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STORIA DEL DIRITTO

INTRODUZIONE
La storia del diritto va collocata tra le scienze giuridiche e non tra le scienze
storiche; infatti il focus dello studio è il diritto nella sua dimensione storica. In
altri termini è una materia di carattere storico che apparentemente è incentrata
sul passato; in realtà è così inteso da chi ritiene che la cultura sia qualcosa di
inutile, che non produce, qualcosa che “non si mangia”; è un luogo comune, un
pregiudizio pericoloso, perché anche l’Università stessa è portatrice sana di
cultura.
La fenomenologia della realtà del diritto è empirica ed assume forme mutevoli
nel tempo: lo studio di queste forme, del perché il diritto le assuma e che cosa le
origina è l’oggetto del nostro studio. Lo studio della storia del diritto fornisce
strumenti di lettura critica della realtà del diritto che consiste, appunto,
nell’appropriazione concettuale.

• Lo studio storico del diritto riguarda il periodo che va dal tardo


medioevo (XI sec.) fino al ‘900, in stretta relazione ad una realtà
geografica circoscritta entro i confini dell’Europa, occupandosi inoltre
delle differenze che emergono tra l’era medievale e quella
contemporanea. Inoltre, lo storico del diritto è considerato a tutti gli
effetto un giurista tra i giuristi. E’ un interlocutore importante per il
giurista positivo, perché è colui che aiuta questi studiosi a fare meglio
il loro mestiere. Il giurista positivo, dice Paolo Grossi, coltiva il punto,
ovvero il campo della sua disciplina; questo concetto si inserisce in una
linea (una linea è un insieme di punti) e per spiegarla allora ecco che
serve lo storico del diritto. La storia del diritto ci permette di osservare
l’istante “punto” giacente su una “linea orientata”, dove più punti
possono giacere su una stessa linea o anche appartenere a linee diverse:
pertanto la storia del diritto è un sapere che ci dà informazioni sulla
“linea” in cui giace il “punto”, quindi sull’origine (a sinistra di esso) e
sull’evoluzione futura (a destra di esso) dell’istante “punto” osservato.

FASI STORICHE:
1. Età tardo‐medievale : (sec. XI – XV) che si divide in basso medioevo
(caratterizzato da una crisi della cultura poiché si è ancora troppo affetti dal
secolo precedente) e tardo medioevo (si sviluppa in questo periodo un
diritto scientifico più moderno e studiato) → ius commune. Paolo Grossi
considera il Medioevo come quel periodo senza Stato.
2. Età moderna: sec. XVI – XVIII
3. Età contemporanea: sec. XIX‐XX, il cui inizio si fa coincidere
convenzionalmente con il Congresso di Vienna, conferenza tenutasi
nell'omonima città, allora capitale dell'Impero austriaco, dal 1 novembre
1814 al 8 giugno 1815. Vi parteciparono le principali potenze europee allo
scopo di ridisegnare la carta dell'Europa e ripristinare l'Ancien régime dopo
gli sconvolgimenti apportati dalla Rivoluzione francese e dalle guerre
napoleoniche. Con il Congresso di Vienna si apre infatti quella che viene
definita come l'età della Restaurazione.
DALL’ALTO AL BASSO MEDIOEVO
Nel passaggio da uno all’altro di questi due periodi storici, si assiste a:

 una nuova economia – diversa capacità di produzione; si assiste ad una


produzione di ricchezza che deriva da capacità economica. Il “nuovo
benessere” favorisce la crescita demografica, la quale ha importanti
ricadute sul piano sociale; inoltre, l’incremento della produzione di beni
pone il problema dell’allocazione degli stessi e del loro smercio: ecco
quindi sorgere nuove professioni, in particolare quella del “mercante”,
che genera nuovi ceti sociali e di conseguenza la società si trasforma in
una nuova società.

 una nuova geografia dei poteri politici – a causa della nascita delle città
le quali concentrano in un territorio circoscritto un insieme di ceti ed
interessi tra loro complementari e sinergici; si crea dunque un
microcosmo funzionale. Per capire ed ordinare questa complessità si
rende necessario che il diritto offra schemi ordinanti adatti a questa nuova
realtà. In questo nuovo contesto è la dimensione giuridica che è ordinante,
in quanto auto‐ noma, e non quella politica. E l’unico soggetto il quale
può produrre il diritto come nuovo sistema ordinante oggettivo è la
scienza giuridica.
I principi di quasi tutte le scienze sono individuate dai maestri che li
tramandano ai discepoli attraverso un ordine. L’ordine, infatti, riesce ad
armonizzare i principi con gli strumenti conoscitivi e questi con i loro fini;
sapere cosa fare ma ignorare in quale ordine fare non è proprio della
conoscenza compiuta, come insegna S. Ambrogio. L’ordine è infatti
un’armonia della realtà, in forza della quale la scheda della memoria – grazie al
collegamento tra intuizione e ordine – viene resa più efficace. E questo ordine è
costituito dal Corpus Iuris Civilis Iustinianeo, non come fonte in quanto tale,
impossibile pertanto da utilizzare a secoli di distanza in una società
profondamente mutata, ma come strumento di interpretazione del diritto.
L’autorità del testo, dunque, si trasferisce nell’attività di interpretazione del
giurista e nell’ambito europeo l’utilizzo di un’unica fonte dà ai giuristi una
connotazione unitaria.
Gli strumenti utilizzati dai giuristi per tale interpretazione possono essere così
classificati:
I. Glossa ‐ era l'interpretazione di parole oscure (perché ermetiche o cadute
in disuso) attraverso altre più comprensibili, ossia attraverso il linguaggio
corrente;
II. Commento – ovvero uno scritto di interpretazione e di valutazione di un
fatto, di un evento, di un’opera artistica. La sua struttura, a differenza di
quella della glossa, ricalca quella del Corpus Iuris Civilis e sostituisce il
commento a quest’ultimo;
III. Consilium (o responsum) ‐ si tratta di un parere su un caso specifico e
concreto, realizzato facendo ricorso alla “interpretatio” delle fonti
romanistiche, attraverso il filtro della glossa e del commento; il parere
(“consilium pro veritate”) veniva richiesto al giurista da un giudice di una
controversia con lo scopo di individuare la soluzione concreta al caso. Ciò
accadeva in quanto il giudice non era un giurista e pertanto necessitava di
un supporto tecnico proveniente da fonte autorevole;
IV. Tractatus – non è una trattazione sistematica, ma una dissertazione ed un
approfondimento su determinati argomenti, anche citando altre fonti di
riferimento.

IUS COMMUNE
Si tratta di un diritto prodotto dall’attività sapienziale, dall’attività di
interpretatio del Corpus Iuris Civilis dai giuristi, scienziati della scienza
giuridica. Maestri che insegnavano nelle università di tutta Europa ma che
erano anche chiamati a fare da consiglieri ai detentori del potere, consulenti nei
tribunali di giudici e delle parti, avvocati e notai; personaggi, dunque, ben
immersi nella realtà di ciò che accadeva nella vita di tutti i giorni fuori dalle
mura universitarie. Viene considerato un diritto senza stato, lo ius commune,
ma soprattutto un diritto senza frontiere, che realizza l’unità giuridica europea.
Oltre all’elemento geografico e cronologico, l’esperienza giuridica europea è
unificata dal dato culturale dello ius commune. Lo ius commune si spinge fino
all’età moderna, fino alle codificazioni del ‘700, le quali rappresentano un
punto di chiusura fondamentale. In questo periodo cominciano infatti a crearsi
le prime teorie che saranno alla base degli ordinamenti attuali.
Il dato culturale di identificazione è rappresentato dall’Imperatore (Sacro
Romano Impero) e dal Papa, ed il periodo storico è inquadrato
dall’incoronazione di Carlo Magno (notte di Natale del 800) fino alla scoperta
dell’America (12 ottobre 1492). Per la storia del diritto è importante il 1088,
data di fondazione dell’Università di Bologna, ove inizia a costruirsi il giurista
sulla base del sapere giuridico (struttura sapienziale del diritto).
Con l'espressione "diritto comune", o alla latina ius commune, gli storici del
diritto usano definire l'esperienza giuridica che si sviluppò nell'Europa
continentale dall'XI secolo fino alle codificazioni ottocentesche. Ne è esclusa
l'Inghilterra, il cui sistema, detto di common law, si sviluppò fin dalle origini
senza rilevanti influenze del diritto romano. Ciò avvenne anche perché i
common lawyers, al contrario degli omologhi continentali, non usarono mai il
latino come lingua dei tribunali, bensì il francese dei Normanni fino al Seicento
e l'inglese dopo.

FONTI STORICHE DEL DIRITTO / ARCHIVI / DIPLOMATICA


Con la parola “fonte” si identifica ogni testo, ogni oggetto, ogni manufatto da
cui si può ricavare una conoscenza del passato. Sapere esattamente cosa è
successo nell'arco temporale precedente a quello odierno e sapere come si è
arrivati ad oggi, è importante ed è possibile studiare la storia semplicemente
utilizzando delle fonti storiche apposite. Le fonti storiche, sono infatti delle
testimonianze che permettono agli storici di conoscere il passato, di ricostruirlo
e di interpretarlo. Si tratta di vere e proprie tracce lasciate dall'uomo, dalla
natura e dal tempo che permettono di costruire come un puzzle l'intera storia
dell’umanità. Vengono classificate in:

• FONTI SCRITTE / TESTUALI: le fonti scritte documentali o narrative, sono


le testimonianze principali della storia messe in qualche modo per iscritto.
Non si tratta semplicemente di ciò che veniva scritto sulla carta, ma di ogni
cosa che veniva trascritta su muri, pietre, pergamene, tavole, libri, lapidi,
caverne, giornali, tavole d'argilla, ecc.

• FONTI MUTE / MATERIALI: sono tutte quelle testimonianze che è stato


possibile vedere poiché si tratta appunto di tutti quei monumenti, reperti,
oggetti, gioielli, monete, utensili, edifici strade ma anche di ossa, scheletri,
mummie, ecc. Con questa importante e fondamentale tipologia di fonte, si ha
la sicurezza dell'esistenza di un qualcosa di concreto di epoche precedenti a
quella odierna.

• FONTI ORALI: meno sicure delle precedenti, sono tutte quelle


testimonianze che sono giunte al giorno d'oggi attraverso ciò che è stato detto
e tramandato oralmente. Leggende, canti, racconti, storie, situazioni e tutto
ciò che fino ad oggi fa parte della storia orale.

• FONTI ICONOGRAFICHE: sono tutte quelle testimonianza che


rappresentano delle immagini di persone, paesaggi o luoghi da danno modo
di avere una testimonianza visiva di un affresco, un dipinto o un graffito.
Queste fonti, possono rappresentare un luogo esistente, una persona che ha
vissuto nel passato o una situazione avvenuta.

• FONTI VOLONTARIE / INVOLONTARIE: esistono delle fonti di tipo


volontario e di tipo involontario. Una fonte volontaria, è quella tipologia di
testimonianza che viene lasciata di proposito per fare in modo che vi sia
traccia di un qualcosa anche in futuro (libri, riviste, giornali, ecc.). Al
contrario, le fonti involontarie, sono quelle tipologie di fonti, che non sono
state create appositamente per restare ma che comunque fanno e faranno
parte della storia (reperti archeologici, scheletri, utensili antichi, ecc.).

• FONTI DOCUMENTALI / DOCUMENTARIE: sono tutti quegli atti scritti


come diplomi, atti giudiziari dei tribunali, registri parrocchiali, etc che
certificano l’efficacia di un determinato fatto. Esse sono conservate in una
serie di archivi (archivio è una parola polisemica perché può indicare ad
esempio sia un complesso di documenti, sia un fondo archivistico). Gli
archivi possono essere di Stato, privati o ecclesiastici. Nel senso comune un
archivio è un agglomerato di carte o altri materiali, una raccolta di
informazioni conservata per la consultazione. Non mancano nel linguaggio
generico le accezioni negative: si pensi al verbo "archiviare", che può essere
sinonimo di "dimenticare", "mettere da parte", "seppellire". In realtà uno
degli elementi essenziali dell'archivio è proprio la consultabilità e la
fruizione. Il termine "archivio" in realtà comprende entità diverse a seconda
che sia usato nel linguaggio strettamente archivistico o in quello delle
discipline affini o nel linguaggio comune.

APPROFONDIMENTO SUGLI ARCHIVI


Nell’epoca dell’oriente antico, esistevano le tavolette di argilla e solo nell'età
classica si passò a supporti più agili e leggeri (papiro, pelle, pergamena), ma
anche più volatili, tanto che la stragrande maggioranza degli archivi egiziani,
greci e romani è oggi perduta. Restò però l'uso di registrare alcuni avvenimenti
di massima importanza su supporti più duraturi, come le incisioni su lastre di
marmo o di pietra, per salvaguardarne la memoria in eterno (epigrafia). Nella
Roma repubblicana si conosce dalle fonti l'uso di tavolette lignee sie imbiancate
e scritte a inchiostro (album), sia rivestite di cera e incise (tabulae cerussatae),
che venivano custodite con la massima cura in ambienti sacri. Di esse tuttavia
non è pervenuta a noi alcuna traccia. In epoca imperiale il sistema archivistico
venne perfezionato e nacquero le idee di memoria eterna dei fatti e della fides
verso le scritture degli archivi pubblici. Ma i problemi legati alla fragilità nel
tempo dei supporti ha fatto sì che siano veramente esigue le testimonianze
archivistiche dal I millennio a.C. al I millennio d.C., con rare eccezioni
riguardanti episodici, singoli documenti. Solo sul finire del I millennio d.C.,
allo scadere dell'alto medioevo, l'uso della pergamena e lo sviluppo sociale ed
economico degli ordini religiosi (in particolare della grandi abbazie) e della
Chiesa (in particolare le sedi vescovili) permisero la conservazione di una
significativa quantità di documentazione archivistica, via via più consistente.
Negli anni più recenti sono tornati alla ribalta i problemi legati alla formazione,
la gestione e la conservazione degli archivi, soprattutto in riguardo
all'introduzione di nuove tecnologie, che in futuro potrebbero rivoluzionare la
consistenza degli archivi. Si tratta in particolare delle tecnologie informatiche e
telematiche, che hanno reso impellente la revisione di metodologie ormai
consolidate da decenni. Se un foglio di carta ha infatti dimostrato di poter essere
conservato, tramite le opportune cautele, anche per secoli, per quanti anni sarà
consultabile un supporto DVD o un disco rigido? Questi sono i nodi da
sciogliere nel presente e nell'immediato futuro.
A. Che cos’è la diplomatica? E’ quella disciplina nata durante la seconda
metà del XVII secolo comprendente i concetti, le tecniche e le procedure
per giudicare della genuinità o meno del documento medievale, è stata per
buona parte del suo percorso strettamente legata alla paleografia. Essa
presuppone uno studio critico sul documento, per darci una chiara
interpretatio dello stesso.
B. Che cos’è un documento? E’ una rappresentazione analogica o
informatica di atti, fatti e dati intelligibili direttamente su carta oppure
attraverso un processo di elaborazione elettronica. Esistono documenti
pubblici (ovvero tutti quei documenti che hanno come autore dell’azione
una personalità riconosciuta tale dall’ordinamento giuridico, che regola
rapporti di natura pubblica) e documenti privati (ovvero tutti quei
documenti che scaturiscono dall’incontro di volontà di persone, regolano i
rapporti di natura mista e sono redatti senza alcuna formalità).
Individuare i caratteri estrinseci ed intrinseci, ovvero quegli elementi che posti
concretamente davanti al lettore fanno capire il modo in cui ogni documento si
è formato, permettono quindi di ricostruire il processo genetico caso per caso e
consentendo anche un analisi comparativa. Visto che non esistono delle costanti
sulle documentazioni, ogni caso va analizzato nel dettaglio e il tutto potrà essere
messo in luce soltanto da un'indagine sistematica, ovvero dalla Diplomatica.

CARATTERI ESTRINSECI: si riferiscono alla fattura materiale del


documento e ne costituiscono l'apparenza esteriore esaminando il documento
indipendentemente dal contenuto. A prestarsi a questa analisi sono solo gli
originali e non le copie degli originali. Sono ad esempio:

 la materia scrittoria (carta, pergamena, etc)

 la scrittura (diversi tipi e caratteri sia di scrittura che di calligrafia)

 segni speciali (la rota, etc)

 sigilli (a cera lacca, in oro, in argenti, etc)

 note di cancelleria (numero di protocollo, etc)

CARATTERI INTRINSECI: si riferiscono al contenuto del documento,


studiando le forme del documento stesso.

 si riferiscono al contenuto

 il documento viene diviso in tre parti: protocollo, testo, escatocollo

CIVIL LAW E COMMON LAW


I. Il Civil law è quel sistema di diritto che fa riferimento al continente
europeo, basato sullo ius commune, oltrepassato poi con la codificazione. E'
un diritto fondato sulla tradizione del diritto comune, è essenzialmente
dottrinale. Noi italiani ne facciamo parte, ma a definirci così sono stati “gli
altri”. Storicamente, la dicitura civil law proviene dal cosiddetto Corpus
Iuris Civilis, la monumentale compilazione commissionata dall’imperatore
Giustiniano nel VI secolo d.C. per riordinare il caotico sistema giuridico
dell’Impero romano d’Oriente. Con la successiva evoluzione del diritto
medievale, la civil law si sviluppa fino ad arrivare alle grandi codificazioni
moderne, quali il Codice Austriaco del 1786, il Codice Prussiano del 1794 e
il piú importante Codice Napoleonico del 1804. Poiché si basa sulla mera
fonte legislativa, è chiaro che legislatore e legge codificata rappresentano i
cardini del sistema, mentre il giudice assume un ruolo marginale nel
modellare il diritto vivente.
II. Il Common law (of England) è quel sistema di diritto che va oltre la
Manica fino a raggiungere il continente americano. La dottrina ha un posto
secondario, poiché è importante il ruolo del giurista pratico, inteso come
quell’individuo che lavora con la parola. E’un “falso amico” del diritto
comune, pur essendo sostanzialmente due cose diverse. Lo sviluppo storico
della common law si deve, invece, all’accentramento di poteri del re in
Inghilterra durante il medioevo. L’organizzazione feudale, che aveva un
ruolo predominante nella società, era articolata proprio attorno alla corte del
re, la curia regis, formata da un nucleo di giudici ch’erano spesso inviati
nelle province ad amministrare la giustizia in nome del sovrano. Fu proprio
quest’organizzazione a far sí che si creasse un diritto unitario, chiamato
common, che trionfò definitivamente nel XVII secolo, quando il
Parlamento dichiarò la sussidiarietà delle altre leggi rispetto a esso. Non
esistendo quindi un vero e proprio compendio di leggi, il principio-cardine
è lo stare decisis, ossia il precedente: il giudice dovrà conformarsi alla
decisione adottata in una precedente sentenza nel caso in cui la fattispecie
in esame sia identica a quella trattata nel caso già deciso. È quindi evidente
come il ruolo dei giudici nel determinare il diritto vivente sia cruciale,
mentre la legge diviene fonte normativa di secondo grado.
Astrattamente, sembra quindi difficile trovare punti di contatto tra i due sistemi.
Tuttavia, oggi s’assiste a una crescente contaminazione tra le due culture
giuridiche: da un lato, nei sistemi di Civil law s’è progressivamente accentuata
la tendenza a riconoscere un certo grado di vincolatività ai precedenti giudiziari,
soprattutto nel caso di pronunce delle giurisdizioni superiori; dall’altro, negli
ordinamenti di common law è sempre più frequente l’emanazione di
provvedimenti legislativi. A parere di chi scrive, la persistente visione che i due
sistemi siano così diversi e incontaminati è principalmente il risultato del
persistere di vecchi pregiudizi e stereotipi, che riflettono sia l’opinione comune
sui diversi Paesi, sia la volontà di far credere che il proprio sistema sia sempre e
comunque il migliore. I giudici, infatti, giocano un ruolo fondamentale tanto nei
sistemi di common law quanto in quelli di civil law: basta sfogliare, ad
esempio, il Codice Civile per rendersi conto di quanto fondamentali siano le
decisioni della Cassazione e delle Corti di merito per riuscire a vincere una
causa. Ma, soprattutto, basta pensare alla presenza di sistemi misti (come quello
indiano) o a come giudici di diversa estrazione riescano a cooperare
efficientemente in corti importanti come la Corte di Giustizia Europea o la
Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Oggi, quindi, le solite vecchie etichette
stanno progressivamente perdendo la propria ragion d’essere — e forse, prima
di quanto pensiamo, non si parlerà nemmeno più di Civil e Common law.
APPROFONDIMENTO SUL COMMON LAW
Il modello di common law è diventato famoso, in Italia come negli altri stati che
seguono differenti sistemi giuridici, non tanto (o per lo meno non solo) per gli
approfondimenti di natura giuridica degli operatori del settore, quanto per il ruolo che
ha giocato un mezzo di diffusione che in pochi sospettavano avrebbe fatto conoscere
il funzionamento del common law in tutto il mondo: la televisione. In tutti i palinsesti
televisivi, nazionali come stranieri, da decine di anni vanno in onda numerosissimi
film e serie televisive che sono modellate su ricostruzioni – più o meno romanzate ed
adattate – del sistema giuridico statunitense. Nell’immaginario collettivo pertanto
comprendere come funzioni il sistema di common law è ormai intuitivo, e guarda
principamente a quanto scoperto attraverso la tv. L’esistenza di una giuria, così come
il ruolo degli avvocati dell’accusa, che non sono magistrati come nel nostro sistema
ma veri e proprio avvocati, sono tutte caratteristiche tipiche del sistema di common
law, che a volte in Italia viene perfino confuso con il nostro. Il common law deriva da
un insieme di tradizioni sassoni e normanne. Per andare davanti al giudice e
presentare il proprio caso, bisogna avere il WRIT (con un po’ di fantasia, nel diritto
romano, è l’actio): è un sistema basato sulla prassi, sulla pratica. In altri termini, il
writ è un determinato tipo di azione processuale: ad esempio, alla pretesa restitutoria
di un fondo faceva riscontro il writ precipe quod reddat; alla pretesa di restituzione
immediata di un debito di denaro determinato nel suo ammontare corrispondeva il
writ of debt (o il convenuto pagava, oppure veniva costretto a comparire in giudizio
dinanzi alla Corte regia).

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