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Django Rehinardt, un eroe, un mito, una leggenda.

Il grande chitarrista di origine


tzigana che ha segnato in modo indelebile l'evoluzione del jazz europeo e americano
del 900, un improvvisatore geniale, grande virtuoso, ammirato innovatore che nei
suoi 43 anni di vita rivoluzionò la musica moderna e scrisse capolavori
indimenticabili. “il gigante del jazz tzigano”, uno zingaro manouche nato in Belgio
nel 1910, la cui carovana dopo un lungo girovagare in varie nazioni europee e nord-
africane, si fermò presso la periferia di Parigi, in Francia, città che fu scenario della
quasi interezza della carriera del jazzista dove trovò in seguito fama e successo.
Django divenne un eroe da leggenda fin dalla prima gioventù. Prima di tutto presso la
sua gente, soggiogata dal brillante virtuosismo di questo piccolo prodigio del banjo, e
poi presso i musicisti musette, da dove scaturì la sua reputazione di strumentista
straordinario, che raggiunse, come una scia di polvere da sparo, il mondo del jazz,
universo evidentemente più congeniale alle sue ambizioni musicali. Queste ultime si
concretizzarono nel 1934 ( con il Quintette de hot club de France, assieme all'amico
violinista Stephane Grappelli) attraverso stupefacenti capolavori come Djangology,
Minor swing, Nuages. Django e la sua chitarra. Virtuosismo tanto più leggendario
perchè dovette trionfare sul terribile handicap della perdita dell'uso di una parte della
mano sinistra nell'incendio della sua roulotte, avvenuto nel 1928. Quindi reimparò a
suonare, la chitarra con solo l'utilizzo di 2 dita, con una miracolosa destrezza, velocità
ed estro!
La sua grande musica, lo swing francese che faceva ballare tutta Parigi e che ancora
oggi ci fa sognare e ci riporta in un tempo ormai lontano ma la sua musica vive
ancora, in tanti la amano, e la reinterpretano, questa musica oggi viene definita
Gipsy Jazz o swing manouche.
La storia vuole che Django e i suoi”fratelli” utilizzassero chitarre, straordinarie , di
nuova concezione ed aspetto per l'epoca, le chitarre Selmer Maccaferri.
Mario Maccaferri nacque a Cento nel 1900 già a 11 anni divenne apprendista liutaio
presso il maestro Luigi Mozzani (faentino, trasferitosi a Cento). Dal 1915 lavorò
come liutaio presso il laboratorio di liuteria “Cantiere Officina” aperto dal Mozzani.
Mentre imparava il mestiere di liutaio studiò chitarra classica e si diplomò al
Conservatorio di Siena. Nel 1919 iniziò i primi concerti e si dedicò quindi alla
carriera concertistica e negli anni venti e anni trenta fu un valente chitarrista classico
che si esibì in tutta Europa, ma restò sempre appassionato anche della costruzione
dello strumento. I critici lo lodavano tanto quanto il suo amico Andrés Segovia con in
quale si disputava il titolo di migliore chitarrista classico del mondo in quell'epoca. Il
maestro Mozzani, anch'esso valente chitarrista e compositore, era apertamente fiero
di Mario e lo riconosceva come maestro liutaio, musicista e pari, un onore che non
avrebbe mai dato poi a nessun altro dei suoi protetti.
Maccaferri vinse premi per i suoi violini e violoncelli a concorsi a Roma, Fiume e
Montecatini. In quegli anni elaborò la sua chitarra-arpa.
Nel 1927 la liuteria fu trasformata in “Scuola di Liuteria Italiana Luigi Mozzani” e
Maccaferri si diplomò anche maestro liutaio.
La crisi della Prima guerra mondiale iniziò a farsi sentire e Mozzani fu costretto a
ridurre il personale. Maccaferri si mise in proprio. Aveva già progettato chitarre
classiche con spalla mancante. Nel 1929 Maccaferri emigrò a Londra dove tra un
concerto e l'altro insegnava chitarra ed essendo costantemente alla ricerca del “suo”
suono e della chitarra ideale, costruiva prototipi in continuazione. La sua mente era
anche spinta alla ricerca di una chitarra più sonora e più ricca, poiché la chitarra
classica, ai tempi in cui non c'era ancora l'amplificazione, era un determinante della
massima grandezza di un auditorium. Se c'erano troppe persone o se il teatro era
troppo grande lo strumento non poteva essere udito. In altri termini sia per i concerti
da soli sia in gruppo la chitarra era forse il meno sonoro degli strumenti.
Con le sue conoscenze di liuteria iniziò una sfida personale per costruire una chitarra
che suonasse meglio e più forte: e ci riuscì. I suoi prototipi suonavano quasi il doppio
più forte delle migliori chitarre classiche e la spalla mancante consentiva di accedere
alla tastiera nelle note più acute rendendo lo strumento più agevole e prestante. A
Londra conobbe Henry Selmer e a Parigi nel 1932 Selmer registrò, il brevetto della
cassa risuonante interna collegata al piano armonico degli strumenti musicali. Questa
invenzione del 1927 era di Maccaferri e serviva ad isolare il fondo vibrante della
cassa di risonanza per evitare che il suono venisse attutito (soffocato) dal corpo della
chitarra. Il risuonatore interno era fabbricato come un'altra tavola armonica attaccata
solo alla tavola esterna. Aggiungeva così un riflettore che aveva il compito di
proiettare il suono verso la bocca dello strumento. Ecco perché allargò la bocca e la
costruì da rotonda, delle tradizionali chitarre classiche, a “D”. Nacque così, la
produzione delle chitarre Selmer Maccafferri, tanto amate da Django Rehinardt.
Quindi si può dire che questa incredibile avventura nasce anche da qui, dove tutt'ora
le chitarre vengono prodotte da importanti liutai (in tutto il mondo) che seguono le
caratteristiche del progetto, anche nella scuola di liuteria del cento pievese.
La storia è anche di una minoranza etnica, il cui protagonista ha persino un handicap
alla mano e nonostante tutto, trova la gloria, negli anni a cavallo della seconda guerra
mondiale dove le minoranze erano perseguitate. Il Racconto di un incontro (mai
avvenuto) tra 2 immigrati, sì perchè anche Maccaferri si trasferì da Cento, a Londra
poi a New York (dove poi ideò anche la chitarra di plastica, le mollette di plastica, gli
Ukulele che compaiono nel film a qualcuno piace caldo).
L'idea, sarebbe quella di creare un progetto in cui educare musicalmente bambini,
ragazzi ed adulti, attraverso scuole, corsi e laboratori facendo scoprire ed insegnando
la musica di Django, riproponendo dei quintetti nello stile di Rehinardt, ovvero, 3
chitarre, contrabbasso e violino. Racconatare avalorizzare il territorio attraverso la
storia della liuteria di Mozzani e Maccaferri, collaborando con qualche liutaio e/o
con la scuola pievese nella costruzione delle chitarre.
Giacomo Fantoni

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