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DIRITTO AMMINISTRATIVO

CAPITOLO 1 :IL SISTEMA GENERALE E LA COSTITUZIONE

1. Premessa.
Il tema delle fonti assume un’importanza decisiva nel diritto amministrativo, per almeno 2 ragioni; in primo
luogo, perché il diritto amministrativo non si giova di un impianto unitario (codice), dovendosi riferire ad un
sistema variegato e complesso, in secondo luogo, perché la P.A è non soltanto destinataria delle fonti, ma
anche produttrici di esse.

Per fonte del diritto, si intende il luogo (o soggetto) dal quale “sgorga” una regola di convivenza, quindi il
diritto serve a regolare quest’ultima e a offrire una risposta condivisibile al problema della libertà dei
consociati.

2. Libertà e democrazia.
Ebbene, la libertà dell’uomo associato non è assoluta ma relativa, perché va necessariamente coniugata
con quella degli altri. Ed allora, come si definisce la libertà nel nostro ordinamento giuridico? Per capirlo
dobbiamo brevemente soffermarci sul concetto di libertà e democrazia.

Innanzitutto è bene soffermarsi su quello che è il concetto di potere; in senso giuridico il potere costituito
da quella “energia formale” che consente di rendere coattivo un precetto indipendentemente dalla
qualificazione pre-giuridica ( religiosa,etica ecc.) del suo contenuto. Ad esempio prendiamo in
considerazione il precetto “ non uccidere”; la sua mancata osservanza può comportare sul piano religioso,
la dannazione eterna, su quello etico il disonore sociale, ma solo su quello giuridico comporta una sanzione
penale. Nello stato assoluto il potere giuridico era nelle esclusive mani del sovrano; con l’affermazione dello
stato di diritto invece, il potere giuridico trova la sua legittimazione nell’investitura ad opera del popolo: lo
stato è di diritto perché si sottopone alla legge quale espressione della sovranità popolare.

In epoca contemporanea, la libertà deriva dalla democrazia: ognuno di noi può fare solo ciò che non gli è
impedito dalle regole stabilite, in una data società, dal soggetto istituzionale democraticamente investito.

Affinché però tali regole siano “giuste” debbono essere condivise dai più: perciò in democrazia si
usa il voto. Possiamo concludere quindi, che la democrazia è strumentale alla libertà, essa serve
a consentire la libertà nella convivenza.

METODO DEMOCRATICO E LIBERTA’ FONDAMENTALI

Per far funzionare la democrazia abbiamo bisogno di alcune libertà che chiamiamo fondamentali: che
possono dirsi far capo a quella di manifestazione del pensiero.

All’interno di un apparato democratico infatti, senza la libertà di dissenso, il consenso stesso è fasullo; se
non è consentito a tutti, la decisione può dirsi viziata al punto di parlare di c.d “dittatura della
maggioranza”.

In democrazia il contenuto di ciascuna libertà è stabilito dalla legge. Solo una parte di libertà precede la
democrazia: quella che è strumentale al funzionamento del metodo democratico, come ad esempio quella
che permetta di dissentire ed in modo specifico a chi è parte di una minoranza.
Non è inutile precisare che le libertà fondamentali vanno tenute distinte dai diritti fondamentali: i diritti
infatti, sono una delle forme giuridiche che garantiscono l’effettivo godimento delle libertà fondamentali,
senza di essi, non può esserci democrazia.

Possiamo quindi concludere che il metodo democratico si nutre di due regole indispensabili: da un lato la
decisione ( anche normativa) valevole per tutti, spetta alla maggioranza dei consociati; dall’altro, a tutti e a
ciascuno devono essere garantite, al tempo stesso, le libertà fondamentali strumentali per il funzionamento
del metodo.

LIBERTA’ POSITIVA E NEGATIVA

È necessario allora spiegare la distinzione tra libertà negativa e positiva. Il concetto di libertà infatti, non si
declina più soltanto con un’accezione negativa, quale libertà dall’oppressore; ma anche nel significato di
libertà positiva, cioè come reale capacità di fare. Mentre nella prima possibilità, la richiesta del titolare di
libertà è “ non impeditemi di fare”, nella seconda è invece“ aiutatemi a fare”.

RAGIONI E DEFINIZIONE DEI DIRITTO E DELLE SUE FONTI

Quanto abbiamo detto sulla libertà e democrazia, comporta una significativa conseguenza sul rapporto tra
“cittadino” e “individuo”. Ognuno di noi infatti, è da un lato cittadino, la proiezione del quale è nella legge;
dall’altro è individuo, il “luogo” proprio del quale è nella capacità di resistenza della legge, fino al punto che
trova spiegazione persino la sua trasgressione.

Quando nella veste di cittadino, si vota investendo il potere, la carica di legittimazione di quel potere è tale
per cui può modificare la sfera soggettiva individuale.

È evidente però, che il diritto non sia dovunque lo stesso; il fatto che i valori e gli interessi si traducano in
dette regole, non significa che essi debbano necessariamente essere avvertiti come propri da tutti i soggetti
della società. Tuttavia, la loro eventuale non condivisione, non è sufficiente a legittimare la non osservanza
delle regole: ne deriva che, nella prospettiva giuridica si rende necessario studiare i metodi formali per
consentire il più condiviso modello giuridico-istituzionale.

Riepilogando quindi, le fonti definiscono i limiti di contenuto di ciascuna libertà, stabilendo da un lato, ciò
che ciascun consociato può o non può fare; e dall’altro, i compiti dei soggetti pubblici e le regole in base alle
quali devono essere svolti. Ciò significa che le fonti si manifestano tanto attraverso norme di relazione, che
hanno ad oggetto la disciplina delle relazioni intersoggettive, quanto mediante norme di azione, che invece
hanno ad oggetto l’instaurazione di una pubblica amministrazione e la disciplina della sua azione.

3. Il sistema delle fonti del diritto ed i criteri per la loro classificazione.


Nel nostro ordinamento, le fonti sono ordinate in sistema sulla base del criterio della gerarchia, integrato
da quello della competenza.

La piramide è divisibile in tre grandi sezioni, ciascuna della quale esprime il livello o rango, dell’atto fonte:
costituzionale, primario, secondario.

La collocazione di una fonte in uno dei livelli del sistema, dipende da 2 elementi: la forza ed il valore degli
atti. Per forza si intende per un verso, la capacità di un atto fonte di modificare la prescrizione di quello
precedente di livello (o rango) uguale od inferiore; e per l’altro, di resistere alla prescrizione di quello
successivo di livello (o rango) inferiore.
Per valore invece, si intende la veste formale assunta dall’atto. Il valore cioè indica, da un lato, la vera e
propria forma giuridica dell’atto, che è data dal soggetto e dalla procedura necessaria perché esso venga in
vita; e dall’altro, il regime giuridico, che consiste nell’insieme delle prerogative che caratterizzeranno la sua
esistenza, una volta venuto in vita.

A questo punto dobbiamo tenere presente che, una norma giuridica, la quale è solitamente per definizione
connotata dai caratteri di generalità e astrattezza , non può identificarsi se non attraverso la veste formale
in cui si manifesta: è la forma infatti, che distingue una norma costituzionale da quella legislativa.

Nella realtà i due elementi in parola( forza e valore), si intrecciano continuamente, ma pur vivendo in
simbiosi, restano appunto distinti. Tale situazione può essere verificata in quei casi specifici in cui accade
che ad una data veste formale dell’atto corrisponda una forza non coerente con quella degli atti aventi lo
stesso valore: il caso certamente più emblematico è quello dei cc.dd regolamenti autorizzati, i quali, pur
conservando il valore formale degli atti amministrativi, sono dotati di una capacità modificativa della
corrispondente fonte primaria che sembra consentire di considerarli provvisti di una forza pari a quella
della legge.

L’elemento del valore formale si presenta più stabile dell’altro: mentre la forza è derogabile, il valore non lo
è. La forza insomma, non appare da sola sufficiente per spiegare in modo esauriente e definitivo il sistema
di classificazione delle fonti basato sul criterio della gerarchia, giacché in talune circostanze, fonti di livello
inferiore possono modificare fonti superiori. In altre parole quindi, la più sicura collocabilità degli atti in
ciascuno dei tre livelli dipende dalla loro veste formale.

3.1. Dalla gerarchia alla gerarchia “attenuata” delle fonti. La cittadinanza


multilivello.
Il criterio gerarchico viene da tempo integrato da quello della competenza (“gerarchia attenuata”), nel
senso di considerare plausibile che l’ordine gerarchico sia derogabile qualora, per un determinato oggetto,
la fonte superiore possa non avere una capacità regolativa tale da imporsi sulla fonte inferiore.

Dopo la riforma del titolo V, può ben dirsi che il criterio di competenza abbia assunto un ruolo decisamente
più rilevante; ciò è riscontrabile soprattutto al riguardo della c.d cittadinanza multilivello,o per meglio dire
la dimensione del cittadino “ diversificata” in ragione del differente raggio geografico di livello di governo
( cittadinanza regionale, comunale, provinciale, ue ecc).

In altre parole, l’esser cittadino di un comune può dar sostanza ad interessi non collimanti con quelli
dell’esser cittadino della provincia nel cui territorio, il comune in questione ricade.

Giacché ove le materie siano diverse, non sembra potersi rilevare alcuna contraddittorietà fra gli interessi
facenti capo alla cittadinanza, ma se osserviamo il fenomeno sotto il semplice profilo della capacità
normativa i termini della questione si presentano nel seguente modo: laddove lai materia, oggetto di
disciplina sia dall’ordinamento attribuita alla competenza concorrente di soggetti esponenziali di più livelli
territoriali di governo, la possibile contraddittorietà si risolve attraverso il criterio gerarchico; non v’è
ragione invece di scorgere un possibile conflitto, laddove la materia oggetto di disciplina sia riservata alla
esclusiva “ signoria” di uno solo dei livelli di governo, comportando l’utilizzazione del criterio di
competenza.
Quindi se prima dell’avvento della carta costituzionale, era fondato considerare il criterio della competenza
come un mero correttivo di quello gerarchico, proprio il progressivo prender piede della cittadinanza
multilivello, impone di riconoscere al criterio della competenza un ruolo nuovo rispetto alla mera
integratività.

In definitiva, col termine gerarchia attenuata si vuole intendere qualcosa che va oltre la semplice
mitigazione della gerarchia da parte della competenza.

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