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Cesare Albasi
Ricercatore in Psicologia Clinica, docente di Psicoterapia, Facoltà di Psicologia, Università
degli Studi di Torino. Già psicologo e psicoterapeuta presso il CAD
Oggi assistiamo alla ripresa di un grande interesse per i problemi legati al trauma, all'abuso e
ai disturbi dissociativi. Incontriamo, sull'argomento, sempre più saggi scientifici e clinici,
convegni e congressi, associazioni e siti web (divulgativi, di auto-aiuto o scientifici), scale di
misura e interviste semi-strutturate per la ricerca empirica sistematica, tecniche terapeutiche.
Discipline come l'antropologia, nello studio della trance e del sciamanismo, la religione, nel
tentativo di comprendere il misticismo e l'estasi, la giurisprudenza, nella ricerca di strumenti
legali per il giudizio di alcuni crimini violenti e per l'utilizzo delle testimonianze dei bambini, si
sono occupate del fenomeno con differenti approcci e obiettivi.
Le molte definizioni del fenomeno della dissociazione, presenti in letteratura, si riferiscono alla
perdita della capacità del soggetto integrare e associare informazioni e significati delle
esperienze vissute in modo mediamente prevedibile.
Sul piano descrittivo, la dissociazione non è un processo che può essere sempre considerato
patologico e brevi esperienze di stati alterati della coscienza e del senso di Sé sono
rintracciabili in alcuni ambiti della nostra quotidianità (gli automatismi, lo sport agonistico o
estremo, l'assunsione di sostanze con effetto psicotropo, i rapporti sessuali, le realtà virtuali
offerte da computer e televisione)(1).
Nella psicoanalisi relazionale statunitense (Mitchell, Aron 1999), grazie al lavoro di un gruppo
sempre più folto di autori (Frankel 1993, 2000; Bromberg 1998; Davies 1996a, b, 1998; Harris
1996; Mitchell 1993; Pizer 1996, Stern 1997), vediamo coniugare i contributi di Ferenczi sulla
dissociazione con quelli di Sullivan e di Janet, e degli autori indipendenti britannici, da
Fairbairn a Bollas.
Nonostante nel contesto psichiatrico attuale il dibattito sulle Sindromi dissociative(2) sia molto
fervido, nell'ambito teorico della psicoanalisi relazionale statunitense il concetto di
dissociazione non viene utilizzato semplicemente per indicare i sintomi classificati nel DSM-IV
(American Psychiatric Association, 1994), ma, in un modo più ampio e sfaccettato, per parlare
di processi fini che contribuiscono ad articolare la struttura della soggettività nelle sue uniche
ed assolutamente individuali modalità di costruzione del significato dell'esperienza personale. I
processi dissociativi vengono considerati come costitutivi la mente umana, ad essa inerenti.
:
Ferenczi avanzava già alcune riflessioni in questo senso nelle sue personali annotazioni:
Un "adulto" non è mai "non scisso" - solo il bambino o chi è ritornato bambino non lo sono. Un
adulto deve "badare a se stesso" ... Ogni "adulto" che "bada a se stesso" è scisso (non è
un'unità completa) (1920-32, p. 258).
Ora, quanto più abbiamo continuato ad occuparci di questo fenomeno, tanto più sicura è
divenuta la nostra convinzione che quella scissione della coscienza così sorprendente nei noti
casi classici di double conscience [coscienza doppia], esiste in stato rudimentale in ogni isteria,
e che la tendenza a tale dissociazione e quindi al manifestarsi di stati anormali della coscienza,
che chiameremo congiuntamente "ipnoidi", è il fenomeno basilare di tale nevrosi (Breuer, Freud
1892-95, pp. 182-183).
In particolare, ciò che predisporrebbe alla malattia isterica sarebbe secondo Freud "l'abituale
sognare ad occhi aperti (teatro privato), col quale si pone il fondamento per la dissociazione
della personalità intellettuale" (idem, p. 207) che si trasforma dapprima in un'assenza
allucinatoria organizzandosi poi definitivamente in double conscience.
Freud pensa dunque che nell'isteria la coscienza si organizzi in gruppi di contenuti mentali
(come se fossero centri multipli di consapevolezza) che non sono fra loro connessi, dando così
vita alla cosiddetta condition second o "stato ipnoide". Questa idea è legata alla descrizione di
Janet e di Ferenczi della "dissociazione traumatica", più di quanto non sia legata al successivo
pensiero di Freud stesso sulla rimozione come meccanismo difensivo all'interno del modello
topografico dell'apparato psichico (inconscio, preconscio, conscio) e del modello strutturale
costituito da Es, Io, Super-io. Come Freud anticipa discutendo il caso di "Lucy R" (Breuer,
Freud 1892-95), è possibile distinguere i modelli come quelli topografici (che avrebbe poi
privilegiato), che implicano la creazione di contenuti conflittuali ai quali viene strutturalmente
impedito l'accesso alla coscienza in modo continuo, dai modelli basati su disconnessioni
(dissociazioni) di insiemi di significati che pur essendo incompatibili fra loro possono
alternarsi nella coscienza.
Dobbiamo notare però che, pur considerando la dissociazione come importante nella genesi
delle isterie, Freud mostra fin da questa sua iniziale opera la tendenza a riconcettualizzare
l'impatto dei traumi subiti nell'infanzia in un modello centrato sui meccanismi intrapsichici.
Infatti, benché tutti i casi trattati negli Studi sull'isteria presentino storie infantili costellate da
traumi, per Freud:
il momento veramente traumatico [...] è quello nel quale la contraddizione si impone all'Io e
l'Io stesso decreta il bando alla rappresentazione contraddicente. Con tale bando quella
rappresentazione non viene però annullata, ma soltanto sospinta nell'inconscio; quando questo
:
processo si produce per la prima volta, si forma con ciò un nucleo e centro di cristallizzazione
per la formazione di un gruppo psichico distinto dall'Io, attorno al quale si raccoglie
successivamente tutto ciò che avrebbe per presupposto l'accettazione della rappresentazione
contraddicente. La scissione della coscienza in tali casi di isteria acquisita è quindi voluta,
intenzionale, o per lo meno promossa per lo più da un atto volontaristico. Di fatto accade una
cosa diversa da quella che l'individuo si propone; egli vorrebbe eliminare una rappresentazione
come se non si fosse mai prodotta, ma riesce soltanto a isolarla psichicamente (Breuer, Freud
1892-95, p. 278).
A partire dal 1897 (Freud, 1887-1904), Freud comincia a sviluppare l'idea per cui l'esperienza
infantile può divenire patogena solo attraverso l'attivarsi (anche cronologicamente posteriore)
di pulsioni sessuali che ne determinano il significato traumatico.
L'impostazione eziologica che Freud sceglierà prevede che il sintomo sia legato alla
soddisfazione di un desiderio di origine pulsionale, non tanto a una mancata risposta
dell'ambiente a un bisogno fondamentale dell'individuo (che sarà invece la conclusione di
Ferenczi).
Secondo Davies (1996b), il rifiuto di Freud dell'ipotesi della seduzione fece molto più che
ostacolare e ritardare la nostra comprensione dei postumi a lungo termine di un trauma
infantile. Questo cambiamento nel pensiero di Freud portò l'attenzione della comunità clinica
lontano dal modello della mente basato sulla dissociazione, che enfatizzava la molteplicità
degli stati del Sé, l'organizzazione multipla dei centri di consapevolezza e significato, la
dimensione relazionale e l'importanza dell'ambiente, e la orientò verso un modello della mente
basato sulla rimozione e il conflitto intrapsichico.
Il contributo che Sándor Ferenczi ha dato alla costruzione di una teoria del trauma e del
traumatico ha fornito strumenti fondamentali per pensare il fenomeno della dissociazione, per
comprendere le possibilità del suo utilizzo clinico e, più in generale, ha offerto le basi per una
concezione relazionale della psicopatologia. Ferenczi delinea, parallelamente alla sua
prospettiva sul trauma, anche una teoria della mente relazionale e una teoria del Sé come
molteplice nelle quali viene sottolineato che l'ambiente che accoglie il bambino segna e informa
in modo primario e fondamentale la nascita psicologica dell'individuo (Borgogno 1999). La
concezione di mente così come egli va gradatamente formulando non può inscriversi, dunque,
se non con notevoli forzature concettuali, nelle topiche freudiane.
A differenza dell'iniziale pensiero di Freud sul trauma, per Ferenczi il processo traumatico non
consiste tanto nell'insediarsi nella mente di una rappresentazione patogena, ma nello
sconvolgimento prodotto da una relazione, significativa per l'individuo, nell'organizzazione del
suo mondo interno (Bonomi 2001). Quello che non poteva essere accolto dalla metapsicologia
pulsionale di Freud era la posizione teorica che Ferenczi stava inaugurando, che guardava alla
clinica dei fenomeni dissociativi in un'ottica profondamente relazionale.
Ferenczi si interessa degli stati dissociati di coscienza e dei fenomeni paranormali fin dal suo
esordio come giovane medico nella Budapest di fine ottocento; è intorno a questo interesse del
suo periodo pre-analitico che conquista l'ammirazione di Freud (Sechi, 1995; Albasi, Sechi,
2003).
:
Ciò che noi sappiamo mostra in modo decisivo che esistono nello spirito umano degli elementi
inconsci e subconsci che partecipano al funzionamento dello spirito, è altresì probabile che un
grande numero di fenomeni occulti siano l'espressione invece di queste divisioni dello spirito in
cui una o più parti dello spirito si riflettono alla coscienza, mentre altre funzionano al di fuori
di essa e in qualche modo automaticamente".
Queste considerazioni mostrano che Ferenczi ipotizza nel 1899 un concetto di inconscio molto
vicino a come lo descrivono gli Studi sull'isteria di Freud e Breuer(6). Ma, a partire da
analoghi interessi su processi dissociativi e di "divisione dello spirito", Freud sceglierà la via
teoretica ed elaborerà il concetto di rimozione come modello di difesa prototipico della sua
prospettiva metapsicologica, mentre Ferenczi, percorrendo la strada dell'esplorazione attenta
del materiale clinico offerto dai suoi pazienti, svilupperà l'idea di una molteplicità di sé
inconsci e la sua personale riflessione sui processi dissociativi, che saranno tra i suoi contributi
più importanti, ed estremamente attuali all'interno della psicoanalisi relazionale (Bromberg
1998; Davies 1996; Mitchell 1993). Ferenczi costruisce, nel corso della sua opera, idee
dell'inconscio e dell'Es differenti da Freud, non concependoli come insiemi di frammenti
pulsionali esplosivi e disorganizzati ma come insiemi più o meno grezzi di significati residuali
legati alle relazioni di accudimento. Pur attraverso l'uso di categorie concettuali differenti
(teratoma e gemello interno, 1930; Io eterogeneo e trapianti estranei, Orpha, angelo custode,
sostituto materno, Io dolore, poppante saggio; 1930-32, 1932b; cfr. anche Borgogno 1999),
possiamo osservare come Ferenczi offra una riflessione sull'Inconscio in termini di costellazioni
di significati organizzati attorno a relazioni o parti di personalità e una concezione dell'Es
come implicante un modo di essere, un senso del Sé, una collezione di parti di persone e
personificazioni in rapporto tra loro. Se per Freud il conflitto intrapsichico era determinato
dallo scontro di pulsioni, esigenze morali (Super-io), esigenze della realtà e funzioni regolatrici
(Io), nella teoria di Ferenczi in tensione dinamica nella mente ci sono organizzazioni di
significato contrastanti che legano l'individuo a impegni e lealtà con le figure della sua storia.
Se la rimozione freudiana può essere intesa, per utilizzare la terminologia cara a Kohut (1977),
come un meccanismo di scissione orizzontale tra conscio e inconscio, in quanto regioni della
mente distinte tra loro in modo costante, Ferenczi concepisce la dissociazione come una
scissione verticale tra parti del Sé(7).
Ferenczi parla della dissociazione come di una reazione specifica al trauma, legando
fortemente questi due concetti tra di loro12. Egli afferma che: "non c'è trauma né spavento che
non abbia come conseguenza un accenno di scissione della personalità" (Ferenczi 1932a, p.
98). Un forte shock infatti "equivale all'annientamento della coscienza di sé, della capacità di
resistere, di agire e di pensare in difesa del proprio Sé" (Ferenczi 1934, p. 101). Nel Diario
clinico Ferenczi (1932b, p. 103) paragona il trauma nel bambino ad un'aggressione in piena
notte: la persona che dorme tranquilla è del tutto impreparata e non può difendersi.
Il trauma è un violento attacco alla possibilità di comprendere il senso dell'esperienza, un
attacco quindi all'essenza stessa della mente, che non può vivere se non attribuendo senso. Il
trauma in Ferenczi assume tutta la sua profonda valenza psichica in quanto viene descritto e
contestualizzato nelle relazioni interpersonali dell'individuo con il suo ambiente evolutivo,
essendo sostanzialmente determinato dai processi di diniego del significato delle esperienze
messi in atto dalle figure adulte da cui il bambino dipende (Borgogno 1999). Il bambino,
:
arrendendosi all'adulto che lo aggredisce e ne viola la specificità di bisogni, in questo modo
rinuncia al proprio senso di sé, ai suoi sentimenti, ai suoi desideri, dissociando parte della
propria esperienza e creando un vuoto che viene riempito tramite processi di identificazione
con l'aggressore(8). La personalità del bambino si rafforzerà seguendo queste linee patologiche
in quanto la relazione con i genitori ha inevitabilmente caratteristiche costanti lungo l'arco
evolutivo (dato che il carattere dei genitori è quel che è)(9). I genitori continueranno a legare a
sé i figli attraverso il terrorismo della sofferenza(10), l'amore passionale e la punizione
passionale (Ferenczi 1932a, 1932b) e lo sviluppo procederà perpetuando i processi dissociativi.
La mente del bambino opera quindi un'autotomia e una divisione del Sé, organizzandone le
parti come personalità distinte, in modo che possano sopravvivere separatamente. Ferenczi
sottolinea molto lucidamente che l'autoscissione narcisistica (1931, p. 72) messa in atto dal
bambino rappresenta una sorta di tentativo di autoguarigione, un modo per salvarsi, per
trovare una "via di fuga quando non c'è nessun'altra via di fuga" (Putnam, 1992):
Nel processo di dissociazione, una parte del Sé subisce un definitivo arresto, mentre un'altra è
esposta ad una precoce maturazione che Ferenczi definisce di progressione traumatica(12). In
questa situazione il bambino diventa emotivamente capace, in poco tempo, di ri-organizzarsi e
di sopravvivere restando indifferente all'esperienza traumatica19 un po' come l'animale che per
ingannare il predatore cerca di mimetizzarsi nell'ambiente, arrivando a volte a fingersi morto
per poter essere risparmiato.
Il dolore traumatico sembra aver interdetto, in questi pazienti, la possibilità di mantenere in
rapporto dialettico le diverse rappresentazioni del Sé in un funzionamento unitario della
soggettività, al punto tale da far pensare che sia proprio in questa "assenza di nessi" che si
annidi in realtà l'unica vera forma di sopravvivenza del soggetto.
L'esperienza di Ferenczi con pazienti traumatizzati lo ha portato per via empirica, a partire
cioè dalle sue osservazioni cliniche, ha ipotizzare il meccanismo dissociativo alla base della
psicopatologia della personalità multipla:
Se i traumi si ripetono nel corso dello sviluppo, aumentano anche il numero e la varietà delle
dissociazioni, cosicché diventa ben presto difficile - senza cadere nella confusione - mantenere
il contatto con i vari frammenti, che si comportano come personalità distinte, di cui ciascuna
non sa nulla dell'altra. Alla fine può verificarsi una condizione che, volendo proseguire la
metafora della frammentazione, possiamo senz'altro definire atomizzazione, di fronte alla quale
ci vuole molto ottimismo per non perdersi d'animo" (Ferenczi 1932a, p. 99).
:
Di fronte alla presa di coscienza della propria impotenza, per evitare la tremenda sensazione di
dolore, il bambino entra in uno stato di torpore, uno stato appunto di tipo ipnoide (dissociato) e
vede la realtà dal di fuori, come se fosse un'altra persona. In questo modo vede compromessa la
capacità di vivere il significato soggettivo delle esperienze affettivamente importanti(13).
Vogliamo ora prendere in considerazione le idee di Sullivan (1940, 1945, 1950, 1953, 1956)
sulla dissociazione, che si collocano in un contesto filosofico pragmatista (ed epistemologico
operazionista), distante da quello di Ferenczi, in quanto grazie all'integrazione dei loro
rispettivi punti di vista è possibile approfondire aspetti concettuali della dissociazione che ne
presentano tutta la potenzialità teorica e clinica.
Sullivan intende la dissociazione come un'operazione di sicurezza. Le operazioni di sicurezza
sono "attività interpersonali per fuggire o minimizzare l'angoscia" (Sullivan 1940, p. 300).
Sullivan considera tra le operazioni di sicurezza più comuni tutti quei modi in cui distogliamo
la nostra attenzione da quel che ci potrebbe disturbare, e che sono forme di disattenzione
selettiva. A quest'ultima collega la dissociazione:
Ogni volta che c'è un sistema motivazionale dissociato si riscontra una relativa sospensione
della coscienza per quanto concerne le motivazioni corrispondenti. La sospensione della
coscienza può essere minima, come nel disturbo relativamente poco importante e comunissimo
che io chiamo disattenzione selettiva, e che consiste semplicemente nel non notare una serie
quasi infinita di dettagli più o meno insignificanti della propria vita (Sullivan 1953, p. 357).
Sullivan osserva in particolare, in modo molto distante da Freud (anche quello degli Studi
sull'isteria), come i processi dissociativi si originino in una relazione disfunzionale con i
genitori, nella quale parti della personalità del bambino vengono disapprovate.
Dice Sullivan:
Il punto è questo: l'io è approvato dalle altre persone importanti; ogni tendenza della
personalità che non sia approvata, ma che anzi sia fortemente disapprovata, viene dissociata
dalla coscienza personale. [...] Questa dissociazione delle componenti delle personalità non si
limita alla ricerca della soddisfazione. Alcuni fra i processi di acquisizione del potere che il
lattante, il bambino e forse anche il fanciullo, hanno trovato efficaci vengono disapprovati così
severamente in uno stadio successivo della personalità, che anch'essi vengono dissociati, e da
quel momento in poi si manifestano al fuori della coscienza della persona. (Sullivan 1953, p.
52)(14).
Solo le esperienze a cui i genitori o gli altri significativi reagiscono e a cui prestano attenzione
possono quindi diventare parte integrante del Sé. Le esperienze ignorate, quelle che gli altri
significativi non mettono in rilievo, a cui non rispondono a causa della loro stessa
dissociazione, soccombono alla dissociazione. L'esperienza, proprio perché non riceve
l'approvazione interpersonale di cui avrebbe bisogno per essere riconosciuta non entra nella
coscienza. I genitori stessi sarebbero in pericolo di fare esperienza di un'ansia insopportabile.
In altre parole, essi sanno inconsciamente che sarebbe pericoloso per loro riconoscere le
:
espressioni interpersonali del bambino relative ad una certa motivazione (Lionells et all. 1995).
In questi passaggi, Sullivan utilizza il concetto di dissociazione per descrivere un ampio spettro
di fenomeni evolutivi e non solo per descrivere gli esiti gravemente distorti di traumi severi.
In modo analogo a Ferenczi, Sullivan (1940, 1949, 1953) assegna importanza essenziale
dell'empatia nella comunicazione umana, e sottolinea che nella relazione madre bambino
l'empatia è il mezzo per creare o contenere l'ansia(15). L'ansia intollerabile nasce non per il
fatto di aver avuto una madre "cattiva', ma per il fatto che il bambino non è mai sicuro se la
madre sarà "buona" o "cattiva" nel rapportarsi a lui. Questa imprevedibilità, causata dall'ansia
della madre, e la relativa ambiguità irrisolvibile inducono il bambino ad un disorientamento
profondo nel senso soggettivo di sé e ad una continua dissociazione delle esperienze che sono
legate ad ansia intensa.
L'individuo che dissocia in modo cronico costruisce il proprio sé attorno a buchi nell'esperienza
e l'improvvisa consapevolezza di questi vuoti provocherebbe a sua volta ansia. Anche se
all'inizio della vita la dissociazione è soltanto uno spazio vuoto nello sviluppo dell'esperienza,
con il passare del tempo essa diviene un elemento costitutivo del sé.
In altri passi della sua opera Sullivan sottolinea il legame della dissociazione con la
psicopatologia:
In generale possiamo dire che un sano sviluppo della personalità è inversamente proporzionale
alla quantità delle tendenze che si sono venute a trovare in dissociazione. E in altre parole: se
nulla è dissociato, allora l'individuo, sia egli un genio o un imbecille, sarà certo sano di mente.
[...] Ma se invece una persona, anche di grande talento, è costretta dall'esperienza, e cioè dalle
persone importanti che influiscono su di lui nelle varie fasi del suo sviluppo, a dissociare dalla
coscienza un numero considerevole di sistemi motivazionali potenti e duraturi, allora quella
persona sarà molto esposta alla malattia mentale. Sarà inevitabilmente disadattata in alcune
situazioni della sua vita, perché nella sua attività complessiva c'è una divisione fra gli atti di cui
è consapevole e gli atti che compie senza saperlo" (1940, pp. 53-54).
Come per Ferenczi, anche per Sullivan la dissociazione lavora grazie ad uno stato di allerta
continuo della coscienza. Le motivazioni dissociate divengono parte del non-me (Sullivan
1953), non possono cioè assolutamente essere vissute come proprie. La dissociazione spinge,
secondo Sullivan, all'enorme fatica di essere costantemente vigili ma, più che verso una forza
interna, nei confronti del significato delle relazioni vissute dall'individuo, che gli fornirebbero
un accesso diretto e possibili elaborazioni associative con il materiale dissociato.
La Dissociazione viene definita come: un processo mentale attivo attraverso il quale dei
contenuti mentali inaccettabili o una funzione mentale inaccettabile vengono isolati dalla
consapevolezza della persona senza per questo motivo cessare di essere mentali - essendo
"inaccettabile" un tale contenuto mentale o una tale funzione mentale all'interno del significato
di questa definizione in quanto irrilevante, incompatibile o spiacevole in relazione ad un
interesse attivo. La Repressione è definita solo come: un processo mentale attivo attraverso il
quale certi elementi mentali, la cui comparsa nel mondo cosciente causerebbe spiacevolezza,
vengono esclusi dalla coscienza della persona senza per questo motivo cessare di essere
mentali. È perciò ovvio che la repressione è in sostanza la dissociazione dello spiacevole.
(1929, p. 69).
In questo primo scritto Fairbairn considera dunque la dissociazione come l'operazione psichica
più primitiva, sottolineando la funzione primaria che essa svolge per la psiche. Il suo interesse
per la dissociazione anticipa quindi quello per la scissione e per l'universalità del meccanismo
schizoide in tutte le fasi di sviluppo della personalità.
Fairbairn ritiene che la repressione sia possibile solo quando la coscienza può riconoscere le
incompatibilità fra diversi contenuti psichici; cioè solo quando si raggiunge un livello di
integrazione dove è possibile connettere le idee fra di loro e formare concetti e sia possibile per
l'individuo accedere all'autoconsapevolezza e vedere l'esistenza di diverse tendenze all'interno
del sé e riconoscere l'incompatibilità tra queste stesse tendenze conflittuali. In questo modo di
procedere il contributo di Fairbairn appare molto simile a quelli contemporanei di Bromberg
(1998) e Davies (1996a, 1996b, 1998; cfr. Boschiroli in questo volume).
Un decennio dopo, nell'elaborazione matura della sua teoria, Fairbairn (1941, 1943a, 1943b,
1944, 1946, 1949) giunge a considerare le scissioni del sé come un processo fondamentale della
natura e della struttura della psiche. Soprattutto nello scritto Osservazioni sulla natura degli
stati isterici, del 1954, Fairbairn torna direttamente a sottolineare le molteplici implicazioni
della dissociazione.
Anche secondo Rubens (1996), contrariamente a quanto sostengono Scharff e Birtles (i curatori
del volume dedicato a Fairbairn nel 1995), egli non confina il processo della dissociazione in
alcune sindromi e fenomeni ipnagocici e di personalità multipla. Fairbairn (1944) ritiene che le
scissioni dell'Io (dissociazioni, per come oggi intendiamo il concetto) siano strutturali nella
mente umana e afferma che tutti gli individui, in questo senso, sono alle prese con il dilemma
schizoide.
La breve panoramica che abbiamo offerto sui contributi di Ferenczi, di Sullivan e di Fairbarn
ci mostra come il loro pensiero sulla dissociazione sia di grande interesse nell'attuale dibattito
psicoanalitico e psicopatologico, e si riveli seminale rispetto alla ricerca della fondazione di un
paradigma relazionale della mente e del processo terapeutico.
"Inizialmente ci sono alcune minacce all'esistenza del sé che sembrano provenire dall'
"esterno": impingment, sovrastimolazioni, traumi o minacce dall'esterno sono la condizione
definitiva, il sine qua non della dissociazione. Ma tutte queste minacce sono registrate dai sensi
:
e perciò è proprio qui che l'azione specifica della dissociazione ha luogo - tra la mente e i sensi.
Così il primo e definitivo movimento nel processo dissociativo è il ritiro difensivo della mente
dal sistema sensorio. Il pericolo proveniente dall'esterno ora è stato placato, o almeno
distanziato e quindi portato sotto un certo grado di controllo" (Goldberg, 1995, p. 496, trad.
nostra).
La dissociazione è il processo che permette di ritrarsi dal contatto affettivo con il mondo
interpersonale quando il senso soggettivo di minaccia è troppo intenso. A differenza del ritiro
psicotico, che si struttura attraverso una sorta di ricostruzione profonda del mondo sostanziata
da processi mentali primitivi, la dissociazione comporta un ritiro dai sensi. Infatti, i "sintomi"
della dissociazione (fuga, amnesia, le esperienze di essere al di fuori del corpo, autoipnosi,
distorsioni percettive, senso di morte affettiva, cambio di identità, depersonalizzazione,
derealizzazione) riflettono tutti le ripercussioni sui sensi, della realtà somatica. Alcune
combinazioni di questi "sintomi" possono essere trovati in un gran numero di disturbi come
isteria, personalità borderline, perversioni e disturbo di personalità multipla.
I sintomi dissociativi gravi sono evidenti dove questa organizzazione difensiva fallisce nel
provvedere ad una pseudo-integrazione(18).
Tra i più importanti autori che si sono occupati in modo sistematico del tema della
dissociazione spicca Bromberg (1998). Egli presenta una teoria clinica che fa del concetto di
dissociazione il pilastro portante. Come abbiamo osservato, nella sua ipotesi la mente
all'origine non è unitaria ma nasce come una molteplicità di stati discontinui e discreti. Nel
funzionamento sano della psiche vi è una dialettica continua tra separatezza e unità di questi
stati, che permette ad ogni versione di sé di funzionare in maniera ottimale senza precludere
comunicazione e negoziazione tra di essi. L'individuo non è consapevole dell'esistenza di stati
multipli e separati del sé, in quanto, come già intuito da Sullivan, ciascuno di essi funziona
come parte di una sana illusione di identità personale, uno stato esperienziale e cognitivo
sovrastante, esperito come "me". Bromberg afferma:
"La dissociazione, come la repressione, è una funzione salutare e adattativa della mente umana.
È il processo di base che permette agli stati individuali del sé di funzionare in modo ottimale
(non semplicemente in modo difensivo) quando una completa immersione in una singola realtà,
un singolo affetto forte e una sospensione della capacità autoriflessiva di una persona sono
esattamente ciò che è richiesto o desiderato" (Bromberg, 1996, pp. 514-515, trad. nostra).
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Note:
1 Come afferma Goldberg, "non ci possono essere dubbi che la dissociazione è indispensabile
in un'ampia gamma di attività "normali", come ad esempio nel lavoro e nella preservazione
quotidiana del sé. Se la sopravvivenza psichica di fronte ad eventi e circostanze traumatiche
dipende dalla capacità psicologica di dissociare, dobbiamo presumere che questa capacità sia
una capacità arcaica della psicologia umana e che certi rituali in società tradizionali - inclusi
l'induzione del trance, lo sfregio del corpo e rituali che provocano sofferenza - possono essere
visti come contributo alla istituzionalizzazione della dissociazione. Nelle moderne società
industrializzate il tipo di lavoro "produttivo" che ci si aspetta dai cittadini spesso richiede di
essere sostenuto dall'uso della dissociazione. Anche l'attività creativa sembra implicare un
certo uso della dissociazione, come fanno molte forme di svago e di divertimento" (1995, pp.
500-501, trad. nostra). Goldberg procede oltre nella sua argomentazione, ipotizzando una
relazione tra la dissociazione e le ideologie dominanti nelle società occidentali che ne
presuppongono l'esistenza come forma di organizzazione psichica sulla quale strutturare
l'imposizione della programmazione forzosa dell'esistenza individuale, le rigidità delle diete e
degli esercizi nell'industria del benessere, la ritualizzazione della creatività, la codificazione
tecnologica del lavoro, delle comunicazioni, delle relazioni sociali.
2 In psicopatologia s'indicano con Disturbi dissociativi quegli stati alterati delle funzioni
integrative riguardanti il senso dell'identità, la memoria, la percezione e la coscienza
(American Psychiatric Association 1994; Monaco, Torta 2002). Nel DSM-IV sono inclusi in
questa classe di disturbi: l'Amnesia Dissociativa, la Fuga Dissociativa, il Disturbo Dissociativo
dell'Identità, il Disturbo di Depersonalizzazione, il Disturbo Dissociativo Non Altrimenti
Specificato.
3 La ricerca neonatologica attuale (Albasi 2003) descrive il sorgere della mente all'interno
della relazione madre-neonato. La mente non nasce né si sviluppa a partire da spinte interne
biologicamente determinate che solo accidentalmente si incontrano con le persone che
accolgono il neonato (come previsto dalla metapsicologia pulsionale freudiana), ma bensì
prende vita da una matrice che è relazionale fin dall'inizio, che implica fin da subito le figure di
attaccamento, i caregiver. La madre e il bambino formano un sistema diadico che interviene
nella regolazione dei reciproci stati interni: gli autori ci parlano di autoregolazione e di
regolazione reciproca proprio per indicare il forte legame che esiste fin dall'inizio nella coppia
madre-bambino. La ricerca neonatologica ci illustra quindi come la nostra mente, al suo livello
primario di funzionamento, elabora informazioni che concernono la propria regolazione o la
regolazione del rapporto con l'altro, creando la discontinuità strutturale che caratterizza il
funzionamento mentale adulto (impegnato continuamente nell'attività di integrazione tra il Sé e
la relazione come origine di significati). La vita mentale del bambino viene descritta come un
susseguirsi di stati discontinui. Ogni stato (come il sonno, la veglia, i diversi stati di attivazione,
di bisogno o quelli di appagamento di un bisogno) ha una rapporto di soluzione della
continuità con il successivo. La discontinuità dell'esperienza del bambino viene organizzata
lungo lo sviluppo ma costituisce una caratteristica di fondo della mente. Grazie a questa
:
caratteristica possono prendere forma i processi dissociativi che aiuteranno il bambino sia ad
escludere dalla sua coscienza le esperienze traumatiche, sia ad articolare in modo complesso i
significati della sua esperienza di sé e delle sue relazioni.
5 Janet parla dei sintomi isterici come correlati "all'esistenza di frammenti scissi della
personalità (idee fisse subconsce), dotate di vita e sviluppo autonomi" (Ellenberger 1970, p.
421), e di aspetti divisi della personalità che si sviluppano come centri autonomi di coscienza e
attività. Per Janet si parla di trauma psichico quando eventi carichi affettivamente non possono
essere assimilati agli schemi preesistenti e quindi vanno a formare le idee fisse subconsce.
6 Jones (cit. in Antonelli 1997, p. 25) sostiene che Studi sull'isteria è il testo prediletto da
Ferenczi tra quelli di Freud (la chiusa degli Studien sulla "miseria isterica e la sofferenza
comune" è spesso citata negli scritti di Ferenczi). Secondo Lorin è a partire dalla pubblicazione
degli Studien (nel 1896) che inizia ad esercitarsi su Ferenczi l'influenza della psicoanalisi. E
ancora nel 1932 Ferenczi stesso scriverà nel Diario clinico il 15 marzo (1932b, p. 119): "Il
modello che più seguo in questo processo è per lo più quello del dottor Breuer, che non ha
rinunciato a cercare e trovare la verità presente nelle dichiarazioni più insensate di un'isterica".
7 Ferenczi introduce il concetto di scissione (utilizzandolo nel senso della dissociazione per
come lo intendiamo in questo libro) nella relazione che presenta nell'agosto del 1929 ad Oxford
e che poi viene pubblicata con il titolo di Principio di distensione e neocatarsi nel 1931. Con
grande acutezza clinica suggerisce implicitamente che l'amnesia non è sempre frutto di
rimozione e repressione ma può anche essere determinata dalla dissociazione (1931, p. 61).
8 Dice Ferenczi (1932a, p.96): "i bambini si sentono indifesi fisicamente e moralmente, la loro
personalità è ancora troppo debole per poter protestare, sia pure solo mentalmente; la forza
prepotente e l'autorità degli adulti li ammutolisce, spesso toglie a loro la facoltà di pensare. Ma
questa stessa paura, quando raggiunge il culmine, li costringe automaticamente a sottomettersi
alla volontà dell'aggressore, a indovinarne tutti i desideri, a obbedirgli ciecamente, a
identificarsi completamente con lui. Con l'identificazione, o meglio con l'introiezione
dell'aggressore, quest'ultimo scompare come realtà esterna e diventa intrapsichico; ma tutto ciò
che è intrapsichico soggiace, in uno stato simile al sogno come è appunto la trance traumatica,
al processo primario, vale a dire ciò che è intrapsichico può essere, in base al principio del
piacere, plasmato e trasformato in modo allucinatorio, positivo o negativo. In ogni caso,
l'aggressione cessa di esistere come rigida realtà esterna e, nella trance traumatica, il bambino
riesce a mantenere in vita la precedente situazione di tenerezza. Ma il mutamento più
significativo, provocato nella psiche del bambino dall'identificazione per paura con il partner
adulto, è l'introiezione del senso di colpa dell'adulto, che fa apparire come un'azione colpevole
un gioco ritenuto fino a quel momento innocente.
Se il bambino si riprende dopo una simile aggressione, si sente enormemente confuso, o meglio
:
egli è già scisso, al tempo stesso innocente e colpevole, ha perso fiducia in ciò che dicono i suoi
sensi". Abbiamo riportato per esteso questa lunga citazione di Ferenczi in quanto pensiamo
(Seganti, Albasi 2002; Albasi 2001a, b, 2003; Sechi 1995) che sia una descrizione di una
finezza e profondità mirabile e, come dire, quasi definitiva della relazione traumatica;
intendiamo, come Borgogno, (1999), la relazione traumatica in senso ampio, e non solo la
violenza sessuale, fino ad includervi la carenza di possibilità e strumenti offerti dall'ambiente
alla mente in via di sviluppo (una violazione per difetto oltre che per eccesso).
10 Ferenczi fa questo esempio (1932a, p. 99): "una madre che si lamenta continuamente delle
proprie sofferenze può trasformare la figlia in un'infermiera, vale a dire in un autentico
sostituto della madre, senza tenere in alcun conto i veri interessi della figlia".
11 Si cfr. anche questo passo tratto dal Diario clinico: "Questo tipo di spiegazione implica
tuttavia la possibilità che nei momenti di estremo pericolo l'intelligenza si stacchi dall'io e che
forse anche tutti gli affetti fino allora al servizio della conservazione della propria persona
(paura, angoscia ecc.), in vista dell'inutilità degli affetti in generale, siano bloccati e
trasformati in un'intelligenza anaffettiva con una sfera d'azione molto più vasta. Nasce, per così
dire, in noi, nell'estremo bisogno, un angelo custode che utilizza le nostre forze fisiche in modo
migliore di quanto siamo in grado di fare noi nella vita ordinaria" (Ferenczi 1932b, p. 178).
12 "Viene fatto di pensare ai frutti beccati dagli uccelli, che maturano più rapidamente o
diventano più dolci e così pure al precoce maturare dei frutti bacati. In seguito ad uno shock,
una persona può maturare improvvisamente in una sua parte e non solo a livello emozionale ma
anche intellettuale" (Ferenczi 1932a, p. 98).
13 Come dice Ferenczi nel Diario il 21 febbraio (1932b, p. 95) il trauma viene colto dal di
fuori, senza il sentimento della convinzione; cioè senza il senso che sia qualcosa che riguarda
se stessi, come un osservatore esterno, dissociato dal senso di soggettività personale. Viene
smarrita la capacità di comprendere il significato relazionale di quel che succede nella propria
vita affettiva, di riflettere sulla propria esperienza, con una compromissione di ciò che Fonagy e
Target (2001) intendono con reflective function.
14 Cfr. Anche: "Dell'espressione di tutte le caratteristiche esistenti nella personalità, che non
siano quelle che furono approvate o disapprovate dai genitori e da altre persone importanti,
l'io, per così dire, rifiuta la consapevolezza, non ammette che vi sia coscienza e non le nota;
così questi impulsi, desideri e bisogni vengono fuori senza associazione con l'io, cioè dissociati.
Quando cioè vengono espressi, la loro espressione non viene notata dalla persona. La
consapevolezza che abbiamo dei nostri atti e di quelli degli altri è limitata in modo permanente
solo ad una parte di tutto ciò che accade, e la struttura ed il carattere di tale parte sono
determinati dalla prima educazione ricevuta; i suoi limiti vengono mantenuti, un anno dopo
:
l'altro, dall'angoscia che proviamo ogni qual volta tentiamo di passare il confine" (Sullivan
1953, p. 29).
15 Sullivan pensa che l'ansia intensa che si genera nella figura di attaccamento (anche in
seguito al contatto con aspetti non tollerabili del bambino) provochi (attraverso il legame
empatico) nel bambino potenti amnesie (retrogade e anterograde): queste esperienze del
bambino non vengono considerate, né dal genitore né dal bambino, come aspetti del bambino,
come parti del suo Sé; diventano invece quelle che Sullivan chiama esperienze non-me, stati di
dissociazione.
16 Fa notare Rubens (1996) che, nonostante Fairbarn dimostra negli anni "40 di essere
influenzato dagli scritti degli anni "30 di Melanie Klein, già nei suoi primi lavori possiamo
osservare gli aspetti cruciali del suo pensiero successivo.
17 Scrive Stern: "Non è necessariamente vero quindi che una memoria dissociata non può
essere ricordata. Potrebbe benissimo essere possibile ri-catturare le circostanze di eventi
rilevanti, ma la sequenza sarebbe soltanto un fatto; non avrebbe un posto nella nostra
esperienza. Chiarificare non è semplicemente portare un evento nella coscienza riflessiva, ma
creargli ciò che Donald Spence chiamava molto appropriatamente una "casa narrativa".
Quindi l'opposto della dissociazione non è l'articolazione dell'esperienza, almeno non nel senso
in cui articolazione significa creazione di mera chiarezza, come nell'idea di Sullivan di
validazione consensuale. L'opposto di dissociazione è il particolare tipo di articolazione vivida
e piena di sensazioni che noi descriviamo come immaginazione" (1997, p. 94, trad. nostra).
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