Svantaggi
- Alto o altissimo costo del materiale;
- Necessità di manodopera specializzata;
- Vulnerabilità alla corrosione e al fuoco.
10 marzo 2011 - 59’ 25”
NORMATIVA Cap. 1
NORMATIVA
10 marzo 2011 - 1h 0’ 0”
NORMATIVA DI I GENERAZIONE
C.A.:
- R.D.L. 10/01/1907 (cogente)
introduce per la prima volta i livelli tensionali da rispettare.
ACCIAIO:
- D.M. LL.PP. 6/5/1916 (cogente)
ferrovie pubbliche
NORMATIVA DI II GENERAZIONE
Il passaggio dalla prima alla seconda generazione di normativa è frutto
dell’innovazione scientifica, tecnica, tecnologica e sperimentale dei due primi decenni del
dopoguerra. Da questi avanzamenti nacque la necessità di una normativa che fosse
estesa ad ogni tipologia di opere e a tutti i materiali da costruzione.
NORMATIVA DI I GENERAZIONE 1
Cap. 1 NORMATIVA
Tale organizzazione nella pubblicazione delle norme voleva garantire sia la libertà del
progettista, sia il raggiungimento di requisiti minimi di sicurezza; il professionista che
2 NORMATIVA DI II GENERAZIONE
NORMATIVA Cap. 1
volesse discostarsi dalle indicazioni delle norme facoltative poteva farlo, a sua
responsabilità.
1h 32’
Il primo atto ufficiale rientrante in questa seconda generazione, e quindi anche nei
canoni del legame tra norme cogenti e facoltative, fu la legge n. 1086 del
5/11/1971 (MIN. LL. PP.); in certi suoi punti, questa legge è ancora attuale e quindi
applicata.
NORMATIVA DI II GENERAZIONE 3
Cap. 1 NORMATIVA
Nonostante l’importanza della legge 1086, bisogna rilevare che essa, tramite il suo
decreto attuativo, assolveva a una funzione normativa limitata: trattava infatti delle
prescrizioni relative alle costruzioni (intese in senso generale) in c.a., c.a.p. e metalliche,
ma non delle altre tematiche fondamentali, quali la sicurezza antisismica, l’analisi dei
carichi, le prescrizioni particolari per ponti, fondazioni, etc… Si rese quindi necessaria
l’emissione di un’altra legge.
Questo secondo atto normativo (Legge n. 64 del 2 febbraio 1974) (MIN. LL.
PP.), dal titolo “Provvedimenti
per le costruzioni con particolari
prescrizioni per le zone sismiche”, consisteva di pochi articoli, di carattere
generale, il principale dei quali stabiliva l’emissione periodica di decreti attuativi che
coprissero il “buco” normativo riguardante altri materiali da costruzione, prescrizioni per le
zone sismiche, analisi dei carichi, ponti, etc…
Poiché, in seguito a questa legge quadro, sono stati pubblicati numerosi decreti
attuativi che riguardavano vari ambiti, si riporta l’ultimo decreto attuativo per ciascun
argomento:
D.M. 16/01/1996: Norme tecniche per le costruzioni in zone sismiche;
D.M. 16/01/1996: Norme tecniche relative ai criteri generali per la verifica di
sicurezza delle costruzioni e dei carichi e sovraccarichi;
D.M. 11/03/1988: Norme tecniche riguardanti le indagini sui terreni e sulle rocce,
la stabilità dei pendii naturali e delle scarpate, i criteri generali
e le prescrizioni per la progettazione, l'esecuzione e il collaudo
delle opere di sostegno delle terre e delle opere di fondazione;
D.M. 04/05/1990: Criteri generali e prescrizioni tecniche per la progettazione,
esecuzione e collaudo di ponti stradali;
D.M. 20/11/1987: Norme tecniche per la progettazione, esecuzione e collaudo
degli edifici in muratura e per il loro consolidamento;
D.M. 03/12/1987: Norme tecniche per la progettazione, esecuzione e collaudo
delle costruzioni prefabbricate.
N.B. In questo periodo sono stati pubblicati anche altri decreti (non “figli” di una
particolare legge quadro, ma di autonoma estrazione) riguardanti:
- sicurezza contro il fuoco;
- sicurezza dei sostegni degli elettrodotti
- sicurezza dei cantieri, etc.
Questo moltiplicarsi di testi normativi segna una profonda differenza rispetto
alla scarsità che contraddistinse la prima generazione.
22’10”
4 NORMATIVA DI II GENERAZIONE
NORMATIVA Cap. 1
Passando allo studio delle norme di categoria B (facoltative), si riportano solo alcuni
esempi, in particolare le circolari ministeriali e i documenti emessi dal CNR; si noterà
inoltre il modo in cui è stato applicato il criterio di complementarietà tra le norme facoltative
e quelle cogenti da cui esse discendono.
Infatti ogni circolare è identificata, oltre che dal numero e dalla data di pubblicazione, dalla
norma di cui è la spiegazione dettagliata. È appena il caso di osservare che ad ogni nuovo
decreto corrisponde una nuova circolare.
32’18”
NORMATIVA DI II GENERAZIONE 5
Cap. 1 NORMATIVA
N.B. La circolare che si riferisce al DM96 esplicava ben poco nei riguardi dell’acciaio,
riservando la quasi totalità del suo contenuto alle costruzioni in c.a. e c.a.p.; c’era dunque
bisogno di un’altra norma facoltativa che supplisse a queste mancanza. Tale vuoto fu
colmato nel 1997 da un’importante norma CNR:
6 NORMATIVA DI II GENERAZIONE
NORMATIVA Cap. 1
Tale norma, d’ora in poi richiamata come “NTC08”, è entrata in vigore il 05/03/2008,
per un periodo transitorio durato fino al 01/07/2009 (durante il quale era possibile usare, in
subordine, la vecchia normativa di II generazione). Oggi questa norma è il riferimento
ufficiale e cogente per ogni tipo di costruzione in Italia.
affiancate dalle relative ISTRUZIONI (valide purché non in contrasto con le norme del
T.U.):
NORMATIVA EUROPEA
L’obiettivo dichiarato del progetto che sta dando vita agli euro codici è l’emissione di
una normativa valida per l’intera Europa, che soppianti completamente le singole
normative nazionali. Agli stati dell’Unione sarà lasciata la possibilità di redigere appendici
nazionali per adeguare il testo europeo alla realtà locale. 1h 23’ 25”
Gli eurocodici si configureranno come un insieme completo e coerente di norme
tecniche per le costruzioni in armonia con il più generale processo di integrazione e di
libera circolazione di tutte le attività economiche (commerciali, lavorative, professionali,
imprenditoriali) nei Paesi della Comunità Europea.
Tale programma, che recepisce le Direttive CEE in materia di interscambi di prodotti e
opere e tende anche a promuovere la competitività dell'industria europea delle costruzioni
sia all'interno che all'esterno della Comunità stessa, ha portato alla concezione degli
Eurocodici.
Breve CRONOLOGIA:
a partire dagli anni ’50, grazie alla cooperazione e al lavoro preparatorio svolto in circa 30
anni da Associazioni tecniche internazionali quali:
- C.E.C.M. (Convention européenne de la construction Métallique)
- C.E.B. (Comité Euro-Internationale du Béton)
- F.I.P. (Fédération Internationale de la Précontrainte)
- C.I.B. (Conseil International de Bâtiment) (oggi mutato in International Council for
Building, pur mantenendo la sigla C.I.B.)
10 NORMATIVA EUROPEA
NORMATIVA Cap. 1
CEN
SC TC WG
(sub-committees, uno
(technical committees) (workgroups)
per ogni eurocodice)
Eurocodici
NORMATIVA EUROPEA 11
Cap. 1 NORMATIVA
12 NORMATIVA EUROPEA
NORMATIVA Cap. 1
NORMATIVA EUROPEA 13
Cap. 1 NORMATIVA
Esse fissano:
- le caratteristiche standard unificate, qualitative e dimensionali, con le
relative tolleranze di produzione;
- i requisiti fisici, chimici e meccanici per l'accettazione;
- le modalità esecutive delle prove sperimentali di laboratorio per la
qualificazione e il controllo, con i relativi criteri di interpretazione e valutazione
dei risultati.
Le norme di prodotto e di prova sono redatte, aggiornate periodicamente e divulgate
da Organismi nazionali e internazionali, con relative denominazioni (come Norme di
riferimento). Gli enti interessati sono dunque:
• UNI (ENTE NAZIONALE DI UNIFICAZIONE), denominate UNI;
• CEN (COMITATO EUROPEO DI NORMAZIONE), denominate EN o EU;
• ISO (INTERNATIONAL ORGANIZATION FOR STANDARDIZATION), denominate ISO.
N.B. L’ISO è un istituto internazionale che comprende anche nazioni extraeuropee quali
U.S.A., Giappone, Canada…
Una norma può avere valenza
- nazionale (UNI),
- europea (UNI-EN o UNI-EU)
- globale (UNI-EN-ISO);
l’obiettivo è, ovviamente, l’unificazione completa dei testi sempre maggior
numero di norme UNI-EN-ISO.
1h 45’ 25”
• UNI-EN 10210: Profilati cavi finiti a caldo di acciai non legati e a grano
fine per impieghi strutturali;
BULLONATE];
• UNI 5132: Elettrodi rivestiti per la saldatura ad arco degli acciai non
legati e debolmente legati al manganese. Condizioni tecniche
generali, simboleggiatura e modalità di prova;
Un’azione è ogni causa o insieme di cause capaci di indurre stati limite in una
struttura.
CLASSIFICAZIONE
16 CLASSIFICAZIONE
AZIONI SULLE COSTRUZIONI Cap. 1
• Azioni variabili (Q), che agiscono con valori istantanei anche molto diversi tra
loro e che possono risultare di lunga o di breve durata:
o di lunga durata, agenti per un tempo cospicuo rispetto alla vita nominale
della struttura
(pesi di cose e oggetti vari, carichi di esercizio di lunga durata);
o di breve durata, agenti per un tempo breve rispetto alla vita nominale
della struttura
(vento, neve, variazioni termiche, carichi di esercizio di breve durata).
REQUISITI GENERALI
• I valori normativi vanno assunti come "valori caratteristici" (in senso statistico)
nel metodo semiprobabilistico agli stati limite e come "valori nominali" (in senso
deterministico) nel metodo alle tensioni ammissibili.
• Per le opere civili e industriali i valori delle azioni antropiche vanno intesi come
minimi assoluti, maggiorabili per motivi prudenziali ovvero per prescrizioni di
Capitolati Speciali.
• È compito del Progettista individuare le azioni significative per la costruzione in
progetto nel rispetto delle disposizioni delle Norme vigenti.
23’ 50”
CRITERI DI SICUREZZA
PRINCIPI FONDAMENTALI
Scopo del calcolo strutturale è quello di garantire l'opera progettata per tutta la
sua vita nominale in rapporto alle azioni cui può essere sottoposta in ogni fase operativa
(costruzione, trasporto, montaggio, esercizio) con il livello di sicurezza previsto dalle
Norme vigenti.
Il livello di sicurezza (coefficienti) deve essere fissato in funzione di diversi fattori,
dipendenti dalla tipologia strutturale e dall'eventuale azione sismica a cui sia assoggettata
la costruzione.
18 PRINCIPI FONDAMENTALI
CRITERI DI SICUREZZA Cap. 1
- Periodo di riferimento VR, (in anni) per l'azione sismica, definito in funzione
della Vita nominale VN e del Coefficiente d'uso CU:
VR = VN ∙ CU
Per VR < 35 anni si assume comunque VR = 35 anni.
STATI LIMITE
Sicurezza e prestazioni di una struttura vanno valutate in relazione agli “Stati
Limite” che si possono presentare durante la vita utile di progetto.
Definizione di “Stato Limite”:
condizione superata la quale la struttura (o una sua parte) non è più in grado
di assolvere il suo compito statico o funzionale.
Esistono due tipi di Stati Limite:
Stati Limite Ultimi (SLU), relativi a condizioni estreme il cui superamento ha
carattere irreversibile e determina il collasso strutturale;
Stati Limite di Esercizio (SLE), legati a condizioni di funzionalità, il cui
superamento può avere carattere reversibile o irreversibile, comunque tale
da non compromettere la struttura.
Per gli acciai è particolarmente importante lo stato limite di deformabilità
PRINCIPI FONDAMENTALI 19
Cap. 1 CRITERI DI SICUREZZA
METODOLOGIE DI VERIFICA
L’approccio alla verifica di una struttura è sempre più orientato a criteri
probabilistici; a seconda di quanto estesa sia l’applicazione di tali criteri, del rigore
scientifico, e dunque in generale della complessità analitica di un procedimento di verifica,
si classificano in ordine decrescente:
- metodi di IV livello,
in cui l’approccio probabilistico è esteso a tutti i fattori che intervengono nel
metodo, che sono dunque considerati come variabili aleatorie;
- metodi di II livello,
è il livello americano, in cui le funzioni che devono descrivere le variabili
aleatorie non entrano come tali, ma più semplicemente con il valor medio e la
deviazione standard della variabile aleatoria;
- metodi di I livello, tra i quali rientra il metodo semiprobabilistico agli stati limite
(o metodo dei coefficienti parziali), previsto dalla Normativa
italiana (NTC08) ed europea (EUROCODICI);
gli aspetti probabilistici vengono messi in conto mediante l’introduzione dei
valori caratteristici delle azioni e delle resistenze dei materiali. Tutti gli altri
fattori, ad esempio la geometria strutturale, sono considerati in modo
deterministico; per ovviare all’incertezza che ne deriva, si usano coefficienti di
sicurezza;
- metodi di livello 0, tra i quali rientra il metodo alle tensioni ammissibili (o verifica
alle tensioni), previsto dalla Normativa italiana (NTC08) solo
per costruzioni di Tipo 1 e 2.
non si considerano affatto gli aspetti probabilistici.
IPOTESI
Si assumono come variabili aleatorie, indipendenti tra loro:
• le resistenze R dei materiali impiegati,
• le azioni F (dirette, indirette, chimico-fisiche), tenendo conto della probabilità
della loro coesistenza, mentre si considerano come deterministici gli altri fattori
salienti:
• le dimensioni geometriche della costruzione; moduli elastici e
coefficienti termici dei materiali; imprecisione del metodo di
calcolo; ecc.
20 METODOLOGIE DI VERIFICA
CRITERI DI SICUREZZA Cap. 1
METODOLOGIE DI VERIFICA 21
Cap. 1 CRITERI DI SICUREZZA
STRUTTURE ANTISISMICHE
In presenza di azioni sismiche gli Stati Limite, sia di Esercizio (SLE) che Ultimi (SLU),
si riferiscono alle prestazioni della costruzione nel suo complesso, comprendendo gli
elementi strutturali, quelli non strutturali e gli impianti.
Probabilità di superamento
La probabilità di superamento PVR di ciascuno degli Stati Limite considerati nel
periodo di riferimento VR, in base a cui determinare il correlato periodo di ritorno
TR, è riportata in tabella:
22 METODOLOGIE DI VERIFICA
CRITERI DI SICUREZZA Cap. 1
Periodo di ritorno
Il periodo di ritorno TR (in anni) dell'azione sismica pertinente, da valutare per
ciascuno Stato Limite da verificare, è quindi espresso dalla relazione:
−VR
𝐓𝐓𝐑𝐑 =
ln(1 − PVR )
direttamente proporzionale al periodo (o vita) di riferimento VR .
La Normativa prevede obbligatoriamente valori di TR compresi fra 30 anni e
2475 anni.
IPOTESI
• Si può utilizzare per costruzioni di Tipo 1 e 2, nell'ipotesi di Iinearità tra azioni
applicate e sollecitazioni indotte, applicando le Norme di cui al D.M. 14/02/92
salvo che per i materiali (per i quali è cambiata la denominazione, ad es. Fe360 S235),
le azioni (che nelle NTC08 sono considerate nelle loro combinazioni, mentre nel DM92 erano
trattate in modo piuttosto semplicistico), e il collaudo statico, per i quali vale il T.U.
• Non si considerano gli aspetti probabilistici, salvo che per la messa
in conto della ridotta possibilità di coesistenza di tutti i carichi previsti.
• Tutte le azioni si desumono come valori nominali dalle Norme sui
carichi e si cumulano nelle varie possibili Combinazioni rare, con l'applicazione
dei soli coefficienti di combinazione 𝜓𝜓𝑖𝑖 sempre ≤1), definiti in base ai tipi di
carichi e alle specifiche tipologie costruttive.
PROCEDIMENTO DI VERIFICA
Confronto diretto tra le massime tensioni strutturali e le corrispondenti tensioni
ammissibili, normale e tangenziale, del materiale:
𝝈𝝈𝒎𝒎𝒎𝒎𝒎𝒎 ≤ 𝝈𝝈𝒂𝒂𝒂𝒂𝒂𝒂 ; 𝝉𝝉𝒎𝒎𝒎𝒎𝒎𝒎 ≤ 𝝉𝝉𝒂𝒂𝒂𝒂𝒂𝒂 .
Le tensioni ammissibili si ricavano dividendo le relative resistenze limiti del
materiale, normale e tangenziale, per un unico coefficiente di sicurezza 𝝂𝝂 (>1).
STRUTTURE ANTISISMICHE
Il metodo è applicabile per costruzioni di Classi d'uso I e II ma limitatamente a siti
ricadenti in Zona 4 (secondo O.P.C.M. 28/04/06 N° 3519).
Le azioni sismiche devono essere valutate con grado di sismicità S=5
secondo il punto B.4 delle Norme antisismiche di cui al D.M. 16/01/96.
16 marzo 2011 - 1h 30’ 23”
METODOLOGIE DI VERIFICA 23
Il materiale e la sicurezza CAP. 4
IL MATERIALE E LA SICUREZZA
PROPRIETÀ CHIMICHE, FISICHE, MECCANICHE
Lez 4/4/2011 – 5’46”
• Piegamento (tenacità)
• Durezza (non penetrabilità)
• Resistenza al fuoco (durabilità)
• Resistenza alla corrosione (durabilità)
(sono entrambe importanti ma, per gli acciai duttili di cui prevalentemente si occupa
questo corso, la tensione di snervamento è il dato fondamentale)
Acciai duttili, speciali, superacciai, legati, non legati, etc… Per tutte le qualità di acciai ad
uso strutturale, si assume questo set di costanti elastiche.
PRODUZIONE SIDERURGICA
con riferimento alla forma e alla qualità del materiale, esposti qui di seguito nell’ordine.
partono da un prodotto piano laminato a caldo, che viene poi formato a temperatura
ambiente; si distinguono in:
- aperti (profili a C, a C irrigidito, a Ω , a Z);
- cavi, che vengono piegati e poi chiusi con saldatura longitudinale (profili quadri,
tondi, rettangolari);
- lamiere ondulate o grecate.
In genere tali prodotti non sono unificati, e possono essere prodotti da aziende
specializzate senza bisogno di tecnologie complesse quali i laminatoi.
1h 06’ 00”
1h 25’ 40”
Per prodotti cavi finiti a caldo: UNI-EN 10210/96 – S275 J0H (Nuove Nonne)
UNI 7806/79 – Fe 430C (Vecchie Norme)
Nella denominazione vengono compendiate tutte le quattro caratteristiche meccaniche
principali di un acciaio:
la classe di resistenza infatti indica prodotti con tensione di rottura/snervamento costanti
(= allungamento a rottura costante), che si differenziano per saldabilità e resilienza,
conglobate nel grado qualitativo.
Fine lezione 4 (18 marzo 2011) – Lezione 5 (21 marzo 2011) – 2’50”
Le analisi si conducono:
- su colata materiale informe ancora fluido;
- su prodotto profilo già formato.
19’ 40”
Provette
DESIGNAZIONE
> 80 > 100 > 150 > 200
> 16 > 40 > 63 ≥ 3 > 100 > 150 >3 > 40 > 63 > 100 > 150
≤ 16 ≤ ≤ ≤ ≤ <3
≤ 40 ≤ 63 ≤ 80 ≤ 100 ≤ 150 ≤ 250 ≤ 40 ≤ 63 ≤ 100 ≤ 150 ≤ 250
100 150 200 250
S235 JR 360 360 350 340
𝑙𝑙 26 25 24 22 21
S235 J0 235 225 215 215 215 195 185 175 ÷ ÷ ÷ ÷
𝑡𝑡 24 23 22 22 21
S235 J2 510 510 500 490
S235 JR 430 410 400 380
𝑙𝑙 23 22 21 19 18
S235 J0 275 265 255 245 235 225 215 205 ÷ ÷ ÷ ÷
𝑡𝑡 21 20 19 19 18
S235 J2 580 560 540 540
S235 JR
510 470 450 450
S235 J0 𝑙𝑙 22 21 20 18 17
355 345 335 325 315 295 285 275 ÷ ÷ ÷ ÷
S235 J2 𝑡𝑡 20 19 18 18 17
680 630 600 600
S355 K2
N.B. Il valore minimo di 𝒇𝒇𝒚𝒚 è graduato in funzione dello spessore, in modo inversamente proporzionale. Ciò è dovuto al
fenomeno delle tensioni residue di laminazione: dalla colata (T>1400°C) alla temperatura ambiente avviene un raffreddamento; per
quanto si cerchi di rallentarlo, esso comporta l’insorgere di stati di coazione (auto equilibrati) che rimangono “imprigionati” nei prodotti.
Nei problemi di stabilità, tale stato costituisce una delle imperfezioni principali.
Il rischio ad esso connesso è che le tensioni residue, sommandosi alle tensioni indotte dai carichi esterni, possano causare il
collasso dell’elemento. Ora tali tensioni sono tanto più incidenti quanto più spesso è il prodotto laminato (a causa del maggior
gradiente di raffreddamento tra esterno e interno.
N.B. Queste caratteristiche prescindono dalla resilienza.
Si osserva dunque che lo snervamento minimo richiesto, che dà la denominazione alla famiglia di acciai, è quello relativo allo spessore minimo
(quindi il valore più alto). Inoltre, pur notando che, per spessori elevati, le tensioni di snervamento si riducano sempre più, per qualsiasi spessore
> 40 𝑚𝑚𝑚𝑚 si usa il valore della terza colonna. È infatti eccezionale avere a che fare con spessori maggiori di 60mm.
1h 04’ 25”
1. Produzione siderurgica
• Processo di fabbricazione degli elementi base operante con Sistema dì
Gestione della Qualità (S.G.Q.) secondo UNI-EN 9001, certificato da organismo
esterno secondo UNI - EN 45012 e verificato dal Servizio Tecnico Centrale
(S.T.C.) del M.I.T. mediante Attestato di Qualificazione con validità 5 anni e
rinnovabile.
• Controlli sperimentali periodici da parte di Laboratorio Ufficiale secondo le
specifiche tecniche di UNI-EN 10025/10210/10219 e UNI-EN 10293.
• Prodotti di base identificati mediante marcatura di origine (la cui mancanza
o illeggibilità rendono il prodotto non impiegabile) e corredati di Attestato di
Qualificazione del S.T.C. del M.I.T. 1 oltre che di certificazione tecnica del
Produttore.
3. Cantierizzazione
• Controlli sperimentali delle caratteristiche chimiche e meccaniche presso
Laboratorio Ufficiale, a cura del Direttore dei Lavori, con le seguenti modalità:
- per ogni fornitura almeno tre prove di ciascun tipo, di cui una su spessore
massimo e una su spessore minimo;
- i risultati delle prove devono soddisfare singolarmente i limiti tabellari previsti
da UNI-EN 10025/10210/10219 e UNI-EN 10293.
1
Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti.
1h 19’ 25”
Acciaio duttile
Appare evidente che l’unico dato realmente importante per un acciaio duro sia 𝝈𝝈𝑹𝑹 .
𝑁𝑁
𝜎𝜎 �𝑚𝑚 𝑚𝑚 2 � Finora si sono analizzati
i comportamenti reali delle
Duttilità: proporzionale alla distanza E-R
due famiglie di acciai; nelle
S355
355 schematizzazioni si
E R
considera invece 𝜎𝜎𝑃𝑃 ≡ 𝜎𝜎𝐸𝐸 ≡
S275 𝜎𝜎𝑆𝑆 si ipotizza un
275
E R comportamento elastico
S235
235 lineare perfetto fino a 𝜎𝜎𝑆𝑆 ;
E R
dopodiché si ha un tratto
orizzontale (a meno
Tratto 0-E: elastico dell’incrudimento) la cui
Tratto E-R: plastico
lunghezza è proporzionale
alla duttilità, come appare in
𝛥𝛥𝐿𝐿
figura.
0 10 20 30 40 𝜖𝜖 = [%]
𝐿𝐿 1h 42’ 10”
- Diagramma elastico-perfettamente
plastico, per analisi elastoplastica
(semplificata, prescindendo dall’incrudimento):
utilizzato alle T.A.
- Diagramma elastoplastico-incrudente,
per analisi elastoplastica (computerizzata)
A. Acciai duttili
- Tensione di rottura 𝜎𝜎𝑅𝑅 = 𝑓𝑓𝑡𝑡
- Tensione di snervamento 𝜎𝜎𝑆𝑆 = 𝑓𝑓𝑦𝑦
- Tensione di proporzionalità 𝜎𝜎𝑃𝑃 = 0,8𝑓𝑓𝑦𝑦
- Capacità statica rappresentata da 𝑓𝑓𝑦𝑦
- Resistenza statica caratteristica 𝒇𝒇𝒌𝒌 = 𝒇𝒇𝒚𝒚
B. Acciai duri
- Tensione di rottura 𝜎𝜎𝑅𝑅 = 𝑓𝑓𝑡𝑡
- Tensione di snervamento 𝜎𝜎𝑆𝑆 = 𝑓𝑓𝑦𝑦
- Tensione di proporzionalità 𝜎𝜎𝑃𝑃
- Capacità statica rappresentata da 𝑓𝑓𝑡𝑡
- Resistenza statica caratteristica convenzionale 𝒇𝒇𝒌𝒌 = 𝟎𝟎, 𝟕𝟕𝟕𝟕 𝒇𝒇𝒕𝒕
Si osserva infatti che la tensione di snervamento 𝑓𝑓𝑦𝑦 non ha molto senso nella descrizione
di un acciaio duttile, perché di difficile determinazione. Di conseguenza, la tensione di
proporzionalità 𝜎𝜎𝑃𝑃 non ha un legame deterministico con la tensione di rottura.
La resistenza statica caratteristica è quindi un valore convenzionale, che si è identificato
nel 75% della tensione di rottura perché tale valore permette di assimilare la resistenza
caratteristica a una pseudo-tensione di snervamento. Ciò non ha senso fisico, ma serve
a mantenere un margine di sicurezza analogo a quello degli acciai duttili.
Se, viceversa, si assumesse come tensione caratteristica la tensione di snervamento
reale del generico acciaio duro, si avrebbero due svantaggi:
- incerta determinazione della tensione;
- campo elasto-plastico molto ristretto (poca sicurezza nei confronti della rottura).
C. Acciai generici
In generale, per acciai la cui collocazione sia incerta o comunque non nota a priori, si
assume, previa sperimentazione:
𝒇𝒇𝒚𝒚
- Resistenza statica caratteristica convenzionale 𝒇𝒇𝒌𝒌 = 𝒎𝒎𝒎𝒎𝒎𝒎 �
𝟎𝟎, 𝟕𝟕𝟕𝟕 𝒇𝒇𝒕𝒕
N.B. La distinzione appena operata per i vari tipi di acciaio vale anche per la
determinazione delle caratteristiche meccaniche dei bulloni.
2
N.B. Lastra: elemento piano caricato nel suo piano medio;
Piastra: elemento piano caricato nel piano ortogonale al proprio piano medio.
3
Per l’ennesima volta: 𝒄𝒄 e 𝒕𝒕 sono dimensioni del singolo elemento rettangolare (ala, anima, etc…).
Analisi strutturale (globale e locale) 17
CAP. 4 Il materiale e la sicurezza
1h 5’ 47”
Le quattro classi in cui vengono collocate tutte le possibili sezioni trasversali sono le
seguenti:
• Classe 1: sezioni plastiche o duttili, che possono sviluppare completamente
una cerniera plastica con capacità di rotazione illimitata.
Le sezioni rientranti in questa prima classe non presentano quasi mai instabilità locali: è
quindi possibile sviluppare l’intero campo plastico, prima che la rottura intervenga.
1h 11’ 35”
Poiché questa problematica è tipica e (quasi) esclusiva dei profilati sottili formati a
freddo, non affrontati in questo corso, si rimanda a testi specializzati per la valutazione
della sezione efficace di profili in Classe 4.
Per comprendere meglio quanto appena detto riguardo la capacità delle sezioni di
raggiungere il momento di massima plasticizzazione, si riporta a titolo di esempio una
figura che illustra la capacità di rotazione plastica di quattro tipi di sezioni, una per ogni
Classe.
La normativa riporta tre tabelle che consentono di collocare ogni sezione in una classe
opportuna:
- la prima tabella fornisce i limiti massimi di sottigliezza per le parti interne
compresse;
- la seconda tabella riguarda le parti esterne (sporgenti);
- la terza tabella si occupa delle sezioni tubolari.
N.B. Si considera come la totalità della parte libera se non ci sono raccordi curvilinei
o cordoni di saldatura; viceversa, si considera al netto di raccordi o cordoni di saldatura,
se questi sono presenti.
Si asume la compressione positiva.
Tabella 4.2.I - Massimi rapporti larghezza spessore per parti compresse
Inflessione intorno
all’asse
Inflessione intorno
all’asse
fyk
fy ffyky fyk
fy
Raggiungimento 1
c » t 72İ
c » t 33İ quando α ² 0,5 : c / t ≤ 396ε
del momento 13α − 1
quando 36ε
resistente α ≤ 0,5 : c / t ≤
α
plastico 2 c » t 83İ c » t 38İ quando α ² 0,5 : c / t ≤ 456ε
13α − 1
quando α ≤ 0,5 : c / t ≤ 41,5ε
α
Distribuzione
delle tensioni ffyky ffyky ffyky
nelle parti +
(compressione +
positiva) c +
- c/2 c c
fy
fyk -
Raggiungimento
ψ ffyky
del solo 3 c » t 124İ c » t 42İ quando ψ ² − 1 : c / t ≤ 42ε
0,67 + 0,33ψ
momento
quando ψ ≤ −1• : c / t ≤ 62ε(1 − ψ) (−ψ)
resistente
elastico 235 275 355 420 460
ε = 235 / f yk f yk
ε 1,00 0,92 0,81 0,75 0,71
•
) ψ ≤ −1 si applica se la tensione di compressione ı ≤ f yk o la deformazione a trazione İ y >f yk /E
Il generico limite:
𝒄𝒄
< 72𝝐𝝐
𝒕𝒕
è così strutturato:
numero, che caratterizza:
- forma della sezione;
- tipo di elemento; Duttilità sezionale
- distribuzione delle tensioni Duttilità strutturale
parametro 𝝐𝝐, che è indice di: Duttilità materiale
- qualità dell’acciaio
Il numero deriva dalla teoria delle lastre compresse.
𝑐𝑐
In una stessa sezione si possono avere più elementi cui si applicano i limiti (parte
𝑡𝑡
soggetta a flessione, a compressione, a pressoflessione, parte esterna soggetta a
compressione, etc.).
Supponendo che per una parte interna soggetta a compressione si sia in Classe 3,
mentre per una piattabanda esterna si sia in Classe 1, e per un’altra parte si sia in Classe
2. La Classe da attribuire alla sezione nel suo complesso è sempre quella più
penalizzante: nel caso d’esempio, la Classe 3.
+ f yk
+
t d
Per sezioni tubolari vale lo stesso principio applicato alle sezioni costituite da piatti.
Una considerazione particolare sulle sezioni che non rientrano in alcuna delle
𝑑𝑑
limitazioni della tabella � > 90𝜖𝜖 2 �: di regola, vanno poste in Classe 4, e va ricavata per
𝑡𝑡
esse la corrispondente sezione efficace. Ma, a causa della simmetria polare della sezione,
non è pensabile di eliminarne un tratto arbitrario. Le NTC08 rimandano perciò alla norma
EN 1992-1-6, raccomandando di trattare tali particolari sezioni tubolari come gusci
cilindrici soggetti a instabilità meridiana.
Fine lezione 6 – 23 marzo 2011
ANALISI GLOBALE
Dopo aver assegnato la sezione, bisogna scegliere il metodo di analisi appropriato.
L’analisi globale serve a determinare gli effetti delle azioni.
• Metodo elastico (E): basato sull'ipotesi di comportamento strutturale elastico
lineare, è applicabile per tutte le Classi di sezioni; con eventuale ridistribuzione
delle sollecitazioni (≤ 15%) è applicabile solo alle sezioni compatte di Classe 1 e 2.
Tale metodo prescinde dalla classificazione delle sezioni. Storicamente, è stato il primo, quando
ancora non esisteva il calcolo agli S.L. e non si consideravano le riserve di resistenza del
materiale in campo plastico. Il metodo elastico vale per ogni classe di sezione, compresa la 4, per
la quale è sufficiente considerare la sezione mutilata.
Ridistribuzione.
Il principio è cercare di “migliorare” il comportamento statico di una struttura (solo se iperstatica).
Cerchiamo di capirlo con un esempio classico: trave continua su più appoggi. Risolvendola con i
metodi classici della Sc.d.C. si ottiene una certa distribuzione dei momenti in campata e sugli
appoggi di continuità. Nell’ipotesi di carico uniforme e luci simili tra loro, i momenti massimi si
hanno sugli appoggi, mentre in campata si hanno momenti di segno opposto e di entità inferiore.
Se, com’è prassi, si realizza tale trave a sezione costante, la si dimensiona ovviamente in base al
momento massimo: accade dunque che le risorse della trave siano esuberanti in campata. La
ridistribuzione consiste nell’“appiattire” i massimi (appoggi) a spese dei minimi (campata),
mediante semplici condizioni di equilibrio; per questa operazione, la Normativa fissa un limite del
15% e l’ovvia condizione che la sezione possa sviluppare cerniere plastiche ( Classi 1 e 2).
ANALISI LOCALE
(per calcolare la capacità resistente delle sezioni)
• Metodo elastico (E): applicabile a tutte le Classi di sezioni tenendo conto, in
particolare, delle sezioni "efficaci" per la Classe 4.
È quello che porta a progettare strutture più impegnative dal punto di vista economico,
perché senz’altro più pesanti. D’altra parte, è semplice e si può applicare sempre per
ogni sezione (tenendo conto della particolarità vista per le sezioni di Classe 4).
N.B. Se non si è in grado di affrontare i problemi relativi alla classe 4, si irrobustisce la
sezione aumentandone lo spessore si ricade in classe 3.
A) SLU
• Stato limite di equilibrio (per l'intera struttura e sue componenti)
Riguarda sostanzialmente il ribaltamento
• Stato limite di fatica (per materiale base e collegamenti sotto carichi ciclici)
Non viene trattato in questo corso, se non per qualche accenno riguardo le vie di corsa
dei carroponti; è molto importante nei ponti e, ovviamente, nelle costruzioni meccaniche.
B) SLE
(che riguardano la sola funzionalità, e non compromettono la sicurezza statica della
struttura come gli SLU).
𝑭𝑭𝑑𝑑,𝑖𝑖 = 𝛾𝛾𝐺𝐺1 𝑮𝑮𝑘𝑘1 + 𝛾𝛾𝐺𝐺2 𝑮𝑮𝑘𝑘2 + 𝛾𝛾𝑃𝑃 𝑷𝑷𝑘𝑘 + 𝛾𝛾𝑄𝑄1 𝑸𝑸𝑘𝑘1 + ��𝜓𝜓0𝑖𝑖 𝛾𝛾𝑄𝑄𝑄𝑄 𝑸𝑸𝑘𝑘𝑘𝑘 �
𝑖𝑖=2
𝑮𝑮𝑘𝑘1 è il valore caratteristico dei carichi permanenti strutturali (pesi propri);
A parte quello corrispondente all’azione variabile dominante, pari a 1, tutti gli altri
coefficienti di combinazione riducono il valore dei carichi.
Coefficienti (SLU)
(si applicano per casi particolari, come già accennato prima: quando vi sia rischio di
ribaltamento, ad esempio)
Esempio di carico a favore di sicurezza: il peso proprio, ai fini della verifica a
ribaltamento, è a favore di sicurezza.
Resistenze di calcolo
In base alla proprietà meccaniche nominali 𝒇𝒇𝒚𝒚 ed 𝒇𝒇𝒕𝒕 del materiale, si valuta:
la resistenza caratteristica strutturale 𝑹𝑹𝒌𝒌 della sezione o membratura oggetto di
verifica (a trazione, compressione, flessione, ecc.), oppure
quella tensionale 𝒇𝒇𝒌𝒌 ,
dalle quali si deduce la pertinente resistenza di calcolo 𝑹𝑹𝒅𝒅 (in termini di sforzi) oppure
𝒇𝒇𝒅𝒅 (in termini di tensioni):
CAP. 3
I COLLEGAMENTI
Introduzione
48’00”
Obiettivo dei collegamenti è quello di congiungere due o più elementi strutturali per
formare delle membrature che per ragioni ovvie/ varie non possono eseguirsi in un solo
pezzo.
Unioni correnti
Servono per collegare i semplici prodotti laminati che formano le membrature composte o
multiple. I cordoli di saldatura corrono in maniera continua lungo tutta la membratura, cui
diamo il nome di membratura composta.
A differenza dei profili composti, quelli semplici sono quelli che vengono direttamente
profilati in stabilimento, per esempio a doppio T.
2 piatti →piattabande
1 anima → lamiera
Si differenziano quindi dalle membrature “multiple”, nelle quali gli elementi componenti si
mantengono separati, distinti:
Fig. 3 Membratura multipla composta da due profili a C collegati mediante bullonatura a un certo passo
NOTA: quella tra membrature singole e multiple è una distinzione fondamentale. Nei testi
sono chiamate “composte”, sia le une che le altre. Possiamo quindi avere:
MEMBRATURE SINGOLE
MEMBRATURE
COMPOSTE
MEMBRATURE MULTIPLE
Siamo sempre nell’ambito delle unioni correnti, che danno cioè come risultato una
membratura, singola o multipla, ma sempre una.
Unioni di forza
Sono unioni che collegano tra loro due o più membrature per formare una struttura. Le
membrature componenti possono essere:
singole semplici,
singole composte,
multiple.
Esempi tipici sono:
Sistemi di collegamento
Le unioni avvengono fondamentalmente attraverso 2 sistemi: bullonatura e saldatura,
ovvero si distinguono 3 categorie di unioni:
Bullonate:
a taglio→ “unioni con bulloni non precaricati”1;
ad attrito→ “unioni con bulloni precaricati”
Saldate.
La normativa tratta anche le unioni chiodate (che non affronteremo nell’ambito di questo corso),
mantenute perché ancora utilizzate nell’ambito delle opere di caldereria.
1
Denominazione da Normativa
Le unioni realizzate con bulloni a taglio (non precaricati) sono soggette a giochi foro-
bullone2→deformabilità anelastica della giunzione, mentre le unioni bullonate ad attrito
sono più rigide finché l’attrito resiste; se l’attrito viene superato, l’unione degenera in
un’unione bullonata a taglio.
La massima rigidezza si conserva con le unioni saldate, che sono anche le più duttili
(utile in zona sismica) e le più economiche in linea di principio.
saldatura,
bullonatura ad attrito;
in opera si ricorre di regola alla:
bullonatura a taglio, per cui i giunti con bullonatura a taglio prendono il nome di
giunzioni di montaggio.
NB: La normativa vieta che in uno stesso giunto vengano impiegati diversi tipi di
collegamenti → è vietato l’impiego “promiscuo” di saldatura e bullonatura per le unioni di
forza, a meno che nel calcolo non si assegni tutta la sollecitazione ad un unico tipo e l’altro
funga solo da riserva.
2
il foro ha un diametro maggiore di quello del bullone
tipologiche,
dimensionali,
qualitative.
Tipologia
Il bullone a taglio è composto da 3 elementi:
Regola fondamentale: La lunghezza del gambo (parte liscia + parte filettata) deve
essere tale da contenere nel suo sviluppo: lo spessore di serraggio, la dimensione del
dado, della rosetta, e un certo tratto che deve fuoriuscire dal dado.
6 Unioni Bullonate a Taglio
i collegamenti CAP. 3
Raccomandazione: la lunghezza della parte liscia del gambo deve essere spessore
complessivo di serraggio 𝐷 3.
Parallelamente si pone il problema del dado, che non può essere serrato direttamente
sull’elemento strutturale: c’è bisogno della rosetta distanziatrice, di spessore r. La rosetta
distanziatrice serve a fare da trait d’union4: permette al dado di avvitarsi totalmente nella
parte filettata, in modo tale che non vada a interferire sulla parte liscia.
Caratteristiche dimensionali
Le caratteristiche dimensionali dei bulloni sono regolamentate dalle norme:
(+2) (+3)
dove 𝑀 sta per "metrico".
𝒅 𝒅𝟎 =gioco foro-bullone
Il corrispondente diametro del foro 𝒅𝟎 è fissato dalla normativa come segue:
quando è consentito l’assestamento anelastico, ossia quando il gioco foro-bullone
non altera la funzionalità della struttura:
𝑑 𝑀20 𝑑 𝑑 1 𝑚𝑚
𝑑 𝑀20 𝑑 𝑑 1,5 𝑚𝑚
𝑑 𝑀𝐴20 𝑑 𝑑 0,5 𝑚𝑚
𝑀𝐴20, … , 𝑀𝐴30
𝑔𝑟𝑒𝑧𝑧𝑖 𝑔𝑟𝑒𝑧𝑧𝑖
𝑏𝑢𝑙𝑙𝑜𝑛𝑖 → 𝑓𝑜𝑟𝑖
𝑡𝑜𝑟𝑛𝑖𝑡𝑖 rifiniti al calibro 𝑐𝑎𝑙𝑖𝑏𝑟𝑎𝑡𝑖 rifiniti al calibro
o punzone.
per accoppiamenti di precisione (MA) sono obbligatori bulloni torniti in fori calibrati.
UNI-EN-ISO 4016 → per il generico bullone si può dimensionare il gambo per far sì che
la parte filettata sia esterna al dado. La lunghezza del gambo è determinabile in
funzione dello spessore complessivo di serraggio 𝐷 e del diametro 𝑑 del bullone
(della vite).→ condizioni di miglior funzionamento statico del bullone.
Caratteristiche qualitative
I bulloni devono appartenere alle classi di qualità, normate dalla UNI-EN-ISO 898-18,
associate nel modo indicato nella Tab. 1.
In altre parole, sul piano qualitativo, i bulloni a taglio possono essere realizzati secondo 5
classi qualitative, di cui:
6
“a filo di capello”
7
deve esserci corrispondenza tra fori e bulloni grezzi, e tra fori calibrati e bulloni torniti
8
UNI-EN-ISO 898/1: Caratteristiche meccaniche degli elementi di collegamento di acciaio. Parte 1: Viti e viti
prigioniere con classi di resistenza specificate – Filettature a passo grosso e a passo fine
Queste 5 classi non esauriscono l’intera gamma di bulloni disponibili. Esse racchiudono i
tipi di bulloni usati nella carpenteria metallica per opere (civili o industriali) di importanza
medio - alta. In questa definizione è racchiusa la grande maggioranza degli edifici.
Per opere di elevatissima importanza9 o strategiche, c’è la possibilità di utilizzare bulloni ad alta
resistenza, superiore a 10.9 (in particolare 12.9), le cui caratteristiche sono riportate in
normative specifiche, come la CNR 11029, che riguarda costruzioni con acciai di elevatissima
resistenza:
Super acciai ⇔ “super bulloni”
di snervamento
Tensioni limiti tabellari
di rottura
9
Come possono essere strutture spaziali di particolare luce o ponti di grandi dimensioni
10
Ricordiamo che dal punto di vista qualitativo dire “vite” equivale a dire “bullone”. La classe qualitativa della
vite o del bullone è esattamente la stessa cosa.
11
In realtà contiene anche le caratteristiche meccaniche della classe 12.9, ma a noi interessano solo le
prime 5. Vedremo più avanti i valori numerici di queste caratteristiche (cfr. Tab. 4).
Modalità esecutive
Una bullonatura13 è in genere costituita da 𝑛 bulloni 𝑛 1 , la cui disposizione può
essere organizzata:
in file parallele,
in file sfalsate.
chiameremo:
In realtà esiste anche una distanza in diagonale, che come vedremo, è specificata dalla Normativa.
12
di carattere secondario, per cui non la menzioniamo in questa sede.
13
“insieme di bulloni” che collega 2 o più elementi strutturali tra loro, e quindi serve a trasmettere le
sollecitazioni da un elemento all’altro.
Innanzitutto bisogna chiedersi perché esistono delle limitazioni sulle distanze, siano
esse mutue o rispetto ai lembi. Esse si rendono necessarie per:
esigenze statiche,
esigenze funzionali,
esigenze tecnologiche (costruttive).
14
È lo stesso problema visto nella classificazione delle sezioni: lastre piane a rischio imbozzamento
15
In passato era in funzione del diametro 𝑑 del bullone
L’unione, ovvero i pezzi da collegare, possono essere soggetti sia a trazione che a
compressione (doppia freccia), ma i bulloni saranno sempre sollecitati a taglio.
È presente anche una limitazione diagonale, nel caso in cui le file fossero più di 2, come si
vede nella figura seguente:
Fig. 7 Unione a più di due file sfalsate, soggetta sia a trazione che a compressione.
Fig. 8 Unione a file sfalsate con sfalsamento diversificato e sforzo eccentrico di trazione rispetto
all’asse di bullonatura.
Massimo
Distanze e
Unioni di elementi in
interassi Minimo Unioni esposte a Unioni non esposte a acciaio resistente alla
(Fig. 4.2.3) fenomeni corrosivi o fenomeni corrosivi o corrosione
ambientali ambientali (EN 10025-5)
Si noti come il massimo sia funzione dell’ambiente e dello spessore minimo 𝒕, mentre il minimo è
funzione solo di 𝒅𝟎 .
Per “unioni non esposte a …” non ci sono limitazioni per quanto riguarda le distanze dai lembi
perché, non essendo esposte all’ambiente esterno, non c’è pericolo di infiltrazioni.
(EN 10025-5) si riferisce ad acciai aventi elevata resistenza alla corrosione (patinabili,
inossidabili, etc..).
ε come definito nella tabella per la classificazione delle sezioni nel CAP2.
Prima di arrivare alla vera e propria fase di calcolo statico e di verifica, è necessario fare
alcune premesse.
Tale depurazione deve avvenire nel modo più cautelativo: per mettersi nella condizione
di massima sicurezza, va considerata la sezione resistente netta minima:
o File parallele → 𝑎 𝑝𝑟𝑜𝑓𝑖𝑙𝑜 𝑟𝑒𝑡𝑡𝑜 (il problema non si pone),
𝑎 𝑝𝑟𝑜𝑓𝑖𝑙𝑜 𝑟𝑒𝑡𝑡𝑜
o File sfalsate → → si prende il valore minimo, cioè
𝑎 𝑝𝑟𝑜𝑓𝑖𝑙𝑜 𝑠𝑝𝑒𝑧𝑧𝑎𝑡𝑜
quello che offre la minore resistenza.
A profilo retto avremo una lunghezza diversa e un diverso numero di fori rispetto al
profilo spezzato.
D: Perché non sappiamo a priori quale sia l’area netta
minima?
Questa distinzione è intuitiva se si pensa che a trazione tende ad essere impegnato il gioco foro-bullone
𝑑 𝑑 → sezione netta, mentre: a compressione si può considerare che la sezione dei fori sia occupata
dai bulloni; le verifiche di stabilità sono globali e non di resistenza locale; il calcolo delle deformazioni
riguarda deformazioni globali → sezione lorda.
16
Quando calcoliamo le unioni bullonate, dobbiamo fare il calcolo di verifica dei bulloni, ma anche degli
elementi collegati.
3. Nel calcolo statico di elementi bullonati, in cui si fronteggiano gli elementi collegati e
gli 𝑛 bulloni della bullonatura, per quanto riguarda:
con una sezione attiva, cioè efficace per assorbire le azioni taglianti18,
con più sezioni attive (solitamente non più di 2 nella pratica tecnica).
Quando si parla di “più sezioni attive”, solitamente quel “più” nella pratica tecnica è limitato
quasi sempre a due sezioni, che si dividono lo sforzo complessivo, portandolo da una
parte all’altra con delle aliquote inferiori. Il caso più classico è quello con una sola o due
sezioni attive. Ovviamente la situazione più favorevole è la seconda perché il singolo
bullone è come se valesse per due poiché lavora con due sezioni attive, con una
situazione più simmetrica, più efficace, più opportuna. Il progettista deve cercare di porsi in
questa situazione perché è quella che sfrutta meglio il bullone.
Se facciamo invece una sezione trasversale19 del bullone (Fig. 11), e quindi del foro,
avremo ad ogni quota una distribuzione radial centripeta, cioè costituita da pressioni
orientate verso il centro del foro.
17
importantissimo anche perché entra in gioco nelle limitazioni per le distanze di bullonatura.
18
È la sezione tra due elementi collegati
19
Perché studiamo delle strutture spaziali
Nelle figure che seguono è rappresentato un generico bullone soggetto a Taglio, nella
doppia possibile situazione, e le corrispondenti distribuzioni effettive delle pressioni sulle
pareti del foro.
Distribuzioni Effettive delle Pressioni Mutue
Questa pressione mutua tra le pareti del foro e il gambo del bullone, che ha le distribuzioni
viste nel piano longitudinale e in quello trasversale, prende la denominazione tecnica,nel
campo dei bulloni, di pressione di rifollamento 𝝈𝒓𝒊𝒇 .
Queste sono le distribuzioni di pressione sulle pareti del foro, mentre la sezione
trasversale del gambo del bullone è sollecitata in una sola sezione o due sezioni dallo
sforzo complessivo 𝑆, che è di trazione o di compressione per i pezzi collegati, ma è
tagliante per il gambo del bullone.
Tuttavia, tale distribuzione effettiva, rigorosa, che risulta anche da prove sperimentali, è un
po’ complessa da inserire nel calcolo di verifica.
La sezione resistente21, per ogni parete del foro è sempre 𝑑 ∙ 𝑠 , ossia la proiezione
diametrale del foro per lo spessore di ciascun pezzo.
Infatti la pressione di rifollamento è la pressione mutua che si esercita tra le pareti del foro
e il gambo del bullone: il gambo del bullone, che attraversa tutto il foro, è unico, mentre le
pareti del foro22 sono tante quanti sono i pezzi da collegare, quindi ciascuna parete del
foro si prende una distribuzione diversa perché la sezione resistente è pari a 𝑑 ∙ 𝑠 .
nella verifica a taglio del gambo del bullone→ in una sola sezione attiva o in 2
sezioni attive (il bullone lavora a doppio) → comanda il 𝑑 del bullone
20
La distribuzione effettiva radial centripeta è importante per i limiti ammissibili delle verifiche
21
Quella che sopporta la 𝜎
22
Questa precisazione sarà molto utile quando faremo le verifiche a rifollamento
Quindi nella verifica a taglio interverrà la qualità del bullone, nella verifica a rifollamento, la
qualità del materiale base.
Per esempio:
In definitiva, il comportamento del bullone a taglio comporterà: una verifica a taglio del
bullone e molteplici verifiche a rifollamento (tante quanti sono gli elementi collegati con
diverso spessore).
I bulloni a taglio possono essere soggetti anche a trazione, cioè ad una sollecitazione,
dovuta ai carichi esterni, diretta ∥ all’asse del bullone. In tal caso, è prevista anche una
verifica a trazione.
23
Il taglio nelle sezioni attive è la risultante dello sforzo di trazione o compressione che gli elementi collegati
si scambiano e che sul bullone diventa un’azione tagliante. → il bullone risponde a taglio in queste sezioni.
I bulloni mal digeriscono la trazione, infatti si cerca di evitare che siano soggetti solo a
trazione. Quando il bullone è soggetto a trazione, oltre che a taglio, il motivo fondamentale
per cui esso mal sopporta la sollecitazione di trazione è che:
mentre a taglio il bullone può lavorare in una sola o più favorevolmente in due
sezioni, quando è soggetto a trazione, la sezione resistente del bullone è sempre e
solo una, sia che realizziamo un’unione con 1 sezione attiva, sia che la
simmetrizziamo realizzandone due;
Numero sezioni attive per i bulloni sollecitati a taglio. → Per completare il discorso
qualitativamente statico dei bulloni, in tutti i casi in cui è possibile, dobbiamo cercare di
privilegiare una situazione con un numero pari (tipicamente 2) di sezioni attive, al fine
di simmetrizzare l’unione, ed evitare di incorrere in comportamento deformativo
asimmetrico a inflessioni parassite, cosa che si presenta quando il bullone lavora in
una sola sezione attiva.
Collegamento in sovrapposizione
semplice, prima dell’applicazione del
carico;
Ecco perché bisogna cercare di far funzionare il bullone con un numero di sezioni
attive 𝑚 1, normalmente 2, in maniera simmetrica.
Il numero di sezioni attive con cui funziona ciascun bullone lo indichiamo generalmente con 𝒎, solitamente
𝑚 1, 2.
Le immagini mostrano gli esiti delle tre prove fondamentali, da cui sono ricavate
sperimentalmente le caratteristiche meccaniche delle viti (ossia dei bulloni), sempre con le
modalità di prova definite nella norma di prodotto.
Un altro concetto preliminare per poi accedere al calcolo statico, è quello che riguarda la
ripartizione dello sforzo totale tra i vari bulloni che compongono una generica unione
bullonata.
24
Sono i limiti tabellari che vedremo in seguito
⇓
La conseguenza è che in un’unione tutti i bulloni saranno dimensionati alla stessa
maniera, cioè che abbiano la stessa dimensione, stesso diametro e stessa classe
qualitativa.
⇓
Come tutte le hp semplificative, questa non corrisponde rigorosamente alla maniera con
cui effettivamente lo sforzo si distribuisce tra i vari bulloni, sebbene abbia una sua ratio.
Essa si basa su delle condizioni iniziali, che dobbiamo cercare di favorire affinché la
distribuzione uniforme sia il più possibile vicina alla realtà effettiva. Così potremo operare
in maniera tale che le unioni bullonate siano il più possibile orientate verso questa
assunzione di uniformità.
Per fissare le idee, facciamo questo discorso con riferimento alla seguente giunzione
bullonata, in cui si trasmette lo sforzo S da un elemento all’altro attraverso un doppio
coprigiunto: ciascun bullone funziona in due sezioni attive in maniera simmetrica.
25
a taglio, che è la sollecitazione più idonea, ma eventualmente anche a trazione
Questo significa che nella verifica statica dei bulloni, dobbiamo considerare che ciascun
gruppo di 𝑛 bulloni, a destra e a sinistra dell’asse di simmetria, deve essere calcolato in
maniera tale che lo sforzo totale S sia assorbito dagli 𝑛 bulloni. Si potrebbe infatti incorrere
nell’errore di far assorbire lo sforzo S a 2𝑛 bulloni anziché 𝑛 ! Invece ciascuna serie di 𝑛
bulloni, da sola deve essere in grado di assorbire tutto lo sforzo.
In definitiva un’unione di questo genere deve prevedere due serie, ciascuna di 𝒏 bulloni
(2 𝑛 𝑢𝑝𝑙𝑒).
Tornando alla ripartizione dello sforzo, in una giunzione di questa natura, se immaginiamo
di vedere sperimentalmente una sorta di “radiografia” del modo con cui lo sforzo S entra
nei vari bulloni, per poi portarsi dall’altra parte, e ci soffermiamo ad analizzare il
comportamento in campo elastico, la distribuzione dello sforzo tagliante tra tutti i bulloni, 𝑛
da una parte e 𝑛 dall’altra, è tutt’altro che costante.
In base a quale criterio noi consideriamo che il taglio si ripartisca uniformemente tra i vari
bulloni?
È vero che in campo elastico l’andamento del taglio effettivo è tutt’altro che costante, ma
se in una simulazione sperimentale spingiamo il comportamento dei bulloni fino ai limiti
estremi, facendo crescere gradualmente il carico S, osserviamo che i bulloni dal campo
elastico vanno progressivamente verso lo stato limite di plasticizzazione. Poiché lavoriamo
fondamentalmente agli SL, esaminando il comportamento della bullonatura allo SLU di
plasticizzazione, notiamo che l’andamento del taglio tende a passare da una distribuzione
Unioni Bullonate a Taglio 23
CAP. 3 I COLLEGAMENTI
variabile (campo elastico) ad una uniforme (SLU), e in particolare tende verso un valore di
taglio medio, che si può considerare approssimativamente costante su tutti i bulloni.
Pensando al primo bullone che assorbe lo sforzo in campo elastico, se facciamo crescere
S in maniera monotonica, il taglio nel bullone aumenta finché esso non raggiunge lo SL di
plasticizzazione (ossia il suo snervamento). A questo punto dobbiamo immaginare di
esserci posti nella seguente condizione: abbiamo realizzato l’unione in modo tale che gli
elementi collegati siano sufficientemente rigidi rispetto ai bulloni. → quando il primo
bullone raggiunge lo snervamento, se continuiamo ad incrementare il carico, ricordando il
diagramma 𝜎 𝜀, esso continua a deformarsi plasticamente, ma non assorbe più carico.
Mentre il bullone si deforma plasticamente, se i piatti collegati ai bulloni sono
sufficientemente rigidi, per effetto della congruenza deformativa tra i piatti e i bulloni, il
surplus di sforzo che il primo bullone non è più in grado di assorbire, perché si mantiene a
quel livello tensionale soltanto deformandosi, viene trasferito con un moto più o meno di
corpo rigido, al bullone adiacente. → Il secondo bullone si fa carico di assorbire il surplus
di tensione che il primo bullone, raggiunta la sua saturazione, non è più in grado di
sopportare.
Avviene una sorta di migrazione di sforzo dai bulloni estremi fino ai bulloni più interni, fino
a che, allo SL di incipiente plasticizzazione globale, si livella lo sforzo tagliante sui bulloni e
tende a diventare uniforme. È in questo senso che è ammessa l’ipotesi di uniforme
distribuzione, cioè se ci si proietta allo SLU di incipiente plasticizzazione di tutti i bulloni.
Naturalmente l’hp è tanto più vicina alla realtà quanto più gli elementi collegati (piatti) sono
rigidi rispetto ai bulloni. Questa rigidezza relativa dei piatti rispetto ai bulloni in che cosa si
esprime? Nel rapporto dimensionale tra lo spessore dei pezzi da collegare e il diametro
dei bulloni.
Nella pratica tecnica, tutte le situazioni sono da considerarsi intermedie tra le seguenti
condizioni limite, che in realtà non si raggiungono mai (sono solo “tendenziali”):
Le situazioni pratiche progettuali sono sempre intermedie tra questi due casi limite.
Es. Preferiremo 8 bulloni da 12, piuttosto che 4 da 20 o da 24, cosicché nel gioco di
rigidezze piatti/bulloni, i bulloni siano più deformabili, avvicinandoci alla prima condizione
limite.
Questa prescrizione che non è presente nella nostra normativa, mentre lo è in quella di
altre nazioni, per esempio in quella tedesca. È riportata anche nella normativa europea,
che però non è cogente.
T1=T2=T3=T4=T5=T6=F/6
Lez 10 – 31/03/2014
1. 𝑨 𝑨𝒏𝒐𝒎 sezione trasversale del gambo del bullone nella parte piena,
maggiormente resistente.
Si utilizza per tutte le verifiche a taglio del bullone, in tutti i casi in cui risulti:
𝑙 . 𝐷
ossia in tutti i casi più favorevoli ed efficaci del funzionamento del bullone a taglio,
cioè con la parte filettata esterna allo spessore di serraggio (raccomandazione di
normativa);
Corrisponde alla sezione del nucleo più un contributo parziale della filettatura. Si
tratta di un’area resistente penalizzata “mediamente” del 22% rispetto al valore
nominale.
𝐴 𝑓 𝑑, 𝑝𝑎𝑠𝑠𝑜
26
La parte filettata è costituita da un nucleo o nocciolo interno, intorno al quale si sviluppa, in maniera
solidarizzata, il filetto. Sebbene nella sezione trasversale esso sia presente in maniera discontinua, dà
comunque un contributo alla resistenza.
ERRORE: non si pensi che per valutare l’𝐴 si debba prendere lo 0,78 𝐴 ! È
solo un’indicazione media: tra tutti i diametri dei bulloni, dal 12 al 30, mediamente
l’𝐴 è un’aliquota dell’𝐴 pari al 78%, ma i valori numerici sono dati
individualmente ∀𝑑 dalla normativa, in funzione del passo.
𝐴 ≅ 70% 𝐴 e 𝐴 ≅ 1,08 𝐴
I bulloni più delicati in assoluto sono i bulloni di ancoraggio in fondazione, quelli che chiamiamo tirafondi,
che servono per ancorare il cls del blocco di fondazione delle colonne metalliche. → Quando abbiamo a
che fare con le fondazioni, parte importantissima della struttura, è bene utilizzare A . Se le colonne sono
soggette a flessione i tirafondi saranno soggetti a trazione.
Queste sono le tre aree che intervengono nelle verifiche statiche dei bulloni.
I valori numerici di 𝐴 e 𝐴 variano diametro per diametro, in funzione del passo della
filettatura, sono ricavati sperimentalmente e forniti da manuali, cataloghi tecnici e libri
specializzati. In particolare, la 𝐴 o 𝐴 è fornita dalla nostra normativa e i valori sono
quelli riportati nella seguente tabella, tratta da una pubblicazione specializzata27; è stato
aggiunto il diametro 30 per completare tutto il range di valori.
Ribadiamo il concetto che questi valori non rispettano una formula analitica, ma sono stati
determinati sperimentalmente, quindi nel calcolo statico li andremo a prendere da qui, così
come sono.
27
La Normativa ci dà la tabella delle aree resistenti in riferimento alle bullonature ad attrito.
Dati di riferimento
a) Coefficienti di sicurezza parziali agli S.L.28:
28
Sono tutti numerati per caratterizzare la destinazione dei coefficienti
Nelle prime due colonne sono riportate le caratteristiche meccaniche resistenziali che
intervengono nelle verifiche agli SL; nelle altre tre, quelle che intervengono nelle verifiche
alle TA.
Ogni classe qualitativa è costituita da due numeri separati da un punto, per es. 4.6.
Se si moltiplica il 1° numero per 100, si ottiene il limite tabellare di rottura per quella
classe qualitativa: 𝑓 →4 100 400 𝑁/𝑚𝑚 .
Moltiplicando il 1° 2° 10, si ottiene il valore dello snervamento:
𝑓 →4 6 10 240 𝑛/𝑚𝑚
Per le prime due classi qualitative 𝑓 è assunto pari al valore di 𝑓 , com’è tipico dei
bulloni duttili, mentre per il 6.8, il valore minimo si attinge in corrispondenza di 𝑓
0,6𝑓 360 𝑁/𝑚𝑚 , il che sembra dirci che esso è composto da un materiale duro.
Invece, si è ritenuto sperimentalmente che prendere 𝑓 𝑓 480 𝑁/𝑚𝑚 sarebbe
stato eccessivo. Si tende cioè ad essere più prudenti, specialmente per le verifiche alle
TA. Per le ultime due classi, il valore minimo, assunto quindi pari a 𝑓 è lo 0,7 𝑓 .
Questo è il quadro di valori numerici che ci dà tutti gli elementi utili per le verifiche.
Vediamo quali sono tutte le verifiche da effettuare, nel modo più generale possibile: taglio,
trazione, e ciò che si portano dietro di conseguenza, ossia rifollamento e punzonamento.
Partiamo innanzitutto dai dati iniziali da assumere.
Il taglio e la trazione portano con sé altre situazioni statiche che è necessario verificare.
La verifica a punzonamento, che in passato non c’era, è stata introdotta dalla normativa
più recente, di ultima generazione, deriva dalla trazione. Per effetto della trazione, gli
elementi a contatto possono essere soggetti a delle lesioni da strappo nella zona
circostante al bullone, nella quale si esercita appunto lo sforzo di trazione. Anche questa
verifica si esegue con riferimento a ciascuno spessore.
𝑇𝑎𝑔𝑙𝑖𝑜 ⇒ 𝑅𝑖𝑓𝑜𝑙𝑙𝑎𝑚𝑒𝑛𝑡𝑜
𝑇𝑟𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 ⇒ 𝑃𝑢𝑛𝑧𝑜𝑛𝑎𝑚𝑒𝑛𝑡𝑜
𝐸 𝑅
1. Verifica a taglio
𝑉 , 𝑉 , 𝟎, 𝟔 𝑚 𝐴 𝑓 /𝛾
In questo caso, il taglio interessa sempre e solo la parte liscia, maggiormente resistente (𝑨 𝑨𝒏𝒐𝒎 .
Lo 𝟎, 𝟔 agisce come un coefficiente di sicurezza, oltre al 𝛾 .
Nelle verifiche dei bulloni fa da protagonista 𝒇𝒕𝒃 , e non lo snervamento come per il materiale base acciaio,
ecco perché c’è un coefficiente piuttosto basso (0,6).
Le due formule si differenziano fondamentalmente nella 𝑉 , per il coefficiente (0,6 o 0,5), la seconda
risultando più restrittiva.
Qui si vede come l’𝐴 , nata per le verifiche a trazione, viene utilizzata anche per le verifiche a taglio
quando la filettatura va all’interno dello spessore di serraggio, per penalizzare la sezione resistente
rispetto a quella nominale.
In questo caso, in cui abbiamo due sezioni attive (𝑚 2) e tre spessori diversi, si fanno tre
verifiche a rifollamento.
𝑓 si riferisce al materiale base, mentre 𝛼 e 𝐾 sono due coefficienti numerici particolari che
si determinano con delle formule, presenti anche in normativa29.
𝑓 è la tensione di rottura del materiale base, dipende dalla qualità dell’acciaio (S235, S275, S355). Il
rifollamento è determinato da un taglio sui bulloni, ma si riflette sul materiale base degli elementi
collegati;
usiamo 𝑑 𝑑 a vantaggio di sicurezza, ma a rigore dovremmo usare 𝑑 , trattandosi di una verifica che
riguarda le pareti del foro.
29
Sono formule derivanti da sperimentazioni, applicazioni particolari, contemplate dalla normativa europea.
𝑝 /3𝑑 0,25
per bulloni interni: 𝛼 min 𝑓 /𝑓
1
2,8𝑒 /𝑑 1,7
per bulloni esterni31: 𝐾 min
2,5
1,4𝑝 /𝑑 1,7
per bulloni interni: 𝐾 min
2,5
3. Verifica a trazione
𝑁 , 𝑁 , 𝟎, 𝟗𝐴 𝑓 /𝛾
Interessa sempre gli elementi del materiale base, collegati dal generico bullone, come la
verifica al rifollamento, ma viene fatta per il minore degli spessori che si fronteggiano.
𝑁 , 𝐵 , 𝟎, 𝟔 𝜋 𝑑 𝑠 𝑓 /𝛾
Dove:
Nella figura seguente è rappresentata la pianta esagonale sia della testa che del dado.
Solitamente il dado che si accoppia alla vite, ha le sue stesse dimensioni 𝑠 ed 𝑒, dove, se
si considera l’esagono circoscritto al cerchio :
30
Sulla normativa è scritto “bulloni di bordo”, ma è più corretto dire “esterni” perché indica in generale la
distanza dal margine o dal bordo. In questo caso sono i bulloni che fronteggiano i margini, infatti ricordiamo
che le distanze dai margini avevano pedice “1”.
31
In questo caso sono quelli che fronteggiano i bordi.
I valori 𝑠 ed 𝑒 sono forniti dalle UNI dimensionali, quelle che contengono anche le
caratteristiche delle viti e dei dadi. Ribadiamo che quando fossero diversi per la testa e per
il dado, si prende il valore minimo tra i due.
Finora abbiamo fatto due verifiche conseguenti all’azione di taglio (taglio e rifollamento), e
due conseguenti alla trazione (trazione e punzonamento). Per fissare le idee:
𝑉, 𝑁,
1
𝑉, 1,4 𝑁 ,
La somma dei rapporti tra azioni di progetto e resistenze di calcolo a taglio e trazione (con
il coefficiente 1,4 a denominatore per la trazione) deve risultare inferiore a 1.
Si associa alle precedenti verifiche per solo taglio e per sola trazione.
32
Taglio e trazione, agendo insieme, determinano un dominio di resistenza combinato.
NB: per le verifiche agli SLE valgono le stesse formule, con l’assunzione del coefficiente
di sicurezza 𝜸𝑴𝟔,𝒔𝒆𝒓 𝟏, 𝟎𝟎, al posto di 𝛾 1,25.
Solitamente queste verifiche di resistenza si fanno agli SLU, non agli SLE. Se si vogliono
fare agli SLE, “valgono le stesse formule” è da intendersi razionalmente: le azioni che
stanno al primo membro sono quelle che derivano dalle combinazioni agli SLE, in cui i
coefficienti di fattorizzazione non sono più 1.5, 1.4, 1.3, ma sono sempre 1 e cambiano i
coefficienti di combinazione.
Verifiche alle TA
È tutto molto più semplice. Si parte al solito dalle azioni, con riferimento al singolo bullone:
Non sono presenti particolari pedici che indichino azioni di calcolo perché entrano in gioco
i carichi esterni effettivi, che si ricavano sempre dalla combinazione di carico rara, presa
dagli SLE, ma senza fattorizzazione attraverso coefficienti parziali.
Sono verifiche interne di tensioni e servono anche per fare un dimensionamento rapido.
1. Verifica a taglio
𝑉
𝜏 𝜏 ,
𝑚𝐴
b) Filettatura interna allo spessore di serraggio:
𝑉
𝜏 𝜏 ,
𝑚𝐴
Va eseguita, come già detto, tante volte quanti sono gli spessori dei piatti collegati.
𝜑𝑉
𝜎 𝛽𝜎
𝑑𝑠
Dove:
3. Verifica a trazione
𝑁
𝜎 𝜎 ,
𝐴
33
Agli SL abbiamo parlato di 𝑉 , , per riferirci al singolo piatto, mentre qui si fa attraverso 𝜑 .
𝜏 𝜎
1
𝜏 , 𝜎 ,
SERRAGGIO CONSIGLIATO:
Il bullone deve essere serrato in maniera opportuna con la chiave dinamometrica, perché
un serraggio eccessivo potrebbe romperlo, mentre un serraggio modesto lo renderebbe
lento, quindi non in grado di trasmettere lo sforzo applicato per connettere gli elementi.
In questo caso è consigliato, cioè non obbligatorio, quindi non soggetto a controllo (non
precaricato).
Infatti:
34
Solitamente è il tipo di filettatura che si utilizza per la vite
CAP. 3
Bulloni ad attrito 1
CAP. 3 I COLLEGAMENTI
I COLLEGAMENTI
Bulloni ad attrito
Lez 4/4/2011 – 5’46”
Danno luogo ancora ad unioni rimovibili, ma sono molto più rigide(almeno finché l’attrito
persiste) rispetto a quelle a taglio.
Due fondamentali peculiarità, che le distinguono dalle unioni bullonate a taglio, sono:
Figura 1 Unione bullonata in opera a doppio coprigiunto, che deve trasferire un certo sforzo S
1
Bulloni in acciaio con elevate caratteristiche meccaniche
2 Bulloni ad attrito
I COLLEGAMENTI CAP. 3
All’atto del montaggio, prima della messa in opera (ossia prima dell’applicazione del carico
S), i bulloni vengono serrati, con apposite chiavi dinamometriche, conferendo al bullone2
una prefissata coppia di serraggio, 𝑻𝒔 .Ciò induce nel gambo del bullone uno sforzo di
trazione proporzionale a 𝑻𝒔 : sforzo di pretrazione o di pretensione𝑵𝒔 da ciò il nome di
bulloni pretesi o precaricati.
Parallelamente, si genera uno sforzo di compressione (lo stesso 𝑵𝒔 ) tra i piatti che
costituiscono l’unione; ne deriva una notevole compattazione dei pezzi, che possono dirsi
precompressi: sottoposti cioè a uno stato di coazione speculare rispetto a quello cui sono
sottoposti i bulloni.
Per effetto della coppia di serraggio: nel generico bullone si determina uno stato di
coazione, che consiste in uno sforzo di trazione nel gambo del bullone (detto quindi
preteso), il quale si traduce in uno sforzo uguale e contrario di compressione tra gli
elementi a contatto, che diventano precompressi. Ecco perché questi bulloni vengono
definiti precaricati: perché lo sforzo di trazione indotto dalla 𝑇 prima dell’applicazione del
carico, viene chiamato dalla Normativa sforzo di precarico e lo sforzo di compressione
uguale e contrario che compatta fortemente gli elementi a contatto da collegare, è un
precarico di compressione.
[15’27”]
La domanda, a questo punto, sorge spontanea: poiché anche nelle unioni bullonate a
taglio si effettua un serraggio (quindi si induce uno sforzo di compressione nei piatti e di
trazione nei bulloni), dov’è la differenza? Nel fatto che la coppia di serraggio e il
conseguente stato di coazione nel gambo del bullone ora sono prefissati, “perfettamente e
quantitativamente”, e obbligatori, perciò se ne tiene conto ai fini del calcolo! Lo sforzo di
compressione tra i pezzi determina la condizione base affinché si sviluppi l’attrito tra le
superfici a contatto, a maggior ragione dal momento che le superfici dei pezzi da collegare
vengono preparate per favorire l’instaurarsi dell’attrito e garantire il suo perdurare.
Potendo dunque contare sullo sforzo di compressione tra i piatti, possiamo decretare che
la trasmissione dello sforzo S avviene non già per tramite di un’azione tagliante sul/i
bullone/i3, ma per effetto delle azioni tangenziali di attrito che si destano tra le superfici a
contatto, distribuite appunto sulle superfici che contornano il singolo bullone {N.B. in fig.: le
superfici che vanno preparate sono 4, i piani di contatto sono 2}.
Da ciò deriva che l’unione, finché persiste l’attrito, non dà luogo ad alcuno scorrimento tra i
pezzi, in altre parole l’unione è rigida: non c’è alcun gioco foro-bullone, né assestamento
anelastico, né scorrimento, quindi non c’è deformabilità dell’unione (in realtà c’è, ma è
2
All’atto pratico viene conferita al dado, ovviamente
3
Che determinava la pressione di rifollamento sulle pareti del foro, nei collegamenti bullonati a taglio
Bulloni ad attrito 3
CAP. 3 I COLLEGAMENTI
“congelato” dall’attrito). Se l’attrito viene superato – o perché previsto per quelle ipotesi di
calcolo o per motivi accidentali quali imperfetta preparazione, superamento dei carichi di
progetto, etc. – l’unione ad attrito degenera in una unione bullonata a taglio, con tutte le
caratteristiche statiche e le problematiche ad essa connesse (rifollamento e conseguente
eventuale ovalizzazione dei fori, deformazioni anelastiche,…).
Il comportamento ad attrito costituisce quindi per sua natura uno SLE: al suo superamento
viene a mancare solo una funzionalità dell’unione, che continua a vivere in un’altra
condizione, non avviene il suo collasso4 [N.B. Ciò non è vero se si decide di “verificare per
attrito allo SLU”, come si vedrà più avanti].
22’55”
Entriamo nel merito (diversi concetti coincideranno con quanto già visto per i bulloni a
taglio), descrivendo le caratteristiche generali:
tipologiche;
dimensionali;
qualitative.
4
Quando abbiamo elencato gli SL classici dell’acciaio, uno dei principali SLE (o di servizio) delle costruzioni
metalliche era lo SL di Scorrimento delle unioni bullonate. Vedremo che può essere portato anche ad una
specie di SLU.
4 Bulloni ad attrito
I COLLEGAMENTI CAP. 3
1. CARATTERISTICHE TIPOLOGICHE
In fig. è rappresentato il tipico bullone per giunzione ad attrito, già montato:
Gli elementi costitutivi del bullone ad attrito sono tre fondamentali e uno eventuale,
accessorio. Dimensionalmente non sono identici a quelli dei bulloni a taglio perché
rispondono a norme di prodotto differenti.
A) Vite
Elemento fondamentale che costituisce sostanzialmente il bullone, formata da:
testa esagonale
gambo di lunghezza l, parzialmente o totalmente filettato.
N.B. La filettatura può anche entrare nello spessore di serraggio senza che la verifica ad
attrito ne sia penalizzata; non è consigliato, tuttavia: se infatti l’attrito dovesse venir meno,
è meglio cautelarsi avendo sempre l’intera sezione resistente del bullone a disposizione
per la verifica a taglio.
Bulloni ad attrito 5
CAP. 3 I COLLEGAMENTI
Manca cioè la raccomandazione (comunque non cogente) vista per i bulloni a taglio, di
calibrare la lunghezza totale del gambo in maniera tale che la parte filettata risulti esterna
allo spessore di serraggio. Questo alla luce del fatto che i bulloni ad attrito si
caratterizzano per un funzionamento che, finché c’è l’attrito, non impegna la sezione
trasversale del bullone nelle pareti del foro. È in ogni caso auspicabile che il progettista
segua ugualmente la raccomandazione 𝑙 . 𝐷 . Si ottiene così un bullone più
lungo, quindi più pesante e più costoso, soprattutto se si pensa che in un’unione ve ne
sono parecchi. Mantenere la stessa condizione ci dà il vantaggio che, nel caso in cui
venga superato l’attrito, la verifica andrà ad impegnare la sezione piena e non la parte
penalizzata, cioè che abbia un funzionamento più efficace a taglio.
B) Dado
Esagonale, filettato all’interno, etc… Tutto come nei bulloni a taglio, a parte qualche
caratteristica dimensionale.
C) Rosetta
Sezione anulare, forata, con particolari smussi. Per ogni bullone ne vanno previste almeno
2, una sotto la testa e una sotto il gambo.
6 Bulloni ad attrito
I COLLEGAMENTI CAP. 3
Sono fatte in maniera un po’ più elaborata dal punto di vista meccanico: sono presenti
degli smussi su un solo lato della rondella, che servono a favorire una distribuzione il più
possibile uniforme delle tensioni sul pezzo. Non va quindi posizionata a caso: le parti
smussate devono andare sotto la testa e sotto il dado; le parti piane a contatto con gli
elementi da collegare.
D) Piastrina
È un elemento facoltativo, rettangolare con foro al centro complementare al diametro del
gambo della vite.
2. CARATTERISTICHE DIMENSIONALI
Il range dei diametri 𝑑unificati utilizzabili per bulloni ad attrito è più limitato rispetto a quello
dei bulloni a taglio:
12 14 16 18 20 22 24 27 30 36
Anche in questo caso, nel calcolo si fa riferimento al diametro 𝑑 del bullone (la parte liscia
del gambo) e al diametro 𝑑 del foro7.
5
I normal-profili a C o ad U sono attualmente in uso
6
NB: non c’è il 33!
Bulloni ad attrito 7
CAP. 3 I COLLEGAMENTI
Valgono infine le stesse limitazioni dimensionali dei bulloni a taglio per quanto riguarda il
gioco foro-bullone:
3. CARATTERISTICHE QUALITATIVE
Le norme di prodotto di riferimento per gli aspetti qualitativi (Materiale) e dimensionali
(Riferimento) sono le seguenti:
Come si vede, possono essere usati solo bulloni ad alta resistenza (8.8 e 10.9).
7
Nelle illustrazioni vediamo 𝑑 in luogo di 𝑑 perché sono prese dalle vecchie Norme UNI.
8
Allorquando uno spostamento anelastico è consentito. Ovviamente questo discorso entra in gioco quando
viene superato l’attrito.
9
Caratteristiche dimensionali, disciplinate dalle norme indicate (europee e italiane armonizzate). Per ogni
bullone (vite), la parte 3 ci consente di determinare, in funzione del diametro e dello spessore di serraggio, la
lunghezza del gambo.
8 Bulloni ad attrito
I COLLEGAMENTI CAP. 3
MODALITÀ ESECUTIVE
47’15”
Gli altri aspetti relativi all’esecuzione sono peculiari delle bullonature ad attrito.
A) Pulitura
È un’operazione che si effettua in stabilimento, per cui comporta un certo costo; ecco
perché queste unioni sono più “pregiate” rispetto a quelle a taglio.
Può essere realizzata con due sistemi, elencati in ordine decrescente di costo e di qualità:
Spazzolatura
Viene effettuata con attrezzi manuali che passano sul pezzo; meno costosa
della sabbiatura perché non richiede macchinari appositi.
A seconda del tipo di pulitura e del luogo di esecuzione della stessa, la normativa impone
l’uso di coefficienti di attrito differenziati, come si vedrà più avanti.
10
Vengono trattate e “portate al metallo bianco”.
11
corindone <co-rin-dó-ne>s.m. ~ Minerale: sesquiossido di alluminio, trigonale, di colore vario con
lucentezza metallica, impiegato per la sua durezza (nono posto nella scala di Mohs) come smeriglio. Alcune
varietà sono usate come gemme; tra le più pregiate il rubino, di colore rosso, e lo zaffiro, di colore azzurro.
[Dal fr. corindon, risalente a una voce dravidica].
Bulloni ad attrito 9
CAP. 3 I COLLEGAMENTI
B) Serraggio
Obbligatorio e quantitativamente definito, va controllato dopo la messa in opera mediante
chiavi dinamometriche, a campione o per tutti i bulloni dell’unione. Deve avvenire a una
coppia di serraggio prestabilita, precisa e quantitativamente definita. Il controllo si fa con
dei procedimenti operativi indicati in Normativa: per unioni in cui ci sono molti bulloni, si
tratta di un controllo a campione; se il controllo comincia a dare valori non conformi,
bisogna intensificare il controllo e riserrare i bulloni alla coppia opportuna.
Nella fig. seguente sono rappresentati i vari tipi di chiavi dinamometriche, che si
distinguono in:
manuali;
pneumatiche (ad aria compressa);
oleodinamiche (a olio compresso).
Le chiavi vanno periodicamente mantenute e tarate da appositi laboratori o enti
certificatori, perché sia garantito il loro corretto funzionamento entro la tolleranza del 5%
(ossia, si impone che le coppie da esse fornite siano corrette entro il range consentito).
Chiavi manuali
Modello di chiave a barra di flessione rettangolare con indicatore (𝑁𝑚 o 𝑘𝑁𝑚) e regolatore
a scatto
Modello di chiave a barra di flessione tonda con indicatore senza regolatore a scatto.
10 Bulloni ad attrito
I COLLEGAMENTI CAP. 3
Chiavi pneumatiche
Bulloni ad attrito 11
CAP. 3 I COLLEGAMENTI
CALCOLO STATICO
CONSIDERAZIONI PRELIMINARI
Valgono le stesse ipotesi fatte per i bulloni a taglio riguardo:
ripartizione uniforme dello sforzo totale (di taglio o di trazione) fra tutti i
bulloni la verifica si effettua sul singolo bullone, soggetto a uno sforzo 𝑆/𝑛.
Considerazione: già nelle bullonature a taglio s’era visto che la sollecitazione preferibile tra i piatti a
contatto fosse il solo taglio; nelle bullonature ad attrito questa preferenza è ancor più marcata, perché una
trazione potrebbe allentare o, al limite, vanificare la precompressione dei pezzi, quindi dissolverne l’attrito.
Come si vedrà, la trazione è comunque consentita, ma con limitazioni ancora più stringenti.
DATI DI RIFERIMENTO
Innanzitutto, la sicurezza di cui si tratta è allo scorrimento e, come già accennato all’inizio del capitolo, in
quanto tale è intrinsecamente uno SLE, superato il quale avviene uno spostamento che non provoca il
collasso della struttura.
12 Bulloni ad attrito
I COLLEGAMENTI CAP. 3
Usato se si vuol far funzionare l’unione ad attrito fino allo SLE. È la situazione più consueta per questo tipo
di unione, e la più economica. Superato l’attrito, il singolo bullone non si rompe, ma inizia a lavorare a
taglio, avendo ancora un margine nei confronti di quest’ultima sollecitazione.
N.B. Il pedice ser, non presente in normativa, indica che il coefficiente riguarda una situazione di esercizio
(servizio).
Il calcolo quindi lo potremo effettuare con queste due finalità: la finalità più economica che
consiste nel presupporre che l’attrito persista fino allo SLE, che è la maniera più classica,
anche per le strutture correnti; oppure quella di ipotizzare che l’attrito permanga fino allo
SLU, cioè che la rottura a taglio coincida con lo scorrimento. Queste due ipotesi
comporteranno una modalità di calcolo e un tipo di verifica diverso.
Allo SLE, le azioni saranno valutate in base alle combinazioni di carico allo SLE. Se invece
si ipotizza che l’attrito permanga fino allo SLU, la verifica ad attrito coinciderà con la
verifica a taglio finale allo SLU. In questo caso quindi il coefficiente deve essere più
“pesante”.
1h 19’ 54”
Bulloni ad attrito 13
CAP. 3 I COLLEGAMENTI
Dati questi elementi, bisogna calcolare in primo luogo due grandezze fondamentali, che
sono quelle da cui discende tutto il calcolo di verifica dei bulloni ad attrito: si tratta
sostanzialmente degli elementi “del precarico”. Abbiamo detto che tutto di fonda sulla
coppia di serraggio che diamo inizialmente, la quale innesca la trazione nel gambo del
bullone e quindi la compressione negli elementi a contatto. Se ne è parlato
qualitativamente, ora li andiamo a quantificare.
Lo sforzo assiale di precarico è lo sforzo di trazione che dobbiamo indurre nel bullone, ed
equivale allo sforzo di precompressione tra gli elementi a contatto. È fissato dalla
normativa in quanto ogni bullone, in base al suo 𝑑 𝐴 e alla sua classe qualitativa 𝑓 ,
può reggere uno sforzo di precarico che deve essere pertanto calibrato, indicato.
0,7 𝐴 𝑓
𝑵𝑺 𝑭𝒑,𝑪 0,7 𝐴 𝑓
𝛾
Tale sforzo garantisce tutte le verifiche che seguiranno nei confronto della rottura per trazione del bullone.
Essendo infatti 𝐴𝑟𝑒𝑠 𝑓𝑡𝑏 lo sforzo che romperebbe a trazione il bullone, si adotta un margine di sicurezza del
30% mediante il coefficiente 0,7 .
𝑭𝒑,𝑪 è la simbologia da normativa.
Per indurre nel gambo del bullone (e quindi tra i ferri a contatto), una trazione 𝑁 (ovvero
una precompressione), bisogna applicare una coppia torcente di serraggio, così
quantificata:
𝑻𝑺 𝑴 𝒌𝑑𝑁 𝒌𝑑𝐹 ,
14 Bulloni ad attrito
I COLLEGAMENTI CAP. 3
Il momento di serraggio controllato è indicato sulle targhette delle confezioni di bulloni, per le diverse classi
funzionali𝒌, che dipendono a loro volta dalla filettatura.
Se è disponibile solo la classe funzionale, la Circolare Ministeriale12fornisce delle tabelle (C4.2.XX-
C4.2.XXI) in cui è già calcolato il momento di serraggio in funzione della classe funzionale, del diametro
nominale e della classe qualitativa (8.8 o 10.9).
Se, infine, non si conosce neanche 𝒌, ci si rifà alla vecchia normativa e si adotta il valore 0,20 (l’unico
previsto prima dell’introduzione delle classi funzionali).
𝑀 è sempre la simbologia usata dalla normativa.
12
Ipse dixit: “fidarsi è bene, ma non fidarsi è meglio”.
Bulloni ad attrito 15
CAP. 3 I COLLEGAMENTI
Se troviamo i valori sulle targhette delle confezioni, entriamo in queste tabelle e calcoliamo
quello che ci serve. Ove non dovessimo trovarle, conviene valutare la coppia di serraggio
ponendosi nella colonna 𝑘 0,20, valore che corrispondeva al passo grosso della
filettatura per i bulloni a taglio. Per i bulloni ad attrito la filettatura è più o meno la stessa, a
passo grosso, per cui il coefficiente 0,20 è già sufficientemente indicativo e cautelativo. In
questo modo, questa coppia di serraggio corrisponde a quella dei bulloni a taglio, con la
differenza che quella dei b. a t. era ridotta attraverso il coefficiente di sicurezza del
serraggio 𝛾 1,10, mentre qui 𝛾 1,00. Utilizzare 𝑘 0,20 significa mettersi nella
condizione prudenziale della Normativa precedente, anche se i valori di precarico erano
un po’ diversi da quelli attuali.1h 32’ 45”.
16 Bulloni ad attrito
I COLLEGAMENTI CAP. 3
Va da sé che le azioni di progetto siano differenziate tra SLE e SLU per le varie combinazioni di carico.
La verifica va effettuata per il generico spessore, come già visto per i bulloni a taglio.
Manca la verifica a punzonamento, che per i bulloni ad attrito non è significativa perché è presente la
compressione, che si oppone al punzonamento a trazione.
1h 35’ 30”
Bulloni ad attrito 17
CAP. 3 I COLLEGAMENTI
a) Azione tagliante
Una volta fatta questa ipotesi, dobbiamo essere coerenti con essa: avendo ammesso di
accettare l’attrito fino allo SLE, dobbiamo preoccuparci di garantire la sicurezza dell’unione
anche al superamento dell’attrito. Si passa quindi alla seguente verifica.
18 Bulloni ad attrito
I COLLEGAMENTI CAP. 3
Poiché si orienta il progetto affinché l’attrito resista fino al limite del collasso, la verifica a
taglio è inutile. L’ipotesi è che la rottura avvenga contemporaneamente per scorrimento e
per taglio. Dunque la verifica ad attrito ingloba già quella a taglio.
𝒎 𝝁 𝑵𝑺 𝟎, 𝟖 𝑵𝒃,𝑺𝒅,𝒔𝒆𝒓
𝑽𝒃,𝑺𝒅,𝒔𝒆𝒓 𝑽𝒃𝑺,𝑹𝒅,𝒔𝒆𝒓
𝜸𝑴𝟑,𝒔𝒆𝒓
𝑉 , , , l’azione tagliante allo SLE per il singolo bullone soggetto a taglio e trazione, deve essere minore o
uguale alla resistenza di calcolo allo scorrimento (𝑏 sta per bullone, 𝑆 per scorrimento) allo SLE, che risulta
penalizzata rispetto al caso in cui vi sia solo taglio.
Innanzitutto si osservi il sovrasegno sullo sforzo di taglio resistente, per distinguerlo dall’omologo della
situazione di solo taglio. La penalizzazione consiste nel ridurre lo sforzo di precompressione agente di
un’aliquota pari all’80% dello sforzo assiale di trazione di progetto sul bullone allo SL di servizio.
Bulloni ad attrito 19
CAP. 3 I COLLEGAMENTI
Bisogna inoltre premunirsi rispetto al caso in cui si superasse l’attrito, andando a effettuare
le verifiche allo SLU. Queste sono relative alla presenza del taglio, della trazione e della
sollecitazione composta.
𝒎 𝝁 𝑵𝑺 𝟎, 𝟖 𝑵𝒃,𝑺𝒅
𝑽𝒃,𝑺𝒅 𝑽𝒃𝑺,𝑹𝒅
𝜸𝑴𝟑
Formalmente è uguale a quella dell’ipotesi precedente, ma con i coefficienti, le azioni e le resistenze
valutate allo SLU. Come si è detto prima, poiché al raggiungimento dello SLU, si ha anche la rottura a
taglio, non è necessario effettuare la verifica a taglio o a sollecitazione composta di taglio e trazione.
20 Bulloni ad attrito
I COLLEGAMENTI CAP. 3
a) Azione tagliante
1. Verifica ad attrito:
𝒎 𝝁 𝑵𝑺
𝑽𝒃 𝑽𝒃,𝒂𝒅𝒎
𝝂𝑺
Ricordiamo che𝜈 1,25coefficiente di sicurezza nei confronti dello scorrimento.
2. Verifica a taglio:
𝝉𝒃 𝝉𝒃,𝒂𝒅𝒎 (come per i bulloni a taglio)
20’ 30”
Bulloni ad attrito 21
CAP. 3 I COLLEGAMENTI
2. Verifica a taglio:
𝝉𝒃 𝝉𝒃,𝒂𝒅𝒎 (come per i bulloni a taglio)
22 Bulloni ad attrito
SALDATURE CAP. 3
SALDATURE
Lezione 12 – 6 aprile 2011 – 27’24”
Dall’evoluzione normativa è chiaro che si tenda a favorire sempre più l’uso di unioni
saldate, qualora possibile, per le caratteristiche spesso superiori rispetto a quelle
bullonate. È il tipo di unione più importante in assoluto perché garantisce la maggiore
rigidezza e solidarietà fra i pezzi da collegare. Con la saldatura si realizzano di regola le
unioni dei singoli elementi in officina, cioè la sua specifica destinazione dal punto di vista
esecutivo è nelle officine di trasformazione, ossia nelle aziende di realizzazione delle
nostre costruzioni. Questo perché molte difficoltà ed inconvenienti si presentano nel
realizzare unioni saldate in cantiere, tant’è vero che le norme suggeriscono:
“Il progetto della costruzione metallica deve essere studiato col criterio di limitare per
quanto possibile le saldature in opera.”
Non sempre si può realizzare questa situazione, perché talvolta le saldature in opera
sono inevitabili, ma in linea di principio il concetto è sempre valido.
Una rapida panoramica comparativa della saldatura rispetto alle unioni bullonate
aiuterà a fissarne vantaggi e svantaggi:
Maggiore semplicità di esecuzione;
minore ingombro;
minore costo (a parità degli elementi accessori in gioco → aspetto fondamentale, grazie al quale si
tende a privilegiare l’unione saldata, limitando quelle bullonate alle giunzioni di montaggio in opera
oppure realizzare in officina anche le unioni ad attrito);
minore peso della struttura (a causa della piena utilizzazione della sezione resistente degli
elementi, che non vanno soggette alla depurazione dovuta ai fori);
massima rigidità dei collegamenti (si può arrivare al completo ripristino di sezione);
necessità di maestranze specializzate (per eseguire saldature è necessario il patentino di
saldatore rilasciato dall’Istituto italiano della saldatura);
necessità di controlli di qualità accurati (sia in superficie, sia profondi);
necessità di accortezze (in fase di progettazione e realizzazione) per evitare o
minimizzare gli effetti termici nel materiale base (coazioni termiche indotte per effetto
della saldatura negli elementi collegati).
34’ 25”
Nella zona di saldatura si crea un cortocircuito che porta l’intorno del punto da saldare
a temperature elevatissime (2000÷5000 °C); poiché la temperatura di fusione dell’acciaio è
dell’ordine dei 1000÷1500 °C, l’elettrodo e le parti ravvicinate del metallo base fondono
entrambi; gocce dell’elettrodo fuso colano, fluiscono nella zona di collegamento e si
mescolano con gocce di metallo base fuso, formando così il cordone di saldatura.
Spostando l’elettrodo a una determinata velocità durante questo processo, si forma il
cordone di saldatura, che risulta dunque una mescolanza tra metallo base e metallo
dell’elettrodo.
40’25”
ELETTRODI
Riferimento normativo: UNI 5132.
Si tratta di bacchette di metallo di diametro = [2÷8] mm e lunghezza = [20÷25] cm, che
si consumano man mano che la saldatura procede.
N.B. il diametro si riferisce all’anima dell’elettrodo, ossia al solo materiale metallico.
Tale anima è rivestita da una guaina molto aderente di materiale granulare, polverulento;
anche questa guaina fonderà durante la saldatura, e assumerà una doppia funzione
fondamentale per la saldatura:
1
Esistono infatti anche le saldature eterogene, quando il materiale di apporto è di natura diversa da
quello del materiale base.
2
Con cui realizziamo il cordone di saldatura.
2 PROCEDIMENTI E CARATTERISTICHE GENERALI di saldatura
SALDATURE CAP. 3
Gli elettrodi sono definiti in tutte le loro caratteristiche dimensionali e qualitative dalle
norme UNI 5132 (anni ’70). Essi sono differenziati e qualificati, da un punto di vista tecnico
e tecnologico, in classi e tipi:
5 classi 2 tipi
- Le prime due classi (0-1) non sono consentite per usi strutturali.
- I numeri che caratterizzano i due tipi indicano, nel vecchio sistema di misura
tecnico, la resistenza a rottura dell’acciaio costituente:
𝑬𝟒𝟒 44 44 ∙ 9,81 ≅ 432 , ossia Fe430 l’attuale 𝐒𝟐𝟕𝟓
𝑬𝟓𝟐 52 52 ∙ 9,81 ≅ 510 , ossia Fe510 l’attuale 𝑺𝟑𝟓𝟓
44 e 52 rappresentano il minimo in della resistenza a rottura
Classi 3 ‐ 4
Tipo E52 • S355 (Fe510)
POSIZIONI DI SALDATURA
(rispetto all’operatore)
Nulla da aggiungere, se non che la saldatura
sovratesta è da evitarsi perché riesce male ed è
rischiosa per l’operatore.
54’20”
56’15”
L’arco elettrico è
annegato (sommerso) in un
flusso polverizzato che viene
riversato sul luogo in cui
avviene la saldatura da una
tramoggia, la quale è
solidalmente collegata al
motore di avanzamento
dell’elettrodo. Quest’ultimo, a
sua volta, è fissato su un
carrello, il cui percorso è
parallelo all’asse della
ZONE DI SALDATURA
1h 05’ 35”
In particolare:
Modalità di controllo qualitativo → riferimento normativo: UNI-EN 12062
I controlli delle saldature sono di duplice natura:
distruttivi (solo in situazioni particolari);
non distruttivi, i quali mirano ad accertare le caratteristiche qualitative e possono
essere di due tipi, a seconda che ci si proponga di individuare eventuali difetti:
o superficiali
o interni
Quelli che ci interessano maggiormente sono i controlli non distruttivi, cioè quelli che
possono accertare la migliore o peggiore qualità delle saldature. Quando questa fosse
inaccettabile, il collegamento va distrutto e rifatto.
A) Controlli superficiali
ottici;
con liquidi penetranti: spennellati sulla saldatura, in base al colore restituiscono
informazione sulla presenza o assenza di difetti superficiali.
Tutti questi controlli sono governati e definiti dalle modalità di controllo UNI-EN 12062,
che li caratterizzano e prescrivono le modalità di esecuzione.
Dopo questa disanima sulle caratteristiche generali di saldatura, che ci fa entrare
nell’ambito di queste giunzioni saldate, si passa all’aspetto che ci immetterà nella fase di
calcolo statico di verifica.
3
Preparazione dei lembi che devono essere raggiunti dalla saldatura
TIPOLOGIA DEI GIUNTI SALDATI 7
CAP. 3 SALDATURE
condizioni operative:
se non è possibile rovesciare i pezzi, oppure se uno dei due lati del giunto non è
accessibile per la saldatura, si è costretti a cianfrinatura singola. Quindi entra in gioco
anche il tipo di struttura.
Ad ogni modo, a parità di spessore dei lembi di base, una cianfrinatura doppia migliora
la qualità del giunto.
1h 34’ 17”
1h 37’ 58”
Premessa iniziale: nella verifica delle saldature, anche con il metodo agli S.L., si
effettua sempre e solo una verifica tensionale. Questo è uno dei più importanti retaggi
delle T.A. nella nuova normativa. Numericamente e quantitativamente è chiaro che si
distinguono.
In fig. vediamo rappresentati assonometricamente un giunto di testa e un giunto a T, tra due elementi di
spessore genericamente diverso 𝒔𝟏 ed 𝒔𝟐 . La lunghezza del giunto è 𝒍, sia in un caso che nell’altro, la forma
del cianfrino è a V nel giunto di testa e a K in quello a T (ma il procedimento di calcolo che andiamo a
esaminare vale per qualsiasi forma del cianfrino). Nel giunto a T a completa penetrazione, tra due elementi
tra loro ortogonali, l'elemento cianfrinato non arriva a “toccare lo spigolo”: deve essere sollevato perché la
saldatura deve permeare dappertutto. Vediamo inoltre rappresentate le tensioni presenti nel caso più
generale di stato di tensione piano4.
4
Nel calcolo si esaminerà sempre il caso più generale, mentre nelle applicazioni, possono essere anche in
numero inferiore.
Tensioni Tensioni resistenti
Carichi esterni Sollecitazioni sull'intero dell'area di
giunto saldatura
15’20”
Sollecitazioni di progetto
Le sollecitazioni di progetto, che si ottengono dai carichi esterni attraverso le
combinazioni dei carichi, nel caso più generale, si rappresentano come segue:
Spessore efficace
È lo spessore utile da considerare per le sezioni resistenti.
Si assume pari al minore tra i due spessori per giunti di testa, oppure pari allo
spessore dell’elemento cianfrinato5 per i giunti a T. Con riferimento alla fig. di pagina
precedente:
𝑠̅ 𝑚𝑖𝑛 𝑠 , 𝑠 giunti di testa
𝑠̅ 𝑠 giunti a T (spessore dell’elemento cianfrinato)
20’ 05”
Tensioni di progetto6
∥, ,
𝝈∥,𝑺𝒅 ; 𝝈 ,𝑺𝒅 𝝉𝑺𝒅
∙ ̅ ∙ ̅
5
L’unico elemento preparato, che va a insistere e a collegarsi sull’elemento orizzontale.
6
Il pedice 𝑆𝑑 indica che si tratta di tensioni derivanti da carichi fattorizzati agli SL
CALCOLO STATICO: GIUNTI DI TESTA E A T A COMPLETA PENETRAZIONE 11
CAP. 3 SALDATURE
Verifica
26’53”
Una volta definite le tensioni di progetto, la verifica viene condotta secondo la classica
formulazione di Von Mises, che individua una tensione ideale monoassiale ugualmente
pericolosa rispetto allo stato pluriassiale agente.
𝒇𝒚
𝝈𝒊𝒅,𝑺𝒅 𝝈𝟐∥,𝑺𝒅 𝝈𝟐 ,𝑺𝒅 𝝈∥,𝑺𝒅 ∙ 𝝈 ,𝑺𝒅 𝟑𝝉𝟐𝑺𝒅
𝜸𝑴𝟎
NB: Nonostante la verifica si effettui sulla saldatura, a vantaggio di sicurezza si confronta
la σ ideale con la tensione limite resistente del materiale più debole, ossia del materiale
base degli elementi collegati. Come si è precisato precedentemente, la qualità del
metallo di apporto, non è mai inferiore alla qualità del materiale base, infatti nel caso
dell’S235, abbiamo addirittura l’E44.
𝛾 1,05 è il coefficiente che presidia tutte le verifiche di resistenza.
Infine, ad essere pignoli, la normativa precisa che 𝑓 si riferisca al metallo base
dell’elemento più debole, qualora i pezzi siano composti da materiali di qualità differenti.
29’34”
A sovrapposizione semplice
A coprigiunto semplice
A coprigiunto doppio (simmetrizza il collegamento)
A "T" (da non confondere con il suo omologo a piena penetrazione! questo è a
nessuna penetrazione perché gli elementi ortogonali si accostano soltanto)
A "L" (con cordone esterno o interno)
Laterali
Cordoni d’angolo paralleli alla direzione dello
sforzo.
DATI
Per caratterizzare un generico cordone d’angolo, occorre fornire i seguenti dati
significativi, propedeutici al calcolo statico:
𝑨𝒘 𝒂 ∙ 𝒍 sezione di gola;
𝜶 inclinazione;
𝟔𝟎° 𝜶 𝟏𝟐𝟎° ; nella maggior parte dei casi, tuttavia, 𝜶 𝟗𝟎°.
NB: se 𝛼 60°, l'altezza minore non sarebbe più sulla bisettrice dell'angolo diedro
formato dai due pezzi
I possibili profili con cui si può realizzare il generico cordone d’angolo sono:
convesso: è la situazione più frequente; una saldatura appena eseguita si
presenta normalmente con un cordone convesso;
concavo: eccezionalmente realizzato dall’operatore; non lo si usa se non per
saldature “leggere”, cioè con minima o alcuna funzione statica (ad
es. chiudere una fenditura o un interstizio per evitare infiltrazioni);
piano: quando un cordone inizialmente convesso viene molato dopo la
saldatura.
A prescindere dalla convessità, il calcolo statico si effettua sempre sul profilo piano, a
vantaggio di sicurezza.
43’ 10”
N.B. Dal punto di vista del calcolo statico, il parametro fondamentale è 𝒂 ; nel progetto
esecutivo, invece, bisogna specificare i lati del cordone 𝑎 e 𝑎 , perché sono quelli che
l’operatore può misurare durante le successive passate di saldatura.
A differenza dei giunti a piena penetrazione, la sezione resistente dei giunti a cordone
d’angolo è sempre e solo la sezione di gola, per ogni tipo di tensione considerata.
47’30”
Un altro metodo presente in normativa non prevede il ribaltamento, ed è quindi più complesso.
Quello che si sta per presentare è comunque del tutto accettabile.
N.B. L’altezza di gola è inferiore rispetto al lato del cordone, per le considerazioni viste in
precedenza.
54’51
Sollecitazioni di progetto
𝑵 ,𝑺𝒅 Sforzo assiale di trazione o compressione diretto ortogonalmente all’asse
del cordone di saldatura.
N.B. 𝑁 , giace su un piano normale all’asse del cordone, di cui però non si conosce la
direzione. Ha un'inclinazione che consideriamo generica perché dipende dai carichi
esterni, etc...
Tensioni di progetto
Dividendo 𝑵 ,𝑺𝒅 per la sezione di gola 𝐴 𝑎 ∙ 𝑙, si ottiene la tensione 𝒕 ,𝑺𝒅 , che ha
inclinazione qualsiasi, ma è contenuta nel piano ortogonale all’asse del cordone:
𝑵 ,𝑺𝒅
𝒕 ,𝑺𝒅
𝑨𝒘
in considerazione del ribaltamento della sezione di gola, si scompone 𝑡 , nelle due
componenti ad essa rispettivamente ortogonale e parallela7, più agevoli per la verifica:
𝝈 ,𝑺𝒅 normale alla sezione in cui abbiamo ribaltato e quindi chiamata,
secondo la classica convenzione, 𝜎;
𝝉 ,𝑺𝒅 tangenziale, parallela alla sezione in cui abbiamo ribaltato e quindi,
benché componente della tensione normale 𝑡 , chiamata 𝜏.
Per quanto riguarda 𝑉 , esso si divide per la sezione di gola, ottenendo così:
𝑽 𝑺𝒅
𝝉∥,𝑺𝒅 , in analogia a quanto già visto per i giunti a piena penetrazione.
𝑨𝒘
Agiscono dunque tre componenti di tensione, ciascuna ortogonale rispetto alle altre due:
𝝈 ,𝑺𝒅 ,𝝉 ,𝑺𝒅 , 𝝉∥,𝑺𝒅 ,
che formano gli spigoli di un parallelepipedo, la cui diagonale corrisponde al risultante dei
tre vettori:
𝜎 𝜏 𝜏∥
Convenzionalmente si assume questa formula8 come riferimento per una delle due
verifiche di resistenza tensionale del cordone.
7
se si fosse ribaltato in direzione verticale anziché orizzontale, si sarebbero invertiti i nomi di 𝜎 e 𝜏 ,
ma le verifiche sarebbero rimaste invariate.
8
da non confondere con la formula di Von Mises, che non c'entra niente!
16 CALCOLO STATICO: GIUNTI A CORDONI D’ANGOLO
SALDATURE CAP. 3
Verifiche
La Normativa ne impone due:
dove 𝑓 si riferisce, come sempre, alla tensione di snervamento del materiale base più
debole.
Il modulo della risultante vettoriale deve risultare di 𝑓 del materiale base più debole,
moltiplicato per un coefficiente che dipende dalla qualità dello stesso.
NB: Se avessimo ribaltato la sezione di gola sul piano verticale, non sarebbe cambiato
niente!
2. 𝝈 ,𝑺𝒅 𝝉 ,𝑺𝒅 𝜷𝟐 𝒇𝒚
Verifica parziale che chiama in causa le 2 componenti nelle quali si è scomposta la 𝒕 ,𝑺𝒅 .
𝛽 e 𝛽 sono funzione della qualità del materiale base degli elementi da collegare:
0,85 𝑆235 1,00 𝑆235
𝛽 ; 𝛽
0,70 𝑆275 𝑆355 0,85 𝑆275 𝑆355
La normativa dà anche i valori per gli acciai speciali S420 e S460, ma noi ci riferiamo
sempre agli acciai duttili non legati.
1h 09’ 03”
Sollecitazioni effettive
𝑵 Sforzo assiale di trazione o compressione diretto ortogonalmente all’asse
del cordone di saldatura.
𝑽 Taglio agente nel piano del cordone di saldatura.
Tensioni effettive
𝑵 𝑽
𝒕 𝝈 ,𝝉 ; 𝝉∥
𝑨𝒘 𝑨𝒘
Verifiche
𝝈𝟐 𝝉𝟐 𝝉𝟐∥ 𝜷𝟏 𝝈𝒂𝒅𝒎 ; |𝝈 | |𝝉 | 𝜷𝟐 𝝈𝒂𝒅𝒎
NB: In questo caso gli S.L. hanno attinto dalle T.A.: Questo metodo è sempre esistito
per le T.A., mentre per gli S.L. esistevano altri metodi più complessi. Gli S.L. hanno
utilizzato un metodo che era da sempre tipico delle T.A.
MEMBRATURE SINGOLE
PREMESSE
24’15”
resistenza;
deformabilità;
stabilità.
Si presenta ora una panoramica sulle procedure che guideranno tali gruppi di verifiche.
1
a differenza di queste, le membrature multiple sono costituite dall'associazione di 2 o più elementi con
collegamento discontinuo, e che peraltro rimangono separati nel loro sviluppo longitudinale.
PREMESSE 1
Cap. 4 MEMBRATURE SINGOLE
34’48”
Resistenza, nei riguardi della frattura, delle sezioni tese (indebolite dai fori) ȖM2 = 1,25
36’25”
2 PREMESSE
MEMBRATURE SINGOLE Cap. 4
𝒇𝒌 𝒎𝒊𝒏 𝒇𝒚 ; 𝟎, 𝟕𝟓 𝒇𝒕
Questa formula riesce a considerare la maggiore o minore duttilità dei materiali.
Serve per tener conto nelle T.A. sia dei materiali duttili che dei materiali duri, e assimilarli
dal punto di vista della sicurezza.
da cui derivano 𝜎 ; 𝜏
√
39’45”
VERIFICHE DI DEFORMABILITÀ
Essendo riferite a condizioni di funzionalità in esercizio delle strutture, si opera agli
S.L. di servizio, prescindendo dalla qualità del materiale.
Questo ordine di verifiche è molto importante per le costruzioni metalliche, costituisce
la verifica più importante agli SLE.
PREMESSE 3
Cap. 4 MEMBRATURE SINGOLE
VERIFICHE DI RESISTENZA
Fatta la premessa sulle modalità di verifica, siamo in grado di affrontare,
sistematizzandole, tutte le situazioni che possono presentarsi dal punto di vista statico:
trazione, compressione, flessione retta e deviata, presso- e tensoflessione, taglio.
Per ogni sollecitazione ci riferiremo, a livello indicativo,
alla terna di riferimento in figura; è scelta una sezione di
tipo IPE, ma la trattazione è del tutto generale; si
definiscono gli assi:
𝒙, 𝒚 assi principali d’inerzia della sezione
trasversale;
𝒛 asse longitudinale;
secondo la convenzione di De Saint-Venant, diversa
dal sistema di riferimento adottato dalle attuali norme (in
cui l’asse longitudinale è 𝑥); i prontuari attualmente diffusi,
tuttavia, utilizzano ancora questa convenzione, che resta
quindi utile.
Per ogni tipo di sollecitazione agente, cominceremo con il valutare le sezioni resistenti, che si
adottano nelle verifiche di resistenza. Considereremo cioè in primo luogo la capacità resistente
della sezione, nei vari casi possibili.
TRAZIONE
Si tratta della sollecitazione più semplice e auspicabile
per l’acciaio.
Non si opera la classificazione delle sezioni trasversali,
perché non è presente alcun tipo di compressione; per la
valutazione delle sezioni resistenti bisogna comunque
effettuare una prima distinzione tra due possibili condizioni
di vincolo, ovvero di funzionamento, dei profili:
45’15”
4 TRAZIONE
MEMBRATURE SINGOLE Cap. 4
56’05”
In fig. sono rappresentati, nell’ordine, un solaio sospeso e un solaio con catena per
eliminare la spinta del sistema ad arco.
La filettatura è necessaria per avvitare il manicotto tenditore.
Similmente al caso dei bulloni, 𝐴 dipende dal diametro e dal passo della filettatura;
bisogna consultare dunque prontuari specializzati.
Orientativamente, 𝐴 ≅ 0,70 0,73 𝐴.
58’50”
TRAZIONE 5
Cap. 4 MEMBRATURE SINGOLE
1h 2’ 20”
1h 7’ 45”
6 TRAZIONE
MEMBRATURE SINGOLE Cap. 4
Tornando all’eccentricità 𝑒 , si nota subito che essa, lungi dal poter essere trascurata,
provoca addirittura un cambio del tipo di sollecitazione cui è soggetta la membratura: da
semplicemente tesa, essa diventa tensoinflessa, soggetta cioè alla trazione di progetto e a
un momento flettente pari alla stessa trazione moltiplicata per l’eccentricità 𝑒 ; a rigori
dovremmo dunque calcolare il profilo come soggetto a tensoflessione, con tutte le
complicazioni e la penalizzazione che ciò comporterebbe. Conviene però semplificare il
problema, trascurando la flessione parassita (N.B. flessione che agisce nel piano
orizzontale) e compensando tale “sconto” sulla sollecitazione con una riduzione di sezione
resistente.
Le formule fornite dalla normativa non sono empiriche, ma derivano dal calcolo a
rottura (in campo plastico); constatato dunque che è possibile equiparare la tensoflessione
parassita a una trazione semplice agente su un profilo ad area resistente ridotta, si è
attribuito un valore numerico a tale riduzione.
Considerare questa situazione secondo la teoria della tensoflessione, oltre che più
complesso, risulterebbe eccessivamente cautelativo, perché prove sperimentali hanno
mostrato che la effettiva resistenza di profili collegati in tal modo è maggiore di quella
calcolata.
𝟑𝑨𝟏
𝑨𝒓 𝑨𝟏 𝑨
𝟑𝑨𝟏 𝑨𝟐 𝟐
“formula del 3”
dove 𝐴 è l’area netta dell’ala collegata (depurata dai fori, se
presenti), e 𝐴 è l’area lorda dell’ala non collegata;
Le due aree sono convenzionalmente divise da una linea a 45°.
Poiché 𝑘 1, 𝐴 è sempre minore dell’area del profilo.
1h 16’ 32”
𝟓𝑨𝟏
𝑨𝒓 𝑨𝟏 𝑨𝟐
𝟓𝑨𝟏 𝑨𝟐
“formula del 5”
1h 21’ 45”
TRAZIONE 7
Cap. 4 MEMBRATURE SINGOLE
Verifica (SLU)
𝑵𝒕,𝑺𝒅 𝑵𝒕,𝑹𝒅
dove:
a) per profili collegati simmetricamente:
𝑨 𝒇𝒚
⎧ 𝑵𝒑𝒍,𝑹𝒅 𝑟𝑒𝑠𝑖𝑠𝑡𝑒𝑛𝑧𝑎 𝑝𝑙𝑎𝑠𝑡𝑖𝑐𝑎 𝑑𝑒𝑙𝑙𝑎 𝑠𝑒𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑙𝑜𝑟𝑑𝑎
⎪ 𝜸𝑴𝟎
𝑵𝒕,𝑹𝒅 𝐦𝐢𝐧
⎨ 𝟎, 𝟗 𝑨𝒏 𝒇𝒕
⎪𝑵𝒖,𝑹𝒅 𝑟𝑒𝑠𝑖𝑠𝑡𝑒𝑛𝑧𝑎 𝑢𝑙𝑡𝑖𝑚𝑎 𝑑𝑒𝑙𝑙𝑎 𝑠𝑒𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑛𝑒𝑡𝑡𝑎
⎩ 𝜸𝑴𝟐
Se l’area è integra, si calcola solo la prima formula, e si fa riferimento alla sola 𝑓 ;
se invece l’area è menomata, si valutano entrambe le espressioni, facendo attenzione ai
coefficienti, che cambiano a seconda del limite di resistenza che si sta considerando:
𝛾 1,05
𝛾 1,25
1h 28’ 18”
8 TRAZIONE
MEMBRATURE SINGOLE Cap. 4
N.B. Per membrature soggette ad azioni sismiche, in presenza di fori, il principio della
gerarchia delle resistenze richiede che risulti:
Resistenza al Resistenza al limite di
limite di collasso collasso fragile (avviene per
plastico frattura)
𝒇𝒚
𝟎,𝟗 𝑨𝒏 𝜸𝑴𝟎
𝑵𝒑𝒍,𝑹𝒅 𝑵𝒖,𝑹𝒅 ovvero 𝒇𝒕
𝑨
𝜸𝑴𝟐
Resistenza
plastica sezione Resistenza ultima
lorda sezione netta
In altri termini, non deve avvenire una rottura fragile prima che si sia sviluppato l’intero
campo plastico si impone una rottura duttile.
Verifica
𝑵𝒕
𝝈𝒛 𝝈𝒂𝒅𝒎
𝑨𝒕
dove:
𝐴 𝑎𝑟𝑒𝑎 𝑙𝑜𝑟𝑑𝑎 𝑑𝑒𝑙𝑙𝑎 𝑠𝑒𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑠𝑒 𝑛𝑜𝑛 𝑐𝑖 𝑠𝑜𝑛𝑜 𝑐𝑎𝑢𝑠𝑒 𝑑𝑖 𝑚𝑒𝑛𝑜𝑚𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒
𝐴 𝐴 𝑎𝑟𝑒𝑎 𝑛𝑒𝑡𝑡𝑎 𝑑𝑒𝑙𝑙𝑎 𝑠𝑒𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒
𝐴 𝑎𝑟𝑒𝑎 𝑟𝑖𝑑𝑜𝑡𝑡𝑎 𝑑𝑒𝑙𝑙𝑎 𝑠𝑒𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑝𝑒𝑟 𝑝𝑟𝑜𝑓𝑖𝑙𝑖 𝑐𝑜𝑙𝑙𝑒𝑔𝑎𝑡𝑖 𝑎𝑠𝑖𝑚𝑚𝑒𝑡𝑟𝑖𝑐𝑎𝑚.
Le varie aree sono da valutarsi come esposto in precedenza in base al caso specifico
di pertinenza.
Fine lezione 14 (11 aprile 2011) – Inizio lezione 15 (13 aprile 2011)
TRAZIONE 9
Cap. 4 MEMBRATURE SINGOLE
COMPRESSIONE (centrata)
Sezioni resistenti
3’ 15”
5’ 40”
Verifica (SLU)
𝑵𝒄,𝑺𝒅 𝑵𝒄,𝑹𝒅
dove:
𝑨 𝒇𝒚
⎧ 𝑵𝒑𝒍,𝑹𝒅 𝑟𝑒𝑠𝑖𝑠𝑡𝑒𝑛𝑧𝑎 𝑝𝑙𝑎𝑠𝑡𝑖𝑐𝑎 𝑑𝑒𝑙𝑙𝑎 𝑠𝑒𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝐶𝑙𝑎𝑠𝑠𝑖 1, 2, 3
⎪ 𝜸𝑴𝟎
𝑵𝒄,𝑹𝒅
⎨ 𝑨𝒆𝒇𝒇 𝒇𝒚
⎪𝑵 𝑟𝑒𝑠𝑖𝑠𝑡𝑒𝑛𝑧𝑎 𝑒𝑓𝑓𝑖𝑐𝑎𝑐𝑒 𝑑𝑒𝑙𝑙𝑎 𝑠𝑒𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒
⎩ 𝟎,𝑹𝒅 𝜸𝑴𝟎
Nel primo caso, la sezione può sfruttare il campo plastico, tutto o in parte.
Nel secondo, la sezione non potrebbe sfruttare neanche l’intero campo elastico, ma si
aggira tale limite mediante l’adozione di un’area efficace ridotta [cfr. cap. 2].
7’ 37”
10 COMPRESSIONE (centrata)
MEMBRATURE SINGOLE Cap. 4
Verifica
𝑵𝒄
𝝈𝒛 𝝈𝒂𝒅𝒎
𝑨𝒄
dove:
𝐴 𝑎𝑟𝑒𝑎 𝑙𝑜𝑟𝑑𝑎 𝑑𝑒𝑙𝑙𝑎 𝑠𝑒𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝐶𝑙𝑎𝑠𝑠𝑖 1, 2, 3
𝐴
𝐴 𝑎𝑟𝑒𝑎 𝑒𝑓𝑓𝑖𝑐𝑎𝑐𝑒 𝑑𝑒𝑙𝑙𝑎 𝑠𝑒𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝐶𝑙𝑎𝑠𝑠𝑒 4
8’ 50”
FLESSIONE RETTA
(rispetto all’asse 𝒙 o all’asse 𝒚)
Moduli resistenti
Anche in questo caso, naturalmente, le classi di sezioni differenziano i vari casi:
a) per sezioni di Classe 1-2:
modulo resistente plastico 𝑾𝒑𝒍 (rispetto all’asse 𝑥 o all’asse 𝑦)
13’ 35”
FLESSIONE retta 11
Cap. 4 MEMBRATURE SINGOLE
Verifica (SLU)
𝑴𝒊,𝑺𝒅 𝑴𝒊,𝑹𝒅
dove:
𝑊 , ∙𝑓
⎧𝑀 , momento resistente plastico(Classi 1,2)
⎪ 𝛾
riferito al pertinente asse 𝑥 o 𝑦
⎪
⎪
𝑊 , ∙𝑓 momento resistente elastico (Classe 3)
𝑀, 𝑀 ,
⎨ 𝛾
⎪
⎪ 𝑊 ∙𝑓
⎪𝑀 , momento resistente efficace (Classe 4)
⎩ , 𝛾
Si ricorda nuovamente, dunque, che la prima operazione da effettuare in presenza di
compressione è la classificazione delle sezioni.
17’47”
Sezioni forate
La presenza di fori nella parte compressa si trascura sempre.
La presenza di fori per bullonature nella parte tesa di sezione può invece essere
trascurata se sussiste la condizione:
0,9 𝐴 , 𝑓 ⁄𝛾
𝐴 𝑓 ⁄𝛾
essendo 𝐴 e 𝐴 , rispettivamente l’area lorda e l’area netta della zona tesa di sezione. Se
la condizione non è soddisfatta, si depura la parte tesa dai fori.
Tale condizione, dettata dalla necessità di rispettare la gerarchia delle resistenze, mira a
garantire il sopraggiungere del collasso solo dopo lo sviluppo del campo plastico.
Nasce come prescrizione per la progettazione in zona sismica, ma è valida anche in
campo esclusivamente gravitazionale.
12 FLESSIONE retta
MEMBRATURE SINGOLE Cap. 4
Verifica
𝑴𝒊
𝝈𝒛 𝝈𝒂𝒅𝒎
𝑾𝒊,𝒏
Come sempre alle t.a., la verifica si basa sul confronto di due tensioni normali.
𝑊 , è il modulo resistente della sezione rispetto all’asse 𝑥 o 𝑦. Il pedice 𝑛 indica che, a
vantaggio di sicurezza e tenuto conto della approssimazione tipica delle t.a., si tiene
sempre conto della depurazione dei fori, sia nella parte tesa, sia nella parte compressa.
dove:
𝑊 modulo elastico minimo
, ,
sezione netta(Classi 1,2,3)
𝑊,
𝑊 , , modulo efficace sezione netta (Classe 4)
25’35”
FLESSIONE DEVIATA
Moduli resistenti
Anche in questo caso, naturalmente, le classi di sezioni differenziano i vari casi:
a) rispetto all’asse 𝒙 : 𝑾𝒑𝒍,𝒙 , 𝑾𝒆𝒍,𝒎𝒊𝒏,𝒙 , 𝑾𝒆𝒇𝒇,𝒎𝒊𝒏,𝒙
b) rispetto all’asse 𝒚 : 𝑾𝒑𝒍,𝒚 , 𝑾𝒆𝒍,𝒎𝒊𝒏,𝒚 , 𝑾𝒆𝒇𝒇,𝒎𝒊𝒏,𝒚
FLESSIONE deviata 13
Cap. 4 MEMBRATURE SINGOLE
Verifica (SLU)
𝑴𝒙,𝑺𝒅 𝑴𝒚,𝑺𝒅
𝟏
𝑴𝒙,𝑹𝒅 𝑴𝒚,𝑹𝒅
Verifica
𝑴𝒙 𝑴𝒚
𝝈𝒛 𝝈𝒂𝒅𝒎
𝑾𝒙,𝒏 𝑾𝒚,𝒏
𝑾𝒙,𝒏 e 𝑾𝒚,𝒏 hanno lo stesso significato del punto precedente: elastici o efficaci a
seconda del caso, ma comunque dotati di pedice 𝑛, che indica depurazione dai fori nella
parte compressa e in quella tesa.
30’10”
TAGLIO
14 TAGLIO
MEMBRATURE SINGOLE Cap. 4
Verifica (SLU)
𝑨𝒗 𝒇𝒚
𝑽𝒊,𝑺𝒅 𝑽𝒊,𝑹𝒅
√𝟑 𝜸𝑴𝟎
può essere considerato una sorta di “snervamento a taglio”, derivante dal criterio
√
di Von Mises.
In questa espressione 𝐴 varia, sezione per sezione e direzione per direzione del
taglio, in base a una serie di formule, alcune delle quali riportate qui nel seguito e
comunque tutte presenti in normativa.
35’12”
Espressioni di 𝑨𝒗
36’16”
1,04 ℎ 𝑡 per profili laminati (aperti) caricati nel piano dell’anima (come in fig.)
È il caso più frequente.
Questa formula è lievemente diversa da quella delle NTC08, deriva infatti dall’EC. La
preferiamo in questo contesto perché più semplice e altrettanto valida.
I parametri dimensionali della sezione ℎ, 𝑏, ℎ , 𝑡 sono quelli già richiamati all’inizio del
capitolo, e 𝐴 rappresenta l’area lorda.
Vale la pena di notare che la maggiorazione 1,04 rispetto all’altezza totale del profilo
serve a considerare il contributo delle ali, pur secondario rispetto a quello dell’anima.
In normativa è inoltre presenta un’altra formula, per profili laminati caricati
ortogonalmente al piano dell’anima, ma è un caso più raro.
38’ 02”
39’ 43”
TAGLIO 15
Cap. 4 MEMBRATURE SINGOLE
43’ 06”
Verifica
Si riporta solo l’espressione relativa al taglio 𝑉 ; cambiando i pedici, vale anche per 𝑉 .
La massima tensione tangenziale 𝜏 si attinge in corrispondenza dell’asse neutro;
secondo la teoria approssimata di Jourawsky, essa vale:
𝑽𝒚 𝑺𝒙
𝒎𝒂𝒙 𝝉𝒛𝒚 𝝉𝒂𝒅𝒎
𝑱𝒙 𝒕𝒘
dove:
𝑽𝒚 taglio agente;
𝑱𝒙 momento d’inerzia di tutta la sezione rispetto all’asse x;
𝑺𝒙 momento statico di metà sezione (tagliata dall’asse baricentrico) rispetto
all’asse neutro;
𝒕𝒘 spessore della corda su cui si valuta la 𝜏; in questo caso, lo spessore
dell’anima.
45’ 32”
2
Centro di taglio: punto di applicazione della
risultante delle tensioni tangenziali agenti su una
sezione.
16 TAGLIO
MEMBRATURE SINGOLE Cap. 4
𝑽𝒚
𝑽𝒙 𝑽
50’ 20”
𝑽𝒚,𝑺𝒅 𝟎, 𝟓 𝑽𝒚,𝑹𝒅
si trascura l’influenza del taglio sulla resistenza di calcolo a flessione, che
resta pari al valore 𝑀 , .
Si conducono verifiche separate, come se taglio e momento agissero singolarmente.
57’ 05”
b) Se risulta:
dove:
2𝑉 ,
𝜌 1
𝑉,
𝐴
Già noti
𝑊 ,
1h 03’ 55”
Verifica
𝝈𝒊𝒅 𝝈𝟐𝒛 𝟑 𝝉𝟐𝒛𝒚 𝝈𝒂𝒅𝒎
dove:
𝑀 𝑉𝑆
𝝈𝒛 𝝉𝒛𝒚
𝑊, 𝐽 𝑡
e
z z
x x x x
n n
e
⁄
y y n
Si tratta della sollecitazione più complessa nella sua trattazione; i vari casi che
possono presentarsi sono proposti dalle norme europee ed italiane nello stesso modo.
Nella figura sono rappresentati i vari casi di tenso- o pressoflessione rispetto all’asse x
e all’asse y, e sono riportati anche gli assi neutri3.
1h 10’ 42”
3
Asse neutro della tenso- o pressoflessione: antipolare del centro di pressione rispetto all’ellisse
centrale d’inerzia della sezione trasversale. Se l’asse neutro taglia la sezione, il diagramma delle tensioni è
bitriangolare; se è esterno, il diagramma è trapezoidale, e la sezione è interamente tesa o compressa.
Verifica (SLU)
La verifica viene condotta in base alla forma e alla Classe delle sezioni, ipotizzate
prive di fori e in assenza di azione tagliante.
Queste semplificazioni evitano che il problema diventi inutilmente complesso.
Se il taglio dovesse essere presente, si assume per ipotesi 𝑽𝒚,𝑺𝒅 𝟎, 𝟓 𝑽𝒚,𝑹𝒅 .
Laminati
Classe
Forma
(1, 2, 3, 4)
Profili a cassone
Tubolari
Sezioni di classe 1 e 2
Si tratta delle sezioni per le quali è possibile sfruttare appieno il campo plastico; la
formulazione che le riguarda è molto sofisticata, quindi, perché deve tener conto dei
molti fattori in gioco.
Si passa ora alla disamina dei vari sottocasi dipendenti dalla forma della sezione. per
ognuno di essi si particolarizza 𝑀 , .
1h 15’ 33”
𝑡
𝑡 𝑡
ℎ x x ℎ
x x x x
𝑡
𝑡 𝑡
y
y
y b
1h 17’ 25”
con:
𝒏 assumendo 𝑀 , , 𝑀 , , se 𝑛 𝑎.
,
Questi coefficienti sono ricavati dal calcolo a rottura, sono funzione della geometria e
dello sforzo normale agente.
Non solo essi entrano in gioco nella verifica, ma regolano anche il tipo di verifica da
eseguire: se 𝑛 𝑎, infatti, la formula “degenera” in una verifica a flessione semplice.
1h 24’ 45”
𝑡 𝑡
ℎ h
x x
𝑡 𝑡
𝐴 2𝑏𝑡
⎧ con 𝑎 0,5 , per sezioni cave 𝑡 𝑡 𝑡
⎪ 𝐴
𝒂𝒇
⎨𝐴 2𝑏𝑡
⎪ con 𝑎 0,5 , per sezioni a cassone (saldate).
⎩ 𝐴
Bisogna sottrarre il contributo degli elementi ortogonali alle anime (in altre parole, il
contributo di quegli elementi che assumono funzione di flangia):
y
tf
x x
tw y
𝐴 2𝑏𝑡 𝐴 2𝑏𝑡
𝒂𝒘 𝒂𝒇
𝐴 𝐴
1h 33’39”
1h 36’ 42”
Sezioni di classe 4
𝑵𝑺𝒅 𝑴𝑺𝒅
𝟏
𝑵𝟎,𝑹𝒅 𝑴𝟎,𝑹𝒅
𝑁 , ed 𝑀 , hanno le espressioni già note.
𝑁 , ed 𝑀 , sono, rispettivamente, sforzo resistente e momento resistente efficaci:
sono quindi calcolati rispetto a una sezione ridotta per tener conto di possibili instabilità
locali per imbozzamento.
N.B. Per le classi 3 e 4 non c’è distinzione in base alla forma della sezione.
VERIFICHE DI DEFORMABILITÀ
PREMESSE
Lezione 16 (14 aprile 2011) – 3’30”
Le verifiche di deformabilità sono molto significative per l’acciaio, dato che con questo
materiale si costruiscono di solito strutture particolarmente leggere.
Non si prende più la singola sezione come riferimento, ma l’intera membratura.
Vanno eseguite per strutture inflesse e presso inflesse, controllando, che i massimi
spostamenti teorici - siano essi verticali (frecce) o orizzontali - non superino prefissati limiti
di deformabilità.
Tali limiti coincidono in NTC08 ed EC3.
I limiti sono rapportati alla luce libera (per membrature orizzontali) o all’altezza delle
membrature in esame (membrature verticali) e sono stabiliti dalle normative in base alla
specifica tipologia di carico e di esercizio delle strutture (destinazione d’uso).
7’ 00”
Gli spostamenti teorici si calcolano in ogni caso in regime elastico (il che semplifica la
vita al progettista), tenendo conto della sola sollecitazione flessionale per le strutture a
parete piena, e del contributo combinato di flessione e taglio per le strutture reticolari.
Nel capitolo ad esse dedicato, si capirà perché non si può trascurare il taglio nelle
strutture reticolari.
24 PREMESSE
MEMBRATURE SINGOLE Cap. 4
SPOSTAMENTI VERTICALI
0 𝛿
𝛿
1 𝛿
𝛿
2
24’35”
I limiti ammessi per 𝛿 e 𝛿 sono indicati nella tabella a pagina seguente, che è
valida per strutture vincolate a entrambi gli estremi; nelle travi a mensola, invece, 𝐿 si
riferisce al doppio della luce libera, per cui i relativi valori limite devono intendersi
raddoppiati.
SPOSTAMENTI verticali 25
Cap. 4 MEMBRATURE SINGOLE
Limiti
Condizioni
𝛿 𝛿
Coperture in Destinate ad assorbire carichi di piccola entità ≅ 50𝑑𝐴𝑁 𝑚 : 𝐿 𝐿
generale “coperture non praticabili” 200 250
Coperture Dette anche coperture pedonabili: praticate frequentemente da
𝐿 𝐿
praticabili personale diverso da quello della manutenzione ≅ 200𝑑𝐴𝑁 𝑚 250 300
Identica alla precedente: le coperture praticabili sono assimilate
Solai in generale ai solai di impalcati interni, e hanno gli stessi carichi di esercizio 𝐿 𝐿
250 300
Solai o coperture che reggono intonaco o altro materiale di finitura 𝐿 𝐿
fragile o tramezzi non flessibili (ad es. tramezzatura in mattoni forati) 250 350
Solai che A meno che lo spostamento sia stato incluso nell’analisi globale
supportano per lo stato limite ultimo. 𝐿 𝐿
È una situazione da evitare, se possibile. 400 500
colonne
Nei casi in cui lo spostamento può compromettere l’aspetto 𝐿
dell’edificio 250
In caso di specifiche esigenze tecniche e/o funzionali, tali limiti devono essere opportunamente ridotti.
34’ 10”
SPOSTAMENTI ORIZZONTALI
Δ δ Si valutano in corrispondenza dei traversi di un telaio, mono-
o multipiano.
ℎ
Per gli edifici, gli spostamenti laterali parziali 𝛿 e totali
Δ di piano, rapportati all’interpiano ℎ e all’altezza 𝐻 di
costruzione, devono rispettare i limiti espressi in Tabella.
𝐻
26 SPOSTAMENTI orizzontali
MEMBRATURE SINGOLE Cap. 4
VERIFICHE DI STABILITÀ
PREMESSE
Si tratta delle più importanti ed estese verifiche per le strutture in acciaio.
Possono essere di tipo globale o locale, secondo che riguardino l’intera membratura o
zone circoscritte di essa (una via di mezzo tra la singola sezione e l’intera membratura),
con riferimento in ogni caso alle caratteristiche geometriche e inerziali della sezione
strutturale lorda (Classi 1, 2, 3) 𝐴 o efficace (Classe 4) 𝐴 , senza tenere conto degli
eventuali fori per bullonature.
42’ 30”
PREMESSE 27
Cap. 4 MEMBRATURE SINGOLE
PREMESSE
z Lo schema unifilare di riferimento
𝑁 𝑁
per la generica asta compressa:
y
luce 𝑙 ;
x x y
sezione trasversale 𝐴;
y
caratteristiche geometrico-
𝑖 inerziali della sezione:
x G x
𝝅𝟐 𝑬 𝑱𝒎𝒊𝒏 𝝅𝟐 𝑬 𝑨 𝒊𝟐𝒎𝒊𝒏 𝝅𝟐 𝑬 𝑨
𝑵𝒄 𝑵 𝑬 .
𝒍𝟐 𝒍𝟐 𝝀𝟐
Essa, fisicamente, corrisponde alla situazione di equilibrio indifferente dell’asta: quella
configurazione, cioè, che separa il campo dell’equilibrio stabile da quello dell’equilibrio
instabile.
1h 2’ 20”
Il carico critico non dipende dalla qualità del materiale, ma dalla sua natura; in altre
parole, non dipende da 𝑓 o 𝑓 , ma dal modulo elastico 𝐸. Esso dipende inoltre dalle
caratteristiche geometrico-inerziali della sezione e dai vincoli cui è soggetta l’asta.
𝑱𝒎𝒊𝒏 è il momento d’inerzia rispetto all’asse di minima inerzia (asse debole);
4
N.B. I raggi di inerzia si indicano con riferimento all’asse rispetto al quale si esplica l’inerzia; così, il
raggio 𝑖 è disteso sull’asse coniugato 𝑦, e viceversa.
28 INSTABILITÀ per compressione
MEMBRATURE SINGOLE Cap. 4
𝒍 𝛽∙𝑙
𝛽 può assumere quattro valori
possibili, corrispondenti alle quattro
situazioni di vincolo da cui derivano
tutte le altre (casi di vincolo
euleriani)
1h 5’ 41”
Se presenti, le parentesi
indicano i valori teorici (euleriani); i valori fuori parentesi indicano in tal caso i valori
prudenziali (maggiorati) che venivano usati in normativa; questa precauzione, a vantaggio
di sicurezza, deriva dalla considerazione che i valori teorici si riferiscono a vincoli
d’incastro perfetti che, nella pratica, non possono essere raggiunti. Maggiorare con 𝛽 la
lunghezza effettiva, comporta la riduzione del carico critico.
Al di là dei casi euleriani in tabella, tutte le altre condizioni di vincolo si rifanno alle
prime quattro, eventualmente maggiorando 𝛽 secondo il buon senso:
(Normativa
americana)
Snellezza
Se nell’espressione di Eulero, al posto di 𝐽 , si scrive 𝐴 ∙ 𝑖 e si pone
𝑙 𝛽𝑙
𝝀
𝑖 𝑖
si introduce il parametro adimensionale che prende il nome di snellezza dell’asta:
DEF: rapporto tra lunghezza libera d’inflessione e raggio minimo
di inerzia.
La snellezza racchiude in sé informazioni su:
- lunghezza dell’asta
- condizioni di vincolo
- caratteristiche geometrico inerziali della sezione trasversale.
Essa è direttamente proporzionale all’attitudine della membratura a instabilizzarsi: si
tratta dunque del parametro fondamentale nell’instabilità per carico di punta.
1h 19’ 40”
Finora s’era dato per scontato che l’asta fosse vincolata in modo identico nei due piani
principali (ad esempio: incastro rispetto all’asse 𝑥 e incastro rispetto all’asse 𝑦); può però
accadere che i vincoli siano diversi rispetto ai due piani principali (ad esempio: incastro
rispetto all’asse 𝑥 e cerniera rispetto all’asse 𝑦). La snellezza va definita dunque
distinguendo innanzitutto i tipi di vincolo alle estremità:
a) Vincoli identici nei piani principali, a ciascun estremo:
La snellezza è unica, e si considera 𝑖 quale raggio di inerzia di riferimento, perché
l’instabilità si verificherà senz’altro nel piano di minima inerzia:
𝑙 𝛽𝑙
𝜆
𝑖 𝑖
b) Vincoli diversi nei piani principali, ai due estremi:
Non si può sapere a priori quale sia la più elevata, per via delle differenti combinazioni
possibili fra 𝛽 e raggio di inerzia 𝑖. Bisogna dunque valutare numericamente entrambe le
snellezze e scegliere la maggiore (la più pericolosa).
𝑙 𝛽 𝑙
⎧𝜆 intorno all’asse 𝑥 (ossia nel piano di normale 𝑥)
⎪ 𝑖 𝑖
⎨ 𝑙 𝛽 𝑙
⎪𝜆 intorno all’asse 𝑦 (ossia nel piano di normale 𝑦)
⎩ 𝑖 𝑖
𝝀 𝐦𝐚𝐱 𝝀𝒙 , 𝝀𝒚
1h 28’25”
Limiti normativi
200 150 per membrature principali
𝜆
250 200 per membrature secondarie
1h 30’ 11”
Per orientare la scelta dei profilati adatti in base alla sicurezza da essi offerta
all’instabilità per compressione, è utile seguire alcuni criteri guida che classificano i profili
in base alla loro efficienza nel fronteggiare il problema.
Allo scopo, si introducono due indici adimensionali molto significativi:
indice di ottimizzazione del profilo: il profilo è tanto migliore nei confronti del
carico di punta quanto maggiore è tale indice;
infatti, poiché l’area trasversale di un profilo è direttamente proporzionale al suo peso per
metro lineare, quindi al suo costo, tale indice fornisce una immediata indicazione sul
rapporto “qualità/prezzo” riguardo l’instabilità.
𝑖
Ovviamente, i migliori profili sono quelli che
Profilato associano massimo indice di ottimizzazione e
𝐴
minimo indice di compattezza.
NPI 100 0,108 3,75
NPI 200 0,105 4,28 Ad esempio l’HEB 300 [0,385 – 1,71], la cui forma può
NPI 300 0,094 4,67 essere inscritta in un quadrato, è preferibile in assoluto
per membrature semplicemente compresse quali
IPE 100 0,149 3,28
colonne.
IPE 200 0,176 3,69
IPE 300 0,208 3,73 Analogamente, gli angolari sono preferiti per le aste
compresse delle travature reticolari (che sono il più
HEB 100 0,246 1,64
importante esempio di membrature semplicemente
HEB 200 0,329 1,68
compresse nell’ambito delle costruzioni metalliche).
HEB 300 0,385 1,71
Viceversa, gli IPE sono più impiegati per le travi inflesse.
NP 100 0,160 2,66
NP 200 0,142 3,60 Questa tabella non tiene conto dei profili cavi, che sono i
NP 300 0,143 4,04 migliori in assoluto per membrature compresse: tubi
quadri e tondi possono vantare ovviamente un valore
L 50X50X5 0,200 1,95
L 50X50X8 0,130 1,93 1.
L 75X75X8 0,180 1,95
L 100X100X8 0,250 1,96
Fine lezione 16 (14 aprile 2011) – Lezione 17 (18 aprile 2011)
FORMULAZIONE CLASSICA
5’ 00”
Dopo aver definito i vari parametri relativi al problema dell’asta caricata di punta, ed
essere arrivati all’espressione del carico critico euleriano:
𝝅𝟐 𝑬 𝑨
𝑵𝒄 𝑵 𝑬 ,
𝝀𝟐
si definisce in modo analogo la tensione critica euleriana, dividendo per 𝐴:
𝝅𝟐 𝑬
𝝈𝒄 𝝈𝑬 .
𝝀𝟐
Questa espressione corrisponde graficamente alla iperbole equilatera di Eulero, in un
diagramma 𝜎 𝜆; tale iperbole si
sviluppa teoricamente in modo
asintotico su entrambi i lati; in realtà,
essa è valida solo per il campo
elastico del materiale, cioè per 𝜎
𝜎 ; come già detto, la tensione
critica non dipende dalla qualità del
materiale, né dalla forma della
sezione, ma dalla natura (modulo E)
del materiale e dalla snellezza della
membratura.
8’ 47”
Si riporta quindi con linea continua l’iperbole di Eulero fino a 𝜎 che, per gli acciai
duttili, è pari a 0,8 𝜎 . Nel diagramma, che è qualitativo, è inoltre riportata 𝑓 (per gli acciai
duttili 𝑓 𝑓 ).
Al cambiare della qualità dell’acciaio, 𝑓 si trova più in alto o più in basso, e così anche
𝜎 ; la curva resta la stessa, ma cambia il campo di applicazione (il punto oltre il quale
diventa tratteggiata).
Per dare un’idea quantitativa dei limiti in parola, si riportano alcuni valori corrispondenti
agli acciai di uso più comune:
𝑁
⎧188 𝑆235
⎪ 𝑚𝑚 104 𝑆235
𝑁 𝐸
𝜎 0,8 𝑓 220 𝑆275 ; 𝜆 𝜋 96 𝑆275
⎨ 𝑚𝑚 𝜎
85 𝑆355
⎪ 𝑁
⎩284 𝑚𝑚 𝑆355
In base all’ordinata 𝜎 , sulla curva si individua una diversa ascissa 𝜆 , detta snellezza
di proporzionalità:
DEF: il valore di snellezza che, nell’equazione di Eulero,
corrisponde a una tensione critica pari alla tensione di
proporzionalità dell’acciaio considerato.
12’ 20”
b) Soluzione di Engesser-Kármán
Engesser (ricercatore teorico) e Kármán (sperimentatore olandese) proposero per il
campo elasto-plastico una espressione formalmente analoga a quella di Eulero:
𝝅𝟐 𝑬𝒓
𝝈𝒄 ,
𝝀𝟐
che però differiva da quella valida in campo elastico, nell’espressione del modulo 𝐸 , non
più il modulo di Young, costante per ogni qualità di acciaio e per ogni livello tensionale, ma
un modulo ridotto (detto anche modulo di Engesser-Kármán) variabile con la qualità del
materiale e con la forma della sezione.
Questa soluzione, oltre che più raffinata dal punto di vista teorico, consentiva anche
una progettazione più economica: sollevandosi rispetto al segmento di Tetmayer,
restituiva valori di 𝜎 più elevati.
Anche questa soluzione, tuttavia, era lungi dall’esaurire il problema, perché l’influenza
della forma della sezione era limitata alla suddivisione in due categorie di membrature:
aste singole
aste multiple
senza alcuna possibilità di differenziare, all’interno di esse, i vari tipi di profili, pur molto
diversi tra loro.
Basti pensare che nella categoria delle aste singole erano raggruppati IPE e tubolari,
profili che reagiscono in modo molto diverso al problema dell’instabilità.
38’ 20”
Come avveniva, allora la verifica per carico di punta di un’asta compressa col metodo
delle T.A.?
Valutazione di 𝜆 secondo le modalità suesposte;
entrata nel diagramma (o, per una maggiore precisione, in tabella) per ricavare
𝜎 e il corrispondente 𝜈 ;
valutazione di 𝜎 .
FORMULAZIONE ATTUALE
Premesse teorico-sperimentali e relative fasi operative
La formulazione attuale è stata sviluppata in concorso dai membri della CEE (con
consulenze canadesi, statunitensi e nipponiche), in particolare dalla CECM (Convenzione
europea della costruzione metallica, ossia lo stesso organismo che ha poi sviluppato gli
Eurocodici), tra il 1950 e il 1970.
55’55”
I. Studio preliminare
Poiché l’asta doveva considerarsi imperfetta, bisognava effettuare un esame
sperimentale delle imperfezioni geometriche e meccaniche, nonché della loro influenza,
singola e combinata, sul fenomeno critico.
Le imperfezioni strutturali si suddividono in geometriche e meccaniche: per ciascuna
delle due categorie si individuano due tipi (modelli) di imperfezione più significativi;
a) Imperfezione geometrica:
slinearità (o preflessione): un’asta non è mai perfettamente rettilinea alla sua
uscita dallo stabilimento siderurgico; la slinearità si individua mediante
𝑓 , ossia il massimo scostamento rispetto alla rettilineità, a carico nullo.
Il tipo di curva lungo cui i profili si dispongono è nella maggior parte dei
casi sinusoidale. A causa della slinearità, l’asta non è mai soggetta a un
carico di compressione perfettamente centrato, bensì a una
pressoflessione che si può dire fisiologica.
𝝈𝒓
𝑓 𝑒 𝝈𝑬 Dispersione di 𝒇𝒚
𝒇𝒚
𝑁 0 𝑁
Sulla scorta delle prime due fasi di studio, si passò alla terza, ultima e operativa:
III. Procedimento di calcolo
1° stadio: indagine sperimentale “al vero” amplia e sistematica;
condotta non più su modellini, ma su prototipi a grandezza naturale. Questa
indagine aveva lo scopo di determinare quale fosse il carico critico reale per
ogni tipo di asta, materiale, vincolo, lunghezza, sezione.
Prima di sottoporre a carico il singolo campione, si misuravano e
registravano le imperfezioni (slinearità e tensioni residue), aggiungendole
all’elenco dei parametri già indicati (𝑙 , 𝑓 , vincoli…), in modo da
caratterizzare il più precisamente possibile ogni situazione, ed essere in
grado di valutare la maggiore o minore incidenza sull’entità del carico critico
di ogni parametro.
Si potevano quindi costruire vari diagrammi per ogni profilo (diagrammi
evidentemente discreti perché basati su un numero finito di prove), nei quali
si registravano i valori del carico critico reale al variare di un parametro, ad
esempio esempio la snellezza, tenendo fissi tutti gli altri.
2° stadio: soluzione analitico-numerica testata sui risultati sperimentali conseguiti
nel 1° stadio;
avendo finalmente a disposizione adeguata potenza di calcolo, furono
impostate analisi numeriche i cui risultati sono stati confrontati con quelli
sperimentali del primo stadio, e in base ad essi successivamente modificate.
In altre parole, questa impostazione analitico-numerica non è partita già con i
procedimenti e i parametri definitivi, ma è progredita con varie modifiche in
corso d’opera, avendo come riferimento i risultati sperimentali:
Verifica (SLU)
La verifica viene condotta in termini globali, ossia sull’intera membratura.
𝑵𝒄,𝑺𝒅 𝑵𝒃,𝑹𝒅
essendo:
𝜒 𝛽 𝐴𝑓
𝑁 ,
𝛾
1 per sezioni di Classe 1, 2, 3
con 𝛽
per sezioni di Classe 4
serve per evitare di scrivere diverse relazioni in base alla classe della sezione
trasversale.
forma della sezione, distinta in sei categorie (cui corrispondono cinque curve);
qualità del materiale, considerando cinque tipi di acciai (in particolare quelli
duttili ordinari e speciali);
snellezza flessionale relativa dell’asta, indicata con 𝝀𝒊 , valutata rispetto ad
entrambi gli assi principali 𝑖 𝑥, 𝑦 .
Non si tratta più di una snellezza tout court, come definita nella formulazione classica,
ma di una snellezza relativizzata, ossia divisa per un certo parametro.
17’ 09”
18’ 55”
Nel prospetto che segue, tratto dalla normativa, sono contenute tutte le variabili che
entrano in gioco nel problema.
Si distinguono sei forme di sezione, a loro volta suddivise in base a limiti dimensionali
o a procedimenti produttivi; si distingue inoltre l’asse intorno al quale il profilo si inflette
(solo per profili a doppio T).
Tale classificazione è mirata a individuare, per il singolo caso specifico, la curva
d’instabilità pertinente (𝑎 , 𝑎, 𝑏, 𝑐, 𝑑).
Ciascuna di queste curve è caratterizzata da un fattore di imperfezione 𝛼, che
individua il livello di imperfezione complessivo che il caso specifico presenta, tenendo
conto quindi di imperfezioni geometriche e meccaniche. La curva più favorevole è la 𝑎 , la
più penalizzante è la 𝑑.
26’ 28”
Entrando nel merito per segnalare qualche elemento significativo della tabella:
𝒉
rapporto di compattezza della sezione :
𝒃
come già visto nella lezione precedente [lez. 17, 1h 8’ 25”], tale rapporto incide
sull’influenza delle tensioni residue di laminazione; a parità di altre condizioni, quindi, alle
sezioni compatte è assegnata una curva più penalizzante rispetto a quella delle sezioni
slanciate.
spessore massimo 𝒕𝒇 :
N.B. Non si intende lo spessore della flangia, ma lo spessore massimo tra quelli che
caratterizzano il profilo. Come già il rapporto di compattezza, anche lo spessore
condiziona le tensioni residue di laminazione.
Una volta trovata la curva in base a tutte le variabili, entra in campo il diagramma
delle curve di stabilità, in un riferimento 𝜒 𝜆̅ e non più 𝜎 𝜆 ; l’unico elemento di
questa curva che coincide con quello della curva classica è il tratto orizzontale,
corrispondente alle aste tozze 𝜒 1 , per le quali evidentemente non sussistono problemi
di instabilità e la cui verifica degenera in una verifica di resistenza.
Il diagramma è riportato a fine illustrativo, perché da esso può essere ricavato solo un
valore approssimativo di 𝜒. Nelle NTC esso non è neanche presente; per calcolare 𝜒
si ricorre infatti a una formulazione analitica che sarà ora spiegata.
44’ 18”
Dati di partenza
𝝀𝒊 𝜆 𝑜𝜆 : snellezza flessionale nei due piani;
51’ 00”
Calcolo analitico di 𝝌𝒊
Nota 𝝀𝒊 , si determinano:
𝜶𝒊 : fattore di imperfezione, con riferimento alla curva di instabilità
pertinente in base alla forma della sezione, al tipo di materiale e al
piano di flessione che si considera, secondo il prospetto precedente;
𝝓𝒊 : parametro funzione di 𝜶𝒊 e di 𝝀𝒊 , avente la seguente espressione:
𝜙 0,5 1 𝛼 𝜆̅ 0,2 𝜆̅
e, in base ad essi:
1
𝝌𝒊 1
𝜙𝑖 𝜙𝑖 𝜆̅ 𝑖
𝜒 indica, come già detto, quanto l’instabilità incida sulla crisi della membratura.
1h 10’ 00”
Prima di passare al Calcolo alle T.A., alcuni cenni riepilogativi sull’approccio appena
affrontato; con esso sono stati superati tutti i limiti imputabili alla formulazione classica. Il
calcolo del coefficiente di riduzione 𝜒 permette di considerare:
- tutto il campo di variazione delle snellezza;
- la qualità del materiale;
- la forma della sezione;
- il campo elastico, quello elasto-plastico e quello plastico in un’unica formulazione
che non prevede soluzione di continuità;
- i vari tipi di imperfezione legati alla scelta di un’asta reale a base del modello;
- un coefficiente di sicurezza razionale, costante e pari a 1,05: decisamente meno
penalizzante dei coefficienti usati nell’approccio tradizionale.
1h 13’ 52”
La norma CNR 10011/97 riporta due approcci, uno diretto e l’altro indiretto (il
cosiddetto “metodo 𝝎”).
Quest’ultimo risolve la verifica di stabilità attraverso una pseudo-verifica di resistenza,
mediante il calcolo di una 𝝈 (tensione fittizia, virtuale) pari al rapporto tra lo sforzo di
compressione amplificato di un coefficiente 𝝎 (tanto più gravoso quanto maggiore è il
rischio di instabilità) e la sezione trasversale eventualmente ridotta (per sezioni di Classe
4). Tale 𝝈 va poi confrontata con la solita 𝜎 , non con una tensione critica (attenzione).
Quando 𝜔 1 si è nel campo delle aste tozze, quindi non c’è rischio di instabilità.
Se 𝜒 riduce la resistenza, 𝜔 agisce in modo speculare, incrementando il carico.
Verifica (metodo 𝝎)
𝜔𝑁
𝝈 𝜎
𝛽 𝐴
⎧𝝀 max 𝜆 , 𝜆
⎪
⎨𝝎 𝑓
⎪ 𝜎
⎩
trave a mensola;
In questo secondo caso, invece, il problema non si pone, poiché l’incastro è di per sé
capace di porre vincolo sufficiente allo svergolamento (nella sezione d'incastro).
20’ 27”
Traslazione
Rotazione
F F
F
Possibili situazioni statiche per il calcolo
I) L’ala compressa è completamente solidarizzata ad una struttura trasversale
continua, come ad esempio un solaio di impalcato: nessun rischio di
svergolamento;
Tale situazione, più sicura e auspicabile, è fortunatamente la più frequente nei solai per
civili abitazioni, se ci riferiamo a travi semplicemente appoggiate o continue, con
piattabanda compressa superiore.
Il solaio, realizzato in laterizio, in c.a. o in lamiera, disposto in corrispondenza dell’ala
superiore, garantisce la sicurezza nei confronti dello svergolamento della flangia
superiore. Per questo motivo è sempre da preferirsi lo schema a semplici appoggi
piuttosto che quello a mensola o ad appoggi continui: nel primo caso infatti l’ala
Lo svergolamento è impedito nei punti in cui sono presenti i ritegni, ma il rischio sussiste
nelle luci intermedie 𝑙.
III) L’ala compressa è completamente libera tra le sezioni di estremità della trave: si
ha il massimo rischio di svergolamento, esteso all’intera luce
strutturale 𝑳.
Prescindendo pertanto dal primo caso, occorre verificare la stabilità allo svergolamento
negli altri due, i quali possono essere analizzati congiuntamente mutuando le lunghezze 𝑙
ed 𝐿 della trave a sezione costante in figura:
y 𝑡
q
x x
ℎ
𝑆 𝑆 𝑡
A B
𝑙 𝑡
y
𝐿
b
39’ 00"
Formalmente, il metodo rigoroso è simile a quello già visto per l’instabilità assiale.
Verifica (SLU)
𝑴𝒙,𝑺𝒅 𝑴𝒃,𝑹𝒅
La verifica può essere riferita, a seconda dei casi, a 𝑙 oppure a 𝐿.
Il pedice 𝐿𝑇 sta per Lateral Torsion.
1
𝝌𝑳𝑻
𝜙 𝜙 𝜆̅
La valutazione di 𝜒 si effettua in funzione di:
forma della sezione;
la qualità del materiale;
snellezza flessotorsionale relativa della trave 𝜆̅ .
Il termine 𝜙 ha espressione:
𝝓𝑳𝑻 0,5 1 𝛼 𝜆̅ 0,2 𝜆̅
51’ 10”
Curva di instabilità a b c d
Coefficiente di imperfezione 𝜶𝑳𝑻 0,21 0,34 0,49 0,76
𝑊 𝑓
𝝀𝑳𝑻
𝑀
a sua volta espressa in funzione del momento critico elastico 𝑴𝒄𝒓 . Quest’ultimo è il
punctum dolens dell’intera formulazione rigorosa, perché dipende dal tipo di sezione, dai
vincoli, dalla distribuzione del carico e dagli eventuali ritegni intermedi.
𝑀 può essere chiamato anche momento critico euleriano, benché non sia stato
teorizzato da Eulero; infatti esso si riferisce, alla stregua del carico critico euleriano 𝑁 ,
allo svergolamento di un’asta perfetta in campo elastico.
A differenza del primo, però, 𝑀 è legato in modo più complesso ai vari fattori: oltre a
sezione, vincoli, carico e ritegni intermedi, bisogna considerare anche aspetti torsionali
che, come sempre quando presenti, complicano lo studio del problema.
In alcuni casi particolari 𝑀 è determinabile con relativa semplicità (cfr. letteratura
tecnica); in generale, invece, la sua formulazione è molto ardua.
Determinazione di 𝑴𝒄𝒓
La valutazione più generale di 𝑀 , piuttosto complessa, non è inclusa nelle normative
di riferimento (NTC08 ed EC3), e per essa si rimanda alla letteratura tecnica specialistica5.
Nella circolare ministeriale del 2009 è presente una formula valida nel caso molto
particolare di trave doppiamente simmetrica a sezione costante, vincolata agli estremi da
appoggi lateralmente bloccati, con carichi (aventi andamento qualsiasi) applicati a livello del
centro di taglio (che, per sezioni doppiamente simmetriche, coincide col baricentro):
𝜋 𝐸𝐽 𝐽 𝑙 𝐺𝐽
𝑴𝒄𝒓 𝐶
𝑙 𝐽 𝜋 𝐸𝐽
essendo:
𝑙 𝐿 l’ampiezza del campo di trave oggetto di verifica;
La si può chiamare lunghezza libera di svergolamento.
𝐽 il momento d’inerzia della sezione rispetto all’asse debole;
𝐽 il momento d’inerzia torsionale della sezione;
È presente nei sagomari per le sezioni interessate da questa formulazione. Per sezioni
aperte assume valori molto bassi.
𝐽 la costante d’ingobbamento della sezione che, per profili a doppio T, vale:
ℎ 𝑡
𝐽 𝐽
4
N.B. Come appare chiaro da quest’ultima formula, 𝐽 ha come dimensioni 𝑚 .
𝐶 un coefficiente dipendente dalle condizioni di carico e di vincolo del campo 𝑙
di trave; per carico uniforme sull’intera luce 𝐿, assume valore 𝐶 1,132;
In questo caso 𝐶 rappresenta l’ostacolo principale della formula; a parte il semplice
caso uniforme succitato, esso dipende dalle condizioni di carico e di vincolo, e può
assumere in generale una molteplicità di valori.
La Circolare riporta un metodo di calcolo per 𝐶 (chiamato 𝜓 nella norma), che però è
valido solo nel caso di un campo di trave lungo 𝑙 caricato con momenti alle estremità (o,
in altre parole, un tratto di trave caratterizzato da andamento del momento costante o, al
più, lineare).
𝐸, 𝐺 i moduli di elasticità rispettivamente normale e tangenziale.
1h 14’ 05”
5
Radogna oppure Zignoli.
INSTABILITÀ per flessione 53
Cap. 4 MEMBRATURE SINGOLE
y 𝑡
a.c.e. 1ℎ
3 2
ℎ ℎ x x
y
𝑏
6
Questa formula non è sempre valida per ponti o altre strutture speciali.
54 INSTABILITÀ per flessione
MEMBRATURE SINGOLE Cap. 4
dove:
riduzione 𝜒 relativo alla sola a.c.e., cosicché la verifica si possa condurre con la stessa
modalità di quella a carico di punta.
1h 37’ 20”
z z
x x x x
𝑀 z 𝑀
z
y y
𝑀
Anche per il metodo delle tensioni ammissibili esiste un metodo rigoroso, ma non vale
la pena usarlo considerato che, ai fini di questo corso, si ricorre alle tensioni ammissibili
per un approccio più semplice.
Si procede dunque impiegando due metodi semplificati alternativi, aventi campo di
applicazione e livello di approssimazione differenti, entrambi in grado di risolvere
congiuntamente i casi prospettati (con lunghezza di sistema 𝑙 o 𝐿), che si riferiscono nella
fattispecie alla struttura avente lo stesso schema statico considerato in precedenza e
soggetta ad azioni e sollecitazioni effettive.
1h 39’ 15”
q y 𝑡
x x
h
𝑆1 𝑆2 𝑡
A B
l 𝑡
L y
b
𝐴 𝐵
𝑀 𝑀
M
Nel caso in figura esso coincide col momento massimo assoluto, ma potrebbe non
essere così.
Fine lezione 19 (11 maggio 2011) – Lezione 20 (12 maggio 2011) 4’ 40”
a) Metodo 𝝎𝟏
È un procedimento approssimato di primo livello.
Se si rientra nel suo campo di applicazione, è preferibile adottare questo metodo. Esso è
l’equivalente per lo svergolamento del metodo 𝜔 per il carico di punta.
6’ 12”
Campo di applicazione
travi laminate a doppio T bisimmetriche e inflesse nel piano dell’anima;
travi composte saldate a doppio T bisimmetriche e inflesse nel piano
dell’anima;
purché sia soddisfatto uno dei seguenti gruppi di limiti dimensionali:
⎧ 20 ⎧ 20
⎪
⎪ ⎪
⎪ N.B. Queste verifiche sono sempre
soddisfatte per i profili della serie
4 oppure 3 europea (IPE, HE)
⎨ ⎨
⎪
⎪ ⎪
⎪
0,5 0,3
⎩ ⎩
7’ 50”
Verifica
Analoga al metodo 𝜔, si tratta di una verifica fittizia, virtuale. Infatti si riconduce il tutto a
una pseudo-verifica di resistenza.
𝑴
𝝈 𝝎𝟏 𝝈𝒂𝒅𝒎
𝑾𝒙
essendo:
𝒉𝒍 𝚲𝒇𝒚
𝚲 ⎯⎯⎯⎯⎯ 𝝎𝟏 1
𝒃𝒕𝒇 𝟎, 𝟓𝟖𝟓𝑬
𝜔 si calcola analogamente a 𝜔 dell’omonimo metodo.
𝐸 è il modulo elastico dell’acciaio.
16’ 20”
Criterio operativo
Consiste nel verificare a semplice carico di punta la stabilità dell’ala compressa,
supposta isolata dal resto della sezione, nel piano trasversale normale a quello di
flessione, sempre con riferimento al campo 𝑙 𝐿 di trave.
Il piano trasversale è sempre quello normale al piano di flessione, essendo nell’altro
piano lo svergolamento impedito dalla presenza dell’anima.
N.B. Mentre agli stati limite si considera l’ala equivalente come somma dell’ala
ℎ
compressa e di un altro tratto lungo 3, in questo caso la porzione di sezione da
verificare è l’ala isolata, ossia la sola flangia compressa.
y 𝐴̅ 𝜎
𝑁
x 𝐺̅ x
𝑦
𝜎 𝑀
x x
G
Verifica
𝑵
𝝈" 𝝎 𝝈𝒂𝒅𝒎
𝑨
Si riprende il metodo 𝜔 e, con la formula di Navier, si effettua una pseudo verifica di
resistenza tensionale.
24’ 40”
32’ 00”
Il campo di riferimento resta sempre 𝑙 oppure 𝐿 a seconda della presenza o dell’assenza
di vincoli torsiorigidi intermedi.
Si adotterà uno dei tre metodi generali proposti dall’EC3; nella fattispecie, il più semplice.
(Le NTC08 non trattano affatto questo particolare tipo di instabilità, rimandando dunque
alle solite norme di comprovata validità).
La differenza tra i due casi è che nel primo sono assenti gli effetti torsionali, e il
fenomeno si manifesta come se fosse un semplice carico di punta eccentrico; nel
secondo, invece, i due tipi di instabilità interagiscono tra loro.
Il progettista può eseguire entrambe le modalità di verifica e scegliere quella più
penalizzante; poiché, tuttavia, si è visto che le sezioni cave (profilate o a cassone) non
sono affette da rischio di svergolamento a causa della loro rigidità torsionale, per esse si
adotta solo la prima modalità di verifica; l’instabilità, come già noto, può presentarsi
rispetto all’asse 𝑥 o all’asse 𝑦, a seconda di quale sia l’asse di flessione.
Viceversa, per le sezioni aperte è probabile un’interazione tra i due fenomeni e, di
conseguenza, si adotta la seconda modalità di verifica, che considera soltanto lo
svergolamento intorno all’asse debole 𝑦 (assumendo che 𝑥, asse forte, sia l’asse di
flessione); ciò è evidente se si considera che l’anima non può svergolare.
46’ 20”
x x x
h
x
h
N 𝑆1 𝑆2 N 𝑡
A B 𝑡
l 𝑡
L y
b
b y
𝑴𝒃
𝑵𝒄
x
z |𝑴𝒃 | |𝑴𝒃 |
𝑩
y
𝑙 𝑨, 𝑱𝒙 , 𝑱𝒚
x
𝑨
y |𝑴𝒂 | |𝑀𝑏 | |𝑴𝒂 | |𝑀𝑏 |
z
𝑵𝒄
I II
𝑴𝒂 Un esempio di diagramma del tipo I è
l’azione del vento.
x
y y
x
1h 14’ 35”
1) Instabilità piana;
Dev’essere soddisfatta la relazione:
𝑵𝒄 𝑴
𝝈 𝝎 𝝈𝒂𝒅𝒎
𝜷𝑨 𝑨 𝑵
𝟏 𝝂 𝒄 𝑾𝒙
𝑵𝑬
dove:
𝑵𝒄
𝝎 coincide con quanto già definito per l’instabilità a compressione semplice;
𝜷𝑨 𝑨
2) Instabilità flessotorsionale;
Dev’essere soddisfatta la relazione:
𝑵𝒄 𝝎𝟏 𝑴
𝝈 𝝎 𝝈𝒂𝒅𝒎
𝜷𝑨 𝑨 𝑵
𝟏 𝝂 𝒄 𝑾𝒙
𝑵𝑬
Che differisce da quella precedente solo ove risultasse 𝝎𝟏 1 (il già noto coefficiente
amplificativo per svergolamento da calcolare tra due successivi ritegni traversali.
𝑵𝑬,𝒙 , 𝑵𝑬,𝒚 i carichi critici euleriani per inflessione intorno agli assi principali
d’inerzia, in base a 𝝀𝒙 e 𝝀𝒚 ;
𝑴𝒙,𝑺𝒅 , 𝑴𝒚,𝑺𝒅 i massimi valori dei momenti convenzionali di riferimento nei piani
principali d’inerzia, valutati come nel calcolo alle T.A. in funzione del
momento medio equipollente 𝑴𝒎 e del momento massimo relativo
𝑴𝒎𝒂𝒙 in ciascun tratto a segno costante del diagramma nel piano di
pertinenza.
In ogni piano principale, se il momento di progetto varia lungo l’asta, si assume quindi
𝑖 𝑥, 𝑦 :
𝑴𝒊,𝑺𝒅 𝟏, 𝟑𝑴𝒎 𝟎, 𝟕𝟓𝑴𝒎𝒂𝒙
2) Instabilità flessotorsionale
In presenza di effetti flessotorsionali, supposti riferiti all’asse debole 𝑦, deve essere
soddisfatta l’espressione:
𝜸𝑴𝟏 𝑵𝒄,𝑺𝒅 𝜸𝑴𝟏 𝑴𝒙,𝑺𝒅 𝜸𝑴𝟏 𝑴𝒚,𝑺𝒅
𝟏
𝝌𝒎𝒊𝒏 𝒇𝒚 𝑨 𝑵𝒄,𝑺𝒅 𝑵𝒄,𝑺𝒅
𝝌𝑳𝑻 𝟏 𝒇 𝑾 𝟏 𝒇 𝑾
𝑵𝑬,𝒙 𝒚 𝒙 𝑵𝑬,𝒚 𝒚 𝒚
dove:
𝝌𝑳𝑻 è il fattore di riduzione già definito per la verifica di stabilità allo
svergolamento causato dalla flessione intorno all’asse 𝑥 (sostituibile con 𝜒
se si impiega il metodo semplificato dell’ala isolata o ala compressa
equivalente).
Fine lezione 20 (12 maggio 2011)
NOTA: Nel presente corso, per motivi di tempo, si omette la trattazione dell'instabilità
per taglio o per imbozzamento, che colpisce essenzialmente l'anima delle travi composte
saldate a sezione piena, a causa dell'elevata sottigliezza che . Tuttavia è opportuno
affrontare il dimensionamento di una trave composta saldata, per poi effettuare le
opportune verifiche di resistenza, deformabilità e instabilità.
MEMBRATURE COMPOSTE
TRAVE COMPOSTA SALDATA
In linea di principio le travi composte saldate a parete piena devono essere
dimensionate ad hoc dal progettista, in relazione all'esigenza statica che si prospetta.
Il Sagomario Italsider nell'ultima parte riporta diverse tabelle con tutte le caratteristiche
delle travi composte saldate, che venivano fornite dall'Italsider come prodotti pronti, già
predimensionate in maniera ottimale dagli uffici tecnici dell'Italsider e costituiscono
ancora degli esempi di dimensionamento ottimale.
In genere presentano lo schema statico molto semplice di travi appoggiate agli estremi
o di travi continue, tipico delle grandi coperture o delle strutture da ponte.
Le travi composte saldate a parete piena sono in genere molto alte: quelle del
sagomario Italsider arrivano a 1,80 𝑚 di altezza, ma in generale possono arrivare anche
a 4 𝑚. Il contributo maggiore all'altezza è offerto dall'anima, che risulta quindi
particolarmente sensibile al problema di instabilità per taglio7. In tutte le travi a doppio T
inflesse, infatti, il M è assorbito prevalentemente dalle piattabande che costituiscono le
ali, mentre le tensioni di Taglio sono assorbite essenzialmente dall'anima, che risulta
pertanto sensibile al problema dell'imbozzamento.
7
L'instabilità per taglio o imbozzamento, non trattata nell'ambito di questo corso, riguarda le anime delle
travi composte saldate a parete piena, a sezione aperta o a cassone, a causa della loro elevata sottigliezza.
L'obiettivo è quello di dimensionare una generica trave composta a parete piena, nei
suoi elementi componenti, costituiti dall'anima e dalle due piattabande (o ali, o flange), di
spessore nettamente maggiore dell'anima, collegate tra loro con collegamento continuo
rigido costituito da saldatura a cordoni d'angolo o, in alternativa, con giunto T a completa
penetrazione.
Una volta dimensionata la trave, si potranno applicare alla stesa tutti i procedimenti di
verifica di resistenza, deformabilità, di stabilità, così come esposto in precedenza.
Considerata la generica trave alta composta saldata a sezione piena, appoggiata agli
estremi, di luce 𝑙, caricata con un carico generico 𝑞, e con diagramma del momento e del
taglio rappresentati genericamente in figura, il dimensionamento semiempirico si
articola attraverso i passaggi che seguono, con riferimento alla sezione maggiormente
sollecitata.
I parametri che rappresentano letteralmente le dimensioni della sezione trasversale
maggiormente sollecitata della trave, che sarà la sezione di massimo momento o la
sezione costante (se la trave è a sezione costante), sono:
ℎ altezza totale della sezione,
ℎ ed 𝑠 rispettivamente altezza e spessore dell'anima8,
𝑏 ed 𝑠 rispettivamente, la larghezza e lo spessore di ciascuna piattabanda,
𝐴 area di ciascuna piattabanda,
per trave doppiamente simmetrica, riferita agli assi principali di inerzia 𝑥 (asse neutro) e
𝑦,
Per il dimensionamento si incomincia dal definire l'altezza della trave in funzione della
luce.
A) Altezza trave
Nel procedimento semiempirico9 si usano, dalla pratica tecnica delle costruzioni già
realizzate, i seguenti legami tra ℎ totale e la luce libera 𝑙:
Per travi appoggiate con 𝑙 30 𝑚, ℎ ≅ 𝑙/ 10 12 ;
Per travi appoggiate con 𝑙 30 𝑚 o travi continue, ℎ ≅ 𝑙/ 12 20 .
8
secondo la simbologia più ricorrente della Scienza delle Costruzioni.
9
Si parte con elementi empirici, mentre negli altri elementi entreranno in gioco i problemi analitici.
TRAVE composta saldata 69
Cap. 4 MEMBRATURE SINGOLE
B) Anima
Poiché l'altezza totale ℎ della trave sarà poco diversa dall'altezza ℎ dell'anima,
essendo lo spessore delle piattabande dell'ordine di pochi 𝑐𝑚, rispetto all'ordine dei 𝑚
dell'anima, si assume in prima approssimazione, per il dimensionamento di massima:
1. ℎ ≅ ℎ,
Per cui alla fine, l'effettiva ℎ totale sarà ℎ 2𝑠 , risultando anche a vantaggio di
sicurezza.
C) Piattabande
Elementi principali dal punto di vista statico, perché assorbono l'azione del momento
flettente, che è la sollecitazione più rilevante per le travi inflesse.
Indicati con:
𝐽 il momento d'inerzia della singola piattabanda rispetto al proprio asse
baricentrico 𝑥 , parallelo all'asse neutro globale 𝑥;
𝐽 il momento d'inerzia dell'anima rispetto all'asse neutro 𝑥, che è anche asse
baricentrico;
Avendo predimensionato l'anima, 𝐽 è noto, a differenza di 𝐽 .
Considerazioni
Soluzione con doppia piattabanda supplementare, una per ciascuno dei due
correnti della trave
Ove non si riuscisse a rientrare nei limiti previsti per lo spessore della piattabanda,
diventa necessario, per quanto sia fortemente sconsigliato, ricorrere ad una piattabanda
supplementare, simmetricamente disposta nella parte superiore ed inferiore.
La realizzazione di tale piattabanda deve seguire precise regole pratiche, per garantire
l'efficacia della soluzione:
la larghezza 𝑎 e lo spessore 𝑠 devono essere necessariamente legate dalla
relazione:
𝑎 30 𝑠
le dimensioni in pianta devono essere chiaramente inferiori rispetto a quelle
della piattabanda madre;
deve essere collegata alla p. principale attraverso due cordoni d'angolo continui
(nel caso in figura).
Si deve tuttavia ricorrere a questa situazione quando non se ne può fare proprio a
meno perché la "moltiplicazione" di saldature che comporta, può determinare effetti
complicati per autotensioni nelle saldature o deformazioni locali se gli spessori non sono
ben proporzionati tra loro
Inoltre la Normativa impone che, allorquando la piattabanda supplementare non fosse
più necessaria10, perché il valore del M scende, conviene interromperla. L'interruzione
deve essere realizzata attraverso una rastremazione trapezoidale, prolungandosi per 𝑎/2
oltre la sezione in cui è necessario il rinforzo, e chiudersi con una saldatura di altezza di
gola non inferiore a 𝑠/2.
La maniera più efficace per realizzare la variabilità della sezione è rappresentata nelle
illustrazioni che seguono11, dove ℎ è il disassamento e i valori maggiori sono in presenza
di fatica (vale in particolare per i ponti).
Una volta dimensionate l'anima e le piattabande per la massima sollecitazione agente,
per ridurre la sezione resistente, conviene agire sugli spessori o delle piattabande o
dell'anima, certamente non variando l'altezza della trave.
10
La sua aggiunta si rende infatti necessaria quando bisogna coprire una certa sollecitazione, il
Momento non è mai costante dappertutto
11
Già viste parlando delle saldature
TRAVE composta saldata 73
Cap. 4 MEMBRATURE SINGOLE
Consideriamo la condizione più generale, in cui nella sezione più sollecitata della
trave ci sia contemporanea presenza di Taglio e Momento, e procediamo al calcolo delle
tensioni.
Assegnato uno schema statico della trave appoggiata-appoggiata con carico 𝑞 uniforme,
è noto che laddove il M è massimo, il taglio V è nullo e viceversa, ma si potranno
sostituire agevolmente i valori del M e del V nell'espressione relativa alla trattazione
generale (mandando a zero l'uno o l'altro, a seconda dei casi).
𝜏∥ ; 𝜎∥
L'unica componente di tensione agente nella saldatura, all'attacco tra la piattabanda e
l'anima, è rappresentata dalle 𝝉∥ , che si calcolano con la formula di Jourawsky:
𝑉𝑆
𝜏
𝑏𝐽
a livello della corda di attacco tra l'anima e la piattabanda. Nelle saldature a cordoni
d'angolo, infatti le 𝜎∥ si considerano trascurabili.
La formula di Jourawsky è valida per solidi omogenei, condizione che in questo caso non
è presente perché le parti sono staccate, l'anima è soltanto poggiata sulla piattabanda, e
il collegamento avviene attraverso i cordoni d'angolo, collocati negli angoli diedri. Il
cordone ha lato 𝑎 e altezza di gola 𝑎; ribaltando l'altezza di gola, simmetricamente da
una parte e dall'altra, complessivamente la larghezza della corda resistente la 𝑏 di
Jourawsky a livello del piano di contatto tra anima e piattabanda, vale 𝟐𝒂.
NB: La tensione 𝝉∥ , al livello dell'attacco ala - anima, è data solo dal Taglio perché il M
darebbe 𝜎∥ , ma nei cordoni d'angolo queste sono considerate trascurabili.
𝑆 è il momento statico della piattabanda, e in particolare della parte o al di sopra o al di
sotto della corda resistente, rispetto all'asse neutro globale 𝑥.
Al denominatore vi è il prodotto tra 𝐽 - momento d'inerzia globale di tutta la sezione
rispetto all'asse neutro - per la larghezza della corda resistente 𝑏 2𝑎.
Se si fosse trattato di una trave omogenea fatta in un sol pezzo, la corda resistente
sarebbe stata equivalente allo spessore dell'anima 𝑏 𝑠 , ma questo non può resistere
perché l'anima è solo poggiata alla piattabanda, quindi chi fa da attacco è la saldatura.
𝝉𝟐∥ 𝜷𝟏 𝝈𝒂𝒅𝒎
dal metodo di verifica convenzionale utilizzato per la verifica dei giunti a cordoni
d'angolo.
𝜏∥ ; 𝜎∥
Una vota stimate 𝜏∥ e 𝜎∥ , si effettua la verifica con il Criterio di Von Mises, come
previsto per i cordoni di testa e a T a completa penetrazione:
Nel caso la verifica non fosse soddisfatta, si potrebbe agire riducendo il primo membro
della disequazione, variando le dimensioni 𝑠 e ℎ dell'anima, o incrementando il secondo
membro, 𝜎 , cioè adottando un materiale base di qualità più elevata.
NB: Nel caso delle saldature a cordoni d'angolo si tratta di un vero e proprio
dimensionamento perché si giunge alla determinazione dell'altezza di gola 𝑎; mentre per
quanto riguarda le saldature a completa penetrazione, si tratta di una verifica, in quanto la
𝑠 , che rappresenta lo spessore efficace ai fini della resistenza, è già stata determinata
empiricamente.
TRAVATURE RETICOLARI
PREMESSE
Lezione 24 (30 maggio 2011)
Le trav. reticolari sono usate per strutture inflesse (in cui il piano di sollecitazione
coincide col piano di flessione) che richiedono prestazioni al di là di quelle offerte dai
normali profili laminati. Si può dire che esse derivino dalle travi a parete piena, e una breve
digressione sul comportamento di una trave inflessa aiuterà a capirne la genesi.
In una trave a parete piena a doppio T, le piattabande assorbono il momento flettente,
e l’anima assorbe il taglio. Volendo realizzare una travatura inflessa di grandi prestazioni
statiche (grandi carichi, grande luce, etc…) è noto che, al crescere delle esigenze statiche,
si tenderebbe ad aumentare l’altezza della trave – il che significa aumentarne l’altezza
d’anima. Due principali conseguenze di tale approccio risultano evidenti:
1) allontanando le due piattabande per assorbire meglio il momento flettente, è
necessario aumentare la superficie dell’anima, che non assorbe efficacemente il
momento flettente;
2) non potendo incrementare eccessivamente lo spessore del piatto d’anima (per
motivi economici e legati alle tensioni residue di laminazione), il rapporto di
ℎ
sottigliezza diventa inevitabilmente troppo elevato; per contrastare il conseguente
𝑠𝑠
rischio d’imbozzamento occorre inserire pannelli trasversali tanto più frequenti
quanto maggiore è la sottigliezza incremento del peso e del costo di lavorazione.
9’ 55”
Analogamente, si può fare un confronto delle sollecitazioni in gioco nei due casi:
Premesse 1
CAP. 5B TRAVATURE RETICOLARI
𝑓𝑓𝑦𝑦𝑦𝑦
𝑓𝑓𝑦𝑦𝑦𝑦 = 𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐
16’ 25”
2 Premesse
TRAVATURE RETICOLARI CAP. 5B
D’altro canto, esistono alcune specifiche tipologie strutturali che, anche per luci
modeste e carichi non eccezionali, richiedono l’uso di travature reticolari anche a
prescindere da ragioni di costo:
- capriate per coperture di edifici industriali o sportivi;
- travi di controventamento degli edifici civili/industriali;
- strutture spaziali;
- ponti ferroviari di grande luce;
- sostegni per elettrodotti e torri per antenne radio/TV;
in generale, inoltre, le travature reticolari sono richieste per ogni membratura inflessa
cui si richiedano contemporaneamente grande rigidezza, leggerezza e ottimale risposta
alle azioni aerodinamiche;
25’ 00”
Si inizia dunque uno studio tipologico delle travature reticolari, a partire dal
comportamento statico; di norma le travature reticolari vengono studiate in base a uno
schema teorico di funzionamento per il quale si ritengono valide cinque condizioni
fondamentali (condizioni di Föppl):
1) Le aste componenti si considerano rettilinee.
2) Gli assi delle aste giacciono tutti in uno stesso piano longitudinale
medio, coincidente col piano di sollecitazione (il piano di applicazione dei
carichi) e col piano di flessione (il piano in cui avviene la deformazione della
travatura).
Questa condizione mira a evitare problemi legati agli effetti torsionali.
3) Per ogni nodo, gli assi delle aste ad esso afferenti convergono tutti in un
punto, detto centro geometrico del nodo, senza alcuna eccentricità.
4) Gli attacchi tra le aste sono costituiti da una cerniera priva di attrito
(cerniera ideale) avente per centro il centro geometrico del nodo stesso.
In altre parole: tutti i nodi si considerano articolati a cerniera.
Premesse 3
CAP. 5B TRAVATURE RETICOLARI
Tale modello teorico prende il nome tecnico di schema principale; il rispetto delle
cinque condizioni dello schema principale fa sì che gli unici sforzi possibili nelle aste siano
sforzi assiali, definiti sforzi principali.
Se ciò accade, allora è rigorosamente vero che:
- il momento flettente globale si “trasforma” in sforzo assiale nei correnti;
- il taglio globale si “trasforma” in sforzo assiale nelle aste di parete.
31’ 55”
Tuttavia, riflettendo sulle cinque condizioni del modello teorico si osserva che:
- le prime tre possono essere effettivamente realizzate, perché dipendenti da
corretta progettazione e fedele esecuzione della struttura;
- le ultime due non sono mai perfettamente realizzate; in particolare:
o il nodo a cerniera perfetta è una condizione ideale, perché l’attrito tra le
superfici non può mai essere del tutto eliminato;
o anche il solo peso proprio delle aste fa cadere l’ipotesi di carichi applicati
esclusivamente ai nodi: ne deriva che le aste saranno sempre soggette
anche a effetti flessionali e taglianti.
35’ 25”
Una ulteriore ipotesi di lavoro consiste nel considerare solo travature reticolari
isostatiche internamente (maglie triangolari) ed esternamente (schemi statici a semplice
appoggio o a mensola.
41’ 40”
Tipologia geometrica
Le aste si definiscono e distinguono in:
- correnti o briglie (costituiscono le aste di contorno, ad eccezione di montanti esterni
di testa);
- aste di parete: montanti e diagonali (che diventano trasversi e diagonali nel caso di
strutture reticolari verticali).
4 Premesse
TRAVATURE RETICOLARI CAP. 5B
La suddivisione tipologica si può effettuare in base alla diversa disposizione delle aste
di parete, ferme restando le aste di corrente, oppure in base alla diversa disposizione delle
aste di corrente, ferme restando le aste di parete.
45’ 30”
49’ 55”
d) travi a croce di S. Andrea, anche dette con tiranti a crociera o con diagonali
esclusivamente tese;
è uno schema molto diffuso; non va confuso con uno schema iperstatico: all’incrocio dei
diagonali infatti non c’è un nodo, ma una sovrapposizione passante.
b) travi trapezie:
- i correnti sono paralleli, ma i montanti di estremità di uno dei due correnti
sono assenti (Travi Warren o Neville);
- uno dei due correnti è a doppia falda (generalmente quello superiore)
oppure a falda unica.
c) travi paraboliche o semi-paraboliche:
- uno dei correnti è inscritto in un arco di parabola;
Fondamentalmente usate nelle travi da ponte.
N.B. Il corrente non può essere parabolico, perché le singole aste devono comunque
essere rettilinee.
Le travi semi-paraboliche si distinguono perché i due correnti non si uniscono agli
appoggi, ma sono collegati da montanti di testata.
57’ 00”
d) travi triangolari:
- Capriata francese (Polonceau): il corrente inferiore può essere orizzontale o,
più spesso, leggermente rialzato per motivi estetici e/o statici;
Premesse 5
CAP. 5B TRAVATURE RETICOLARI
1h 4’ 20”
CRITERI DI PROGETTO
Prima grandezza da definire, dati 𝑙𝑙 e i carichi, è l’altezza della travatura (costante se a
correnti paralleli, massima se a correnti non paralleli).
Dalla pratica tecnica si evincono rapporti empirici:
ℎ 1 1
- travi appoggiate, parallele o trapezie: =� ÷ �
𝑙𝑙 8 9
ℎ 1 1
- travi paraboliche, semiparaboliche o triangolari: =� ÷ �
𝑙𝑙 7 8
ℎ 1 1
- travi parallele ma continue su più appoggi: =� ÷ �
𝑙𝑙 9 10
Ad es. travi da ponte; si tratta comunque di uno schema iperstatico che non viene
affrontato in questa sede.
ℎ 1 1
- travi reticolari spaziali: =� ÷ �
𝑙𝑙 20 25
1h 9’ 22”
Fatto ciò, bisogna definire il numero di campi, la disposizione delle aste di parete,
l’inclinazione dei diagonali; tutte scelte tra loro connesse: ad esempio, scelto il numero di
campi è individuata la forma degli stessi, a causa dell’inclinazione dei diagonali che ne
risulta.
Un criterio immediato è dunque imporre che i diagonali siano inclinati di circa 45°
(angolo che richiama le isostatiche di trazione in una struttura inflessa) se la struttura è a
diagonali ad inclinazione costante; oppure, se l’inclinazione è variabile, far sì che i
diagonali posti ai quarti della luce siano inclinati di circa 45°.
Un’altra indicazione che bisogna rispettare riguarda la dimensione dei campi, tale da
non produrre lunghezze di libera inflessione eccessive (pericolo di instabilità) o troppo
ridotte (troppi nodi, oneri di lavorazione eccessivi).
1h 13’ 13”
6 Criteri di progetto
TRAVATURE RETICOLARI CAP. 5B
L’ottimizzazione del progetto delle travature reticolari si basa su due ordini di scelta
successivi:
1) morfologico: scelta dello schema geometrico più conveniente;
2) costruttivo: scelta delle sezioni strutturali più idonee da assegnare alle varie aste.
1h 18’ 35”
ASPETTO MORFOLOGICO
Verranno ora esaminate le caratteristiche specifiche di ciascuno schema geometrico
riportato nelle figure.
a) Warren / Neville (soli diagonali):
le aste di parete sono tutte di identica lunghezza, e sono alternativamente tese e
compresse; utilizzando questo tipo di schema per carichi esclusivamente gravitazionali, si
è costretti a una differenziazione netta della tipologia di sezioni per i diagonali (più snelle le
tese, più pesanti le compresse), il che vanifica il vantaggio di avere lunghezze unificate.
Se però il carico si inverte (a causa di sisma, vento, etc.), si verifica un’inversione delle
sollecitazioni che porta livellare le esigenze statiche tutti i diagonali, ossia progettarli
secondo la più gravosa sollecitazione di compressione.
Si conclude che questo tipo di travata è adatto per carichi che possono alternarsi.
b) Mohnié (montanti e diagonali discendenti verso la mezzeria):
in questo caso, lo scenario di soli carichi gravitazionali fa sì che tutti i montanti siano
compressi e tutti i diagonali siano tesi; poiché i diagonali sono più lunghi dei montanti
(~1,4 volte per inclinazione di 45°), conviene che i primi lavorino a trazione, e i secondi a
compressione.
Se il verso dei carichi si inverte, questa travatura lavora esattamente al contrario, ossia
nella condizione meno favorevole di diagonali compressi. Di conseguenza essa è adatta
solo per condizioni di carico che escludano rilevanti azioni sismiche o del vento. In tal
senso si comprende anche che la trave Howe vista in precedenza è da bandire perché,
nella situazione più frequente di carichi verticali unilaterali, presenta diagonali compressi e
montanti tesi, del tutto antitetica ai principi della corretta progettazione di strutture
metalliche.
1h 28’00”
Criteri di progetto 7
CAP. 5B TRAVATURE RETICOLARI
Innanzitutto si distinguono:
- travi reticolari piane o a parete unica;
in cui tutte le aste sono contenute in un unico piano
6’ 35”
Travi piane: presentano briglie costituite da angolari accoppiati dorso a dorso, secondo
le modalità delle aste multiple ad elementi ravvicinati; tali correnti sono solidarizzati in
8 Criteri di progetto
TRAVATURE RETICOLARI CAP. 5B
maniera discontinua attraverso imbottiture e connessi alle aste di parete mediante piastre
di nodo dette fazzoletti.
8’ 10”
Per travi ad impegno statico modesto, si può risparmiare adottando uno schema che
preveda l’uso di due mezzi IPE (ricavati dalla sezione di un IPE a metà anima) anziché
due coppie di angolari; ciò consente anche di evitare l’uso di fazzoletti di nodo, usando le
anime dei mezzi IPE come piastre di nodo;
Se invece l’impegno statico è maggiore, è possibile usare per la briglia compressa due
profili a C, anch’essi accoppiati dorso a dorso e solidarizzati mediante imbottiture. La
briglia tesa non necessita modifiche rispetto al primo caso, non soffrendo di problemi di
instabilità.
11’ 20”
Aste di parete:
1) coppia di angolari ravvicinati, accoppiati dorso a dorso oppure a farfalla; a parità
di peso, la configurazione a farfalla è più conveniente perché aumenta l’inerzia
complessiva.
Non è frequente l’uso di tale accoppiamento per i correnti, poiché con esso non si ottiene
un intra- o estradosso piano.
2) angolari singoli; soluzione poco praticata, tranne che per membrature tese quali
diagonali di controventi. La normativa attuale consente tale soluzione anche per
aste debolmente compresse, ma la pratica tecnica non lo consiglia.
N.B. Per le aste tese costituite da singoli angolari va considerato il problema del
collegamento asimmetrico, come già esposto nel capitolo dedicato alle membrature
singole, paragrafo sulla verifica di resistenza a trazione.
15’ 18”
Una soluzione molto economica per travature reticolari piane non soggette a
sollecitazioni rilevanti è costituita dalle travi prefabbricate a traliccio leggero (in gergo
dette Joists, letteralmente “travetti”, “travicelli”). Si tratta di realizzazioni molto economiche
grazie all’elevato livello di automazione raggiungibile nella loro produzione.
Un tipico uso dei joists sono le coperture poco caricate ma di luce non piccola: serre,
costruzioni rurali, etc…
I correnti sono costituiti da due mezzi IPE che agli appoggi si riuniscono; le aste di
parete sono realizzate tramite un unico tondo piegato che forma una tralicciata a soli
diagonali.
18’ 00”
Criteri di progetto 9
CAP. 5B TRAVATURE RETICOLARI
a) CASSONE LARGO:
briglie: coppie di angolari collegati con tralicci saldati; gli angolari a ciascuna
estremità del cassone possono essere singoli o, se la statica lo richiede,
accoppiati dorso a dorso.
aste di parete: realizzate con profili angolari sulle due fiancate:
i. singoli
ii. accoppiati
- dorso a dorso
- a farfalla
(soluzione preferibile per aste compresse, perché aumenta
l’inerzia)
b) CASSONE STRETTO:
briglie: coppie di angolari realizzate secondo i criteri delle aste multiple ad
elementi distanziati, collegati con calastrelli (non tralicci, considerata la
distanza relativamente ridotta).
aste di parete: realizzate in modo abbastanza economico con un solo
profilo incassato nel cassone stretto; solitamente UPN oppure IPE, collegati
direttamente alle briglie o tramite piastre di nodo.
In fig. 9 si può osservare qualche esempio di nodo.
Finora si sono trattate solo travature reticolari realizzate con profili aperti; molto
spesso, invece, le si realizza con profili cavi (tubolari, soprattutto, o anche quadrangolari),
che sono l’optimum per le travature reticolari, presentando inerzie uguali in entrambi i
piani, ottima rigidezza torsionale, comportamento poco propenso all’instabilità.
26’05”
10 Criteri di progetto
TRAVATURE RETICOLARI CAP. 5B
26’ 23”
N.B. La verifica a compressione di ogni asta va fatta rispetto ai due piani principali
d’inerzia. Per una generica asta di travatura reticolare si individuano:
1) Piano della travatura: l’inflessione dell’asta è vincolata solo da elementi
appartenenti alla travatura stessa (cioè giacenti nel piano di quest’ultima);
2) Piano ortogonale al piano della travatura: la lunghezza libera d’inflessione è
condizionata dal contesto strutturale.