1
http://en.wikipedia.org/wiki/Cover_version, ultimo accesso il 4 novembre 2014.
2
Qui e in seguito il discorso vale anche per due o più autori, o interpreti.
3
Vedere Donald S. Passman, All You Need to Know about the Music Business, Penguin, London, 1998, pp.
220-224.
4
Durium CN A 9177; disponibile anche nell’album I Marcellos Ferial, Durium ms AI 77123, 1966.
5
CGD ND 9606
6
Nell’album Music for Ever – International Hits Vol. 2, Fonit Cetra LPP-155, 1970.
7
Formalmente, di Lennon-McCartney: a quanto pare è la canzone che ha avuto più cover – nel senso ingle-
se/americano – nella storia. Gli autori del testo in italiano sono Marcello Minerbi e Tullio Romano, due dei
componenti dei Los Marcellos Ferial, un gruppo a suo tempo allestito in fretta e furia per registrare una
1
In
alto,
lo
spartito
italiano
di
“Ieri”
(“Yesterday”)
e
la
copertina
del
singolo
dei
Trappers.
Sotto,
il
singolo
dei
Marcellos
Ferial
(la
ragazza
sulla
copertina
è
Stefania
Sandrelli)
e
lo
spartito
italiano
di
“Tous
les
garçons
et
les
filles”
(il
testo
italiano
è
di
Vito
Pallavicini)
D’altra
parte,
“Mr.
Tambourine
Man”,
registrata
dai
Byrds
nel
1965,10
all’epoca
in
Italia
non
sarebbe
stata
chiamata
una
cover
della
canzone
di
Bob
Dylan,11
ma
una
versione,
versione “pirata” (un falso originale, in spagnolo) di “Cuando calienta el sol”, un successo de Los Herma-
nos Rigual.
8
Vito Pallavicini-Françoise Hardy-Roger Gustave Samyn, Ricordi SRL 10-323.
9
Disques Vogue HV 2003.
10
Columbia 4-43271, pubblicato il 12 aprile 1965.
2
un’interpretazione,
un
diverso
arrangiamento;
una
cover
(anche
nei
termini
di
allora)
fu
inve-‐
ce
“Mister
Tamburino”,
cantata
da
Don
Backy.12
Curiosamente
la
registrazione
di
Don
Backy
inizia
ricalcando
lo
stile
di
quella
di
Dylan
(con
l’accompagnamento
della
sola
chitarra),
poi
prosegue
ricalcando
l’arrangiamento
dei
Byrds.
Sopra,
le
etichette
del
singolo
dei
Byrds
e
dell’album
di
Bob
Dylan
con
“Mr.
Tambourine
Man”.
Sotto,
la
copertina
dell’album
di
Don
Backy
contenente
la
versione
italiana.
11
Apparsa nell’album Bringing It All Back Home, Columbia CS 9128, pubblicato il 22 marzo 1965. I Byrds
poterono pubblicare la loro cover senza dover chiedere direttamente l’autorizzazione a Dylan proprio per-
ché la registrazione di Dylan era già stata pubblicata. Il brano era già noto da tempo (Dylan l’aveva cantato
al folk festival di Newport nel 1964).
12
Nell’album L’amore, Clan Celentano ACC S/LP 40005, 1965.
3
In
tempi
più
recenti
le
cose,
almeno
in
Italia,
sono
cambiate:
ad
esempio,
i
tre
album
di
Franco
Battiato,
Fleurs
(1999),13
Fleurs
2
(2008)14
e
Fleurs
3
(2002)15
sono
stati
pubblicizzati
e
accolti
dalla
critica
come
album
di
cover,
anche
se
molte
canzoni
sono
di
autori
italiani,
e
an-‐
che
se
le
canzoni
straniere
sono
cantate
nella
lingua
originale.
In
ogni
caso,
ancora
oggi
il
fenomeno
delle
cover,
nelle
comunità
dei
critici,
degli
addetti
dell’industria
musicale,
dei
fan,
è
associato
agli
anni
del
secondo
dopoguerra,
e
soprattutto
a-‐
gli
anni
Cinquanta
e
Sessanta,
con
qualche
accenno
nostalgico
e
non
poche
semplificazioni
(ad
esempio,
quella
secondo
la
quale
una
cultura
rock
inizierebbe
in
Italia
solo
negli
anni
Settanta,
perché
prima
i
gruppi
“facevano
solo
cover”:
di
questo
ho
parlato
in
un
capitolo
di
Made
in
I-‐
taly,
intitolato
“And
The
Bitt
Went
On”).16
Per
capire
meglio
quel
fenomeno
è
utile
situarlo
nel
panorama
culturale,
normativo,
economico
e
industriale
della
musica
italiana
di
quei
decenni.
Innanzitutto,
si
deve
ricordare
che
la
pratica
della
traduzione
di
opere
vocali
(inclusa
l’opera
in
senso
stretto)
era
molto
comune,
già
nell’Ottocento,
e
proprio
fino
al
secondo
dopo-‐
guerra.
Nei
teatri
italiani
si
cantava
spesso
il
Flauto
magico,
il
Freischütz,
il
Tannhäuser,
il
Faust,
La
Valchiria,
la
Carmen,
e
così
via,
in
italiano
(così
come
altrove
in
Europa
si
cantavano
le
opere
italiane
nella
lingua
locale),
e
numerose
erano
le
arie
tradotte
incise
da
tenori
e
altri
interpreti
(anche
non
italiani)
nei
primi
decenni
della
discografia.
L’idea
che
un’opera
vada
in-‐
terpretata
comunque
e
dovunque
nella
lingua
del
libretto
originale
è
un’acquisizione
relati-‐
vamente
recente.
Naturalmente,
quelle
dei
libretti
erano
traduzioni
in
senso
proprio,
magari
con
qualche
licenza
poetica:
era
necessario
rispettare
lo
sviluppo
drammatico
dell’originale.
La
dizione
dei
cantanti
lirici,
si
sa,
è
spesso
incomprensibile,
in
qualunque
lingua,
ma
si
tradu-‐
cevano
i
libretti
con
la
buona
intenzione
di
permettere
al
pubblico
di
seguire
ciò
che
avveniva
sul
palcoscenico
senza
dover
consultare
il
testo
preventivamente,
o
nella
penombra
del
teatro.
Da
un
bisogno
diverso
partivano
i
traduttori
e
gli
adattatori
dei
testi
di
canzoni.
Lì
si
trat-‐
tava
di
fare
propri
dei
successi
internazionali,
che
difficilmente
avrebbero
potuto
raggiungere
in
massa
il
pubblico
locale,
per
varie
ragioni.
Ne
elenco
alcune:
i
dischi
a
78
giri
di
gommalacca
–
a
causa
della
fragilità
e
del
peso
–
viaggiavano
con
difficoltà,
ed
era
molto
più
conveniente
stamparli
localmente;
fino
al
secondo
dopoguerra,
quando
divennero
disponibili
i
registratori
a
nastro,
non
era
possibile
spedire
il
master
originale
di
una
registrazione,
semmai
solo
lo
13
Mercury 546 775-2.
14
Mercury 0602517883819.
15
Columbia COL 508884 2.
16
Franco Fabbri, “And the Bitt Went On”, in F. Fabbri, G. Plastino (eds.), Made in Italy. Studies in Popular
Music, Routledge, London and New York, 2014, pp. 41-55.
4
stampatore
(e
del
resto
le
registrazioni
originali
erano
disponibili
nei
cataloghi
delle
case
di-‐
scografiche);
ma
fino
all’elettrificazione
del
giradischi,
verso
la
fine
degli
anni
Venti,
trasmet-‐
tere
dischi
alla
radio
era
–
se
non
impossibile
–
tecnicamente
controproducente;
la
diffusione
della
conoscenza
delle
lingue
straniere,
presso
il
pubblico
di
massa,
era
scarsa.
In
definitiva,
solo
una
nicchia
di
appassionati
collezionava
dischi
stranieri
(acquistandoli
in
negozi
selezio-‐
nati
che
vendevano
dischi
di
importazione,
o
le
versioni
stampate
in
Italia),
e
ai
cantanti
della
radio
era
affidato
il
compito
di
far
conoscere
i
successi
di
altri
paesi
europei,
e
americani,
nelle
versioni
italiane.
Difficilmente
il
grande
pubblico
avrebbe
potuto
ascoltare
le
versioni
origina-‐
li,
e
questa
situazione
si
prolungò
anche
dopo
la
fine
della
guerra.
A
tutto
questo
bisogna
ag-‐
giungere
l’influenza
del
fascismo
e
il
suo
controllo
sulla
radio
di
stato,
l’EIAR:
dopo
il
varo
del-‐
le
leggi
razziali,
come
annuncia
trionfante
un
editoriale
del
Radiocorriere
del
marzo
1939,
l’EIAR
“ha
eliminato”,
si
noti
il
verbo,
“le
canzoni
di
autori
ebrei
e
negri”.17
In
verità,
alcuni
can-‐
tanti
(Alberto
Rabagliati,
Natalino
Otto),
gruppi
vocali
(il
Trio
Lescano,
il
Quartetto
Cetra),
di-‐
rettori
d’orchestra
(Gorni
Kramer,
Pippo
Barzizza,
Mascheroni)
erano
appassionati
del
jazz
e
dello
swing:
a
volta
bastava
contrabbandare
una
versione
come
“adattamento”
o
“parodia”
–
o
non
dire
che
si
trattava
di
una
versione,
spacciando
la
canzone
per
italiana
–
per
ottenere
che
i
funzionari
dell’EIAR
chiudessero
un
occhio
(ne
fa
un
resoconto
gustoso
Virgilio
Savona
rac-‐
contando
dell’audizione
dei
Cetra
–
che
si
chiamavano
ancora
EGIE
–
all’EIAR
di
Via
Asiago,
a
Roma).18
Un
esempio
famoso
è
“Tristezze
di
San
Luigi”
(o
anche
“Tristezze
di
S.
Louis”),
ver-‐
sione
in
italiano
–
testo
di
Mauro
–
della
nerissima
“St.
Louis
Blues”
di
W.C
Handy,
incisa
nel
1937
da
Gorni
Kramer
in
un’esecuzione
solo
strumentale,19
e
nel
1940
da
Natalino
Otto
con
l’Orchestra
Semprini
(Natalino
Otto
incise
la
stessa
canzone
anche
in
inglese,
nello
stesso
an-‐
no:
una
rarità).
Non
pochi
“classici”
di
Tin
Pan
Alley
vennero
“tradotti”
in
italiano
negli
anni
prima
della
guerra,
ignorando
o
aggirando
le
proibizioni
del
regime
(gli
esempi
che
seguono
sono
tratti
da
un
sito
dedicato
al
Trio
Lescano,
http://www.trio-‐lescano.it/collaboratori.html,
che
ne
elenca
molti
altri,
anche
europei
e
latinoamericani):
di
Irving
Berlin,
“Lasciati
andare”
(“Let
Yourself
Go”),
1936,
testo
di
Lulli
(non
meglio
identificato);
“La
ragazza
del
giornale”
(“The
Girl
on
the
Police
Gazette”),
1937,
testo
di
Umberto
Bertini
e
Nino
Rastelli;
“Un
anno
di
baci”
(“This
Year’s
Kisses”),
1937,
testo
di
Bertini-‐Rastelli;
“Vado
in
centro”
(“Slumming
on
Park
Avenue”),
1937,
17
Articolo non firmato (forse scritto dal direttore dei programmi, Giulio Razzi), “Ancora della musica legge-
ra”, Radiocorriere 10, anno XV, 1939, p. 5.
18
Virgilio Savona, Gli indimenticabili Cetra, Sperling & Kupfer, Milano, 1992, p. 36 e segg.
19
Fonit 8025-A: sull’etichetta del disco compare solo il nome dell’autore del testo italiano.
5
testo
di
Bertini-‐Rastelli;
di
Cole
Porter
“È
tanto
facile
amarti”
(“Easy
to
Love”),
1936,
testo
di
Levi
(forse
Ezio
Levi,
fautore
del
jazz
insieme
a
Gian
Carlo
Testoni);
“Tu
vivi
nel
mio
cuor”
(“I’ve
Got
You
Under
My
Skin”),
1936,
testo
di
Levi;
di
Richard
Rodgers,
“Dove
e
quando”
(“Where
or
When”),
testo
di
Alfredo
Bracchi.
Un
altro
elenco,
ancora
più
ampio,
si
trova
in
ap-‐
pendice
al
volume
curato
da
Gianfranco
Vinay
su
George
Gershwin.20
Molti
altri
successi
nordamericani
furono
“tradotti”
o
anche
ritradotti,
si
potrebbe
dire
quasi
con
furia,
a
partire
dal
1946:
risale
a
quell’anno,
ad
esempio,
l’incisione
da
parte
di
Lidia
Martorana
di
“L’uomo
che
amo”,
versione
(di
Riccardo
Morbelli)
di
“The
Man
I
Love”
dei
fra-‐
telli
Gershwin.
Va
detto
che
Gershwin
(ma
anche
Berlin)
era
stato
individuato
e
additato
come
ebreo
dalla
propaganda
nazista,21
per
cui
le
scappatoie
trovate
nel
Ventennio
relativamente
ad
altri
autori
nordamericani
difficilmente
avrebbero
potuto
avere
successo;
esisteva
comunque
un
amplissimo
repertorio
di
canzoni
straniere
mai
“tradotte”
o
da
“ritradurre”.
L’aspetto
della
ritraduzione
è
curioso
ma
difficilmente
esplorabile,
se
non
attraverso
esempi
lampanti:
come
“Stardust”
(1927)
di
Hoagy
Charmichael
(“Polvere
di
stelle”)
la
cui
versione
italiana
è
attribui-‐
ta
sulle
etichette
dei
dischi
del
Ventennio
–
ma
anche
su
qualche
edizione
discografica
e
a
stampa
successiva
–
a
tale
Cariga
(non
meglio
identificato,
finora),
e
risulta
poi
essere
accredi-‐
tata
a
Devilli
(pseudonimo
dell’editore
Alberto
Curci)
nel
dopoguerra.22
Purtroppo
gli
archivi
della
Siae
accessibili
al
pubblico
non
riportano
alcuna
informazione
utile
(non
indicano
nem-‐
meno
la
data
della
prima
pubblicazione,
né
tantomeno
includono
accenni
alla
storia
editoriale
dei
brani).
Che
Cariga
e
Devilli
siano
la
stessa
persona?
Anche
di
“I’ve
Got
You
Under
My
Skin”
di
Cole
Porter
risultano
due
versioni
italiane:
una
di
Levi
(la
già
citata
“Tu
vivi
nel
mio
cuor”),
una
di
Leo
Chiosso
(“È
il
mio
destino”).
Il
fatto
è,
comunque,
che
un
numero
abbastanza
ristretto
di
autori
firmò
le
versioni
ita-‐
liane
di
molti
“classici”
di
anteguerra,
come
si
vede
consultando
gli
spartiti
dell’epoca:
Devilli
(1886-‐1973),
Umberto
Bertini
(1900-‐1987,
attivo
come
paroliere
e
traduttore
già
negli
anni
Trenta),
Mario
Panzeri
(1911-‐1991,
idem),
Gian
Carlo
Testoni
(1912-‐1965,
idem),
Leo
Chiosso
(1920-‐2006).
20
Gianfranco Vinay, a cura di, Gershwin, EDT, Torino, 1992.
21
Christa Maria Rok e Hans Brükner, a cura di, Judentum und Musik. MR dem ABC jüdischer und nichari-
scher Musikbtlissener, a cura di, Hans Brukner, Munchen, 1936, cit. in Vinay cit., 326, n. 11.
22
Bisogna ricordare che “Stardust” nacque come brano strumentale, al quale successivamente venne adattato
un testo: esistono, in realtà, più testi in inglese della medesima canzone.
6
Tre
celebri
standard
con
testi
in
italiano
di
Devilli
(l’editore
Alberto
Curci)
7
Una
raccolta
di
canzoni
del
repertorio
di
Frank
Sinatra.
Fra
gli
autori
dei
testi
in
italiano:
Bertini,
Chiosso,
Panzeri,
Testoni.
Era
in
vigore
dal
1941
la
legge
sul
diritto
d’autore
(n.
633
del
22
aprile
1941),
che
con
poche
modifiche
regola
tuttora
la
materia
in
Italia;
l’articolo
4
recita
così:
“Senza
pregiudizio
dei
di-‐
8
ritti
esistenti
sull’opera
originaria,
sono
altresì
protette
le
elaborazioni
di
carattere
creativo
dell’opera
stessa,
quali
le
traduzioni
in
altra
lingua...
(eccetera)”.
Nel
1962
una
deliberazione
del
presidente
della
Siae
(reiterata
in
seguito)
avrebbe
specificato
con
precisione
il
valore
di
quella
tutela:
“All’autore
dell’adattamento
del
testo
letterario
di
composizioni
tutelate
di
ori-‐
gine
straniera
deve
essere
assegnata
una
quota
non
inferiore
rispettivamente:
a)
per
i
proven-‐
ti
di
cui
all’art.
1:
a
2/24;
b)
per
i
proventi
di
cui
all’art.
4:
al
5%
nel
caso
di
un
solo
adattatore
e
al
10%
nel
caso
di
più
adattatori.”23
Le
quote
si
riferiscono,
rispettivamente,
alle
utilizzazioni
in
balli
e
concertini,
film,
emissioni
radiotelevisive,
concerti
(le
prime
quattro
classi
della
ri-‐
partizione
della
Sezione
Musica
della
Siae),
e
ai
diritti
fonomeccanici
(classe
V):
corrispondo-‐
no
alla
metà
della
quota
riservata
–
secondo
le
consuetudini
italiane
–
agli
autori
del
testo
(le
quote
comuni
sono
4/24
o
16,7%
agli
autori
del
testo,
8/24
o
33,3%
agli
autori
della
musica,
12/24
o
50%
agli
editori:
non
è
impedito
dai
regolamenti
di
assegnare
quote
uguali
al
parolie-‐
re
e
al
compositore,
come
è
consuetudine
–
ad
esempio
–
negli
USA
e
in
Gran
Bretagna,
ma
la
ripartizione
4/8/12,
in
Italia,
è
considerata
“normale”).
Non
so,
e
mi
riprometto
di
cercare,
se
prima
della
deliberazione
del
1962
l’articolo
4
della
legge
sul
diritto
d’autore
venisse
evaso,
o
–
come
sembra
molto
più
probabile
–
fosse
applicato
a
discrezione
degli
editori:
mi
stupirebbe
se
una
tale
attività
di
“traduzione”
di
canzoni
straniere
fosse
intrapresa
senza
un
guadagno.
Anzi,
tendo
a
pensare
che
quell’attività
fosse
ricompensata
già
prima
del
1962
con
gli
stessi
criteri
poi
regolamentati
dalla
Siae.
Dunque,
vale
la
pena
di
chiarirlo
con
un
esempio,
per
la
versione
italiana
di
“The
Man
I
Love”
Riccardo
Morbelli
avrebbe
ottenuto
2/24
dei
diritti
d’autore
(e
l’8,33%
dei
diritti
fono-‐
meccanici),
altrettanti
ne
avrebbe
avuti
Ira
Gershwin
(perdendo
quindi
la
metà
di
ciò
che
gli
sarebbe
spettato
in
mancanza
di
una
versione
italiana),
mentre
gli
eredi
di
George
Gershwin
avrebbero
ottenuto
8/24
e
il
33,3%;
il
resto
sarebbe
andato
agli
editori.
La
misura
era
sem-‐
brata
adeguata
al
legislatore
del
1941,
e
ancora
alla
Siae
nel
1962,
ritenendo
che
la
“traduzio-‐
ne”
rendesse
molto
più
facile
la
circolazione
in
Italia
di
un’opera
in
lingua
straniera:
ciò
che
l’autore
originale
del
testo
perdeva,
cedendo
dei
diritti
al
“traduttore”,
era
recuperato
sulla
quantità
complessiva
dei
diritti
maturati.
Ma
era
proprio
così?
Tanto
per
cominciare,
dopo
la
fine
della
guerra,
l’apertura
dei
mer-‐
cati,
le
innovazioni
tecniche,
la
forte
ripresa
dell’industria
discografica,
il
dilagare
delle
tra-‐
smissioni
radiofoniche
di
dischi
rendevano
accessibili
al
grande
pubblico
le
versioni
originali:
c’era
davvero
bisogno
della
funzione
di
traino
delle
“traduzioni”
per
far
conoscere
le
canzoni
23
Articolo 7 degli “Schemi di ripartizione” deliberati dal Presidente della Siae (30/4/1971, aggiornamento di
analoghe deliberazioni del 28/2/1962 e del 12/11/1964).
9
cantate
da
Frank
Sinatra,
o
“Les
feuilles
mortes”?
E
poi,
un
altro
fattore
pesantissimo
si
ag-‐
giungeva:
poiché
la
Siae,
con
i
mezzi
di
allora,
pareva
incapace
di
determinare
se
un
brano
fos-‐
se
utilizzato
nella
versione
italiana
o
in
quella
originale,
si
stabilì
che
i
diritti
relativi
a
qualun-‐
que
utilizzazione
di
un
brano
straniero
sul
territorio
italiano
sarebbero
stati
ripartiti
come
se
il
brano
fosse
stato
utilizzato
nella
versione
“tradotta”.
Proprio
così:
l’autore
del
testo
italiano
avrebbe
preso
la
sua
parte
anche
quando
il
brano
fosse
stato
eseguito,
radiotrasmesso,
vendu-‐
to
in
forma
registrata,
nella
versione
originale.
Che
si
trattasse
di
una
vera
incapacità
tecnica,
e
non
del
risultato
delle
pressioni
delle
lobbies
che
governavano
la
Siae,
non
è
facile
da
dimo-‐
strare:
certo,
gli
assistenti
alla
regia
della
Rai
erano
tenuti
a
compilare
i
programmi
musicali
da
consegnare
alla
Siae
indicando
con
grande
precisione
i
titoli
e
gli
altri
dati
presenti
sulle
e-‐
tichette
dei
dischi:
è
difficile
che
confondessero
“I
Got
You
Under
My
Skin”
con
“Sei
il
mio
de-‐
stino”,
o,
più
tardi,
“A
Whiter
Shade
Of
Pale”
con
“Senza
luce”.
Ma
l’autore
del
testo
italiano
in-‐
cassava
i
diritti,
anche
se
la
radio
aveva
trasmesso
un
disco
di
Frank
Sinatra
o
dei
Procol
Ha-‐
rum
(a
proposito:
fra
gli
autori
del
testo
italiano
di
“A
Whiter
Shade
Of
Pale”
risulta,
nel
database
della
Siae,
un
tal
Ettore
Carrera,
direttore
editoriale
della
Suvini
Zerboni,
che
proba-‐
bilmente
non
mise
mano
al
testo,
ma
si
limitò
a
raccogliere
una
sorta
di
tangente
–
assai
abi-‐
tuale
negli
ambienti
editoriali
e
discografici
dell’epoca).
Insomma,
sotto
una
pellicola
di
legalità
fragilissima
si
consumò,
per
una
trentina
d’anni,
una
manipolazione
del
diritto
d’autore
che
portò
nelle
tasche
di
un
numero
limitato
di
autori
italiani
di
testi
quantità
smisurate
di
denaro.
Quanto?
La
Siae,
probabilmente,
non
lo
rivelerà
mai.
Alla
fine
degli
anni
Ottanta
fui
testimone
involontario
di
una
telefonata
di
Bruno
Lauzi,
cantautore
rispettabilissimo,
che
raccontava
a
un
amico
di
aver
percepito,
per
la
sola
versione
italiana
di
“Hello
Dolly”
(1964)
diritti
per
quattrocento
milioni
di
lire
(al
netto
dell’inflazione,
circa
un
milione
di
euro
di
oggi).
10
Testi
poco
noti
di
cantautori
famosi
Gli
effetti
di
questa
pioggia
miracolosa
sull’industria
musicale
italiana
degli
anni
dall’immediato
dopoguerra
fino
agli
anni
Settanta
(ben
pochi
non
ne
furono
toccati)
sono
stati
molteplici.
Da
un
lato,
editori
e
autori
sempre
più
famelici
andavano
in
caccia
di
successi
este-‐
ri,
accumulandone
le
versioni
italiane
in
pochissime
mani.
Se
si
voleva
fare
un
piacere
a
qual-‐
cuno,
magari
a
un
giovane
autore,
per
vincolarlo
a
una
casa
editrice,
gli
si
offriva
una
“tradu-‐
zione”.
E
i
giovani
interpreti,
anche
quelli
che
avrebbero
saputo
scrivere
le
proprie
canzoni,
venivano
invitati
a
registrare
delle
cover,
per
favorire
il
processo
grazie
al
quale
gli
autori
dei
testi
lucravano
sulle
versioni
originali.
11
Spartiti
con
testi
italiani
di
grandi
successi
angloamericani
(di
Mogol,
Testa,
Ricky
Gianco,
Gar-‐
giulo).
Non
tutti
furono
mai
registrati
nella
nostra
lingua,
ma
gli
adattatori
non
ne
soffrirono.
12
Di
fatto,
nei
rapporti
fra
editori
italiani
ed
editori
delle
versioni
originali,
spesso
la
notizia
o
anche
solo
la
promessa
di
una
cover
italiana
poteva
convincere
a
stipulare
un
accordo
di
li-‐
cenza
editoriale.
La
proliferazione
di
cover
nel
beat
italiano
–
intorno
alla
metà
degli
anni
Ses-‐
santa
–
si
spiega
anche
così,
oltre
che
con
l’inevitabile
desiderio
dei
gruppi
di
misurarsi
con
uno
stile
non
facile
da
ricreare.
E
il
fenomeno,
senza
che
le
regole
fossero
cambiate,
si
spense
velocemente
all’inizio
degli
anni
Settanta,
quando
gli
editori
esteri,
ormai
smaliziati
dopo
es-‐
sere
stati
sollecitati
dai
propri
autori
di
testi,
iniziarono
a
seguire
una
politica
più
restrittiva,
concedendo
contratti
di
licenza
per
la
“traduzione”
solo
dopo
aver
ricevuto
adeguate
rassicu-‐
razioni
che
la
cover
sarebbe
stata
registrata
da
interpreti
di
primo
piano,
di
sicuro
impatto
commerciale.
Finora
ho
usato
indifferentemente
le
espressioni
“versione
italiana”
e
“traduzione”,
quest’ultima
sempre
tra
virgolette:
come
ho
accennato
fin
dall’inizio,
e
come
molti
esempi
di-‐
mostrano,
si
trattava
più
che
altro
di
adattamenti
di
un
testo
italiano
a
una
melodia
preesi-‐
stente,
molto
raramente
con
l’intento
di
tradurre
anche
solo
approssimativamente
il
testo.
Molte
versioni
italiane
non
hanno
nulla
a
che
vedere
col
contenuto
del
testo
originale.
D’altra
parte,
una
versione
deve
basarsi
sulla
stessa
metrica
del
testo
originale,
obbligando
la
lingua
della
canzone
“tradotta”
a
riempirsi
di
parole
tronche,
o
di
monosillabi,
a
imitazione
dell’inglese
(o
del
francese):
del
resto,
è
molto
diffuso
fra
autori,
cantanti
e
critici
della
canzo-‐
ne
italiana
il
luogo
comune
secondo
il
quale
la
lingua
italiana
sarebbe
inadatta
alla
canzone
“moderna”,
perché
povera
di
tronche
e
di
monosillabi.
Molti
esempi
potrebbero
dimostrare
che,
invece,
basta
che
il
compositore
crei
una
melodia
“pensando
in
italiano”,
e
non
in
inglese,
perché
le
prosodie
dell’italiano
parlato
e
di
quello
cantato
si
trovino
in
accordo.
Ma,
ai
fini
di
una
riflessione
sull’economia
delle
cover,
è
più
importante
notare
che
in
generale
la
stessa
melodia
ammette
versificazioni
alternative,
attraverso
il
ricorso
all’anacrusi
o
alla
divisione
di
un’unità
metrica
in
sottounità
più
brevi,
o
viceversa:
questa
libertà,
che
è
concessa
a
un
autore
(si
confrontino
fra
di
loro,
ad
esempio,
le
quattro
strofe
di
“Mr.
Tambourine
Man”,
o
di
“Like
A
Rolling
Stone”,
di
Bob
Dylan,
ciascuna
diversa
metricamente
dalle
altre
tre)
non
è
concessa
all’adattatore,
anche
se
una
versione
metricamente
più
libera
potrebbe
risultare
più
fedele
al
contenuto
originale.
Ne
ho
esperienza
diretta:
quando,
nel
1966,
il
gruppo
del
quale
facevo
parte
propose
di
incidere
una
versione
italiana
di
“All
Or
Nothing”
(Marriott-‐Lane),24
registra-‐
ta
in
originale
dagli
Small
Faces,
il
testo
che
scrissi
insieme
agli
altri
era
una
traduzione
abba-‐
stanza
fedele
di
quello
inglese,
e
si
intitolava
“Tutto
o
niente”.
Ci
venne
fatto
notare
che
il
mo-‐
24
In questo caso, che pure ricorreva, il brano non era stato suggerito o imposto dalla casa discografica o dagli
editori collegati.
13
do
secco
in
cui
intendevamo
cantare
il
titolo,
nel
ritornello
(“tut-‐to
o
nien-‐te”)
non
corrispon-‐
deva
alla
scansione
dell’originale
(“A-‐all
or
no-‐thing”),
e
che
l’adattamento
a
quella
scansione
(“Tu-‐ut-‐
to
[o]
nien-‐te”)
sarebbe
suonato
male.
Dunque,
senza
troppi
complimenti,
ci
fu
detto
di
cantare
“O-‐og-‐gi
pian-‐go”,
su
un
testo
(di
significato
completamente
diverso
dall’originale)
scritto
da
Mogol.
Come
traduttori
eravamo
tecnicamente
insufficienti,
era
bene
rivolgersi
a
un
professionista.
I
thought
you’d
listen
to
my
reasoning
Lasciare
tutto
è
difficile
But
now
I
see,
you
don’t
hear
a
thing
lasciare
il
mondo
dove
c’eri
tu
Try
to
make
you
see,
how
it’s
got
to
be
ma
dovrò
partir,
ti
dovrò
lasciar,
anche
se
Yes
it’s
all,
all
or
nothing
Oggi
piango,
Yeah
yeah,
All
or
nothing
ye
ye,
oggi
piango,
sai
che
All
or
nothing,
for
me
oggi
piango
per
te
Things
could
work
out
just
like
I
want
them
to,
yeah
A
volte
penso
che
è
più
facile
If
I
could
have
the
other
half
of
you,
yeah
restare
indietro
e
arrendersi
You
know
I
would,
If
I
only
could
Ma
non
ti
puoi
fermar
quando
vuoi
volar,
anche
se
Yes
it’s
yeah,
all
or
nothing
Oggi
piango,
perché
ti
voglio
bene,
Oh
yeah,
all
or
nothing
oggi
piango,
perché
ti
voglio
troppo
bene
You'll
hear
my
children
say,
all
or
nothing,
for
me
oggi
piango
per
te
A
sinistra,
parte
del
testo
di
“All
Or
Nothing”
(Marriot,
Lane),
un
successo
degli
Small
Faces
(1966);
a
destra,
parte
del
testo
(scritto
da
Mogol)
di
“Oggi
piango”,
registrata
dagli
Stormy
Six
nello
stesso
anno
e
pubblicata
all’inizio
del
1967.
Le
malefatte
dell’editoria
musicale
e
della
discografia
italiana
si
accordano
bene
con
una
certa
immagine
del
paese
e
del
livello
di
moralità
di
molti
ambienti,
non
solo
politici.
Ma
non
sono
al
momento
in
grado
di
giurare
che
in
altri
paesi
queste
cose,
o
cose
simili,
non
avvenis-‐
sero.
Ad
esempio,
la
storia
dell’editoria
e
della
discografia
statunitense
è
abbastanza
ricca
di
esempi
di
brani
di
tradizione
popolare
che
furono
depositati
e
sfruttati
economicamente
da
chi
li
aveva
raccolti
(senza
alcun
riguardo
per
i
portatori),
o
di
brani
che
effettivamente
ave-‐
vano
un
autore,
ma
abbastanza
sfortunato
da
vivere
in
un
paese
sottosviluppato,
e
dei
quali
quindi
si
appropriarono
senza
complimenti
autori
statunitensi.
14
Un
caso
classico
di
appropriazione.
“The
Lion
Sleeps
Tonight”
(un
grande
successo
dei
Tokens,
1961)
è
un
adattamento
di
“Wimoweh”,
un
successo
degli
Weavers
degli
anni
Cinquanta,
che
a
sua
volta
deriva
da
“Mbube”,
un
brano
del
gruppo
africano
Solomon
Linda’s
Original
Evening
Birds
(1938).
Solomon
Linda
è
accreditato
nella
versione
degli
Weavers,
insieme
a
Campbell
(lo
pseudonimo
collettivo
degli
Weavers),
ma
il
suo
nome
scompare
nei
credits
dello
hit
del
1961,
dove
invece
figurano
altri
adattatori,
statunitensi
(e
Leo
Chiosso,
autore
della
versione
italiana).
Suggerirei
anche
che
le
regole
di
ripartizione
per
le
traduzioni
adottate
negli
anni
del
se-‐
condo
dopoguerra
dalle
società
degli
autori
di
altri
paesi
(la
Spagna,
la
Francia,
la
Germania,
ecc.)
meritino
qualche
studio.
Infine,
vorrei
dedicare
qualche
parola
alle
cover
in
quanto
produzioni
discografiche.
Quando
si
pensa
alle
cover
degli
anni
Sessanta,
soprattutto,
si
sottintende
che
fossero
delle
copie
il
più
fedeli
possibile
degli
originali,
solamente
con
un
testo
nella
lingua
locale.
Si
dà
per
scontato,
dunque,
che
il
diritto
di
traduzione
o
adattamento
implicasse
anche
il
diritto
di
ap-‐
propriarsi
dell’arrangiamento,
il
che
non
è
vero.
Il
fatto
è
che
l’arrangiamento,
almeno
in
Italia,
non
è
protetto
dal
diritto
d’autore.
Arrangiatori
e
complessi
musicali,
con
rare
eccezioni,
tro-‐
vavano
normale
replicare
gli
arrangiamenti
dei
dischi
originali.
C’erano
però
dei
limiti.
In
mol-‐
ti
casi,
le
tonalità
andavano
adattate
all’estensione
dei
cantanti
o
delle
cantanti,
e
questo
modi-‐
15
ficava
il
timbro
degli
strumenti,
in
seguito
allo
spostamento
in
un
altro
registro;
poi,
special-‐
mente
i
tecnici
del
suono
inglesi
tendevano
a
sfiorare
o
superare
la
soglia
della
distorsione,
dalla
quale
invece
i
tecnici
italiani,
più
conservatori
e
meno
pressati
da
musicisti
novellini
e
intimiditi,
si
tenevano
lontani.
Questo
vale
anche
per
i
suoni
degli
strumenti:
molte
chitarre
o
tastiere
o
batterie
ai
limiti
della
distorsione
nei
dischi
angloamericani
risultavano
“pulite”
(e
dunque
anche
“piccole”)
nelle
cover
italiane.
Ma
soprattutto,
incombeva
il
giudizio
della
Commissione
d’Ascolto
della
Rai,
che
non
si
limitava
a
spulciare
i
testi
alla
ricerca
di
volgarità
e
riferimenti
espliciti
(per
non
dire
degli
accenni
alla
politica
o
alla
religione),
ma
si
preoccu-‐
pava
della
qualità
tecnica,
temendo
che
eventuali
distorsioni
potessero
essere
interpretate
come
disfunzioni
della
trasmissione.25
Per
di
più,
l’aspetto
censorio
e
quello
tecnico
si
sposa-‐
vano
nella
richiesta
che
il
livello
della
voce
fosse
sempre
consistentemente
più
alto
di
quello
della
base:
a
parità
di
qualsiasi
altro
fattore,
la
stragrande
maggioranza
delle
cover
differiva
sostanzialmente
dall’incisione
originale
perché
la
voce
era
molto
più
“fuori”.
A
sinistra,
il
singolo
di
Tommy
James
and
the
Shondells
con
“Crimson
and
Clover”
(1969);
a
destra
la
copertina
della
versione
italiana
(testo
diMogol
e
Minellono)
del
Patrick
Samson
Set
Gli
esempi
possibili
sono
numerosissimi.
In
un
mio
libro
ho
descritto
abbastanza
minu-‐
ziosamente
la
registrazione
di
“Oggi
piango”
e
le
inevitabili
(e
un
po’
malinconiche)
differenze
25
Sulla Commissione d’Ascolto si veda la tesi di laurea di Roberto Bonato, La Commisione d'Ascolto della
Rai. Musica e radiotelevisione in Italia dal fascismo alla fine del monopolio Rai (Laurea triennale, Torino,
Facoltà di Lettere, 2007-2008), scaricabile all’indirizzo http://www.francofabbri.net/pagine/Uni_Tesi.htm
16
rispetto
a
“All
Or
Nothing”;26
qui
suggerisco
l’ascolto
comparato
della
versione
originale
di
“Crimson
and
Clover”
(T.
James-‐P.
Lucia,
1969),
interpretata
da
Tommy
James
and
the
Shon-‐
dells
(Roulette
R-‐7028),
e
della
cover
italiana
“Soli
si
muore”
(testo
italiano
di
Mogol
e
Cristia-‐
no
Minellono),
incisa
nello
stesso
anno
dal
Patrick
Samson27
Set
(Carosello
Cl
20225).
Mi
au-‐
guro
che
possa
suggerire
un
buon
riassunto
dei
vari
temi
affrontati
in
questa
mia
comunica-‐
zione.
26
Franco Fabbri, Album bianco. Diari musicali 1965-2011, Milano, il Saggiatore, 2011, pp. 41-43.
27
Patrick Samson, il cui vero nome era Sulaimi Khoury, era di origine libanese. Il suo gruppo, all’epoca, era
uno dei più apprezzati per un sound aggressivo, simile a quello dei migliori gruppi di r&b angloamericani.
Nella registrazione, però, il suono è addomesticato, con la voce molto “fuori” (per evidenti esigenze radio-
foniche) e gli strumenti “puliti”. Spicca soprattutto la realizzazione dell’effetto finale sulla voce, che nel
disco di Tommy James è realizzato facendola passare per il canale del tremolo di un amplificatore per chi-
tarra, mentre nella versione italiana si accontenta di un riverbero accentuato, ma scialbo.
17