studiano il comportamento
per attuare nel modo più consono alle loro aspettative; ciò avviene poiché il
bambino deve corrispondere sempre alle aspettative dei genitori altrimenti
si sentirà vuoto e indefinito essendo incapace di monitorare i propri stati
interni.
La componente coercitiva della compiacenza compulsiva può
manifestarsi attivamente come nei bambini che cercano continuamente di
estorcere le conferme ai propri genitori, comportandosi come bambini
perfetti; o può comparire in comportamenti passivi direzionati a
giustificare la propria inadeguatezza arginando le disconferme ad aspetti
circoscritti di sé.

Sviluppo dell’identità e strutturarsi dell’”Io”


Come si è visto poco sopra, il fanciullo viene ostacolato nella
differenziazione ritmica tra sé e gli altri poiché la dinamica famigliare
invischiante interferisce nel processo naturale di equilibrio dinamico tra
apprendimento per identificazione (tendenza verso l’esterno) e
riconoscimento della propria esperienza personale (tendenza verso
l’interno); in questo modo non vi è alcuna possibilità di differenziare e
riconoscere il proprio Sé dalle rappresentazioni interne dei genitori.
Tale vaghezza nei confini del proprio Sé struttura un “Io” (esperienza
tacita immediata) che oscilla ritmicamente tra due insiemi antagonisti di
schemi emozionali prototipici; infatti le scene nucleari che si vanno
formando, concernenti esperienza di disconferma e non-riconoscimento,
ordinano la prassi a priori del vivere come un’esperienza di un Sé vago e
indefinito che deve in qualche modo mantenere stabilità e coerenza.
Pertanto, il Sé da un lato oscillerà verso la tendenza a lasciarsi definire
dell’alterità, provandone però un profondo senso d’incompetenza personale
ed intrusione e, dall’altro, verrà componendosi in un contorno polare ed
antagonista del Sé orientato alla formazione di un’identità basata sulla
propria esperienza, tentativo marcato da un inevitabile senso di vuoto ed
inattendibilità personale (legata all’incapacità di leggere i propri stati
interni).
Durante l’età prescolare la necessità di stabilizzarsi in un equilibrio
dinamico accettabile, porta il bambino, con organizzazione emotiva di tipo
DAP, a costituire un rapporto stretto e intenso con una figura
d’attaccamento privilegiata che gli permetta di controllare, fino ad
annullarlo, il senso di vuoto e incompiutezza; d’altra parte è la ricerca
attiva di stati intermedi che fa si che il soggetto non finisca col sentirsi
totalmente definito e svuotata dall’altro, ricerca che lo spinge a manifestare
un atteggiamento controllato e autosufficiente capace, se pur solo
precariamente, di marcare un limite nella relazione invischiante.
Sorge però il problema che tale tipo di strutturazione del senso di sé
comporta l’esclusione selettiva (modelli specifici di controllo
decentralizzato) delle quasi totalità delle sensazioni, emozioni e opinioni
personali, fatta eccezione delle sensazioni biologiche di base quali fame,
sete, motricità. Queste sensazioni di base, essendo l’unica fonte di
percezione di sé attendibile, vengono ad organizzarsi “all’interno di un
repertorio di modelli viscerali e motori che, agendo da attività diversive,
riducono l’affiorare alla coscienza di oscillazioni critiche che convogliano
sensi intollerabili di vuoto e/o incompetenza.“(Guidano, 1992).
Un’ultima caratteristica centrale, per il fanciullo con organizzazioni
tipo DAP, nasce come naturale conseguenza dell’adesione totale alle
visione di perfezione che i genitori hanno di lui (perfezione compiacente)
cosicché risultano essere sempre dei bambini perfetti e molto più maturi
per la loro età.

Aspetti organizzazionali e delinearsi del “Me”


La risoluzione adolescenziale nell’organizzazione di tipo DAP è
segnato dalla necessità di ricostituire la relazione privilegiata che è andata
perduta con la relativizzazione delle figure genitoriali; infatti, il
decentramento che le nuove abilità cognitive hanno permesso mette in crisi
la strategia adottata nella fanciullezza per il mantenimento di una identità
continuamente minacciata dalle disconferme.
La delusione che investe il genitore scelto come fonte di conferme
stabilizzanti obbliga l’adolescente, impegnato nel suo ricentramento attivo
su di sé, a trovare nuovi equilibri organizzativi.
Il nuovo riordinamento dell’esperienza (modifica dell’attitudine verso
sé stessi, della relazione “Io”/”Me”) creato durante la risoluzione
adolescenziale viene a formarsi attraverso la strutturazione di nuove
modalità di spiegazione e in special modo con nuove attribuzioni casuali.
L’equilibrio dinamico, che l’attribuzione causale consente, si può
presentare, nell’organizzazione di tipo DAP, sotto due forme una interna ed
una esterna che permettono entrambe il mantenimento di un senso sé più
definito e stabile.
L’ attribuzione causale esterna è caratterizzata per la percezione degli
altri come intrusivi e ingannevoli, altri contro i quali si sferra una lotta che
limiti il loro potere disconfermante e destabilizzante; questa
contrapposizione continua si manifesta in atteggiamenti autosufficienti e
controllanti volti ad allontanare sensi di sé marcati dall’incapacità
personale e dalla sensazione di vuoto. Uno stile attributivo così attivo può
produrre, in caso di squilibri, un quadro sintomatologico di anoressia
nervosa.
Nel caso del prevalere di un’ attribuzione causale interna, l’impegno
nel difendersi dagli eventi disconfermanti, si struttura attribuendo la causa
degli eventi stessi a caratteristiche personali, per esempio l’aspetto
corporeo o le capacità sessuali; in tal modo il senso di incapacità e vuoto da
cui il soggetto si sente pervaso viene circoscritto a questi aspetti personali
più o meno limitati e controllabili. Questo stile attributivo, marcatamente
passivo, è all’origine di possibili quadri psicopatologici di obesità e/o
bulimia.
Attribuzione esterna/interna, passività/attività sono dimensione che
costituiscono un continuum lungo il quale l’organizzazione di significato
personale tipo DAP può posizionarsi; tale posizionamento dipende da una
serie di variabili evolutive che influiscono sull’esperienza di delusione
adolescenziale che è, a tutti gli effetti, un evento discrepante che segna un
punto di non ritorno nell’itinerario di sviluppo del soggetto DAP.
Fra i fattori, che hanno il potere di determinare in quale punto del
continuum il soggetto si posiziona, si possono menzionare: l’intensità
dell’evento discrepante, lo stadio maturativo nel quale tale evento viene
sperimentato e la presenza/assenza di altre figure d’identificazione
L’attitudine verso di sé, per risolvere la sua caratteristica distintiva di
incertezza nell’attribuzione causale delle proprie sensazioni e emozioni,
mette in marcia due processi per mezzo dei quali il soggetto si relaziona
con sé stesso: da un lato il perfezionismo e dall’altra meccanismi di
autoinganno centrati nell’evitamento.
Il perfezionismo instaura un circolo vizioso in cui, per aderire
all’immagine convenzionale dettata dagli altri (poiché l’unico riferimento è
quello esterno), il soggetto si trova a dover selezionare solo le immagini di
sé (passate, attuali e future) irreali e perfette tali per cui i minimi obbiettivi
futuri raggiungibili sono i massimi di un supposto passato; ne consegue
che, paradossalmente, le possibilità tanto temute di fallimento e
disconferma sono dietro l’angolo, e con loro il pericolo che affiorino
sensazioni di vuoto e incapacità personale.
A questo punto sono i meccanismi di autoinganno che, davanti alla
percezione del soggetto “dapico” di una realtà potenzialmente
disconfermante, consentono di evitare in anticipo i confronti vivibili come
destabilizzanti; sono sempre tali meccanismi che escludono selettivamente
qualsiasi sensazione di incapacità o incompiutezza.
È importante chiarire che una chiusura organizzazionale che ha come
caratteristica centrale il fatto di mantenere la propria coerenza identitaria
per mezzo dell’adeguazione a ideali esterni (sociali) di perfezione, sarà
fortemente determinata nelle sue forme cliniche dal contesto culturale; il
nome d’organizzazione tipo disturbi alimentari psicogeni si riferisce quindi
all’evidenza che l’esistenza, nella cultura attuale, di criteri culturali di
perfezione femminile fortemente centrati sul corpo, conduce a disturbi
psicologici centrati nella dimensione dell’apparenza corporea.
Diversamente nella popolazione di tipo maschile questo tipo di
organizzazione di significato è spesso legata a disturbi nella sfera sessuale,
posto che questa dimensione è estremamente rilevante nell’ideale
maschile, culturalmente trasmesso, di perfezione (Guidano, 2000b).
Tornando ai disturbi alimentari, che sembrano essere attualmente i
quadri clinici ove maggiormente si riscontrano le dinamiche del Sé fin qui
delineate, l’immagine corporea possiede una funzione stabilizzante per il
proprio senso di accettabilità.
Rispetto a tale immagine corporea si vanno strutturando diversi
atteggiamenti dipendendo dalla presenza di uno stile attributivo che sia più
attivo o più passivo, come ci dice Guidano: “Essere grassi, pertanto,
diventa il modo essenziale di rappresentarsi il fallimento avvertito sempre
come incombente. Mentre l’anoressica, più attiva, lotta a oltranza contro
questa immagine di fallimento tramite un ipercontrollo degli impulsi
biologici; l’obesa, al contrario, tende a rinunciare più o meno rapidamente
alla lotta non sentendosi all’altezza del compito.”(Guidano, 1988).
Un’organizzazione del Sé, come quella fin qui trattata, causerà
ambiguità e contraddizione nei rapporti interpersonali i quali saranno
vissuti, contemporaneamente, sia come fondamentali per la propria stabilità
sia potenzialmente pericolosi per la stabilità stessa; sulla base di questo
dilemma si struttura un’attitudine verso la realtà che si manifesta in un
repertorio di strategie interpersonali che cercano di compaginare la
necessità di un rapporto intimo e confermante e la paura di un
coinvolgimento vissuto come intrusivo e pericoloso. Un tale stile
interpersonale, che il partner finirà con vivere come allo stesso tempo
ambiguo e pressante, non può che provocare esattamente ciò che voleva
evitare: disconferme, delusioni e fallimenti relazionali (meccanismi di
automantenimento).

Dinamica “Io”/”Me” e coerenza sistemica


Come nelle altre organizzazioni cognitive di significato anche in quella
di tipo DAP si può prevedere una possibile direzionalità ortogenetica
“normativa” cioè un itinerario di sviluppo che, attraverso l’assimilazione e
integrazione delle fluttuazioni critiche, convogli il sistema verso una
coerenza interna maggiormente percorribile.
Abbiamo dunque visto come nel soggetto di tipo DAP l’equilibrio
dinamico ottenuto gioca intorno alle polarità ritmicamente oscillanti di
bisogno d’approvazione e conferma da parte degli altri e la paura di essere
intrusi o delusi dagli stessi e che ogni esperienza sperimentabile passa
sempre per il vaglio dell’alterità significativa.
Il percorso che può portare verso un riordinamento del esperienza di sé
più praticabile e soddisfacente passa per la configurazione di una strategia
conoscitiva specifica capace di relativizzare l’importanza degli altri,
aumentare progressivamente il ventaglio d’emozione e sensazioni
percettibili e, grazie a questo nuovo accesso ai propri stati interni,
strutturare un senso di sé più definito e autonomo.
Tali procedure di assimilazione (sia in senso maturativo che clinico)
sembrano essere diverse a secondo della maggiore e minore
passività/attività dello stile organizzativo di significato.
I soggetti con quadri di tipo anoressico, data le loro strategie
marcatamente attive, tendono ad assimilare le discrepanze, sorte da
delusioni o fallimenti, prendendo attivamente decisioni anche radicali
rispetto alla propria vita, spinte come sono dal loro atteggiamento di
autosufficienza e controllo.
Al contrario soggetti più passivi, come i soggetti obesi e i bulimici
strutturano modelli di assimilazione legati ad attività diversive di
attivazione viscerale ed emotiva per controllare e circoscrivere il senso di
sé di incapacità e inconsistenza; tale strategie per mezzo della attribuzione
causale interna permettono relativizzare una figura significativa deludente,
senza che venga eccessivamente intaccato il proprio senso di stabilità e
coerenza.

Dinamica della disfunzione cognitiva


Il tema dell’incapacità e inconsistenza personale, più volte affrontato in
questi paragrafi, ha naturalmente un ruolo centrale nel determinare quali
eventi di vita siano potenzialmente destabilizzanti tanto da attivare quelle
modificazioni dell’immagine corporea tipiche dei disturbi del
comportamento alimentare.
Guidano (Guidano, 1988), anche in questo caso, classifica questi eventi
in due categorie principali:
Variazioni in un rapporto interpersonale avvertito come estremamente
significativo; in tale categoria si possono ritrovare brusche e impreviste
rivelazioni su di una figura significativa (genitore o partner) che mettono
in crisi la percezione di sé del soggetto; anche richieste fatte all’interno
di una relazione sempre significativa che sono vissute come insostenibili
e perturbanti. In ultima analisi qualsivoglia situazione problematica che
può sorgere in una relazione di coppia o coniugale.
Cambiamenti nel corso dello sviluppo che avviano una situazione di
confronto percettibile per parte del soggetto come una sfida insostenibile
e potenzialmente disconfermante; la maturazione adolescenziale, con le
sue sfide “fisiologiche”, può risultare un banco di prova altamente
perturbativo per un soggetto con un’organizzazione di significato che
evita e si protegge continuamente dai fallimenti. Altri possibili aventi
che possono far affiorare alla coscienza sentimenti pervasi di incapacità
sono esami (di maturità, di stato, ecc.) a cui l’ambiente consegna forte
prestigio e importanza.

L’interdipendenza tra il senso pervasivo di indefinitezza e vaghezza e i


meccanismi di esclusione e controllo di tale sensazione perturbativa
strutturano la dinamica processuale di una organizzazione di significato
personale di tipo DAP.
A livello esplicito le variazioni nel “Me”, cioè nell’immagine di sé
cosciente a cui si riferisce, sono totalmente convogliate nell’immagine
corporea percepita come inaccettabile, con il fine strategico di circoscrivere
solo a questa dimensione il senso crescente di incompetenza e
inconsistenza personale. Come indica con molta chiarezza Guidano: “Il
tentativo anoressico di mantenere a oltranza una immagine di sé positiva
consiste essenzialmente nel contrapporre continuamente alla percezione
pervasiva di inconsistenza e incompetenza il senso di potere ed efficienza
personale che deriva dal sentirsi capaci di dominare perfino gli impulsi più
profondi e radicati. Nel quadro obeso, al contrario, i soggetti aumentano
eccessivamente il peso –sia mediante l’iperalimentazione continua sia
attraverso attacchi bulimici od orge alimentari intermittenti- ritenendosi del
tutto incapaci di controllare i propri impulsi.”(Guidano, 1992)
Invece a livello di ordinamento tacito (esperienza immediata dell’”Io”),
il setting motorio e neurovegetativo, che accompagna l’arousal dell’
oscillazioni emotive perturbanti, in mancanza di una adeguato mediazione
cognitiva, tende ad essere realizzato direttamente nelle corrispondenti
alterazioni del comportamento alimentare e motorio, senza alcun controllo
o differimento.

4.3.4 Organizzazione di significato personale ossessiva

Il tema centrale della organizzazione di significato ossessiva si sviluppa


intorno alla percezione di un senso di sé ambivalente e inconciliabile che si
dispiega in una continua oscillazione tra confini fortemente dicotomici;
strutturando così una identità orientata alla continua ricerca di una
certezza assoluta, certezza assoluta che si trasforma in incontrollabilità
assoluta all’apparire di un evento perturbante.
Modelli di reciprocità precoce e stili di attaccamento
Come di solito, Guidano esamina gli aspetti invarianti dei modelli
familiari che conducono, nel caso dell’organizzazione ossessiva, alla
percezione di un senso di sé ambivalente e dicotomico. All’interno della
ampia varabilità degli stili relazionali-educativi possiamo quindi riscontrare
una costellazione di caratteristiche invarianti capaci di spiegare la
eziopatogenesi dei disturbi ossessivi-compulsivi o della organizzazione di
significato potenzialmente ossessiva.
La presenza di modelli d’attaccamento ambivalenti sembra essere una
delle caratteristiche centrali che almeno uno dei due genitori (la figura più
significativa per il bambino) manifesta nelle sue interazioni precoci con il
bambino; si tratta di figure parentali che presentano sentimenti ambivalenti
e antitetici nei confronti del bambino: da una parte un atteggiamento
nascosto rifiutante e ostile e, dall’altra, una facciata esterna di dedizione e
interessamento; il bambino –per mezza dell’effetto looking-glass self-
finirà per percepirsi anch’egli in maniera antitetica e ambivalente ovvero
svilupperà un Sé profondamente dicotomico.
È bene sottolineare che i due comportamenti parentali contraddittori
devono essere caratterizzati da simultaneità, devono presentarsi, cioè,
contemporaneamente nelle interazioni quotidiane, in modo da creare una
situazione d’ imprevedibilità e incontrollabilità. Infatti un bambino
immerso in tale dinamica d’attaccamento non può elaborare una strategia di
comprensione che indichi il “reale” atteggiamento che le proprie figure
d’accudimento gli rivolgono.
Le situazioni comunicative definite come “doppio legame“ studiate
della scuola di Palo Alto (Bateson, 1976; Wazlavick & altri, 1971)
somigliano molto a quelle appena sopra descritte, soprattutto per il fatto di
essere caratterizzate per un dilemma logico-comunicazionale a cui viene
obbligato chi le subisce; bisogna però aggiungere che tale aspetto
invariante è accompagnato e combinato con altre due importanti anomalie
nei modelli familiari.
La prima di tali anomalie si riscontra nel tipo di ambiente familiare
delle famiglie ossessive caratterizzato per una prevalenza della
comunicazione di tipo analitico-digitale a dispetto di una comunicazione
maggiormente analogica e immediata; siamo in presenza di genitori con
ipoattività motoria compensata da iperattività verbale, genitori i quali
squalificano qualsivoglia espressione spontanea di calore ed emotività o
attività puramente ludica (generalmente non partecipano ai giochi dei loro
figli).
Come indica Guidano: “Quest’ambiente contraddittorio finisce col
rendere ogni manifestazione emotiva e affettiva sempre più paradossale e
disturbata. Infatti, la migliore dimostrazione di affetto viene proprio a
coincidere con ciò che sembrerebbe essere il suo opposto, e cioè con
comportamento serio, riflessivo e distaccato.” (Guidano, 1988).
A questa prima anomalia normalmente si somma un ambiente
eccessivamente esigente in cui principi morali ed etici vengono impiegati
per ottenere il controllo sulle emozioni e sui comportamenti del bambino;
tali esigenze normative sono prevalentemente rivolte alla proibizione
pressoché totale di tutte quelle sensazioni e emozioni incompatibili con le
condotte che i valori educativi richiedono.
In questo modo al sentimento di incontrollabilità creato per il modello
di attaccamento ambivalente si aggiunge un senso di incontrollabilità legato
alle proprie emozioni e sensazioni mai immediatamente accettabili e
sempre suscettibili di un controllo che, per loro stessa natura, non
permettono.
Questo tipo di relazioni precoci si cristallizzano verso i due anni e
mezzo in uno stile di attaccamento misto del tipo evitante-ambivalente.
I bambini presenteranno, pertanto, comportamenti caratteristici dello
stile evitante compulsivo compiacente (A4) e genitoriale (A3) con aspetti
coercitivi disarmanti (C2); bambini di questo tipo da una parte sempre
devono tenere in conto i genitori nella loro organizzazione e nei loro
comportamenti utilizzando prevalentemente le risorse cognitive per essere
ottenere conferme e, dall'altra, cercano continuamente di conquistare, in
modo coercitivo, l'attenzione e l'aiuto delle figure significative.

Sviluppo dell’identità e strutturarsi dell’ “Io”


Il dispiegarsi dei processi di riconoscimento di sé, all’interno di un
itinerario di sviluppo di tipo ossessivo, è quindi inevitabilmente
organizzato intorno allo schema centrale di riferimento tale per cui esistono
percezioni, sensazioni, emozioni antiteticamente ambivalenti ed
inconciliabili.
Si viene così strutturando un irrisolvibile dilemma, percepito a livello
tacito, che segna profondamente il futuro sviluppo del senso di sé: il
bambino sulla base delle sue esperienze d’attaccamento può addurre prove
sia della propria amabilità e accettabilità come della propria non amabilità e
non accettabilità.
Il suddetto dilemma viene pertanto formalizzandosi in schemi
emozionali inconciliabili e antitetici la cui regolazione non può che
avvenire attraverso la reciproca esclusione, in modo tale da rendere difficile
qualsiasi integrazione; si tratta del tipico processamento dicotomico in cui
tra bianco e negro non esistono sfumature possibili, in cui il bambino o è
amato e accettato o non lo è affatto.
Il passo successivo a cui va incontro il sistema conoscitivo è
l’emergere del pensiero concreto che permette nuovi modelli organizzativi
ma che allo stesso tempo dà forma a nuove sfide per la creazione di un
senso di sé unitario; infatti le capacità integrative acquisite fanno più
patente le profonde discrepanze presenti nel Sé, spingendo il sistema verso
un nuovo equilibrio dinamico.
Lo svilupparsi e riordinarsi degli schemi emozionali in scene nucleari e
le capacità di selezione attiva e di focalizzazione degli aspetti positivi Sé
sono due dei passi verso una nuovo ordine strutturale che è in grado di
ottenere una maggior stabilità all’interno delle oscillazioni ritmiche e
ricorsive tra polarità antitetiche.
Parallelamente ai processi di selezione e focalizzazione è necessario,
per raggiungere la certezza dell’attendibilità dell’immagine di sé
selezionata, escludere e controllare il continuo emergere di percezioni
contraddittorie e inconciliabili.
I processi anzidetti, uniti alla propensione per la verbalità dell’ambiente
familiare, fanno si che il bambino con organizzazione ossessiva ordini la
propria esperienza secondo le categorie analitico-linguisitiche che,
contrariamente all’elaborazione analogico-olistica, sono caratterizzate da
classi di giudizio opposte e nettamente definite; un ordine logico-
linguistico che, tra l’altro, ha la caratteristica di permettere un più facile
controllo dell’esperienza.
Il “primato del verbale” sarà, inoltre, fondamentale nella formazione
dei modelli di controllo coalizionale che consentano il mantenimento di
uno stabile equilibrio dinamico all’interno dei confini antitetici del Sé; le
attività diversive, in tal senso, prendono la forma di pensieri ripetitivi
(ruminazioni dubbi, ecc) è sono invariabilmente connessi con azioni
stereotipate (rituali) essendo i modelli motori il modo principale di
controllo dei processi di pensiero durante la fanciullezza.
Va da sé che le attività diversive hanno il fine di ridurre il più possibile
qualsivoglia sensazione e/o emozione che possa innescare esperienza
discrepanti e perturbative l’equilibrio ottenuto.
Vorrei concludere con una frase di Guidano che ben racchiude
l’essenza dello sviluppo dell’identità di tipo ossessivo: “All’interno di un
itinerario di sviluppo essenzialmente centrato sul raggiungimento di
un’identità certa e attendibile attraverso l’esclusione della vita affettiva,
l’ossessivo andrà sempre più caratterizzandosi verso la fine della
fanciullezza come un ragazzo in cui la mancanza di naturalezza e
spontaneità è compensata da una fluidità verbale e competenza linguistica e
il valore personale è strettamente connesse a un senso di onnipotenza del
proprio pensiero.”(Guidano, 1988).

Aspetti organizzazionali e delinearsi del “Me”


Alle soglie dell’adolescenza, col comparire del pensiero logico-astratto,
il sistema conoscitivo è sottoposto ad una nuova rottura dell’equilibrio
precedente; nello specifico itinerario di sviluppo ossessivo l’equilibrio
dinamico fino ad ora raggiunto per mantenere un senso di sé certo e
attendibile è irrimediabilmente messo in crisi dalla nuova dimensione
riflessiva della coscienza che consente l’affiorare più continuo di
sensazioni ambivalenti e perturbanti.
L’impegno adolescenziale viene quindi a strutturarsi intorno al bisogno
di certezza in ogni campo d’esperienza tale per cui ogni percezione di sé
ambivalente è inevitabilmente interpretata come debolezza; tale procedura
di elaborazione dell’esperienza porta ad uno stile di pensiero unicamente
diretto da categorie di giudizio diametralmente contrapposte, secondo una
modalità “tutto o nulla” (certezza assoluta - incontrollabilità altrettanto
assoluta).
Anche l’attribuzione causale varierà secondo lo stesso principio
elaborativo “tutto o nulla”: da una parte abbiamo l’attribuzione causale
esterna in cui “il bisogno di certezza si dispiegherà attraverso una continua
attività di previsione e anticipazione dei possibili eventi negativi che
possono verificarsi in una realtà infida e ingannevole”(Guidano, 1988);
dall’altra parte è all’incontrollabilità del Sé che viene attribuita la causa di
un’esperienza interna marcata dell’ambivalenza e dall’inconciliabilità.
Dall’equilibrio dinamico ottenuto nella risoluzione adolescenziale si
costituisce, quindi, un’attitudine verso di sé organizzata su di
un’opposizione antitetica e rigidamente dicotomica fra pensiero ed
emozione. In questo modo la controllabilità dei propri stati interni sarà
garantita dalle infallibili procedure logiche e razionali, grazie alle quali
l’ossessivo può escludere tutta la dimensione emotiva.
In tal senso, il perfezionismo nasce dall’inevitabile necessità di trovare
dei riferimenti esterni ed assoluti ai quali ricondurre la propria esperienza
esplicita, un ordine morale e sociale capace di fornire regole e norme chiare
per l’ordinamento esplicito del “Me”.
L’adesione a criteri esterni ed universali di condotta si riscontrano allo
stesso modo nell’attitudine verso la realtà visto che il soggetto ossessivo è
più interessato a mantenere la propria immagine di sé (scelta sulla base dei
valori etico-morali) che ad avvicinarsi sinceramente all’esperienza altrui; al
bisogno preminente di mantenere la propria coerenza, a discapito della
dimensione interpersonale, si aggiunge la scarsa capacità di dare e ricevere
tenerezza e calore e in generale una scarsa espressività emotiva.
La rigida dicotomizzazione appare dunque anche nelle relazioni
interpersonali significative, in cui il dubbio, il procrastinare, la
preoccupazione eccessiva per i dettagli sono le abituali procedure di
risoluzione dei problemi, messe in atto col fine di perseguire gli aspetti
positivi ed evitare accuratamente quelli negativi (così come viene definito
dai criteri normativi selezionati).

Dinamica “Io”/”Me” e coerenza sistemica


La dinamica “Io”/”Me” è primariamente organizzato dall’oscillazione
circolare e ritmica tra confini di significato ambivalenti e dicotomici
(ordinamento a priori della prassi del vivere) e secondariamente in
modelli espliciti del Sé capaci di ottenere un’identità stabile ed unitaria
(ordinamento a posteriori della prassi del vivere). Tale obiettivo, nella
condizione ossessiva, è raggiungibile solo attraverso le possibilità, offerte
dal pensiero, di ricondurre e spiegare qualsiasi esperienza a norme e regole
morali e sociali, nel tentativo costante di far aderire la coerenza interna a
regole assolute di certezza.
La coerenza sistemica, così costituitasi, si mantiene però su di un
equilibrio alquanto precario e paradossale, dato che l’ottenimento di una
certezza porta inevitabilmente con sé il suo contrario; difatti la strategia del
dubbio sistematico, utilizzata dal soggetto ossessivo nella sua ricerca della
certezza, finisce per trasformarsi nel nemico principale di qualsiasi
possibile certezza. Allo stesso modo il prevalere del pensiero e la sua
utilizzazione nel controllo della dimensione emotiva otterranno il risultato
paradossale di esporre il sistema conoscitivo all’affiorare di immagini e
sensazioni ambivalenti ed intrusive minando alle fondamenta l’unitarietà
del senso di sé faticosamente costruita.
È necessario però ribadire che sono proprio gli squilibri prodotti
dall’esperienza discrepanti che, dentro della generatività e direzionalità
ortogenetica, permettono l’evoluzione verso un ordine strutturale di
superiore complessità e capacità predittiva.
Come ci indica Guidano: “la direzionalità ortogenetica “normativa” del
ciclo di vita dell’organizzazione ossessiva dovrebbe dispiegarsi attraverso
una progressiva relativizzazione dell’immagine di una realtà assoluta
accompagnata dal graduale emergere del senso irriducibile della propria
unità personale centrato su una più adeguata percezione e decodificazione
dei propri stati interni.”(Guidano, 1988).
Sarà la chiusura organizzazionale del sistema conoscitivo di tipo
ossessivo che determinerà la forma secondo cui il soggetto raggiungerà il
riaggiustamento nell’esperienza personale che consegue ad ogni crisi
dell’equilibrio identitario; pertanto il soggetto ossessiva evoluzionerà
comunque dentro delle oscillazioni ricorsive di tipo “tutto o nulla” ovvero
che anche l’esperienza di crescita e complessicazione passerà per processi
elaborativi di tipo dicotomico.
In ogni caso la possibilità che l’assimilazione delle fluttuazioni abbia
un esito negativo (quadro clinico conclamato) o positivo
(complessificazione del sistema) dipende in larga misura dal grado di
concretezza/astrazione raggiunta dal soggetto.

Dinamica della disfunzione cognitiva


La peculiarità dell’organizzazione di significato ossessiva consiste
anche nel fatto che una sindrome clinica conclamata può essere innescata
da eventi di vita apparentemente irrilevanti, sempre che abbiano il potere
di ostacolare la continua ricerca di certezza.
In tal senso, l’aspetto destabilizzante che si presenta invariabilmente
negli eventi di vita precipitanti risulta essere la difficoltà di discriminare gli
aspetti negativi da quelli positivi di situazioni emotivamente significative;
tali situazioni si possono brevemente schematizzare:

Problemi interpersonali in un rapporto significativo (difficoltà sessuali,


crisi coniugali, ecc.);
Gravidanza e parto;
Separazione, perdita o malattia di un parente o persona cara;
Delusione o fallimenti in campo professionale;

Un’organizzazione di significato personale ossessiva squilibrata sarà


caratterizzata per l’accentuarsi della frattura tra pensiero e emozione; difatti
tale organizzazione che già presenta una strutturazione fortemente
dicotomica, svilupperà ulteriormente una divisione e contrapposizione tra i
processi taciti e quelli espliciti, una profonda frattura nella dinamica
“Io”/”Me”.
A livello esplicito cosciente il “Me” utilizza fino all’estremo le
competenze linguistiche che lo caratterizzano, nel tentativo di controllare le
immagini intrusive e le esperienze emotive disgreganti; in tal modo
prendono forma pensieri ricorrenti dominanti e invasivi (ruminazioni,
dubbi, controlli continui) e, data la stretta correlazione evolutiva tra
pensiero e azione, si aggiungono modelli motori ripetitivi strutturati in veri
e propri rituali.
Il tentativo disperato di raggiungere l’agoniata certezza si cristallizza
pertanto in una serie di attività diversive che finiscono per ridurre
gravemente l’efficienza e l’autonomia del soggetto e che ostacolano
ulteriormente qualsiasi possibilità di assimilazione dell’esperienza
implicita. Negata la possibilità di un’integrazione capace di far evolvere il
sistema, una siffatta organizzazione si chiuderà definitivamente in una
ruminazione tanto fitta e stressante da farsi impenetrabile a qualsiasi altro
processo cognitivo.
Al livello implicito “l’attivazione di sensazioni ambivalenti e
inconciliabili regola l’affiorare di immagini intrusive di natura bizzarra,
dotate spesso di una lividezza quasi allucinatoria.”(Guidano 1992); fuori da
ogni possibile integrazione cognitiva, le oscillazioni perturbative dell’ “Io”
si scaricheranno in maniera diretta e immediata producendo la tipica
sensazione di incontrollabilità vissuta dal soggetto ossessivo;
incontrollabilità alla quale, come abbiamo anzidetto, il soggetto risponderà
con un fitto repertorio di sintomi ossessivo-complusivi.
Tabella 2. Indicatori tematico-clinici delle organizzazioni di significato personale (Quiñones, 2001)
INDICATORI ORANIZZAZIONE DI ORGANIZZAZIONE DI
SIGNIFICATO PERSONALE SIGNIFICATO PERSONALE
DEPRESSIVA FOBICA
STILE D’ATTACCAMENTO Stile d’attaccamento evitante tipo Stile d’attaccamento ambivalente
VARIANTE ATTIVA/PASSIVA A coercitivo tipo C
SENSO DI SÉ Negativo nel dominio affettivo Soggetto controllante. Gli stati
d’animo li vive come corporei
SENSIBILITÀ AL GIUDIZIO La sensibilità al giudizio degli La sensibilità al giudizio degli altri
altri si manifesta dentro un si manifesta dentro un continuum
continuum che va da un lieve che va da lieve malessere e
senso di perdita o privazione fino minaccia fino ad una
ad un intenso senso di perdita sintomatologia ansiosa
accompagnato da sentimenti di
tristezza e abbattimento
TEMA PRINCIPALE DELLA Oscillazione tra disperazione Oscillazione tra libertà e
COERENZA SISTEMICA (disattivazione) e rabbia costrizione.
(attivazione)
STRATEGIE DI Può essere autosufficiente Controllo degli aspetti emozionali
STABILIZZAZIONE DEL SENSO compulsivo, si centra nella e delle relazioni significative
DI SÈ attribuzione interna per
organizzare l’esperienza e si
focalizza nelle spiegazioni.
STILE AFFETTIVO Tenta di ottenere accettazione Il controllo del partner offre la
incondizionata della propria protezione indispensabile mentre
incapacità percepita di essere conferma la propria necessità di
amato per mezzo libertà
dell’oscillazione tra distacco
emotivo e attenzione compulsava
IMMAGINE COSTRUITA L’immagine dell’altro è La necessità di essere alleviato
DELL’ALTRO relazionata con il senso di dalla paura di vivere in un mondo
NELLA RELAZIONE AFFETTIVA. solitudine e esclusione pericoloso condiziona totalmente
MODO interpersonale, sia in modo la percezione della figura
DI SPERIMENTARSI positivo (redenzione dal destino d’attaccamento, con la possibilità
di solitudine) sia in modo che questa causi un’esperienza
negativo (conferma di questo immediata positiva (protezione
destino) senza limite percepito alla propria
libertà) o negativa (minaccia
percepita di perdita della propria
protezione e/o libertà)
DIMENSIONI DI Contesto indipendente, anticipa il Contesto indipendente, si focalizza
PROCESSAMENTO rifiuto, si centra nei processi nei processi analogici/corporei
INTERNO/ESTERNO analitico-esplicativi.

PROGRESSIONE Differenziazione e integrazione Senso crescente del proprio valore


NORMATIVA/IDEALE continua del tema della perdita personale basato sull’accessibilità
fino ad ottenere che sia percepito al proprio dominio emozionale con
come una categoria universale la conseguente capacità di
dell’esperienza umana. accettare la complessità e
ambiguità presente in ogni
relazione umana
INDICATORI ORANIZZAZIONE DI ORGANIZZAZIONE DI
SIGNIFICATO PERSONALE SIGNIFICATO PERSONALE
Disturbi Alimentari Psicogeni OSSESSIVA
STILE D’ATTACCAMENTO Stile d’attaccamento evitante tipo Stile d’attaccamento misto
VARIANTE ATTIVA/PASSIVA A4 nelle varianti attiva A4/C+ o evitante/coercitivo tipo A4/C o
passiva A4/C- A3/C
SENSO DI SÉ Confuso e oscillante Antitetico e inconciliabile: centrato
o solo nell’immagine positiva di
sé o solo nella negativa
SENSIBILITÀ AL GIUDIZIO La sensibilità al giudizio degli La sensibilità al giudizio degli altri
altri si manifesta dentro un si manifesta dentro un continuum
continuum che va dal lieve al che va da lievi ruminazioni a
totale cambiamento del senso di rituali compulsivi

TEMA PRINCIPALE DELLA Oscillazioni tra ricerca ed Oscillazioni tra senso di certezza
COERENZA SISTEMICA evitamento dell’intimità totale e senso di incertezza totale
STRATEGIE DI Ricerca di un’intimità Ricerca di certezza attraverso il
STABILIZZAZIONE DEL SENSO confermante che le richieda allo dubbio sistematico
D I SÈ stesso tempo un minimo di
coinvolgimento
STILE AFFETTIVO Ambiguo e indefinito, Tentativo di rimanere nel ruolo
caratterizzato per continue dominante che gli possa dare la
“messe a prova” del partner sensazione di certezza e verità
assoluta
IMMAGINE COSTRUITA Percepisce l’immagine del La necessità di unificare e
DELL’ALTRO partner affettivo come stabilizzare l’esperienza
NELLA RELAZIONE AFFETTIVA. stabilizzante o destabilizzante dicotomica in una identità sicura
MODO Il proprio senso di sé crea due possibilità opposte di
DI SPERIMENTARSI percepire l’altro: l’altro conferma
la certezza che si possiede un
controllo totale o l’altro e visto
come capace di alleviare
l’angoscia derivante del senso di
non controllo
DIMENSIONI DI Conteso dipendente: Contesto dipendente:
PROCESSAMENTO corrispondere alle aspettative corrispondere a criteri morali,
INTERNO/ESTERNO dell’altro religiosi o ideologici esterni

PROGRESSIONE Un crescente senso della propria Senso crescente della propria


NORMATIVA/IDEALE individualità e singolarità individualità e singolarità
personale costruita su criteri personale ottenuta tramite un
interni migliore accesso al dominio
emozionale e una maggiore
capacità di sopportare la
complessità e l’ambiguità presenti
in ogni relazione umana
CAPITOLO V
STRATEGIA, METODO E TECNICA NELLA PSICOTERAPIA
COGNITIVA POST-RAZIONALISTA

5.1 Lineamenti fondamentali della terapia cognitiva post-razionalista

5.1.1 Dall'approccio cognitivo razionalista a quello post-razionalista

Guidano definisce il suo modello teorico come cognitivo post-razionalista


per sottolineare il superamento della "supremazia della razionalità" presente
negli approcci cognitivi tradizionali (Beck, 1984; Ellis, 1989); secondo una
visione post-razionalista la conoscenza è un fenomeno più ampio della
cognizione ed è solo in parte logico, astratto e razionale. La conoscenza è un
processo olistico e multidirezionali che precede il pensiero verbale (che
comunque svolge un ruolo fondamentale), poiché è un processo
originariamente emozionale nonché sensoriale, motore e comportamentale.
Sempre analizzando che le terapie cognitive standard (così vengono
definite da coloro che ne fanno parte), Guidano ritiene che si basino sul
presupposto epistemologico che esiste un ordine esterno indipendente e
oggettivo verso il quale la conoscenza deve tendere; la conseguenza, a livello
di teoria del cambiamento e di metodologia terapeutica, è che ogni disturbo
clinico nasce dall'alterazione della conoscenza individuale rispetto all'ordine
esterno e che il cambiamento consiste nell'eliminare tali alterazioni.
Nel setting terapeutico degli approcci cognitivi standard (razionalisti),
pertanto, il fine è quello di individuare e cambiare i pensieri automatici
irrazionali, le convinzioni disadattative o qualsiasi aspetto cosciente che venga
ritenuto non conforme agli assiomi razionali assunti come universalmente
validi.
Le emozioni disturbanti, in tale prospettiva, altro non sono se non il
prodotto di un processamento mentale disadattativo e svaniscono non appena
sia avvenuta la correzione del processamento stesso; per raggiungere tale
correzione nei modelli rappresentativi, il terapeuta adotterà pertanto una
tecnica persuasiva (ristrutturazione cognitiva, dialogo socratico) per ristabilire
la conformità col ordine razionale ritenuto normativo.
Come ci spiega Guidano un tale tipo d’approccio sarà completamente
orientato ad individuare e modificare gli aspetti semantici della conoscenza
che sono organizzati in strutture rappresentative (immaginazione, dialogo
interno, convinzioni), senza prendere in considerazione gli aspetti sintattici, le
regole organizzative tacite (elementi emotivo-comporei); le emozioni,
componenti fondamentali dell’ordine tacito, non verranno considerate nel
loro valore conoscitivo e organizzativo bensì saranno semplicemente
controllate per mezzo di nuove cognizioni sostitutive ritenute più funzionali.
La centralità della razionalità, l'autocontrollo sulle emozioni, l'importanza
data agli aspetti semantici e il conseguente stile terapeutico persuasivo-
educativo sono i punti fondamentali che Guidano critica e in alternativa dei
quali elabora un approccio post-razionalista alla terapia..
È importante sottolineare che le proposte applicative di Guidano sono
formulate per deduzione dal corpo teorico (vedi sopra cap. II), con il risultato
di essere parte integrante di insieme epistemologico-teorico-pratico coerente;
in maniera esattamente opposta negli approcci cognitivi tradizionali
qualsiasi costruzione teorica è la naturale conseguenza della provata efficacia
di una tecnica (Semerari, 2000).
Va da sé pertanto che il fulcro centrale delle concettualizzazione circa il
cambiamento e la metodologia psicoterapeutica in una prospettiva post-
razionalista è la dimensione emotiva come ordinamento a priori della prassi
del vivere (l'esperienza immediata, "Io").
Se infatti la sintomatologia compare come conseguenza di una
organizzazione di significato personale la cui rigida coerenza struttura una
esclusione selettiva delle informazioni emotive discrepanti, il cambiamento
sarà il frutto dell’avvenuta integrazione di questo materiale.
Come indica Semerari (Semerari, 2000) quello di Guidano è dunque un
modello d’integrazione/non integrazione in cui la riorganizzazione del
significato personale è l'obbiettivo dell'intervento terapeutico.
Sulla base di quest’interconnessione tra affettività e cambiamento nel
processo psicoterapeutico Guidano formula due considerazioni generali
(Guidano, 1992).

In assenza di emozioni non sembra possibile alcun tipo di cambiamento;


nell'equilibrio circolare tra esperienza immediata ("Io") e immagine
esplicita del Sé ("Me") solo l'affiorare di nuove tonalità emotive
perturbative può provocare un riordinamento della coerenza sistemica che
porti, a sua volta, ad una cambiamento dell'organizzazione complessiva
delle dinamiche interne al Sé.
La struttura e la qualità del cambiamento dipendono, in larga misura, dal
livello e dalla qualità della consapevolezza di sé con cui è stato portato
avanti il processo di riorganizzazione; dall'altra parte, come già sappiamo,
una medesima esperienza discrepante può produrre tanto una
riorganizzazione progressiva (“ristrutturazione dell’identità personale”)
come una riorganizzazione regressiva (quadro sintomatologico)
dipendendo dal tipo di riordinamento della consapevolezza di sé
prodottosi; tale processo avviene attraverso un cambiamento della
valutazione dell' "Io" da parte del "Me" passando per "una maggior
comprensione da parte del paziente delle modalità con cui ordina il fluire
continuo dalle sua esperienza immediata".(Guidano, 1992).

Seguendo queste considerazioni passiamo ad esaminare gli elementi


fondamentali del processo psicoterapeutico secondo la prospettiva post-
razionalista.

5.1.2 L'atteggiamento del terapeuta e il processo valutativo

Lontano dall'essere centrata nella persuasione e nell'educazione del


paziente, la relazione terapeutica nel modello post-razionalista è uno
strumento d'esplorazione principalmente orientato nella collaborazione con il
paziente nel suo sforzo di comprendere meglio le sue modalità di spiegazione
e ordinamento dell'esperienza.
Il fuoco principale di tale lavoro d’esplorazione consiste nell'affrontare ed
assimilare le esperienze emotive perturbanti la continuità del senso di sé del
paziente, permettendo così che il paziente possa autoriferirsi senza
autoinganni tali esperienza emotive disgreganti e in fine integrarle nella
propria consapevolezza di sé in corso.
Per questi motivi un terapeuta processualmente orientato deve
imprescindibilmente partire dalla conoscenza della specifiche modalità di
vivere e spiegarsi le emozioni perturbative caratteristiche di ogni
organizzazione di significato personale (così come abbiamo analizzato nel
capitolo IV); in tale senso il sentimento della paura, per esempio, assumerà
sfumature e significati radicalmente diversi in un soggetto fobico rispetto ad
una "dapico" e che, di conseguenza, una corretta e efficace strategia
terapeutica non potrà che fondarsi sulla conoscenza di tali differenze.
È necessario, tra l’altro, conoscere quali sono i periodi critici del ciclo di
vita e in che modo, tali periodi critici, possano innescare disfunzioni
psicopatologiche in ciascuna organizzazione di significato (vedi sopra cap.
III).
Un atteggiamento terapeutico di questo tipo è chiaramente
“esplicazionista” (Marhaba, 1976), teso cioè ad inquadrare le “informazioni
immediate” in un ordine esplicativo più amplio che contestualizzi queste
ultime all'interno di un itinerario di sviluppo passato e futuro e di una
dinamica organizzativa in corso; così procedendo sarà possibile affrancarsi da
semplici aspetti tecnici, orientandosi invece verso un programmazione
strategica del processo terapeutico più ampia e articolata.
Il processo valutativo si concentrerà, pertanto, nell'individuare le
proprietà formali e strutturali del modo di elaborare la conoscenza quali
flessibilità, autointegrazione, grado di concretezza/astrazione, livello di
autoinganno e qualità di sequenzializzazione (vedi sopra cap. IV); è`, inoltre,
importante sottolineare che il momento della valutazione non è chiaramente
differenziabile all'interno del processo terapeutico, partendo dal presupposto
che già nella fase valutativa viene utilizzato il metodo di autosservazione,
metodo che sarà utilizzato per esplorazione personale durante tutto il corso
della terapia.
Introdurre tale metodo sarà dunque il primo passo; addestrare il paziente a
questo metodo significa addestrarlo alla differenziazione tra esperienza e
spiegazione tra dimensione emotiva e riordinamento esplicito di questa (il che
implica che il terapeuta stesso sia capace di tale discriminazione essenziale);
ovvero mentre viene ricostruito in terapia un evento significativo il terapeuta
dovrebbe essere capace di dirigere l'attenzione del paziente alternativamente
da un livello all'altro, analizzando: da un lato come l'esperienza immediata del
paziente ha preso forma nella situazione e, dall'altro, come il paziente si
autoriferisce e spiega quello che è accaduta nella situazione.
Per esempio, in una lite coniugale, al primo livello possiamo trovare la
percezione, per parte del paziente, della discrepanza negli atteggiamenti del
coniuge, seguendo tale percezione si dovrà esplorare la rabbia che essa
produce, le tonalità emotive di questa, ecc.; al secondo livello invece, e
continuando con l'esempio, l'analisi si centrerà sulle ragioni contingenti
addotte per il litigio che escludano o riducano la sua responsabilità, le
spiegazioni della sua aggressiva, ecc..
Con rispetto a questi due tipi di informazioni Guidano chiarisce che: "Una
distinzione di base tra i due livelli è che nell'ultimo sono applicabili le
categorie logiche di verità e falsità, mentre non sono applicabili nel primo. In
altri termini, il fluire dell'esperienza immediata esprime semplicemente il
modo inevitabile di "sentirsi nel mondo" in quella situazione e, come tale, non
può mai essere errato; mentre le spiegazioni, appartenendo a un metalivello
semantico, possono risultare erronee una volta riferite all'esperienza che
intendono spiegare." (Guidano, 1992).
La fase valutativa quindi utilizza il metodo dell’autosservazione per
ricostruire i pattern di coerenza che sottendono il comportamento
problematico presentato. Oltre alla dinamica "Io"/"Me" che emerge dalla
pratica dell’autosservazione, il terapeuta si trova continuamente di fronte ad
altri due tipi di informazione che forniscono importanti dati per valutare i
pattern di coerenza sistemica in corso:
Dati diretti: le modalità, verbali e non verbali, con cui un evento viene
raccontato e il momento della relazione in cui viene raccontato l'evento
stesso; permettono di pre-comprendere la cornice di significato tacito in cui
il paziente vive l’evento.
Dati indiretti: il modo in cui il paziente gestisce la riorganizzazione che sta
portando a termine (tipi di resistenze al cambiamento) così come
l'atteggiamento emotivo del paziente nel setting terapeutico (timori espressi,
rassicurazioni richieste, ecc.); forniscono un suggerimenti per ipotizzare la
storia di attaccamento e l’itinerario di sviluppo.

Un ultimo punto che differenzia il modello post-razionalista e le


psicoterapie costruttiviste in gererale rispetto alle terapie cognitive standard, è
l'atteggiamento verso le resistenze (Feixas & Villegas, 2000); se nelle terapie
cognitive standard le resistenze sono indicatori di deficit motivazionali che
bisogna affrontare e superare, nelle terapie di inspirazione costruttivista le
stesse sono considerate come meccanismi di mantenimento della coerenza. Le
resistenze svolgono una funzione autoregolativa diretta a limitare un
cambiamento dell’ immagine di sé cosciente ("Me") che sia troppo radicale o
troppo rapido, a tale scopo vengono prodotti specifici meccanismi di
autoinganno; "Per cui",conclude Guidano,"bisognerebbe lavorare con
piuttosto che contro le resistenze."(Guidano, 1992).

5.1.3 Il metodo d’autosservazione e la tecnica della moviola

Come abbiamo già anticipato l'autosservazione è il metodo essenziale per


portare avanti il processo terapeutico in tutte le sue fasi, in quanto permette di
ricostruire gli eventi di interesse terapeutico lavorando sull'interfaccia
esperienza/spiegazione, ordinamento emozionale-corporeo/riordinamento
esplicito (Guidano, 1992; 1995; 2000).
Attraverso l'autosservazione è possibile accedere e modificare l'attitudine
verso sé stessi (vedi sopra cap. III), movendosi all'interno della connessione
tra il "Me" e l' "Io"; seguendo tale dinamica circolare tra esperienza e
spiegazione, gli eventi critici portati in terapia potranno essere analizzati in
tre livelli d'elaborazione: l'esperienza immediata, la spiegazione mediata e la
relazione dinamica e in continua evoluzione tra queste due (nucleo stesso del
mantenimento dell'identità personale).
L'altro elemento fondamentale dalla metodologia terapeutica sistemico-
processuale è il procedimento di sequenzializzazione nelle sue tre dimensioni:
cronologica, causale e tematica (vedere sopra, coscienza tematica cap. II);
individuato un evento problematico o una serie di eventi, si lavora con il
paziente perché questi possa ordinarlo in una sequenza di scene ordinate che
vengono analizzate una per una.
Quest’analisi viene fatta movendosi all’interno dei tre livelli di
sequenzializzazione della narrazione di Sé; il primo livello cronologico si
riferisce all'utilizzazione del criterio temporale/cronologico di ordinamento nel
racconto della propria storia. Il secondo livello, il causale, invece premette la
connessione tra eventi interni e esterni, esplicitando l'esistenza di nessi causali
chiarificatori. Infine, la sequenzializzazione di tipo tematico consiste nella
possibilità di identificare e ordinare gli eventi di vita sulla base delle tematiche
affettive ed esistenziali ricorrenti (tema, metascritto).
Questi tre livelli di sequenzializzazione offrono al paziente la possibilità
di inscrivere e ricollocare ogni evento di vita (con le sue relative scene
presenti e passate) dentro un contesto più ampio, relativo alle relazioni
affettive o alla propria storia di vita; in questo modo è possibile, tra l’altro,
integrare e assimilare le esperienze emotive perturbatrici nel tessuto narrativo
che dà forma alla coerenza del Sé, risolvendo, di conseguenza, la
problematiche cliniche sofferte.
Il procedimento di sequenzializzazione che è sempre utilizzato nel
processo terapeutico, è però indispensabile nel lavoro con scompensi di tipo
psicotico in cui la sequenzializzazione è praticamente assente (vedi cap. IV);
in questi casi la ricostruzione della sequenza di eventi, scene e immagini deve
essere portata avanti in modo graduale e progressivo partendo dall’elementare
collocazione spazio-temporale per poi ricostruire gradualmente le tematiche
affettive-esistenziali ricorrenti che sottendono la sintomatologia schizofrenica
(Maxia, 2000).
Per portare a termine l'autosservazione in tutti i suoi aspetti fin qui
trattati, Guidano propone di utilizzare una tecnica che sfrutti la facile
comprensibilità del linguaggio cinematografico: la tecnica della moviola.
Il paziente, non abituato nella sua prassi di vita quotidiana, ad una
autosservazione articolata come quella di un processo terapeutico, può trovare
tale compito più accessibile se presentato con un linguaggio conosciuto.
Nella tecnica della moviola il paziente viene invitato, come se fosse in
una sala di montaggio, a scomporre gli eventi in una serie di scene che a loro
volta vengono analizzate nelle loro componenti; difatti una volta costruita la
sequenza di scene "il paziente è addestrato a ripercorrere in panoramica
(panning) l'intera successione di scene andando avanti e indietro al rallentatore
e, alternativamente, a zummare fuori (zooming out) una singola scena per
focalizzare aspetti particolare e a zummare dentro (zumming in) ricollocando
di nuovo la scena stessa arricchita di nuovi particolari nell'intera sequenza e
così via." (Guidano, 1992).
Fig. 3 (adattata da Guidano, 1992)
sequenzializzazione

SCENA 1 SCENA 2 SCENA 3 SCENA 4

zummare dentro/fuori

RIPERCORRERE LA PANORAMICA AL RALLENTATORE

Nelle fasi iniziali della terapia l'autosservazione e l'analisi scenica si


useranno per ricostruire:

I pattern di esperienza immediata del paziente all'interno della scena; la


mimica, la gestualità, le posture e gli atteggiamenti, azioni mancate,
omissioni significative, il ruolo emotivo assunto nell'interazione, ecc.;
Le regole interpretative di base innescate della scena e le emozioni
coscienti autoriferite; informazioni direttamente ricostruibili dai resoconti
del paziente;

In tutto il processo è di cruciale importanza orientare progressivamente il


paziente verso analisi della struttura dell'esperienza immediata, nelle sue
componenti emotive, cercando di andare più in là del come si racconta a sé e
agli altri le emozioni, di come le concettualizza e spiega a sé stesso.
A tal proposito Guidano distingue due tipi di domande capaci di
discriminare i due aspetti dell'esperienza emotiva: da una parte il perché
dell'esperienza emotiva, relativo quindi a come ci si autoriferisce una
emozione; dall'altra il come era fatto quello che si provava, ovvero le
componenti dell'esperienza emotiva quali modulazione immaginativa, senso di
sé, tonalità affettive di base e emozioni correlate.
Il metodo di autosservazione va così strutturandosi a livelli sempre
maggiori grazie all'aumentate abilità che via via acquista il paziente e grazie
anche alle nuove discriminazioni introdotte dal terapeuta.
Con l’avanzare del processo terapeutico viene introdotta nel setting una
discriminazione con la quale il paziente può vedersi alternativamente da un
"punto di vista soggettivo", portando avanti in prima persona la scena, o da un
"punto di vista oggettiva" come di chi sta guardando la scena di un film;
questa ulteriore differenziazione oggettivo/soggettivo perfeziona le
discriminazioni precedenti e introduce nuove informazioni sull'esperienza
immediata.
Questa differenziazione evolverà acquistando nuove dimensioni nelle fasi
avanzate del processo psicoterapeutico dove si intraprenderà la ricostruzione
della storia di sviluppo; nel ripercorre scene significative del passato del
paziente sarà possibile un'ulteriore distinzione nel "punto di vista
oggettiva": una relativa al come ci si vede ora dall'esterno e l’altra relativa al
come uno si sarebbe visto a quella età.
Il metodo di autosservazione, nelle sue plurime sfaccettature, produrrà
inevitabilmente nell'esperienza del paziente un incremento dell'esposizione
alle proprie emozioni; la continua messa a fuoco dell'esperienza immediata
farà affiorare nuove informazioni emotive con un potere perturbativo capace
di innescare riordinamenti nella consapevolezza del sé, variando così il senso
di sé in corso (cambiamento dalla valutazione del "Io" da parte del "Me").
Va da sé che in virtù delle caratteristiche sistemiche dell'organizzazione di
significato personale (vedi sopra cap. II) la ristrutturazione di una scena
innescherà, di conseguenza, la ristrutturazione dell'intero evento di vita,
ristrutturazione che a sua volta permetterà l'emergere di nuove tonalità
affettive; come già sappiamo è attraverso questo processo che un sistema
conoscitivo può procedere in senso progressivo lungo la sua direzionalità
ortogenetica aumentato la sua flessibilità, le sue capacità autointegrative e il
suo livello di astrazione.
Vi è, poi, un’altra procedura di autosservazione che permette in modo
specifico di aumentare la capacità di comprensione del punto di vista altrui e
di conseguenza di differenziare la propria esperienza di Sé da quella degli
altri.
Questa nuova discriminazione nell’esperienza risulta estremamente utile
nelle problematiche relative alla scarsa demarcazione del confine Sé/non Sé
presenti, in special modo nelle organizzazioni di significato personale DAP
(vedi sopra cap. IV) caratterizzate per una forte sensibilità-vulnerabilità al
giudizio degli altri.
La procedura deve essere accompagnata da una breve e semplice
spiegazione di come il comportamento degli altri consti sostanzialmente di
informazioni, le quali possono essere lette e codificate o come informazioni su
sé stessi o come informazioni sugli altri; "Pertanto, il modo più semplice per
portare avanti questa nuova differenziazione consiste nel mettere a fuoco in
moviola un atteggiamento critico percepito in un altro e, quindi, cominciare ad
allenarsi, con l'aiuto del terapeuta, a passare dall'uno all'altro punto di vista."
(Guidano,1992).

Fig. 4 (riportato da Guidano, 1992)

Percepire comportamento di A come informazione


su di sé (Se A si comporta così chi sono io?)
Spostamento

Messa a fuoco del


continuo

Comportamento di A
Percepire comportamento di A come informazione
su di lui (Se A si comporta così chi è A?)
La conseguenza terapeutica è che il paziente comincia da una parte a
rendersi conto di come i due punti di vista forniscono informazioni
radicalmente distinte e, dall'altra, a svincolarsi gradualmente dall'influenza
degli altri sul proprio senso di sé.
È forse necessario aggiungere che tale procedura autosservativa anche se
risulta fondamentale per i soggetti "dapici" può essere estremamente utile in
qualsiasi organizzazione di significato partendo dal presupposto che la
sensibilità al giudizio degli altri è un ingrediente costituente l'esperienza
umana.
Una strategia psicoterapeutica come quella appena presentata condivide
molti elementi con altre proposte dell'ambito costruttivista e non, l'interesse
prevalente attribuito all'esperienza immediata ricorda le terapie esperenziali-
esistenziali come la Terapia Centrata nel Cliente, la Terapia della Gestalt e
l'Analisi Transizionale. In tal senso sono evidenti e interessanti i confronti e
arricchimenti con le riformulazioni e sintesi in una cornice teorica
costruttivista che Greenberg e altri (Greenberg & Rice & Elliott, 1996) fanno
della Terapia Centrata nel Cliente e della Terapia della Gestalt; non è questa la
sede per approfondire questi temi però si è importante sottolineare potenziali
linee di integrazione e arricchimento reciproci.
Ai margini di queste considerazioni metodologiche è importante
riproporre le avvertenze di Guidano circa "l'enfasi posta sul ruolo della
consapevolezza" (Guidano, 1992), l'autore avverte che in nessun modo
l'importanza attribuita alla consapevolezza nel processo di cambio deve
considerarsi alla stregua di "legittima erede" della razionalità (elemento
centrale nella concezione del cambiamento nelle terapie cognitive standard);
nelle proprie esperienze cliniche (e probabilmente personali) Guidano osservò
infatti che all'aumentare della consapevolezza aumenta il numero di dati a
disposizioni rispetto alla propria esperienza immediata e con essi aumenta il
numero di discrepanze e contraddizioni.
Per conseguenza, nella consapevolezza del soggetto, affiorerà un senso
di sé marcato per l'ambiguità a cui si accompagnano emozioni complesse quali
noia e senso di inutilità; in termici terapeutici ne deriva che, per evitare tali
problematici esiti, il terapeuta dovrà limitare il proprio intervento ai settori
d'esperienza che si sono rilevati critici in base a una previa ricostruzione dei
temi di fondo del significato personale del paziente, astenendosi
dall'intervenire a oltranza in altri settori.

5.1.4 Struttura e dinamica del cambiamento terapeutico

L'essenza dell'intervento clinico nella prospettiva post-razionalista


consiste nella capacità del terapeuta di innescare una discrepanza
nell'esperienza del paziente che lo costringa a riordinare la consapevolezza
abituale di sé.
Come ormai sappiamo la sintomatologia è la conseguenza di una coerenza
sistemica rigida e ristretta che si arrocca ad una immagine esplicita di sé (il
"Me") costituita sull'esclusione selettiva di informazioni emozionali-corporee
provenienti della dinamica polare e ritmicamente oscillante dell' "Io"; ne
consegue che qualsiasi cambiamento passa per l'integrazione di tali esperienza
discrepanti, integrazione che è permessa dalla graduale flessibilizzazione della
strutture esplicite che a loro volta saranno capaci di dare forma ad un
superiore livello di complessità e ordinamento strutturale.
Sarà il setting terapeutico a dover offrire la possibilità che il nuovo
ordinamento si dispieghi e che una nuova valutazione dell' "Io" da parte del
"Me" sia raggiunta; un tale processo riorganizzativo consterà invariabilmente
di un complesso processo di autointegrazione delle "modalità informative
autoreferenziali" (sensazioni, emozioni, motricità e cognizione) in un nuova
trama narrativo dell’identità (Quiñones, 1999). L'emergere alla coscienza di
tale nuovo nucleo di senso prodottosi creerà inevitabilmente un senso di
ambiguità derivante dalla discrepanza esistente con rispetto al precedente
ordinamento.
Il terapeuta, per sua parte, assumerà il ruolo di perturbatore
strategicamente orientato (Guidano, 1992) costruendo le condizioni tali per
cui si produca una esperienza riorganizzativa; il terapeuta, però, in quanto
esterno al sistema autoreferenziale non potrà controllare o determinare la
direzionalità e le conseguenze di questo riordinamento.
Perturbare significa, pertanto, creare le condizioni che inneschino
esperienze immediate discrepanti e destrutturanti in grado di decostruire
l'organizzazione di significato patologizzante (Villegas, 1993); in tal senso
Guidano (Guidano, 1992) indica due fonti principali in grado di produrre
eventi affettivi significativi:

L'aumento di comprensione, da parte del paziente, delle proprie regole di


funzionamento; queste modificazioni, a loro volta, provengono sia dalle
spiegazioni del terapeuta sia dalla pratica dell'autosservazione;
La struttura e la reciprocità del contesto terapeutico interpersonale; anche
queste dimensioni sono capaci di innescare perturbazioni emotive
destabilizzanti il senso di sé in corso nel paziente.
È necessario però un ulteriore approfondimento dell'interconnessione tra
eventi affettivi e cambiamento terapeutici, che ci porti a valutare
l'indispensabile presenza simultanea di due processi basici: un effetto
discrepante, da una parte, e, dall’altra, un livello apprezzabile di
coinvolgimento emotivo nella relazione terapeutica.
Rispetto al primo punto bisogna sottolineare che l'effetto discrepante delle
spiegazioni o interpretazioni del terapeuta non dipende dal loro grado di verità
bensì della loro capacità di destabilizzare la percezione abituale che il paziente
ha di sé.
Se l'effetto discrepante prodotto dalle spiegazioni e riformulazioni è
condizione necessaria al cambiamento, d’altra parte l'assenza di un
apprezzabile coinvolgimento emotivo nella relazione terapeutica non
porterebbe, probabilmente, a nessuna riorganizzazione del Sé; solo la presenza
di tale coinvolgimento costringe il paziente "a quell'autoriferimento
immediato e globale da cui ha origine il senso stesso di
discrepanza.”(Guidano, 1992)
Quest'ultima considerazione ci porta ad esaminare le implicazioni che
comporta per il terapeuta una concezione sistemico-processuale della
relazione terapeutica; infatti se il coinvolgimento nella relazione
interpersonale è cruciale per il cambiamento, ciò implica la responsabilità per
il terapeuta di far si che tale coinvolgimento si formi e si mantenga.
Il terapeuta difatti, per il principio dell’autoreferenzialità, non sarà un
osservatore esterno e obbiettivo bensì parteciperà e influenzerà la relazione
interpersonale in corso; il terapeuta si vedrà quindi costretto a tenere in conto
le proprie oscillazioni emotive nel procedere alla comprensione del paziente,
sapendo che queste sono informazioni sul proprio funzionamento e non
riguardano il paziente.
Infine, l'aspetto strategico dell'intervento terapeutico si riferisce
all'immagine di un terapeuta che "mentre è "tecnicamente" proteso a
modificare i modelli di consapevolezza del paziente, è estremamente attento a
utilizzare le oscillazioni emotive per facilitare la comprensione di quanto
mano a mano si va ricostruendo."(Guidano, 1988).
Ritornando al tema della consapevolezza e dei problemi che comporta il
suo progressivo aumento, ci troviamo di fronte al medesimo problema con
riguardo alla consapevolezza del terapeuta con l'aggiunta di alcuni aspetti
peculiari. Il primo di tali aspetti peculiari consiste nel fatto che l’aumento
della consapevolezza del terapeuta nasce dalla pratica di una professione ove
tale aumento è parte integrante del lavoro terapeutico. Per di più la
consapevolezza di un terapeuta è di tipo vicario, nel senso che,
quotidianamente, un professionista della psiche "entra in contatto con una
quantità smisurata di vicende e storie umane che non possono mai tradursi in
una conoscenza più approfondita della vita e delle sue reazioni nei confronti di
questa"(Guidano, 1992).
Queste riflessioni portano ad interrogarsi su come si dovrà nel futuro
affrontare tali problematiche, tanto complesse come fondamentali,
relativamente all'essere un “professionista dell'esperienza umana”.

5.2 Le fasi del processo terapeutico

La adeguata scansione temporale del processo terapeutico è una


caratteristica essenziale per una strategia terapeutica processualmente
orientata, poiché, secondo la visione fin qui esposta, la crescita di un sistema
conoscitivo è un processo discontinuo che, nel sua accedere a livelli di
ordinamento via via più strutturati e integrati richiede un adeguato timing; è
necessario cioè che il terapeuta si preoccupi che l'avanzare del processo
ricostruttivo e riorganizzativo proceda gradualmente e che quindi ogni nuovo
livello di autosservazione e auto-ordinamento prenda forma sulla base della
conclusione e stabilizzazione della riorganizzazione previa.
La classica proposta di Guidano di divisione del processo terapeutico
consta di tre fasi: preparazione del contesto clinico e interpersonale,
costruzione del setting terapeutico, analisi della storia di sviluppo. Nella mia
esposizione ho preferito dividerlo in quattro fasi, col fine di sottolineare
maggiormente la differenza, già esistente in Guidano, dentro la seconda fase
(costruzione del setting psicoterapeutico) dedicando due paragrafi distinti a
focalizzazione e riordinamento dell'esperienza immediata e ricostruzione
dello stile affettivo.

5.2.1 Il contesto clinico-interpersonale e la riformulazione del problema

In questa fase di apertura della relazione clinica il terapeuta ha tre


obbiettivi principali: costruire un clima collaborativo per il lavoro esplorativo
che si dovrà portare a termine, formulare un'ipotesi sulle modalità invarianti di
significato che sottendono la sintomatologia esposta dal paziente e infine
riformulare la domanda terapeutica in termini che permettano di operare
nell'interfaccia tra l'esperire e lo spiegare.
In realtà questi tre "movimenti" si trovano sovrapposti e embricati
all'interno della complessità e multidirezionalità del processo terapeutico, va
da sé che la differenziazione proposta serve solo a scopo chiarificatore, "un
artificio esplicativo volto a esemplificare una prassi operativa"(Guidano,
1992).
Pertanto le prime sedute (da una a otto dipendendo dalla situazione clinica
e collaborativa) saranno dedicate a questi tre compiti, primo fra i quali il
costituire una relazione terapeutica basata sulla collaborazione reciproca verso
il comune scopo di esplorazione, così da "costruire una comprensione non
disponibile al momento"(Guidano, 1992); a tal fine il terapeuta non dovrà
implicarsi in inutili e dannose discussioni circa la verità o falsità della
affermazione del paziente bensì indagare con il paziente il significato della
stesse.
Il terapeuta si troverà dinnanzi ad una lamentela, per parte del paziente,
che verterà essenzialmente su di una esperienza di estraneità verso i propri
sintomi che sono considerati come una malattia subita che non ha alcuna
relazione con il suo modo di essere (vedi sopra cap. IV); sulla base di una
ipotesi che si andata formulando fin dai primi momenti il professionista
comincerà il suo lavoro di perturbatore strategicamente orientato procedendo
alla riformulazione del problema presentato; infatti una volta individuate le
tematiche ideo-affettive specifiche di ogni organizzazione di significato, il
terapeuta potrà muoversi e attuare verso la direzione più proficua e meno
pericolosa per la relazione collaborativa.
Pertanto, la riformulazione consisterà nel ridefinire il problema spostando
la attribuzione causale da esterna (malattia, fenomeni estranei ed esterni al Sé)
a interna (relativa cioè al proprio mondo interno ed emozionale); tale
riconfigurazione di senso è possibile grazie all'introduzione, già dalle prime
sedute, del metodo di autosservazione.
Queste fasi iniziali sono, quindi, di vitale importanza perché stabiliscono
le regole e modalità del setting terapeutico e della relazione clinica; come
avverte Guidano un errore a questo punto del processo si trascinerebbe
inevitabilmente lungo tutta la relazione terapeutica vincolando questa a regole
interpersonali e di ruolo che potrebbero essere dannose a addirittura iatrogene.

5.2.2 Focalizzazione e riordinamento dell'esperienza immediata

Procedendo con un ritmo unisettimanale di sedute, si entra a questo punto


nella fase centrale del processo e della strategia psicoterapeutica, nella quale,
normalmente, il terapeuta propone al paziente dei "compiti a casa": il paziente
deve mettere a fuoco gli eventi della settimana che siano ritenuti più
significativi in base all'ipotesi negoziata nella fase precedente.
Il materiale così raccolto sarà, quindi, esaminato nelle sedute attraverso il
metodo dell'autosservazione e la tecnica della moviola, sequenzializzato (a
livello cronologico, causale e tematico), scomposto e ricomposto in scene,
addestrando allo stesso tempo il paziente a discriminare tra esperienza e
spiegazione e tra punto di vista oggettivo e soggettivo. Ogni evento va
analizzato nella struttura della dimensione immediata, studiando "come è
fatta": le oscillazioni del senso del sé, le tonalità emotiva che emergono, le
componenti immaginative e mnemoniche, ecc. ; e allo stesso modo
esaminando il "quando" ovvero come si verifica: dalla percezioni di
accadimenti esterni, dall'affiorare improvviso di sensazioni interne, dalla
inaspettata consapevolezza di sé o degli altri critica e contrastante.
Il lavoro di autosservazione permettere, dunque, il graduale affiorare delle
oscillazioni critiche e la loro conseguente distinzione dalle spiegazioni
autoingannevoli che su di esse il paziente va costruendo per mantenere la
propria coerenza.
Si può fare l'esempio di un soggetto, con evidente sintomatologia
depressiva, che indagando l'esperienza immediata porta alla luce le
oscillazioni continue tra un senso di impotenza e solitudine, da una parte, e
improvvisi scoppi di rabbia dell'altra; sulla base di questa analisi, poco a poco
un soggetto, con questo tipo organizzazione di significato, si renderà conto
del potere autoingannevole e distorsionante delle spiegazioni e gradualmente
potrà, per esempio, passare a considerare le esperienze emotive critiche non
più come espressione di una attitudine a vivere in solitudine (spiegazione
autoingannevole) bensì come risposta e protesta alla percezione del pericolo
che le figure significative si allontanino emotivamente (spiegazione
autointegrativa). Una tale comprensione delle proprie regole di funzionamento
produrrà inevitabilmente un riordinamento nell'immagine di sé.
Dopo un periodo che può variare da uno a quattro mesi, nei pazienti si
possono notare cambiamenti in vari aspetti; infatti normalmente viene
abbandonata quella attitudine passiva verso di sé che considerava estranei i
sintomi lamentati, attribuendone la causa a qualcosa esterno e incontrollabile,
e viene gradualmente guadagnata una attitudine attiva nella quale il paziente si
riappropria della responsabilità dei sintomi riconoscendo in sé la loro origine.
Forte di tale nuova consapevolezza stabilizzatasi, il terapeuta può allargare il
fuoco di comprensione del lavoro esploratorio non solo approfondendo
l'analisi delle esperienze discrepanti ma ricostruendone con il paziente i
collegamenti e le implicazioni di queste; su di un altro fronte saranno sempre
più disponibili e chiari i processi di elaborazione di aspettative e convinzioni
che si vanno strutturando nei processi di autoriferimento e autonarrazione
espliciti.
Terminato il periodo che va da quattro o otto mesi dall'inizio della
terapia, il paziente può vantare una apprezzabile trasformazione del proprio
punto di vista di sé stesso avvenuto, da una parte, grazie a una maggior
conoscenza delle proprie regole tacite di funzionamento e, dall’altra, col
graduale smantellamento dei meccanismi di autoinganno che mantenevano un
coerenza rigida e ristretta; con le parole di Guidano: "Questo cambiamento del
punto di vista su di sé porta a un riordinamento dell'esperienza immediata che
corrisponde a un primo livello di ristrutturazione della gamma di emozioni
percepibili: il paziente può riconoscere e riferire a sé stesso tonalità emotive
prime trascurate o escluse della coscienza e, nello stesso tempo, è in grado di
avvertire sfumature e sfaccettature, prime del tutto ignorate, di queste
tonalità"(Guidano, 1992).

5.2.3 Ricostruzione dello stile affettivo

Un'altra conquista della fase precedente dà la possibilità di aprire nuove


zone d’indagine, infatti il paziente, dopo la prima fase, diventa sempre più
cosciente della stretta correlazione tra andamento delle relazioni affettive e
l'emergere di emozioni discrepanti; tale comprensione sarà pertanto oggetto di
analisi e approfondimento nella seconda fase della terapia che coprirà un
periodo di un minimo di tre a un massimo di sei mesi.
Se la relazione affettiva diventa il fuoco di lavoro è importante che il
terapeuta cominci questa nuova fase del processo riformulando il problema
originario sottolineando come tale sbilanciamento emotivo (capace di produrre
sintomatologia psichica) sia stato innescato dalle modificazione
dell'immagine di una persona significativa (genitore o partner). Come indica
Guidano infatti: "L'immagine di una figura di attaccamento, attraverso la
coordinazione intermodale di moduli senso-motori-affettivi, dà luogo a un
qualità dell'esperienza immediata ("Io") specificatamente avvertita e
riconosciuta come il proprio Sé reale ("Me").(Guidano, 1992). Ne consegue
che al cambiare l'immagine della figura d'attaccamento (per esempio durante
la relativizzazione adolescenziale, vedi sopra cap. III e IV) si crea una
discontinuità nel pattern di esperienza immediata in corso che a sua volta
attiva un risposta psicofisiologica avvertita come pericolosa per l'immagine
cosciente e l'integrità del Sé; il sistema in tali condizioni si difenderà
strutturando un coerenza rigida e ristretta (esclusione selettiva di informazioni
e meccanismi di autoinganno) che sfocerà in un quadro clinico.
Sulla base di tale dinamica il paziente verrà aiutato a ripercorrere,
dall'origine, lo sviluppo del sua problematica prestando particolare attenzione
alla connessione tra questa e l'andamento della relazione affettiva al momento
dell’apparizione della sintomatologia; avanzando in questa analisi, apparirà
chiaro al paziente come, da una parte, lo strutturarsi delle propria coerenza
sistemica sia in stretta connessione con il costruire un'immagine dell'altro
significativo che possa dare continuità al senso di sé e, dall’altra, con quali
meccanismi cerca di gestire le eventuali discrepanze che si verificano.
L'analisi dello stile affettiva sarà pertanto l'obbiettivo di questa seconda
fase del processo terapeutico e sarà condotta sviluppando i seguenti aspetti
(Guidano,1992):

Variabili (contesto di sviluppo, atteggiamenti personali, ambienti sociali)


che hanno presieduto al debutto sentimentale; includendo le modalità con
cui esso fu esperito, autoriferito e riordinato nella propria continuità
personale.
Sequenza dei rapporti significativi che si sono succeduti a partire dal
debutto; così da chiarire quali pattern di selezione reciproca risultano più
coerenti con lo stile affettivo che è andato strutturandosi.
Ricostruzione della fase di formazione, mantenimento e rottura di ogni
rapporto significativo; analizzando come in ogni fase è stato esperita,
autoriferita e riordinata nella propria continuità, in modo da evidenziare la
coerenza interna dello stile affettivo.

Tutti gli eventi raccolti verranno quindi passati alla moviola,


scomponendone le scene, discriminando le dinamica tra l' "Io" e il "Me",
spostandosi alternativamente da un punto di vista oggettivo a uno soggettivo.
In un soggetto fobico, per esempio, la cui coerenza si muove tra le polarità
antagoniste di bisogna di protezione e bisogno di libertà e tra i sensi di sé
altrettanto antagonisti di costrizione e paura (di rimanere solo, di perdere il
controllo, morire, di impazzire), si potrà ricostruire un debutto marcato da un
lato dalla necessità di affrancarsi dalle figure genitoriali nella ricerca di una
propria autonomia e, dall'altra, dalla necessità di controllare la relazione
perché non si trasformi in soffocante. Rispetto alle relazioni significative dopo
il debutto, Guidano fa riferimento al fatto che spesso i soggetti fobici passano
per molte storie tutte segnate per la brevità, la superficialità e il controllo
interpersonale, caratteristiche tipiche di uno stile affettivo che mantiene
lontano qualsiasi coinvolgimento affettivo capace di attivare esperienze,
destabilizzanti la immagine di sé in corso, quali costrizione o paura di
rimanere soli.
Alla fine di questo lavoro di riscostruzione, in cui la propria storia
affettiva viene ripercorsa e analizzata ripetutamente, prenderà gradualmente
forma un reframing, una ristrutturazione di questi eventi; tale ristrutturazione
innescherà un cambiamento nella valutazione dell' "Io" da parte del "Me"
ovvero una riorganizzazione del significato personale, infatti gli eventi
affettivi non saranno più vissuti come dati oggettivi della propria storia bensì
come il prodotto della strategia atta al mantenimento della continuità e
integrità del proprio senso di sé.
A questo punto della terapia si può parlare quindi di secondo livello di
ristrutturazione della gamma di emozioni percepibili, con le parole di
Guidano: "da un lato, il paziente è in grado di riconoscere e valutare come
stati emozionali differenti si ricombinino nel procedere lungo il legame
affettivo, e come la percezione di un altro significativo venga a regolare la
percezione di sé; dall'altro egli avverte ora come queste ricombinazioni o
percezioni di altri significativi abbiano luogo solo grazie alla coerenza del
proprio significato personale, le cui tracce gli appaiono ora riconoscibili anche
nei precedenti periodi di sviluppo."(Guidano, 1992).
Guidano segnala che la conclusione di questa fase (tra il nono e il
quattordicesimo mese di terapia) coincide con una remissione dei sintomi
stabile e pressoché totale, alla quale si aggiunge una maggiore capacità di
autoriferimento astratto e un ampliarsi dei domini esperenziali; tutte queste
acquisizioni fanno si che più del cinquanta percento dei pazienti preferisca
interrompere il trattamento in questo punto, decisione che deve essere
totalmente rispettata e che deve orientare il terapeuta a strutture un setting che
permetta la graduale conclusione della relazione terapeutica; il rapporto si
trasformerà in una specie di supervisione che il terapeuta svolgerà in sedute
che andranno gradualmente distanziandosi temporalmente fino a scomparire.

5.2.4 Analisi della storia di sviluppo

Questa fase occupa normalmente il secondo anno della terapia e può


durare da un minimo di tre a un massimo di sei mesi; è intrapresa, come
abbiamo visto, da quei pazienti che pur essendosi affrancati dalla
sintomatologia vogliono continuare l'esplorazione personale.
Essendo il paziente già ampiamente addestrato al metodo della moviola, il
terapeuta comincerà immediatamente a raccogliere, insieme al paziente, tutti
gli eventi significativi della sua storia di sviluppo; ogni evento sarà scomposto
in scene e ogni singola scena sarà passata alla moviola, mettendo a fuoco tanto
le sequenze di interazioni ivi contenute come le esperienze legate al senso di
sé nelle sue fasi di sviluppo.
Compito del terapeuta sarà, sulla base della conoscenza delle dinamiche
ideo-affettive di ogni organizzazione di significato personale, individuare e
analizzare a fondo quelle scene che per la loro capacità di creare di
discrepanze emotive risultano capaci di produrre cambiamento; in tal senso è
importante capire che la versione della storia della vita che il paziente
presenta è costituita da una serie di eventi spiegati in maniera che rientrino
nella coerenza dettata della immagine cosciente selezionata. Ne consegue
quindi che tali spiegazioni saranno autoingannevoli in quanto cercheranno ci
isolare quella parte di esperienza immediata che se affiorasse alla coscienza
perturberebbe la stabilità in corso.
Per questo motivo il criterio di scelta degli eventi deve basarsi sulla
presenza d’esperienze discrepanti che il soggetto trova difficile autoriferirsi e
spiegarsi.
Il problema più evidente di questo processo di ricostruzione emerge dal
fatto che il paziente, di solito, è saldamente ancorato a una versione della sua
storia passata che è andato “aggiustandosi” nel corso degli anni tramite
spiegazioni consone all’immagine di sé selezionata.
L'analisi della storia di sviluppo consiste pertanto nell'accurata raccolta di
eventi significativi partendo dai primi ricordi a cui si riesce a risalire
analizzando in successione gli stadi maturativi secondo le seguenti linee
direttive:
INFANZIA E ANNI PRESCOLARI (0-6 anni)
-Raccolta accurata dei primi ricordi di vita disponibili;
-Ricostruzione dell'andamento della vita familiare nel periodo prescolare;
-Qualità della reciprocità emotiva e dell'attaccamento nel rapporto con
ciascun genitore ricostruibile attraverso le interazioni affettivamente
significative avute con loro;
FANCIULEZZA (6-11 anni):
-Ricostruzione della struttura di vita del bambino nel corso delle scuole
elementari;
- Reciprocità emotiva e tipo di attaccamento;
PUBERTÀ E PRIMA ADOLESCENZA (11-14/15 anni):
-Ricostruzione delle modificazioni nella struttura di vita del ragazzo risultanti
dai cambiamenti maturativi e ambientali;
-Influenza dello stile di attaccamento familiare sulla riorganizzazione di sé in
corso;
TARDA ADOLESCENZA E GIOVINEZZA (15-20 anni):
-Ricostruzione della separazione cognitivo-emotiva dai genitori;
-Relativizzazione dell'immagine dei genitori e suoi effetti sull'esperienza
immediata e la valutazione di sé;

Una volta raccolti gli eventi affettivamente significativi delle fasi di


sviluppo, si passerà da esplorarle nel setting tipo moviola, passandole
ripetutamente e moltiplicando le prospettive e i punti di vista, così da ottenere
gradualmente una maggiore flessibilità e complessità dei modelli espliciti di
sé; ricordiamo che in questa fase viene introdotto nel metodo di
autosservazione la nuova discriminazione con la quale ogni scena analizzata
può essere osservata secondo il punto di vista oggettivo del bambino che
poteva osservarsi in quel momento e secondo il punto di oggettivo dell'adulto
che la osserva ora.
Alla fine di questo impegnativo processo di ricostruzione e
riorganizzazione dell'intera storia di sviluppo nel soggetto avranno preso
forma una serie di reframing capaci di innescare un riordinamento negli
schemi emozionali e nelle strutture di pensiero che sono profondamente
interconnessi al senso di continuità e unicità personale.
Un primo livello di reframing consiste in un riordinamento di dati nella
stessa cornice; si ottiene, cioè, secondo Guidano: "Una comprensione più
esaustiva di un ricordo vago ma interessante, senza un concomitante
cambiamento nella prospettiva in cui la scena è correntemente
percepita"(Guidano, 1992). Si tratta di un reframing che pur non producendo
cambiamento è preparativo per il reframing successivo.
Il secondo livello di reframing consiste in un riordinamento dell'intera
cornice da cui il ricordo prende forma; accompagnato da un’attivazione
emozionale considerevole, questo tipo di reframing ha un importante potere
terapeutico capace di innescare una riorganizzazione delle tonalità emotive
abitualmente attivate dalla scena.
Infine il terzo livello di reframing consiste nella riorganizzazione globale
di un'intera sequenza di ricordi; questo tipo di reframing avviene dopo che i
ricordi siano stati riordinati singolarmente, di modo che ne scaturisca un
riordinamento globale capace di poter far affiorare aspetti di sé e del proprio
passato fino ad allora non percepibili dal paziente. Come sottolinea Guidano:
"Con l'analisi dello sviluppo, quello che non è più dato per scontato è il
significato personale, che viene a essere esperito come il processo che, per
tutto il corso della vita, incessantemente ordina e mantiene la coerenza del
proprio essere nel mondo."(Guidano, 1992).
Come diretta conseguenza di questa serie di ristrutturazione della storia di
sviluppo si produce anche il terzo livello di ristrutturazione emotiva,
caratterizzato per un riordinamento dei temi affettivi di base che si
ricombineranno con le nuove tonalità affettive emerse.
Mentre si stanno ricostruendo gli ultimi momenti della storia di sviluppo e
il processo terapeutico svolge al suo termine, emergerà gradualmente un
"senso di ambiguità" indicativo del percorso fatto; poiché ai reframing che si
sono prodotti si accompagneranno tutta una serie di emozioni contrastanti
tra loro: da una parte un senso di sicurezza che nasce dal "sentirsi attivi
protagonisti della propria prassi del vivere"; dall'altra un fastidio/delusione che
si avverte in seguito alla consapevolezza che la propria prassi del vivere, man
mano che veniva scoperta, deviava dalle proprie aspettative; infine un senso
di insofferenza verso sé stessi e un senso di condanna che comporta non poter
essere altrimenti.
Nella fase conclusiva, quindi, il terapeuta dovrà innanzitutto riformulare
quest'ultimo vissuto inquadrandolo in altra prospettiva nella quale si evidenzi
che la propria maniera idiosincrasica di vivere nel mondo è il modo creativo e
unico di ciascuna persona di affrontare e adattarsi alla realtà e che il proprio
essere-nel-mondo è insieme il vincolo e possibilità: un vincolo necessario
per "avere un mondo" e una possibilità di poter generare in questo mondo
nuove modalità di essere ed esperire.
Parallelamente il terapeuta dovrà stabilire un setting che accompagni il
paziente nel suo distacco dalla relazione terapeutica; dal punto di vista tecnico,
come abbiamo già visto, il terapeuta strutturerà il setting in modo che
gradualmente si trasformi in un rapporto di supervisione: il paziente ormai
addestrato all'esplorazione di sé stesso verrà solamente supervisionato nel suo
lavoro con sedute che diminuiranno gradualmente in frequenza fino a
scomparire; dal punto di vista delle dinamiche affettive che implica una
relazione terapeutica, il terapeuta dovrà osservare le oscillazioni emotive che
emergono nel paziente durante l’evolversi della fase di distacco e utilizzarle
perché comprenda ulteriormente il proprio stile affettivo.

CONCLUSIONI
Oggi, a quasi cento cinquant’anni dalla nascita della psicologia (1879,
fondazione del laboratorio di Lipsia, W. Wundt) e a cento dal sorgere della
moderna concezione di psicoterapia (1900, L’interpretazione dei sogni, S.
Freud), il territorio epistemologico e teorico di queste discipline è ancora
fortemente caratterizzato da frammentazione e discontinuità.
Questa corta ma travagliata storia delle “scienze psicologiche” come tutte
le storie è fatta di scelte, a volte lucide e radicali, a volte circostanziali, ma
sempre coerenti a ciò che le precedeva; nel definire la loro identità e i loro
obiettivi, le discipline psicologiche hanno dovuto ad ogni svolta scegliere tra
il tema (la soggettività) e il metodo (quello scientifico) (Armezzani, 2002).
Coloro che hanno scelto il tema si sono preoccupati di indagare e studiare
“la psiche della psico-logia” ovvero l’esperienza soggettiva, alcuni
costringendo questo tema al metodo (Wundt con l’analisi dell’esperienza
immediata attraverso il metodo dell’introspezione), altri allontanandosi dal
metodo per costituirne uno alternativo (psicoanalisi, fenomenologia).
Alcuni hanno deciso, invece, di piegare il tema alle esigenze del metodo
fino ad escludere il tema stesso (comportamentismo).
Restringendo il nostro campo d’analisi alla psicoterapia, possiamo
considerare che le diverse scuole, a causa di queste scelte (o dell’eccessiva
fedeltà ad esse), non hanno saputo incontrarsi su di un terreno comune che non
sia quello di un improduttivo scontro, finendo così per aumentare le distanze;
la psicoanalisi con i suoi eccessi teorici completamente disancorati dalla
ricerca di base (e a questa categoria, pur rispettando le differenze possiamo
aggiungere tutte le correnti umanistico-fenomelogiche); il comportamentismo,
sul versante opposto, continua nella sua produzione di “fatti” sperimentali che
non sono però capaci di spiegare la complessità dell’agire e dell’essere umano.
Le terapie cognitive, ultimo capitolo della storia, d’altra parte, riflettono
ancora tale problematica epistemologica e cercano, con modalità differenti, di
risolverla; come abbiamo visto lungo le pagine del presente lavoro la proposta
di Guidano nasce per superare i limiti che le teorie cognitive standard ancora
ereditavano dal comportamentismo, così da poter spiegare la complessità del
conoscere e vivere umano rimanendo dentro una “scienza della natura”.
In tal senso, nella visione di Guidano, una spiegazione scientifica nasce
dall’interdipendenza e dal continuo dialogo tra costruzione teorica, esperienza
soggettiva (il tema) e falsificazione empirica (il metodo).
Come già abbiamo segnalato, questo modo di intendere la scienza deve
molto alla riflessione di Popper. Guidano accetta a pieno tale proposta e ne
sviluppa tutto il potenziale.
Abbiamo infatti potuto mostrare come la costruzione meta-teorica e
teorica del nostro autore (vedi cap. II) prende avvio sulle solide basi di
princìpi sviluppati e collaudati nelle scienze fisiche e biologiche, suscettibili
perciò di falsificazione empirica (rispetto del metodo); è però la capacità di
chiarire e spiegare i fenomeni della soggettività umana intesa come sistema
conoscitivo che fa sì che tali princìpi e nozioni siano utilizzati (rispetto del
tema).

Fig. 5

COSTRUZIONE ESPERIENZA
TEORICA SOGGETTIVA

SPIEGAZIONE
SCIENTIFICA
Anche le fonti alle quali Guidano attinge per comprendere l’esperienza
soggettiva sono molteplici: l’esperienza personale, la letteratura (ricordiamo il
suo amore per Musil, Pessoa, Pirandello, Dostoevskij) e la pratica clinica; la
comune esperienza di “vivere” e “sentirsi vivere” di queste dimensioni, sono
dunque per Guidano una delle materie prime con cui costruire una
spiegazione scientifica.
Va da sé che il luogo privilegiato per osservare “il farsi” del Sé come
nucleo dell’esperienza soggettiva è senza dubbio la psicoterapia. La pratica
terapeutica diviene, quindi, la polarità di confronto dialettico per la
teorizzazione; la teorizzazione, a sua volta, permette di comprendere e
spiegare sempre di più la multiforme e complessa esperienza psicoterapeutica.
Si chiude in questo modo il cerchio (vedi fig. 5) e il risultato è una
“scienza del significato” che ha come obiettivo centrale la continua ricerca di
una grammatica di composizione e ricomposizione del significato personale;
possiamo riassumere i punti centrali di tale ”programma di ricerca”:

Studiare il Sé come sistema autorganizzato complesso in tutte le sue


dinamiche strutturali e funzionali; un sistema che progredisce e si
complessifica nella processualità di un divenire senza fine, nella continua e
incessante tensione verso il mantenimento di una coerenza all’interno di
tutto l’arco del ciclo di vita. Il concetto di “organizzazione di significato
personale”viene utilizzato per indicare le tematiche ideo-affettive che
sottendono i processi di elaborazione che tracciano l’identità e la
direzionalità del Sé.
Si viene cosi definendo una linea di ricerca tesa ad individuare le
organizzazioni di significato personale possibili; come abbiamo esposto,
tale obiettivo si svilupperà da una parte rintracciando le invarianti
tematiche che si presentano nella pratica clinica e, dall’altra, verificando
con la ricerca empirica la natura e l’origine di tali invarianti. Rispetto a
quest’ultimo ambito è importante tornare a sottolineare l’importanza della
ricerca sugli stili d’attaccamento e sul loro relativo strutturarsi nel corso
del ciclo di vita individuale.
Lo studio e la spiegazione della psicosi in un’ottica post-razionalista, a cui
stava lavorando Guidano prima della sua morte, è un tema che apre un’altra
linea di ricerca fondamentale; affrontare la dimensione psicotica, infatti,
spinge ad approfondire come le qualità formali e strutturali
dell’elaborazione del Sé si relazionano all’esperienza soggettiva; a studiare,
pertanto, come le dinamiche interne al Sé si vanno strutturando e
modificando in relazione all’esperienza di “esserci” comprendendo le
declinazioni abnormi della psicosi e della schizofrenia. Su questo fronte
Guidano ha lasciato delle linee guida estremamente promettenti relative
allo studio dell’alterazione della struttura narrativa dell’esperienza umana.
Infine, a tutt’oggi, si fa estremamente pressante la necessità di una
investigazione esaustiva sui fattori che intervengono nel processo
terapeutico, che permetta di raggiungere una conoscenza condivisibile; di
fronte a questa sfida, una prospettiva come quella sistemico-processuale
deve essere capace di proporre una metodologia di indagine che rispetti la
complessità che cerca di spiegare.

La specificità della proposta post-razionalista come programma di ricerca


risiede chiaramente nel richiamare alla necessità di una teorizzazione in grado
di integrare in un insieme coerente gli innumerevoli dati di ricerca che
quotidianamente vengono prodotti fuori da un’adeguata prospettiva
esplicativa. Come dice Guidano: ”Così, alla profusione quasi pletorica di dati
sperimentali su aspetti circoscritti del comportamento, del pensiero e delle
emozioni corrisponde una mancanza pressoché totale di ipotesi esplicative,
sufficientemente complesse e coerenti, in grado di individuare le possibili
correlazioni esistenti tra le diverse serie di dati isolati.”(Guidano, 1988).
La cornice epistemologica e teorica post-razionalista riapre, pertanto, la
possibilità di riprendere l’incessante tentativo dell’uomo di comprendere e
cambiare se stesso:
“Conoscersi, infatti, significa essenzialmente essere in grado di gestire
l’effetto che fa essere sé stessi di fronte alla crescente chiarezza con cui è
percepita l’irreversibilità della propria vita.”(Guidano, 1992).
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Versión electrónica editada por G.I.P.

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