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Filone d’Alessandria – De opificio mundi (128-139)

Dopo un’articolata trattazione di tipo numerologico volta a dimostrare la sacralità


dell’ebdomande (criteri aritmologici Opif. 89-96, geometria e stereometria Opif. 97-98, mondo
sensibile e fasi della vita umana Opif. 101-104, dottrina Ippocratica Opif. 105, proposizione armonica
Opif. 107-110, astronomia Opif. 111-116, natura fisica dell’uomo Opif. 117-125, musica e
grammatica Opif. 126-127), il terzo Comandamento, santificare il sabato, viene analizzato in un’ottica
prettamente morale:
“[128] Queste e molte altre ancora sono le affermazioni e le riflessioni sul numero 7, che si
possono fare dal punto di vista filosofico per chiarire i motivi grazie ai quali tale numero ha
ottenuto nella natura gli onori più alti ed è tenuto in considerazione dai più celebri dotti greci e
non greci versati nelle scienze matematiche. Il numero 7 è stato altamente onorato da Mosè,
l’amico della virtù, che ne ha descritto la bellezza nelle santissime tavole della Legge e lo ha
impresso nella mente di tutti quelli che erano soggetti a lui, comandando loro che, dopo sei giorni,
celebrassero come giorno sacro il settimo, astenendosi da ogni altra attività intesa a ricercare e
ad assicurarsi i mezzi di vita, per dedicare se stessi alla sola occupazione del filosofare, tendente
a migliorare la loro condotta morale e a interrogare la propria coscienza, un esame che –
insediandosi talvolta nell’anima in veste di giudice – non ha ritegno di muovere rimproveri,
ricorrendo talora a minacce violente, talaltra ad ammonizioni più moderate, alle prime con quanti
sembrano peccare per premeditazione, alle seconde nei confronti di coloro che peccano
involontariamente per incapacità di prevedere il futuro, perché non ricadano più nella stessa
colpa.”
Andiamo per prima cosa ad analizzare i passi biblici ai quali si riferisce Filone, Gen., 2,2-3; Es. 20,
8-11; e Deut., 5, 15:
“Allora Dio nel settimo giorno portò a termine il lavoro che aveva fatto e cessò nel settimo giorno
da ogni suo lavoro. Dio benedisse il settimo giorno e lo consacrò, perché in esso aveva cessato da
ogni lavoro che egli creando aveva fatto.” (Gen., 2,2-3)1
“Ricordati del giorno di sabato per santificarlo: sei giorni faticherai e farai ogni tuo lavoro; ma
il settimo giorno è il sabato in onore del Signore, tuo Dio: tu non farai alcun lavoro, né tu, né tuo
figlio, né tua figlia, né il tuo schiavo, né la tua schiava, né il tuo bestiame, né il forestiero che
dimora presso di te. Perché in sei giorni il Signore ha fatto il cielo e la terra e il mare e quanto è
in essi, ma si è riposato il giorno settimo. Perciò il Signore ha benedetto il giorno di sabato e lo
ha dichiarato sacro.” (Es. 20, 8-11)2
“Ricordati che sei stato schiavo nel paese d’Egitto e che il Signore tuo Dio ti ha fatto uscire di là
con mano potente e braccio teso; perciò il Signore tuo Dio ti ordina di osservare il giorno di
Sabato.” (Deut., 5, 15)3
L’importanza di emulare Dio nel riposo del sabato può essere facilmente inquadrata all’interno di una
pratica di ricerca filosofica e di esame di coscienza, necessari alla qualità della vita quanto il
procurarsi i mezzi fisici di sussistenza. Ciò che invece risulta complesso è, in primo luogo, associare
a Dio il termine “riposo”, che rimanda a fatica e stanchezza, e, in secondo luogo, comprendere una

1
Conferenza Episcopale Italiana - Unione Editori Cattolici Italiani (a cura di), La Sacra Bibbia, Roma, 1982.
2
Ibid.
3
Ibid.
1
creazione apparentemente finita e limitata nel tempo, in contrasto cioè con i classici attributi divini
di immutabilità e continuità dell’agire4.
Per prima cosa bisogna considerare come Mosè sia stretto dall’esigenza di esporre l’opera di Dio in
maniera logica: il logos (inteso come discorso) necessita di un principio e di una conclusione e questo
basterebbe già a spiegare la ripartizione in giorni. Una soluzione simile viene suggerita anche dallo
stesso Filone in Opif. 6:
“Come il sigillo più minuto può contenere, riprodotte dall’incisore, le immagini di figure colossali,
così forse le bellezze cui è improntato il racconto della creazione del mondo nelle Leggi, pur tanto
eccedenti <ogni normale misura> e tali da abbagliare con il loro splendore l’anima dei lettori,
potranno in qualche modo venir riprodotte con tratti più minuti”.
I giorni della creazione non vanno quindi intesi come un’indicazione cronologica, come se si
susseguissero in un prima e in un poi. Al contrario, la scansione temporale, essa stessa creatura di
Dio, assume sia un ruolo simbolico, che facilita l’approccio cognitivo ad un evento tanto grande e
abbagliante, sia un ruolo qualitativo, inserendo gli elementi della natura all’interno di una gerarchia
di valore. Si può infatti leggere in Legum allegoriae 12:
“Certo sarebbe ben sciocco credere il cosmo sia stato generato in sei giorni o, in generale, nel
tempo. Perché se il tempo nel suo complesso nasce dalla sequenza dei giorni e delle notti, e ciò si
realizza di necessità attraverso il movimento del sole sopra e sotto la terra, allora è del tutto giusto
ritenere che il cosmo non è stato creato nel tempo, ma che anzi quest’ultimo sussiste in ragione del
cosmo.” (LA, 12).
Per quanto riguarda il “riposo” possiamo, invece, fare riferimento ad Aristobulo di Alessandria,
secondo il quale la cessazione di un’azione produttiva comporta la fissazione della cosa creata e la
sua conseguente immutabilità5.
Sussiste però una sostanziale differenza tra i due filosofi: se Aristobulo ritiene che durante il settimo
giorno è lo stesso Dio a dedicarsi all’attività speculativa, ben diversa è l’idea di Filone, secondo il
quale il soggetto della riflessione non sarebbe Dio ma l’uomo-Mosè. Ciò trova conferma nel fatto che
l’attività noetica del Signore, elemento costitutivo della creazione, si svolge nel primo giorno6.
Se il numero sei è legato al movimento creatore7, il sette rappresenta ciò che è fisso ed immutabile8
e si ricongiunge all’eccelso valore della monade, portatrice del puro intelletto divino. Il primo giorno,
infatti, è il teatro della creazione del mondo intellegibile9 e in quanto tale non può non relazionarsi
con il sabato, interamente dedicato alla speculazione.
Il settimo giorno diventa così conclusione dell’opera costruttrice ed inizio della fissazione del reale:
adesso il mondo assiste al suo primo momento di completezza e le creature vivono il loro primo
giorno nella dimensione storica.

4
F. Calabi, Filone di Alessandria, Roma, 2013, p. 85.
5
R. Radice, Allegoria e paradigmi etici in Filone d’Alessandria. Commentario al “Legum Allegoriae”, Milano, 2000, p.
109.
6
Ibid. p. 117.
7
Cit., nota 4.
8
“La creazione si attua nel movimento, perché colui che genera e colui che è generato non possono prescindere dal
movimento, l’uno per generare, l’altro per essere generato. L’unico che né muove, né è messo in movimento è l’antico
reggitore sovrano [il 7], di cui sarebbe giusto dire che l’ebdomade costituisce l’immagine.” Opif. 100.
9
CITA CAP.4, 15
2
Infine, attraverso il riposo del sabato l’uomo integra la necessità del lavoro e del sudore della fronte
con quelle caratteristiche tipiche di Dio, come la pace e la mancanza di sofferenza, ma anche la
conoscenza della realtà e di come rapportarsi ad essa: non c’è spazio per giochi, spettacoli di mimo o
di danza10, la contemplazione teoretica serve a ponderare ciò che è giusto e cosa è sbagliato, a studiare
la legge ed il funzionamento del cosmo11.
Distaccandosi dalla narrazione aritmetico-assiologica degli ultimi passi, il trattato prosegue
non più secondo l’odine cronologico della settimana cosmologica, ma aderendo più strettamente alla
sequenza del racconto biblico12.
[129] Riflettendo sulla creazione del mondo, Mosè dice a mo’ di ricapitolazione: ‘Questo è il libro
della genesi del cielo e della terra, quando vennero all’esistenza, nel giorno in cui Dio creò il cielo
e la terra e ogni erba verde del campo, prima che essa nascesse sulla terra, e ogni foraggio del
campo, prima che esso germogliasse’ <Gen. 2, 4.5>. Non presenta forse chiaramente le idee
incorporee e intellegibili, che sono i sigilli da cui hanno ricevuto l’impronta le cose percettibili
con i nostri sensi? Infatti prima che dalla terra germogliasse la pianta verde, tale pianta esisteva
nella natura – così egli dice – e prima che il foraggio spuntasse nei campi, tale foraggio esisteva,
seppure non visibile.
[130] Bisogna dunque che di tutte le cose soggette al giudizio dei sensi esistessero già in
precedenza ‘forme e misure’, sul modello delle quali vengono formate e commisurate quelle che
entrano nell’esistenza. Perché, se anche non le ha enumerate una per una, ma tutte insieme,
badando più di chiunque altro alla concisione verbale, nondimeno le poche cose che dice stanno
a indicare la natura intera, che senza un modello incorporeo non può realizzare nulla di quanto
appartiene al mondo sensibile.”
Il termine posto al principio del passo 129, EPILOGIZOMENOS, si ricollega alla tematica fin qui
analizzata della contemplazione. Questo participio può essere tradotto sia come “riflettere su”, sia
come “concludere”. Essendo riferito a Mosè e non a Dio, però, non possiamo ritenere valida la
traduzione “concludere”, che rimanda all’opera creatrice esclusivamente divina, ma dobbiamo
intenderlo come “riflessione sul racconto della creazione presentato finora13”.
La ricapitolazione che Mosè fa in Gen. 2, 4.5 potrebbe essere soggetta ad una critica: per quale motivo
le idee immanenti sono riassunte con il breve elenco cielo, terra ed erba verde del campo? Possono i
concetti fondanti della realtà e compartecipanti al Logos divino essere esposti, apparentemente, in
maniera così sbrigativa14? La difesa di Filone è metodologica: il grande legislatore ama più di
chiunque altro la concisione verbale e ritiene inutile esporre tutte le forme ideali, al suo fine bastano
i tre modelli sui quali si basa l’intera Natura, cioè il cielo, la terra ed ogni erba verde.
Amore per la brevità o meno, questi due passi sono il cardine dell’impianto filosofico sul quale ruota
la creazione. Nei termini EIDE KAI METRA il debito con la filosofia platonica è evidente, nonostante
sia necessario tenere sempre a mente che, a differenza del Timeo, le idee sono sì anteriori ai corpi
sensibili, ma non sono ingenerate e preesistenti al Dio-demiurgo.
L’ultimo concetto da comprendere è la cosiddetta doppia creazione: la genesi del mondo si articola
infatti in due momenti logici, la creazione dell’insieme (concetti) e quella delle parti (enti sensibili).

10
CITA MOS II, 209 e F. Calabi, L’arte come paradigma ideale in Filone d’Alessandria, Milano, 2017.
11
Cit. nota 4, p. 88.
12
R. Radice, Platonismo e Creazionismo in Filone d’Alessandria, Milano, 1989, pp. 138 s.
13
D. Runia, On the Creation of the Cosmos According to Moses, Atlanta, 2001, p. 311.
14
Ibid. pp. 310-313.
3
Non a caso, nella stessa opera di Filone si possono rintracciare una prima creazione dell’uomo, fatto
ad immagine e somiglianza di Dio, quanto all’intelletto (Opif. 69) ed una seconda creazione
dell’uomo (Opif. 134), che consiste nel gesto pratico di plasmare il primo uomo con il fango della
terra. Separate dalla lunga dissertazione sull’ebdomade, le due creazioni sono ricongiunte dai passi
129-130, che danno al lettore le basi filosofiche per comprendere le due genesi dell’uomo distinte nel
tempo e conseguenti tra loro15.
“[131] Poi, seguendo l’ordine e rispettando il concatenamento dei conseguenti con gli antecedenti,
aggiunge di seguito: ‘una sorgente saliva dalla terra e ne irrigava tutta la superficie’ <Gen. 2,6>.
Gli altri filosofi dicono che l’acqua nella sua totalità è uno dei quattro elementi con cui il mondo
è stato costituito. Mosè invece, dotato com’era di vista più acuta e abituato ad osservare e a
comprendere con esattezza anche le realtà più lontane, considera un elemento il grande mare,
quarta parte del tutto. Quelli venuti dopo di lui lo chiamano Oceano e ritengono che i nostri mari
abbiano al confronto le dimensioni di altrettanti porti. D’altra parte l’acqua dolce e potabile egli
l’ha distinta dall’acqua marina e l’ha attribuita alla terra, muovendo dal presupposto che essa
fosse parte della terra e non del mare, per il motivo detto sopra, ossia perché l’acqua dolce, per
tale sua qualità, tenesse avvinta la terra in una specie di legame, alla maniera di una colla che ne
assicurasse la compattezza. Perché, se la terra fosse rimasta secca, senza che l’umidità,
penetrando attraverso le fessure, si espandesse in tutte le direzioni, si sarebbe ridotta a polvere.
Al contrario essa è tenuta stretta e si mantiene compatta, parte in virtù di un soffio unificatore,
parte grazie all’umidità che non le permette di disseccarsi e di frantumarsi in parti piccole o
grandi.
Soffermiamoci sulla comparazione con gli alloi filosofoi: si tratta dell’unico confronto esplicito tra
Mosè ed altri filosofi e riguarda l’appartenenza o meno dell’acqua nella sua totalità ai quattro
elementi costitutivi del mondo. Il grande legislatore ottiene la vittoria in questa disputa non solo in
virtù del possesso di un’estrema chiarezza nel discernimento delle cose più lontane, ma anche per
l’anzianità nei confronti di quelli che vengono definiti oi met’auton16.
La dottrina dei quattro elementi, pienamente diffusa nel pensiero greco a partire da Empedocle,
viene contestata da Filone che non può concepire un’indistinta unità tra acqua dolce e salata. L’acqua
dolce appartiene infatti al mondo della terra, al quale garantisce la compattezza.
[132] Una delle ragioni è questa. Ma bisogna ricordarne anche un’altra che coglie in pieno la
verità, come un bersaglio: per natura nulla di quanto nasce dalla terra può formarsi senza
l’intervento di una sostanza umida. Lo dimostrano i getti del seme, i quali o sono umidi, come nel
caso degli esseri animati, oppure non germogliano senza umidità, come succede per le piante. Ne
risulta con chiarezza che la sostanza umida in questione deve necessariamente essere una parte
della terra che tutto genera, esattamente come nelle donne il flusso mestruale che certi medici
ritengono essere la sostanza corporea degli embrioni.
[133] Quanto sto per dire concorda perfettamente con quel che si è detto prima: la natura ha dato
a ogni madre, come parte più indispensabile, delle mammelle zampillanti, preparando
anticipatamente il nutrimento per il nascituro. Ora, a quanto pare, anche la terra è madre ed è
perciò che anche agli antichi è parso giusto chiamarla Demetra, componendo i nomi di terra (DA
dorico per GE) e di madre (METER). In effetti, come dice Platone, non è stata la terra a imitare
la donna, bensì la donna a imitare la terra, che i poeti – attenendosi al vero significato del nome

15
R. Radice, Filone. Tutti i trattati del commentario allegorico alla Bibbia, Milano, 1994, pp. 6-7.
16
Cit. nota 13, p. 315.
4
– sono soliti chiamare ‘madre di tutte le cose’, ‘largitrice di frutti’, ‘dispensatrice di ogni bene’,
poiché essa è causa di nascita e di conservazione di tutto, animali e piante. È giusto quindi che
anche alla terra, la più antica e la più prolifica delle madri, la natura abbia dato, a guisa di
mammelle, correnti di fiumi e di fonti, perché le piante fossero irrigate e tutti gli animali avessero
da bere in abbondanza.”
DONNA FECONDA COME LA TERRA KORA – RAGAZZA E TERRENO FERTILE - RICETTACOLO
LOGOI SPERMATICOI
[134] Di seguito ancora Mosè dice: ‘Dio plasmò l’uomo prendendo il fango dalla terra e gli alitò nella
faccia l’alito della vita’ <Gen. 2,7>. Anche con questo egli mostra molto chiaramente che intercorre una
differenza enorme tra l’uomo ora plasmato e quello generato prima a immagine di Dio <cfr. Gen. 1,26>.
L’uomo così plasmato è sensibile, partecipe ormai di qualità, composto di corpo e d’anima, uomo o donna
< cfr. Gen. 1,27>, soggetto a morte per sua natura; l’altro, fatto a immagine di Dio, è una Idea, un genere
o un’impronta, è intellegibile, incorporeo, né maschio né femmina, immortale per natura.
[135]

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