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Ilaria Pavan
Gli storici e la Shoah in Italia
In figura: i resti del campo di concentramento di Fossoli, a Modena, dove vennero internati
molti ebrei italiani, prima di essere trasportati nei campi di sterminio nazisti in Germania.
Fossoli, 2008. Fotografia di Martino Lombezzi, Contrasto.
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A partire dal 1945, e per quasi un decennio, le sole pagine dedicate alla tra-
gedia vissuta dall’ebraismo italiano dopo il 1938 portavano la firma di storici
stranieri6. Nel 1946, era il britannico Cecil Roth, a dedicare la conclusione
del suo volume The History of the Jews in Italy 7 alla storia della mino-
ranza sotto il fascismo (Downfall), al periodo dell’emanazione delle leggi
persecutorie (Betrayal) e ai mesi dell’occupazione nazista (The Catastrophe).
Se l’autore forniva una prima, e relativamente dettagliata, ricostruzione del-
la normativa antisemita e dei suoi drammatici effetti, spingendosi sino al-
l’affermazione che in taluni ambiti la legislazione fascista fosse stata, rispet-
to a quella nazista, « anche più severa »8, nel complesso la svolta antisemita
del fascismo era unicamente interpretata come diretta conseguenza dell’al-
leanza con la Germania. Commettendo alcuni errori fattuali nel leggere
gli eventi successivi al 25 luglio 19439, il peso della politica antiebraica nei
mesi dell’occupazione nazista cadeva interamente sulle spalle del governo
hitleriano. Coadiuvato dall’aiuto fornitogli dallo storico italiano Gino Luz-
zatto – come Roth ebbe modo di dichiarare anni più tardi10 – lo studioso
oxoniano avrebbe inoltre sottolineato « la solidarietà della gran parte della
popolazione italiana » verso i perseguitati, così come « l’aiuto fattivo della
Chiesa italiana [che] fece tutto il possibile per attenuare il colpo e per aiu-
tare i bisognosi »11, giungendo a concludere che « quindici anni di fascismo,
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L’interpretazione di Poliakov, peraltro, andava letta anche alla luce della valenza
politica interna che l’autore intendeva darle: enfatizzare i meriti e le virtù de-
gli italiani permetteva infatti all’autore di evidenziare, polemicamente, il con-
troverso nodo del collaborazionismo francese. Nel 1951 anche Jacques Sabille
pubblicò sulla rivista del Centre de Documentation Juive Contemporaine due
brevi studi dall’analoga impostazione sulla «attitude des Italiens» verso gli ebrei
della Croazia e della Grecia occupate18. I lavori di Poliakov e Sabille, sensibil-
mente modificati nel testo, vennero successicamente ripubblicati in unico vo-
lume comparso nel 1956 in italiano con il titolo Gli ebrei sotto l’occupazione ita-
liana 19. La recensione dedicata al testo di Poliakov-Sabille sulle pagine della
rivista dell’Istituto Nazionale del Movimento di Liberazione in Italia faceva
proprie le conclusioni di fondo dei due autori, sostenendo come «dalla lettu-
ra di questa opera documentaria prende rilievo la profonda divergenza che se-
para lo spirito mediterraneo da quello teutonico»20. La posizione di Poliakov
in merito al positivo comportamento nei riguardi degli ebrei delle forze di oc-
cupazione italiane in Francia e Crozia sarebbe stato riproposta nel successivo,
e assai più noto lavoro, Il nazismo e lo sterminio degli ebrei 21 (1951), edito in
italiano nel 1955. Il volume, che ottenne in Italia un buon successo giornalisti-
co, di pubblico e di vendite, non ebbe invece grande eco tra gli storici, se si ec-
cettuano le brevi positive note dedicategli da Renzo De Felice e Piero Caleffi22.
Il medesimo accento sulla benevolenza delle forze di occupazione fasciste
nella Francia meridionale avrebbe trovato conferma anche nelle pagine del
volume di Gerald Reitlinger, The Final Solution, edito nel 1953, ma tradotto
in italiano nel 196223: « Soldati e funzionari italiani – avrebbe scritto lo stori-
co britannico a tal proposito – [misero] la loro duttile intelligenza al servi-
zio della ragione e della bontà »24, contribuendo a definire ulteriormente l’im-
magine di una presunta naturale e innata bonomia del soldato italiano – e
dell’italiano tout court – che per contrasto si opponeva alla barbarie del sol-
dato nazista.
Nel 1952, per volontà e diretto interessamento del suo direttore Piero Ca-
lamandrei, sarebbe stata la rivista «Il Ponte» a ospitare, la prima in Italia, una
serie di saggi dedicati alla persecuzione antisemita fascista, affidati alla penna
dello storico Antonio Spinosa. Già nel 1949 Calamandrei, in una lettera in-
viata a Carlo Galante Garrone, aveva espresso il desiderio di trovare «chi mi
faccia per “Il Ponte” una specie di inchiesta da pubblicarsi a una o più pun-
tate, sul razzismo in Italia [...] È storia che tutti stanno per dimenticare: e nes-
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Nei quattro interventi apparsi tra il luglio del 1952 e il luglio 195329 – la serie
si interruppe inaspettatamente prima del quinto e ultimo articolo previsto, che
avrebbe dovuto trattare del biennio 1943-1945 –, Spinosa riprese il giudizio
critico già pronunciato da Vitale nei confronti dell’operato della Chiesa, men-
tre per quanto riguarda l’interpretazione generale dell’antisemitismo fascista gli
interventi pubblicati su « Il Ponte » riproducevano in sostanza il paradigma
interpretativo già dominante, tanto nella storiografia – per lo più straniera,
come si è detto – quanto nella memorialistica ebraica, che considerava l’anti-
semitismo come elemento alieno alla cultura e alla storia del paese, nonché
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la primavera del 1960 il varo del governo Tambroni, con il decisivo apporto dei
voti del Movimento Sociale Italiano, e i drammatici fatti del luglio successi-
vo, insieme al manifestarsi di nuovi fermenti antisemiti nel paese – cui anche
lo stesso De Felice dedicò allora il suo commento44 – richiamarono l’attenzione
sulla presenza e sulla vitalità nel paese delle forze neofasciste, parlamentari ed
extraparlamentari, stimolando nuove considerazioni sul nodo fascismo-razzi-
smo-antisemitismo. Sul piano internazionale, invece, erano soprattuto gli echi
del processo Eichmann, svoltosi a Gerusalemme tra il marzo e il dicembre del
1961, a rendere nuovamente attuale anche in Italia la questione delle respon-
sabilità nei confronti della Shoah45.
Come scrisse in un’ampia nota critica Corrado Vivanti, il volume di De Fe-
lice ebbe allora una straordinaria «fortuna mondana»46, testimoniata dal buon
successo di vendite (la pubblicazione avvenne praticamente in coincidenza con
la conclusione del processo Eichmann a Gerusalemme, e ciò costituì un in-
dubbio traino editoriale) e un notevole riscontro su quotidiani e settimana-
li47, legato soprattutto allo scandalo politico suscitato dallo svelamento (rele-
gato in realtà da De Felice in una breve nota a fondo pagina48) dell’imbaraz-
zante passato razzista di Leopoldo Piccardi, allora tra i leader del Partito
radicale italiano49. Ma al di fuori delle accese polemiche politiche legate al “ca-
so Piccardi”, assai modesto fu il riscontro che il volume ebbe in termini di pro-
mozione di un dibattito storiografico sui temi trattati. Tra le recensioni acca-
demiche dedicate alle Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo – non molte in
verità e nella quasi totalità di autori riconducibili all’ebraismo italiano50 – spic-
cava in particolare il citato intervento di Corrado Vivanti, l’unico critico in
un quadro che fu al contrario di generale apprezzamento. Vivanti, pur non
disconoscendo affatto i molti meriti e il coraggio del lavoro, ne individuava
alcune mancanze, consistenti, a suo dire, nella deficitaria analisi del sionismo
italiano, valutato da De Felice solo in termini politico-istituzionali e non cul-
turali, ma, soprattutto, nel mancato inquadramento della campagna antie-
braica all’interno della politica complessiva del fascismo51. Vivanti inoltre sug-
geriva di estendere ulteriormente le ricerche attraverso un confronto fra l’at-
teggiamento tenuto dal regime verso gli ebrei e quello mostrato verso altre
minoranze etniche o religiose (slavi e valdesi in particolare), al fine di traccia-
re un quadro generale «dell’intolleranza fascista verso le minoranze allogene
dello Stato italiano»52. Ma nelle successive riedizioni dell’opera De Felice non
ne avrebbe modificato l’impianto generale né, soprattutto, le interpretazioni
di fondo, se non in direzione di un ulteriore irrigidimento. Se oggi molte del-
le tesi proposte nella Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo sono state mes-
se in discussione, se non apertamente confutate, quanto egli espresse nella pri-
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ricordiamo, in quello stesso 1975 aveva curato con De Felice la celebre quan-
to contestata Intervista sul fascismo 62 – si collocava sulla scia delle più genera-
li acquisizioni defeliciane sulla natura del regime e considerava dunque l’an-
tisemitismo come l’ultimo degli sviluppi dell’ideologia fascista negli anni Tren-
ta, come parte integrante di quel progetto volto a plasmare il cosiddetto
«uomo nuovo fascista». Ledeen sottolineava inoltre il ruolo centrale svolto dal-
le convinzioni antisioniste di Mussolini nel plasmare i rapporti tra il dittato-
re e l’ebraismo, già a partire dalla fine degli anni Venti. Sulla scia delle inter-
pretazioni già proposte da De Felice, infine, anche lo storico statunitense con-
siderava l’antisemitismo fascista caratterizzato da elementi prevalentemente
“spirituali” e non biologici.
Tre anni più tardi, nella sua ampia indagine dedicata alle origini del nazi-
smo europeo, sarebbe stato il maestro di Ledeen, George Mosse, a dedicare
alcune pagine – assai poche in verità – all’esperienza antisemita del fascismo,
proponendo un’interpretazione che nel complesso risentiva ampiamente dei
canoni interpretativi sino ad allora dominanti: riguardo al caso italiano, Mos-
se parlava infatti di un « razzismo privo di basi teoriche », sostenendo come
«in Italia non esisteva una tradizione razzista antiebraica» e dunque il paese
aveva «protetto i suoi ebrei ovunque le sia stato possibile [...] Generali e fun-
zionari statali collaborarono per salvare dai nazisti quanti ebrei fosse loro
possibile»63. Sempre nel 1978 appariva il volume di Meir Michaelis64 che, alla
luce di inedita documentazione archivistica tedesca, britannica e israeliana,
arricchiva, ma non mutava, la tesi della piena autonomia decisionale del
fascismo nell’introduzione della legislazione antisemita. All’assenza di recen-
sioni dedicate al volume di Michaelis faceva eco un significativo intervento
di Arnaldo Momigliano comparso sul « Journal of Modern History »65 che, al
di là dell’apprezzamento mostrato nei confronti del lavoro dello storico israe-
liano, suggeriva di fare maggiore luce sulle motivazioni che avevano condot-
to Mussolini alla svolta antiebraica; in particolare, Momigliano proponeva
di sondare in dettaglio i rapporti e i conflitti, tanto politici quanto di natu-
ra personale, che il futuro duce ebbe con numerosi esponenti di origine ebrai-
ca della sinistra italiana di inizio secolo, quali Claudio Treves, Anna Kuliscioff
e Angelica Balabanoff. Un suggerimento, quello di Momigliano, che sareb-
be poi stato accolto in anni recenti.
Rispetto agli interventi della storiografia internazionale, apparivano se pos-
sibile ancor più rarefatte le ricerche italiane comparse in questi stessi anni: alla
meritoria iniziativa di pubblicare per la prima volta l’intero corpus delle leggi
antiebraiche66, si sarebbe sommata la volontà, ancora una volta espressa dalla
redazione de «Il Ponte», di dedicare un numero monografico alla persecuzio-
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riguardanti il nodo del consenso mostrato dalla società italiana alla campagna
antiebraica e razzista e del comportamento concreto mantenuto dalla popo-
lazione nei confronti dei perseguitati, si collocano anche le indagini che han-
no evidenziato il diretto coinvolgimento delle forze italiane nell’arresto, e nel-
la successiva deportazione, di migliaia di ebrei durante i mesi dell’occupazio-
ne nazista84. In qualche modo complementare è stata quindi l’emersione dei
comportamenti, tutt’altro che virtuosi, tenuti dalle forze di occupazione
fascista nei vari teatri di guerra85, che ha quindi condotto a rileggere anche
l’atteggiamento mostrato nei confronti degli ebrei perseguitati nelle zone di
occupazione italiana in Francia, Dalmazia, Albania e Grecia. Abbandonando
la contrapposizione stereotipata tra il “cattivo tedesco” e il “buon italiano”, la po-
litica tenuta dall’esercito italiano e dai suoi vertici è stata contestualizzata con
maggiore precisione all’interno del più ampio contenzioso che oppose italia-
ni e tedeschi86, evidenziando come « i conflitti di interesse con la Germania
ridussero gli ebrei a pedine di quella sorta di guerra interna all’Asse che si com-
batté nei territori occupati»87. Lontana da motivazioni unicamente umanita-
rie, l’azione dei militari italiani fu infatti dettata anche da pratiche considera-
zioni di interesse, da ragioni legate al mantenimento dell’ordine pubblico nei
territori sottoposti al loro controllo, assumendo spesso il volto di un’azione
diretta a difendere il prestigio e l’autonomia politico-militare italiana nei con-
fronti delle mal tollerate ingerenze naziste negli affari e nei territori reputati
di esclusiva competenza fascista.
Il tema della responsabilità del paese nella campagna antiebraica del regi-
me ha condotto a indirizzare una parte considerevole delle nuove ricerche an-
che sul ruolo giocato dalla Chiesa88, non solo nel momento contingente del-
l’emanazione della legislazione persecutoria del 1938 – sottolineando la man-
canza di una aperta e pubblica opposizione alla legislazione razziale fascista
(se si eccettua la querelle, gestita unicamente attraverso i canali diplomatici,
legata al divieto dei matrimoni misti imposto dalla normativa antisemita) –,
ma illuminando anche il peso avuto dalla pluricentenaria tradizione antigiu-
daica cattolica nella formazione, diffusione e sedimentazione delle stereotipa-
te immagini negative dell’ebreo. L’indagine sull’universo cattolico si è inoltre
spinta a esplorare anche i lunghi anni di silenzio successivi alla Seconda guer-
ra mondiale che hanno contraddistinto l’atteggiamento del mondo cattolico
italiano nei riguardi della Shoah, nonché la persistenza nei decenni postbelli-
ci sia di mentalità che di pratiche discorsive ancora largamente impregnate
degli antichi stereotipi89.
La riflessione sulle possibili matrici storico-culturali dell’antisemitismo fa-
scista, di cui la secolare tradizione cattolica deve essere considerata parte inte-
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tezza e non senza difficoltà e lacerazioni nel corso dei mesi e degli anni suc-
cessivi. La scelta di una prospettiva che non si fermi al 1945 ha significato an-
che allontanare ulteriormente l’abitudine interpretativa per cui la persecuzio-
ne degli ebrei – al pari del fascismo che l’aveva generata – abbia rappresenta-
to una sorta di parentesi nella storia d’Italia, a fronte della quale la
cancellazione della normativa antisemita può essere considerata condizione ne-
cessaria e sufficiente per una sua definitiva “archiviazione”. Spingere le inda-
gini oltre la conclusione del secondo conflitto mondiale ha significato anche
capire se un certo linguaggio, ovvero quell’insieme di codici retorici e di cate-
gorie identitarie introdotte dal fascismo riguardo alla “questione ebraica”, fos-
se stato metabolizzato dalla società italiana nel suo complesso e si potesse an-
cora ritrovare nel secondo dopoguerra.
Il risveglio mostrato dalla storiografia italiana nel corso dell’ultimo ven-
tennio non ha ad oggi prodotto un equivalente rinnovamento di interesse da
parte della storiografia internazionale. Sebbene il panorama mostri negli ulti-
mi anni significativi segnali di una inversione di tendenza107, l’antisemitismo
fascista, le sue origini, le sue caratteristiche e le sue conseguenze stentano an-
cora a trovare adeguata udienza presso la storiografia internazionale, che ri-
mane per lo più ancorata all’immagine di un fascismo blando persecutore de-
gli ebrei e di un antisemitismo di fatto privo di basi teoriche. Banali ma con-
crete ragioni pratiche, quali la scarsa propensione degli storici italiani a
esportare e proporre le proprie ricerche in lingua inglese, hanno inevitabil-
mente delimitato e ristretto la fruizione dei nuovi studi al solo panorama na-
zionale, impedendo la circolazione delle nuove acquisizioni all’interno di un
più ampio e fruttuoso confronto internazionale108. Non stupisce dunque che
in un recente e autorevole repertorio internazionale quale The Columbia Guide
to the Holocaust 109 l’Italia risulti ancora assente sia nella bibliografia, sia nelle
appendici informative sulle istituzioni e gli apparati della ricerca.
Note al saggio
1Riprendo l’espressione da Alberto Cavaglion, L’Italia della razza s’è desta, in « Belfagor », anno
LVII, 2002, n. 1, p. 40.
2 Sull’assenza di antisemitismo in Italia hanno a lungo pesato le riflessioni proposte da Antonio
Gramsci, che discendevano dal giudizio dato dal filosofo sui modi e i tempi in cui si era svolto in
Italia, a partire dall’epoca risorgimentale, il processo di integrazione della minoranza ebraica; cfr.
Quaderni dal carcere, Einaudi, Torino 1975, pp. 1801-1802. Seppure abbia avuto un’eco minore sul-
la produzione storiografica relativa ai temi ebraici, va ricordata anche la posizione di Benedetto Cro-
ce, che aveva sottolineato l’assenza nell’Italia liberale di «quella stoltezza che si chiama antisemiti-
smo »; cfr. Storia d’Italia dal 1871 al 1915, Laterza, Roma-Bari 1947 [ed. or. 1928], p. 88. Claudio
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Pavone ha inoltre sottolineato che anche gli ambienti resistenziali risultarono nel complesso estra-
nei a una riflessione sull’antisemitismo fascista, le sue origini e conseguenze (cfr. Claudio Pavone,
Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità della Resistenza, Bollati Boringhieri, Torino 1991, p. 561)
così come l’intero arco delle forze politiche e culturali dell’antifascismo si conformò nel dopoguerra
all’interpretazione della politica antiebraica del regime descritta non solo come ispirata al modello
tedesco, ma imposta dalla Germania nazista e contraria a tutta la tradizione nazionale e ai senti-
menti del popolo italiano; cfr. Filippo Focardi, Alle origini della grande rimozione. La questione del-
l’antisemitismo fascista nell’Italia dell’immediato dopoguerra, in Horizonte. Italianistische Zeitschrift
für Kulturwissenschaft und Gegenwartsliteratur, Tübingen 1999, p. 141 e pp. 156-159.
3 Significative in tale senso le parole di Delio Cantimori, scritte nella Prefazione alla prima edizione
della defeliciana Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo. Cantimori parlava degli ostacoli sorti
nella ricerca riguardante la politica antisemita del fascismo specie per coloro che «apparten[evano]
a certe generazioni» per le quali pesava «il senso della vergogna e il rimorso personale e umano,
ma anche civile e nazionale ». Cfr. Renzo De Felice, Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo,
Einaudi, Torino 1961, Prefazione, p. xiii. Sul percorso politico-intellettuale di Cantimori e la sua
iniziale fascinazione verso la Germania nazista, cfr. Roberto Pertici, Mazzinianesimo, fascismo, co-
munismo: l’itinerario politico di Delio Cantimori (1919-1943), in « Storia della Storiografia », 1997,
n. 31.
4 Sulla formazione e i caratteri della memoria ebraica negli anni successivi al conflitto, e sul ruolo
svolto in tal senso dall’Unione delle Comunità Israelitiche Italiane, cfr. Guri Schwarz, Ritrovare se
stessi. Gli ebrei nell’Italia postfascista, Roma, Laterza 2004, p. 111-172.
5
Cfr. Michele Sarfatti, Il volume “1938 Le leggi contro gli ebrei” e alcune considerazioni sulla normati-
ve persecutoria, in AA.VV., La legislazione antiebraica in Italia e in Europa, Atti del Convegno nel
cinquantenario delle leggi razziali (Roma 17-18 ottobre 1988), Camera dei Deputati, Roma 1989, p. 54.
6 Già nel 1939 era comparso un primo intervento, più cronachistico che storico, ma preciso e ar-
ticolato, che descriveva i principali attori della campagna antisemita del regime, ripercorrendone
l’attività sin dai primi anni del fascismo e implicitamente proponendo la tesi del carattere antise-
mita del regime dai suoi esordi. Cfr. Joshua Starr, Italy’s Antisemites, in « Jewish Social Studies »,
anno I, 1939, n. 1, pp. 105-125.
7 Cecil Roth, The History of the Jews in Italy, Jewish Publication Society of America, Philadelphia
razzista e antisemita tedesca (ed europea) che da Hegel o Herder giungessero sino a Rosenberg e
Hitler.
39
De Felice, Storia degli ebrei italiani cit., Introduzione, p. xxxvi. E ancora: « [Quanto al razzi-
smo] tanto la psicologia popolare quanto la cultura (neppure quella media e più provinciale) non
hanno mai veramente conosciuto in Italia l’eccitamento razziale ed il razzismo» (ivi, p. 31).
40
Ivi, p. 389 e p. 442-443.
41 Ivi, p. 394.
42 Ivi, p. 31.
43
Ivi, p. 393.
44
Si tratta di un intervento Antisemitismo italiano oggi, apparso in due puntate sul «Nuovo Osser-
vatore» il 25 novembre e il 10 dicembre 1961. Sul contenuto e sul contesto dal quale tali interventi
si erano originati cfr. Paolo Simoncelli, Renzo De Felice. La formazione intellettuale, Le Lettere,
Firenze 2001, pp. 264-272.
45 Sui riflessi del processo Eichmann nella produzione saggistica italiana cfr. Guido Valabrega, Echi
del processo Eichmann nella pubblicistica italiana che segnalava l’uscita in Italia, tra il 1960 e il 1961,
di cinque volumi, tutte traduzioni, dedicate alla figura di Eichmann, tra cui Dossier Eichmann,
con prefazione di Léon Poliakov, Editori Riuniti, Roma 1961. Si veda «Il Movimento di Liberazione
in Italia», 12, 1961, pp. 65. Anche De Felice avrebbe dedicato al processo Eichmann due articoli
comparsi su «Il Nuovo Osservatore», 20 aprile 1961, p. 8 e 30 giugno 1961, pp. 8-9.
46 In «Studi storici», 1962, n. 4, p. 889-906.
47 Per le recensioni comparse sulla stampa quotidiana e periodica, cfr. Simoncelli, Renzo De Felice
cit., pp. 236-255.
48 De Felice, Storia degli ebrei italiani cit., p. 411, nota 3.
49
Lo scandalo proseguì sino a oltre il 1963 e la polemica innescata finì per determinare il cambio
di linea politica nel Partito radicale che si sarebbe orientato verso i socialisti di Nenni, vero moti-
vo per il quale si era alimentato, anche all’interno dello stesso Partito radicale, il caso Piccardi.
50
Per le recensioni comparse sulle riviste storiche, cfr. Simoncelli, Renzo De Felice cit., pp. 255-264.
51Non «sempre convincenti» apparivano inoltre a Vivanti le differenze proposte da De Felice per
distinguere il « razzismo biologico » propriamente nazista dal cosiddetto « razzismo spirituale »
fascista. In «Studi storici», 1962, n. 4, p. 901.
52
Ivi, p. 903.
53 A partire dall’edizione, ampliata e riveduta, del 1988, De Felice sostituì la prefazione di Canti-
mori che, pur complessivamente positiva, conteneva qualche elemento di critica, con una intro-
duzione scritta di suo pugno in cui insisteva particolarmente sulle differenze tra l’esperienza fasci-
sta e quella nazista, sostenendo a tal fine l’irrilevanza e la marginalità dell’antisemitismo nella vi-
cenda italiana. De Felice poneva in evidenza il fallimento degli sforzi profusi dal regime per dare
un «coscienza razziale» agli italiani: «Quanto al fascismo – scriveva lo storico – esso come non fu
razzista non fu nemmeno antisemita, nè quando sorse nè per numerosi anni [...] e anche quando
Mussolini lo volle tale, l’adesione anche se spesso rumorosa della maggioranza dei fascisti alla sua
svolta fu sopratutto dettata da conformismo e opportunismo» (cfr. De Felice, Storia degli ebrei ita-
liani cit., 1993, pp. ix-x). Si trattava di una rilettura sviluppata da De Felice nel corso di un tren-
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tennio e sfociata nel proposito di attenuare i caratteri totalitari del regime e di accentuare la distanza
tra fascismo e nazismo, per negare fra l’altro la possibilità di elaborare un concetto generale del fa-
scismo. Corrado Vivanti avrebbe espresso ancora le sue critiche in Nell’ombra dell’“Olocausto”, «Stu-
di storici», anno XXIX, 1988, n. 3, pp. 805-810. Il titolo dell’intervento di Vivanti faceva riferimento
a una discussa intervista concessa da De Felice e pubblicata sul «Corriere della Sera» il 27 dicem-
bre 1987, in cui lo studioso reatino aveva affermato che «il fascismo è al riparo dall’accusa di ge-
nocidio, è fuori dal cono d’ombra dell’olocausto».
54 Il primo Quaderno, uscito prima del volume defeliciano, apparve con il titolo Quaderno della
FGEI (Milano 1961) e raccoglieva gli atti di un convegno intitolato Gli ebrei durante il fascismo (To-
rino 23-24 aprile 1961). Gli ultimi due volumi uscirono invece con la titolatura Quaderni del CDEC
(Milano 1962-63). Ne sottolineava la novità e l’intento riformatore legato al dinamismo delle più
giovani generazioni dell’ebraismo italiano, la recensione firmata da Goffredo Fofi comparsa su «Il
Ponte» nel 1962 (pp. 95-97) e dedicata al primo dei Quaderni.
55Si segnalavano, tra gli altri, gli interventi di Guido Fubini dedicato al tema della riorganizzazio-
ne delle comunità ebraiche varata dal regime nel 1931 (Quaderno 3, pp. 97-112), nonché le prime
note sulle conseguenze economiche della persecuzione razziale (Quaderno 2, pp. 92-111).
56Raul Hilberg, The Destruction of the European Jews, Quadrangle, Chicago 1961. La prima edi-
zione italiana, a cura di Frediano Sessi, è stata pubblicata da Einaudi nel 1995.
57Cfr. «La Rassegna Mensile di Israel», anno XXIX, 1963, nn. 7-8, p. 189. La posizione di Lattes
– che univa alle critiche nei confronti del libro di Hilberg anche quelle destinate al testo di Han-
nah Arendt Eichmann in Jerusalem (New York 1963) – si concentrava unicamente sul problema
del collaborazionismo ebraico e sul ruolo attribuito dai due autori agli Judenraten.
58 Tra il 1960 e il 1964 si segnalava infatti l’uscita, in Italia e all’estero, dei seguenti lavori: Meir
Michaelis, The Attitude of the Fascist Regime to the Jews in Italy. Part One: up to the Enactment of
the Racial Laws (1938), in « Yad Vashem Studies », 1960, vol. IV, pp. 7-41; trad. it. ampliata: I rap-
porti italo-tedeschi e il problema degli ebrei in Italia (1922-38), in « Rivista di studi politici inter-
nazionali », aprile giugno 1961, vol. XXVIII, n. 2, pp. 238-282; Id., Gli ebrei italiani sotto il regi-
me fascista dalla marcia su Roma alla caduta del fascismo (1922-1945), in « La Rassegna Mensile di
Israel », maggio 1962, pp. 211-229; agosto 1962, pp. 350-465; gennaio-febbraio 1963, pp. 19-41; lu-
glio-agosto 1963, pp. 291-308; Daniel Carpi, The Catholic Church and Italian Jewry Under the
Fascists (To the Death of Pius XI), in « Yad Vashem Studies », 1960, vol. IV, pp. 43-56; Aroldo Be-
nini, Il contributo italiano alla storia del razzismo, in « Il Paradosso », 1960, 1, pp. 53-57; R. Mayer-
Grego, Persecuzioni e sacrifici degli Ebrei triestini, Trieste 1961; Galliano Fogar, Sotto l’occupazio-
ne nazista nelle provincie orientali, Del Bianco, Udine 1961; Andrea Devoto, Bibliografia dell’op-
pressione nazista fino al 1962, Firenze, Olschki 1964. Nell’ambito di un ciclo di conferenze su
fascismo e antifascismo tenuto a Milano nel 1961 si collocava l’intervento di Achille Ottolenghi,
La legislazione antisemita in Italia, in Fascismo e antifascismo (1918-1936). Lezioni e testimonianze,
vol. 1, Feltrinelli, Milano 1962, pp. 202-209. Anche Ottolenghi non mancava di sottolineare che
« il popolo italiano, questo grande e civile popolo, rifiutò decisamente l’antisemitismo e circondò
gli ebrei del calore della loro simpatia e del loro affetto » (p. 208). Sebbene maggiormente critico
nei confronti della posizione assunta dal Vaticano, si situava sulla medesima scia interpretativa
anche Attilio Milano, Storia degli ebrei in Italia, Einaudi, Torino 1963, in particolare pp. 391-409.
Inserito nel contesto di volumi dedicati all’antifascismo, anche l’intervento di Enzo Enriquez
Agnoletti, Il nazismo e le leggi razziali in Italia, in Luigi Arbizzani, Alberto Caltabiano (a c. di),
Storia dell’antifascismo italiano, vol. II, Editori Riuniti, Roma 1964, pp. 127-146. L’interpretazione
di Agnoletti, che sottolineava la durezza della legislazione e la sua puntuale applicazione, seguiva
comunque il canone interpretativo già proposto da Chabod e De Felice nel leggere la persecuzione
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razziale come momento di rottura del consenso al fascismo: « Si può dire che quello fu lo spar-
tiacque tra il passato e il futuro. Da allora il popolo italiano e il fascismo presero due direzioni
opposte ». Ivi, p. 1344.
59Si tratta dei volumi I miti dell’impero e della razza nell’Italia degli anni ’30 (Opere Nuove, Roma
1965) e Impero fascista, africani ed ebrei (Mursia, Milano 1968), che rappresentava un ampliamen-
to, non differente per le tesi sostenute, del primo volume. Preti confermava interpretazioni già con-
solidate quali l’estraneità del fascismo dall’ideologia antisemita e razziale (almeno sino alla guerra
d’Etiopia); l’atteggiamento di supporto svolto dalla Chiesa cattolica; l’indipendenza decisionale di
Mussolini; la blanda applicazione della legislazione. Anticipando riflessioni che sarebbero matura-
te solo in anni recenti, Preti sottolineava l’edesione ideologica e il ruolo propulsivo svolto dai GUF
e il generale coinvolgimento degli intellettuali; cfr. I miti dell’impero e della razza nell’Italia degli
anni ’30, pp. 88, 89 e 58.
60Cfr. Silva Gherardi Bon, La persecuzione antiebraica a Trieste (1938-1945), Del Bianco, Udine 1972
(un’edizione aggiornata e ampliata è poi apparsa per la Libreria Editrice Goriziana di Trieste nel
2000); Guido Valabrega, Il fascismo e gli ebrei: appunti per un consuntivo storiografico, in Sandro
Fontana (a c. di), Il fascismo e le autonomie locali, il Mulino, Bologna 1973; Ugo Caffaz, L’antise-
mitismo italiano sotto il fascismo, La Nuova Italia, Firenze 1975.
61 Michael Ledeen, The Evolution of Fascist Antisemitism, in «Jewish Social Studies», anno XXX-
al tema delle deportazioni degli ebrei italiani Miriam Novich, Documenti sulla deportazione degli
ebrei italiani, in «Movimento di Liberazione in Italia», 1957, n. 49; Giuliana Donati, Ebrei in Italia:
deportazione, Resistenza, CDEC-Giuntina, Firenze 1975 e vari interventi comparsi sui «Quaderni
del Centro Studi sulla deportazione e l’internamento», pubblicazioni curate a partire dal 1964 dalla
Associazione Nazionale Ex Internati.
69
In «Studi storici», 1988, n. 4, pp. 789-790.
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70 Risultato di un convegno tenutosi presso la Camera dei Deputati è stato il volume La legi-
slazione antiebraica in Italia e in Europa cit. Patrocinato dal Senato della Repubblica, e con la
prefazione dell’allora presidente del Senato Giovanni Spadolini, era il volume curato da Mario
Toscano L’abrogazione delle leggi razziali in Italia, 1943-1987 reintegrazione dei diritti dei cittadi-
ni e ritorno ai valori del Risorgimento, Senato della Repubblica, Roma 1988. Si vedano inoltre le
riflessioni proposte da Roberto Finzi, Le leggi razziali cinquant’anni dopo, in « Passato e presen-
te », anno VI, 1988, n. 3, pp. 3-7 e da Nicola Tranfaglia, Sull’antisemitismo fascista, in Id., Labi-
rinto italiano. Il fascismo, l’antifascismo, gli storici, La Nuova Italia, Firenze 1989, pp. 77-85. Nel
1988 usciva inoltre un importante numero monografico della « Rassegna Mensile di Israel » (an-
no VIV, 1988, 54, nn. 1-2) curato da Michele Sarfatti e dedicato al 1938 e la raccolta di testi cu-
rata da Alberto Cavaglion, Gian Paolo Romagnani, Le interdizioni del duce. A cinquant’anni dal-
le leggi razziali in Italia, Meynier, Torino 1988 (nuova edizione ampliata e aggiornata Claudiana,
Torino 2002).
71Riflettono sulla nuova stagione storiografica inauguratasi nei tardi anni Ottanta, Guri Schwarz,
A proposito di una vivace stagione storiografica: letture dell’emancipazione ebraica negli ultimi vent’anni,
in « Memoria e Ricerca », maggio-agosto 1005, n. 19, pp. 159-174; Cavaglion, L’Italia della razza
cit. Prima della “svolta” del 1988, segnaliamo un intervento di Mario Toscano, Gli ebrei in Italia
dall’emancipazione alle persecuzioni, in «Storia Contemporanea», anno XVII, 1986, n. 5, pp. 905-954.
Peraltro, ancora nel 1986 il volume di Nicola Caracciolo (Gli ebrei e l’Italia durante la guerra 1940-
1945, Bonacci, Roma) tendeva a obliterare ogni responsabilità dell’Italia per le persecuzioni contro
gli ebrei, facendosi scudo della volontà distruttiva dei nazisti.
72
Le pubblicazioni italiane dedicate alla storia degli ebrei e dell’antisemitismo dal 1985 al 1990 co-
stituiscono infatti un terzo del totale delle opere edite sugli stessi temi dal 1955 al 1990. Cfr. Ma-
rio Toscano, Lineamenti sulla produzione storiografica su ebrei ed ebraismo nell’età contemporanea,
in La cultura ebraica nell’editoria italiana (1955-1990), numero speciale di «Quaderni di Libri e Ri-
viste d’Italia», 27, 1992, p. 59.
73 Da segnalarsi la traduzione, a oltre trent’anni di distanza dall’edizione originaria, del lavoro di
Raul Hilberg (La distruzione degli ebrei d’Europa, Einaudi, Torino 1995, 2 voll.), sebbene proprio
la breve sezione dedicata all’Italia (pp. 660-677) non risulti probabilmente tra le più riuscite del-
l’opera, riprendendo il luogo comune del carattere blando delle leggi razziali fasciste: «Le dispo-
sizioni contro l’impiego nelle funzioni pubbliche [...] rivestivano un significato assai più grave
di altri simili decreti adottati altrove; in effetti, in Italia, un numero comparativamente più alto di
Ebrei si guadagnava la vita al servizio dello Stato. È vero che le leggi italiane facevano proprie mol-
te eccezioni e che l’attuazione della legge nel suo insieme si produsse senza fretta e con una certa
mancanza di rigore» (ivi, p. 665); inoltre «il governo italiano omise di sfruttarli e spesso anche di
applicarli [i provvedimenti antiebraici] » (ivi, p. 660). In tal senso, rilevava Enzo Collotti nella
recensione dedicata alla traduzione dell’opera che «la responsabilità della sottovalutazione del raz-
zismo fascista [andava] riferita alla qualità relativamente modesta delle opere cui Hilberg [aveva
potuto] fare riferimento »; cfr. Enzo Collotti, La distruzione degli ebrei d’Europa, in « Passato e
presente», anno XV, 1997, n. 40, pp. 83-89.
74 Cfr. Norman Finkelstein, The Holocaust Industry: Reflections on the Exploitation of Jewish
Suffering, Verso, London-New York 2000 [trad. it. L’industria dell’Olocausto, Rizzoli, Milano 2002].
75
David Bidussa, Il mito del bravo italiano, il Saggiatore, Milano 1994, p. 75. Bidussa ha parlato a
questo proposito di un’analisi a lungo viziata « dall’assolutizzazione » del razzismo nella cultura
tedesca tra Ottocento e Novecento e poi del nazismo sia della « relativizzazione » del razzismo
italiano e del fascismo; ivi, p. 68.
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dern Italian Studies», anno IX, 2004, n. 3, pp. 280-299; Costantino Di Sante, Italiani senza ono-
re. I crimini in Jugoslavia e i processi negati (1941-1945), Ombre corte, Verona 2005; Eric Gobetti,
L’occupazione allegra: gli italiani in Jugoslavia, 1941-1943, Carocci, Roma 2007.
86 Davide Rodogno, Il nuovo ordine mediterraneo. Politiche di occupazione dell’Italia fascista in Eu-
ropa, Bollati Boringhieri, Torino 2002, p. 432 sgg. La contrapposizione netta tra comportamento
dei tedeschi e comportamento degli italiani nei confronti degli ebrei è stata riproposta recenemente
anche da Jonathan Steinberg, All Or Nothing. The Axis and the Holocaust 1941-43, Routledge, Lon-
don 1990 [trad. it. Tutto o niente: l’Asse e gli ebrei nei territori occupati, 1941-1943, Mursia, Milano
1997].
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87 Rodogno, Il nuovo ordine mediterraneo cit., p. 434. L’autore ha sottolineato sia la selettività del-
l’azione italiana – rivolta alla sola protezione degli ebrei con cittadinanza italiana – sia la politica dei
respingimenti attuata tanto in Dalmazia che nella Francia del sud, a danno degli ebrei che cercava-
no di trovare rifugio nelle zone di pertinenza italiana, respingimenti che, come i documenti attesta-
no, furono compiuti nella piena consapevolezza della sorte che avrebbe atteso gli ebrei respinti.
88
Giovanni Miccoli, Santa Sede e Chiesa italiana di fronte alle leggi antiebraiche del 1938, in «Stu-
di Storici», 1988, n. 4, pp. 821-902 e con una panoramica ben più ampia Id., Santa Sede, questio-
ne ebraica e antisemitismo fra Otto e Novecento, in Storia d’Italia. Annali 11: Gli ebrei in Italia, a c.
di Corrado Vivanti, t. 2, Einaudi, Torino 1997, pp. 1371-1574. Sulla figura e il ruolo di Pio XII nei
confronti della Shoah, fondamentale Id., I dilemmi e i silenzi di Pio XII, Rizzoli, Milano 2000.
89 Cfr. Elena Mazzini, Da cultura ammessa a retaggio discorsivo. L’antiebraismo e la “Civiltà Catto-
lica” nel primo quindicennio del secondo dopoguerra, in « Ventunesimo Secolo », anno VII, 2008,
n. 8, pp. 21-44 e il più ampio Ead., Terra Santa o Israele? Tradizioni antiebraiche nella cultura catto-
lica dell’Italia del secondo dopoguerra (1945-1974), Morcelliana, Brescia, in corso di pubblicazione.
90 Con accentuazioni difformi cfr. Carl Ipsen, Demografia totalitaria, il Mulino, Bologna 1997;
Giorgio Israel, Pietro Nastasi, Scienza e razza nell’Italia fascista, il Mulino, Bologna 1998; Roberto
Maiocchi, Scienza italiana e razzismo fascista, La Nuova Italia, Firenze 1999; Aaron Gillette, Racial
Theories in Fascist Italy, Routledge, London 2002; Anna Treves, Le nascite e la politica nell’Italia
del Novecento, Led, Milano 2001; Claudia Mantovani, Rigenerare la società. L’eugenetica in Italia
dalle origini ottocentesche agli anni Trenta, Rubbettino, Soveria Mannelli 2004; Francesco Cassata,
Molti, sani e forti. L’eugenetica in Italia, Bollati Boringhieri, Torino 2006.
91
Recenti sono le analisi relative ai risvolti giuridici e giurisprudenziali della legislazione antisemi-
ta, durante e dopo le persecuzioni (Ilaria Pavan, Gli incerti percorsi della reintegrazione. Note sugli
atteggiamenti della magistratura repubblicana 1945-1964, in Pavan, Schwarz, Gli ebrei in Italia cit.,
pp. 85-108) e le riflessioni riguardanti il ruolo avuto dal pensiero giuridico italiano in materia di raz-
za; cfr. Ernesto De Cristofaro, Codice della persecuzione: i giuristi e il razzismo nei regimi nazista e
fascista, Giappichelli, Torino 2009; Olindo De Napoli, La prova della razza. Cultura giuridica e raz-
zismo in Italia negli anni Trenta, Mondadori Education, Milano 2009; Ilaria Pavan, La cultura pe-
nale fascista e il dibattito sul razzismo (1928-1943), in «Ventunesimo Secolo», anno VII, 2008, n. 8,
pp. 45-79; Ead., Una premessa dimenticata del razzismo e dell’antisemitismo fascista. Il Codice pena-
le del 1930, in Marina Caffiero (a c. di), Le radici storiche dell’antisemitismo in Italia, Viella, Roma
2009, pp. 124-150.
92Riccardo Bonavita, L’image des juifs dans la littérature italienne du romanticisme au fascisme, in
Marie-Anne Matard-Bonucci (a c. di), Antisémites. L’image de juifs entre culture et politique (1848-
1939), Nouveau Monde, Paris 2005, pp. 363-371; Id., Grammatica e storia di un’alterità: stereotipi
antiebraici cristiani nella narrativa italiana 1827-1938, in Catherine Brice, Giovanni Miccoli (a c.
di), Les racines chrétiennes de l’antisémitisme politique (fin XIX-XX siècle), École Française de Rome,
Roma 2003, pp. 178-209.
93
Giorgio Fabre, Mussolini il razzista. Dal socialismo al fascismo: la formazione di un antisemita,
Rizzoli, Milano 2005.
94 Riflette sulla necessità di promuovere ricostruzioni a largo raggio dell’antisemitismo di sinistra
di inizio Novecento Francesco Germinario, Sul razzismo del primo Mussolini, in «Teoria politica»,
anno XXIII, 2006, n. 3, pp. 161-171.
95In particolare Fabio Levi, L’ebreo in oggetto. L’applicazione della normativa antiebraica a Torino
1938-43, Zamorani, Torino 1993; Federico Steinhaus, Ebrei/Juden. Gli ebrei dell’Alto Adige negli anni
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Trenta e Quaranta, Giuntina, Firenze 1994; Bon, Gli ebrei a Trieste cit.; Collotti, Razza e fascismo
cit.; Id., Ebrei in Toscana cit.
96 Si veda il capitolo Uomo nuovo di razza italiana, in Gabriele Turi, Lo stato educatore. Politica e
intellettuali nell’Italia fascista, Laterza, Roma-Bari 2002, pp. 121-146; Giorgio Fabre, L’elenco. Cen-
sura, editoria e autori ebrei, Zamorani, Torino 1998; Annalisa Capristo, L’espulsione degli ebrei dal-
le accademie italiane, Zamorani, Torino 2002; Roberto Finzi, La cultura italiana e le leggi antie-
braiche, in «Studi Storici», 2009, n. 2, pp. 895-929; Ilaria Pavan, Ebrei, università e persecuzione in
Francesca Pelini, Ilaria Pavan, La doppia epurazione. L’università di Pisa e le leggi razziali tra guer-
ra e dopoguerra, il Mulino, Bologna 2009, pp. 203-258.
97 Fabio Levi, Le case e le cose. La persecuzione degli ebrei torinesi nelle carte dell’EGELI (1938-45),
Compagnia di San Paolo, Torino 1998; Ilaria Pavan, Tra indifferenza e oblio. Le conseguenze econo-
miche delle leggi razziali in Italia (1938-1970), Le Monnier, Firenze 2004; Rapporto generale della
Commissione per la ricostruzione delle vicende che hanno caratterizzato in Italia le attività di acqui-
sizione dei beni dei cittadini ebrei da parte di organismi pubblici e privati, Presidenza del Consiglio
dei Ministri, Dipartimento per l’informazione e l’editoria, Roma 2001. Il Rapporto è interamente
consultabile sul sito http://www.governo.it/Presidenza/DICA/beni_ebraici/.
98 Cfr. Daniela Adorni, Modi e luoghi della persecuzione (1938-1943), in Levi, L’ebreo in oggetto cit.,
pp. 102-103.
99Michele Sarfatti, Mussolini contro gli ebrei. Cronaca dell’elaborazione delle leggi del 1938, Zamo-
rani, Torino 1994 e soprattutto il più ampio Id., Gli ebrei nell’Italia fascista cit.
100 Per un confronto testuale tra le due legislazioni, cfr. Valerio Di Porto, Le leggi della vergogna.
106 In particolare Toscano, L’abrogazione delle leggi razziali cit.; Michele Sarfatti (a c. di), Il ritorno
alla vita, Giuntina, Firenze 1998; Pavan, Schwarz, Gli ebrei in Italia cit.; Schwarz, Ritrovare se stes-
si cit.; Pavan, Tra indifferenza e oblio cit.; Daniella Gagliani (a c. di), Il difficile rientro. Il ritorno
dei docenti ebrei nell’università del dopoguerra, Clueb, Bologna 2004; Giovanna D’Amico, Quando
l’eccezione diventa norma. La reintegrazione degli ebrei nell’Italia postfascista, Bollati Boringhieri,
Torino 2005.
107Susan Zuccotti, The Italians and the Holocaust, Basic Books, New York 1988 [trad. it. L’Olocausto
in Italia, Mondadori, Milano 1988]; Ead., Under His Very Windows: the Vatican and the Holocaust
in Italy, Yale University Press, New Haven CT 2000; Robert S. Wistrich, Sergio Della Pergola (a
c. di), Fascist Antisemitism and the Italian Jews, The Vidal Sassoon International Center for the
Study of Antisemitism, Jerusalem 1995; Gillette, Racial Theories in Fascist Italy cit.; Stefano Luco-
ni, Recent trends in the study of Italian antisemitism under the Fascist regime, in «Patterns of Preju-
dice», 2004, vol. 38, n. 1; Franklin Hugh Adler, Why Mussolini turned on the Jews, in «Patterns of
Prejudice », 2005, vol. 39, n. 3, pp. 285-300; Id., Jew as Bourgeois, Jew as Enemy, Jew as Victim of
Fascism, in «Modern Judaism», ottobre 2008, vol. 28, n. 3, pp. 306-326; Joshua D. Zimmerman
(a c. di), The Jews of Italy under Fascist and Nazi Rule 1922-1945, Cambridge University Press, Cam-
bridge-New York 2005; Marie-Anne Matard-Bonucci, L’Italie fasciste et la persécution des juifs, Per-
rin, Paris 2007 [trad. it. L’Italia fascista e la persecuzione degli ebrei, il Mulino, Bologna 2008]. Si
segnalano inoltre le traduzioni in inglese del testo di De Felice (The Jews in Fascist Italy: a History,
Enigma Books, New York 2001) e di Sarfatti (The Jews in Mussolini’s Italy: from Equality to Perse-
cution, The University of Wisconsin Press, Madison 2006).
108Ancora nel 2004, Alberto Cavaglion, nella Nota all’edizione italiana del Dizionario dell’Olocau-
sto, curata dallo stesso Cavaglion, accennava alla sottovalutazione da parte della storiografia an-
glosassone del significato e della portata della persecuzione antisemita italiana; in Walter Lacqueur
(a c. di), Dizionario dell’Olocausto, Einaudi, Torino 2004, p. xx.
109
Donald Niewyk, Francis Nicosia (a c. di), The Columbia Guide to the Holocaust, Columbia Uni-
versity Press, New York 2000.