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CATULLO

LXII. Il Carme Nuziale

I giovani.
Ecco Vespero, o Giovani, alzatevi: Vespero alfine dall’Olimpo
Eleva le luci sue tanto aspettate.
È tempo ormai di sorgere e di lasciare le pingui mense;
Già la vergine verrà, già sarà intonato Imeneo.
O Imene, o Imeneo, vieni, Imene, o Imeneo.

Le fanciulle.
Vedete, fanciulle, i giovani? Andate loro in contro
Nottifero [Lucifero] già mostra l’Oetee stelle.
Certo è così; vedete con qual vivo slancio s’alzarono?
E non invano: eleveranno un canto degno d’ascolto.
O Imene, o Imeneo, vieni, Imene, o Imeneo.

I giovani.
A noi si prepara, o compagni, una non facile vittoria:
guardate, come ognuna rammenta il canto appreso.
Né invano rammentano: han potere d’un memorabile canto
Né sorprende, che tutto il loro pensiero in esso si concentri.
Ad altro noi abbiamo la mente, ad altro rivolto l’ascolto:
Giustamente saremo vinti: la vittoria chiede dedizione.
Su, almeno adesso, raccogliete il vostro impegno;
Ormai s’apprestano a cantare e a noi converrà rispondere.
O Imene, o Imeneo, vieni, Imene, o Imeneo.

Le fanciulle.
Espero, quale stella si volge in cielo di te più crudele
Che dall’abbraccio di madre strappare puoi la figlia,
Strappare la figlia che resiste, dall’abbraccio di madre
E donare a un giovine focoso una casta fanciulla?
Cosa di più crudele fanno i nemici a una città vinta?
O Imene, o Imeneo, vieni, Imene, o Imeneo.

I giovani.
Espero, quale stella rifulge in cielo di te più lieta
Che, quando appari, confermi le nozze promesse
Promesse dai mariti e ancor prima pattuite dai padri,
E le promesse non sancirono finché il lume tuo sorgesse?
Quale bene donano gli dei più bramata dell’ora felice?
O Imene, o Imeneo, vieni, Imene, o Imeneo.

Le fanciulle.
Espero, dagli abbracci nostri, amiche, una ha sottratto
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I giovani.
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Infatti appena ti mostri, sempre vigila la scorta.
La notte nasconde i ladri, che a giorno tornando,
Espero, mutato il nome, [in Eòo], spesso sorprende.
Con finta lagnanza alle fanciulle piace biasimarti.
Che importa se biasimano ciò che bramano in cuore?
O Imene, o Imeneo, vieni, Imene, o Imeneo.

Le fanciulle.
Come nasce segreto, in un chiuso giardino, un fiore
Ignoto al gregge e mai strappato dal vomero,
Che l’aria sfiora, il solo nutre e la pioggia cresce
Lo desiderarono molti giovani e molte fanciulle:
Strappato poi da tenue unghia, è sfiorito,
Più non piacque ad alcun giovane o a fanciulla;
Così la vergine, finché intatta resta, è cara ai suoi
Appena ha perduto il fiore, violato il corpo
Non resta piacevole per giovani, né cara a fanciulle
O Imene, o Imeneo, vieni, Imene, o Imeneo.

I giovani.
Come vedova vite, che nasce in nudo campo,
Mai si eleva, mai produce uva matura,
Ma chinando il debole corpo sotto il peso,
Alla radice il tralcio avvicina,
La trascurano coloni e giovenchi;
Ma se è stata maritata all’olmo,
La gradiscono agricoltori e giovenchi,
Così la giovane, che intatta resta, trascurata invecchia.
Quando al giusto tempo si sposa
È cara al marito e meno invisa al padre.
O Imene, o Imeneo, vieni, Imene, o Imeneo.
Ma tu non combattere con tale consorte
Non è concesso combattere colui al quale ti affidò il padre
Il padre stesso con la madre, cui si deve obbedienza
Il tuo fiore non tutto ti appartiene, ma anche ai genitori
Un terzo del padre, un terzo della madre
Solo l’ultimo è tuo: non puoi combattere contro due:
Con la dote ogni diritto hanno ceduto al genero.
O Imene, o Imeneo, vieni, Imene, o Imeneo.

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