- Introduzione
- Cenni di Storia sull’utilizzo degli strumenti musicali da parte delle donne fino alla
metà 1700
- L’affermazione della musica di Beethoven e la conseguente scomparsa delle pianiste
dalla scena pubblica viennese: uno studio di Tia DeNora
- La segregazione delle carriere delle musiciste classiche all’interno dei Conservatori
italiani
- Il caso della “femminilizzazione” del Flauto Traverso in Italia
- Le statistiche americane ed europee sul rapporto tra gli stereotipi di genere e le
preferenze legate agli strumenti musicali negli alunni delle scuole primarie
- Conclusione
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INTRODUZIONE
In questi ultimi anni, molta letteratura si è occupata di argomenti quali parità di genere e/o
stereotipi di genere in diversi ambiti della vita privata e professionale delle donne. Tra questi, un
campo di ricerca forse poco esplorato in Italia è quello degli stereotipi di genere legati al mondo
della musica, e in particolare alle professioni che girano attorno al settore musicale. A riprova di ciò
sta il fatto che tra gli autori presenti all’interno di questa ricerca, soltanto una, Clementina Casula,
è tutt’ora attiva in Italia (seppure con collaborazioni a livello internazionale), il resto dei riferimenti,
invece, proviene dal mondo anglosassone (anglo-americano in particolare). Dopo un breve percorso
di riepilogo storico rispetto al rapporto tra donne e utilizzo degli strumenti musicali, con specifico
riferimento ai tipi di strumento più diffusi in ambito femminile e alle relative condizioni di esclusione
legate al genere - che hanno precluso, ad esempio, per diversi anni alle musiciste la possibilità di
suonare gli strumenti a fiato - si farà cenno all’interessante caso studiato dalla ricercatrice Tia
DeNora sulla progressiva scomparsa dalla scena pubblica delle pianiste tra la fine del 1700 e la prima
metà del 1800 a causa del forte impatto che la musica di Beethoven, e soprattutto i suoi modi di
esecuzione, hanno avuto a livello sociale. Da questo si trarrà spunto per parlare dell’evoluzione nelle
professioni della musica classica in Italia della figura femminile, facendo riferimento nello specifico
a ciò che è accaduto all’interno dei nostri Conservatori di musica e al perpetrarsi di determinati
“antichi” stereotipi riferiti soprattutto agli strumenti a fiato, con l’unica eccezione del flauto come
strumento che ha subito all’inverso, in tempi più recenti, un processo di femminilizzazione. Infine,
si traccerà una breve panoramica su alcuni studi realizzati sui bambini appartenenti ad alcune scuole
europee e americane rispetto alle loro preferenze sugli strumenti musicali mirati a comprendere
come già in tenera età essi siano in grado di realizzare associazioni di genere, confermando in parte
quanto rilevato all’interno dei Conservatori italiani anche rispetto alla femminilizzazione del flauto.
Cenni di Storia sull’utilizzo degli strumenti musicali da parte delle donne fino alla prima metà del
1700
Le donne, al pari degli uomini, hanno avuto contatti con la musica e con gli strumenti musicali fin
dall’era classica, infatti, sono molti i riferimenti nella mitologia greca e romana a divinità che
amavano accompagnarsi - o farsi accompagnare da donne o muse - con strumenti quali l’aulos
(l’antenato dell’oboe), la tromba e i tamburi a sonagli.
(..) se torniamo all'era classica antica, troviamo abbastanza spesso donne che vengono
rappresentate mentre suonano gli “aulos” - gli antenati acuti e a doppia canna del nostro oboe - e
gli uomini sono mostrati mentre suonano l'arpa o la lira. (…) Questo è senza dubbio dovuto al fatto
che la lira a corde, insieme alle sue armonie doriche, era associata al culto raffinato e civile del dio
Apollo, e secondo Aristotele, aveva un "carattere particolarmente virile", mentre l'aulos e il suo
“modo frigio” era associato ai riti orgiastici di Dioniso e possedeva un carattere "eccitante e
violentemente emotivo". In particolare, l'aulos era associato alle frenetiche menadi, le donne seguaci
di Bacco. (Rita Steblin, 1995, pp. 130-131)
Quindi, a dispetto di ciò che è accaduto nei periodi successivi dal tardo Medioevo in poi,
paradossalmente, il carattere maggiormente “emotivo” di certi strumenti a fiato li vedeva associati
a figure femminili, mentre la raffinatezza dell’arpa, tra gli strumenti a corde, faceva sì che essa si
potesse associare all’uomo colto e civilizzato dell’era classica. Tuttavia, vedremo più avanti, come
queste associazioni di genere siano state in buona parte ribaltate, essendo la maggioranza degli
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strumenti a fiato nelle orchestre tutt’ora abbinata agli uomini mentre l’arpa di dominio quasi
esclusivamente femminile (Casula, 2019). Arrivando al tardo Medioevo, un’importante
testimonianza del ribaltamento di questi stereotipi è racchiusa nell’opera scultorea di Luca della
Robbia la "Cantoria", un’incisione in rilievo scolpita tra il 1432 e 1438 nel soppalco per organo del
Duomo di Firenze. Qui, si può notare come i ragazzi vengano rappresentati con strumenti come
trombe, pipe e tamburi – ovvero strumenti a fiato e percussioni – mentre le ragazze siano munite
esclusivamente di strumenti a corde quali salterio, cetra o liuto.
La divisione di genere, in questo caso, si basava sull’idea che gli strumenti abbinati agli uomini
avessero un carattere maggiormente rumoroso e concitato, mentre quelli a corde - avvezzi alle
donne - uno stile sicuramente più elegante e rilassato che avrebbe comportato certamente una
maggiore compostezza al momento dell’esecuzione. In pratica, si delinea un principio di maggiore
partecipazione nella musica maschile, determinando un contrasto tra i due sessi che si potrebbe
sintetizzare con “attivo” (per gli uomini) e “passivo” (per le donne) che nel mondo occidentale si
trascinerà, quasi intatto, nel corso dei secoli a venire (Steblin, 1995). Qualche anno dopo l’opera di
Della Robbia, un documento prezioso per le tesi qui riportate è sicuramente il trattato in cui Baldesar
Castiglione descrive il corretto “comportamento sociale” dei suoi contemporanei nel 1528. Il suo
“Libro del Cortigiano“ è stato estremamente influente nel dettare l’appropriata condotta femminile
per molti secoli dopo di lui. Castiglione scrisse:
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(…) non pare essere per una donna maneggiare armi, cavalcare, giocare a tennis, lottare e fare molte
altre cose adatte agli uomini... Non solo non avrei voluto che lei si impegnasse in tali esercizi virili,
robusti e faticosi, ma anche che questi potessero diventare adatti a una donna. Vorrei che la sua
pratica fosse misurata e attuata con quella gentile delicatezza che come abbiamo detto le si addice;
...gli strumenti musicali che suona dovrebbero essere nel mio parere appropriati a questo intento.
Considerando che cosa sgraziata sarebbe vedere una donna che suona il tamburo, il piffero, le
trombe o altri strumenti simili; e questo perché la loro asprezza nasconde e rimuove quella soave
delicatezza che adorna così una donna in ogni suo atto. (ivi, p. 128-9)
Questo atteggiamento severo e limitante nei confronti delle aspiranti musiciste sembra essersi
intensificato nel corso del periodo rinascimentale, come sostiene Edith Borroff lo sviluppo di un
nuovo assetto sociale, specialmente in Italia "ha deprivato le donne del potere, creando una cultura
patriarcale e, in generale, ha riportato le donne indietro nella loro ricerca di libertà umana e
autonomia”(ivi; cit. da Borroff, 1975). In pratica, essendo depotenziata la posizione delle donne
all’interno della società dell’epoca sotto molti aspetti, anche l’ambito musicale ne ha fortemente
risentito soprattutto nei contesti più formali, poiché il posto riservato alle donne era in casa e le era
“sconsigliata” la partecipazione a molti eventi pubblici. “(…) Non è stato sempre così. Borroff scrive
che l'era medievale è stata invece "un periodo di produttività, di donne professioniste – compositrici
comprese. La lingua provenzale aveva un termine trobairitz, che significa donna trovatore, e
l’inglese antico aveva parole come hearpestre, donna arpista, e timpestere, donna suonatrice di
tamburo” (ivi; cit. da Borroff, 1975). Tuttavia, il fatto che nel passaggio dalla cultura classica a quella
rinascimentale ci sia stato un progressivo ribaltamento per cui gli strumenti più rumorosi ed
energizzanti, e quindi emotivamente più destabilizzanti, siano divenuti quelli maggiormente vietati
alle donne a favore di strumenti più placidi e aggraziati, dimostra secondo Steblin la natura in gran
parte arbitraria degli stereotipi di genere.
(…) Una donna del Rinascimento non avrebbe mai potuto essere vista suonare la tromba. Questo
strumento era stato a lungo associato ai militari ed era usato per dare la carica alle truppe e inviare
segnali in battaglia. La carriera militare era una prerogativa riservata solo ai maschi, e non avrebbe
potuto esserci l’opportunità per una donna di imparare a suonare questo strumento in un ambiente
militare. Non c'erano, inoltre, possibilità che le donne imparassero la speciale tecnica del clarino - e
partecipassero agli alti privilegi e stipendi dei trombettieri reali - poiché tutto ciò era controllato da
un esclusivo sistema di corporazione maschile. Le donne non suonavano nemmeno nelle bande di
paese (ivi, p. 131).
Anche nel caso di alcuni dipinti o arazzi risalenti al Rinascimento in cui si notano donne suonare il
tamburello, piuttosto che il corno, il riferimento è sempre al periodo classico e alla sua mitologia
come ci suggerisce la stessa autrice. Come pure all’interno del mondo ecclesiastico, in cui le posizioni
attive erano riservate agli uomini, le donne venivano isolate, con le sole suore che, nella clausura e
nell’intimità dei loro conventi, potevano esibirsi all’organo solo per motivi religiosi e rituali.
(…) Le donne erano scoraggiate anche dal suonare il violino. Non c'è dubbio che ciò fosse a causa
dello stesso atteggiamento - la paura della perdita della rispettabilità - che ha vietato alle donne la
presenza sul palco. Fu molto presto, dopo lo sviluppo del violino nell’anno 1550 nel nord Italia, che
questo strumento sostituì pipe e oboi come strumenti abbinati alla danza. Quindi, fu a causa di
questo abbinamento che il violino venne associato al tipo di musicista "Bier-Fiedler" di bassa classe.
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Le donne partecipavano ai balli, ma non suonavano durante le danze. Anche dopo che il violino ebbe
guadagnato rispettabilità per il suo ruolo nel quartetto d'archi e nell'orchestra sinfonica,
l'associazione con la pista da ballo fu sufficiente per vietare alle donne di suonare il violino. Una
recensione del “London Times” del 1817 si oppose a un concerto in cui una ragazza suonava il violino,
con la motivazione che esso era "inadatto alle abitudini e aspirazioni prescrittive di una donna."
Suonare il violoncello poi, era particolarmente malvisto poiché la donna sarebbe stata costretta ad
allargare le gambe! (ivi, p. 132-3)
Questi riferimenti alle convenzioni del tempo e alla postura del corpo riguardavano certamente
anche gli strumenti a fiato, per cui si inizia bene a comprendere come non fosse soltanto una
questione di maggiore “chiassosità dello strumento” a proibire alle donne di suonare la tromba, le
percussioni o il violino, ma ci fosse (e come vedremo, in parte esiste ancora) anche una ragione
fortemente legata alla fisicità delle donne e allo sessualità e, di conseguenza, a ciò che
pubblicamente si poteva o non si poteva mostrare, come più avanti si dirà anche attraverso il caso
delle pianiste approfondito da Tia DeNora (DeNora, 2000). Rispetto, invece, agli strumenti che per
le donne era lecito suonare durante tutto il periodo rinascimentale (e lo sarà anche in quelli
successivi) troviamo proprio tutti i tipi di tastiere che costituiscono nel loro insieme la base del più
recente pianoforte.
(..) Un altro caso storico di due sorelle aristocratiche inglesi, inviate a metà del decennio del 1530
per essere educate in Francia, mostra che una "ha imparato a suonare grazie a un paio di virginali
inviati dall'Inghilterra" e l'altra "ha studiato il liuto, il cembalo e la spinetta." Un rapporto del XVIII
secolo che denuncia la denigrazione nell'istruzione ricevuta nei collegi del Paese, osserva che le
ragazze avevano imparato "a tremare invece di cantare, a saltare invece di ballare e a far
rimbombare i virginali, grattare i liuti e rastrellare le chitarre”. (Steblin, 1995, p. 133-4).
Queste testimonianze, oltre a ribadirci che le preferenze femminili venivano indirizzate quasi
esclusivamente verso strumenti a corde pizzicate (liuto, cembalo, spinetta, virginale, chitarra…),
servono anche a darci la misura di quanto potesse essere difficile accettare socialmente che una
donna potesse avere sopraffine capacità musicali esprimendo un pregiudizio legato alla tecnica, ma
anche quanto, sotto il profilo del costume, questa pratica fosse vista come poco appropriata anche
quando riguardava strumenti considerati tuttavia leciti. Riguardo all’associazione con questi
strumenti, vale la pena sottolineare il caso del virginale, un clavicembalo di forma rettangolare che
era forse lo strumento più popolare all’epoca fra le giovani ragazze in età da marito, e che era stato
così battezzato non a caso, proprio per far riferimento a coloro che per convenzione vi si
applicavano, come racconta bene Steblin:
(…) Paulus Paulirinus nel “Tractatus de Musica” (anno 1460) scrive: “sono chiamati virginali a causa
della qualità morbida, dolce e delicata del loro tono, simili alla voce di una giovane donna”. La
“Parthenia” del 1611, la prima composizione musicale stampata per virginale, ha un frontespizio che
raffigura una giovane e modesta signorina che suona lo strumento, sotto l'intestazione “Parthenia
o La Verginità nella prima composizione che sia mai stata stampata per i Virginali”— poiché, si
riferisce a un gioco di parole che coinvolge la natura delle vergini. Anche due tra i primi dizionari
inglesi definiscono lo strumento con il termine di “vergine”. La voce nel “Ductor in Linguas” (1617) di
John Minsheu recita: “Virginalls, Instrumentant Musicum propriè Virginum... così chiamato perché
lo suonano le vergini e le nubili; Latino, Clavicymbalum, Cymbaleum Virginaeum”. La
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“Glossographia” di Thomas Blount del 1656 ha la seguente dicitura: “Virginal (Virginalis) Fanciulla
pura, come Vergine; da qui il nome di quello strumento musicale, chiamato virginale, poiché più
comunemente lo suonano le vergini e le nubili”. (…) Sebbene "vergine" fosse principalmente un
termine di uso inglese, ci sono prove che, quando la parola è stata tradotta in altre lingue, abbia
conservato l’associazione con le giovani donne. Francis Galpin scrive riguardo ai virginali: "Nel 1581,
anche Vincenzo Galilei lo chiama Clavichordium matronale, usando la parola "clavicordo" nel senso
italiano riferito a qualsiasi cosa che avesse una forma di tastiera”. Heinrich Schutz, nella sua opera
per quattro cori “Veni, Sancte Spiritus”, SWV 475 (1620), designa lo strumento continuo per il terzo
coro come "FrawenZimmer" (signora). Werner Breig, editore del “Neue Ausgabe” di Schutz, afferma
che questa doveva essere la traduzione tedesca della parola "virginale". (ivi, p.134)
Steblin nota come sia molto presente nell’iconografia del XVIII secolo l’immagine della donna vestita
in abiti casalinghi, ma graziosi, ritratta accanto al virginale e possibilmente con la figura di un
uccellino in gabbia nei pressi, come a voler sottolineare la vita “reclusa” delle donne dell’epoca
costrette a rimanere in casa, mentre gli uomini, venivano raffigurati quasi sempre con abiti da
lavoro, o comunque da esterni. “Il virginale (e più tardi il pianoforte) era, ovviamente, il più casalingo
tra gli strumenti” (ivi). La pratica di suonare questo strumento si diffuse tra le adolescenti
soprattutto perché considerata come una tra le virtù che una giovane dell’epoca doveva possedere
se voleva sposare un “buon partito”; non interessava che fosse particolarmente abile, l’importante
era che mostrasse una certa grazia e attitudine, anche perché, generalmente, dopo il matrimonio
ella smetteva di suonare per dedicarsi esclusivamente alla cura del marito e dei figli. In pratica, non
si intravedeva nessuna possibilità di carriera, né di perfezionamento tecnico nella maggioranza dei
casi tra le giovani alle testiere. Un manuale di condotta inglese del 1781 riporta che "è comune
insegnare alle ragazze il clavicembalo, facendo mostra di una bella mano e di un dito agile, senza
dover necessariamente pensare se abbiano talento per la musica o anche semplicemente orecchio.
Serve piuttosto per colmare una lacuna nel tempo, che alcuni genitori non sanno come
impiegare”(ivi; cit. da Henry Home e Lord Kames, 1781). Quindi, divenne sempre di più un segno di
distinzione per le famiglie borghesi dell’epoca la possibilità che le figlie si cimentassero nell’arte di
suonare qualsiasi tipo di strumento a tastiera, laddove il virginale, con l’approssimarsi del XIX secolo
venne progressivamente sostituito dal pianoforte:
Alfred Loesser descrive la situazione nel suo capitolo "The Claviers Are Feminine" (“Il Pianoforte è
donna”): "Lì poteva sedersi, gentile e cordiale, ed essere un simbolo esteriore della capacità della
sua famiglia di pagare per la sua educazione e il suo decoro, del suo impegno per la cultura e le
grazie della vita, del suo orgoglio per il fatto di non dover lavorare e "correre dietro" agli uomini".
(…) Uno studio di Annemarie Krille sull'educazione musicale della donna tedesca tra il 1750 e il 1820,
conferma che il pianoforte (Klavier) innanzitutto, e in secondo luogo il liuto, la cetra e l'arpa erano
raccomandati come strumenti femminili. (…) Secondo Krille, gli strumenti che i pedagogisti tedeschi
ritenevano inadatti alle donne erano il flauto, il violino, il violoncello e l'organo. Uno di questi
pedagoghi, Karl Heinrich Heydenreich, nel suo libro “Der Privaterzieher” del 1800 suggerisce che: "Si
diventa una signorina per bene imparando a suonare il pianoforte: ella possiede così un piacevole
talento, un ornamento in più; ma suonare il violino o l'organo non è compatibile con la grazia del
sesso femminile. ...I movimenti del braccio che i violinisti devono compiere e le facce tirate
recherebbero un danno irreversibile alla femminilità". Questi sono gli stessi argomenti -
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i movimenti energici e le distorsioni facciali che danneggiano la grazia femminile - che Castiglione
usava nel 1528. (ivi, 137-8)
In un articolo intitolato "Vom Kostiim des Frauenzimmer Spielens ", che apparve in forma anonima
nel 1784, ma che è stato attualmente attribuito al pastore, compositore e autore musicale Carl
Ludwig Junker, si afferma:
"alcuni strumenti non sono pensati per le donne ... Sarebbe preferibile, ad esempio, che il corno, il
violoncello, il contrabbasso, il fagotto, la tromba fossero suonati solo dagli uomini”. Junker fornisce
delle ragioni precise a sostegno di questo punto di vista, che divide, come fosse un sermone, sotto
tre voci principali. La prima…
“nasce dalla sensazione di inadeguatezza che (a sua volta) deriva dall'associazione di idee che unisce
i movimenti corporei alla moda nell'abbigliamento. …Troviamo ridicolo vedere una signora che
indossa una gonna ampia (Poschen) o, peggio ancora, una crinolina (Reifrok), esibirsi al
contrabbasso, ridicolo quando la vediamo suonare il violino in un vestito dalle maniche ampie che si
muovono avanti e indietro - ridicolo quando la vediamo soffiare il corno in una fantasiosa
acconciatura (Fontage).” (ivi, p. 138)
Inoltre, Steblin sottolinea come anche certi passaggi nel suonare il pianoforte e altri strumenti a
corda, avrebbero potuto richiedere una forza e un’energia che andava oltre il consentito e quindi
suscitare l’idea nella mente degli spettatori di un temperamento collerico della musicista che si
cimentava in così “ardite” esibizioni - in perfetto accordo con quanto rilevato da DeNora rispetto
alle pianiste che evitavano di esibirsi pubblicamente con le composizioni di Beethoven (DeNora,
2000). Tutto questo, come suggerisce l’articolo di Junker, ribadiva l’associazione stereotipata
rispetto alla figura femminile come rappresentante del sesso debole. Oltre a questo, l’altro fattore
che emerge molto chiaramente da questo articolo, secondo Steblin (e che rafforza i concetti che più
avanti vedremo espressi da DeNora), è quello delle possibili allusioni sessuali e della postura del
corpo nel suonare determinati strumenti: “(…) Poiché, esibirsi al violoncello comporta la pressione
del seno, quando lo si porta vicino al busto, e l’apertura delle gambe, cosa che in molti susciterebbe
immagini che non dovrebbe essere suscitate” (Steblin, 1995; cit. da Junker, 1784).
In sintesi, i fattori di tipo sociale e convenzionale sin qui rilevati rispetto alla segregazione di genere
delle musiciste si possono riassumere con tre principali motivazioni:
- L’immagine gentile ed elegante della donna dell’epoca, cui si legava anche un preciso ed
“ingombrante” codice di abbigliamento che malamente si conciliava con l’approccio a
determinati strumenti (violino, tromba, percussioni…).
- L’associazione delle donne secondo una divisione di genere con il sesso debole e quindi
l’esclusione di tutte quelle pratiche musicali che richiedevano particolare forza ed energia.
- Le possibili allusioni sessuali suscitate dall’esibizione della donna con determinati strumenti
musicali - come il flauto, la viola da gamba o il violoncello - che venivano giudicate immorali.
Un’altra notazione importante riguarda il fatto che le attività musicali consentite alle donne ancora
alle soglie del XIX secolo, erano principalmente attività di “accompagnamento” da abbinare al canto
o con funzione di gradevole sottofondo durante eventi casalinghi più o meno mondani:
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(…) rafforzavano l'idea prevalente che il sesso femminile fosse "debole" e "secondario". I potenti
strumenti solistici, come il violino, l'oboe o la tromba, erano riservato solo ai maschi. Questa rigida
divisione di genere tra strumenti rifletteva i ruoli dei due sessi all’interno della società: gli uomini
(solisti o leader) ricoprivano posizioni di potere mentre le donne (accompagnatrici o seguaci)
facevano quello che veniva detto loro di fare - erano sottomesse. Le uniche opportunità per le donne
di fare musica erano in casa, come parte dell’intrattenimento domestico: le posizioni professionali
nella musica - in chiesa, a corte o nelle orchestre teatrali - erano riservate ai soli maschi. Se il "clavier"
(la tastiera) - sia che fosse virginale, clavicembalo, clavicordo, o pianoforte - rimase sempre lo
strumento femminile preminente, altri strumenti considerati adatti - liuti e viole, arpe e chitarre –
diminuirono la loro popolarità in base alla moda del momento. (ivi, pp. 139-140)
Tuttavia, proprio grazie al veloce mutare delle mode, ci fu un’eccezione che vide le donne
primeggiare nell’approccio ad uno strumento particolare, la cosiddetta armonica a bicchieri (musical
glasses), suonata passando le dita sul bordo inumidito dei bicchieri e divenuta molto popolare nei
tour musicali europei di fine ‘700 in cui le donne, per la prima volta, ebbero la possibilità di viaggiare
e di mostrare in giro le proprie abilità musicali.
(…) anche Mozart e Beethoven scrissero pezzi per questo strumento. La maggior parte degli
interpreti erano donne, compresa la giovane inglese Marianne Davies, che ha usato l'armonica a
bicchieri, regalata da Franklin [il suo inventore], come strumento di accompagnamento per sua
sorella, una cantante; e la musicista non vedente Marianne Kirchgessner, per la quale Mozart scrisse
il suo Quintetto, K. 617. Come strumento relativamente nuovo, l'armonica non doveva combattere
contro una tradizione secolare di stereotipi di genere e quindi poté essere facilmente adottata da
interpreti femminili. Essa ha anche contribuito a introdurre la nozione di musicista donna “nomade”
presso il pubblico delle corti europee. (ivi, p. 142)
In effetti, rispetto all’immagine della donna musicista da camera, le prime novità che si avvertono
in questi anni riguardano le figlie dei musicisti professionisti, alle quali fu concesso di esibirsi
pubblicamente anche con strumenti ritenuti all’epoca inappropiati:
Ad esempio, in Francia le figlie di alcuni famosi suonatori di viola come Sainte-Colombe, Marais e
Caix sono diventate velocemente abili performer (persino con viola da gamba), anche se non sono
mai riuscite a ottenere un appuntamento nella cappella reale. La dinastia musicale dei Couperin
produsse molte organiste nel corso di quasi duecento anni. Senza dubbio l’influenza del loro
cognome ha contribuito a garantire posizioni professionali a molte delle figlie Couperin (ibid.).
Un altro fattore che contribuì ad aumentare la mobilità femminile presso le corti europee furono le
tournée dei bambini prodigio, tra cui spicca la figura della sorella di Mozart, una promettente
pianista anch’essa figlia di un musicista cappellano di corte:
(…) Questo è stato anche il periodo di cambiamenti rivoluzionari nella struttura della società: il
declino dell'autorità aristocratica e religiosa e l'ascesa di nuova ricca classe media. Uno dei viatici
che ha portato alla dissoluzione del vecchio stereotipo sugli strumenti musicali fu l'avvento delle
tournée dei bambini prodigio. Il caso di Mozart fu d'ispirazione per molti padri nell’educare i loro
bambini e metterli in mostra nelle sale da concerto, spesso con grande successo economico. Poiché
la novità era una parte importante di questi “affari da circo”, il pubblico era spesso attratto dallo
spettacolo di una giovane ragazza che suonava il violino o il flauto. All'inizio le ragazze erano
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costrette ad abbandonare la loro carriera al raggiungimento della pubertà (come nel caso di Nannerl
Mozart o della violinista Gertrud Schmeling, che tuttavia riuscì a cambiare il suo "strumento" e
divenne celebre come “la cantante Mara”). (ivi, p. 143)
Che ci fosse in quel periodo (seconda metà del 1700) una grande ammirazione verso i bambini
prodigio indipendentemente dal loro sesso, lo conferma il testo che Norbert Elias ha dedicato
proprio al genio del fratello di Nannerl e alle motivazioni sociali che hanno contribuito a costruire la
sua fama di artista geniale:
Mozart ebbe un’infanzia abbastanza inconsueta. Ancor oggi è noto come il “bambino prodigio” per
eccellenza. Già all’età di quattro anni, sotto la guida del padre, era in grado di studiare e in
brevissimo tempo di eseguire brani piuttosto difficili. A cinque anni iniziò a comporre; prima dei sei
anni il padre iniziò insieme a lui e alla sorella la prima tournée di concerti a Monaco, ove i due
bambini si esibirono dinanzi al principe elettore di Baviera, Massimiliano III. Più tardi, nell’autunno
del 1762 i tre Mozart andarono a Vienna, suonando tra l’altro anche alla corte imperiale. (…)
L’immenso successo che Leopold Mozart riscosse a Vienna dall’esibizione dei suoi figli, e soprattutto
del maschietto, lo indusse a organizzare una “tournée in giro per il mondo” attraverso le corti e i
castelli d’Europa. (Elias, 2019, p. 76)
Tuttavia, come già osservato da Steblin, la carriera di Nannerl Mozart, finì presto con l’arrivo
dell’adolescenza; quando il padre dovette decidere a quali fra i due talenti dedicare maggiore
attenzione, man mano che il suo compito di genitore ed educatore musicale si faceva sempre più
impegnativo a causa dei continui spostamenti, preferì concentrarsi su Wolfgang, sacrificando la
figlia, la quale, come usava all’epoca, era sufficiente sposasse un uomo facoltoso per non essere più
“un peso” all’interno del bilancio famigliare. Si dovette quindi attendere la fine del XIX secolo per
vedere i reali effetti del cambiamento con una partecipazione sempre maggiore delle musiciste alla
scena pubblica anche con strumenti ritenuti fino a qualche decennio prima assolutamente vietati
per le convenzioni e le regole di etichetta imposte un po’ in tutto il mondo occidentale: “(…) ma
quando il pubblico si abituò a vedere sempre più ragazze suonare strumenti precedentemente
riservati ai maschi, i vecchi stereotipi iniziarono a scomparire, almeno per quanto riguardava il
violino, il violoncello e gli strumenti a fiato più leggeri” (Steblin, 1995). E qui, il riferimento agli
“strumenti a fiato più leggeri” in qualche modo anticipa ciò che nei paragrafi successivi si dirà
riguardo alla femminilizzazione del flauto.
L’affermazione della musica di Beethoven e la conseguente scomparsa delle pianiste dalla scena
pubblica viennese: uno studio di Tia DeNora
La ricercatrice Tia DeNora nel suo studio “Corpo e Genere al Piano” ci racconta della brusca frenata
in qualche modo imposta alle donne nella loro rincorsa all’abbattimento dei limiti dovuti alle
convenzioni di genere, proprio nel momento in cui le corti europee aprivano le loro porte alle
musiciste dando loro la possibilità di approcciare anche strumenti a loro inconsueti di fronte a un
discreto pubblico di amatori. Facendo un passo indietro allo studio di Steblin, si è detto che già nel
corso del XVIII secolo il pianoforte (e prima ancora tutti i suoi antenati virginale, clavicembalo, ecc.)
divenne lo strumento sicuramente più diffuso tra le donne appartenenti all’aristocrazia e all’alta
borghesia ̶ le uniche classi a potersi permettere uno strumento così costoso come sottolinea
DeNora (DeNora, 2000) – e che dopo una prima fase in cui le pianiste furono confinate nell’area
domestica, poterono iniziare ad esibirsi pubblicamente a partire dalle cosiddette figlie d’arte come
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le appartenenti alla famiglia Couperin (Steblin, 1995). Tanto che, da indagini fatte, DeNora ci dice
che attorno all’anno 1796 a Vienna “la musica non era molto sessuata, e gli uomini e le donne erano
nelle esecuzioni pubbliche al pianoforte eguali sotto il profilo musicale” se non fosse che, qualche
decennio dopo, nel 1850, nella maggior parte delle città europee “la scena pubblica pianistica era
una giurisdizione piuttosto garantita dei virtuosi di genere maschile” (DeNora, 2000). Quello che la
studiosa tenta qui di spiegare è il perché di questa drastica diminuzione nella componente musicale
femminile al pianoforte (lo strumento appunto più frequentato dalle donne) proprio in un momento
in cui le pianiste iniziavano ad ambire ad una carriera da professioniste. Una risposta a questa
domanda DeNora la trova nel progressivo consolidarsi del Canone Classico musicale e nel
cambiamento di valore della pratica pianistica, quando i musicisti iniziavano a fare il salto dallo
status di lavoratore alle dipendenze della corte, a quello di libero professionista in grado di gestire
in maniera autonoma la propria carriera. Quello che non riuscì mai completamente di fare a Mozart
– forse troppo in anticipo con i tempi come rilevato da Norbert Elias nel suo libro “Sociologia di un
Genio” (Elias, 2019) – ma che invece riuscì successivamente con successo a un altro grande musicista
e compositore come Beethoven.
Nessuno “dichiarò” mai che le donne non avrebbero più dovuto esibirsi al piano. E tuttavia, a metà
del secolo, il virtuoso di pianoforte era molto spesso un uomo, meglio ancora un uomo prorompente,
dalla sagoma elevata, fisicamente prestante: in effetti, un “signore” (master) della musica. Come è
avvenuto questo cambiamento? È indubbio che l’immagine di Beethoven al pianoforte offrì un
riferimento cruciale per l’articolazione dell’ideologia e delle pratiche musicali di metà Ottocento. Lo
spettro di Beethoven fu utilizzato dai musicisti successivi come un’icona (…) dello status professionale
del musicista. (DeNora, 2000, pp. 166-167)
DeNora sostiene che il repertorio compositivo di Beethoven unito alle tecniche esecutive dei suoi
brani al pianoforte e al tipo stesso di strumento utilizzato (l’artista fece pressione affinché si
producesse un pianoforte che fosse più in linea con l’andamento impetuoso della sua musica) siano
alla base della grande disparità tra i due sessi al pianoforte nel corso della prima metà
dell’Ottocento. Eppure nella Vienna del 1976, come anticipato, l’attività dei pianisti non rispondeva
ad alcuna connotazione di genere particolare, e il pianoforte risultava essere lo strumento in
assoluto maggiormente utilizzato dalle classi più abbienti, a dispetto di altri strumenti meno costosi
e raffinati, come ci ricorda DeNora confermando lo stereotipo – già presentato da Steblin - legato
agli strumenti a fiato e alle percussioni considerati non adatti all’immagine soavemente ed
elegantemente composta delle donne dell’epoca, oltretutto imbrigliate in corsetti e accessori
difficili da conciliare con la fisicità dell’esecuzione:
(…) gli strumenti a fiato implicavano la distorsione facciale e l’esercizio fisico in un’epoca in cui i
valori musicali aristocratici celebravano un corpo disciplinato, asciutto e sereno, incipriato, coperto
da una rigida giacca di broccato e calzamaglie di seta, o chiuso in un corsetto in una enorme veste
scollata. Desta quindi poca sorpresa che ci siano pochi ritratti di strumentisti a fiato: era, in altre
parole, difficile conformarsi ai valori della cultura estetica musicale del tardo Settecento
soffiando, ansimando, sputando, facendo smorfie e forse anche congestionandosi, o diventando
violacei. (…) In secondo luogo, queste convenzioni sembrano essere state applicate in modo più
rigoroso nei confronti delle donne che degli uomini. (…) Insomma, alcuni strumenti erano, per lo
meno de facto, proibiti alle donne… (ivi, pp. 168-169)
10
E poi, prosegue, citando John Essex da un saggio del 1772 sulle regole comportamentali delle donne
dopo il matrimonio:
Il clavicembalo, la spinetta, il liuto e la viola da gamba sono strumenti molto adatti alle signore
(…) ce ne sono altri che sono realmente disdicevoli per il gentil sesso come il flauto, il violino e
l’oboe; l’ultimo dei quali è troppo maschile e sarebbe indecente su una bocca di donna; anche il
flauto è molto sconveniente, perché porta via troppi di quei succhi che sono più necessari per
produrre l’appetito ed assistere la digestione. (ivi, p. 169)
La frase riguardo alla sconvenienza del flauto di John Essex è un ulteriore elemento utile al racconto
che svilupperemo in seguito sulla sua femminilizzazione avvenuta in tempi più recenti. Ma, tornando
al pianoforte, anche i numeri registrati tra la fine del Settecento e i primi dell’Ottocento rispetto alle
esibizioni concertistiche al piano in ambiente viennese, confermano secondo quanto rilevato da
DeNora: una sostanziale parità di presenze tra donne e uomini, con addirittura un picco a favore
delle donne negli anni tra il 1805 e il 1809. Tuttavia, proprio negli anni tra il 1804 e il 1810, comincia
a notarsi una disuguaglianza tra uomini e donne al piano, se non dal punto di vista quantitativo
generico, dal punto di vista di coloro che, nello specifico, si cimentavano con il repertorio in assoluto
più richiesto all’epoca, quello di Beethoven; in particolare, non si rilevano pianiste che abbiano
eseguito la forma del concerto. Le uniche eccezioni risalgono agli anni immediatamente precedenti
e riguardano soltanto due musiciste, Josepha Auernhammer – conosciuta anche per essere stata
amante di Mozart per qualche anno – e una certa Miss Stummer. In pratica, in tutte le altre occasioni
in cui le donne hanno approcciato Beethoven lo hanno fatto quasi esclusivamente in forma di
accompagnamento o attraverso tema e variazioni, il più femminile tra gli stili possibili. Le musiciste
suonavano ancora il repertorio dei concerti mozartiani nella grande maggioranza dei casi, e DeNora
fa notare come Mozart, a differenza di Beethoven, avesse dedicato la gran parte delle sue
composizioni alle donne (fare una dedica equivaleva generalmente a preferire un’esecuzione da
parte di un genere piuttosto che di un altro). E dire che lo stesso Beethoven aveva espresso, in più
di un’occasione, il suo apprezzamento nei confronti delle interpretazioni femminili dei suoi brani:
“Questo non è esattamente il tono che volevo dare a questo pezzo – si dice che abbia detto a
Madame Bigot, sentendola suonare una delle sue ultime sonate – ma vada avanti. Non è
esattamente mio, ma è qualcosa di meglio” (DeNora, 2000). In generale, sono diverse le
testimonianze che confermano l’abilità pianistica delle donne; di conseguenza, se si esclude il limite
tecnico, resta la questione del perché esse fossero restie soprattutto nell’eseguire le più recenti
composizioni beethoveniane, ripiegando invece su un repertorio più antico e che rischiava di
lasciarle fuori dal giro dei musicisti più richiesti nelle corti. Secondo DeNora, la spiegazione va
ricercata nel nuovo risalto che aveva assunto la figura del pianista durante le esibizioni pubbliche di
Beethoven soprattutto nell’ambito del concerto:
(…) l’esecuzione delle innovazioni musicali di Beethoven (…) ridefiniva il corpo sotto il profilo della
sua esibizione come della sua concezione. Questa ridefinizione venne portata alle estreme
conseguenze nel genere del concerto dove il corpo del pianista si caratterizzava come una figura
solitaria che risaltava sullo sfondo di un accompagnamento orchestrale. (…) All’incirca nel 1800,
quando tutta la musica era prodotta e consumata dal vivo, e quando la ricezione della musica
pressoché immancabilmente presupponeva la visibilità dei musicisti, il ruolo del corpo esecutore era
chiaramente all’apice. Fondamentale, nella storia di questo corpo, è la questione di quali fossero le
pratiche tecniche che un’opera musicale esigeva da esso, come quel corpo fosse musicalmente
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costretto e, durante l’esecuzione, configurato da queste pratiche. Parlare di simili questioni significa
interrogarsi sul tipo di corpo che un esecutore sviluppava o aveva bisogno di sviluppare per produrre
un determinato effetto sonoro. (…) In altri termini, che tipo di corpo al piano produceva la musica di
Beethoven? (ivi, pp. 175-176)
Per comprendere cosa ci fosse di nuovo nell’approccio esecutivo al pianoforte da parte di Beethoven
e della sua musica, forse vale pena riportare una citazione di un maestro e produttore di strumenti
musicali riferita a ciò che egli considerava positivo rispetto all’atteggiamento di un pianista nel 1976,
poco prima che la musica di Beethoven si imponesse con tutta la sua forza: “l’azione delle dita è
estremamente aggraziata (…) e com’è leggero il suo veloce steccato, come è calma la mano e com’è
perfetto il tono (…) Egli ha imparato a subordinare le sue sensazioni ai limiti dello strumento…” (ivi
– cit. da Streicher, 1984). In pratica, descrive la figura dell’esecutore perfetto come quella di colui
che ha un pieno controllo di sé e dello strumento, con un tocco gentile, mai fuori misura, abile a
nascondere lo sforzo che l’esibizione al piano comportava. Per questo, sottolinea DeNora, non vi
era quasi differenza nell’esecuzione al pianoforte da parte dei due sessi. Mentre “descrizioni coeve
delle esecuzioni di Beethoven e della sua musica suggeriscono che il modo di suonare di Beethoven
non era né calmo né aggraziato, e che si ‘appoggiava’ al corpo del musicista in forme nuove, che
poneva lo sforzo fisico del suonare – e la visibilità di questo sforzo – proprio al centro della pratica
pianistica” (ivi). Citando Carl Czerny, un suo allievo “il modo di suonare di Beethoven eccelleva per
la sua forza straordinaria, il suo carattere (…) la sua esecuzione non possedeva l’eleganza pura e
brillante di molti altri pianisti; ma, d’altro canto essa era energica, profonda, nobile (…) e,
soprattutto negli Adagio, altamente sensuale e romantico” (ivi - cit. da Newman, 1988). Tuttavia, a
dispetto dell’ammirazione da parte di questo allievo, per diverso tempo, Beethoven è stato oggetto
di critiche per gli stessi motivi per i quali veniva da altri elogiato; il suo fare irruento e a volte
scomposto sconvolse tutti i rituali imposti dalle convenzioni dell’epoca. Tanto che, con l’avanzare
della sua carriera, gli fu possibile convincere il più importante produttore di pianoforti dell’epoca, lo
Streicher citato in precedenza, a produrre uno strumento con “un tocco più resistente e un
meccanismo più elastico, in modo che il virtuoso che suona con energia ed espressività abbia
maggior controllo del suo strumento” (ivi - cit. da Newman, 1970). Di conseguenza, questa maggiore
visibilità del corpo con tutta la sua forza ed irruenza all’interno dell’esecuzione voluta da Beethoven,
una volta accettata dalla società a lui contemporanea, non poteva che scontrarsi, secondo DeNora,
con lo stereotipo che voleva la donna come unica rappresentante del sesso debole, docile e
aggraziata in ogni occasione, soprattutto nella pubblica esposizione del suo corpo:
(…) [ciò] costituisce il primo esempio nella storia della musica moderna di segregazione di genere
al piano. (…) ho sostenuto che le donne non suonavano i lavori di Beethoven perché la loro
esecuzione, e il tipo di pianoforte che questi presupponevano (…) esigevano abilità pianistiche e
corporali che erano in contrasto con le tradizionali costrizioni imposte al corpo aristocratico e, cosa
più importante, al corpo femminile e alla sua esibizione sulla scena musicale. Le nuove pratiche
pianistiche (…) non erano congruenti rispetto alle regole dell’esecuzione musicale femminile. Le
opere di Beethoven crearono così, e attraverso la loro ripetuta esecuzione diffusero, una nuova
“differenza” tra uomini e donne alla tastiera tra il 1796 e il 1810. (ivi, p. 185)
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La segregazione delle carriere professionali delle musiciste classiche all’interno dei Conservatori
italiani
Una volta introdotto il discorso sulla segregazione di genere in ambito musicale nel mondo
occidentale grazie alle indagini di Steblin e DeNora, in questo paragrafo proveremo ad approfondire
quanto questa questione abbia condizionato le carriere delle musiciste classiche in Italia, a partire
da una ricerca realizzata piuttosto di recente dalla studiosa Clementina Casula sulle presenze
femminili all’interno dei Conservatori italiani di musica. Lo studio di Casula parte proprio dal punto
in cui DeNora ha interrotto la sua indagine sulla quasi scomparsa delle pianiste dalla scena pubblica
musicale viennese attorno all’anno 1850; un periodo in cui, secondo Casula, il forte consolidamento
del canone classico (cui diede, come abbiamo visto, un forte impulso proprio Beethoven) ha
contribuito ad alimentare attraverso il suo solido repertorio - da quella stagione in poi per molti anni
a venire - le disuguaglianze sociali in ambito musicale, e a proposito di questo, la ricercatrice cita
proprio DeNora: “l'estraniamento dalla sfera professionale delle musiciste - mantenuto dai divieti
sull'esposizione e la creazione corporea - è stato rafforzato dall'aura eroica associata al talento e al
genio del musicista attraverso l'estetica romantica della musica assoluta”(DeNora, 2000).
Celebrato come fonte di autorità esclusiva del gusto musicale tramite le legittimate istituzioni per
l'educazione e la produzione musicale, come i Conservatori di musica o le Orchestre Sinfoniche
(Kingsbury, 1988; DiMaggio, 2009), il canone classico rappresentava non solo una selezione
arbitraria di prodotti musicali, ma anche un ordine sociale asimmetrico. (Casula, 2019, p. 2)
Nonostante questo, Casula sottolinea come già a partire dalla fine del diciannovesimo secolo, si
fosse registrato un cambiamento con una maggiore affermazione da parte delle donne nel mondo
del professionismo musicale, prima con le tournée delle bambine prodigio e le musiciste figlie d’arte
girovaghe per l’Europa e poi con le presenze femminili delle studentesse e delle insegnanti
all’interno dei conservatori e nelle orchestre per sole donne diffuse soprattutto negli Stati Uniti. Ma
la vera integrazione delle donne nella scena musicale occidentale è arrivata soltanto a partire dalla
seconda metà del Ventesimo secolo, soprattutto in seguito alle lotte femministe a favore della parità
dei diritti in campo sociale e professionale. “Nella pratica, tuttavia, l'integrazione delle donne
all’interno del lavoro qualificato si rivela più difficile del previsto e facilmente esposta a tacite ma
influenti forme di disuguaglianza basate sul genere (come la segregazione orizzontale e verticale, le
discriminazioni, un reddito più basso, maggiore precarietà del lavoro - Coulangeon e Ravet, 2003;
Buscatto, 2007b)” (ivi).
In questa ricerca l’autrice ha voluto soffermarsi sui due aspetti della formazione e dello sviluppo
successivo delle carriere delle musiciste classiche partendo dallo loro esperienza all’interno dei
conservatori, proprio per dimostrare come tutt’ora persista un principio di segregazione di genere
dovuto a diversi fattori come il perdurare di determinate convenzioni sociali limitanti rispetto al loro
campo d’azione (come, ad esempio, la pratica di strumenti considerati inadatti), la maggiore
esposizione delle donne agli abusi di insegnanti e colleghi, l’evidente difficoltà a raggiungere
posizioni di vertice solitamente riservate agli uomini, fino a ciò che dell’attività musicale se associato
al maschile può acquistare un’accezione positiva e se al femminile una negativa. “Svelare la natura
di genere delle istituzioni - e, in questo caso specifico, del mondo della musica classica - ci consente
di riconoscere le disuguaglianze vissute dalle donne professioniste non come un problema
individuale, collegato alle loro caratteristiche personali, ma come una questione sociale, da
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affrontare collettivamente” (ivi). Volendo iniziare questa breve ricognizione all’interno dei
conservatori di musica italiani, ci accorgiamo immediatamente che fin dal loro esordio che classi più
frequentate delle donne sono state quelle relative agli strumenti più comunemente a loro associati
sulla base degli stereotipi di genere già esistenti - confermando quanto già riportato da Steblin e
DeNora - come arpa, pianoforte e canto. Donne finalmente presenti seppure “di fronte alla forte
riluttanza dei dirigenti, preoccupati per le possibili conseguenze del loro inserimento in termini di
indebolimento degli standard didattici e dell'austera natura degli istituti (Pierre, 1990; DelFrati,
2017)” (ivi).
Dal punto di vista quantitativo, la popolazione degli studenti sembra aver mantenuto [nel corso degli
anni] un equilibrio di genere: dall'inizio del secolo la presenza femminile all'interno dei Conservatori
è stata quasi uguale a quella dei ragazzi - diversamente dagli altri segmenti dell'istruzione, come la
scuola secondaria o l'università dove è stata raggiunta un’equa partecipazione solo decenni dopo -
e questo equilibrio di genere è rimasto stabile, con piccole fluttuazioni, fino ad oggi. Questo fatto
può essere spiegato dalla forte legittimazione, nelle moderne società occidentali, della musica come
parte dell'educazione delle giovani donne, anche se principalmente mirata a esibire un simbolico
capitale famigliare, e valorizzare così il bagaglio culturale delle ragazze per utilizzarlo nel mercato
coniugale. Come discusso in precedenza, l'accesso delle donne era quindi tacitamente limitato a
quelle pratiche musicali che rispondevano ai criteri di distinzione di classe ed erano conformi ai ruoli
di genere (ivi, p. 4).
Quindi, a dispetto di una parità numerica delle presenze, le restrizioni femminili che si possono
notare con una certa continuità temporale riguardano la varietà piuttosto esigua di scelta rispetto
alle attività musicali a cui partecipare.
Durante la metà degli anni '30, con la comparsa della Seconda Guerra Mondiale si ridusse
significativamente il numero di studenti di sesso maschile, i 18 Conservatori nazionali registrarono
un leggero predominio delle ragazze (52% su una popolazione di quasi 2.800 studenti), le cui scelte,
tuttavia, sembrano essere costantemente legate alla convenzionale tipizzazione di genere delle
pratiche musicali: più della metà di loro (56%) si concentrava nei corsi di pianoforte, 17% in quelli di
canto e 5% nei corsi di arpa; l’unica nuova entrata in questo “vecchio club” fu il violino (ottenendo il
13% delle preferenze), il primo strumento tradizionalmente maschile a essere femminilizzato; meno
del 10% delle ragazze ebbe il coraggio di deviare dal modello convenzionale. Le scelte degli studenti
maschi, al contrario, rivelavano una maggiore libertà e un orientamento professionale più chiaro: la
classe preferita era quella del violino (con il 21% di preferenze), offrendo prospettive di carriera sia
come solista, che come musicista d'ensemble o membro di un’orchestra sinfonica, come molti altri
corsi scelti da studenti di sesso maschile. Sebbene le specializzazioni più prestigiose del canone
classico ottenevano ancora il loro riconoscimento (composizione 14%, pianoforte 10%, canto 9%,
organo 5%), più del 19% dei ragazzi si iscriveva a una varietà di corsi meno comuni (ivi, pp. 4-5).
Questi dati relativi ai primi decenni del 1900 confermano quindi un maggiore “timore” da parte delle
donne nell’intraprendere attività musicali meno convenzionali, tuttavia, in un periodo in cui la
percentuale di lavoratrici in Italia era quasi insignificante rispetto a quella degli uomini, la loro
discreta presenza all’interno dei conservatori di musica faceva ben sperare per un futuro di
maggiore eguaglianza tra i sessi almeno dal punto di vista delle carriere professionali. Facendo un
balzo agli anni Sessanta del secolo scorso, quello che si nota immediatamente è l’incremento del
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numero di conservatori diffusi su tutto il territorio (ora 35) e un leggero sorpasso nelle presenze da
parte maschile (il 57% del totale). Rispetto alle disuguaglianze di genere sembra, invece, allargarsi
la distanza tra uomini e donne riguardo al maggiore ventaglio di offerte che gli istituti erano in grado
di offrire e all’inserimento delle donne nei corsi strumentali di recente apertura come quelli tromba,
trombone e clarinetto - non a caso, tutti strumenti a fiato tradizionalmente poco praticati dalle
donne – e in quelli dedicati a nuovi generi musicali sperimentali come il jazz: “ancora più della metà
[delle donne] sceglie le lezioni di pianoforte (56%), 14% di canto, 9% di violino, 5% di arpa, mentre
solo l'8% fa scelte meno prevedibili; la sola l'innovazione rilevante è rappresentata
dall'apprezzamento per i corsi di composizione (7%), presumibilmente legato alla loro parallela
diminuzione nelle preferenze dei ragazzi” (ivi). È soltanto a partire dagli anni Novanta del 1900 che
si registra un significativo cambiamento nella frequentazione delle donne rispetto alla totalità dei
corsi a disposizione, in concomitanza con il raddoppio del numero dei conservatori aperti e a un
aumento di sei volte superiore della loro popolazione:
Mentre il nucleo del modello tradizionale [femminile] persiste ancora, seppure indebolito (con il 35%
delle preferenze per il pianoforte e per il 9% di canto), viene progressivamente ridefinito al fine di
includere gradualmente nella piena legittimizzazione delle pratiche musicali femminili, strumenti
preclusi alle donne in passato: la femminilizzazione già osservata con il violino è ora più evidente,
con il flauto che diventa uno degli strumenti preferiti delle ragazze. Inoltre, un numero significativo
di ragazze (33%) si apre a una grande varietà di corsi meno convenzionali, principalmente legati alle
specializzazioni del canone classico con tassi di inserimento più elevati nel mercato del lavoro,
assistendo ad un relativo declino nelle iscrizioni da parte dei ragazzi (ivi, p. 5).
Una riforma piuttosto recente - attuata alle soglie degli anni 2000 - dallo Stato italiano ha poi
ulteriormente allargato il ventaglio delle opportunità formative e professionali rivolte ai musicisti/e.
“Con la riforma dell’educazione artistica e musicale superiore (legge nazionale n. 508/1999) i
Conservatori di musica, insieme ad altri istituti d'arte nazionali, vengono inseriti nel livello di
istruzione terziaria. I nuovi curricula consentono una più ampia varietà di generi e repertori e un
profilo professionale per i musicisti più integrato nel sistema di istruzione generale” (ivi). Casula si
domanda a questo punto, quali effettivi mutamenti la riforma abbia causato dopo l’ampliamento
della partecipazione femminile registrato nel corso degli anni Novanta, considerando il fatto che
queste nuove norme hanno dato vita un sistema curriculare ibrido in cui, attualmente, ancora
convivono vecchi e nuovi indirizzi.
Nei vecchi curricula - che rappresentano ancora un quarto su una popolazione di quasi 49.000
studenti - possiamo vedere confermate e rafforzate le tendenze osservate alla fine del ventesimo
secolo: le scelte delle ragazze si attengono alle pratiche musicali femminili convenzionali, ma le
espandono per includere una più ampia varietà di corsi (dopo violino e flauto, anche violoncello e
clarinetto); le scelte dei ragazzi indicano una maggiore libertà, che si estende oltre il canone classico.
Questa immagine è sostanzialmente rispecchiata nei corsi "pre-accademici", rappresentanti quasi il
37% della popolazione studentesca. I "corsi accademici" - corrispondenti al livello di istruzione
terziaria, con un collegamento più diretto alla professionalizzazione - vedono una partecipazione
delle donne relativamente bassa (40%, contro quasi il 48% nei primi due curricula): anche in questo
caso, le scelte delle ragazze convergono principalmente all'interno del canone classico “allargato”,
mentre le scelte dei ragazzi sono più varie; simile è la rilevanza data da studenti e studentesse ai
corsi di formazione per l'insegnamento della musica (ivi, p. 6).
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In pratica, per quanto riguarda le donne, indipendentemente dai curricula, oltre ai corsi
tradizionalmente a loro associati e la successiva apertura alle classi di flauto e violino, le novità
riguardano l’approccio più consistente a strumenti come violoncello e clarinetto, mentre i ragazzi, a
differenza delle ragazze, confermano un ulteriore allontanamento dagli standard del canone
classico. Per meglio approfondire la sua ricerca, Casula, oltre a consultare i dati statistici, ha
analizzato i risultati di un questionario posto ai docenti uniti a una serie di colloqui realizzati con
studenti ed insegnanti provenienti dai conservatori italiani. Quello che risulta evidente ad una prima
analisi è il fatto che ancora oggi insista fortemente l’influenza famigliare soprattutto nei confronti
delle figlie femmine rispetto alla scelta di entrare in Conservatorio, nonché sul tipo di strumento da
suonare e quindi su quali corsi seguire, operando una continuità con ciò che avveniva già secoli
prima all’interno delle famiglie aristocratiche e alto-borghesi italiane ed europee in generale (come
riportato in precedenza da Stablin, 1995 e DeNora, 2000). Un altro elemento che emerge da queste
interviste è il fatto che si riscontra, almeno per quanto riguarda il territorio nazionale, una maggiore
accettazione e democrazia di scelta della componente femminile all’interno delle bande di Paese,
dove la musica è considerata principalmente come un divertimento e un piacevole passatempo,
piuttosto che all’interno dei conservatori, in quanto pressoché uniche istituzioni legittimate a
conferire e portare avanti le carriere musicali a livello professionale (Casula, 2019). Ecco cosa ha
dichiarato in proposito una studentessa diciottenne frequentante del corso di viola al conservatorio:
“(...) Ho iniziato a suonare durante la quarta elementare, ma il pianoforte (...) (poi) ho iniziato a
suonare il violino e dopo un anno ho deciso di entrare in Conservatorio ... l'anno scorso sono passata
dal violino alla viola. Allo stesso tempo, per passione, suono la tuba (...)”
CC: Come sei arrivata alla tuba?
“La tuba è... [ ride ] un amore che ho da quando ero piccola, da quando suonavo il pianoforte ...ma
la vedevo come qualcosa di un po’ difficile (da realizzare) ...invece tre anni fa, ho iniziato a suonare
anche quella (...) sapevo che c'era una banda (...) ci sono andata e ho chiesto se potevo cominciare:
ho fatto un anno con un insegnante (della banda) e poi ho continuato, quindi ora suono anche lì (...)”
CC: In che modo i tuoi genitori hanno preso la scelta della tuba?
“Papà suonava nella banda quando era giovane (e viveva in paese), studiava il sassofono; tuttavia,
quando si trasferì qui (in città), abbandonò completamente; infatti, più tardi, dopo che io ho iniziato
a suonare nella banda, gli ho permesso di riprendere lo strumento e ha ricominciato a suonare anche
lui ...”
CC: Che bello!
“La mamma è contenta (di questo): è felice, e orgogliosa ...” (ivi, p. 8-9).
Queste affermazioni, oltre a confermare quanto appena detto sull’influenza famigliare e sulla
maggiore libertà di scelta all’interno delle bande da parte delle donne, ribadisce lo stereotipo di
genere legato agli strumenti a fiato rispetto alla componente femminile: “per passione, suono la
tuba… (…) La tuba è... un amore che ho da quando ero piccola, da quando suonavo il pianoforte...
ma la vedevo come qualcosa di un po’ difficile (da realizzare)” sono le dichiarazioni della studentessa
diciottenne che confermano come, nonostante il trascorrere del tempo e le maggiori aperture da
parte della società contemporanea nei confronti delle musiciste, alcune convenzioni non siano
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ancora state sorpassate. Un esempio simile, riguardo agli strumenti ancora considerati un taboo per
le donne viene da quest’altra intervista con una contrabbassista ventenne:
CC: Quando hai detto ai tuoi amici e familiari che ti eri iscritta al Conservatorio per il corso di
contrabbasso, quali sono state le reazioni?
“Innanzitutto, molti chiedono: "Aspetta, qual è il contrabbasso?". Risposta: "Il violino gigante!"
funziona sempre come una risposta ... L'unica ad esitare è stata mia madre, che disse: "Ehi, ma è
uno strumento da maschi!” Voleva che suonassi il violoncello o altre cose più femminili, ma questo
non aveva senso per me, intendo: se una cosa ti piace ...” (ivi, p. 9)
Tuttavia, se in entrambi gli esempi, le ragazze hanno dimostrato di non subire troppo l’influenza dei
genitori - in modo particolare la contrabbassista -, a giudicare dai numeri prima elencati rispetto alle
varie iscrizioni nei conservatori esse restano comunque una minoranza. Inoltre, Casula fa notare
come, in certi casi, siano stati i ragazzi a rinunciare a determinati corsi perché considerati “troppo
femminili” come quelli di arpa e flauto, soprattutto perché condizionati dalle scelte dei loro pari
piuttosto che dalla famiglia. Infine, un’altra questione non trascurabile che tutt’ora condiziona
negativamente l’esperienza delle giovani all’interno dei conservatori è legata ai possibili abusi da
parte degli insegnanti; i quali, attraverso una modalità di apprendimento diretta che prevede
un’attività di tipo “uno a uno” tra studente e insegnante - riproducendo così il modello formativo
rinascimentale - in cui essi rappresentano l’autorità assoluta, spesso non sono esenti da forme di
molestia più o meno accentuate, fino ad arrivare all’abuso sessuale vero e proprio, mettendo ancora
una volta al centro del problema il corpo delle donne (ivi).
Questi episodi sembrano affliggere maggiormente le studentesse rispetto ai colleghi maschi
incidendo in maniera più grave per differenti motivi. Il primo è legato alla diversa reazione degli
studenti, in base al loro genere, rispetto allo stesso tipo di maltrattamenti vissuti con il loro
“maestro”: abusi sia fisici che psicologici colpiscono più frequentemente in modo traumatico le
ragazze, meno abituate dei ragazzi a modelli educativi basati su sanzioni corporali e regole
autoritarie, essendo piuttosto avvezze ad ottenere gratificazioni ed elogi dalla loro dedizione allo
studio (ivi, pp. 10-11).
A tal proposito, appare significativo riportare la testimonianza di un insegnante di pianoforte al
conservatorio:
“Ci sono molti (casi di molestie) perché è una situazione in cui sei veramente a rischio, visto che sei
sempre solo (in classe), inoltre c’è una relazione di grande vicinanza (tra insegnante e studente): gli
uomini di una certa età entrano in quella fase in cui le ragazze tra 18 e 25-26 anni rappresentano un
pericolo psicologico molto forte (...) il professore potrebbe non avere la maturità per resistere, e poi
si verificano disastri... Questo è per il tradizionale [curriculum]; per il curriculum accademico è
diverso, perché loro (le studentesse) sono legalmente adulte: di solito (insegnante e studentessa)
diventano una coppia, e loro (gli insegnanti) divorziano dalla moglie ...” (ivi, p. 12).
Spesso, tuttavia, le molestie sessuali sono difficili da individuare e soprattutto da dimostrare per la
forma strisciante con la quale si verificano: “altre volte il comportamento scorretto dell'insegnante
con le studentesse si limita a forme di flirt o oggettivazione sessuale spesso non intese a provocare
un rapporto sessuale, ma comunque dannose per la dignità personale e l'educazione delle ragazze”
(ivi). Una conferma di ciò Casula la trova nella dichiarazione di un flautista cinquantenne:
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“(Il mio maestro) non si è mai comportato in modo scorretto, ma spesso aveva un atteggiamento un
po’ ossessivo nei confronti delle sue alunne. Se ne usciva con cose del tipo: "Ma sei tu che hai un
appuntamento con quel ragazzo stupido? Ora non potrai più diventare una flautista, visto che hai
un fidanzato!" oppure: "Ah, rispetto a questo profumo che hai oggi, preferivo quello dell'altro giorno
..." (ivi, p. 13).
L’ultimo argomento affrontato da Casula riguarda lo sviluppo delle carriere delle musiciste
provenienti dai conservatori. Se per quanto riguarda l’insegnamento, nel corso di circa trent’anni
esse sono passate ad occupare dal 13 al 30% dei posti disponibili (segregazione orizzontale) – una
percentuale ormai stabile dagli anni Settanta – il numero di quelle che occupano posti dirigenziali in
ambito musicale resta ancora piuttosto basso rappresentando tutt’ora soltanto circa il 9% del totale
(segregazione verticale). Una situazione fortemente asimmetrica tra i due sessi che si riscontra
anche in ambito orchestrale sinfonico tra le fila dei professionisti:
(…) le musiciste nell'orchestra sono meno di un quarto dei membri a tempo pieno (24%), oltre all'arpa
- i cui seggi, i meno numerosi, sono tutti occupati da donne. Altre sezioni registrano una presenza
femminile piuttosto limitata, che anche al suo apice (le violiniste) non supera il 40% del totale e che
rimane estremamente bassa relativamente a strumenti tradizionalmente maschili. Per quanto
riguarda l’emarginazione verticale, ad eccezione dell'arpa (dove, come visto, non ci sono musicisti di
sesso maschile), le donne occupano molto più raramente dei loro colleghi uomini “prime parti”, le
più prestigiose e meglio remunerate, anche nel caso della maggior parte delle sezioni
"femminilizzate" (ivi, p. 15).
Casula afferma chiaramente come questa segregazione femminile nelle professioni musicali sia
strettamente legata all’aspetto della loro esibizione in pubblico, come dimostra anche DeNora nel
suo studio sulle pianiste da concerto al tempo di Beethoven (DeNora, 2000) “(…) ciò che identifica
come distintivo della professione artistica è lo stereotipo negativo delle donne che si esibiscono in
pubblico, mentre la stessa attività assume un significato positivo quando viene svolta da un uomo”
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(Casula, 2019). Per questo, si rivela molto interessante la testimonianza di una insegnante al
conservatorio nonché flautista, che Casula ha raccolto:
“(…) Quello che (...) penso sia diverso (nella professione musicale) è (...) che un uomo che è non un
musicista ha paura di una musicista donna, il che significa che ha paura del fatto che essa sia in
grado di salire su un palco e in qualche modo mettersi a nudo, nel senso psicologico del termine (...)
Se ci pensate, la maggior parte delle donne (musiciste) hanno mariti o partner che sono anche loro
musicisti (...) Penso che gli uomini abbiano più difficoltà ad accettare in generale una donna artista,
(poiché) tutti ti guardano: infatti, gli uomini non sono per niente emancipati, sono molto conservatori
nei rapporti di coppia: mentre, per lo stesso motivo, per le donne non musiciste un musicista uomo
sul palco è super affascinante, perché è in grado di svelarsi davanti al pubblico ...” (ivi, pp. 15-16)
Qui quello che emerge, tuttavia, non è tanto la natura scandalosa del corpo femminile esibito,
quanto l’idea che essa possa essere posta al centro dell’attenzione di tutti quanto, e forse più, di un
uomo. Un altro aspetto che viene fuori dalle interviste è legato alla presunta maggiore debolezza
delle musiciste che impedirebbe loro di portare avanti una carriera al pari degli uomini rinforzando
lo stereotipo sul sesso debole attribuito alle donne secoli fa:
“Bene, penso che (una ragione potrebbe essere) la forza fisica: perché il flauto è uno strumento che
ha bisogno di una certa presenza fisica, un'energia, ad esempio con la respirazione, i muscoli (...)
Non so, forse potrebbe dipendere anche dalla natura della donna (...) penso che sia molto importante
per una donna trovare appagamento nell’ambito della famiglia, in modo da diventare pienamente
donna procreando... perciò penso che questo ruolo le porti via un po’ dell’energia (necessaria) per
raggiungere i suoi obiettivi di carriera... [flautista, uomo, 30 anni]” (ivi, p. 16)
Altra questione che s’intreccia con il difficile sviluppo delle carriere femminili nella musica è,
secondo Casula, il “potere seducente” delle donne, che se da un lato le costringe a rispondere spesso
ad accuse infondate di avanzamenti di ruolo ottenuti non per merito, bensì tramite presunti favori
sessuali, dall’altro, si trovano continuamente a respingere avances più o meno spinte da parte dei
loro colleghi con i quali, specialmente in ambito orchestrale, tra prove ed esibizioni, passano volenti
o nolenti moltissima parte del loro tempo:
“(…) una flautista, dopo aver fatto riferimento alle molestie subite da alcuni dei suoi colleghi, la
banalizza come un'esperienza tipica per le donne che lavorano in un contesto dominato dagli uomini,
affrontata fin da giovane attraverso alla sua partecipazione alla banda musicale del paese. (…)
un'accompagnatrice per pianoforte (“maestro accompagnatore”) ricorda come, nonostante tutti gli
sforzi fatti per dimostrare che la sua carriera si basasse sui suoi meriti - vestendosi in modo sobrio,
limitando l'accesso a reti preziose in chiave professionale, imparando a gestire avanzamenti
indesiderati - debba ancora affrontare le accuse che segnalano una sua presunta disponibilità
sessuale con potenti dirigenti: limiti e oltraggi difficilmente vissuti dai suoi colleghi maschi (ivi, p. 17)
Per contrastare simili situazioni, spesso le musiciste confessano di ricorrere a strategie che limitano
la libera espressione della loro femminilità, fino ad arrivare, in alcuni casi, ad annullare quasi
totalmente la loro identità di donne, cercando di rendere il più possibile innocuo il loro potere
seduttivo vestendo in modo anonimo, evitando la partecipazione ad eventi pubblici e di concedere
troppa confidenza a colleghi e superiori, mostrandosi moralmente irreprensibili. Nell’ennesima
intervista che Casula riporta si comprende perfettamente come la flautista trentenne che denuncia
19
l’atteggiamento perennemente malizioso di un suo collega si sia data un codice di abbigliamento
preciso per evitare spiacevoli situazioni:
“(…) è pesante: nota sempre come sei vestita... Quindi, ho rinunciato a indossare gonne o leggings,
perché anche se so che sono solo leggings (i colleghi maschi) ti fissano di più, capisci? Piuttosto che
mettere una bella scarpa o un stivaletto con tacchi indosso le sneakers più brutte. Piccole scelte che
ti fanno dire: "Ok, lo so, devo sedermi accanto a lui tutto il giorno: quindi evito! ". Come penso sia in
tutti gli altri ambienti di lavoro, solo che noi siamo spesso a stretto contatto con quelli con cui
dobbiamo lavorare, così già sai che devi presentarti in un certo modo...” (ivi, p. 18)
Il lato forse inaspettato di questo stile di comportamento - che ancora una volta umilia innanzitutto
il corpo, ma che poi ha anche molto a che fare con una parte tanto più profonda del sentire
femminile - è che le donne in questione rischiano di apparire all’esterno fin troppo dure e fredde e
quindi, proprio per questo, paradossalmente poco adatte ad un mestiere che, per esprimersi al
meglio, non può non prescindere anche da una forte componente emotiva. Ecco come commenta
in proposito un flautista trentenne membro di un’orchestra:
CC Dal punto di vista tecnico, hai notato qualcosa di diverso nelle donne direttrici d’orchestra rispetto
ai colleghi uomini?
“Non ci sono grandi differenze... con quelle quattro o cinque (donne direttrici) con cui ho collaborato
ho visto una sorta di rigidità dal punto di vista espressivo, che poi scorre nel gesto, una certa severità,
poca fluidità [cerca un altro termine] ...ma non posso parlare per tutte (le donne direttrici) ...”
CC: Sembravano distaccate?
“Esatto: questo è il termine giusto! Voglio dire, la donna non vive ciò che interpreta... o forse lo vive
a modo suo...” (ivi, p. 20).
A proposito di direttrici d’orchestra giudicate fin troppo superficialmente per il loro atteggiamento
duro e severo, non può non balzare alla mente il caso di Alma Rosé; una talentuosa violinista e
compositrice nipote di Gustav Mahler che dopo aver lottato coraggiosamente per affermarsi come
musicista in un mondo dominato dagli uomini ha dovuto combattere anche contro le persecuzioni
razziali perpetrate nei confronti degli ebrei alle soglie del Secondo Conflitto Mondiale, fino
all’assurda esperienza come direttrice di un’orchestra tutta al femminile all’interno del campo di
concentramento di Birkenau in cui venne rinchiusa, una vicenda tragicamente terminata con la sua
misteriosa morte. Probabilmente, fu proprio la sua stoica disciplina a permetterle di sopravvivere a
capo di quell’orchestra per ben dieci mesi, salvo poi venire uccisa in circostanze non ancora ben
chiarite (si sospetta infatti l’avvelenamento da parte di una guardia del campo gelosa di lei). Alma è
stata poi ricordata all’interno dei memoriali di alcune delle sopravvissute che avevano preso parte
all’orchestra, e descritta - in particolare dalla pianista Fania Fénelon - come una donna rigida, quasi
priva di sentimenti per il modo intransigente con il quale dirigeva l’orchestra pretendendo da loro
sempre il meglio; un atteggiamento che, tuttavia, da altre è stata visto piuttosto come un suo
strenuo tentativo di prolungare la permanenza di tutte loro all’interno del campo (Caianiello, 2020).
Se da un lato è fortemente presente tra le musiciste in carriera la strategia dell’invisibilità e
dell’appiattimento delle connotazioni femminili con uno spostamento verso gli standard maschili,
dall’altro, Casula individua una seconda strategia messa in atto dalle professioniste della musica per
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evitare lo spettro della segregazione. Si tratta di applicare un principio di ribellione rispetto alle
regole comuni che permette loro di sperimentare nuovi generi e repertori (magari uscendo dal
canone classico e includendo principalmente brani di compositrici), nonché nuovi modelli
performativi in relazione ai tempi e agli spazi dell’esecuzione. La conferma di ciò viene dalla
testimonianza di un’insegnante e flautista ultracinquantenne:
“(…) La questione richiederebbe ore ma, detto in due parole: non ho scrupoli nel provare - almeno
nel fare un tentativo, poi probabilmente qualcosa di diverso verrà fuori – a fare una cosa giudicata
come maschile, aggressiva o comunque con tutte le caratteristiche generalmente associate alla
mascolinità; ma mi rendo conto che un uomo ha molta più difficoltà nel fare quelle cose definite
“femminili”. Quindi, per me, tuttavia, essere in grado di superare questa cosa amplia enormemente
le capacità espressive e interpretative legate alla musica, quindi questo è ciò a cui voglio ambire...”
(ivi, p. 20)
Nelle sue conclusioni, Casula ribadisce come
(…) il mondo della musica classica, (sia) storicamente strutturato secondo una serie di gerarchie,
tra cui un ordine binario di genere che esclude le donne dalle pratiche musicali rivolte alla sfera
pubblica o le considera in contrasto con l'ideale di docilità femminile, grazia e incapacità tecnica
in corrispondenza con la loro condizione di sottomissione al dominio maschile. Nonostante i
significativi miglioramenti registrati attraverso i secoli nel percorso che ha portato le donne ad
accedere al mondo della musica classica professionale, le organizzazioni musicali che si occupano di
educazione e lavoro formando le carriere dei musicisti classici rivelano ancora la persistente -
seppure ridotta - influenza di un modello di genere che spesso svantaggia le musiciste donne, nel
possibile confronto con i colleghi uomini, nell’attesa di ottenere il loro pieno riconoscimento
professionale (ivi, p. 21).
Il caso della “femminilizzazione” del Flauto Traverso in Italia
Si è detto più volte, di come gli strumenti a fiato all’interno del mondo occidentale, in particolare a
partire dal tardo Medioevo in poi, siano sempre stati (salvo rarissime eccezioni) oggetto di divieto
per le donne musiciste (Steblin, 1995; DeNora 2000; Casula, 2019). Tuttavia, per quanto riguarda il
flauto, abbiamo assistito ad un vero e proprio ribaltamento nel corso del XX secolo dello stereotipo
ad esso connesso che lo vede attualmente come uno degli strumenti preferiti dalle donne
soprattutto nel settore della musica classica professionale. Com’è avvenuto in Italia questo
slittamento? Com’è cambiata la partecipazione ai corsi di flauto traverso all’interno dei nostri
conservatori? Uno studio riportato da Casula molto di recente ce lo spiega, cercando di capire
quanto questo fenomeno sia stato dovuto a ragioni di ordine sociale e morale. “L’evocazione
dell’immagine fallica da parte del flauto tubulare ricorrente nelle diverse civiltà, risulta flessibile e
ambivalente nelle conseguenti associazioni di genere (Olsen, 2013, p. 40-45). Nel caso delle
moderne società occidentali, come abbiamo visto, ciò ha a lungo escluso il flauto dalla pratica
femminile della musica colta, dove oggi è incluso a pieno titolo” (Casula, 2017). Quindi, analizzando
i dati sulle iscrizioni ai corsi interni ai conservatori italiani, notiamo che fino agli anni Quaranta del
1900 i corsi di flauto traverso non hanno donne iscritte; un timido inizio si registra alla fine degli anni
Cinquanta, infatti, nel biennio ’57-’58 abbiamo le prime 9 iscrizioni femminili che passano a 46 dieci
anni dopo nel biennio ‘67-‘68 rappresentando circa la metà dei colleghi uomini. Negli anni successivi
l’aumento della partecipazione femminile è stato progressivo parallelamente all’incremento del
21
numero degli iscritti, fino ad arrivare al boom del biennio ’97-’98 con 1316 iscritte, ovvero quasi il
70% del totale delle iscrizioni, una percentuale che si è mantenuta più o meno stabile fino ai giorni
nostri (ivi).
Iscritti nelle classi di flauto dei Conservatori di musica per genere, valori assoluti e percentuali
(annualità diverse)
a.s. M F MF %M su %F su %M su %F su %MF su
MF MF M F MF
flauto flauto totale totale totale
1926-27 42 0 42 100,0 0,0 5,2 0,0 2,9
1936-37 39 0 39 100,0 0,0 2,9 0,0 1,4
1947-48 46 0 46 100,0 0,0 2,7 0,0 1,5
1957-58 88 9 97 90,7 9,3 3,8 0,5 2,3
1967-68 99 46 145 68,3 31,7 3,1 1,9 2,6
1997-98 632 1316 1948 32,4 67,6 3,6 7,9 5,7
Casula rintraccia le origini di questo cambiamento nei recital itineranti di fine Ottocento, i quali
vedevano spesso le musiciste cimentarsi con strumenti ritenuti all’epoca ancora poco appropriati
alla figura femminile, e riporta il caso della flautista Maria Bianchini oggetto di un interessante
articolo apparso allora sul “Corriere della Sera”:
Una donna che suona il flauto desta tanta curiosità da meritare qualche riga di presentazione;
presentazione che noi facciamo con tanto maggior piacere in quanto che si tratta di un’artista di
rara valentia (…) [A]pprofittando un giorno dell’assenza del padre e del fratello, prese il flauto, si
messe a soffiarvi dentro, e ne fece uscire una nota. E da quella nota incomincia la vita artistica di
Maria Bianchini. Da quel giorno il flauto non si allontanò più un istante dalla sua mente – si propose
di divenire una flautista e quel voto innalzato dalla bionda giovinetta fu esaudito mediante le
amorevoli cure del suo maestro, il celebre flautista Briccialdi (ivi, p. 187).
Vale la pena sottolineare il fatto che la signora Bianchini per poter approcciare lo strumento abbia
dovuto prima sfuggire al controllo del padre e del fratello. Un altro caso rilevante, che ha segnato
una vera e propria svolta nelle carriere femminili in ambito musicale internazionale è quello della
flautista Doriot Anthony Dwyer, la prima donna a diventare primo flauto all’interno di una delle più
prestigiose orchestre statunitensi operanti all’inizio degli anni Cinquanta (ivi). Ma prima ancora di
Doriot, a fare da apripista furono le orchestre per sole donne:
Queste “Lady Orchestras” (Orchestre per Signora) o "Damen Orehester" erano particolarmente
popolari in Nord America e proseguirono almeno fino agli anni '40. Hanno appagato le donne
bisognose di fare esperienza nel professionismo e, al fine di riempire i ranghi, incoraggiato le giovani
musiciste a suonare strumenti a fiato, ottoni e percussioni. Tuttavia, non fu concessa loro fino alla
Seconda guerra mondiale - quando si esaurì l’esperienza delle orchestre standard - la partecipazione
abituale come violiniste (Steblin, 1995, p. 144).
Tornando ai giorni nostri, nonostante la massiccia partecipazione femminile ai corsi
professionalizzanti di flauto in Italia, Casula fa notare come queste numerose presenze non si
traducano tutt’ora con la stessa portata in campo occupazionale:
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Così nelle classi di flauto dei Conservatori di Musica italiani, composte per circa il 70% da allieve, solo
il 33% dei docenti è donna, sebbene tale percentuale aumenti per le ultime generazioni di docenti.
Similmente, nelle orchestre delle Fondazioni lirico sinfoniche italiane la percentuale di donne nei
posti di flauto, la più alta dopo quelli per violino e viola, non raggiunge il 30% e solo due di loro –
contro ventidue colleghi maschi – come prima parte (Casula, 2017, p. 188)
In ogni caso, da una serie di interviste realizzate dalla ricercatrice con gli studenti dei corsi di flauto
non emergono motivazioni di scelta da parte delle alunne legate a stereotipi di genere rispetto allo
strumento, che viene percepito da loro come neutro, quando invece non associato, soprattutto dai
ragazzi, alla sfera femminile (principalmente per questioni legate alla sua timbrica che appare più
vicina alla voce di una donna): “(…) il flauto ha una sonorità delicata e dolce rispetto agli altri
strumenti, che ricorda un po’ gli atteggiamenti delicati della donna… (…) quando [stando in
orchestra] vedo il corno, che è lo strumento più bello (…) sento questa differenza di sonorità che poi
caratterizza anche il genere, questo suono virile...” dichiara un flautista trentenne intervistato in
proposito da Casula (ivi). Infine, per quanto riguarda il discorso occupazionale, anche per le flautiste,
a giudicare da quanto affermato dagli intervistati, a parità di bravura, è più difficile affermarsi e fare
carriera per motivazioni che essi stessi definiscono “sociali”:
“Questo è il famoso problema sociale…anche come succede all’università, succede in tutti i settori
lavorativi: le ragazze sono le più brave, si diplomano con i migliori voti, man mano che c’è
l’ascensione verso i poteri alti, vengono sempre superate dagli uomini, e questo purtroppo è un
problema sociale, è un problema in cui non vengono garantite delle quote e su certi livelli le scelte
vengono fatte in un certo modo…” [flautista, donna, 45 anni]
“(…) in Italia tendenzialmente riuscire a fare il primo flauto donna è una cosa molto difficile da
conquistare, preferiscono darlo ad un uomo; poi anche per questioni di tecnica, perché comunque
un uomo ha un respiro più leggero, mentre noi, tra il seno e la cassa toracica più piccola, facciamo
più rumore respirando: questo può dare fastidio e può essere compromettente a livello professionale
[flautista, donna, 30 anni]” (ivi, p. 193).
Le statistiche americane ed europee sul rapporto tra gli stereotipi di genere e le preferenze legate
agli strumenti musicali negli alunni delle scuole primarie
Dopo aver analizzato qual è stata l’evoluzione degli stereotipi di genere nel mondo musicale nel
corso della Storia e un breve focus sulle loro possibili ripercussioni nello sviluppo delle carriere
femminili all’interno dei Conservatori di musica italiani, tenteremo di affrontare, seppure
parzialmente, il tema dell’influenza di questi stessi stereotipi nei bambini attraverso la
comparazione di diverse indagini statistiche effettuate in anni piuttosto recenti (dal 1996 al 2016)
tra Europa e Centro-America. Un dato che viene immediatamente confermato da tutte le ricerche
in questione è il fatto che i bambini di età inferiore agli otto anni, nonostante siano a conoscenza
delle distinzioni di genere, non appaiono in grado di applicare in modo consapevole queste
associazioni alle proprie preferenze a quelle dei loro coetanei (O’Neill e Boulton, 1996; Rudder,
2012; Bullerjahn, Heller e Hoffmann, 2016). Questi studi acquistano particolare importanza poiché
le indagini americane ad essi precedenti - fino agli inizi degli anni Novanta - erano tese ad analizzare
solamente i comportamenti di adulti ed adolescenti rispetto alle loro scelte stereotipate in fatto di
strumenti musicali, trascurando cosa avvenisse precocemente in età infantile (Rudder, 2012).
Ricerche più recenti, si sono quindi concentrate sulla fascia d’età preadolescenziale dei ragazzi
23
compresa tra i 9 e gli 11 anni, facendo emergere fin dai primi riscontri una notevole divisione di
genere nelle scelta di bambini e bambine rispetto agli strumenti che vorrebbero suonare e in linea
con gli stereotipi già elencati in precedenza; la quale, hanno dedotto gli studiosi, essere fortemente
influenzata dagli adulti presenti nell’ambiente famigliare dei bambini intervistati in Inghilterra, come
in Germania e uscendo fuori dal Vecchio Continente, anche in un piccolo Stato dell’America Centrale
come Trinidad e Tobago (O’Neill e Boulton, 1996; Rudder, 2012; Bullerjahn, Heller e Hoffmann,
2016).
Abeles e Porter (1978) suggeriscono che le scelte degli strumenti da parte dei genitori per i loro figli
sono un fattore che può contribuire allo stereotipo. Hanno scoperto che prima degli otto anni i
bambini non mostrano preferenze di genere. Dagli otto anni in poi, appaiono divergenze nelle scelte;
coerentemente con le opinioni degli adulti. Delzell e Leppla (1992) conclusero che, riguardo ai
bambini tra i nove e i dieci anni, i ragazzi fossero meno flessibili delle ragazze nelle loro preferenze,
con le ragazze che mostravano una diminuzione nell’associazione di genere nel corso del tempo a
favore di una selezione di una gamma più ampia di strumenti (Rudder, 2012, p.2).
Un altro elemento interessante che si evince da quest’ultima citazione è la tendenza delle ragazze
ad essere più flessibili nelle scelte rispetto agli stereotipi di genere durante lo loro crescita,
mostrandosi più aperte e disponibili a provare strumenti musicali per loro inconsueti. In particolare,
da una ricerca effettuata nel 1996 da O’Neill e Boulton su 153 bambini inglesi quasi equamente divisi
(72 ragazze, 81 ragazzi) nella fascia 9-11 anni è risultato che pianoforte, flauto e violino sono tra gli
strumenti in cima alle preferenze delle bambine – tra l’altro, flauto e violino sono quegli stessi
strumenti che a partire dal XX secolo hanno subito un significativo processo di femminilizzazione –
mentre tromba, chitarra e batteria sono i preferiti dai maschietti. Inoltre, sia ragazze che ragazze
motivano la loro scelta dello strumento preferito con il fatto che ne apprezzano il suono e di contro
quello meno gradito è quello con il suono per loro meno gradevole oppure (per i bambini) quello
che giudicano più difficile da suonare. Ancora più interessanti, tuttavia, dal punto di vista delle
associazioni di genere, sono le risposte riguardo al perché i loro coetanei di sesso opposto non
gradirebbero certi strumenti a favore di altri; anche in questo caso, sia maschi che femmine
concordano con il fatto che quello che non piace ai ragazzi “è uno strumento per ragazze” e che
quello che non piace alle ragazze “è uno strumento per ragazzi”, ribadendo la netta divisione di
genere cui si accennava in precedenza (O’Neill e Boulton, 1996).
O'Neill e Boulton suggeriscono che proprio la violazione dei confini di genere potrebbe spiegarne
i risultati. Studi di Best (1983); Damon (1977); Stoufe, Bennet, Englund e Urban (1993); Thorne
(1986); Thorne e Luria (1986) hanno scoperto che “i bambini, prima dell'adolescenza, tendono a
rispondere in maniera negativa nei confronti dei coetanei che mostrano comportamenti che
considerano inappropriati per motivi di genere”. O'Neill e Boulton hanno anche trovato prove a
sostegno, all’interno di queste ricerche, in cui i bambini hanno dato risposte verbali come "non si
vede mai un ragazzo suonare un flauto" o "solo gli uomini suonano la chitarra e la batteria"
quando selezionavano il motivo alle scelte presentate, sottolineando come gli stereotipi esistano
davvero a quell'età (Rudder, 2012, p. 6).
Tuttavia, le risposte dei bambini sulle proprie preferenze connesse al suono degli strumenti fanno
pensare che non necessariamente le loro scelte siano dettate dagli stereotipi di genere ad essi
collegati, oppure, da questo lato sarebbe necessario approfondire meglio il legame che insiste tra
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suono e stereotipo (Ivi) – come, tra l’altro è stato dichiarato in parte da Casula nel suo studio sulla
femminilizzazione del flauto (Casula, 2017). La ricerca fatta da Rudder analizzando la partecipazione
di 135 giovani sotto i diciannove anni ad un celebre festival musicale dedicato ai ragazzi a Trinidad
e Tobago nel biennio 2010-2012, conferma in gran parte i risultati della precedente ricerca inglese:
Rispetto alle ricerche di O’Neill e Boulton, gli studenti di Trinidad e Tobago hanno mostrato
somiglianze in tre categorie di strumenti: il violino dominato dalle ragazze e la tromba e la chitarra
dominata dai ragazzi. Il pianoforte è stato rappresentato allo stesso modo senza mostrare alcun tipo
di preferenza, mentre la ricerca di O'Neill e Boulton aveva mostrato una propensione femminile
(Rudder, 2012, p. 8).
Inoltre, un elemento interessante che fa notare la ricercatrice è il fatto che i dati differenti
sull’utilizzo del flauto rispetto alla ricerca inglese – che vede prevalere leggermente la percentuale
dei ragazzi rispetto alle ragazze, ma che aumenta a favore delle ragazze con il crescere dell’età –
può essere dovuta al fatto che a Trinidad il flauto traverso è stato sostituito da quello semplice,
mentre per quanto riguarda il tamburo d’acciaio “…che era storicamente uno strumento suonato
dagli uomini è ora equamente rappresentato da entrambi i sessi. (Tuttavia) questi bambini non
potevano essere intervistati, quindi i loro motivi riguardo alla scelta degli strumenti e le loro opinioni
sugli strumenti maschili o femminili non possono essere accertati” (ibid.).
Un altro studio molto approfondito sull’argomento pubblicato in Inghilterra da Harrison e O’Neill
nel 2003, si focalizzava proprio sull’aspetto che riguarda il giudizio dei bambini rispetto alle
preferenze dei loro coetanei, cercando di capire se essi applicano agli altri le stesse associazioni di
genere cui solitamente fanno ricorso per esprimere le proprie. Inoltre, volevano comprendere se i
bambini già intorno agli otto anni sono in grado di fare associazioni di tipo “orizzontale” e quindi
stabilire ad esempio, indipendentemente dal genere di appartenenza, se a un bambino a cui piace
giocare con i camion possa piacere di conseguenza un altro oggetto appartenente alla stessa
categoria, come potrebbe essere una macchinina. In pratica è come se avvenisse un sorta di
ribaltamento nel praticare queste associazioni; a differenza di quelle “verticali”, in cui per stabilire
se un oggetto è gradito o no alla persona si deve necessariamente conoscere il suo sesso, in quelle
orizzontali si parte dall’associazione di genere legata all’oggetto (più o meno maschile, piuttosto che
più o meno femminile) per capire se esso possa piacere al soggetto in questione anche se il suo
sesso è sconosciuto.
Contrariamente agli adulti, i giudizi dei bambini circa gli interessi altrui si basano (almeno fino all'età
di 8 anni) principalmente sul sesso biologico (Martin, 1989; Martin et al., 1990). Quando viene
chiesto ai bambini dai 4 ai 6 anni quanto una ragazza preferirebbe giocare con giocattoli maschili,
non fanno differenza tra una ragazza con un interesse mascolino (ad es. i camion) e una ragazza con
un interesse tipicamente femminile (ad es. le bambole); fanno affidamento sul sesso del bambino-
target come principale diagnosi di possibili interessi rispetto a quelli che sono i suoi interessi reali. Al
contrario, i bambini di età superiore agli 8 anni usano entrambe le fonti di informazione; prevedono
che alla ragazza a cui piacciono i camion piacerebbero altri giocattoli maschili più di quanto
potrebbero piacere alla ragazza che preferisce le bambole. In altre parole, i bambini più grandi
attingono da associazioni orizzontali nel formulare giudizi su altri bambini, e comprendono che
"mascolinità" e "femminilità" sono costrutti separati dal sesso biologico. I loro i giudizi riflettono
l'uso crescente di astrazioni, di categorie interne piuttosto che concrete, come quelle esterne (ad es.
25
Livesley & Bromley, 1983). Martin (1993) spiega perché i bambini più grandi hanno una maggiore
comprensione della variabilità che si verifica all'interno dei gruppi di genere; hanno più probabilità
di utilizzare ulteriori informazioni relative alle loro preferenze quando esse sono disponibili (Harrison
e O’Neill, 2003, p. 390).
Per quanto riguarda le preferenze personali di ciascun bambino/a intervistato/a e i giudizi su quelle
altrui, anche in questo studio non ci sono state sorprese, le risposte rispetto ai sei strumenti da
giudicare in ordine di gradimento (flauto, violino, pianoforte, chitarra, tromba) hanno rispecchiato
gli stereotipi di genere fin qui descritti: “Ad esempio, il 93,6% delle ragazze e il 90,3% dei ragazzi ha
affermato che le ragazze avrebbero preferito suonare il flauto, e il 96,7% delle ragazze e il 96,1% dei
ragazzi pensavano che i ragazzi avrebbero preferito la batteria. Come previsto, la maggior parte
delle bambine preferisce in maggioranza uno strumento “femminile” (77,1%) e la maggior parte dei
ragazzi desidera uno strumento “maschile” (72,9%)” (ivi). Inoltre, rispetto alle considerazioni che i
bambini hanno espresso in merito a un nuovo alunno e a una nuova alunna inseriti nella classe per
poterne valutare obiettivamente le possibili preferenze sugli strumenti è emerso che:
Sia le ragazze che i ragazzi hanno valutato che la “ragazza nuova” avrebbe preferito gli strumenti
femminili a quelli maschili e che il “ragazzo nuovo” avrebbe apprezzato maggiormente gli strumenti
maschili rispetto a quelli femminili. I ragazzi hanno pensato che la nuova ragazza avrebbe
apprezzato gli strumenti femminili più di quanto non avessero dichiarato loro stessi, e le ragazze
hanno creduto che al nuovo ragazzo sarebbero piaciuti gli strumenti maschili più di quanto non
fossero piaciuti a loro. In altre parole, sia i ragazzi che le ragazze avevano aspettative chiaramente
stereotipate riguardo alle preferenze degli altri bambini; essi hanno dedotto che i bambini dello
stesso sesso avrebbero apprezzato gli strumenti tipici di genere piuttosto che gli strumenti di “genere
incrociato”, ma anche che i bambini dell'altro sesso non avrebbero apprezzato strumenti di genere
diverso dal proprio più di quelli tipici di genere. Questi risultati sono coerenti con quelli suggeriti da
Gelman e Markman (Gelman & Markman, 1987) sul fatto che i bambini possono allineare le proprie
preferenze nel decidere cosa ad altri bambini potrebbe piacere usando concetti astratti riguardo a
ciò che dovrebbe accadere all'interno di gruppi simili, nonché di gruppi differenti (ivi, p. 396).
Infine, per quanto riguarda le associazioni di tipo “orizzontale”, a differenza di altri studi precedenti,
è risultato che gli alunni intervistati all’interno di questa ricerca non sono stati in grado di applicarle
come ci si attendeva nei confronti dei bambini-target che suonano strumenti di “genere incrociato”
(ovvero di un genere in contraddizione con il proprio sesso), continuando ad attribuire loro
preferenze tipiche di genere rispetto al gradimento degli altri strumenti.
I giudizi riguardo alle preferenze dei bambini del target sono stati sostanzialmente coerenti con
quello che i bambini hanno espresso rispetto alle proprie preferenze. (…) Anche quando i bambini
hanno preferito strumenti di genere incrociato, non hanno esteso questa scelta alle loro preferenze
generali riguardo a strumenti dello stesso tipo. Per questo, non è stato sorprendente che i bambini
prevedessero preferenze di genere stereotipato da parte di altri ragazzi e ragazze, forse perché
coscienti che la loro preferenza "idiosincratica" non era stata generalizzata rispetto alle altre scelte,
essi hanno pensato che lo stesso potesse essere vero anche per altri bambini (Harrison e O’Neill, p.
397).
Di conseguenza i ricercatori sono giunti alla conclusione che:
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Sebbene i risultati rispetto alla presenza delle convinzioni stereotipate di genere abbiano dimostrato
che i bambini sono consapevoli delle associazioni verticali tra genere e strumenti musicali, c'è una
differenza nei compiti che richiedono loro la “dimostrazione” della conoscenza e quelli che ne
domandano l’ “applicazione”. Bauer e Coyne (1997) spiegano che l'uso di questa conoscenza dipende
non solo dalla misura in cui essa è posseduta, ma anche dalla misura in cui essa può essere applicata
all’interno di una specifica situazione. Alcuni tipi di informazioni relative alle “associazioni di genere”
potrebbero essere più "informative" di altre (Biernat, 1991) – (ivi, p. 398).
In pratica, rispetto a ricerche precedenti che si concentravano nella relazione bambino-giocattolo
esplorando una situazione tipica comune dell’infanzia a qualsiasi latitudine, l’ambito degli strumenti
musicali non è poi così consueto per i bambini, i quali, spesso, ottengono il loro primo contatto
diretto con gli strumenti proprio a scuola intorno ai 7-8 anni: “I nostri risultati suggeriscono che
l’incidenza delle informazioni associate al settore musicale è bassa rispetto ad altri ambiti esaminati
da ricercatori precedenti, ma per dimostrarlo dovremmo confrontare l’uso di stereotipi di genere
nel settore musicale con altri settori all'interno della stessa ricerca” (ivi).
Riassumendo:
In sintesi, questo studio ha dimostrato che i bambini di 8 anni fanno differenza tra le proprie
preferenze e quelli di altri bambini e che non ricorrono agli interessi stereotipati di genere degli altri
coetanei quando devono fare previsioni rispetto alle preferenze di questi ultimi. I nostri risultati
suggeriscono che l'uso da parte dei bambini delle conoscenze stereotipate di genere può differire in
base alle caratteristiche di un particolare ambito oggetto di indagine piuttosto che essere gli
stereotipi di genere a venire utilizzati in modo simile in tutti i domini (ivi, p. 399).
Un ulteriore ricerca tedesca effettuata nel 2016, partendo dall’assunto formulato da Bruce e Kemp
nel 1993 riguardo alla limitata partecipazione alle attività musicali tra i giovanissimi da parte dei
maschietti - mettendo in questione che ciò potesse essere dovuto anche al loro senso di esclusione
per la massiccia presenza delle bambine e quindi essere connesso a fattori di genere - si domanda
se il “genere” sia ancora decisivo per la carriera musicale, visto che nonostante la maggiore
partecipazione femminile, sono ancora gli uomini a occupare la gran dei posti a disposizione.
Zervoudakes e Tanur (1994) dopo l'esame dei programmi per concerto adottati nel corso di tre
decenni hanno concluso che l'aumento di donne che suonano strumenti tipicamente maschili è stato
dovuto non tanto a una riduzione degli stereotipi di genere quanto ad un aumento complessivo della
partecipazione femminile. Parlare di stereotipi di genere in questo studio significa considerare come
gli strumenti musicali siano afflitti dal pregiudizio di essere sia "tipicamente maschili" che
"tipicamente femminili”. (…) Ci sono numerosi studi che hanno esplorato la relazione tra strumenti
musicali e le loro associazioni con un genere specifico... (…) Tutti hanno trovato "pregiudizi di
genere sia rispetto a quali strumenti i bambini scelgono di suonare sia riguardo al loro
atteggiamento nei confronti di ciò che gli altri dovrebbero suonare” (Bullerjahn, Heller e
Hoffmann, 2016, p. 637).
Anche questi ricercatori confermano che gli strumenti in assoluto più frequentemente associati -
stabilmente da alcuni anni - alla sfera femminile sono flauto e violino, come tromba e percussioni lo
sono per quella maschile. Il loro studio vuole essere una replica a quanto fatto da Harrison e O’Neill
in un’indagine del 2000 in cui alcuni bambini delle scuole inglesi tra i 7 e gli 8 anni hanno avuto modo
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di assistere a dei concerti in cui la partecipazione dei musicisti era, in un primo momento, in linea
con i propri stereotipi di genere e poi, in un secondo momento, incoerente rispetto alle tradizionali
associazioni di genere, per comprendere come i giudizi degli alunni sulle proprie preferenze e su
quelle altrui potessero mutare rispetto a quanto dichiarato in interviste precedenti. La presente
ricerca, tuttavia, pur replicando certe modalità si distingue per l’età inferiore dei bambini coinvolti
(dai 4 ai 6 anni) e per l’area geografica che investe, ovvero alcuni istituti primari in Germania . Inoltre,
i bambini compresi in questa indagine, non si sono limitati ad assistere a dei concerti, ma vi hanno
preso parte in prima persona equamente divisi in due gruppi con i criteri di cui sopra. Le risposte
date dai bambini nelle interviste iniziali precedenti ai concerti, non hanno rilevato nulla di nuovo: i
maschi hanno dato maggiori preferenze alle percussioni e minori al flauto e le femmine hanno
premiato maggiormente pianoforte e violino disdegnando tra tutti la tromba: “le ragazze hanno
dichiarato che tutti gli strumenti musicali, eccetto la tromba e le percussioni, dovrebbero essere
suonati dalle ragazze, con il pianoforte considerato come il più femminile e la tromba come il più
maschile“ (ivi). Considerando poi, la seconda fase della ricerca, e quindi le risposte date dagli alunni
partecipanti ai due gruppi dopo il concerto, i ricercatori non hanno riscontrato grandi differenze se
non per quanto riguarda il gradimento della chitarra che è aumentato sia per i bambini che per le
bambine: “Per quanto riguarda le preferenze verso tutti gli strumenti, le differenze
tra i tre gruppi [essendo presente un terzo gruppo d’ascolto] non sono state significative.
Considerando gli stereotipi di genere, due strumenti mostrano risultati significativi o almeno
tendenze diverse tra i due tempi di misurazione: il flauto per quanto riguarda i ragazzi e le ragazze,
e il violino solo per ciò che concerne i ragazzi” (ivi). In particolare, riguardo al flauto: “I ragazzi
tendono a valutare il flauto come più "maschile" all'inizio, e più "femminile" a seguito del secondo
rilevamento; ma, se anche le ragazze tendono a valutare il flauto come più "femminile" [che in
precedenza] la seconda volta, lo giudicano allo stesso modo - rispetto ai ragazzi - fin dall’inizio in
assenza di qualsiasi intervento” (ivi).
I nostri risultati mostrano che i ragazzi e le ragazze di oggi sviluppano preferenze distinte e
sorprendentemente stabili nei confronti degli strumenti musicali anche in giovane età – essi possono
essere dovuti ai genitori o ad influenze mediatiche. (…) Pertanto, essi confermano un’elevata
presenza degli stereotipi nella scelta degli strumenti musicali e nell’orientamento verso un tipo di
musicista e sulla strumentazione in generale, ma vorremmo sottolineare, oltre a questo, che tra i
bambini che hanno partecipato nessuno ha rifiutato uno strumento musicale in particolare e le
deviazioni dello standard sono state piuttosto elevate. I risultati al terzo stadio di Abeles e Porter
(1978) hanno indicato qualcosa di simile: il comportamento degli stereotipi sessuali nelle preferenze
riguardo agli strumenti musicali non si è dimostrato molto forte nei bambini dell'asilo ma è risultato
più pronunciato a partire dai bambini delle scuole di terzo grado. (…) I bambini stabiliscono
un'identità di genere non più tardi del terzo anno di vita e quelli in età prescolare mostrano
solitamente le relazioni più forti tra gli schemi di genere. Tuttavia, alla fine della scuola materna e
con l'inizio della scuola elementare un incremento riguardo alla flessibilità degli stereotipi è
frequentemente osservato, il che dovrebbe segnalare che le interrelazioni tra gli schemi di genere si
indeboliscono. (…) In accordo con Wrape e altri (2016) potrebbe essere confermato che i nostri bimbi
più piccoli e musicalmente inesperti sono più aperti alle opinioni contro-stereotipate rispetto ai
bambini più grandi. Cosa che offre le migliori possibilità per i primi apprendimenti strumentali (ivi,
pp. 640-641).
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CONCLUSIONE
L’analisi appena conclusa, partendo da un breve racconto storico sulle origini degli stereotipi di
genere tradizionali in ambito musicale, passando per l’emblematico caso della scomparsa delle
pianiste dalla scena pubblica musicale viennese, per arrivare alle statistiche attuali interne sulla
segregazione femminile nelle professioni musicali classiche fino a quelle internazionali che cercano
di rintracciare la formazione e il perpetrarsi delle stesse “storiche” convenzioni di genere nei
bambini, ha cercato di tracciare il filo rosso che unisce a livello sociale musica e gender rispetto a
pubblica esibizione e discriminazione del corpo delle donne. Attraverso l’indagine di Steblin, si è
potuto dimostrare la natura arbitraria di certi stereotipi, poiché i principi in vigore in epoca classica
che associavano l’emotività degli strumenti a fiato e delle percussioni con il femminile e la maggiore
compostezza e sofisticatezza degli strumenti a corde con il maschile, si sono poi completamente
ribaltati a partire dal tardo Medioevo per consolidarsi nel periodo rinascimentale fino ai giorni
nostri. Infatti, come raccontano bene Steblin e DeNora, gli strumenti a fiato uniti alle percussioni,
con il passare del tempo sono divenuti le categorie di strumenti essenzialmente precluse alle donne
per motivazioni fortemente legate alla morale e alle convenzioni sociali, essendo questi strumenti
considerati “volgari”, ma soprattutto inadatti all’immagine composta ed aggraziata delle donne
aristocratiche imbrigliate in corsetti e crinoline tipiche del tempo (le uniche, tra l’altro, a potersi
permettere costose lezioni private). Così, dal Rinascimento in poi, divennero le tastiere (fra tutti il
virginale), lo strumento preferito delle donne, le quali tuttavia, esercitavano la loro arte per lo più
in casa allo scopo di attirare le attenzioni di qualche buon partito, abbandonando infine la pratica
una volta sposate. Tuttavia, alle soglie del 1800, quando si iniziava a intravedere uno spiraglio nelle
carriere delle musiciste che cominciavano a muovere i primi passi come artiste girovaghe presso le
corti europee, e il numero delle pianiste eguagliava quello dei colleghi uomini, l’introduzione di un
nuovo approccio compositivo nonché esecutivo da parte di Beethoven – che fu alla base del
nascente canone classico – diede nuovamente un brusco freno alle loro attività musicali, per lo
meno in ambito pianistico concertistico. In seguito, i cambiamenti maggiori si sono avuti grazie al
diffondersi delle scuole di musica e delle orchestre per sole donne (soprattutto negli Stati Uniti), e
Casula mostra come nei primi decenni del XX secolo le presenze femminili all’interno dei
conservatori italiani fossero quasi pari a quelle maschili; tuttavia, la varietà di scelta delle musiciste
conferma lo stereotipo fin qui descritto rispetto agli strumenti a fiato e alle percussioni, ancora
pochissimo frequentati dalle studentesse. Inoltre, la partecipazione delle donne sembrava per lo più
motivata dalla volontà delle famiglie di acquisire maggior prestigio avendo una figlia musicista che
non da motivazioni legate al raggiungimento di una carriera professionale e di conseguenza esposta
al pubblico. Ci vollero quindi i movimenti per l’emancipazione della donna degli anni ’60 e ’70
affinché esse si aprissero allo studio di strumenti a loro inconsueti e a possibili carriere professionali
in ambito classico musicale; al punto che uno strumento fino ad allora considerato proibito come il
flauto potesse subire un processo di femminilizzazione tale da farlo diventare di quasi esclusivo
dominio femminile, anche in ragione del suo suono che sembra accordarsi meglio con il concetto
occidentale di femminilità. Nonostante questo, Casula ci ricorda come, statisticamente, anche nel
caso di strumenti maggiormente frequentati dalle donne, si osservino ancora grossi squilibri nelle
carriere musicali in favore di quelle maschili. Per questo, l’ultima parte di questa ricerca, dedicata
alla formazione e alla diffusione degli stereotipi legati al mondo musicale in età infantile, può essere
utile a rintracciare le cause di queste disuguaglianze e a elaborare eventuali risposte, contribuendo
così a porvi fine.
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Bibliografia
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