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Il giardino di fronte

I big shots della società erano riuniti in conferenza. Questione importante, di quelle che esigono attenzione,
obiettività. Il presidente aveva raccomandato:

— Non ci siamo per nessuno. Questa porta è chiusa a chiave. Avvisate/Avvisino la telefonista che non risponda
nessuna chiamata, nemmeno del Papa.

Cominciò a dividere l’argomento in parti, come chi divide un maialino arrosto. Ciascuna/Ogni parte era
esaminata dentro e fuori (al dritto e al rovescio), valutata, analizzata/scrutata, radiografata. Cartesianamente.

— Tu lì, vuoi fare il favore di smettere con questa caricatura?- Il presidente non ammetteva alienazione.
(disinteresse, distrazione) A sua volta/D’altronde/D’altro canto, era stato avvisato/ripreso dal vicepresidente:

— E lei, mio caro, potrebbe smettere di battere con quella matita toc,toc,toc, sul tavolo?

Erano tesi, alla vigilia di una decisione che comporterebbe grandi interessi. Qualcuno bussò alla porta.

— Non rispettano! Non rispettano il lavoro della gente! Questo non è un paese!

— Che lo sia o no, (sia o non sia paese) quando bussano alla porta la soluzione è aprire, per evitare nuove
battute/bussate, o addirittura che la porta venga giù. Perché nessuno smette di bussare, se sa che ci sono
persone dall’altra parte.

Il direttore segretario aprì, con gli occhiali da tiro. Il portinaio, ansiosamente, balbettò:

— Quella signora... quella signora li. È venuta a chiedere una cosa.

Il primo impulso del direttore segretario fu di licenziare immediatamente il capo della portineria, antico servitore,
rinomato/rispettatissimo/apprezzatissimo, ma vide davanti a sé l’immagine costernata dell’uomo, e la legge sul
lavoro: due motivi di clemenza. Pensò anche di mandare la signora in quel posto di Roberto Carlos, o in un altro
peggiore. Fu sopraffatto: lei mostrava sul viso sul viso quel segno di tristezza, che ammorbidisce perfino la
direzione.

— Signora mi scusi, ma sono talmente occupato.

— Lo so, sono io che chiedo scusa. Sto disturbando, ma non c’era altro modo. Abito dall’altra parte della
strada, nel palazzo di fronte. Il mio canarino...

— È scappato ed è entrato qui nell’ufficio? Glielo farò avere/Lo mando a prendere. Stia tranquilla.

— Prima che fosse scappato. Morì.

— E dunque?

— Ha vissuto quindici anni con noi. Era grazioso... si posava sul dito...

— E quindi, mia signora?

—(Il signore) troverà molto strana la mia richiesta? Non avevo il coraggio di venire qui. Per favore, non rida di
me.

— Non sto ridendo. Può parlare.

— Avete un giardino così bello sul tetto. Dalla mia finestra, lo ammiro/apprezzo. Quindi ora c’è una cosa: posso
esprimere un desiderio? // posso fare una richiesta?

— Può//si

— Io vorrei seppellire il mio canarino nel suo giardino. La c’è un buon posto dove lui può riposare. Vede signore,
noi abbiamo quel terreno di fianco/accanto al palazzo, con tre palme, vicino un albero del pane, ma é troppo
grande per un uccellino, manca intimità. Se acconsente, io stessa apro la fossetta. Non do il minimo fastidio,
non sporco niente.

Il direttore segretario dimenticò che aveva fretta, che c’era un problema serio di cui discutere. Quale problema?
In quel momento, l’importante, la realtà era un canarino morto, e amato.

— Si, mia signora, disponga del giardino. Io stesso la porterò di sopra, per scegliere il posto.

Salirono e scelsero l’aiuola più appropriata, dove batte il sole al mattino, e nel pomeriggio le piante ondeggiano
lievemente, nella brezza del mare.

— Non è approfittare/esagerato da parte mia fare un’altra richiesta? Vorrei che Il giardiniere non rivoltasse la
terra in questo punto, per tre mesi. Il tempo che le sue ossicina si dissolvano... Torno tra mezz’ora per la
sepoltura.

Mezz’ora dopo, tornava con una scatolina foderata di velluto azzurro, e la riunione dei big shots, che ancora
durava, fu sospesa in modo che tutti, con il presidente molto toccato, assistessero alla sepoltura.

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