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. Come si sa, negli ultimi lustri sono state rivolte forti critiche al modello del-
la comunicazione elaborato da Shannon e Weaver alla fine degli anni Quaran-
ta, e successivamente utilizzato da linguisti e psicologi come base dell’analisi
del funzionamento del linguaggio verbale, fino alla sua adozione ufficiale da
parte del capofila riconosciuto della linguistica e della scienza cognitiva, Noam
Chomsky. Quelle critiche, vertenti sulla “linearità” del modello, originaria-
mente pensato per illustrare il funzionamento della comunicazione telefonica
e sulla sua incapacità di dare conto del processo dell’interpretazione (e non so-
lo della codifica/decodifica) degli enunciati, hanno spesso coinvolto Roman
Jakobson, autore (in un celebre intervento su Linguistica e poetica) di una rie-
laborazione dello schema shannoniano in base al principio delle “funzioni” del
linguaggio. L’idea di Jakobson è che a ciascun partner della comunicazione
(mittente, messaggio, destinatario, canale, codice, contesto) competa una “fun-
zione”, connessa alla posizione di salienza volta a volta assunta da questo o quel
componente. Il fatto che Jakobson abbia mutuato senza discuterle nozioni pro-
blematiche come “mittente”, “destinatario” e “codice” (che sembrano allude-
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. Come gli studi compiuti negli ultimi decenni sulle tecniche retoriche del-
la pubblicità hanno mostrato, l’adozione e la trascrizione in termini visivi del-
le tradizionali “figure” consentono ai creatori di immagini pubblicitarie so-
luzioni pressoché senza numero, a partire da poche combinazioni essenzia-
li. Tuttavia, questa giusta considerazione non esaurisce l’analisi delle carat-
teristiche comunicative che possono sprigionarsi dall’applicazione dello
schema. Così, per cominciare con un caso elementare, l’esempio proposto
dalla FIG. risulta dalla congiunzione del meccanismo dell’antonomasia (la
donna al centro della foto si presenta come l’essenza del genere, la donna per
eccellenza) con quello della metonimia (basata com’è noto sulla contiguità: il
possesso del prodotto, in questo caso una collana, consente di attingere la di-
mensione promessa, partecipando della presenza della bellissima e della sce-
na ch’essa interpreta).
Ciò detto, l’annuncio stampa in questione rivela una struttura dinamica
più complessa di quanto la tradizionale lettura in termini retorici faccia pensa-
re: intanto, la dichiarata biplanarità dell’immagine (la donna appoggia la ma-
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DISPOSITIVI RETORICI NELLA PUBBLICITÀ
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tena qualsiasi, no, ma una di quelle catene che vediamo nei porti, consumate
dal sale e dal tempo, ma anche segni immediatamente disponibili di resistenza,
di tenacia. Come si vede, la metafora dell’orologio-anello della catena costitui-
sce un efficace appello alla immaginazione del fruitore, chiamato a riempire la
scena con le proprie emozioni visive, i propri ricordi mediali o letterari. E il
processo seduttivo si compie attraverso una ulteriore operazione metonimica:
perché è ovviamente il possesso dell’oggetto (l’oggetto per chi lo indossa, dun-
que) a consentirci di entrare a far parte del gioco immaginativo.
È curioso come la potenza evocativa dell’immagine sia qui particolizzata e
banalizzata dallo headline, quasi che il pubblicitario (o più probabilmente il
committente di questi) abbia temuto che il messaggio risultasse troppo vago:
enunciare la metafora (“l’anello che mancava”) vuol dire infatti impoverirne il
significato, che viene poi ricondotto a un gioco di astratti (“forza” ed “elegan-
za”), a parere di chi scrive, di dubbia pertinenza e quindi di modesta efficacia
retorica.
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collo della bottiglietta di plastica che spunta dalla cerniera lampo. L’illusioni-
smo del ruolo tipico a tanta pubblicità tradizionale (“comprami e diventi una
donna bellissima, una diva, una regina…”) è subito temperato da un evocato-
re di quotidianità, tipico di chi è abituato a muoversi in fretta da una parte al-
l’altra della città, fra mille commissioni e scadenze. Si noterà che, a parte il no-
me della ditta, logotipo collocato dove ci attenderemmo lo headline, nessun
elemento verbale viene a indirizzare il percorso di lettura del testo. C’è dunque
un concentrato di poste retoriche: la consueta metonimia dell’oggetto per il
possessore (connesso per sineddoche, il primo, al ruolo di regina), l’iperbole
ecc.; ma c’è anche uno scenario di non immediata decifrazione: una tenda ros-
sa, una sedia di foggia antica recante un curioso cartello con un numero im-
presso. L’appello alla collaborazione interpretativa del fruitore è qui consi-
stente. Quale ipotesi di coerenza fra le parti, quale “isotopia” tiene insieme
componenti visive così disparate? Chi scrive ha sottoposto questo (come altri
esempi) all’attenzione di una classe di studenti universitari, saggiando in con-
creto lo sforzo immaginativo – e il tempo – necessario, anche per ragazzi di
istruzione superiore alla media, e motivati al tema, a costruire una ipotesi di let-
tura adeguata, scartando via via le ipotesi meno “comprensive”. Quella tenda
è dunque verosimilmente una quinta teatrale, e la sedia uno degli arredi, debi-
tamente numerati, che verranno disposti sul palcoscenico nel momento e nel
punto più opportuno. La borsa-corona, poggiata sulla sedia senza troppe cau-
tele, è pertanto un invito a giocare una parte, sapendo che di una rappresenta-
zione scherzosa, appunto, si tratta. Allo stesso modo che il teatro imita la vita
reale, senza coincidere con essa (come ci ricorda, a tacer d’altro, la bottiglietta
di minerale), la borsa Braccialini ti lascia giocare al re e alla regina senza pren-
derti troppo sul serio.
Un altro esempio di notevole interesse ci è offerto da una campagna di
qualche anno fa della ditta The Bridge, una nota casa di pelletteria elegante,
che – sia detto per chi non la conoscesse – offre prodotti di grana altamente
tradizionale, sia quanto a modelli sia quanto al trattamento delle pelli, che ser-
bano un quid di “naturale” merceologicamente contrapposto al sintetico (an-
che a caro prezzo) oggi tanto diffuso. Gli esempi compresi nelle FIGG. e il-
lustrano molto efficacemente la complessità dell’operazione semiotica e valo-
riale svolta dalla ditta in questione. Il fruitore, anche qui, non ha indici verba-
li che lo aiutino o lo guidino nella interpretazione di visual così spiazzanti (la
donna-fungo, lo chignon-riccio): o meglio, ce n’è uno (posto accanto al logo, in
posizione di pay-off, dunque), ma in caratteri talmente minuti che può a prima
vista sfuggire e che, un attimo dopo, vorrà essere letto proprio per la sua pic-
colezza. Ma il fuoco dell’attenzione è catturato dalle singolari creature ibride
che l’effetto-The Bridge (reso tale dalla localizzazione sul vertice alto a destra,
anziché su quello basso, come ci si aspetterebbe) evidentemente ha suscitato.
Sono bellezze classiche e composte, depurate di ogni magma sensuale, e per-
tanto antitetiche rispetto ai canoni di esibita, e spesso volgare, carnalità fem-
minile (ma sempre più anche maschile) tipici della pubblicità made in Italy. Il
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Note
. Sulle caratteristiche tecniche del modello di Shannon e Weaver, cfr. Miller, .
Per le questioni sollevate da tale teoria, cui ha ridato nuova vita l’accoglimento da parte
di Noam Chomsky, rimando ai capitoli raccolti in Ferretti, Gambarara, . Ivi anche
dettagliate informazioni sulle diverse versioni della teoria della pertinenza di Dan Sper-
ber e Deirdre Wilson, discussa nel quadro della tradizione griceana da Bianchi, . Sui
complicati détours della teoria della comuniczione negli ultimi dcenni, rimando a Gensi-
ni, .
. L’articolo, pubblicato originariamente nel , si può vedere in Jakobson, , pp.
-.
. Cfr. Della Volpe, , ad ind.
. Cfr. una esposizione aggiornata della teoria in Wilson, Sperber, .
. Cfr. in particolare Eco, e Iser, . In questo quadro, varrebbe la pena rileggere
oggi le pagine di un protagonista dello strutturalismo praghese, Jan Mukařovskij [controlla-
re grafia], , pagine attualissime ancorché risalenti agli anni Trenta.
. Fra i lavori che ancora oggi si consultano con maggior profitto ricordo Eco, e
Appiano, . Un ampio resoconto delle ricerche di settore, da Barthes in poi, si troverà nel
terzo capitolo di Codeluppi, .
. Sulla teoria aristotelica della metafora e sui passi velocemente evocati nel testo, ri-
mando al saggio di Giovanni Manetti che apre il volume di Lorusso, (qui anche ampie
notizie sulle recenti dottrine cosiddette embodied, “incorporate” della metafora, facenti ca-
po al lavoro di George Lakoff e Mark Johnson).
. Che riprendo da Richards, . Il lavoro di Richards, importante per i suoi tempi, è
tuttavia prigioniero della concezione “similarista” della metafora sulla quale si esprimeva cri-
ticamente, già negli anni Cinquanta, Max Black.
. Per una presentazione del lavoro del noto semiologo francese, cfr. il già cit. Code-
luppi, .
. Per questi dati (relativi all’ultimo censimento del ) cfr. ISTAT, , in una Nota
per la stampa curiosamente volta a negarne il peso drammatico (valutato invece in tutto il suo
spessore da De Mauro, ).
Bibliografia
JAKOBSON R. (), Saggi di linguistica generale, Feltrinelli, Milano (ed. or. Essais
de linguistique générale, Paris, Minuit ).
LORUSSO A. M. (a cura di) (), Metafora e conoscenza, Bompiani, Milano.
MILLER G. A. (), Linguaggio e comunicazione, La Nuova Italia, Firenze (ed. or.
Language and Communication, McGraw-Hill Book Company, New York ).
MUKAŘOVSKIJ J. (), Il significato dell’estetica, Einaudi, Torino.
RICHARDS I. A. (), La filosofia della retorica, Feltrinelli, Milano (ed. or. The Phi-
losophy of Rhetoric, Oxford University Press, New York-London ).
WILSON D., SPERBER D. (), Relevance Theory, in G. Ward, L. Horn (eds.) Hand-
book of Pragmatics, Blackwell, Oxford, pp. -.