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Ilaria Pavan
Gli storici e la Shoah in Italia

Un’indagine che voglia ripercorrere il dibattito sviluppatosi nel secondo do-


poguerra in seno alla comunità degli storici in merito alla persecuzione antie-
braica fascista non può che partire dalla constatazione, sintetica quanto effi-
cace, che «prima del 1988 il 1938 [era] una specie di metafisico vuoto»1.
Il tema della concreta applicazione del corpus legislativo antisemita e del-
le sue conseguenze materiali e culturali sulla comunità ebraica nazionale, co-
sì come il nodo stesso dell’antisemitismo fascista, delle sue origini e caratte-
ristiche, della sua funzione ideologico-politica all’interno del regime, è infat-
ti diventato soltanto nel corso dell’ultimo ventennio un oggetto storiografico
degno di reale attenzione. Sino alla svolta, simbolicamente contrassegnata nel
1988 dalle celebrazioni del cinquantesimo anniversario dalla promulgazione
della legislazione antiebraica, il paradigma interpretativo largamente domi-
nante ha considerato l’antisemitismo fascista alla stregua di un virus inocu-
lato nel paese dall’esterno, una conseguenza cronologica e politica dell’al-
leanza con la Germania hitleriana, a paragone con la quale l’impianto perse-
cutorio ideato dal regime mussoliniano si configurava come una mera
imitazione, una copia, sbiadita, di quello nazista. Da tale assunto iniziale
– dichiarato, ma di fatto non realmente argomentato o dimostrato – discende-
vano alcuni rassicuranti corollari quali la lontananza e la piena estraneità del
paese, della sua cultura e della sua storia al germe dell’antisemitismo e del raz-
zismo, nonché, come riflesso, l’idea di una legislazione antisemita più blan-
da e applicata senza convinzione da una burocrazia fascista per antonomasia
inefficiente e lassista. In una visione retrospettiva segnata a lungo dall’assen-
za di studi sul decisivo nodo del consenso al regime, si era inoltre interpretato
il 1938 come momento di svolta che aveva rappresentato per la maggioranza
della popolazione italiana la definitiva presa di coscienza, l’inizio di un di-
stacco dalla politica del fascismo, di rifiuto della sua ideologia. Da ciò deri-

In figura: i resti del campo di concentramento di Fossoli, a Modena, dove vennero internati
molti ebrei italiani, prima di essere trasportati nei campi di sterminio nazisti in Germania.
Fossoli, 2008. Fotografia di Martino Lombezzi, Contrasto.
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vava – così ancora si sosteneva – la diffusa e tangibile solidarietà mostrata dal-


la società italiana nei confronti degli ebrei perseguitati.
Una tale lettura, di fatto condivisa nel dopoguerra da tutti i settori della sto-
riografia e della cultura italiana, cattolica, liberale e marxista2, era stata condi-
zionata e insieme facilitata dall’assenza di approfondite ricerche specifiche sul
tema, se si eccettua il volume di Renzo De Felice comparso nel 1961. Si trattava
di un quadro interpretativo frutto del sovrapporsi di motivazioni differenti, le-
gate allo strutturarsi del clima politico e culturale dell’Italia postbellica e di cui
gli studi storici erano parte integrante. Certamente, nell’interpretazione della
campagna antisemita, e nella mancata percezione di una sua specificità, pesò una
più complessiva interpretazione del fascismo, considerato come una tragica de-
viazione dalla storia nazionale. La metafora del Ventennio come parentesi, o co-
me malattia, grave quanto temporanea, permetteva di negare l’appartenenza del
regime alla “reale” cultura del paese: affermare che il fascismo era stato un tra-
dimento della storia nazionale consentiva infatti, di riflesso, di considerare anche
l’antisemitismo di regime come uno dei più eclatanti pervertimenti della tradi-
zione italiana operati da Mussolini e da pochi fanatici accoliti. Se una tale let-
tura autorizzava a rinviare sine die i conti con il recente passato allontanandolo
come ingombrante fardello da dismettere velocemente – o da leggere solo alla lu-
ce della palingenetica esperienza resistenziale –, la rimozione della campagna an-
tiebraica si legava in Italia anche al diretto coinvolgimento dell’accademia e, più
in generale, al ruolo giocato da numerosi intellettuali nella stagione antisemita
che rendeva difficile, se non impossibile, che nell’immediato dopoguerra quelle
stesse figure, molte delle quali ancora presenti e attive nel panorama nazionale,
potessero essere voce di una obiettiva volontà di analisi di un recente scomodo
passato di cui erano spesso stati – pur con con modi e accentuazioni molto dif-
ferenti da caso a caso – protagonisti3.
Sebbene mossa da ragioni di diversa natura, anche la stessa copiosa me-
morialistica ebraica, così come la linea seguita dalla dirigenza dell’ebraismo ita-
liano nell’interpretare gli anni della persecuzione, avrebbero contribuito nel
dopoguerra a plasmare e avvallare il rassicurante canone interpretativo di un
paese estraneo, quasi antropologicamente, all’antisemitismo, e anzi ampia-
mente solidale con le vittime4. In particolare, il confronto, oggettivamente stri-
dente, tra il tragico periodo della «persecuzione delle vite» durante i mesi di
occupazione tedesca e il quinquennio precedente finiva spesso – comprensi-
bilmente – per offuscare anche nelle memorie degli ex perseguitati la rievoca-
zione dei torti subiti tra il 1938 e il 1943, favorendo il diffondersi di una visio-
ne riduzionistica di quanto sofferto in quei primi anni di persecuzione, uni-
camente fascisti e italiani.
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Infine, anche in Italia il ricordo e l’interpretazione della campagna antie-


braica fascista furono certamente condizionati dall’enfasi, peraltro legittima,
che con il processo di Norimberga fu assegnata alle sole colpe naziste, circo-
stanza che per lungo tempo contribuì a diluire, se non a oscurare completa-
mente, le responsabilità di altri regimi e di altri popoli riguardo alle persecu-
zioni antisemite. L’enormità del genocidio perpetrato dal regime hitleriano ha
infatti spesso condotto nel dopoguerra a elevare l’antisemitismo nazista e il suo
approdo sterminazionista ad astratto modello di riferimento, in relazione al
quale interpretare, misurare – ma da ultimo, gerarchizzare – le esperienze sto-
riche diverse da quella tedesca. Così «Auschwitz ha finito per uccidere, insie-
me agli ebrei, anche la memoria delle altre tappe cronologiche e geografiche
delle loro persecuzioni»5.
Seguendone cronologicamente il percorso, nelle pagine che seguono si
illustreranno le tappe che la storiografia – prevalentemente italiana, ma non
soltanto – ha percorso dall’immediato secondo dopoguerra, cercando di illu-
minare le molteplici ragioni che, dopo un protratto silenzio degli storici sul-
l’argomento, sono state alla base del risveglio di interesse emerso negli anni
recenti.

A partire dal 1945, e per quasi un decennio, le sole pagine dedicate alla tra-
gedia vissuta dall’ebraismo italiano dopo il 1938 portavano la firma di storici
stranieri6. Nel 1946, era il britannico Cecil Roth, a dedicare la conclusione
del suo volume The History of the Jews in Italy 7 alla storia della mino-
ranza sotto il fascismo (Downfall), al periodo dell’emanazione delle leggi
persecutorie (Betrayal) e ai mesi dell’occupazione nazista (The Catastrophe).
Se l’autore forniva una prima, e relativamente dettagliata, ricostruzione del-
la normativa antisemita e dei suoi drammatici effetti, spingendosi sino al-
l’affermazione che in taluni ambiti la legislazione fascista fosse stata, rispet-
to a quella nazista, « anche più severa »8, nel complesso la svolta antisemita
del fascismo era unicamente interpretata come diretta conseguenza dell’al-
leanza con la Germania. Commettendo alcuni errori fattuali nel leggere
gli eventi successivi al 25 luglio 19439, il peso della politica antiebraica nei
mesi dell’occupazione nazista cadeva interamente sulle spalle del governo
hitleriano. Coadiuvato dall’aiuto fornitogli dallo storico italiano Gino Luz-
zatto – come Roth ebbe modo di dichiarare anni più tardi10 – lo studioso
oxoniano avrebbe inoltre sottolineato « la solidarietà della gran parte della
popolazione italiana » verso i perseguitati, così come « l’aiuto fattivo della
Chiesa italiana [che] fece tutto il possibile per attenuare il colpo e per aiu-
tare i bisognosi »11, giungendo a concludere che « quindici anni di fascismo,
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cinque anni dell’alleanza con la Germania, i tre anni di indottrinamento


razziale non furono sufficienti a distruggere l’innata gentilezza e virtù del
carattere degli italiani »12. Rimuovendo un intero quinquennio di persecu-
zione, del resto, lo stesso Gino Luzzatto, nella nota di commento inviata al
collega al momento della stesura del testo, aveva sostenuto che « la persecu-
zione contro gli ebrei italiani si inizia dal 12 settembre [1943] con l’arrivo della
Gestapo e delle S.S.» e che gli ebrei italiani si erano salvati « mercè l’aiuto
della Chiesa e della popolazione civile, sia delle città che delle campagne, che
si prodigarono in mille modi per salvare quei disgraziati, e fra i quali – per
fortuna – fu del tutto insignificante il numero di delatori »13. Il volume di
Roth, peraltro mai tradotto dall’inglese, pur non ricevendo attenzione da
parte degli storici in Italia14, certamente contribuì a diffondere all’estero
un’immagine edulcorata del coinvolgimento degli italiani nelle persecuzio-
ni antiebraiche.
È opportuno segnalare che all’indomani della conclusione del conflitto, e
nel delicato snodo delle trattative relative alla stesura dei trattati di pace di Pa-
rigi, non erano mancati gli sforzi della politica e della diplomazia italiana per
costruire un’autorappresentazione, fortemente autoassolutoria, delle respon-
sabilità avute dal paese durante i sette anni della persecuzione razziale e per
far emergere l’atteggiamento tenuto dalle forze di occupazione fasciste, specie
in Jugoslavia e nella Francia meridionale: il comportamento tenuto dall’eser-
cito italiano nei confronti degli ebrei, se paragonato a quello tenuto dagli omo-
loghi tedeschi, poteva infatti costituire in quel frangente un’utile carta da spen-
dere per accreditare politicamente il paese sul piano internazionale15. La con-
dotta compartecipe dell’Italia nella persecuzione antiebraica venne così
velocemente ridimensionata a favore della sua immagine di vittima, al cui in-
terno gli italiani avevano rivestito, per lo più, il ruolo di salvatori degli ebrei.
Un compito non dissimile nel veicolare all’estero l’immagine di un fasci-
smo benevolo nei confronti degli ebrei lo ebbero anche gli studi dello storico
franco-russo Léon Poliakov, che nell’ottobre di quello stesso 1946 pubblicò
la raccolta documentaria La condition des Juifs en France sous l’occupation
italienne 16. L’impostazione di Poliakov emergeva chiaramente da alcune sue
considerazioni di ordine generale:
Sembra che il contagio della propaganda razzista che attecchisce con maggiore
probabilità presso i popoli barbari, trovi un terreno ideale nei climi nordici. Il
popolo italiano, con la sua saggezza mediterranea, fu in gran parte assolutamen-
te ostile a queste tendenze. La sua reazione alla propaganda del “Tevere” e della
“Difesa della razza” fu il disprezzo o la protesta. Questo perché l’atteggiamento
italiano, malgrado le analogie apparenti o formali, era in realtà all’opposto di quel-
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lo tedesco. E fu in questo clima di opinioni che si mossero le autorità civili e mi-


litari italiane e tutti i gradi della macchina amministrativa.17

L’interpretazione di Poliakov, peraltro, andava letta anche alla luce della valenza
politica interna che l’autore intendeva darle: enfatizzare i meriti e le virtù de-
gli italiani permetteva infatti all’autore di evidenziare, polemicamente, il con-
troverso nodo del collaborazionismo francese. Nel 1951 anche Jacques Sabille
pubblicò sulla rivista del Centre de Documentation Juive Contemporaine due
brevi studi dall’analoga impostazione sulla «attitude des Italiens» verso gli ebrei
della Croazia e della Grecia occupate18. I lavori di Poliakov e Sabille, sensibil-
mente modificati nel testo, vennero successicamente ripubblicati in unico vo-
lume comparso nel 1956 in italiano con il titolo Gli ebrei sotto l’occupazione ita-
liana 19. La recensione dedicata al testo di Poliakov-Sabille sulle pagine della
rivista dell’Istituto Nazionale del Movimento di Liberazione in Italia faceva
proprie le conclusioni di fondo dei due autori, sostenendo come «dalla lettu-
ra di questa opera documentaria prende rilievo la profonda divergenza che se-
para lo spirito mediterraneo da quello teutonico»20. La posizione di Poliakov
in merito al positivo comportamento nei riguardi degli ebrei delle forze di oc-
cupazione italiane in Francia e Crozia sarebbe stato riproposta nel successivo,
e assai più noto lavoro, Il nazismo e lo sterminio degli ebrei 21 (1951), edito in
italiano nel 1955. Il volume, che ottenne in Italia un buon successo giornalisti-
co, di pubblico e di vendite, non ebbe invece grande eco tra gli storici, se si ec-
cettuano le brevi positive note dedicategli da Renzo De Felice e Piero Caleffi22.
Il medesimo accento sulla benevolenza delle forze di occupazione fasciste
nella Francia meridionale avrebbe trovato conferma anche nelle pagine del
volume di Gerald Reitlinger, The Final Solution, edito nel 1953, ma tradotto
in italiano nel 196223: « Soldati e funzionari italiani – avrebbe scritto lo stori-
co britannico a tal proposito – [misero] la loro duttile intelligenza al servi-
zio della ragione e della bontà »24, contribuendo a definire ulteriormente l’im-
magine di una presunta naturale e innata bonomia del soldato italiano – e
dell’italiano tout court – che per contrasto si opponeva alla barbarie del sol-
dato nazista.
Nel 1952, per volontà e diretto interessamento del suo direttore Piero Ca-
lamandrei, sarebbe stata la rivista «Il Ponte» a ospitare, la prima in Italia, una
serie di saggi dedicati alla persecuzione antisemita fascista, affidati alla penna
dello storico Antonio Spinosa. Già nel 1949 Calamandrei, in una lettera in-
viata a Carlo Galante Garrone, aveva espresso il desiderio di trovare «chi mi
faccia per “Il Ponte” una specie di inchiesta da pubblicarsi a una o più pun-
tate, sul razzismo in Italia [...] È storia che tutti stanno per dimenticare: e nes-
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suno ne parla più: si scordano nomi e cose»25. L’iniziativa di Calamandrei fu


assecondata dall’Unione delle Comunità Israelitiche Italiane (UCII), che vi
scorse l’opportunità da tempo attesa di giungere alla scrittura di un vero e pro-
prio libro sulla storia delle persecuzioni fasciste. L’UCII contribuì infatti al la-
voro di ricerca di Spinosa fornendogli articoli, documenti, nonché un impor-
tante testo già pubblicato in francese nel 1949 da Massimo Adolfo Vitale, un
colonnello dell’esercito in pensione, dal settembre 1944 direttore del Comita-
to Ricerche Deportati Ebrei e in questa veste appassionato raccoglitore di da-
ti e testimonianze26. Il testo di Vitale, pubblicato già in francese nel 1949 con
il titolo Les persécutions contre le juifs en Italie, servì a Spinosa come base, poi
ampliata, per i suoi interventi27. Il lavoro di sintesi condotto da Vitale si era
concentrato su due snodi fondamentali, quali il comportamento della Chiesa
e la reazione degli italiani alla campagna antisemita. Circa l’atteggiamento mo-
strato nei confronti dei perseguitati, sfidando il canone interpretativo già in
quel momento egemone, Vitale sottolineava:
l’insistenza del governo nella campagna di denigrazione, i vantaggi che quella
stessa campagna aveva portato a molti, le minacce rivolte a coloro che mo-
stravano della pietà nei confronti delle vittime non mancarono di dare buoni
frutti. Coloro che ebbero il coraggio di mostrare la loro disapprovazione per
le mostruosità che venivano commesse furono poco a poco sempre meno nu-
merosi.

E ancora, riguardo al comportamento tenuto dalla popolazione e dalle auto-


rità italiane durante i mesi di occupazione:
Dopo l’armistizio, i coraggiosi che sfidarono tutti i pericoli per salvare qualche
ebreo non mancarono, ma si trattò di un piccolo numero, mentre gli agenti di
polizia insieme ai Carabinieri, pressoché nella totalità dei casi eseguirono la loro
opera di delazione, di perquisizione, d’arresto e d’accompagnamento ai campi di
internamento e della morte.28

Nei quattro interventi apparsi tra il luglio del 1952 e il luglio 195329 – la serie
si interruppe inaspettatamente prima del quinto e ultimo articolo previsto, che
avrebbe dovuto trattare del biennio 1943-1945 –, Spinosa riprese il giudizio
critico già pronunciato da Vitale nei confronti dell’operato della Chiesa, men-
tre per quanto riguarda l’interpretazione generale dell’antisemitismo fascista gli
interventi pubblicati su « Il Ponte » riproducevano in sostanza il paradigma
interpretativo già dominante, tanto nella storiografia – per lo più straniera,
come si è detto – quanto nella memorialistica ebraica, che considerava l’anti-
semitismo come elemento alieno alla cultura e alla storia del paese, nonché
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tratto antropologicamente estraneo al carattere degli italiani. Non mutava,


inoltre, la tesi di un razzismo italiano risultato delle pressioni e dell’asservi-
mento politico alla Germania nazista.
Pochi anni più tardi, nel 1956, era il lavoro di sintesi sulla storia del fasci-
smo condotto da Luigi Salvatorelli e Giovanni Mira30 ad affrontare nuova-
mente l’argomento. Nell’analisi dei due storici si evidenziavano sia continuità
che significativi elementi di novità rispetto alle precedenti letture. Intravve-
dendone le premesse ideologiche sia nella politica demografica avviata dal re-
gime alla fine degli anni Venti – « Mussolini mirò a presentare il razzismo co-
me un completamento necessario dell’opera demografica, e per questa via ar-
rivò a lanciare l’antisemitismo » – sia nella conquista coloniale dell’Etiopia, i
due storici non consideravano l’avvio della campagna antisemita come uni-
ca e diretta conseguenza dell’alleanza con la Germania, scorgendovi elemen-
ti di autonomia da parte del regime: « Che cosa sia stato [ad] accelerare i tem-
pi di un cambiamento già in corso, non si saprebbe dire. Probabilmente nes-
sun fatto esterno, e cioè neanche una pressione di Berlino ». Leggendo nella
svolta del 1938 un processo di più lungo periodo – « Vi fu del resto, una pre-
parazione, il cui inizio risaliva a parecchio tempo addietro » – e riconoscen-
do che « una corrente antisemita esisteva in seno al fascismo », i due storici
concludevano affermando che la campagna antiebraica « non fu dunque, una
improvvisazione dell’ultima ora, ma un ulteriore logico sviluppo degli ele-
menti malefici contenuti nel movimento nazionalfascista e nella personalità
del duce e del fascismo »31.
Anche nell’interpretazione di Salvatorelli e Mira permaneva l’assoluzione
nei confronti della popolazione italiana e il giudizio circa l’inesistenza di un
antisemitismo per così dire endogeno:

Il popolo italiano aveva sempre ignorato – e continuava ad ignorare – un pro-


blema ebraico. Non già che ad esso fosse ignoto quel vago antisemitismo che si
traduceva in giudizi non benigni [...] o più spesso in motti scherzosi. Ma era estra-
nea qualsiasi avversione profonda e sistematica e soprattutto qualsiasi sensazione
di un pericolo ebraico per la consistenza della nazione.

Non mutava inoltre la convinzione di una generale, diffusa solidarietà mo-


strata dagli italiani nei confronti dei perseguitati:

Nella massa popolare si verificò la solita duplicità di atteggiamenti: conformi in


pubblico alla dottrina ufficiale, ispirati spesso, in pratica, a un certo buonsenso e
a senso di umanità [...] In questo caso, peraltro, la seconda tendenza si affermò
assai più forte e diffusa del solito, fin nelle alte sfere del mondo.32
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La produzione storiografica italiana dedicata alla persecuzione antisemita si


chiudeva dunque, al termine degli anni Cinquanta, con i soli interventi di Spi-
nosa e le pagine di Salvatorelli e Mira. Nel 1961, in un’opera non dedicata di-
rettamente all’argomento, L’Italia contemporanea (1918-1948) – il tema del-
l’antisemitismo fascista era oggetto soltanto di qualche veloce annotazione33 –,
anche uno dei decani della storiografia nazionale, Federico Chabod, avrebbe
innalzato il rifiuto della campagna antisemita, insieme alle preoccupazioni per
l’alleanza con il governo hitleriano, a causa determinante la definitiva crisi
di consenso al regime: di fronte alle persecuzioni razziali « l’opinione pub-
blica insorge [...] Così, da ogni parte, va precisandosi la frattura profonda tra
il popolo e il regime [...] Nel 1939 il consenso non esisteva ormai più»34. Il te-
sto, già circolato nell’originale edizione in francese edita nel 195035, per l’au-
torevolezza del suo autore avrebbe impresso ulteriore veridicità a un’inter-
pretazione che non potendosi fondare su accurate analisi – poiché non ve ne
erano – contribuiva comunque a consolidare un tale paradigma interpretativo.
Sarebbe peraltro stato proprio un allievo di Federico Chabod, Renzo De
Felice, a prendere in mano il testimone dando alle stampe nell’autunno del
1961 l’opera che per quasi tre decenni avrebbe rappresentato la sola dettaglia-
ta monografia dedicata dagli storici italiani alla persecuzione antisemita del
regime. La genesi dell’opera, oggi nota36, si legava strettamente alla volontà del-
l’élite dirigenziale dell’ebraismo italiano di vedere raccontata la vicenda delle
persecuzioni antiebraiche fasciste, volontà già espressa, come visto in prece-
denza, attraverso l’aiuto prestato ad Antonio Spinosa per gli interventi appar-
si su «Il Ponte». Dopo infruttuose trattative con altri studiosi, nella primave-
ra del 1960, fu infatti la stessa Unione delle Comunità Israelitiche a contatta-
re il giovane storico reatino – peraltro non estraneo a ricerche sul tema
dell’ebraismo italiano, già testimoniate da precedenti lavori37 – per affidargli
la stesura del testo. La Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo si configurava
dunque come un’opera su commissione. L’aiuto fattivo dell’UCII, che sup-
portò lo storico aprendogli liberamente i propri archivi e agevolandolo nel
reperimento di documenti e pubblicazioni, facilitò la stesura e condusse De
Felice in pochi mesi all’uscita del volume. L’importante prefazione di Delio
Cantimori costituiva inoltre un indubbio valore aggiunto, sia per il comples-
sivo plauso indirizzato al lavoro del giovane storico, sia per le garbate quanto
acute critiche che Cantimori muoveva e che rappresentavano altrettanti spunti
per approfondimenti e future ricerche38.
Nel contesto storiografico di quegli anni, povero di studi dedicati alla
campagna antisemita come di accurate indagini sul fascismo – in quella fase
ancora agli esordi –, le settecento dense e documentate pagine del volume de-
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feliciano offrivano indubbiamente un nuovo e decisivo elemento di cono-


scenza, risultato del meticoloso scavo archivistico compiuto. Se il lavoro con-
tribuiva a sfatare definitivamente il mito di un fascismo passivo imitatore del
nazismo e offriva un dettagliato quadro di sintesi, nonché numerosi spunti
per ulteriori scavi, De Felice riaffermava comunque una tesi largamente con-
divisa e consolidata, continuando a presentare il 1938 come momento del de-
finitivo divorzio tra il regime e gli italiani: con la persecuzione, il cui svolgi-
mento De Felice dichiarava essere stato « relativamente moderato », « il fasci-
smo divorziò pubblicamente dal popolo italiano »39. Peraltro, non mancavano
giudizi molto netti sull’adesione di alcuni settori della società italiana alla
campagna antisemita: « Che la cultura italiana, fascista o profascista, abbia
aderito su larghissima scala all’antisemitismo – sosteneva lo storico, antici-
pando filoni recenti di ricerca – non è un mistero per nessuno »40. Ugual-
mente anticipatore di futuri indirizzi di studi era il breve passaggio in cui De
Felice affermava che « per la maggioranza dei giovani fascisti [la svolta antie-
braica] non fu un elemento di rottura o di crisi e non furono pochi coloro
che la fecero sinceramente propria »41.
Se nei confronti dell’operato della Chiesa, e di Pio XII in particolare, De
Felice sospendeva il giudizio in assenza di documentazione accessibile (pur
accettando la tesi che la morale cattolica fosse stata nel complesso nettamente
antirazzista42), nella valutazione dell’ideologia razziale del fascismo De Felice
sottolineò l’apporto di quella corrente, riconducibile soprattutto a Giuseppe
Bottai, Giacomo Acerbo e, in parte, a Julius Evola, del cosiddetto razzismo
«spiritualista», non basato sul materialistico dato biologico e dunque chiara-
mente distinto e distinguibile da quello nazista:
Non vogliamo dire che la teoria “spiritualistica” fosse accettabile – scriveva De
Felice – essa aveva però almeno il pregio di non disconoscere del tutto certi
valori, di respingere le aberrazioni tedesche e alla tedesca e di cercare di man-
tenere il razzismo [...] sul terreno di una problematica culturale degna di que-
sto nome.43

Con questo giudizio lo storico contribuiva a inaugurare una vulgata storio-


grafica sino a oggi diffusa: il preteso razzismo spirituale fascista veniva letto
attraverso una sfumatura valutativa, in quanto definito in un certo senso più
rispettabile o meno “barbaro” rispetto all’ideologia biologica ritenuta caratte-
ristica delle dottrine nordiche razziste.
Nel 1961, la pubblicazione del volume defeliciano si collocava all’interno
di un contesto, nazionale e internazionale, che indirettamente aveva favorito
il riemergere di riflessioni e attenzioni al tema della persecuzione razziale. Nel-
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la primavera del 1960 il varo del governo Tambroni, con il decisivo apporto dei
voti del Movimento Sociale Italiano, e i drammatici fatti del luglio successi-
vo, insieme al manifestarsi di nuovi fermenti antisemiti nel paese – cui anche
lo stesso De Felice dedicò allora il suo commento44 – richiamarono l’attenzione
sulla presenza e sulla vitalità nel paese delle forze neofasciste, parlamentari ed
extraparlamentari, stimolando nuove considerazioni sul nodo fascismo-razzi-
smo-antisemitismo. Sul piano internazionale, invece, erano soprattuto gli echi
del processo Eichmann, svoltosi a Gerusalemme tra il marzo e il dicembre del
1961, a rendere nuovamente attuale anche in Italia la questione delle respon-
sabilità nei confronti della Shoah45.
Come scrisse in un’ampia nota critica Corrado Vivanti, il volume di De Fe-
lice ebbe allora una straordinaria «fortuna mondana»46, testimoniata dal buon
successo di vendite (la pubblicazione avvenne praticamente in coincidenza con
la conclusione del processo Eichmann a Gerusalemme, e ciò costituì un in-
dubbio traino editoriale) e un notevole riscontro su quotidiani e settimana-
li47, legato soprattutto allo scandalo politico suscitato dallo svelamento (rele-
gato in realtà da De Felice in una breve nota a fondo pagina48) dell’imbaraz-
zante passato razzista di Leopoldo Piccardi, allora tra i leader del Partito
radicale italiano49. Ma al di fuori delle accese polemiche politiche legate al “ca-
so Piccardi”, assai modesto fu il riscontro che il volume ebbe in termini di pro-
mozione di un dibattito storiografico sui temi trattati. Tra le recensioni acca-
demiche dedicate alle Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo – non molte in
verità e nella quasi totalità di autori riconducibili all’ebraismo italiano50 – spic-
cava in particolare il citato intervento di Corrado Vivanti, l’unico critico in
un quadro che fu al contrario di generale apprezzamento. Vivanti, pur non
disconoscendo affatto i molti meriti e il coraggio del lavoro, ne individuava
alcune mancanze, consistenti, a suo dire, nella deficitaria analisi del sionismo
italiano, valutato da De Felice solo in termini politico-istituzionali e non cul-
turali, ma, soprattutto, nel mancato inquadramento della campagna antie-
braica all’interno della politica complessiva del fascismo51. Vivanti inoltre sug-
geriva di estendere ulteriormente le ricerche attraverso un confronto fra l’at-
teggiamento tenuto dal regime verso gli ebrei e quello mostrato verso altre
minoranze etniche o religiose (slavi e valdesi in particolare), al fine di traccia-
re un quadro generale «dell’intolleranza fascista verso le minoranze allogene
dello Stato italiano»52. Ma nelle successive riedizioni dell’opera De Felice non
ne avrebbe modificato l’impianto generale né, soprattutto, le interpretazioni
di fondo, se non in direzione di un ulteriore irrigidimento. Se oggi molte del-
le tesi proposte nella Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo sono state mes-
se in discussione, se non apertamente confutate, quanto egli espresse nella pri-
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Gli storici e la Shoah in Italia 145

ma edizione del 1961 va comunque tenuto distinto da ciò che sostenne – o


per meglio dire continuò a sostenere – in anni recenti, soprattutto nelle nuo-
ve prefazioni e introduzioni aggiunte al volume a partire dal 1988, giacché pro-
prio il mutato contesto storiografico credo imponga di valutare in maniera
distinta l’opera originaria dalle sue successive riproposizioni53.
Accanto al lavoro di De Felice, sebbene in sordina rispetto al lavoro dello
studioso reatino, tra il 1961 e il 1963 uscirono anche i tre “Quaderni” curati dal-
lo storico Guido Valabrega, apparsi con il titolo di Gli ebrei in Italia durante
il fascismo. I volumi erano il risultato dello sforzo del Centro di Documenta-
zione Ebraica Contemporanea, costituitosi a Milano nel 1955 per iniziativa del-
la Federazione Giovanile Ebraica Italiana (FGEI)54. I Quaderni del CDEC, che
rappresentavano il tentativo delle più giovani e dinamiche forze dell’ebraismo
nazionale di farsi portavoce di un’esigenza di rinnovamento politico-cultura-
le all’interno della stessa minoranza, avevano il merito di affrontare aspetti si-
no a quel momento poco studiati della persecuzione, fornendo dunque nuo-
vi stimoli per future ricerche, non solo sulla storia delle persecuzioni, ma più
in generale sulla storia della minoranza ebraica in Italia55.
In un quadro di interesse, comunque circoscritto, nei confronti della cam-
pagna antiebraica fascista, colpiva la totale mancanza di attenzione che tra gli
storici italiani suscitò l’uscita, sempre nel corso del 1961, del monumentale la-
voro di ricerca di Raul Hilberg – che sarà tradotto in italiano oltre trent’anni
dopo – The Destruction of the European Jews 56, cui non venne dedicata allora
alcuna recensione, se si eccettua quella assai critica che sulla «Rassegna Men-
sile di Israel» gli rivolse Dante Lattes57.
Con l’uscita, nel 1963, dell’ultimo quaderno del CDEC si sarebbe dunque
conclusa una breve, seppur relativamente intensa stagione dedicata all’antise-
mitismo fascista, una stagione cui non sarebbe seguito un ulteriore dibattito,
né nuove approfondite ricerche sull’argomento58. Anche la pubblicazione, nel
1965 e nel 1968, dei lavori di un personaggio e uomo politico allora di primo
piano, come il socialdemocratico e più volte ministro della Repubblica Luigi
Preti, non avrebbe modificato sensibilmente lo scenario59. Nonostante gli echi
e le polemiche, giornalistiche più che storiche come si è detto, suscitate dal
volume di De Felice, il sipario sulla persecuzione antiebraica fascista sarebbe
infatti nuovamente calato.
Negli anni seguenti, gli interventi degli storici, italiani e stranieri, seppure
non assenti si fecero decisamente rapsodici e complessivamente isolati60, non
inseriti cioè all’interno di una più complessiva riflessione sul tema. Nel 1975
compariva un articolo, curiosamente mai citato dalla storiografia successiva,
firmato dallo storico statunitense Michael Ledeen61. La tesi di Ledeen – che,
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146 Storia della Shoah in Italia

ricordiamo, in quello stesso 1975 aveva curato con De Felice la celebre quan-
to contestata Intervista sul fascismo 62 – si collocava sulla scia delle più genera-
li acquisizioni defeliciane sulla natura del regime e considerava dunque l’an-
tisemitismo come l’ultimo degli sviluppi dell’ideologia fascista negli anni Tren-
ta, come parte integrante di quel progetto volto a plasmare il cosiddetto
«uomo nuovo fascista». Ledeen sottolineava inoltre il ruolo centrale svolto dal-
le convinzioni antisioniste di Mussolini nel plasmare i rapporti tra il dittato-
re e l’ebraismo, già a partire dalla fine degli anni Venti. Sulla scia delle inter-
pretazioni già proposte da De Felice, infine, anche lo storico statunitense con-
siderava l’antisemitismo fascista caratterizzato da elementi prevalentemente
“spirituali” e non biologici.
Tre anni più tardi, nella sua ampia indagine dedicata alle origini del nazi-
smo europeo, sarebbe stato il maestro di Ledeen, George Mosse, a dedicare
alcune pagine – assai poche in verità – all’esperienza antisemita del fascismo,
proponendo un’interpretazione che nel complesso risentiva ampiamente dei
canoni interpretativi sino ad allora dominanti: riguardo al caso italiano, Mos-
se parlava infatti di un « razzismo privo di basi teoriche », sostenendo come
«in Italia non esisteva una tradizione razzista antiebraica» e dunque il paese
aveva «protetto i suoi ebrei ovunque le sia stato possibile [...] Generali e fun-
zionari statali collaborarono per salvare dai nazisti quanti ebrei fosse loro
possibile»63. Sempre nel 1978 appariva il volume di Meir Michaelis64 che, alla
luce di inedita documentazione archivistica tedesca, britannica e israeliana,
arricchiva, ma non mutava, la tesi della piena autonomia decisionale del
fascismo nell’introduzione della legislazione antisemita. All’assenza di recen-
sioni dedicate al volume di Michaelis faceva eco un significativo intervento
di Arnaldo Momigliano comparso sul « Journal of Modern History »65 che, al
di là dell’apprezzamento mostrato nei confronti del lavoro dello storico israe-
liano, suggeriva di fare maggiore luce sulle motivazioni che avevano condot-
to Mussolini alla svolta antiebraica; in particolare, Momigliano proponeva
di sondare in dettaglio i rapporti e i conflitti, tanto politici quanto di natu-
ra personale, che il futuro duce ebbe con numerosi esponenti di origine ebrai-
ca della sinistra italiana di inizio secolo, quali Claudio Treves, Anna Kuliscioff
e Angelica Balabanoff. Un suggerimento, quello di Momigliano, che sareb-
be poi stato accolto in anni recenti.
Rispetto agli interventi della storiografia internazionale, apparivano se pos-
sibile ancor più rarefatte le ricerche italiane comparse in questi stessi anni: alla
meritoria iniziativa di pubblicare per la prima volta l’intero corpus delle leggi
antiebraiche66, si sarebbe sommata la volontà, ancora una volta espressa dalla
redazione de «Il Ponte», di dedicare un numero monografico alla persecuzio-
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Gli storici e la Shoah in Italia 147

ne in occasione del quarantesimo anniversario dalla promulgazione della le-


gislazione. Nel 1978 sarebbe apparso un numero monografico curato da Ugo
Caffaz e impreziosito dalla presenza di firme illustri, tra cui spiccava quella di
Cesare Cases, autore di un saggio, Cosa fai in giro?, capace come pochi inter-
venti erano stati sino ad allora di tratteggiare atmosfere e mentalità di una cer-
ta borghesia ebraica durante gli anni del fascismo67. Il quarto decennale dalla
proclamazione della legislazione antiebraica offriva anche l’occasione per
l’uscita di una prima sintetica ricostruzione d’insieme dedicata alla storia delle
deportazioni ebraiche nei mesi dell’occupazione nazista68, opera che peraltro
ebbe una scarsa risonanza sulle principali riviste storiche del periodo69.
Le numerose celebrazioni organizzate per ricordare i cinquant’anni dalla
promulgazione della legislazione antisemita fascista, patrocinate anche dalla
massime istituzioni dello Stato70, hanno invece costituito l’occasione e lo sti-
molo per riflettere con nuovi occhi sulla stagione antisemita e razziale del re-
gime, dando l’avvio a una intensa e vivace revisione di interpretazioni a lungo
sedimentate e consolidate, sebbene mai realmente argomentate e approfondi-
te con gli strumenti della ricerca storica71.
In Italia, il risveglio di attenzioni nei confronti della “questione ebraica”
– percepibile, in maniera tangibile attraverso l’aumento esponenziale tanto del-
le pubblicazioni italiane72 quanto delle traduzioni di opere straniere dedicate
al tema73 – appare come il risultato di un intreccio tra l’evolversi della pecu-
liare situazione interna e di dinamiche largamente sovra-nazionali. Da que-
st’ultimo punto di vista, è indubbio che a partire dagli anni Ottanta si sia as-
sistito, tanto negli Stati Uniti quanto in Europa, a un eccezionale crescendo
di interesse nei riguardi della Shoah, circostanza che si è quindi riverberata
anche in Italia, facendo da traino per un più generalizzato interesse nei con-
fronti degli studi ebraici. La rinnovata attenzione internazionale nei confron-
ti della Shoah (da alcune voci denunciata in quanto divenuta una sorta di ve-
ra e propria “merce” dell’industria culturale74) ha quindi progressivamente con-
dotto a indirizzare le indagini relative alla persecuzione antisemita verso i
diversi contesti nazionali, illuminandone le differenti e peculiari articolazio-
ni, liberando così le ricerche da quel «demone dell’analogia» che aveva spes-
so condotto negli anni precedenti a interpretare e valutare le esperienze diverse
da quella nazista unicamente alla luce dell’epocalità di Auschwitz75. Pur senza
voler suggerire una impropria e inutile gerarchia dell’antisemitismo, la nuova
corrente di studi, tanto italiana quanto europea, ha così riconosciuto che se
la Shoah era stata certamente tedesca (sebbene non solo tedesca), l’antisemi-
tismo era stato certamente europeo e degno di essere indagato nei suoi vari,
differenti, contesti.
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148 Storia della Shoah in Italia

Sullo sviluppo della storiografia italiana intorno al nodo fascismo-antise-


mitismo avrebbero indirettamente inciso anche gli echi del cosiddetto Histo-
rikerstreit, dibattito accesosi nella seconda metà degli anni Ottanta nella Ger-
mania federale sulle diverse interpretazioni e valutazioni del nazionalsociali-
smo e sulla questione della responsabilità morale e storica che esso aveva
assunto per i tedeschi. Ma soprattutto, sul piano internazionale, hanno con-
tribuito loro malgrado a mantenere accesi i riflettori sulla “questione ebraica”
anche i riflessi della violenza scatenata dal conflitto arabo-israeliano, ripercus-
sioni che hanno favorito l’emergere in Europa di quella che è stata definita una
« nouvelle judéophobie »76, legata non tanto, o non soltanto, alle matrici del
“tradizionale” razzismo otto-novecentesco, quanto all’immagine dello Stato di
Israele e degli ebrei tout court a esso semplicisticamente sovrapposti.
La percezione, anche all’interno della pur ristretta compagine dell’ebraismo
italiano, delle minacce legate alla «nuova giudeofobia» (grande era stata l’im-
pressione suscitata dall’attentato contro la sinagoga di Roma del 9 giugno 1982,
di cui era rimasto vittima un bambino di due anni), ha rappresentato un for-
te segnale d’allarme nel mondo ebraico nazionale77 e l’inizio di una riflessio-
ne che, favorita anche da un mutamento generazionale prodottosi all’interno
della stessa minoranza, ha spinto alcuni settori dell’ebraismo italiano a ricon-
siderare la propria condizione di minoranza e a rileggere criticamente le pre-
cedenti, per lo più ottimistiche, interpretazioni date sino ad allora alla stagio-
ne antisemita del paese. A fianco al riemergere di fermenti propriamente
antisemiti/antisionisti, non va inoltre trascurata la circostanza che i nuovi
indirizzi di ricerca si siano sviluppati proprio negli anni in cui in Italia si so-
no andati affacciando, e affermando, sul mercato politico nuovi movimenti
razzisti o xenofobi che hanno rivelato quanto autogiustificatoria e storicamente
inconsistente fosse la convinzione, riconducibile all’ideologia dell’“italiano bra-
va gente”, che gli italiani erano, ed erano sempre stati, un popolo immune da
atteggiamenti e culture razzistiche.
Il definitivo tramonto dell’ordine politico post-bellico scandito dai fatti del
1989 ha inoltre condotto, in Italia come in Europa, a una diversa e maggiore
sensibilità della storiografia di ispirazione marxista nei confronti della “que-
stione ebraica”, rimasta a lungo un capitolo minore, trascurabile quanto in-
gombrante, della più generale “questione borghese”. Per svariati decenni an-
che la storiografia italiana di sinistra ha infatti interpretato l’antisemitismo fa-
scista come uno tra i molti, nefasti, sottoprodotti dell’imperialismo del regime,
non rilevandone le peculiarità e non ammettendo che la “questione ebraica”
possedesse quelle caratteristiche di irriducibilità agli schemi del materialismo
storico. In tal senso, per la storia politica e personale e il carisma dell’autore,
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Gli storici e la Shoah in Italia 149

ha contribuito a orientare diversamente la riflessione italiana su questi temi an-


che un evento editoriale dal forte carattere simbolico, come l’autobiografia di
Vittorio Foa, apparsa nel 199178.
Elemento certamente non trascurabile nel risveglio di interesse nei con-
fronti dell’antisemitismo fascista è stato infine il mutamento, banalmente ge-
nerazionale, conosciuto nel corso degli anni Ottanta anche dal mondo della
cultura italiana – e dell’accademia in particolare –, un ricambio che ha final-
mente aperto alla ricerca storica un tema come quello della campagna antise-
mita del fascismo, soggetto che nel dopoguerra aveva costituito una sorta di
tabù storiografico, considerato il coinvolgimento diretto, seppure a differenti
livelli, di non pochi intellettuali durante quella imbarazzante stagione, e con-
siderato il coinvolgimento indiretto di molti allievi e discepoli di quegli stes-
si studiosi nei decenni postbellici79.
La ricchezza e la grande articolazione tematica che le ricerche sulla perse-
cuzione antisemita fascista hanno conosciuto in Italia nel corso degli ultimi
due decenni davvero non permettono di seguire e di citare in dettaglio le de-
cine di lavori apparsi80. Si è scelto pertanto di evidenziare le direttrici, le stra-
de principali lungo le quali è venuta maturando una mutata sensibilità sto-
riografica su questo tema. Peraltro, se esiste un tratto caratterizzante buona
parte della più recente produzione su questi temi, questo è probabilmente in-
dividuabile nello sforzo di leggere la storia della persecuzione antisemita – e
quella dell’ebraismo italiano di quegli anni – come parte di una vicenda che
non attiene soltanto al destino dell’esigua minoranza ebraica, ma rappresenta
un utile strumento, una lente attraverso cui è possibile indagare e compren-
dere alcuni snodi centrali della storia complessiva del paese.
La prima e più notevole tappa di un percorso di revisione, e in gran parte
di completo ribaltamento, di precedenti consolidati paradigmi interpretativi
è stata senza dubbio la messa in discussione del cosiddetto “mito del bravo
italiano”81. L’appannamento della consolatoria immagine di una società italia-
na ampiamente e apertamente solidale con i perseguitati, prima, durante e
dopo il conflitto, così come quella di un paese in generale immune, in ragio-
ne della sua storia e cultura, dal virus dell’antisemitismo ha portato i nuovi stu-
di a misurarsi, al contrario, sia con la diffusa indifferenza, per cinismo, inte-
resse o ignavia, che circondò allora la vita dei perseguitati sia con il carsico per-
sistere di radicati, atavici pregiudizi nei confronti degli ebrei. Così come è
emerso il successo della propaganda antiebraica e l’aperta adesione ideologica
alla campagna antisemita di spezzoni della società italiana – in primis, ma non
solo, il mondo della cultura e dell’accademia82, ma anche le giovani generazioni
incardinate nelle strutture di regime quali i GUF83. Sulla scia delle ricerche
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150 Storia della Shoah in Italia

riguardanti il nodo del consenso mostrato dalla società italiana alla campagna
antiebraica e razzista e del comportamento concreto mantenuto dalla popo-
lazione nei confronti dei perseguitati, si collocano anche le indagini che han-
no evidenziato il diretto coinvolgimento delle forze italiane nell’arresto, e nel-
la successiva deportazione, di migliaia di ebrei durante i mesi dell’occupazio-
ne nazista84. In qualche modo complementare è stata quindi l’emersione dei
comportamenti, tutt’altro che virtuosi, tenuti dalle forze di occupazione
fascista nei vari teatri di guerra85, che ha quindi condotto a rileggere anche
l’atteggiamento mostrato nei confronti degli ebrei perseguitati nelle zone di
occupazione italiana in Francia, Dalmazia, Albania e Grecia. Abbandonando
la contrapposizione stereotipata tra il “cattivo tedesco” e il “buon italiano”, la po-
litica tenuta dall’esercito italiano e dai suoi vertici è stata contestualizzata con
maggiore precisione all’interno del più ampio contenzioso che oppose italia-
ni e tedeschi86, evidenziando come « i conflitti di interesse con la Germania
ridussero gli ebrei a pedine di quella sorta di guerra interna all’Asse che si com-
batté nei territori occupati»87. Lontana da motivazioni unicamente umanita-
rie, l’azione dei militari italiani fu infatti dettata anche da pratiche considera-
zioni di interesse, da ragioni legate al mantenimento dell’ordine pubblico nei
territori sottoposti al loro controllo, assumendo spesso il volto di un’azione
diretta a difendere il prestigio e l’autonomia politico-militare italiana nei con-
fronti delle mal tollerate ingerenze naziste negli affari e nei territori reputati
di esclusiva competenza fascista.
Il tema della responsabilità del paese nella campagna antiebraica del regi-
me ha condotto a indirizzare una parte considerevole delle nuove ricerche an-
che sul ruolo giocato dalla Chiesa88, non solo nel momento contingente del-
l’emanazione della legislazione persecutoria del 1938 – sottolineando la man-
canza di una aperta e pubblica opposizione alla legislazione razziale fascista
(se si eccettua la querelle, gestita unicamente attraverso i canali diplomatici,
legata al divieto dei matrimoni misti imposto dalla normativa antisemita) –,
ma illuminando anche il peso avuto dalla pluricentenaria tradizione antigiu-
daica cattolica nella formazione, diffusione e sedimentazione delle stereotipa-
te immagini negative dell’ebreo. L’indagine sull’universo cattolico si è inoltre
spinta a esplorare anche i lunghi anni di silenzio successivi alla Seconda guer-
ra mondiale che hanno contraddistinto l’atteggiamento del mondo cattolico
italiano nei riguardi della Shoah, nonché la persistenza nei decenni postbelli-
ci sia di mentalità che di pratiche discorsive ancora largamente impregnate
degli antichi stereotipi89.
La riflessione sulle possibili matrici storico-culturali dell’antisemitismo fa-
scista, di cui la secolare tradizione cattolica deve essere considerata parte inte-
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Gli storici e la Shoah in Italia 151

grante, ha contribuito a sgombrare il campo dall’idea, a lungo suggerita, di una


campagna razziale apparsa all’improvviso nel 1938, senza preavvisi ideologici
o culturali di alcun genere. È stata così messa in luce con chiarezza l’articola-
ta presenza, già in anni precedenti la svolta ufficiale del regime, di un magma
ideologico favorevole a una visione razziale della comunità nazionale, specie
nel campo della demografia, dell’antropologia, delle scienze biologiche in ge-
nerale90 e del pensiero giuridico91, nonché la non irrilevante presenza di topoi
antisemiti tanto nella letteratura “alta” quanto in quella popolare92. Una sorta
di lievito, di terreno di coltura che secondo numerosi autori ha direttamente
e indirettamente consentito e condotto – seppure in modo non deterministi-
co o teleologico – verso la legislazione razziale del 1938. L’indagine sulle pre-
messe dell’antisemitismo fascista non ha potuto quindi esimersi dall’indagare
i convincimenti personali di Mussolini in materia di “razza” e di ebrei, an-
dando soprattutto a sondare l’atteggiamento maturato dal futuro duce sin da-
gli anni dei suoi esordi socialisti93. Pur non senza qualche forzatura nella let-
tura delle fonti utilizzate, tali studi hanno avuto il merito di porre in rilievo,
al di là dei singoli convincimenti del futuro duce, l’atteggiamento non estra-
neo da fermenti antisemiti di quelle correnti della sinistra italiana di inizio
Novecento – revisionisti rivoluzionari, soreliani, sindacalisti rivoluzionari –
cui guardava con interesse proprio il giovane Mussolini94.
Radicale è stato inoltre il rinnovamento che ha investito la precedente dif-
fusa convinzione di un antisemitismo fascista applicato, nella pratica, in mo-
do approssimativo, disordinato e senza convinzione da parte di un apparato
statale complessivamente disattento. Gli studi generali sull’applicazione con-
creta della normativa, e i moltissimi dedicati a singole realtà locali95 o a speci-
fici ambiti quali la scuola, l’università e le accademie, l’editoria e il mondo del-
la cultura96, le attività industriali e commerciali97 hanno rivelato che, al con-
trario, la svolta razzista del fascismo rappresentò nel complesso «un’occasione
eccellente, per la burocrazia nostrana, spesso definita arruffona ed elefantia-
ca, di dimostrare efficienza e tempestività quando il vertice la chiamava ad ese-
guire compiti “speciali”»98. Lontani dall’obbedire passivamente agli ordini pro-
venienti dal centro, burocrati di ogni ordine e grado si dimostrarono pronti
non solo a eseguire con puntiglio e diligenza quanto loro indicato, ma anche
a proporre nuove e più stringenti forme di controllo nei confronti dei perse-
guitati. La ricostruzione accurata e filologica della genesi e dei caratteri della
normativa antiebraica99 ha inoltre permesso di mettere in evidenza l’interven-
to diretto di Mussolini nella redazione delle leggi, nonché peculiarità e analo-
gie rispetto alla legislazione nazista100, evidenziando nel complesso un percor-
so, ideologico e legislativo, che aveva abbracciato senza remore l’idea di una
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persecuzione basata principalmente su fattori biologici e non “spiritualistici”101.


Il confronto con la rigorosa e capillare applicazione della normativa antiebraica
ha consentito di fare emergere anche il destino di un segmento particolare, e
ancor più vulnerabile, delle vittime dell’antisemitismo fascista, la categoria de-
gli ebrei stranieri102 alla cui sorte si lega la realtà, per anni completamente igno-
rata e negletta, dell’esteso sistema concentrazionario e di internamento orga-
nizzato dal regime a partire dal 1940 (ma destinato anche agli ebrei italiani),
rivelando così un aspetto importante della politica del fascismo in cui la sto-
ria delle istituzioni repressive si incrocia e si fonde con la storia della politica
razziale103.
Le nuove acquisizioni hanno inoltre permesso di spostare l’attenzione alla
funzione e agli obiettivi complessivamente attribuiti dal regime alla campa-
gna antisemita e alla natura, dunque, dell’ideologia razziale fascista. In tal sen-
so, si è soprattutto messo in risalto il ruolo prevalentemente politico della svol-
ta del 1938 e il suo essere espressione di una dinamica intrinseca, connaturata
a un sistema di potere tendenzialmente totalitario. L’antisemitismo fascista de-
rivò infatti anche da precise esigenze di politica interna, che rispondevano ai
bisogni sia strutturali che congiunturali di un regime la cui natura era votata
e destinata alla mobilitazione permanente e le cui finalità erano una «bonifi-
ca» e una «rigenerazione» antropologica del corpo nazionale. Nella fase di pre-
parazione psicologica in vista della guerra, la campagna razziale rappresentò
inoltre un momento centrale dello sforzo volto a rilanciare la spinta volonta-
rista del regime, a rafforzare e cementare all’interno il livello del consenso at-
traverso un processo massiccio e violento di emarginazione delle diversità, in-
tese come possibile potenziale di dissenso104. Ponendo il problema della diver-
sità degli ebrei, Mussolini aveva sollecitato implicitamente anche quello
dell’identità italiana tout court, che rimaneva la vera questione di fondo: sol-
levando la “questione ebraica” il fascismo aveva di fatto rilanciato, sotto una
nuova veste, un più ampio dibattito sulla “questione nazionale”, problema che
aveva continuato a coinvolgere le élite del paese dall’Unità d’Italia in avanti105.
Infine, affatto marginale è l’attenzione che i nuovi studi hanno destinato
alla questione del reinserimento, politico, economico e culturale, degli ex per-
seguitati nell’Italia del dopoguerra e del comportamento che il nuovo Stato re-
pubblicano adottò nei loro confronti106. La cesura del 1945, se ha rappresenta-
to la conclusione della legislazione razziale e del tragico periodo della «perse-
cuzione delle vite» degli ebrei, non ha esaurito infatti i complessi problemi che
si aprirono a guerra conclusa; del resto, è sufficiente a questo proposito ricor-
dare come la legislazione antisemita non fosse scomparsa automaticamente con
la caduta del regime il 25 luglio 1943, ma fosse stata rimossa con molta len-
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Gli storici e la Shoah in Italia 153

tezza e non senza difficoltà e lacerazioni nel corso dei mesi e degli anni suc-
cessivi. La scelta di una prospettiva che non si fermi al 1945 ha significato an-
che allontanare ulteriormente l’abitudine interpretativa per cui la persecuzio-
ne degli ebrei – al pari del fascismo che l’aveva generata – abbia rappresenta-
to una sorta di parentesi nella storia d’Italia, a fronte della quale la
cancellazione della normativa antisemita può essere considerata condizione ne-
cessaria e sufficiente per una sua definitiva “archiviazione”. Spingere le inda-
gini oltre la conclusione del secondo conflitto mondiale ha significato anche
capire se un certo linguaggio, ovvero quell’insieme di codici retorici e di cate-
gorie identitarie introdotte dal fascismo riguardo alla “questione ebraica”, fos-
se stato metabolizzato dalla società italiana nel suo complesso e si potesse an-
cora ritrovare nel secondo dopoguerra.
Il risveglio mostrato dalla storiografia italiana nel corso dell’ultimo ven-
tennio non ha ad oggi prodotto un equivalente rinnovamento di interesse da
parte della storiografia internazionale. Sebbene il panorama mostri negli ulti-
mi anni significativi segnali di una inversione di tendenza107, l’antisemitismo
fascista, le sue origini, le sue caratteristiche e le sue conseguenze stentano an-
cora a trovare adeguata udienza presso la storiografia internazionale, che ri-
mane per lo più ancorata all’immagine di un fascismo blando persecutore de-
gli ebrei e di un antisemitismo di fatto privo di basi teoriche. Banali ma con-
crete ragioni pratiche, quali la scarsa propensione degli storici italiani a
esportare e proporre le proprie ricerche in lingua inglese, hanno inevitabil-
mente delimitato e ristretto la fruizione dei nuovi studi al solo panorama na-
zionale, impedendo la circolazione delle nuove acquisizioni all’interno di un
più ampio e fruttuoso confronto internazionale108. Non stupisce dunque che
in un recente e autorevole repertorio internazionale quale The Columbia Guide
to the Holocaust 109 l’Italia risulti ancora assente sia nella bibliografia, sia nelle
appendici informative sulle istituzioni e gli apparati della ricerca.

Note al saggio
1Riprendo l’espressione da Alberto Cavaglion, L’Italia della razza s’è desta, in « Belfagor », anno
LVII, 2002, n. 1, p. 40.
2 Sull’assenza di antisemitismo in Italia hanno a lungo pesato le riflessioni proposte da Antonio

Gramsci, che discendevano dal giudizio dato dal filosofo sui modi e i tempi in cui si era svolto in
Italia, a partire dall’epoca risorgimentale, il processo di integrazione della minoranza ebraica; cfr.
Quaderni dal carcere, Einaudi, Torino 1975, pp. 1801-1802. Seppure abbia avuto un’eco minore sul-
la produzione storiografica relativa ai temi ebraici, va ricordata anche la posizione di Benedetto Cro-
ce, che aveva sottolineato l’assenza nell’Italia liberale di «quella stoltezza che si chiama antisemiti-
smo »; cfr. Storia d’Italia dal 1871 al 1915, Laterza, Roma-Bari 1947 [ed. or. 1928], p. 88. Claudio
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154 Storia della Shoah in Italia

Pavone ha inoltre sottolineato che anche gli ambienti resistenziali risultarono nel complesso estra-
nei a una riflessione sull’antisemitismo fascista, le sue origini e conseguenze (cfr. Claudio Pavone,
Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità della Resistenza, Bollati Boringhieri, Torino 1991, p. 561)
così come l’intero arco delle forze politiche e culturali dell’antifascismo si conformò nel dopoguerra
all’interpretazione della politica antiebraica del regime descritta non solo come ispirata al modello
tedesco, ma imposta dalla Germania nazista e contraria a tutta la tradizione nazionale e ai senti-
menti del popolo italiano; cfr. Filippo Focardi, Alle origini della grande rimozione. La questione del-
l’antisemitismo fascista nell’Italia dell’immediato dopoguerra, in Horizonte. Italianistische Zeitschrift
für Kulturwissenschaft und Gegenwartsliteratur, Tübingen 1999, p. 141 e pp. 156-159.
3 Significative in tale senso le parole di Delio Cantimori, scritte nella Prefazione alla prima edizione

della defeliciana Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo. Cantimori parlava degli ostacoli sorti
nella ricerca riguardante la politica antisemita del fascismo specie per coloro che «apparten[evano]
a certe generazioni» per le quali pesava «il senso della vergogna e il rimorso personale e umano,
ma anche civile e nazionale ». Cfr. Renzo De Felice, Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo,
Einaudi, Torino 1961, Prefazione, p. xiii. Sul percorso politico-intellettuale di Cantimori e la sua
iniziale fascinazione verso la Germania nazista, cfr. Roberto Pertici, Mazzinianesimo, fascismo, co-
munismo: l’itinerario politico di Delio Cantimori (1919-1943), in « Storia della Storiografia », 1997,
n. 31.
4 Sulla formazione e i caratteri della memoria ebraica negli anni successivi al conflitto, e sul ruolo

svolto in tal senso dall’Unione delle Comunità Israelitiche Italiane, cfr. Guri Schwarz, Ritrovare se
stessi. Gli ebrei nell’Italia postfascista, Roma, Laterza 2004, p. 111-172.
5
Cfr. Michele Sarfatti, Il volume “1938 Le leggi contro gli ebrei” e alcune considerazioni sulla normati-
ve persecutoria, in AA.VV., La legislazione antiebraica in Italia e in Europa, Atti del Convegno nel
cinquantenario delle leggi razziali (Roma 17-18 ottobre 1988), Camera dei Deputati, Roma 1989, p. 54.
6 Già nel 1939 era comparso un primo intervento, più cronachistico che storico, ma preciso e ar-
ticolato, che descriveva i principali attori della campagna antisemita del regime, ripercorrendone
l’attività sin dai primi anni del fascismo e implicitamente proponendo la tesi del carattere antise-
mita del regime dai suoi esordi. Cfr. Joshua Starr, Italy’s Antisemites, in « Jewish Social Studies »,
anno I, 1939, n. 1, pp. 105-125.
7 Cecil Roth, The History of the Jews in Italy, Jewish Publication Society of America, Philadelphia

1946. In particolare pp. 509-553.


8 Ivi, p. 529.
9
Ivi, p. 541. Roth sosteneva che il governo provvisorio sorto dopo il 25 luglio 1943 avesse imme-
diatamente e completamente cancellato ogni traccia della legislazione antisemita e che in molti casi
i perseguitati poterono così essere «reintegrati nelle loro occupazioni con un consenso unanime».
10 Cecil Roth, Gino Luzzatto and Jewish History, in « Nuova rivista storica », anno XLIX, 1965,
nn. 1-2, pp. 166-169. Lo storico britannico ricevette consigli e suggerimenti anche da Arnaldo
Momigliano: nella copia personale regalata a quest’ultimo da Roth si legge la dedica: «For A. Momi-
gliano, in deep gratitude to his help and advice». Il volume è conservato nel Fondo Momigliano,
presso la biblioteca della Scuola Normale Superiore di Pisa.
11
Roth, The History of the Jews cit., pp. 546-547 (mie traduzioni). In tal senso si vedano anche le
pp. 539-541.
12 Ivi, pp. 541-544.
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Gli storici e la Shoah in Italia 155

13 Roth, Gino Luzzatto cit., p. 169.


14 Sulle principali riviste storiche italiane dell’epoca non è stata reperita alcuna recensione al volume.
15
Sull’attività svolta a tal fine dal ministero degli Interni e dalla diplomazia italiana nei mesi suc-
cessivi alla conclusione del conflitto cfr. Schwarz, Ritrovare se stessi cit., pp. 129-136 ed Enzo Col-
lotti (a c. di), Ebrei in Toscana tra occupazione tedesca e RSI. Persecuzione, depredazione, deportazione
(1943-1945), Carocci-Regione Toscana-Giunta Regionale, Roma-Firenze 2007, vol. I, pp. 10-41.
16
Léon Poliakov, La condition des Juifs en France sous l’occupation italienne, Centre de Documen-
tation Juive Contemporaine, Paris 1946.
17 Ivi, p. 5 (la traduzione è mia).
18
Jacques Sabille, L’attitude des Italiens envers les Juifs persecutés en Croatie, in «Le monde juif», an-
no IV, 1951, n. 46-47, pp. 5-8, e n. 48, ottobre 1951, pp. 6-10; Id., L’attitude des Italiens à l’égard des
Juifs en Grèce occupée, in «Le monde juif», anno IV, 1951, n. 49, pp. 7-10; poi raccolti e riprodotti
in Serge Klarsfeld (a c. di), Mémoire du Génocide. Un recueil de 80 articles du “Monde Juif”, revue
du Centre de Documentation Juive Contemporaine, directeur et rédacteur en chef: Georges Wellers, Cen-
tre de Documentation Juive Contemporaine, Paris 1987, pp. 120-139.
19Léon Poliakov, Jacques Sabille, Gli ebrei sotto l’occupazione italiana, Comunità, Milano 1956. Il
volume era apparso nel 1952 in yiddish e nel 1955 era stato pubblicato in inglese.
20
Recensione di Bianca Ceva, in «Il Movimento di liberazione in Italia», anno VIII, 1957, n. 49,
p. 86. Sottolineava il comportamento virtuoso degli italiani anche il breve articolo di Antonio
Luksich Jamini, Il salvataggio degli ebrei a Fiume durante la persecuzione nazi-fascista, che descriveva
l’intervento del funzionario della questura di Fiume Giovanni Palatucci a favore dei perseguitati,
in «Il Movimento di Liberazione in Italia», anno VI, 1955, n. 37, pp. 44-47.
21Léon Poliakov, Il nazismo e lo sterminio degli ebrei, Einaudi, Torino 1955. In particolare, pp. 219-
224.
22La recensione di Caleffi apparve su «Il Movimento di liberazione in Italia», anno VII, 1955, n. 37,
pp. 58-59; quella di De Felice su «Società», anno XI, 1955, n. 3, pp. 919-921.
23 Il volume fu tradotto in italiano e pubblicato da il Saggiatore nel 1962 con il titolo La soluzione
finale. Al testo di Reitlinger Guido Valabrega avrebbe dedicato una recensione, descrittiva e priva
di accenni alle pagine dedicate dallo storico britannico all’occupazione italiana della Francia me-
ridionale, in «Il Movimento di liberazione in Italia», anno XIV, 1963, n. 70, p. 761-764.
24 Reitlinger, La soluzione finale cit., p. 425, ma si vedano anche le pp. 386-391. Come avvertiva lo
stesso Reitlinger (p. 440), le note che si riferivano all’Italia non erano, nella maggior parte, com-
prese nell’edizione originale inglese del 1953, in quanto integrate dall’autore nella successiva edi-
zione italiana grazie all’aiuto ricevuto da Massimo Adolfo Vitale. Sulla figura di Vitale e sul suo
ruolo, vedi Infra, p. 444.
25
Cfr. Luca Polese Remaggi, “Il Ponte” di Calamandrei 1945-1956, Olschki, Firenze 2001, p. 237.
26 Il lavoro di Vitale avrebbe costituito la base per la nascita, nel 1955, del Centro di Documenta-
zione Ebraica Contamporanea.
27
Il testo di Vitale fu presentato a Parigi in occasione del Primo Congresso Europeo dei Centri
di Documentazione Ebraica Contemporanea; confluì negli atti Les Juifs en Europe (1943-1945).
Rapports présentés à la Première Conférence Européenne des Commissions Historiques et des Centres de
Documentations Juifs, Editions du Centre [CDJC], Paris 1949.
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156 Storia della Shoah in Italia

28 Il testo di Vitale è riportato da Schwarz, Ritrovare se stessi cit., p. 161.


29
Antonio Spinosa, Le persecuzioni razziali in Italia, in «Il ponte», anno VII, 1952, n. 7, pp. 964-
978; n. 8, pp. 1078-1096; n. 11, pp. 1604-1622; anno VIII, 1953, n. 7, pp. 950-968. I saggi sono stati
poi raccolti in Antonio Spinosa, Mussolini razzista riluttante, Bonacci, Roma 1994.
30Luigi Salvatorelli, Giovanni Mira, Storia d’Italia nel periodo fascista, Einaudi, Torino 1956,
pp. 937-941 e pp. 950-953 [ed. or. Edizioni di «Nuovissima», Roma 1953].
31 Ivi, p. 940.
32 Ivi, p. 541. A causa dell’assenza di studi sul tema, anche le pagine di Salvatorelli e Mira con-
tenevano alcuni errori fattuali, da cui discendeva un’interpretazione riduzionistica degli effetti
della legislazione persecutoria. In particolare, riguardo alla definizione giuridica di « ebreo » da-
ta dalle leggi razziali; secondo i due autori « l’estensione dei provvedimenti [persecutori] risul-
tava assai ristretta rispetto alla legislazione antisemitica tedesca. Era, cioè, stabilito che sarebbe
stato considerato di razza ebraica chi fosse nato da genitori entrambi di razza ebraica ». Come
sarà dimostrato in anni recenti dagli studi di Michele Sarfatti, la normativa fascista in materia
era estremamente dettagliata e cavillosa e dava vita a una casistica complessa che copriva anche
ambiti trascurati dalla stessa legislazione nazista. Per una puntuale ricostruzione in tal senso,
cfr. Michele Sarfatti, Gli ebrei nell’Italia fascista. Vicende, identità, persecuzione, Torino, Einaudi
2000, pp. 154-164.
33
Federico Chabod, L’Italia contemporanea (1918-1948), Einaudi, Torino 1961, pp. 96-100.
34 Ivi, rispettivamente p. 97, p. 98, p. 100. Lo storico sottolineava inoltre il fattivo supporto dato
ai perseguitati dalla Chiesa cattolica: «L’opposizione si manifesta [...] ai perseguitati specialmente
attraverso la voce della Chiesa cattolica [...] La legislazione razziale [...] provoca così la grande frat-
tura fra Chiesa e Stato». Ivi, p. 97. Getta luce su tale interpetazione di Chabod anche il carteggio,
di due anni precedente, con Arnaldo Momigliano in Gennaro Sasso (a c. di), Un carteggio del 1959,
il Mulino, Bologna 2002, pp. 103-106.
35
Federico Chabod, L’Italie Contemporaine. Conferences faites à l’Institut d’Etudes Politiques de
l’Université de Paris, Domat-Montchrestien, Paris 1950.
36 Vedi Schwarz, Ritrovare se stessi cit., pp. 164-172 e Michele Sarfatti, La storia della persecuzione

antiebraica di Renzo De Felice: contesto, dimensione cronologica e fonti, in « Qualestoria », anno


XXXII, 2004, n. 2, pp. 11-27.
37
Recensione a James William Parkes, Il problema ebraico nel mondo moderno (La Nuova Italia,
Firenze 1953), in «Società», anno IX, 1953, n. 3, pp. 438-443; Id. Gli ebrei nella Repubblica Roma-
na del 1798-1799, in « Rassegna storica del Risorgimento », anno XV, 1953, n. 3, pp. 427-456; Id.,
Per una storia del problema ebraico in Italia alla fine del XVIII secolo e all’inizio del XIX. La prima
emancipazione, in «Movimento Operaio», 1955, n. 5, pp. 681-726; Id., Chiesa cattolica, clericali ed
ebrei in Italia nell’età crispina e giolittiana, in «La Rassegna Mensile di Israel», anno XXII, 1956,
pp. 483-495; Id., La Chiesa cattolica e il problema ebraico durante gli anni dell’antisemitismo fascista,
in « La Rassegna Mensile di Israel », anno XXIII, 1957, pp. 23-35 (i due ultimi interventi furono
riutilizzati da De Felice, con modeste variazioni, nel volume del 1961).
38Accennando a casi di antisemitismo verificatisi dopo l’unità d’Italia, Cantimori suggeriva di spo-
stare lo sguardo all’indietro e di approfondire diffusi e sedimentati pregiudizi contro gli ebrei pre-
senti nella cultura italiana, pregiudizi che scaturivano non solo da ambienti cattolici, ma anche li-
berali e radicali e invocavano ragioni non confessionali ma nazionali. Cantimori, inoltre, metteva
in guardia l’autore dal proporre troppo semplicistiche e deterministiche genealogie della cultura
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Gli storici e la Shoah in Italia 157

razzista e antisemita tedesca (ed europea) che da Hegel o Herder giungessero sino a Rosenberg e
Hitler.
39
De Felice, Storia degli ebrei italiani cit., Introduzione, p. xxxvi. E ancora: « [Quanto al razzi-
smo] tanto la psicologia popolare quanto la cultura (neppure quella media e più provinciale) non
hanno mai veramente conosciuto in Italia l’eccitamento razziale ed il razzismo» (ivi, p. 31).
40
Ivi, p. 389 e p. 442-443.
41 Ivi, p. 394.
42 Ivi, p. 31.
43
Ivi, p. 393.
44
Si tratta di un intervento Antisemitismo italiano oggi, apparso in due puntate sul «Nuovo Osser-
vatore» il 25 novembre e il 10 dicembre 1961. Sul contenuto e sul contesto dal quale tali interventi
si erano originati cfr. Paolo Simoncelli, Renzo De Felice. La formazione intellettuale, Le Lettere,
Firenze 2001, pp. 264-272.
45 Sui riflessi del processo Eichmann nella produzione saggistica italiana cfr. Guido Valabrega, Echi

del processo Eichmann nella pubblicistica italiana che segnalava l’uscita in Italia, tra il 1960 e il 1961,
di cinque volumi, tutte traduzioni, dedicate alla figura di Eichmann, tra cui Dossier Eichmann,
con prefazione di Léon Poliakov, Editori Riuniti, Roma 1961. Si veda «Il Movimento di Liberazione
in Italia», 12, 1961, pp. 65. Anche De Felice avrebbe dedicato al processo Eichmann due articoli
comparsi su «Il Nuovo Osservatore», 20 aprile 1961, p. 8 e 30 giugno 1961, pp. 8-9.
46 In «Studi storici», 1962, n. 4, p. 889-906.
47 Per le recensioni comparse sulla stampa quotidiana e periodica, cfr. Simoncelli, Renzo De Felice
cit., pp. 236-255.
48 De Felice, Storia degli ebrei italiani cit., p. 411, nota 3.
49
Lo scandalo proseguì sino a oltre il 1963 e la polemica innescata finì per determinare il cambio
di linea politica nel Partito radicale che si sarebbe orientato verso i socialisti di Nenni, vero moti-
vo per il quale si era alimentato, anche all’interno dello stesso Partito radicale, il caso Piccardi.
50
Per le recensioni comparse sulle riviste storiche, cfr. Simoncelli, Renzo De Felice cit., pp. 255-264.
51Non «sempre convincenti» apparivano inoltre a Vivanti le differenze proposte da De Felice per
distinguere il « razzismo biologico » propriamente nazista dal cosiddetto « razzismo spirituale »
fascista. In «Studi storici», 1962, n. 4, p. 901.
52
Ivi, p. 903.
53 A partire dall’edizione, ampliata e riveduta, del 1988, De Felice sostituì la prefazione di Canti-
mori che, pur complessivamente positiva, conteneva qualche elemento di critica, con una intro-
duzione scritta di suo pugno in cui insisteva particolarmente sulle differenze tra l’esperienza fasci-
sta e quella nazista, sostenendo a tal fine l’irrilevanza e la marginalità dell’antisemitismo nella vi-
cenda italiana. De Felice poneva in evidenza il fallimento degli sforzi profusi dal regime per dare
un «coscienza razziale» agli italiani: «Quanto al fascismo – scriveva lo storico – esso come non fu
razzista non fu nemmeno antisemita, nè quando sorse nè per numerosi anni [...] e anche quando
Mussolini lo volle tale, l’adesione anche se spesso rumorosa della maggioranza dei fascisti alla sua
svolta fu sopratutto dettata da conformismo e opportunismo» (cfr. De Felice, Storia degli ebrei ita-
liani cit., 1993, pp. ix-x). Si trattava di una rilettura sviluppata da De Felice nel corso di un tren-
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158 Storia della Shoah in Italia

tennio e sfociata nel proposito di attenuare i caratteri totalitari del regime e di accentuare la distanza
tra fascismo e nazismo, per negare fra l’altro la possibilità di elaborare un concetto generale del fa-
scismo. Corrado Vivanti avrebbe espresso ancora le sue critiche in Nell’ombra dell’“Olocausto”, «Stu-
di storici», anno XXIX, 1988, n. 3, pp. 805-810. Il titolo dell’intervento di Vivanti faceva riferimento
a una discussa intervista concessa da De Felice e pubblicata sul «Corriere della Sera» il 27 dicem-
bre 1987, in cui lo studioso reatino aveva affermato che «il fascismo è al riparo dall’accusa di ge-
nocidio, è fuori dal cono d’ombra dell’olocausto».
54 Il primo Quaderno, uscito prima del volume defeliciano, apparve con il titolo Quaderno della

FGEI (Milano 1961) e raccoglieva gli atti di un convegno intitolato Gli ebrei durante il fascismo (To-
rino 23-24 aprile 1961). Gli ultimi due volumi uscirono invece con la titolatura Quaderni del CDEC
(Milano 1962-63). Ne sottolineava la novità e l’intento riformatore legato al dinamismo delle più
giovani generazioni dell’ebraismo italiano, la recensione firmata da Goffredo Fofi comparsa su «Il
Ponte» nel 1962 (pp. 95-97) e dedicata al primo dei Quaderni.
55Si segnalavano, tra gli altri, gli interventi di Guido Fubini dedicato al tema della riorganizzazio-
ne delle comunità ebraiche varata dal regime nel 1931 (Quaderno 3, pp. 97-112), nonché le prime
note sulle conseguenze economiche della persecuzione razziale (Quaderno 2, pp. 92-111).
56Raul Hilberg, The Destruction of the European Jews, Quadrangle, Chicago 1961. La prima edi-
zione italiana, a cura di Frediano Sessi, è stata pubblicata da Einaudi nel 1995.
57Cfr. «La Rassegna Mensile di Israel», anno XXIX, 1963, nn. 7-8, p. 189. La posizione di Lattes
– che univa alle critiche nei confronti del libro di Hilberg anche quelle destinate al testo di Han-
nah Arendt Eichmann in Jerusalem (New York 1963) – si concentrava unicamente sul problema
del collaborazionismo ebraico e sul ruolo attribuito dai due autori agli Judenraten.
58 Tra il 1960 e il 1964 si segnalava infatti l’uscita, in Italia e all’estero, dei seguenti lavori: Meir

Michaelis, The Attitude of the Fascist Regime to the Jews in Italy. Part One: up to the Enactment of
the Racial Laws (1938), in « Yad Vashem Studies », 1960, vol. IV, pp. 7-41; trad. it. ampliata: I rap-
porti italo-tedeschi e il problema degli ebrei in Italia (1922-38), in « Rivista di studi politici inter-
nazionali », aprile giugno 1961, vol. XXVIII, n. 2, pp. 238-282; Id., Gli ebrei italiani sotto il regi-
me fascista dalla marcia su Roma alla caduta del fascismo (1922-1945), in « La Rassegna Mensile di
Israel », maggio 1962, pp. 211-229; agosto 1962, pp. 350-465; gennaio-febbraio 1963, pp. 19-41; lu-
glio-agosto 1963, pp. 291-308; Daniel Carpi, The Catholic Church and Italian Jewry Under the
Fascists (To the Death of Pius XI), in « Yad Vashem Studies », 1960, vol. IV, pp. 43-56; Aroldo Be-
nini, Il contributo italiano alla storia del razzismo, in « Il Paradosso », 1960, 1, pp. 53-57; R. Mayer-
Grego, Persecuzioni e sacrifici degli Ebrei triestini, Trieste 1961; Galliano Fogar, Sotto l’occupazio-
ne nazista nelle provincie orientali, Del Bianco, Udine 1961; Andrea Devoto, Bibliografia dell’op-
pressione nazista fino al 1962, Firenze, Olschki 1964. Nell’ambito di un ciclo di conferenze su
fascismo e antifascismo tenuto a Milano nel 1961 si collocava l’intervento di Achille Ottolenghi,
La legislazione antisemita in Italia, in Fascismo e antifascismo (1918-1936). Lezioni e testimonianze,
vol. 1, Feltrinelli, Milano 1962, pp. 202-209. Anche Ottolenghi non mancava di sottolineare che
« il popolo italiano, questo grande e civile popolo, rifiutò decisamente l’antisemitismo e circondò
gli ebrei del calore della loro simpatia e del loro affetto » (p. 208). Sebbene maggiormente critico
nei confronti della posizione assunta dal Vaticano, si situava sulla medesima scia interpretativa
anche Attilio Milano, Storia degli ebrei in Italia, Einaudi, Torino 1963, in particolare pp. 391-409.
Inserito nel contesto di volumi dedicati all’antifascismo, anche l’intervento di Enzo Enriquez
Agnoletti, Il nazismo e le leggi razziali in Italia, in Luigi Arbizzani, Alberto Caltabiano (a c. di),
Storia dell’antifascismo italiano, vol. II, Editori Riuniti, Roma 1964, pp. 127-146. L’interpretazione
di Agnoletti, che sottolineava la durezza della legislazione e la sua puntuale applicazione, seguiva
comunque il canone interpretativo già proposto da Chabod e De Felice nel leggere la persecuzione
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Gli storici e la Shoah in Italia 159

razziale come momento di rottura del consenso al fascismo: « Si può dire che quello fu lo spar-
tiacque tra il passato e il futuro. Da allora il popolo italiano e il fascismo presero due direzioni
opposte ». Ivi, p. 1344.
59Si tratta dei volumi I miti dell’impero e della razza nell’Italia degli anni ’30 (Opere Nuove, Roma
1965) e Impero fascista, africani ed ebrei (Mursia, Milano 1968), che rappresentava un ampliamen-
to, non differente per le tesi sostenute, del primo volume. Preti confermava interpretazioni già con-
solidate quali l’estraneità del fascismo dall’ideologia antisemita e razziale (almeno sino alla guerra
d’Etiopia); l’atteggiamento di supporto svolto dalla Chiesa cattolica; l’indipendenza decisionale di
Mussolini; la blanda applicazione della legislazione. Anticipando riflessioni che sarebbero matura-
te solo in anni recenti, Preti sottolineava l’edesione ideologica e il ruolo propulsivo svolto dai GUF
e il generale coinvolgimento degli intellettuali; cfr. I miti dell’impero e della razza nell’Italia degli
anni ’30, pp. 88, 89 e 58.
60Cfr. Silva Gherardi Bon, La persecuzione antiebraica a Trieste (1938-1945), Del Bianco, Udine 1972
(un’edizione aggiornata e ampliata è poi apparsa per la Libreria Editrice Goriziana di Trieste nel
2000); Guido Valabrega, Il fascismo e gli ebrei: appunti per un consuntivo storiografico, in Sandro
Fontana (a c. di), Il fascismo e le autonomie locali, il Mulino, Bologna 1973; Ugo Caffaz, L’antise-
mitismo italiano sotto il fascismo, La Nuova Italia, Firenze 1975.
61 Michael Ledeen, The Evolution of Fascist Antisemitism, in «Jewish Social Studies», anno XXX-

VII, 1975, n. 1, pp. 3-17.


62 Renzo De Felice, Michael Ledeen (a c. di), Intervista sul fascismo, Laterza, Roma-Bari 1975.
63 George Mosse, Il razzismo in Europa. Dalle origini all’Olocausto, Laterza, Roma-Bari 1980,
pp. 214-217 [tit. orig. Toward the Final Solution: A History of European Racism, Howard Fertig, New
York 1978]. In relazione al razzismo, Mosse avrebbe inoltre affermato che rispetto alla sua diffusione
l’Italia avrebbe costituito «un’area di ristagno»; si veda George Mosse, s.v. “Razzismo”, in Enciclo-
pedia del Novecento, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, Roma 1980, vol. V, p. 1057. Più articolata
e meno perentoria nel negare quasiasi ruolo al razzismo all’interno dell’ideologia fascista era la let-
tura fornita qualche anno prima da A. James Gregor, L’ideologia del fascismo, Edizioni del Borghese,
Roma 1974, pp. 230-251 [tit. orig. The Ideology of Fascism. The Rationale of Totalitarism, Collier-Mc-
Millan, London 1969].
64Meir Michaelis, Mussolini and the Jews. German-Italian Relations and the Jewish Question in Italy
1922-1945, Clarendon Press, Oxford 1978 [trad. it. Mussolini e la questione ebraica, Edizioni di
Comunità, Milano 1982].
65 Vol. 52, n. 2, 1980, pp. 282-284.
66Francesco Margiotta Broglio, Stato e confessioni religiose, vol. I: Le fonti, La Nuova Italia, Firenze
1976, pp. 87-109.
67 Cesare Cases, Cosa fai in giro?, in «Il Ponte», anno XXXIV, 1978, nn. 11-12, pp. 1321-1339, poi in
Il testimone secondario, Einaudi, Torino 1985, pp. 5-23.
68 Giuseppe Mayda, Ebrei sotto Salò, Feltrinelli, Milano 1978. In precedenza, erano stati dedicati

al tema delle deportazioni degli ebrei italiani Miriam Novich, Documenti sulla deportazione degli
ebrei italiani, in «Movimento di Liberazione in Italia», 1957, n. 49; Giuliana Donati, Ebrei in Italia:
deportazione, Resistenza, CDEC-Giuntina, Firenze 1975 e vari interventi comparsi sui «Quaderni
del Centro Studi sulla deportazione e l’internamento», pubblicazioni curate a partire dal 1964 dalla
Associazione Nazionale Ex Internati.
69
In «Studi storici», 1988, n. 4, pp. 789-790.
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160 Storia della Shoah in Italia

70 Risultato di un convegno tenutosi presso la Camera dei Deputati è stato il volume La legi-
slazione antiebraica in Italia e in Europa cit. Patrocinato dal Senato della Repubblica, e con la
prefazione dell’allora presidente del Senato Giovanni Spadolini, era il volume curato da Mario
Toscano L’abrogazione delle leggi razziali in Italia, 1943-1987 reintegrazione dei diritti dei cittadi-
ni e ritorno ai valori del Risorgimento, Senato della Repubblica, Roma 1988. Si vedano inoltre le
riflessioni proposte da Roberto Finzi, Le leggi razziali cinquant’anni dopo, in « Passato e presen-
te », anno VI, 1988, n. 3, pp. 3-7 e da Nicola Tranfaglia, Sull’antisemitismo fascista, in Id., Labi-
rinto italiano. Il fascismo, l’antifascismo, gli storici, La Nuova Italia, Firenze 1989, pp. 77-85. Nel
1988 usciva inoltre un importante numero monografico della « Rassegna Mensile di Israel » (an-
no VIV, 1988, 54, nn. 1-2) curato da Michele Sarfatti e dedicato al 1938 e la raccolta di testi cu-
rata da Alberto Cavaglion, Gian Paolo Romagnani, Le interdizioni del duce. A cinquant’anni dal-
le leggi razziali in Italia, Meynier, Torino 1988 (nuova edizione ampliata e aggiornata Claudiana,
Torino 2002).
71Riflettono sulla nuova stagione storiografica inauguratasi nei tardi anni Ottanta, Guri Schwarz,
A proposito di una vivace stagione storiografica: letture dell’emancipazione ebraica negli ultimi vent’anni,
in « Memoria e Ricerca », maggio-agosto 1005, n. 19, pp. 159-174; Cavaglion, L’Italia della razza
cit. Prima della “svolta” del 1988, segnaliamo un intervento di Mario Toscano, Gli ebrei in Italia
dall’emancipazione alle persecuzioni, in «Storia Contemporanea», anno XVII, 1986, n. 5, pp. 905-954.
Peraltro, ancora nel 1986 il volume di Nicola Caracciolo (Gli ebrei e l’Italia durante la guerra 1940-
1945, Bonacci, Roma) tendeva a obliterare ogni responsabilità dell’Italia per le persecuzioni contro
gli ebrei, facendosi scudo della volontà distruttiva dei nazisti.
72
Le pubblicazioni italiane dedicate alla storia degli ebrei e dell’antisemitismo dal 1985 al 1990 co-
stituiscono infatti un terzo del totale delle opere edite sugli stessi temi dal 1955 al 1990. Cfr. Ma-
rio Toscano, Lineamenti sulla produzione storiografica su ebrei ed ebraismo nell’età contemporanea,
in La cultura ebraica nell’editoria italiana (1955-1990), numero speciale di «Quaderni di Libri e Ri-
viste d’Italia», 27, 1992, p. 59.
73 Da segnalarsi la traduzione, a oltre trent’anni di distanza dall’edizione originaria, del lavoro di
Raul Hilberg (La distruzione degli ebrei d’Europa, Einaudi, Torino 1995, 2 voll.), sebbene proprio
la breve sezione dedicata all’Italia (pp. 660-677) non risulti probabilmente tra le più riuscite del-
l’opera, riprendendo il luogo comune del carattere blando delle leggi razziali fasciste: «Le dispo-
sizioni contro l’impiego nelle funzioni pubbliche [...] rivestivano un significato assai più grave
di altri simili decreti adottati altrove; in effetti, in Italia, un numero comparativamente più alto di
Ebrei si guadagnava la vita al servizio dello Stato. È vero che le leggi italiane facevano proprie mol-
te eccezioni e che l’attuazione della legge nel suo insieme si produsse senza fretta e con una certa
mancanza di rigore» (ivi, p. 665); inoltre «il governo italiano omise di sfruttarli e spesso anche di
applicarli [i provvedimenti antiebraici] » (ivi, p. 660). In tal senso, rilevava Enzo Collotti nella
recensione dedicata alla traduzione dell’opera che «la responsabilità della sottovalutazione del raz-
zismo fascista [andava] riferita alla qualità relativamente modesta delle opere cui Hilberg [aveva
potuto] fare riferimento »; cfr. Enzo Collotti, La distruzione degli ebrei d’Europa, in « Passato e
presente», anno XV, 1997, n. 40, pp. 83-89.
74 Cfr. Norman Finkelstein, The Holocaust Industry: Reflections on the Exploitation of Jewish
Suffering, Verso, London-New York 2000 [trad. it. L’industria dell’Olocausto, Rizzoli, Milano 2002].
75
David Bidussa, Il mito del bravo italiano, il Saggiatore, Milano 1994, p. 75. Bidussa ha parlato a
questo proposito di un’analisi a lungo viziata « dall’assolutizzazione » del razzismo nella cultura
tedesca tra Ottocento e Novecento e poi del nazismo sia della « relativizzazione » del razzismo
italiano e del fascismo; ivi, p. 68.
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76 Pierre-André Taguieff, La nouvelle judéophobie, Mille et Une Nuits, Paris 2002.


77 Cfr. Adriana Goldstaub (a c. di), La guerra nel Libano e l’opinione pubblica italiana: confusione,
distorsioni, pregiudizio, antisemitismo, CDEC, Milano 1983 e la riflessione compiuta da Stefano Le-
vi Della Torre, Fine del dopoguerra e sintomi antisemitici, in « Rivista di Storia Contemporanea »,
1984, n. 3, p. 445 sgg.
78 Vittorio Foa, Il cavallo e la torre. Riflessioni su una vita, Einaudi, Torino 1991. Indizio di un mu-
tamento di orientamenti in tal senso può anche essere considerato il convegno internazionale Ebrai-
smo e antiebraismo: immagine e pregiudizio, organizzato dall’Istituto Gramsci della Toscana a Firenze
il 18-20 marzo 1987, i cui Atti, con il medesimo titolo, sono stati pubblicati due anni dopo per la
casa editrice Giuntina di Firenze.
79
Cfr. Franklin Hugh Adler, Jew as Bourgeois, Jew as Enemy, Jew as Victim of Fascism, in «Modern
Judaism», anno XXVIII, 2008, n. 3, pp. 322-326 e, indirettamente su questi temi, anche Mirella
Serri, I redenti. Gli intellettuali che vissero due volte 1938-1948, Corbaccio, Milano 2005.
80 Manca ad oggi una bibliografia completa della persecuzione antiebraica fascista; si veda, ag-
giornata al 1988, quella fornita da Michele Sarfatti, Bibliografia per lo studio delle persecuzioni an-
tiebraiche in Italia 1938-1945, in « Rassegna Mensile di Israel », 1988, nn. 1-2, pp. 435-475. Per gli
anni successivi, cfr. Alessandra Minerbi, Francesca Cavarocchi, Bibliografia, in Enzo Collotti (a c.
di), Razza e fascismo. Persecuzione contro gli ebrei in Toscana, 1938-1943, Carocci-Regione Toscana,
Giunta Regionale, Roma-Firenze 1999, pp. 175-199 ed Enzo Collotti, Bibliografia ragionata, in Id.,
Il fascismo e gli ebrei. Le leggi razziali in Italia, Laterza, Roma-Bari 2003, pp. 167-183. Una biblio-
grafia relativa al periodo postbellico è fornita da Guri Schwarz, Gli ebrei in Italia e in Europa do-
po le persecuzioni: appunti per un saggio bibliografico, in Guri Schwarz, Ilaria Pavan, Gli ebrei in
Italia tra persecuzione e reintegrazione postbellica, Giuntina, Firenze 2001, pp. 171-191.
81David Bidussa, Il mito del bravo italiano, il Saggiatore, Milano 1994; Enzo Collotti, Il razzismo
negato in Id. (a c. di), Fascismo e antifascismo: rimozioni, revisioni, negazioni, Laterza, Roma 2000,
pp. 355-375.
82
Roberto Finzi, L’università italiana e le leggi antiebraiche, Editori Riuniti, Roma 2003 [edizione
ampliata rispetto a quella originale del 1997]; Angelo Ventura, La persecuzione fascista contro gli ebrei
nell’università italiana, in «Rivista storica italiana», anno CIX, 1997, n. 1, pp. 121-197.
83Simone Duranti, Lo spirito gregario. I gruppi universitari fascisti tra politica e propaganda (1930-
1940), Donzelli, Roma 2008.
84Liliana Picciotto, Il libro della memoria. Gli ebrei deportati dall’Italia 1943-1954, Mursia, Milano
1991 [ed. ampliata Mursia 2002]; Collotti, Ebrei in Toscana cit.; Lutz Klinkhammer, L’occupazione
tedesca in Italia 1943-1945, Bollati Boringhieri, Torino 1993, pp. 367-411.
85 Cfr. Lidia Santarelli, Muted violence: Italian war crimes in occupied Greece, in «Journal of Mo-

dern Italian Studies», anno IX, 2004, n. 3, pp. 280-299; Costantino Di Sante, Italiani senza ono-
re. I crimini in Jugoslavia e i processi negati (1941-1945), Ombre corte, Verona 2005; Eric Gobetti,
L’occupazione allegra: gli italiani in Jugoslavia, 1941-1943, Carocci, Roma 2007.
86 Davide Rodogno, Il nuovo ordine mediterraneo. Politiche di occupazione dell’Italia fascista in Eu-

ropa, Bollati Boringhieri, Torino 2002, p. 432 sgg. La contrapposizione netta tra comportamento
dei tedeschi e comportamento degli italiani nei confronti degli ebrei è stata riproposta recenemente
anche da Jonathan Steinberg, All Or Nothing. The Axis and the Holocaust 1941-43, Routledge, Lon-
don 1990 [trad. it. Tutto o niente: l’Asse e gli ebrei nei territori occupati, 1941-1943, Mursia, Milano
1997].
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87 Rodogno, Il nuovo ordine mediterraneo cit., p. 434. L’autore ha sottolineato sia la selettività del-
l’azione italiana – rivolta alla sola protezione degli ebrei con cittadinanza italiana – sia la politica dei
respingimenti attuata tanto in Dalmazia che nella Francia del sud, a danno degli ebrei che cercava-
no di trovare rifugio nelle zone di pertinenza italiana, respingimenti che, come i documenti attesta-
no, furono compiuti nella piena consapevolezza della sorte che avrebbe atteso gli ebrei respinti.
88
Giovanni Miccoli, Santa Sede e Chiesa italiana di fronte alle leggi antiebraiche del 1938, in «Stu-
di Storici», 1988, n. 4, pp. 821-902 e con una panoramica ben più ampia Id., Santa Sede, questio-
ne ebraica e antisemitismo fra Otto e Novecento, in Storia d’Italia. Annali 11: Gli ebrei in Italia, a c.
di Corrado Vivanti, t. 2, Einaudi, Torino 1997, pp. 1371-1574. Sulla figura e il ruolo di Pio XII nei
confronti della Shoah, fondamentale Id., I dilemmi e i silenzi di Pio XII, Rizzoli, Milano 2000.
89 Cfr. Elena Mazzini, Da cultura ammessa a retaggio discorsivo. L’antiebraismo e la “Civiltà Catto-
lica” nel primo quindicennio del secondo dopoguerra, in « Ventunesimo Secolo », anno VII, 2008,
n. 8, pp. 21-44 e il più ampio Ead., Terra Santa o Israele? Tradizioni antiebraiche nella cultura catto-
lica dell’Italia del secondo dopoguerra (1945-1974), Morcelliana, Brescia, in corso di pubblicazione.
90 Con accentuazioni difformi cfr. Carl Ipsen, Demografia totalitaria, il Mulino, Bologna 1997;
Giorgio Israel, Pietro Nastasi, Scienza e razza nell’Italia fascista, il Mulino, Bologna 1998; Roberto
Maiocchi, Scienza italiana e razzismo fascista, La Nuova Italia, Firenze 1999; Aaron Gillette, Racial
Theories in Fascist Italy, Routledge, London 2002; Anna Treves, Le nascite e la politica nell’Italia
del Novecento, Led, Milano 2001; Claudia Mantovani, Rigenerare la società. L’eugenetica in Italia
dalle origini ottocentesche agli anni Trenta, Rubbettino, Soveria Mannelli 2004; Francesco Cassata,
Molti, sani e forti. L’eugenetica in Italia, Bollati Boringhieri, Torino 2006.
91
Recenti sono le analisi relative ai risvolti giuridici e giurisprudenziali della legislazione antisemi-
ta, durante e dopo le persecuzioni (Ilaria Pavan, Gli incerti percorsi della reintegrazione. Note sugli
atteggiamenti della magistratura repubblicana 1945-1964, in Pavan, Schwarz, Gli ebrei in Italia cit.,
pp. 85-108) e le riflessioni riguardanti il ruolo avuto dal pensiero giuridico italiano in materia di raz-
za; cfr. Ernesto De Cristofaro, Codice della persecuzione: i giuristi e il razzismo nei regimi nazista e
fascista, Giappichelli, Torino 2009; Olindo De Napoli, La prova della razza. Cultura giuridica e raz-
zismo in Italia negli anni Trenta, Mondadori Education, Milano 2009; Ilaria Pavan, La cultura pe-
nale fascista e il dibattito sul razzismo (1928-1943), in «Ventunesimo Secolo», anno VII, 2008, n. 8,
pp. 45-79; Ead., Una premessa dimenticata del razzismo e dell’antisemitismo fascista. Il Codice pena-
le del 1930, in Marina Caffiero (a c. di), Le radici storiche dell’antisemitismo in Italia, Viella, Roma
2009, pp. 124-150.
92Riccardo Bonavita, L’image des juifs dans la littérature italienne du romanticisme au fascisme, in
Marie-Anne Matard-Bonucci (a c. di), Antisémites. L’image de juifs entre culture et politique (1848-
1939), Nouveau Monde, Paris 2005, pp. 363-371; Id., Grammatica e storia di un’alterità: stereotipi
antiebraici cristiani nella narrativa italiana 1827-1938, in Catherine Brice, Giovanni Miccoli (a c.
di), Les racines chrétiennes de l’antisémitisme politique (fin XIX-XX siècle), École Française de Rome,
Roma 2003, pp. 178-209.
93
Giorgio Fabre, Mussolini il razzista. Dal socialismo al fascismo: la formazione di un antisemita,
Rizzoli, Milano 2005.
94 Riflette sulla necessità di promuovere ricostruzioni a largo raggio dell’antisemitismo di sinistra

di inizio Novecento Francesco Germinario, Sul razzismo del primo Mussolini, in «Teoria politica»,
anno XXIII, 2006, n. 3, pp. 161-171.
95In particolare Fabio Levi, L’ebreo in oggetto. L’applicazione della normativa antiebraica a Torino
1938-43, Zamorani, Torino 1993; Federico Steinhaus, Ebrei/Juden. Gli ebrei dell’Alto Adige negli anni
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Trenta e Quaranta, Giuntina, Firenze 1994; Bon, Gli ebrei a Trieste cit.; Collotti, Razza e fascismo
cit.; Id., Ebrei in Toscana cit.
96 Si veda il capitolo Uomo nuovo di razza italiana, in Gabriele Turi, Lo stato educatore. Politica e
intellettuali nell’Italia fascista, Laterza, Roma-Bari 2002, pp. 121-146; Giorgio Fabre, L’elenco. Cen-
sura, editoria e autori ebrei, Zamorani, Torino 1998; Annalisa Capristo, L’espulsione degli ebrei dal-
le accademie italiane, Zamorani, Torino 2002; Roberto Finzi, La cultura italiana e le leggi antie-
braiche, in «Studi Storici», 2009, n. 2, pp. 895-929; Ilaria Pavan, Ebrei, università e persecuzione in
Francesca Pelini, Ilaria Pavan, La doppia epurazione. L’università di Pisa e le leggi razziali tra guer-
ra e dopoguerra, il Mulino, Bologna 2009, pp. 203-258.
97 Fabio Levi, Le case e le cose. La persecuzione degli ebrei torinesi nelle carte dell’EGELI (1938-45),

Compagnia di San Paolo, Torino 1998; Ilaria Pavan, Tra indifferenza e oblio. Le conseguenze econo-
miche delle leggi razziali in Italia (1938-1970), Le Monnier, Firenze 2004; Rapporto generale della
Commissione per la ricostruzione delle vicende che hanno caratterizzato in Italia le attività di acqui-
sizione dei beni dei cittadini ebrei da parte di organismi pubblici e privati, Presidenza del Consiglio
dei Ministri, Dipartimento per l’informazione e l’editoria, Roma 2001. Il Rapporto è interamente
consultabile sul sito http://www.governo.it/Presidenza/DICA/beni_ebraici/.
98 Cfr. Daniela Adorni, Modi e luoghi della persecuzione (1938-1943), in Levi, L’ebreo in oggetto cit.,

pp. 102-103.
99Michele Sarfatti, Mussolini contro gli ebrei. Cronaca dell’elaborazione delle leggi del 1938, Zamo-
rani, Torino 1994 e soprattutto il più ampio Id., Gli ebrei nell’Italia fascista cit.
100 Per un confronto testuale tra le due legislazioni, cfr. Valerio Di Porto, Le leggi della vergogna.

Norme contro gli ebrei in Italia e Germania, Le Monnier, Firenze 2000.


101Sulle varie anime del razzismo fascista (biologicista, nazionalista, spiritualista ed esoterico) ri-
flette Mauro Raspanti, I razzismi del fascismo, in Centro Furio Jesi (a c. di), La menzogna della
razza. Documenti e immagini del razzismo e dell’antisemitismo fascista, Grafis, Bologna 1994, pp.
73-89; Id., Le correnti del razzismo fascista, in Anna Capelli, Renata Broggini (a c. di), Antisemiti-
smo in Europa negli anni Trenta: legislazioni a confronto, FrancoAngeli, Milano 2001, pp. 340-354.
Raspanti sottolinea come in nessuna delle varie correnti del razzismo fascista il dato biologico sia
stato mai, in realtà, scartato. Sulla pretestuosità della contrapposizione tra un presunto razzismo
spirituale e un razzismo biologico – e sul suo essere talvolta l’espressione di lotte di potere interne
al PNF – si veda Angelo Ventura, La svolta antiebraica nella storia del fascismo italiano, in «Rivista
storica italiana», anno CXIII, 2001, n. 1, p. 44 sgg.; Ilaria Pavan, Prime note su razzismo e diritto
in Italia. L’esperienza della rivista “Il Diritto Razzista” (1939-1943), in Daniele Menozzi, Mauro Mo-
retti, Roberto Pertici (a c. di), Culture e libertà. Studi in onore di Roberto Vivarelli, Edizioni della
Normale, Pisa 2006, pp. 373-390.
102 Klaus Voigt, Il rifugio precario. Gli esuli in Italia dal 1933 al 1945, Le Monnier, Firenze 1993-
1996; si vedano inoltre i nuovi documenti presentati da Francesca Cappella, Gli ebrei stranieri in
Italia 1940-1943, in Caffiero, Le radici storiche cit., pp. 124-149.
103
Carlo Spartaco Capogreco, I campi del duce. L’internamento civile nell’Italia fascista 1940-1943,
Einaudi, Torino 2006.
104Cfr. Enzo Collotti, Fascismo, fascismi, Sansoni, Firenze 1989, p. 56; Id., Il razzismo negato cit.,
pp. 362-363. David Bidussa ha in tal senso richiamato il progetto del fascismo di riscrivere le «ta-
vole identitarie» della nazione in Id., Il mito del bravo italiano cit., p. 59 sgg.
105 Matard-Bonucci, L’Italia fascista cit., p. 231.
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106 In particolare Toscano, L’abrogazione delle leggi razziali cit.; Michele Sarfatti (a c. di), Il ritorno
alla vita, Giuntina, Firenze 1998; Pavan, Schwarz, Gli ebrei in Italia cit.; Schwarz, Ritrovare se stes-
si cit.; Pavan, Tra indifferenza e oblio cit.; Daniella Gagliani (a c. di), Il difficile rientro. Il ritorno
dei docenti ebrei nell’università del dopoguerra, Clueb, Bologna 2004; Giovanna D’Amico, Quando
l’eccezione diventa norma. La reintegrazione degli ebrei nell’Italia postfascista, Bollati Boringhieri,
Torino 2005.
107Susan Zuccotti, The Italians and the Holocaust, Basic Books, New York 1988 [trad. it. L’Olocausto
in Italia, Mondadori, Milano 1988]; Ead., Under His Very Windows: the Vatican and the Holocaust
in Italy, Yale University Press, New Haven CT 2000; Robert S. Wistrich, Sergio Della Pergola (a
c. di), Fascist Antisemitism and the Italian Jews, The Vidal Sassoon International Center for the
Study of Antisemitism, Jerusalem 1995; Gillette, Racial Theories in Fascist Italy cit.; Stefano Luco-
ni, Recent trends in the study of Italian antisemitism under the Fascist regime, in «Patterns of Preju-
dice», 2004, vol. 38, n. 1; Franklin Hugh Adler, Why Mussolini turned on the Jews, in «Patterns of
Prejudice », 2005, vol. 39, n. 3, pp. 285-300; Id., Jew as Bourgeois, Jew as Enemy, Jew as Victim of
Fascism, in «Modern Judaism», ottobre 2008, vol. 28, n. 3, pp. 306-326; Joshua D. Zimmerman
(a c. di), The Jews of Italy under Fascist and Nazi Rule 1922-1945, Cambridge University Press, Cam-
bridge-New York 2005; Marie-Anne Matard-Bonucci, L’Italie fasciste et la persécution des juifs, Per-
rin, Paris 2007 [trad. it. L’Italia fascista e la persecuzione degli ebrei, il Mulino, Bologna 2008]. Si
segnalano inoltre le traduzioni in inglese del testo di De Felice (The Jews in Fascist Italy: a History,
Enigma Books, New York 2001) e di Sarfatti (The Jews in Mussolini’s Italy: from Equality to Perse-
cution, The University of Wisconsin Press, Madison 2006).
108Ancora nel 2004, Alberto Cavaglion, nella Nota all’edizione italiana del Dizionario dell’Olocau-
sto, curata dallo stesso Cavaglion, accennava alla sottovalutazione da parte della storiografia an-
glosassone del significato e della portata della persecuzione antisemita italiana; in Walter Lacqueur
(a c. di), Dizionario dell’Olocausto, Einaudi, Torino 2004, p. xx.
109
Donald Niewyk, Francis Nicosia (a c. di), The Columbia Guide to the Holocaust, Columbia Uni-
versity Press, New York 2000.

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