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5. Applicazioni lineari e matrici.

Consideriamo una matrice A ∈ Rm,n ; vogliamo associare ad essa una funzione fA : Rn → Rm . Proced-
eremo in questo modo: ogni elemento X = (x1 , ..., xn ) ∈ Rn può essere visto come una matrice colonna in
Rn,1 : ⎞

x1
⎜ x2 ⎟
X=⎜ ⎟
⎝ ... ⎠ .
xn
Si definisce allora fA (X) = A · X ∈ R m,1 ∼
= Rm . Si verifica immediatamente che:

∀X1 , X2 ∈ Rn ; ∀λ ∈ R : fA (X1 + X2 ) = fA (X1 ) + fA (X2 ), fA (λX1 ) = λfA (X1 )

Esempio:
 
2 2 1
Sia A = ; allora
1 1 0
⎛ ⎞
  x  
2 2 1 2x + 2y + z
fA (x, y, z) = ·⎝y⎠ = ∈ R2
1 1 0 x+y
z

quindi la funzione associata alla A è: fA : R3 → R2 , con fA (x, y, z) → (2x + 2y + z, x + y).

Partendo da questa osservazione, vediamo una classe importante di funzioni fra spazi vettoriali, le
applicazioni lineari (che non sono altro che le funzioni che conservano le operazioni caratterizzanti gli spazi
vettoriali), e come sia possibile studiarle utilizzando le matrici.

Definizione 5.1: Siano V, W due spazi vettoriali, e f : V → W una funzione. Essa si dice applicazione
lineare se verifica le seguenti proprietà:
1) ∀v, w ∈ V, f (v + w) = f (v) + f (w);
2) ∀v ∈ V, ∀λ ∈ R, f (λv) = λf (v).

Notiamo che come conseguenza immediata della 2), ponendo λ = 0, si ha che f (0V ) = 0W , e che tutte
le fA : Rn → Rm , definite come sopra a partire da una matrice A ∈ Rm,n sono applicazioni lineari.

Esempi:

- Sia f : R3 → R2 definita da f (x, y, z) = (x + y, z). Per vedere se f sia lineare o meno consideriamo
(x, y, z), (t, u, v) ∈ R3 ; avremo

f ((x, y, z) + (t, u, v)) = f (x + t, y + u, z + v) = (x + t + y + u, z + v) =

= (x + y, z) + (t + u, v) = f (x, y, z) + f (t, u, v);

f (λ(x, y, z)) = f (λx, λy, λz) = (λx + λy, λz) = λ(x + y, z) = λf (x, y, z),

Facolta di Ingegneria Corso di Autore "Applicazioni Lineari" Copyright 2003


GEOMETRIA E ALGEBRA L GIMIGLIANO ALESSANDRO ALMA MATER STUDIORUM -
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quindi la f è un’applicazione lineare.

- Sia ora f : R2 → R2 , con f (x, y) = (x − y, 1).


Abbiamo f (0, 0) = (0, 1), quindi f non è lineare.

- Sia f : R2 → R2 , con f (x, y) = (x2 , y).


Si ha: f (λx, λy) = (λ2 x2 , λy), mentre λf (x, y) = (λx2 , λy); quindi la f non è lineare.

- Sia ora f : R[x] → R2 , con f (a0 + a1 x + ... + as xs ) = (a0 , a1 ).


Per vedere se f sia lineare, consideriamo p(x) = a0 +a1 x+...+as xs e q(x) = b0 +b1 x+...+bt xt e supponiamo
s ≤ t:

f (p(x)+q(x)) = f ((a0 +b0 )+(a1 +b1 )x+...+(as +bs )xs +...+bt xt ) = ((a0 +b0 ), (a1 +b1 )) = f (p(x))+f (q(x)).

Verificare per esercizio che anche f (λp(x)) = λf (p(x)), e che quindi f è lineare.

Definizione 5.2: Data una applicazione lineare f : V → W ci sono due insiemi naturalmente associati ad
essa:
L’immagine di f: im f = {w ∈ W |∃v ∈ V, f (v) = w};
Il nucleo di f: ker f = {v ∈ V |f (v) = 0W }.

Quindi i vettori di im f sono quei vettori di W che provengono, via f , da qualche vettore di Rn , mentre
i vettori di ker f sono quei vettori di V che la f porta nel vettore nullo di W .

Non è difficile vedere che im f e ker f sono sottospazi, rispettivamente, di W e di V .


Consideriamo per primo ker f ; banalmente si ha che 0V ∈ ker f e ∀v, v ∈ ker f , ∀α, β ∈ R:

f (αv + βv ) = f (αv) + f (βv ) = αf (v) + βf (v ) = 0W + 0W = 0W .

quindi αv + βv ∈ ker f , e ker f risulta un sottospazio di V (vedi proposizione 3.12).


Per im f : se w, w ∈ im f , allora: ∃v, v ∈ V ; tali che f (v) = w; f (v ) = w . Allora, ∀α, β ∈ R:

f (αv + βv ) = f (αv) + f (βv ) = αf (v) + βf (v ) = αw + βw ,

quindi αw + βw ∈ im f , e poiché banalmente si ha 0W ∈ im f in quanto f (0V ) = 0W , im f risulta un


sottospazio di W .

Esempio:

Sia f : R3 → R3 , con f (x, y, z) = (x + y, y + z, x + 2y + z). La f è lineare (verificarlo per esercizio) e si


ha:
ker f = {(x, y, z)|x + y = 0; y + z = 0; x + 2y + z = 0};

im f = {(a, b, c)|∃(x, y, z) ∈ R3 , x + y = a; y + z = b; x + 2y + z = c}.

Per determinare ker f si deve risolvere il sistema:


⎧ ⎛ ⎞ ⎛ ⎞ ⎛ ⎞
⎨ x+y =0 1 1 0 x 0
y+z =0 → ⎝0 1 1⎠ · ⎝y ⎠ = ⎝0⎠.

x + 2y + z = 0 1 2 1 z 0

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L’eliminazione di Gauss sulla matrice porta:


⎛ ⎞ ⎛ ⎞
1 1 0 1 1 0
⎝0 1 1⎠ → ⎝0 1 1⎠
0 1 1 0 0 0
quindi la matrice dei coefficienti ha rango 2, e il sistema ha ∞1 soluzioni, quindi dim ker f = 1. Se vogliamo
una base di ker f , si risolve il sistema ottenendo: y = −z, x = z, quindi ker f = {(z, −z, z)}, ed una base è
{(1, −1, 1)}.
Per determinare im f si deve risolvere il sistema:
⎧ ⎛ ⎞ ⎛ ⎞ ⎛ ⎞
⎨ x+y =a 1 1 0 x a
y+z =b → ⎝0 1 1⎠ · ⎝y ⎠ = ⎝ b ⎠.

x + 2y + z = c 1 2 1 z c
perché il sistema abbia soluzioni si deve avere
⎛ ⎞ ⎛ ⎞
1 1 0 1 1 0 a
r⎝0 1 1⎠ = r⎝0 1 1 b⎠
1 2 1 1 2 1 c
cioè perché sia (a, b, c) ∈ im f , (a, b, c) deve essere nello spazio generato dalle colonne di A, C(A), ove A
sia la matrice dei coefficienti del sistema, quindi (a, b, c) deve essere generato dalle colonne di A. Abbiamo
visto prima che r(A) = 2, quindi per avere una base di C(A) basta prendere due colonne indipendenti di A,
scegliendo le prime due dovremo avere:
⎛ ⎞ ⎛ ⎞ ⎛ ⎞ ⎛ ⎞
a 1 1 α+β
⎝ b ⎠ = α⎝0⎠ + β ⎝1⎠ = ⎝ β ⎠
c 1 2 α + 2β
quindi gli elementi di im f sono tutti i vettori del tipo (α + β, β, α + 2β), al variare di α, β ∈ R.

Abbiamo visto all’inizio che data una matrice A ∈ Rm,n è possibile associarle un’applicazione lineare
fA : Rn → Rm e che nell’esempio precedente per determinare im f e ker f si lavorava con una matrice
A. Ci chiediamo adesso se si possa fare ciò in generale: dati due spazi vettoriali V ,W di dimensioni n, m
rispettivamente, ed un’applicazione lineare f : V → W , vogliamo associare ad essa una matrice.
Siano B = {v1 , ..., vn } e B {w1 , ..., wm } basi, rispettivamente, di V e W ; consideriamo i vettori:
f (v1 ),...,f (vn ) ∈ W ed esprimiamoli come combinazioni lineari dei wi :
f (v1 ) = a11 w1 + a21 w2 + ... + am1 wm ;
f (v2 ) = a12 w1 + a22 w2 + ... + am2 wm ;
...
f (vn ) = a1n w1 + a2n w2 + ... + amn wm .
I coefficienti aij vengono allora a formare una matrice A = (aij ) ∈ Rm,n , che sarà la matrice cercata. Sia
infatti
X = b1 v1 + b2 v2 + ... + bn vn ∈ V
un qualsiasi vettore di V ; esso potrà scriversi tramite la colonna dei coefficienti da assegnare alla base B per
esprimerlo come sopra:
⎛ ⎞
b1
⎜ b2 ⎟
X=⎜ ⎟
⎝ ... ⎠ ↔ X = b1 v1 + b2 v2 + ... + bn vn

bn B

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(useremo spesso questo tipo di notazione), come se fosse un elemento di Rn .

Consideriamo adesso il prodotto A · X; avremo:


⎛ ⎞ ⎛ b1 ⎞ ⎛
c1

a11 a12 a13 . . . a1n
⎜ a21 a22 a23 . . . a2n ⎟ ⎜ b2 ⎟ ⎜ c2 ⎟
⎠·⎜ ⎟ ⎜ ⎟ m
A·X =⎝ ⎝ ... ⎠ = C = ⎝ ... ⎠ ∈ R .
... ...
am1 am2 am3 . . . amn bn cm
ove: ⎛ ⎞
b1
n

⎜ b2 ⎟
ci = ( ai1 ai2 ... ain ) · ⎜ ⎟
⎝ ... ⎠ = ai1 b1 + ... + ain bn = aik bk .
k=1
bn
Ma il vettore C può rappresentare, tramite la base B  , un vettore di W :
⎛ ⎞
c1
⎜ c2 ⎟
⎜ . ⎟ = c1 w1 + ... + cm wm ;
⎝ .. ⎠
cm B

si ha quindi:
⎛ ⎞
c1
n
n
n

⎜ c2 ⎟
C=⎜ ⎟
⎝ ... ⎠ =( a1k bk )w1 + ( a2k bk )w2 + ... + ( amk bk )wm .
k=1 k=1 k=1
cm B
Riordinando tale somma in modo diverso si ha:

b1 (a11 w1 +a21 w2 +...+am1 wm )+b2 (a12 w1 +a22 w2 +...+am2 wm )+ ... +bn (a1n w1 +a2n w2 +...+amn wm ) =

= b1 f (v1 ) + ... + bn f (vn ) = f (b1 v1 + ... + bn vn ) = f (X).

In conclusione si ha che la matrice A rappresenta la f tramite il prodotto A · X = f (X), una volta che si
rappresentino i vettori in V tramite la base B e quelli di W tramite la base B . Esprimeremo questo fatto
indicando spesso la matrice associata alla f con il simbolo MBB (f ), che segnala come la matrice dipenda
dalla scelta delle basi; diremo che MBB (f ) è la matrice che rappresenta la f rispetto alle basi B (in partenza)
e B (in arrivo).
Le colonne della matrice MBB (f ) restano determinate dai vettori f (vi ) (immagini della base di partenza)
scritte come vettori colonna espressi rispetto alla base di arrivo.

Si ha cosı̀ naturalmente che la matrice associata ad una f non è unica, ma dipende dalla scelta delle
due basi, sia nello spazio di arrivo che in quello di partenza.

Esempio: Riprendiamo l’applicazione lineare considerata precedentemente: f : R3 → R2 , definita da


f (x, y, z) = (x + y, z). Consideriamo le basi canoniche E3 e E2 nei due spazi, e cerchiamo di determinare
ME3 E2 (f ).
Abbiamo: f (1, 0, 0) = (1, 0); f (0, 1, 0) = (1, 0) e f (0, 0, 1) = (0, 1). Allora la matrice cercata risulta
essere:  
1 1 0
ME3 E2 (f ) = .
0 0 1

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Osservazione: Quando si tratta con gli spazi Rn , l’uso della base canonica En rende molto più semplice la
determinazione di una matrice da associare alla f , in quanto le n-uple che sono le immagini dei vettori della
base di partenza sono già le colonne della matrice cercata.

Esempio: Riprendiamo ancora l’applicazione lineare appena considerata:


f : R3 → R2 , definita da f (x, y, z) = (x + y, z). Consideriamo stavolta, invece delle basi canoniche, le
basi B = {(1, 1, 0), (0, 1, 0), (0, 1, 1)} in R3 , e B  = {(1, 1), (1, −1)} in R2 , e cerchiamo la matrice MBB (f ).
Avremo:
f (1, 1, 0) = (2, 0); f (0, 1, 0) = (1, 0); f (0, 1, 1) = (1, 1)
Ma i tre vettori (2, 0), (1, 0), (1, 1) non sono le colonne della matrice cercata, perché non esprimono
i vettori f (1, 1, 0); f (0, 1, 0); f (0, 1, 1) rispetto alla base B ma rispetto alla base canonica (ad esempio,
f (0, 1, 1) = (1, 1)E = 1(1, 0) + 1(0, 1). Per trovare le colonne “giuste” dovremo risolvere:

f (1, 1, 0) = (2, 0)E = a(1, 1) + b(1, −1) = (a + b, a − b)B

e cioè risolvere il sistema:


a+b=2 a+b=2 a=1
→ →
a−b=0 −2b = −2 b=1
quindi si ha f (1, 1, 0) = (2, 0)E = (1, 1)B ; analogamente si ricava:

f (0, 1, 0) = (1, 0)E = (1/2, 1/2)B ;

f (0, 1, 1) = (1, 1)E = (1, 0)B .

quindi la matrice cercata è:  


1 1/2 1
MBB (f ) = .
1 1/2 0

Esercizi: Determinare la matrice MBB (f ) nei seguenti casi:

1) f : R3 → R3 , f (x, y, z) = (x − y, x + 2z, y − z), B = B = E3 .

2) f : R → R3 , f (x) = (2x, 5x, 6x), B = {1}, B = E3 .

3) f : R2 → R3 , f (x, y) = (x + y, x, y), B = {(1, 1), (1, 2)}, B = E3 .

4) Provate a scegliere basi diverse negli esercizi precedenti e trovare la MBB (f ) per le basi da voi scelte.

DETERMINAZIONE DEL NUCLEO E DELL’IMMAGINE.

Proposition 5.3: Sia f : V → W , lineare, e sia B = {v1 , ..., vn } una base di V . Allora {f (v1 ), ..., f (vn )}
è un insieme di generatori per im f.

Dimostrazione: È immediato: se w ∈ imf , ∃v ∈ V tale che f (v) = w. Scrivendo v tramite la base B, si


avrà: v = α1 v1 + ... + αn vn , quindi w = f (v) = f (α1 v1 + ... + αn vn ) = α1 f (v1 ) + ... + αn f (vn ). Perciò
{f (v1 ), ..., f (vn )} generano imf .

Osservazione: Non è detto che {f (v1 ), ..., f (vn )} sia una base di im f , in quanto gli f (vi ) potrebbero
non essere indipendenti; una base si otterrà scegliendo il massimo numero possibile di vettori indipendenti
in {f (v1 ), ..., f (vn )}. Ricordiamo allora che se abbiamo fissato anche una base B  in W e associato ad f

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la matrice A = MBB (f ), le colonne di A sono date dagli f (v1 ), ..., f (vn ) (espressi tramite B  ). Quindi si
ottiene che:
dim(imf ) = massimo numero di colonne indipendenti di A = r(A).

Una base di im f sarà data scegliendo r(A) colonne indipendenti di A.


Per quanto riguarda ker f , se A = MBB (f ), avremo che ker f è dato dalle soluzioni di A · X = O, e
quindi dim(ker f ) = n − r(A), da cui segue banalmente:

dim(ker f ) + dim(im f ) = n − r(A) + r(A) = n.

Esempio:

Consideriamo l’applicazione f : R3 → R3 definita da f (x, y, z) = (y − z, x − y, x − z). Determinare im f ,


ker f .

Calcoliamo f sui vettori della base canonica:

f (1, 0, 0) = (0, 1, 1), f (0, 1, 0) = (1, −1, 0), f (0, 0, 1) = (−1, 0, −1)

quindi la matrice A che rappresenta la f è:


⎛ ⎞ ⎛ ⎞
0 1 −1 1 −1 0
A = ⎝ 1 −1 0 ⎠, che, ridotta con Gauss, diviene: ⎝ 0 1 −1 ⎠.
1 0 −1 0 0 0
Quindi r(A) = 2 = im f . Una base per im f è per esempio: {(0, 1, −1), (1, −1, 0)}, data da colonne
indipendenti di A.

Il ker f è dato dalle soluzioni del sistema A · X = O, cioè:



⎨y −z = 0
x−y =0

x−z =0

nel sistema solo due equazioni sono indipendenti (infatti r(A) = 2) e si ha cosı̀ :

y−z =0 z=y

x−y =0 x = −y

Si ha quindi: ker f = {(y, y, y)} e dim(ker f ) = 1, come dovevamo aspettarci.

Notiamo che ovviamente quando dim(im f ) = m = dim W , la f risulta suriettiva (ogni vettore di W
proviene, via f , da uno di V ). Lo studio di ker f ci dice invece qualcosa sull’iniettività della f :

Proposizione 5.4: f : V → W lineare, è iniettiva se e solo se ker f = {0} .

Dimostrazione: Se f è iniettiva, banalmente solo lo 0V ∈ V andrà nello 0W ∈ W , quindi ker f = {0V }.


Se supponiamo invece ker f = {0V }, e consideriamo v, v ∈ V e tali che f (v) = f (v ). Allora avremo
che f (v) − f (v ) = 0W , da cui f (v − v ) = 0W , e allora v − v ∈ ker f .
Ma ker f = {0V }, quindi ciò implica che v − v = 0V , cioè v = v e quindi la f è iniettiva.

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Definizione 5.5: Una f : V → W si dice un isomorfismo se è biunivoca (V e W in questo caso si dicono


isomorfi).

Osservazione: Sia f : V → W è un isomorfismo; essendo f biunivoca potremo definire l’applicazione


f −1 : W → V , ove ∀w ∈ W : f −1 (w) = v, ove v è l’unico vettore di V tale che f (v) = w.
È immediato vedere che la f −1 è anch’essa lineare e che

f −1 ◦ f = idV ; f ◦ f −1 = idW

ove idV e idW sono le applicazioni identità in V e W .

Proposizione 5.6: Sia f : V → W , con dim V = n = dim W . Allora la f è iniettiva se e solo se è suriettiva.

Dimostrazione: Poichè dim(im f ) + dim(ker f ) = n, si ha:


f è suriettiva, cioè dim f = n, se e solo se dim(ker f ) = 0; cioè se e solo se f è iniettiva.

Notiamo che se dim V = dim W la proposizione precedente non vale: ad esempio f : R3 → R2 , definita
da f (x, y, z) = (x, y) è suriettiva ma non iniettiva (infatti kerf = {(0, 0, z)|z ∈ R}).
Vediamo che nella rappresentazione di applicazioni lineari tramite matrici il prodotto di matrici cor-
risponde alla composizione di applicazioni lineari:

Proposizione 5.7: Siano V,W,U spazi vettoriali di dimensione, rispettivamente, n, m, t. Siano f : V → W ,


g : W → U , applicazioni lineari. Siano poi B, C, D, basi di V , W ed U . Se A = MBC (f ) e B = MCD (g),
allora:
MBD (g of ) = BA.

Dimostrazione: Sia X ∈ V un vettore scritto come colonna delle sue componenti rispetto alla base B; allora
eseguiamo il prodotto e troviamo:

(B · A) · X = B · (A · X) = g(f (X)) = (g of )X.

Nel caso particolare che l’applicazione lineare che si stia considerando sia l’identità, ci sono interessanti
considerazioni da svolgere; sia id : V → V l’applicazione identità (che è ovviamente lineare), e sia dim V = n;
se fissiamo una base qualsiasi B = {v1 , ..., vn } di V , avremo sempre che

MBB (id) = I;

si verifica immediatamente considerando id(v1 ) = 1v1 + 0v2 + ... + 0vn , ..., id(vn ) = 0v1 + 0v2 + ... + 1vn .

Se invece abbiamo due diverse basi B = {v1 , ..., vn } e B = {z1 , ..., zn } in V , le matrici MBB (id) e
MB B (id) non saranno = I, ma avremo (dalla 5.7):

MBB (id) · MB B (id) = MB B (id o id) = MB B (id) = I

MB B (id) · MBB (id) = MBB (id o id) = MBB (id) = I

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e quindi le due matrici sono l’una l’inversa dell’altra (rispetto al prodotto).

Osserviamo quale sia l’effetto della moltiplicazione per queste matrici; se X è un vettore di V scritto
rispetto alla base B, ad esempio
⎛ ⎞
x1
⎜ x2 ⎟
X=⎜ ⎟
⎝ ... ⎠ ,
xn B
allora, eseguendo la moltiplicazione:


x1
⎜ x2 ⎟
MBB (id) · ⎜ ⎟
⎝ ... ⎠ ,
xn B

otterremo di nuovo il vettore X (stiamo applicando l’identità), ma scritto rispetto alla base B  ; l’effetto della
moltiplicazione per MBB (id) è quindi quello di riscrivere rispetto alla B i vettori di V dati tramite la B.
Per questa ragione le matrici come la MBB (id) si chiamano matrici del cambiamento di base (da B a
B ).

Esempio:

Sia B = {v1 , v2 , v3 } la base di R3 data da

v1 = (1, 1, 0), v2 = (0, 1, 1), v3 = (2, 1, 2)

e E3 la base canonica. Determiniamo le matrici MBE (id) e MEB (id); per la prima il conto è semplice:

id(v1 ) = (1, 1, 0),


id(v2 ) = (0, 1, 1),
id(v3 ) = (2, 1, 2).
e poichè i vettori immagine sono scritti rispetto alla base canonica, si ha:
⎛ ⎞
1 0 2
MBE (id) = ⎝ 1 1 1⎠.
0 1 2

La matrice MEB (id) (inversa della precedente) è determinata dai vettori:

id(e1 ) = (1, 0, 0),


id(e2 ) = (0, 1, 0),
id(e3 ) = (0, 0, 1),
ma tali vettori vanno scritti in funzione della base B, quindi le tre terne qui sopra NON sono ancora le
colonne della matrice cercata! Per la prima colonna, dovremo determinare a, b, c in modo che:

(1, 0, 0) = av1 + bv2 + cv3 = a(1, 1, 0) + b(0, 1, 1) + c(2, 1, 2) = (a + 2c, a + b + c, b + 2c)

da cui si ha (risolvendo il sistema in a, b, c): a = 1/3, b = −2/3, c = 1/3, cioè:


⎛ ⎞ ⎛ ⎞
1 1/3
⎝ 0 ⎠ = ⎝ −2/3 ⎠ .
0 E 1/3 B

Facolta di Ingegneria Corso di Autore "Applicazioni Lineari" Copyright 2003


GEOMETRIA E ALGEBRA L GIMIGLIANO ALESSANDRO ALMA MATER STUDIORUM -
Univerità di Bologna
Tipo di Materiale Dispense A. A. 2007
Facoltà di PROGETTO
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PRESIDENZA DI INGEGNERIA

e quest’ultima è la prima colonna di MEB (id).

Trovare per esercizio le altre due colonne di MEB (id).

Notiamo che data una qualsiasi matrice P ∈ Rn,n , con r(P ) = n, si possono pensare le sue colonne come
una base P di R3 (poiché sono linearmente indipendenti), e quindi, per quanto visto sopra, si ha che:

P = MPE (id)

e quindi che P è invertibile, essendo la sua inversa MEP (id).

Ma come caratterizzare le matrici A ∈ Rn,n che sono invertibili (cioè per cui esiste A−1 tale che
A−1 · A = A · A−1 = I)? Vediamo che esse sono proprio le matrici di rango massimo:

Proposizione 5.8: Sia A ∈ Rn,n ; allora A è invertibile se e solo se r(A) = n.

Dimostrazione: Se r(A) = n, abbiamo notato poche righe sopra che la A sarà invertibile, vedendola come
una matrice di un cambiamento di base.
Dimostriamo quindi il viceversa: supponiamo adesso che A sia invertibile e vediamo che deve avere
rango = n. Consideriamo l’applicazione lineare fA : Rn → Rn , definita da fA (X) = A · X (scrivendo i
vettori di Rn come colonne), risulterà A = MEE (fA ). Poichè A è invertibile, possiamo considerare anche
fA−1 : Rn → Rn , ed avremo che fA−1 (X) = A−1 · X. Allora:

∀X ∈ Rn : (fA ◦ fA−1 )(X) = A · (A−1 · X) = (A · A−1 ) · X = I · X = X

quindi la fA−1 è l’inversa della fA ; ma per essere invertibile, la fA dovrà essere biunivoca (vedi l’osservazione
dopo la Definizione 5.5), e questo implica che r(A) = dim im fA = n.

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