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declino o rinnovamento?

declino o rinnovamento ?

Viareggio, 21 maggio 2010 ernesto hofmann


declino o rinnovamento?

In questo saggio vengono esaminate le più recenti innovazioni tecnologiche


attinenti l’informatica e le telecomunicazioni, nel contesto della crisi che ha
investito l’economia. Non è ancora del tutto chiaro se questa crisi sia di
natura contingente o strutturale. Se fosse strutturale allora ci si potrebbe
chiedere se essa non sia un indizio del declino della nostra civiltà. Siamo
forse veramente di fronte al “Tramonto dell’ Occidente” ipotizzato quasi un
secolo fa da Oswald Spengler? Per rispondere a questa domanda bisogna
esaminare l’attuale crisi anche da un punto di vista più generale, ossia storico.
Perchè decadono le civiltà? Oggi si tende a non credere più a modelli ciclici
come quello di Vico o di Spengler. Si pensa piuttosto che le civiltà decadano
per carenze energetiche, per decrescenti ritorni marginali, perchè sono
sistemi complessi che operano in un provvisorio equilibrio tra ordine e
disordine. Siamo forse anche noi in queste condizioni? La risposta, in parte
ottimistica, è che forse non sia così. Nella nostra civiltà un quarto della
popolazione è costituito da una gioventù, diversa da quanto auspicato dai più
anziani, ma forse con delle qualità non del tutto comprese e quindi
potenzialmente produttiva. E poi c’è ancora tanta tecnologia, soprattutto ICT
(Information and Communication Technology), in costante evoluzione, che
potrebbe contrastare il meccanismo dei ritorni marginali. I sistemi di
comunicazione (TV, Web, telefono, libri, giornali,...) stanno evolvendosi e
convergendo. I maggiori beneficiari ne saranno non solo gli utenti ma anche il
marketing e la pubblicità. Ciò rappresenta un'enorme opportunità per le
piccole e medie imprese (PMI), che costituiscono la vera colonna vertebrale
dell’economia italiana, per ripensarsi, per ringiovanirsi, per rinascere. Diceva
Albert Camus: “Bisogna immaginare Sisifo felice!”. Dobbiamo anche noi
credere nel futuro, pur se ciò comporterà un enorme impegno da parte di tutti.
declino o rinnovamento?

E’stato già osservato come l’attuale crisi mondiale non sia solo una crisi
economica e finanziaria ma sia anche una crisi di fiducia e di moralità pubblica.
Ma qual è la sua reale natura: contingente o strutturale?
Si potrebbe ipotizzare che l’attuale recessione economica sia soltanto un
passaggio transitorio, tipico di un’evoluzione ciclica che alterna periodi di espansione
a periodi di recessione.
L’economista Joseph Schumpeter aveva affermato, intorno al 1940, che
un’economia vitale non è quella che cerca di ottimizzare le risorse esistenti in un
ambiente stabile, ma piuttosto quella che viene costantemente pungolata da
innovazioni tecnologiche che agiscono come onde di distruzione creativa. Secondo
Schumpeter a partire dalla prima industrializzazione, più o meno alla metà del
diciottesimo secolo, si sono susseguiti alcuni lunghi cicli economici caratterizzati
dalla predominanza di particolari tipi di attività industriali.
Ciascuno dei cicli iniziava quando un nuovo insieme di innovazioni veniva a
costituire una vera e propria infrastruttura tecnologica complessiva, come è accaduto
alla fine del 1700 con energia idrica, industria tessile e ferro; a metà del 1800 con
vapore, ferrovie e acciaio; all’inizio del 1900 con elettricità, motori a combustione
intera e chimica; a metà del 1900 con industria petrolifera, elettronica e aviazione.
Ogni ciclo economico, dopo aver raggiunto un punto di
massimo ritorno degli investimenti, ha cominciato a declinare, fin quando non è stato
seguito da una nuova onda di innovazioni tecnologiche che hanno creato nuove
opportunità economiche, attirato nuovi investimenti, creato nuovi posti di lavoro e
nuova ricchezza.
Durante tali cicli possono apparire crisi locali che toccano alcune nazioni
piuttosto che altre. Ma nel corso dell’ultimo secolo si è venuta a creare, nell’ambito
dell’economia mondiale, una fitta serie di relazioni tra le varie nazioni insieme a
meccanismi che in qualche modo possono essere in grado di correggere le crisi locali.
La natura dell’attuale crisi risiede probabilmente nel fatto che troppi guasti si
sono verificati contemporaneamente in punti diversi dello scenario mondiale, con un
effetto complessivo non più controllabile.
I meccanismi di controllo non hanno funzionato adeguatamente. Il mondo
finanziario ha intrapreso attività puramente speculative quali i cosiddetti prodotti
derivati; il commercio internazionale ha profittato delle differenze di potere di
acquisto delle diverse valute; le imprese hanno spostato disinvoltamente impianti e
competenze là dove minore era il costo del lavoro.
Inoltre in virtù di una migliore tecnologia si
sono create le premesse per un eccesso di capacità produttiva che ha inevitabilmente
comportato una crescente disoccupazione. Al tempo stesso le risorse energetiche e
ambientali hanno cominciato a mostrare palesi limiti di utilizzo, limiti che
costituiscono oggi una delle maggiori fonti di preoccupazione.
Ci troviamo quindi di fronte a una crisi nella quale emergono difficoltà di
vario genere, ma nella quale emerge soprattutto una profonda inquietudine sulle
attuali prospettive della società occidentale, ovvero euro-americana.
Viene allora in mente il ricordo delle grande crisi del 1929 che
fu realmente superata solo dopo la seconda guerra mondiale che, a sua volta,
rappresentò quasi un banco di prova per innumerevoli tecnologie che avrebbero poi
costituito il fondamento della nuova economia del terziario, succeduto all’agricoltura
e all’industria.
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Dopo la seconda guerra mondiale la quantità di beni e di servizi disponibili


aumentò progressivamente, insieme al potere d’acquisto delle famiglie, producendo
un’inarrestabile crescita dei mercati tanto da dare luogo in alcune nazioni, come per
esempio l’Italia, a quelli che furono chiamati “miracoli economici”.
Ma oggi forse l’ampiezza dell’ attuale crisi potrebbe essere ancora più grande
di quella del 1929. Per esaminare lo scenario attuale occorre quindi collocarlo in un
contesto storico. Da solo esso sembra incomprensibile. Ci si deve domandare allora se
questa crisi non sia in realtà un segnale di una crisi ben più ampia, quella che quasi un
secolo fa veniva indicata da Oswald Spengler come Il Tramonto dell’Occidente.
L’analisi che segue si propone di fare luce su questa ipotesi cercando di
valutare i vari aspetti, economici, tecnologici e sociali, che concorrono a definire
l’attuale scenario. Forse la Storia mondiale e le varie civiltà che ne fanno parte si
evolvono attraverso cicli più o meno identificabili, come vigorosamente sostenuto da
pensatori quali Giambattista Vico e Oswald Spengler.
Si tratta allora di capire se la civiltà di cui facciamo parte possa ancora
migliorare, o se piuttosto non sia iniziato un periodo di declino di cui l’attuale crisi è
solo un prodromo.
A noi sembra tuttavia che ci siano ancora sostanziali opportunità non solo
tecnologiche ma anche etiche che consentiranno a individui, imprese e comunità un
più equilibrato e armonioso stile di vita.
E per illustrare la nostra analisi abbiamo scelto alcune litografie
(modificandone qualcuna assai lievemente) tra quelle indimenticabili che il grande
vedutista scozzese David Roberts, insieme al giovane incisore belga Louis Haghe (cui
mancava il braccio destro!), pubblicò a Londra, ricavandole dagli schizzi realizzati
durante un viaggio da lui effettuato in Egitto intorno alla metà del XIX secolo.
La scelta non è casuale. Infatti proprio Oswald Spengler aveva affermato che
quella egiziana “..è una metafisica pensata in pietra, presso alla quale quella scritta –
quella di Kant – sembra un impotente balbettio”.
Gli egiziani avevano un profondo sentimento del tempo e una visione della
vita proiettata verso il futuro, che è proprio quanto noi dovremmo oggi condividere
per superare i timori che la grande crisi economica sta incutendo. Le loro pietre sono
ancora lì a parlarci e a dirci forse di avere fiducia.

cosa sono le società umane e perche decadono?

Una società umana è un consorzio di persone che collaborano per risolvere


problemi comuni. Come tale essa può ricordare un organismo biologico, ed è quindi
quasi naturale pensare che una società nasca, si sviluppi, invecchi e muoia.
Una società che si sviluppa al di là di un certo livello di complessità finisce col
costruire modelli di comportamento e basi di conoscenza che vengono a costituire
quella che viene denominata una civiltà. Quest’ultima nasce quando una comunità di
persone sceglie un modello da imitare, modello che è costituito di conoscenze e
comportamenti che vengono trasmessi attraverso le successive generazioni.
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Nel corso della Storia tante civiltà sono apparse, si sono evolute e poi hanno
finito
con lo scomparire.
L’analogia tra lo sviluppo di una società e un organismo biologico non deve
però trarre in inganno. Potrebbe essere soltanto un’utile metafora. Un organismo
biologico si sviluppa infatti secondo meccanismi ormai scientificamente conosciuti,
meccanismi che per la società umana non hanno ancora un fondamento analogo.
Poiché inoltre le analogie biologiche non consentono previsioni realmente
quantitative diventa ancor più difficile collocare l’evoluzione di una società in un
contesto temporale di tipo generale. Eppure sin dal Medio Evo la ciclicità era stata
proposta come modello evolutivo di una civiltà.
Già nel XIV secolo il grande storico arabo Ibn Khaldun con il suo
Muqaddimah (I Prolegomeni) aveva introdotto la nozione di una Storia ciclica basata
sulla naturale tendenza a indebolirsi delle società che diventavano sedentarie e quindi
avviate verso un’inesorabile decadenza dal loro stesso arricchimento.
Quello di Ibn Khaldun può essere considerato il primo tentativo fatto da uno
storico di individuare i meccanismi preposti all’evoluzione delle società. Il suo
approccio era decisamente razionale e analitico e rappresentava un deciso
allontanamento dai tradizionali clichè storiografici puramente narrativi.
Molti secoli passeranno prima dell’apparizione, nel 1725, dei Principi di una
Scienza Nuova intorno alla natura delle nazioni nei quali Giambattista Vico
indagherà se esistano delle leggi che regolino l’evoluzione storica: “Poiché questo
mondo di nazioni egli è stato fatto dagli uomini, vediamo in quali cose hanno con
perpetuità convenuto e tuttavia vi convengono tutti gli uomini; poiché tali cose ne
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potranno dare i principi universali ed eterni, quali devon essere d'ogni scienza, sopra
i quali tutte sursero e tutte vi si conservano le nazioni “.
La Scienza Nuova è un tentativo straordinariamente ambizioso, soprattutto per
l’epoca nella quale venne proposto, di fornire una visione unitaria della società umana
descrivendone la Storia, i miti e le leggi. Il libro esercitò un’enorme influenza sulla
cultura europea fino al XX secolo quando venne a costituire il fondamento
concettuale del romanzo più complesso che mai sia stato concepito, Finnegans Wake
di James Joyce. Vico credeva nel progresso, ma non nel senso che ciò
che segue è sempre migliore di ciò che precede, ma nel senso che la Storia si evolve
verso uno stato ideale che però non viene raggiunto. Ogni civiltà arriva a un punto nel
quale essa comincia a regredire verso una “seconda barbarie” per poi riprendersi:
corsi e ricorsi storici.
L’idea dei corsi e ricorsi storici in un certo senso riappare con Hegel per il
quale la Storia è tuttavia un processo razionale: la Storia del mondo è una
manifestazione della ragione divina, una delle particolari forme in cui essa si rivela.
La visione di Hegel era quindi ottimistica
perche: “ (è) la ragione (che) governa e ha governato il mondo; il quale non è
abbandonato al caso o a cause esterne e accidentali ma lo regge una provvidenza ”.

Il Tramonto dell’Occidente

Ma oggi l’opera storica forse più inquietante per la sua attualità è Il Tramonto
dell’Occidente, di Oswald Spengler, che apparve alla fine della prima guerra
mondiale e che era intrisa di un profondo pessimismo sul futuro della società
occidentale.
Spengler proponeva una "morfologia della Storia" secondo la quale le grandi
civiltà, che si susseguono attraverso i millenni, a cominciare dall' Egitto e dalla Cina,
hanno tutte un ciclo vitale, come ogni organismo, e sono quindi destinate a perire.
Spengler paragonava le civiltà alle piante: “Si mettono radici nel suolo stesso
che si è coltivato. L’anima dell’uomo scopre un’anima nel paesaggio; si annuncia un
nuovo sentire, una nuova connessione dell’esistenza con la terra”.
La civiltà mette le radici, cresce e si sviluppa. Dal contadino si passa
alla nobiltà e quindi al mondo dei commerci. Ma con lo sviluppo dei commerci e
l’estendersi delle città appare inevitabilmente il declino.
Spengler era dotato di un’immensa e stupefacente
erudizione che gli consentiva di costruire, con un linguaggio quasi poetico,
innumerevoli analogie tra culture diverse, come quella egiziane, ellenistico-romana,
cinese, e vedeva nella Storia non il flusso di un progresso ma piuttosto diversi segni di
declino che apparivano inesorabilmente in ogni civiltà. Anche la civiltà
occidentale o euro-americana, che denominava faustiana, nata oltre mille anni or
sono coi viaggi dei vichinghi, e costantemente protesa alla conquista di spazi infiniti,
così com’era stata creatrice di opere meravigliose e di una tecnica prodigiosa, era
ormai al tramonto: “La
cultura faustiana, quella dell’Occidente europeo non è probabilmente l’ultima, ma di
certo è la più potente, la più veemente e, a causa del conflitto interiore tra la sua
intellettualità comprensiva e la mancanza di armonia spirituale, di tutte la più
tragica. E’ concepibile che un qualche epigono venga a succederle (una nuova
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cultura potrebbe vedere la luce nelle pianure tra la Vistola e l’Amur) nel corso del
prossimo millennio. Ma è qui, nella nostra propria civiltà, che lo scontro tra la
Natura e l’uomo (il cui destino storico lo ha condotto ad ergersi contro di essa) si
compirà una volta per tutte”.
Non è ancora comparsa una civiltà tra la Vistola
e l’Amur, eppure sembra che ci siano il risveglio della Cina e quello dell’India e
quindi parrebbe avverarsi l’avvento di una nuova civiltà. Ma ciò potrebbe essere solo
un effetto provocato dalla civiltà occidentale. La globalizzazione dell’economia ha
coinvolto infatti anche quelle due grandi nazioni che stanno in parte
occidentalizzandosi. I grattacieli di Shanghai
sembrano ormai più numerosi di quelli di New York, mentre Bangalore in India si
avvia a diventare la capitale del software. La lingua universale, quella che era il koinè
dialectos di Alessandro Magno, sta diventando ora l’inglese, dalla Cina al Brasile,
lingua che sta trasformando i linguaggi nazionali arricchendoli costantemente di
neologismi, come per esempio ok, ormai presenti in quasi tutte le lingue dell’intero
pianeta. Così Cina
e India si avviano a diventare anch’esse civiltà dei consumi e anch’esse credono
assolutamente nella tecnologia e nelle macchine.
Quasi profeticamente lo stesso Spengler aveva detto in un’altra sua opera,
Scienza e tecnica: “La meccanizzazione del mondo ha raggiunto uno stadio di
pericolosissima ipertensione. L'immagine del mondo con le sue piante, i suoi animali
e i suoi esseri umani è mutata. In pochi decenni sono scomparse grandi foreste. Un
mondo artificiale invade e avvelena la natura. La civiltà è diventata una macchina.”

ci sono meccanismi comuni nel declino delle civiltà?

Nel XVIII secolo lo storico inglese Edward Gibbon in un capolavoro della


storiografia, Storia del declino e della caduta dell'Impero romano, aveva
indagato le ragioni del declino dell’impero romano. Un declino apparentemente molto
lungo nel tempo e per molti aspetti quasi incomprensibile vista l’enorme potenza
dell’impero romano.
Gibbon pensava che l’impero romano fosse collassato a fronte delle pressioni
barbariche anche perché i romani avevano perso quel vigore che ne aveva fatto dei
grandi soldati. Il Cristianesimo con la sua dottrina di pace e di speranza in un mondo
ultraterreno, secondo Gibbon, aveva estinto quel senso di virilità che
contraddistingueva lo spirito romano.
Nel paragrafo Osservazioni generali sulla caduta dell'Impero romano in
Occidente, (aggiunto al capitolo 38) Gibbon nel delineare le cause che, secondo lui,
determinarono la decadenza di Roma, affermava:
“ ... la decadenza di Roma fu il naturale e inevitabile effetto della sua
smisurata grandezza. La prosperità maturò il germe della caduta, le cause della
distruzione si moltiplicarono coll’estendersi delle conquiste,…...e anziché indagare
perché l’impero romano fu distrutto dovremmo piuttosto meravigliarci che sia durato
così a lungo. Le vittoriose legioni, che in guerre lontane acquistarono vizi degli
stranieri e dei mercenari, prima oppressero la libertà dello stato, poi violarono la
maestà della porpora… il vigore del governo militare fu indebolito e finalmente
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abbattuto dai parziali ordinamenti di Costantino, e il mondo romano fu sommerso da


un’inondazione di barbari … Poiché la felicità di una vita futura è il grande oggetto
di una religione possiamo sentire senza sorpresa, o scandalo, che l’introduzione o
almeno l’abuso del cristianesimo esercitò un certo influsso sulla decadenza e caduta
dell'impero romano. La chiesa predicò con successo la dottrina della pazienza e della
pusillanimità, le virtù attive della società furono scoraggiate e gli ultimi resti dello
spirito militare andarono a seppellirsi nei conventi. Una gran parte della ricchezza
pubblica e privata fu consacrata alle speciose richieste della carità e della devozione
e la paga dei soldati fu prodigata alle inutili truppe di ambo i sessi, che non potevano
vantare che i meriti dell’astinenza e della castità…”.
All’inizio di questa citazione c’è però una frase sulla quale occorre riflettere:
“La decadenza di Roma fu il naturale e inevitabile effetto della sua smisurata
grandezza. La prosperità maturò il germe della caduta, le cause della distruzione si
moltiplicarono coll’estendersi delle conquiste…”. Sembra quasi che Gibbon intuisse
l’esistenza di un’intrinseca, crescente e al tempo stesso fragile, complessità
dell’impero romano; complessità che alcuni storici moderni ritengono essere una delle
vere cause della decadenza delle civiltà. Ma di questo avremo modo di parlare meglio
tra poco. Qui occorre piuttosto rilevare che nella visione di
Gibbon non c’era traccia di ciclicità storica, ma c’era solo il tentativo di comprendere
attraverso i fatti le ragioni che avevano condotto al collasso la civiltà romana.
Che valga o meno lo schema ciclico proposto da
Vico e da Spengler resta comunque il fatto che il declino delle varie civiltà può essere
forse determinato da meccanismi simili, che occorre comprendere per valutare se
attualmente questi stessi meccanismi stiano operando nella nostra civiltà,
condannandola quindi a un inesorabile declino.

le civiltà sono sistemi complessi

Una civiltà è un sistema in cui i vari elementi che la costituiscono subiscono


continue modifiche, forse singolarmente prevedibili, ma del quale non è possibile, o è
molto difficile, prevedere l’evoluzione complessiva.
Maggiore è la varietà, e soprattutto l’asimmetria, delle relazioni fra gli
elementi di una civiltà, maggiore è la sua complessità, a condizione che le relazioni
fra gli elementi siano di tipo non-lineare.
Come in un sistema complesso le civiltà possono produrre comportamenti
emergenti, ossia effetti non prevedibili dalla semplice combinazione degli elementi
che la costituiscono. Le civiltà sono, dal punto di vista matematico, sistemi non-
lineari, ossia sistemi tanto più complessi quanto maggiore è il numero di parametri
necessari per la loro descrizione.
Per riassumere le caratteristiche di una civiltà potremmo quindi affermare
che:

- le civiltà sono sistemi complessi nati per risolvere problemi comuni


- questi sistemi richiedono energia per mantenersi ed evolversi
- sono caratterizzati dall’interazione, spesso asimmetrica, di molteplici elementi
- operano tra ordine e disordine senza un vero equilibrio stabile
- una crescente complessità porta con sé crescenti costi pro capite
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- gli investimenti nella complessità sociopolitica spesso raggiungono un punto


dal quale i ritorni di investimento diventano marginali
- una semplice perturbazione, se non controllabile da un sistema fortemente
adattativo, può causarne il tracollo

Se questo schema fosse sostanzialmente vero il collasso dell’impero romano


sarebbe stato dovuto alla sua crescente complessità e al contemporaneo ridursi delle
sue risorse. La gestione di un impero così vasto richiedeva un sistema di
interconnessioni che in realtà funzionava sempre peggio, mentre le esigenze fiscali
aumentavano a dismisura. Intanto l’agricoltura peggiorava costantemente,
contribuendo in maniera decisiva al crollo dell’intera civiltà romana, poiché non
produceva più quel reddito che serviva per sostenere eserciti professionali.
C’è infine da aggiungere il contributo del caso, ossia di quella singola
perturbazione che può far degenerare un sistema complesso non adattivo. Per la
civiltà romana abbiamo qualche indizio su quali possano essere state le perturbazioni
decisive.
Roma intorno al 350 dC era ancora forte ed enormemente estesa, dalla
Spagna alla Britannia, alla Germania, ai paesi balcanici, a Costantinopoli, all’Egitto e
al nord-Africa.
Poi, spinti verso ovest dagli Unni, arrivarono i Goti, che nel
410 sarebbero entrati a Roma con Alarico. Eppure il problema gotico sarebbe forse
stato risolto sul nascere se nel 378 l’imperatore Valente non avesse commesso un
enorme errore strategico ad Adrianopoli, non attendendo i rinforzi di Graziano già in
marcia e subendo una disastrosa sconfitta (egli stesso avrebbe perso la vita). Pochi
anni dopo, nel 402, Stilicone avrebbe ancora potuto disperdere i Goti, da lui sconfitti
in Italia, invece di lasciarli ritirare nei Balcani.
Di fatto Roma nel giro di pochi decenni tracollò, come vedremo meglio più
avanti, e la subitaneità del tracollo ci è oggi molto più chiara di quanto non potesse
essere per Gibbon.
Le civiltà sono spesso sull’orlo del caos, come appunto i
sistemi complessi, e per sopravvivere devono sapersi continuamente adattare alle
mutevoli situazioni che spesso hanno un alcunchè di casuale.
Potremmo anche immaginare che se nel 1815 non ci ci fosse stata la più
grande eruzione della storia moderna, quella del vulcano Tambora in Indonesia, non
sarebbero avvenuti cambiamenti climatici tali da provocare persino in Belgio piogge
di estrema intensità. Oggi si pensa che queste piogge modificarono completamente
l'assetto della battaglia di Waterloo e soprattutto vanificarono la strategia di
Napoleone, che agli odierni storiografi appare oggi quasi perfetta. La battaglia iniziò
con grande ritardo, i fucili francesi non funzionavano a dovere per la grande umidità,
il conseguente ricorso alle cariche di cavalleria costò enormi perdite, mentre i ritardi
nelle operazioni consentirono ai prussiani di Blucher di rientrare in gioco. Chissà; se
il vulcano fosse rimasto inattivo forse Napoleone avrebbe ancora vinto e la storia
d’Europa avrebbe preso un altro corso: le vicissitudini del caso ovvero il cosiddetto
effetto farfalla!
E oggi il paragone tra l’impero statunitense e quello romano viene riproposto
con crescente frequenza, quasi a significare che il collasso della civiltà euro-
americana se non è alle porte è anch’esso comunque possibile in ogni istante.
Considerando le sole esigenze energetiche ci accorgiamo immediatamente che
la società nordamericana è in grado di accedere a risorse impensabili all’epoca
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dell’impero romano. Attualmente i consumi americani sono di circa diecimila Watt


per ogni abitante. Immaginando che un uomo sotto sforzo prolungato è in grado di
produrre circa un ventesimo di cavallo vapore, ossia all’incirca 35 Watt, ci si accorge
che per fornire diecimila Watt durante 24 ore è necessaria una forza lavoro di circa
trecento persone. Ciò vuol dire che se l’energia oggi utilizzata negli USA fosse
prodotta solo da schiavi occorrerebbe una popolazione di circa novanta miliardi di
persone. Numero che andrebbe moltiplicato per tre se gli schiavi fossero in grado di
lavorare (come ovvio) solo per turni di otto ore. Ma questa analisi non è completa;
dobbiamo anche calcolare i costi.
Oggi il costo dell’energia negli USA è di circa 1700 dollari all’anno per
persona, ossia complessivamente 500 miliardi di dollari. Facciamo un calcolo
approssimativo con un modello basato su lavoro muscolare umano. Un lavoratore
percepirebbe non meno di 6 dollari l’ora che, moltiplicati per 24 ore e per il numero di
persone necessarie (omettiamo i dettagli), porterebbero il costo pro capite dell’energia
a 500.000 dollari l’anno!
E’ facile allora comprendere come l’impero romano e quello cinese non
potessero industrializzarsi senza l’accesso a risorse energetiche quali quelle attuali: in
sostanza energia fossile. Energia che potrebbe scomparire anche in breve tempo e
quindi travolgere la civiltà che ne fa un uso così intenso.
Ma c’è anche un altro problema che è quello, cui abbiamo già accennato, dei
ritorni marginali.

la produttività marginale

Durante la loro evoluzione le civiltà tendono a diventare progressivamente più


complicate. In generale si è assistito a un aumento della popolazione cui però non ha
sempre corrisposto un aumento del territorio occupato.
I meccanismi di gestione della società diventano anch’essi inevitabilmente più
complicati e per funzionare richiedono maggiori risorse sia in termini di energia sia in
termini finanziari, ossia tasse.
Tutto ciò determina il fenomeno della cosiddetta produttività
marginale. Ossia a un incremento di risorse impiegate non corrisponde un uguale
incremento della produttività, anzi spesso questa persino diminuisce.
In realtà il fenomeno è ancora più complicato perché non riguarda soltanto gli
aspetti amministrativi ed energetici ma anche aspetti più genericamente sociali, quali
soprattutto etica e cultura.
Nell’esaminare il declino dell’impero romano Gibbon aveva ritenuto che ci
fosse stata una progressiva mutazione del carattere dei romani, e aveva anche
sottolineato il crescente peso dell’imposizione fiscale. Ma non si era potuto rendere
conto come il tracollo di Roma fosse stato un fenomeno molto rapido piuttosto che un
lento declino, come oggi ci viene mostrato da ricerche archeologiche che al tempo di
Gibbon non erano disponibili.
Anche se l’economia romana era prevalentemente agraria essa era pur tuttavia
fortemente urbanizzata e orientata ai commerci. Era un’economia raffinata e di
questa raffinatezza ci sono infinite tracce archeologiche nelle ceramiche rinvenute non
solo nelle città o nelle residenze signorili, ma anche in umili siti di contadini. In
pochi decenni, a partire dal V secolo, ossia poco dopo gli errori di Valente e Stilicone,
declino o rinnovamento?

questi manufatti, fabbricati al tornio da vasai di professione, sparirono e apparvero


rozze ceramiche create a mano. La storia dei “cocci”, come li chiama Bryan Ward-
Perkins costituisce un importante indizio, soprattutto perché è l’unico oggi
reperibile.
“…Noi non sapremo mai esattamente perché l’economia evoluta che si era
sviluppata sotto i Romani si dissolse. Le testimonianze archeologiche che sono tutto
quanto possediamo realmente, ci possono dire che cosa accadde e quando; ma di per
sé non possono fornire spiegazioni circa il perché…”

La società romana era una società raffinata anche negli strati sociali intermedi,
come si può constatare dagli straordinari rinvenimenti di Pompei: un documento
storico di ineguagliabile valore.
Anche l’odierna società è raffinata società del benessere, ma in essa c’è
qualcosa di più che è la crescente e incredibilmente vasta specializzazione delle varie
attività.
Alla fine dell’ Ottocento Emile Durkheim, analizzando la crescente
suddivisione del lavoro provocata dalla industrializzazione, osservava gli individui
diventavano sempre più dipendenti gli uni dagli altri, perché ognuno aveva bisogno di
beni forniti da altri che svolgono un lavoro diverso dal proprio. E pensava che tale
suddivisione potesse prendere gradualmente il posto della religione quale fondamento
della coesione sociale.
Ma se da un lato un’ampia diffusione di specializzazioni permette a una
comunità di essere complessivamente più produttiva dall’altro lato può generare dei
guasti sorprendentemente profondi e in un certo senso sconosciuti in società meno
evolute.
declino o rinnovamento?

Circa un decennio prima che Spengler avesse dato alle stampe il suo Il
Tramonto dell’Occidente un professore americano, Edward Alsworth Ross, aveva
pubblicato un libro, Sin and Society, oggi poco conosciuto ma ancora
sorprendentemente attuale.
Proprio all’inizio del suo libro Ross affermavava: “ Il peccato resta tale ma
esso sta modificando la sua natura durante lo sviluppo della società. E il peccato
moderno è caratterizzato dal mutualismo della nostra epoca. Col nostro modo di
vivere per quanti dei miei interessi vitali devo dipendere dagli
altri…L’interdipendenza ci mette alla mercè degli altri e così essa può generare
nuove forme di cattivi comportamenti”.
Al crescere dell’economia le imprese diventano sempre più impersonali, e
conseguentemente esse sviluppano un più ridotto senso di responsabilità individuale.
Se il comportamento di un’impresa danneggia un singolo individuo ciò non accade
per malizia, ma soprattutto per effetto di una struttura di specializzazioni ciascuna
delle quali persegue i propri profitti. L’effetto complessivo è quello di un
impoverimento morale dell’intera comunità con conseguenze non facilmente e
immediatamente individuabili.
Una parte crescente di uomini politici e di amministratori pubblici tende così
inevitabilmente a diventare corrotta.

Ma c’è ancora di più. Intorno al 1970 un economista inglese, Fred Hirsch,


aveva scritto un libro anch’esso quasi profetico, I limiti sociali dello sviluppo. In
questo libro Hirsch proponeva la tesi che non esistono possibilità di uno sviluppo
illimitato e che i reali limiti dello sviluppo sono sociali e non fisici. Una volta che
declino o rinnovamento?

vengano soddisfatti i bisogni di base (mangiare, vestirsi, dormire in un’abitazione,..)


i consumatori si orientano verso una quantità crescente di beni e servizi destinati a
soddisfare bisogni non fondamentali.
Questi bisogni, che Hirsch definisce posizionali, non possono essere
soddisfatti da tutti e contemporaneamente. Essi infatti sono caratterizzati da un'offerta
che non può essere aumentata più di tanto nel tempo, perchè essi sono limitati in
senso assoluto, come per esempio la vista di un certo paesaggio, o in senso sociale,
perchè la loro fruizione è deteriorata dall'eccessiva domanda, come per esempio
l’utilizzo di un’autostrada in una domenica pomeriggio.
Secondo Hirsch, poi, l’effettiva fruizione dei beni posizionali discende dallo
status sociale e dal reddito individuale, ma ciò relativamente allo status degli altri. La
mancata fruizione dei beni posizionali crea quindi nelle persone a più basso status
sociale una crescente frustrazione.
L’accesso ai beni posizionali ha creato anche una psicologia consumistica che
a sua volta ha spinto molte persone a cercare di guadagnare il più possibile, e ciò ha
finito col creare un eccesso di disuguaglianze sociali, in una misura e in una
dimensione che mai si era vista prima. Negli Stati Uniti l’uno per cento della
popolazione detiene ormai il 40% delle ricchezze.
La sobrietà che viene chiesta alle classi medie, che costituiscono la colonna
vertebrale delle nazioni occidentali, dovrà essere accompagnata da una profonda
revisione del modello capitalistico, e quindi da innovazioni non solo tecnologiche ma
anche etiche, perchè soprattutto queste ultime possono ridare vitalità a una società.
Il declino della moralità, in senso lato, contribuisce al declino di un’intera
civiltà. E anche Spengler nella parte finale del suo Il Tramonto dell’Occidente,
conscio evidentemente di questo problema, faceva appello al vigore di uomini
straordinari affinché essi potessero traghettare la comunità oltre le secche della Storia.
Ma lui stesso si rendeva conto che questi nuovi leader, forgiati sul tipo del Cesare
romano, sono in definitiva individui soprattutto astuti che sanno utilizzare denaro,
diplomazia e forza ai propri scopi. Nella visione di Spengler le civiltà sembrano
terminare in un cesarismo ricorrente e spesso pericoloso.

Roma e Washington: rassomiglianze e differenze

L’attualità di Spengler è stata in un certo senso riproposta, anche se


indirettamente, da uno storico americano, Samuel Huntington, recentemente
scomparso, autore di un saggio che è stato poi ampliato nel 1996 in un libro molto
controverso, Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale.
Come Spengler, Huntington dà notevole rilievo al ruolo della cultura e pensa
che il mondo possa essere suddiviso in civiltà piuttosto che in Stati. Sotto l’impeto
della globalizzazione la politica planetaria si sta ristrutturando secondo linee culturali
di cui bisogna comprendere le possibili divergenze.
Huntington individua nove diverse civiltà che si stanno reciprocamente
avvicinando o allontanando in funzione di somiglianze o differenze culturali. La
civiltà occidentale potrebbe declinare se non fosse in grado di comprendere appieno
questo fatto:
“ La mia ipotesi è che la fonte di conflitto fondamentale nel nuovo mondo in
cui viviamo non sarà sostanzialmente né ideologica né economica. Le grandi divisioni
declino o rinnovamento?

dell'umanità e la fonte di conflitto principale saranno legate alla cultura. Gli Stati
nazionali rimarranno gli attori principali nel contesto mondiale, ma i conflitti più
importanti avranno luogo tra nazioni e gruppi di diverse civiltà. Lo scontro di civiltà
dominerà la politica mondiale. Le linee di faglia tra le civiltà saranno le linee sulle
quali si consumeranno le battaglie del futuro. “
La tesi di Huntington può ricordare in parte Il Tramonto dell’Occidente,
proprio per il ruolo dato alle civiltà e alle culture nello sviluppo della Storia. Ma alla
fine la visione di Huntington, per diversi motivi, si è dimostrata incapace di resistere
alla critiche e inadeguata a raccogliere in un unico modello l’enorme complessità
delle storie delle diverse società di questa epoca.
Proponiamo allora una tesi diversa da quelle esposte da Vico, Spengler,
Huntington, e altri.
Il grande critico letterario Northrop Frye sosteneva che: ” Una
concezione ciclica della realtà è essenzialmente una deificazione della macchina:
cioè essa denota l’inamovibile tendenza della mente umana di inventare qualcosa e
poi di sottomettersi a quest’ultima. Appena la mente umana ha inventato la ruota ha
incominciato a immaginare proiezioni quali la ruota del fato o la ruota della fortuna,
ossia di qualcosa di più ineluttabile, misterioso e forte dell’uomo stesso. Sembra
paradossale che tali immagini proiettate vengano tratte quasi invariabilmente dalle
stesse invenzioni dell’uomo” (Byblical and Classical Myths,14).
Certamente la Storia resta ancora la nostra sola guida, e può insegnarci
infinite cose, ma non possiamo estrapolare il futuro dal passato soltanto immaginando
che ci siano cicli storici che si ripetono secondo un modello biologico ovvero
meccanico quale quello di una ruota.
Ci sono sicuramente molte e sorprendenti rassomiglianze tra
l’impero di Roma e quello di Washington, ma occorre anche tenere conto delle
sostanziali differenze. Caratteristica comune ai due imperi è certamente la
grandissima estensione. Le frontiere di Roma erano sul Danubio e sul
Reno mentre l’America di fatto è in grado di intervenire in qualunque parte del mondo
sia commercialmente, sia diplomaticamente, sia militarmente. Ma ci sono anche
grandi differenze. L’economia romana dipendeva sostanzialmente dall’agricoltura, e
in parte dai commerci, mentre l’America dispone di un’enorme infrastruttura
industriale che le permette di produrre almeno un quarto dei manufatti mondiali, ed è
assolutamente in posizione dominante nel mondo dell’ ICT e dei servizi avanzati.
Roma, nel periodo imperiale, era
continuamente scossa da lotte intestine mentre l’America è politicamente molto più
stabile. Roma subiva anche una
crescente pressione militare sui propri confini, mentre l’America dispone attualmente
di una tale supremazia militare che persino in un’epoca di evoluto terrorismo è tuttora
in grado di travolgere militarmente qualunque avversario. La situazione
complessiva è quindi meno negativa di quanto potesse immaginare Spengler. Inoltre,
come si vedrà meglio più avanti, la società occidentale nel suo complesso, e
soprattutto l’America, è tuttora in una fase di grande evoluzione tecnologica. L’ ICT
non ha ancora perso la sua spinta propulsiva e sembra tuttora in grado di fornire
ulteriori opportunità per una profonda evoluzione dell’economia. Se
esiste un meccanismo di ritorni marginali un’economia complessa, ma anche
adattativa, come quella nord-americana può ancora controllarlo e far tuttora crescere i
ritorni di investimento, come ampiamente dimostrato soprattutto da Internet e da tutto
declino o rinnovamento?

ciò che ruota intorno a tale infrastruttura.


Restano comunque ardui interrogativi sul futuro delle risorse
energetiche, sugli effetti climatici che il loro uso indiscriminato può causare, e,
occorre non dimenticarlo, un enorme problema di disoccupazione dovuto anche a
un’iperproduttività raggiunta attraverso un prodigioso sviluppo tecnologico.
Ma dobbiamo ricordarci che possiamo disporre
di due risorse fondamentali: le giovani generazioni e la tecnologia.

le giovani generazioni.

Sembra che oggi ci sia come un'esasperazione nel credere che la comunità
umana possa evolversi solo in funzione delle nuove tecnologie. Ma sembra anche che
ci si dimentichi dell’uomo e del suo ruolo insostituibile.
Le litografie di David Roberts, che ci accompagnano in questa analisi, sono
straordinariamente più belle di qualunque fotografia e dicono molto di più di quanto
qualunque foto potrebbe raccontare. Non sono il frutto di un occhio tecnologico ma
di un pensiero e di una riflessione profonda che interpreta la scena con la riflessione e
l’emotività di un’intelligenza superiore e la riproduce con una mano infallibile.
La società umana per non decadere e invecchiare ha costantemente
bisogno di nuova intelligenza, nuova originalità, nuove forze, nuovo pensiero. E chi
può darci tutto ciò se non la gioventù verso la quale gli anziani tendono a essere
sempre così critici. Ma forse aveva ragione Salvador Dalì quando diceva che ciò che
rende insopportabili i giovani agli anziani è proprio la consapevolezza di questi ultimi
di non farne più parte.
Questa fresca linfa di giovinezza che ogni anno viene immessa nella società
costituisce un apporto di insostituibile valore, per energia, originalità e nuovo sapere.
E il nuovo sapere vuol dire qualità della vita di ognuno: nella famiglia, nel lavoro,
nella salute, nella cultura, nell’ambiente e nel mondo intero.
L’ottanta per cento della popolazione nei paesi occidentali è
costituito oggi in gran parte di tre fasce d’età. I cosiddetti Boomers (nati tra il 1946 e
il 1964) costituiscono il 25% della popolazione. La Generazione X (1965–1981) il
26%. E, infine, la Generazione Y (1982–2000) il 28%. E’ bene riflettere su di un
fatto importante.
Le stesse condizioni economiche, politiche, tecnologiche e sociali agiscono in
modo differente sulle varie fasce di età. In particolare la tecnologia viene vista e
utilizzata in modo profondamente diverso. Se prendiamo a esempio quella dei telefoni
cellulari possiamo facilmente constatare che l’ultima generazione, la generazione Y ,
sta sviluppando un nuovo linguaggio con il quale comunicare i propri messaggi.
Ormai è tipico per un/a ragazzo/a che utilizzi la lingua più diffusa,
ossia l’inglese, scrivere sul proprio cellulare CUL83 invece del tradizionale see you
later: non solo è più breve ma diventa anche un simbolismo esoterico di appartenenza
a una specifica comunità.
Le esperienze acquisite durante l’infanzia creano un’ulteriore linea di
demarcazione tra le diverse generazioni. I Baby Boomers erano influenzati
dall’avvento della TV, dal Rock and Roll, dalla guerra in Vietnam.
declino o rinnovamento?

La generazione X dall’avvento del Personal Computer, dall’ AIDS, dal


multiculturalismo, dalle famiglie monogenitore e dal downsizing delle imprese.
L’attuale generazione Y è cresciuta nell’era di Internet, della televisione via
cavo, della globalizzazione e dell’ambientalismo. La generazione Y è sempre più
preoccupata dalla crescente disoccupazione e instabilità dei posti di lavoro, dai
crescenti costi delle abitazioni, dalle difficoltà di accesso ai mutui, e dal crescente
livello di conoscenze che occorre acquisire per poter competere nel mondo del lavoro.
Dalle precedenti generazioni la tecnologia veniva vista come un toccasana in
grado di favorire un sempre migliore futuro. Oggi non è più così. La generazione Y
non possiede più valori assoluti e, più in generale, si afferma un relativismo
multiculturale secondo il quale qualunque filosofia, religione o pratica è accettabile
fintanto che essa non danneggi gli altri.
Nella società contemporanea le relazioni interpersonali sono governate da un
continuo e crescente scambio di mini-transazioni quali sms, email, miniblogs, ..e ciò è
vero per quasi tutte le fasce di età. Ma la generazione Y ha conociuto solo questo
contesto comunicativo. Quasi da bambini attraverso la Tv e le carte di credito vedono
se steessi come clienti in presochè ogni contesto. Questa attitudine diventa per loro
quasi una seconda natura che si porteranno dietro anche là dove andranno a lavorare.
Le imprese che li acquisiranno deveno tenere conto di questa
mentalità transazionale che è presente in quasi tutti i comportamenti della generazione
Y e dovranno quindi riprogettare persino il modo di assegnare obiettivi e di retribuirli
se vorrano far leva sulle indubbie qualità di questi giovani.
La generazione Y è inoltre stranamente affascinata da qualcosa che è più della
tradizionale amicizia. Essa desidera la comunità: essere compresi, accettati, rispettati
e soprattutto inclusi. L’autostima nasce quando c’è accettazione da parte del gruppo
di cui si voglia fare parte. Il travolgente successo di Facebook ne è un esempio
eclatante.
declino o rinnovamento?

Inoltre la generazione Y manifesta una crescita di empatia, ossia di quella


che è la capacità di capire, sentire e condividere i pensieri e le emozioni di un altro in
una determinata situazione: detto molto più semplicemente la capacità di mettersi nei
panni degli altri. E questa empatia travalica città e nazioni, tanto che attraverso i
social network si stabiliscono contatti e si condividono interessi ed emozioni con altri
giovani, che quasi mai si sarebbero incontrati. Attraverso Internet, che questa
generazione ha pienamente adottato, sembra anche che per la prima volta si crei
un’unica famiglia allargata.
Aldo Manuzio aveva creato una biblioteca i cui confini erano il mondo, oggi
Internet crea una famiglia di giovani i cui confini sono anch’essi il mondo.
La generazione Y ha visto i propri genitori ricompensati per l’impegno
profuso: casa, vacanze, macchina, beni materiali,… Essa stessa in definitiva ne ha
beneficiato. Eppure ha anche constatato che spesso tale benessere è stato acquisito al
costo di matrimoni falliti, di genitori assenti, di compromessi che hanno casualmente
scoperto, e di un crescente stress che i genitori non sono riusciti a mascherare.
E’ quindi abbastanza disillusa, come lo è sempre la gioventù quando scopre la
faccia nascosta di una realtà complessa. Nasce quindi quasi spontaneamente la voglia
di abbandonare il modello della crescita economica.
Del resto i giovani non amano l’autorità, non amano i partiti politici, non
amano le organizzazioni centralizzate. E Internet consente loro di colloquiare tutti
insieme e in tempo reale in una strana forma di democrazia tecnologica.
E questo ci porta a un aspetto molto importante per le imprese che nel
prossimo futuro dovranno per forza contare su questa generazione. Quali sono le sue
reali motivazioni? Da esse discendono sia la qualità del lavoro sia il senso di
appartenenza all’impresa di cui faranno parte.
Da diverse analisi che sono state recentemente condotte si scopre che il salario
è solo al sesto posto in ordine di importanza nella scelta di un lavoro.
Training, stile di management, flessibilità sul lavoro, attività di staff, e
ricompense di tipo non economico sono più importanti.
Ma c’è soprattutto una diversa mentalità nell’approccio ai problemi che
sembra caratterizzare questa generazione, parlando ovviamente dei giovani più attenti
e che non sono pochi. Le imprese privilegiano lo studio e l’apprendimento, la
generazione Y vuole piuttosto sperimentare.
E’ questo un punto importante che richiede un’ulteriore
riflessione. Finora l’approccio ai problemi è stato tipo riduttivo-meccanicistico. Un
problema viene esaminato scomponendolo in elementi sempre più piccoli, in modo da
poterne studiare le proprietà. I singoli elementi sono la parte più importante e dalla
loro comprensione individuale si risale alla comprensione dell’intero problema.
Questo approccio porta inevitabilmente a una
proliferazione di specialisti, certamente indispensabili ma purchè non siano troppi e
purchè siano affiancati a generalisti che siano in grado, affrontando un problema, di
considerare non le singole parti ma piuttosto il loro insieme, visto quasi come un
unico organismo; rivolgendo quindi l’attenzione alle relazioni tra gli elementi
piuttosto che ai singoli elementi considerati individualmente.
La rapida evoluzione della società e della
tecnologia negli ultimi secoli è stata troppo travolgente per consentirci di
comprendere la realtà che ci circonda nei suoi aspetti più complessi: energia, clima,
società, etica,… Forse l’attuale complessità del mondo trascende una capacità di
comprenderlo che si è evoluta geneticamente attraverso migliaia di generazioni e che
declino o rinnovamento?

oggi sembra palesemente inadeguata.

Questo fenomeno sembra avere ulteriori implicazioni sull’odierna gioventù.


Mentre le generazioni precedenti puntavano sull’individuo in grado di reagire
rapidamente, nel quale potremmo riconoscere proprio lo specialista-individualista, la
generazione Y è costituita di giovani che vogliono integrarsi e che sono attratti dalla
socialità.
Potremmo allora sintetizzare alcune semplici regole di ingaggio da
parte degli imprenditori per ottenere da questa generazione quanto essa può dare con
generosità:

- un stile credibile: se si è meno che trasparenti il giovane Y se ne accorge


- capire che la generazione Y utilizza le nuove tecnologie con una rapidità e una
disinvoltura difficilmente eguagliabili, ma apprezza molto la spontaneità
- comprendere quale sia il loro stile comunicativo preferito, che può essere
tecnologicamente differenziato
- considerare che la generazione Y apprende se l’ambiente li coinvolge ed è
aperto alla discussione

economia, imprese e ruolo della tecnologia

La globalizzazione e la delocalizzazione, come anche l’attuale crisi


dell’economia, indicano che nel mondo del business è necessario sapersi muovere in
modo diverso, anche dal punto di vista dell’ ICT che è ormai parte integrante di ogni
impresa. Ciò anche vero in Italia dove il tessuto connettivo economico è
prevalentemente costituito di piccole e medie imprese (PMI).
Lo scopo di una PMI resta tuttora quello di vendere i propri prodotti o i propri
servizi. E per vendere è necessario oggi saper colloquiare meglio, rispetto agli anni
passati, con i propri clienti. Occorre quindi saper utilizzare tecniche di marketing più
evolute rispetto a quelle tradizionali e in grado di coinvolgere più intensamente la
clientela.
Ma se ancora qualche anno fa un marketing d’avanguardia sembrava essere
quasi oltre l'orizzonte economico di una PMI, perchè occorrevano capitali non irrisori
per pensare di promuovere un prodotto, ora non è più così, almeno in certi contesti.
Sono disponibili nuove metodologie comunicative. Si può fare marketing
estremamente creativo e a basso costo utilizzando il Web in generale e il cosiddetto
Web 2.0 in particolare.
declino o rinnovamento?

Si è ormai ben compreso che è in atto una vera e propria rivoluzione nel modo
con il quale le persone individuano e scelgono le imprese con le quali fare business.
Oggi, in pratica, quasi ognuno si rivolge innanzitutto a Internet per acquistare
un bene o un servizio. Si può iniziare con una ricerca attraverso Google o Yahoo,
oppure si possono inviare messaggi per avere un consiglio a parenti o amici attraverso
e-mail, Facebook, Twitter, o altro ancora.
E le imprese che otterranno attenzione non sono necessariamente le più grandi,
o le più famose, o quelle che hanno più pubblicità in TV, ma piuttosto quelle che
hanno la migliore visibilità sul Web. Durante il 2009 negli USA sono stati investiti
oltre 1.2 miliardi dollari in pubblicità su social network. E non sottovalutiamo il fatto
che la audience di Facebook è molto più grande di quella di qualsivoglia TV. In
Inghilterra il 17% delle PMI utilizzano Twitter.
Nasce così un nuovo tipo di marketing, il cosiddetto inbound marketing
(letteralmente marketing di ritorno), rispetto al tradizionale outbound marketing
(ovvero marketing in uscita) che prevede risorse fisiche spesso inefficaci.
Non è più necessario ricorrere a dispendiose campagne pubblicitarie sui canali
tradizionali, quali stampa e TV, come non è più necessario disturbare le persone con
telefonate a casa nelle ore più inconsuete.
L’impresa che ha saputo creare intelligentemente la propria imagine (brand,
prodotti e/o servizi), online, viene individuata attraverso motori di ricerca o siti come
Facebook, Youtube, Twitter,…Siti che decine e decine di milioni di utenti visitano
ogni giorno.
Nell’ambito dell’editoria il successo, dopo iniziali esitazioni, è stato
travolgente. Amazon sta creando le basi per un’ulteriore rivoluzione, quella del libro
virtuale che viene distribuito e letto online a un costo nettamente inferiore a quello
tradizionale e con la possibilità di muoversi avendo con sè un’intera biblioteca
(virtuale).
declino o rinnovamento?

Ma non è tutto. Amazon ha indicato come i lettori possano inserire commenti


online, giudicare la qualità del libro, confrontare recensioni, dialogare tra loro,
individuare edizioni usate, rare o di pregio, ovunque nel mondo, potendo disporre al
tempo stesso di una galassia di subfornitori che possono vendere a costi persino
inferiori.
Internet è tutt’altro che la morte della lettura: chi lo sostiene non ha compreso
nulla.
Le nuove possibilità di marketing sono in realtà molto complesse e in
continua evoluzione e discendono in grande misura delle possibilità offerte dalla
tecnologia ICT, in continua evoluzione, nella quale possiamo individuare almeno
quattro macrotendenze particolarmemente significative.

- la ricerca delle informazioni digitali


La creazione di informazioni in forma digitale sta superando la nostra
capacità di utilizzarle: nasce così un vero e proprio sovraccarico di
informazione. Con continui aggiornamenti miliardi di pagine Web sono quasi
in lizza per il nostro tempo. Come districarsi in un simile coacervo? Il
grandissimo Borges, già nel 1941, aveva già compreso, con un intuito
prodigioso, come l'uomo potesse andare incontro a una simile confusione nella
ricerca delle informazioni.
Infatti nella Biblioteca di Babele egli scriveva: " L'universo (che altri chiama
la Biblioteca) si compone di un numero indefinito, forse infinito, di gallerie
esagonali ... Quando si proclamò che la Biblioteca comprendeva tutti i libri,
la prima impressione fu di straordinaria felicità. Tutti gli uomini si sentivano
padroni di un tesoro intatto e segreto. Non v'era problema personale o
mondiale la cui eloquente soluzione non esistesse: in un qualche esagono.
L'universo era giustificato, l'universo attingeva bruscamente le dimensioni
illimitate della speranza...Alla speranza smodata, com'è naturale, successe
una eccessiva depressione. La certezza che un qualche scaffale d'un qualche
esagono celava libri preziosi e che questi libri preziosi erano inaccessibili,
parve quasi intollerabile... Sappiamo anche d'un'altra superstizione di quel
tempo: quella dell'Uomo del Libro. In un certo scaffale d'un certo esagono
(ragionarono gli uomini) deve esistere un libro che sia la chiave e il
compendio perfetto di tutti gli altri: un bibliotecario l'ha letto, ed è simile a un
dio...Come localizzare l'esagono segreto che l'ospitava? Qualcuno propose un
metodo regressivo: per localizzare il libro A, consultare previamente il libro
B; per localizzare il libro B, consultare previamente il libro C; e così
all'infinito... In avventure come queste ho prodigato e consumato i miei anni.”
Ma Borges non poteva immaginare che sarebbero veramente nati gli Uomini
del Libro, ossia i motori di ricerca, come Yahoo o Google. I motori di ricerca
stanno diventando uno dei pilastri della complessa infrastruttura ICT che
sostiene l’odierna società mondiale. Il numero di richieste (search) giornaliere
ha probabilmente superato i 400 milioni al giorno, ossia quasi 5000 richieste al
secondo, delle quali oltre 3000 servite da Google. Occorre riflettere, e
troppo spesso lo si ignora o lo si dimentica, sul fatto che l’utente desidera la
risposta immediatamente, altrimenti si distrae. Ciò significa che la capacità
elaborativa di un’impresa come Google è formidabile. Non si sa esattamente
quanti siano i microprocessori contemporaneamente utilizzati (e distribuiti
geograficamente in vari cluster), ma probabilmente il loro numero non si
declino o rinnovamento?

discosta di molto dal milione di unità. Questo già fa comprendere l’enorme


strategicità di un simile soluzione ingegneristica, basata su di un algoritmo
proposto in una tesi di laurea da due giovani studenti americani: questo è il
progresso! E oggi le persone possono ottenere in pochi secondi informazioni
di qualunque genere; informazioni che ancora qualche anno fa avrebbero
richiesto lunghe ricerche in biblioteca, complicate riflessioni su come e cosa
cercare, e via dicendo. E’ difficile valutare oggi quale possa essere l’impatto
sulla società di una simile rivoluzione culturale. Un raffronto potrebbe
sembrare azzardato ma potrebbe essere utile per un’ulteriore riflessione sulla
natura di Internet e dei motori di ricerca. Com’è noto Gutenberg, per primo,
aveva stampato alcune copie della Bibbia. Ma Gutenberg era un orafo e come
tale non aveva la sensibilità culturale per comprendere veramente cosa fosse
un libro e quale rivoluzione egli stesse avviando. Fu Aldo Manuzio che intuì
veramente l’essenza di questa rivoluzione, la rivoluzione silenziosa, e inventò
il libro quale oggi noi lo conosciamo. Gutenberg si era limitato a riproporre
tipograficamente le Bibbie che già gli amanuensi copiavano faticosamente a
mano. Aldo invece creò il libro nel formato portatile che noi conosciamo,
diviso in capitoli, con maiuscole e minuscole, con le pagine numerate, con gli
indici, con caratteri tipografici di straordinaria bellezza. E a piene mani attinse
alla Biblioteca Marciana di Venezia per proporre all’Europa intera Platone,
Aristotele,…donando così un tesoro culturale fino allora noto solo a
pochissimi. Erasmo da Rotterdam, con straordinario intuito, comprese ciò che
ad altri era sfuggito ed esclamò: “Aldus bibliothecam molitur, cuius non alia
septa sint, quam ipsius orbis” (ovvero, Aldo crea un biblioteca le cui mura
sono il mondo!). Internet e i motori di ricerca stanno creando premesse
analoghe per una rivoluzione che è molto di più che non l’informatizzazione di
paghe e stipendi, o del controllo della produzione o dei conti correnti di una
banca. Vedremo meglio più avanti che proprio qui si gioca la partita del nuovo
business. Il software applicativo gestionale resta fondamentale per le imprese,
ma nascono ben altre opportunità. Le persone infatti utilizzano i motori di
ricerca per un’ampia varietà di scopi tra cui anche quello di individuare e
comprare prodotti e servizi. Anche durante l’attuale lunga recessione
economica si è constatato che il commercio elettronico durante il 2008 ha
generato negli USA 32 miliardi dollari. E non è tutto. Si è anche notato che
l’interazione online (ossia le ricerche via Internet) generano esse stesse un
business offline. Un recente studio di Yahoo ha indicato che per ogni dollaro
speso per pubblicità online sono stati generati sei dollari di acquisti offline.
Anche uno studio di Nielsen ha mostrato effetti simili. Sono ormai molti di più
coloro i quali utilizzano motori di ricerca piuttosto che pagine gialle. Ma
quello che sorprende è quanto queste analisi siano ancora in una fase
embrionale e tuttavia spesso ricca di constatazioni sorprendenti. Si sa ormai
che nelle ricerche la maggior parte degli utenti proprone una o al massimo due
parole al motore di ricerca. Ma si vede anche che, anno dopo anno, crescono
percentualmente molto di più le ricerche con più parole, e ciò soprattutto nelle
classi più abbienti: questo è un chiaro indice di un nuovo tipo di
alfabetizzazione di cui il business dovrà tenere conto. Ma si è anche studiato
come si muovano gli occhi di chi osserva una pagina Web. E si è visto che
quest’ultima appare in prima istanza come una grande F, con gli occhi che
generalmente puntano subito al vertice in alto a sinistra, per poi muoversi
declino o rinnovamento?

prima verso il centro e poi lungo i due assi della lettera F, senza quasi mai
puntare in basso a destra. E’ intuitivo che chi voglia catturare l’attenzione
dell’utente dovrà tenere conto di questo fatto. Il tema dei motori di ricerca è un
tema di enorme importanza per la società, per l’economia e per la cultura in
generale e le conseguenze indotte da queesta tecnologia saranno certamente di
grande rilevanza.

- le reti sociali
Un’altra importante conseguenza provocata dalla diffusione di Internet è la
creazione per mezzo di opportune applicazioni software di molteplici social
network (ovvero reti di relazioni sociali), che vengono a costituirsi tra
individui per stabilire contatti in ambiti differenti, come professioni, amicizie,
relazioni sentimentali,… Nell’ambito di queste reti si possono creare profili
individuali, stabilire liste di contatti, inserire informazioni personali quali
fotografie, e scorrere i contatti stessi. Le caratteristiche della specifica rete ne
determinano l’utilità per le persone che ne fanno parte. Attualmente alcune di
queste reti sociali, come Facebook, Myspace, Twitter, Linkedln, stanno
crescendo vertiginosamente, tanto che il numero di contatti giornalieri su
Facebook sembra abbia persino superato quelli di Google. Da molti decenni
sono stati condotti diversi studi sulla natura delle reti sociali in generale, per
comprendere la psicologia delle persone che ne fanno parte, le loro abitudini, i
vantaggi, i pericoli, i limiti,… Si è anche cercato di comprendere come reti
sociali diverse possano interagire. Le reti sociali sono ormai una realtà così
concreta da richiamare anche l’attenzione del mondo del business in quanto le
imprese possono utilizzarle sia per la gestione del propri personale sia per
quella dei clienti, potenziali o acquisiti. Ci sono certamente aspetti negativi, tra
cui soprattutto l’enfasi verso il protagonismo di chi vuol far parte di un rete.
Su Facebook ci sono persone che elencano fino a 500 amici, quando l’ormai
classica analisi di Robin Dunbar (tra i primati la dimensione del gruppo
sociale è limitata dall'estensione della neocorteccia) limita a 150 il numero di
persone con le quali un individuo può in realtà interagire normalmente. Un
numero che l’antropologia indica come tipico di un villaggio e che sembra
persino legato alla capacità mentale di riconoscimento dei diversi membri di
un gruppo. Al di là di questi aspetti psicologici occorre però porre attenzione
alle possibilità di business che le reti sociali online offrono oggi alle imprese.
Da indagini recentemente effettuate si è constatato che le reti sociali sono
ormai entrate a far parte della vita di imprese medie, grandi e piccole, perchè
le imprese stesse sono consce delle opportunità che tali reti possono offrire nel
rapporto con clienti attuali e potenziali. Le reti diventano una preziosa risorsa
per conoscere preferenze e opinioni relative all’impresa e ai suoi
prodotti/servizi. Ormai sembra che la maggior parte delle imprese esaminate
nelle varie indagini conoscitive sia orientata a dedicare parte delle proprie
risorse proprio alla comunicazione attraverso le reti sociali, tra cui soprattutto
Facebook, ma anche piattaforme di microblogging quali Twitter. Sembra che
ci sia una crescente consapevolezza nelle imprese sull’importanza delle reti
sociali per ottimizzare la comunicazione con il mercato e per migliorare
l’immagine d’impresa. La società americana di ricerca Forrester prevede per
il software denominato Web 2.0, che include i social network, una crescita
del 43% l' anno (dai 764 milioni di dollari del 2008 ai 4,6 miliardi nel 2013).
declino o rinnovamento?

Ciò rappresenta tuttavia meno dell' 1% rispetto alla spesa globale delle grandi
imprese per il loro software. E’ pur vero che la strategia è ancora in gran parte
in fase sperimentale perchè pur comprendendone le potenzialità non si sa
ancora bene come metterla pienamente a frutto. Ci sono infatti anche dei
fattori di rischio, soprattutto per l’immagine d’impresa, se la presenza sulle
varie reti sociali non viene progettata adeguatamente.

- la realtà aumentata

La realtà virtuale è un mondo, alternativo a quello reale, nel quale si


percepisce attraverso una stimolazione sensoriale, soprattutto ottica, simulata
da un computer ciò che altrimenti non sarebbe possibile percepire. Di fatto la
percezione viene ingannata dal computer che ci dà l’impressione di muoverci
nella realtà virtuale come se fossimo immersi in un ambiente fisico reale. Il
primo grande contatto di massa con la realtà virtuale, anche se si trattava in
realtà di un ibrido tra reale e virtuale, è avvenuto probabilmente con il film
Jurassic Park nel quale il realismo delle scene con i dinosauri ha raggiunto per
la prima volta livelli di credibilità tali da coinvolgere completamente gli
spettatori. E ciò è stato reso possibile da applicazioni software, appositamente
costruite, che hanno permesso di trattare ogni dinosauro con una straordinaria
fedeltà ai modelli scientifici. Nella memoria del computer sono state inserite
migliaia di fotografie di dettagli fisici quali scaglie e rugosità del corpo di
rettili, i loro riflessi, gocce d'acqua sulla pelle, occhi vetrosi, denti giallastri, e
via dicendo. La capacità di elaborazione del computer è riuscita ad animare
questi modelli consentendo una vera e propria smaterializzazione delle scene
da filmare, con gli attori che recitavano in assenza dei dinosauri, i quali ultimi
venivano opportunamente re-inseriti in una fase successiva. Così una società
moderna ha potuto rivivere in parte l’illusione di coesistere per un paio di ore
con quei mostri che tutti abbiamo fantasticato da bambini. Naturalmente la
realtà virtuale può produrre ben altre applicazioni e può mescolarsi con la
realtà fisica in modi assolutamente inimmaginabili prima dell’avvento del
computer, e soprattutto prima della vertiginosa crescita della capacità di
calcolo di quest’ultimo. Oggi però la sovrapposizione di elementi virtuali e
multimediali a immagini video può favorire un ampio spettro di attività, che
richiedono un’interazione dinamica tra l’utente e le informazioni di cui vuole
fruire, dando luogo a un nuovo tipo di possibilità complessivamente
denominate realtà aumentata (augmented reality). Nella realtà virtuale si
osserva in definitiva su di uno schermo la proiezione di un mondo totalmente
fittizio e costituito interamente di oggetti virtuali. Nella realtà aumentata,
invece, non si è vincolati a una visualizzazione su di uno schermo, ma
qualsiasi superficie può diventare un supporto per visualizzare il flusso video
in realtà aumentata; ciò che viene ripreso, inoltre, è un’integrazione fra
immagini reali e oggetti virtuali. Per esempio possiamo immaginare di guidare
la nostra autovettura osservando la strada di fronte a noi. In realtà aumentata
potremmo vedere oltre alla strada e al panorama informazioni digitali sulla
velocità alla quale ci muoviamo, sulla larghezza della carreggiata, sulla
temperatura e sull’umidità dell’aria,… senza staccare gli occhi dalla strada, ma
ricevendo le informazioni proiettate sul parabrezza in forma quasi trasparente.
declino o rinnovamento?

Si può allora facilmente immaginare quanto queste applicazioni possano


diventare ben più complesse e utili: basti pensare tra tutte alla chirurgia.
Quante cose potrebbe vedere e utilizzare il chirurgo durante un’operazione.
Ma ci sono enormi potenzialità, che si cerca di sviluppare e valorizzare,
anche nel marketing e nella pubblicità. In tal senso, infatti, cominciano a
diffondersi esempi di realtà aumentata che mirano alla promozione di prodotti
(come automobili e cellulari), muovendosi in un ambito vastissimo nel quale
la creatività può generare soluzioni funzionali e persino divertenti.

- il cloud computing
si assiste attualmente a una nuova forma di centralizzazione delle applicazioni
software verso un’entità più complessa che, con un’azzardata metafora, viene
denominata “cloud computing” ossia una vera e propria nuvola di risorse
informatiche. L’evoluzione verso questo nuovo modello è una naturale
conseguenza dell’attuale disponibilità di reti trasmissive sempre più efficienti
e a buon mercato e di microprocessori di crescente capacità elaborativa a
minor costo. Il nuovo modello di computing sembra molto attraente sia per gli
utenti individuali sia per le imprese,soprattutto medio-piccole, sia infine per I
fornitori di servizi IT. Gli utenti, infatti, potranno notevolmente ridurre le loro
installazioni di software e conseguentemente i costi dei loro sistemi. Molti
servizi offerti dal cloud computing verranno persino offerti gratuitamente in
virtù di spazi pubblicitari. Al tempo stesso le imprese potranno ridurre la
complessità e i costi di manutenzione dei loro sistemi dal momento che gran
parte dei servizi richiesti dagli utenti verranno forniti attraverso un browser, e
quindi dalla “nuvola”. Infine i fornitori dei servizi di cloud computing
potranno fare leva sulle economie di scala che potranno ottenere dalla messa
in comune di specifiche risorse. Uno dei servizi più tipici che oggi viene
richiesto è quello della posta elettronica, le cosiddette e-mail. Perchè allora
un’impresa o un’organizzazione, come per esempio un’università, dovrebbe
installare un mail server quando questo servizio potrebbe essere fornito, in un
modo non dissimile dalla fornitura della corrente elettrica, da aziende come
Google o Microsoft.

Vengono così a crearsi molte nuove possibilità attorno alla tradizionale


colonna vertebrale di una PMI; colonna vertebrale che resta ancora il software
applicativo gestionale, il cosiddetto ERP (Enterprise Resource Planning).
Fino a poco tempo fa era sufficiente far colloquiare l'ERP con le
macchine a controllo numerico, mentre oggi la sfida tecnologica è piuttosto quella di
far colloquiare le PMI con il mercato non solo attraverso le possibilità offerte da
Internet, come appena visto, ma anche utilizzando più evolute tecniche di
comunicazione multimediale interattiva.
Le nuove tecnologie della comunicazione sono infatti molto più flessibili e
innovative rispetto a quelle tradizionali della televisione e del telefono. E’ soprattutto
in atto una complessa convergenza dei media che diventerà sempre più importante
non solo dal punto di vista tecnologico ma anche da quello del business.
Cerchiamo allora di approfondire il tema della convergenza multimediale.
declino o rinnovamento?

Web e TV stanno convergendo

E’ diventato d’uso comune il termine piattaforma per indicare genericamente


il dispositivo attraverso i quale si stabilisce un particolare canale comunicativo.
Alcune piattaforme comunicative sono ormai ampiamente consolidate, anche se
tuttora in evoluzione, come la telefonia e la televisione. Altre sono apparse più
recentemente, come i Personal Computer, i telefoni cellulari e anche i dispositivi
ibridi, quali i cosiddetti set- top box che consentono di utilizzare tecnologie
tradizionali, come la TV, anche in ambito digitale.
Lo scenario complessivo risulta alla fine abbastanza complicato perché molte
delle predette tecnologie possono sovrappporsi o convergere verso dispositivi comuni
multifunzionali. Diventa così possibile entrare nel Web da un televisore, oppure
guardare un programma televisivo sullo schermo di un Personal Computer o su quello
di un telefono cellulare.
Come si articola, a grandi linee, questa evoluzione tecnologica e che impatto
potrà avere sull’economia e sulla società?
Cerchiamo allora di descrivere in modo semplificato quale tipo di convergenza
tecnologica potrà stabilirsi tra le varie piattaforme.

- l’evoluzione della televisione

Da molti decenni la televisione è diventata forse il principale canale di


comunicazione della società. Il numero di ore che mediamente un individuo passa di
fronte al televisore è oggetto di continue analisi da parte di sociologi, medici, politici
e studiosi di vario tipo.
Per molti decenni la struttura tecnologica della televisione è rimasta
sostanzialmente stabile, a parte una naturale evoluzione verso il colore e verso una
programmazione di tipo commerciale.
Oggi però lo scenario può cambiare profondamente. Infatti da una parte la TV
tradizionale potrebbe in qualche modo entrare nel Web, come un Personal Computer,
e quasi simmetricamente diventa possibile trasmettere al Personal Computer
programmi televisivi.
A ciò si aggiunge poi la disponibilità di un dispositivo multifunzionale, quale
il telefono cellulare, che può esso stesso diventare un punto di accesso ai programmi
televisivi.
declino o rinnovamento?

C’è da aggiungere che anche gli schermi si sono profondamente evoluti e sia
le loro dimensioni che la loro qualità di immagine si sono enormemente perfezionate.
E con ciò si comprende come sia diventato possibile disporre su piattaforme diverse
di una base tecnologica comune.
Infine c’è da considerare che la presenza di microprocessori in tutte le diverse
piattaforme consente un utilizzo sempre più evoluto dell’altra componente
fondamentale dell’ ICT, ossia il software.
Tutti questi dispositivi sono quindi in grado di partecipare di quella
straordinaria infrastruttura che si sta rivelando Internet.
Allora ci si può domandare quali possano essere le probabili prossime
evoluzioni e quali le opportunità che esse offriranno alla società in generale e
all’economia in particolare.
Innanzitutto dobbiamo considerare la televisione tradizionale che viene ancor
oggi utilizzata dalla quasi totalità degli utenti TV. E’ possibile trasformarla in un
punto d’ingresso verso Internet?
All’inizio del 2010 Google, Intel e Sony hanno convenuto di sviluppare una
comune strategia per portare Internet su nuovi modelli di televisore. In tale modo
queste tre aziende pensano di estendere l’utilizzo di Internet anche agli utenti della
televisione tradizionale.
Già esistevano alcune possibilità di fare ciò per mezzo di televisori e set-top
box opportuni, ma in modo limitato.
La strategia di Google dei suoi partner è quella di utilizzare un software
evoluto (il sistema Android già sviluppato per il cosiddetto smartphone) per offrire
un’interfaccia televisiva che permetta di attivare le funzioni Internet, quali soprattutto
le ricerche (search) e per scaricare sul televisore applicazioni diverse, quali video
Youtube, giochi elettronici, social network e altro ancora,…
Se questa strategia avrà successo gli impatti sul mondo del marketing, e della
publicità in generale, saranno certamente rilevanti.
declino o rinnovamento?

Dal punto di vista del dispositivo televisivo si può pensare all’utilizzo di un


set-top box intelligente che interfacci il normale televisore oppure a un televisore di
nuova generazione che incorpori un microprocessore (quale per esempio il recente
Atom di Intel).

IPTV e Internet TV

Negli ultimi anni l’industria televisiva aveva già ampliato le sue possibilità
attraverso l’utilizzo di servizi forniti via cavo o via satellite.
La disponibilità del protocollo trasmissivo IP (tipico di Internet) permette ora
all’industria dei programmi televisivi ampliare ulteriormente la sua offerta.
Oggi vengono così ad aggiungersi due nuove possibilità denominate
rispettivamente IPTV e Internet TV. Tra le due ci sono differenze tecniche abbastanza
sottili che esulano però dagli obiettivi della nostra analisi.
Per dirla in modo semplificato possiamo affermare che l’IPTV può essere
paragonato alla televisione via cavo mentre la Internet TV può ricordare in un certo
senso la televisione tradizionale.
La reale differenza è nei contenuti trasmessi che non nelle tecniche di
trasmissione.
La IPTV utilizza una rete privata con la quale i contenuti trasmessi (per
esempio un film) sono di alta qualità e fortemente protetti da forme di pirateria o altro.
In sostanza i canali di trasmissione utilizzano il protocollo IP attraverso una rete
privata.
Invece la Internet TV utilizza la rete publica Internet che è evidentemente
molto più capillare ma anche di minore qualità (per un più ridotto bandwidth) e meno
protetta.
A prima vista potrebbe sembrare che la Internet TV sia più idonea per la
cosiddetta long-tail economy (l’economia di coda lunga), ossia per raggiungere
qualsivoglia nicchia di mercato.
In altri termini, soprattutto per una PMI, il nuovo canale di comunicazione
consente di adottare una strategia di coda lunga secondo la quale quale l’utente
arriverà con maggior facilità e precisione a prodotti di nicchia meno ricercati,
evitando così alla PMI stessa di competere su pochi prodotti di massa, in grado di
generare sì grandi volumi ma sui quali la concorrenza è spesso elevatissima.
Utilizzare il PC come schermo per guardare i programmi TV può consentire
poi all’utente di operare in multiprogrammazione, ossia può permettere di alternare
(con la frequenza gradita dall’utente) attività di lavoro ad attività di intrattenimento,
con una notevole flessibilità di utilizzo.
In generale, quindi, i video trasmessi su Internet TV sono più brevi e di minore
qualità rispetto per esempio ai film trasmessi sullo schermo TV di una IPTV.
Ma la distinzione è abbastanza fluida e ambedue i modelli hanno ampie zone
di sovrapposizione così come entrambi hanno notevoli opportunità di mercato. E’
difficile dire oggi quale potrà prevalere ed è piuttosto probabile che per un certo
tempo almeno coesisteranno.
Inoltre la disponibilità di dispositivi sempre più versatili consente in effetti di
poter fruire indifferentemente di programmi televisivi sul computer così come dei
servizi Internet su televisori apparentemente tradizionali.
declino o rinnovamento?

In definitiva la società nel suo complesso si sta muovendo verso un ambiente


multipiattaforma che, almeno a breve, non convergerà verso un unico dispositivo
multifunzionale.
C’è infine da osservare che le immagini potranno essere proposte anche in tre
dimensioni. L’ultima generazione di televisori ad altissima definizione per mezzo di
schermi più sofisticati, di riprese più complesse e di appositi occhiali, consente di
vedere immagini che, come nell’ormai celebre fim Avatar, sembrano uscire dallo
schermo dando allo spettatore la sensazione di entrare egli stesso nell’azione di un
film o di partecipare a una partita di calcio, come se fosse presente a bordo campo.
E’ intuibile che il marketing e la pubblicità sapranno utilizzare questa
tecnologia per applicazioni che oggi hanno un limite forse solo nella capacità della
fantasia umana.
Le conseguenze per la società, almeno per il momento, non sono nemmeno
ipotizzabili.

Mobile Web 2.0

Le tecnologie del Web e dei telefoni cellulari sono in costante evoluzione. I


cellulari, in particolare, incorporano sempre più funzioni tipiche di un computer.
L’obiettivo è chiaramente quello di assicurare alle persone una crescente
mobilità non solo nella vita privata ma anche nel lavoro.
Si sta quindi diffondendo un nuovo paradigma, denominato Mobile Web 2.0
che sintetizza la strategia di distribuire dati e informazioni in rete consentendo al
tempo stesso all’utente di prelevarli quando necessario.
Le maggiori aziende di telecomunicazioni hanno così visto crescere la
domanda di sempre più evoluti servizi di accesso alla rete da parte dei telefoni
cellulari. Le nuove generazioni di cellulari offrono quindi funzioni multimediali
evolute che integrano Web e telefonia.
La maggiore difficoltà attuale è piuttosto nella mancanza di standard
industriali sui telefoni cellulari e quindi nella incompatibilità di tali cellulari con
specifiche applicazioni Web: spesso alcune pagine Web sono incompatibili con certi
dispositivi.
Ma lo scenario è destinato a evolversi rapidamente e finiranno con l’affermarsi
solo alcune architetture attraverso le quali sarà possibile una maggiore compatibilità
con Internet.
Quali sono al momento le maggiori barriere tecnologiche?
Innanzitutto le dimensioni dello schermo. Uno schermo di grandi dimensioni
comporta anche grandi dimensioni del telefono cellulare e viceversa un piccolo
schermo riduce lo spazio disponibile per l’utente.
La navigazione attraverso le informazioni fa ora un ampio uso di tecniche
touch-screen, ma le tecniche joystick/flicker sembrano tuttora più amichevoli (user
friendly).
Le tecnologie fondamentali del Web, ossia Flash, Javascript e cookie,
diventeranno standard in tutti i dispositivi mobili.
La larghezza di banda, infine, è maggiore su di un computer che non su di un
cellulare.
declino o rinnovamento?

Le conseguenze dell’affermarsi di simili tecnologie sarà rilevante per il


business. Potendo disporre di applicazioni Web interattive su dispositvi cellulari le
possibili offerte di prodotti e servizi diventano molto più articolate, flessibili e facili
da utilizzare, La pubblicità stessa potrà utilizzare sempre meglio i cellulari fino a far
diventare questi ultimi il suo canale privilegiato, soprattutto in vista di un’aumentata
mobilità delle persone.
La convergenza di Web e telefonia mobile sta già avendo un rilevante impatto
sul mondo della stampa. Giornali e libri possono ormai essere distribuiti via Internet a
costi nettamente inferiori rispetto al tradizionale mondo della carta. E’ stato osservato
recentemente che il New York Times potrebbe regalare ai suoi abbonati il dispositivo
di accesso (per esempio Kindle) perchè il risparmio sul costo della carta ripagherebbe
la testata del costo del dispositivo stesso.

mobilità: una rivoluzione copernicana

La tradizionale visione del mondo mutuato dalla rivoluzione industriale, ossia


quella di persone che si spostano in un ambiente tutto sommato geograficamente
ristretto, nel quale trascorreranno gran parte della loro vita, sta mutando.

Lo scenario viene per così dire ribaltato, quasi in modo copernicano, con gli
ambienti che ruotano intorno alle persone e non viceversa. Il mondo diventa più
individualistico e anche più democratico e le persone aumentano la loro mobilità sino
a diventare cittadini globali, ossia quasi degli apolidi che vivono là dove trovano le
migliori opportunità.
declino o rinnovamento?

La gente cambia residenza, attività, e persino famiglia e molti cominciano a


lavorare da casa. Ma ciò non deve preoccupare chi si occupa di produttività.
Il terremoto del gennaio 1994 in California aveva distrutto molte vie di
comunicazione, soprattutto parti del sistema di highway che è il fondamento del
sistema di trasporti intorno a Los Angeles. Una grande quantità di persone fu così
costretta a restare a casa da dove comunque continuava a lavorare. Il risultato quasi
sorprendente fu che la produttività di alcune imprese durante questo periodo persino
migliorò poichè le persone perdevano meno tempo nei trasferimenti.
Ormai attività tradizionali come insegnamento, cure mediche, e funzioni di
socializzazione avvengono attraverso un flusso elettronico di informazioni tra punti
persino distanti.
La tecnologia ci aiuta così a modificare comportamenti acquisiti da migliaia
di anni e ciò comporta evidentemente profonde mutazioni psicologiche.

declino o rinnovamento ?

La grande ondata di innovazioni tecnologiche cui stiamo per assistere e che si


accompagnano ad altre significative innovazioni nella medicina, nella biologia,
nell’agricoltura, nella generazione dell’energia, nella comprensione dei modelli
climatici oltre che, più in generale, nella matematica e nella fisica, ci fanno pensare
che la civiltà attuale non sia ancora realmente in declino.
Se limitiamo il nostro campo di osservazione alla sola economia e alla
tecnologia che più la influenza, ossia l’ICT, constatiamo che negli ultimi anni, e
soprattutto in America, sono state realizzate alcune innovazioni, e quasi sempre da
parte di giovani (se non di giovanissimi), come Amazon, eBay, Facebook, Google,
Netflix, Twitter, Wikipedia, il cui impatto sulla società, soprattutto giovane, è stato
travolgente.
Si levano grida di allarme sul fatto che così si leggerà di meno e sul fatto che
diminuirà la capacità di concentrazione. Sembra quasi di ascoltare le parole che il re
egiziano Thamus, nel Fedro di Platone, rivolge a Theuth, inventore della scrittura:
«Tu offri ai discenti l'apparenza, non la verità della sapienza; perché
quand'essi, mercé tua, avranno letto tante cose senza nessun insegnamento, si
crederanno in possesso di molte cognizioni, pur essendo fondamentalmente rimasti
ignoranti e saranno insopportabili agli altri perché avranno non la sapienza, ma la
presunzione della sapienza»
In realtà si comincia a pensare in un modo forse diverso, ma si pensa e anche
tanto. I ricercatori sono molti di più rispetto a un secolo fa. Un dato su tutti può dare
la misura di quanto intense siano la ricerca e la innovazione nel solo software. L’
Iphone di Apple ha avuto un tale successo di mercato che dalla sua apparizione, a
tutto aprile 2010, sono state sviluppate oltre 185.000 nuove applicazioni solo per
questo dispositivo (disponibili su App Store).
Se crediamo, come Spengler, che ci sia un declino intellettuale riflettiamo su
alcuni fatti.
Dei 23 fondamentali problemi di matematica che erano stati presentati da
David Hilbert al Congresso internazionale dei matematici di Parigi, nel 1900, e che
avevano delineato gli obiettivi della ricerca matematica per il XX secolo, ne sono stati
già risolti completamente o parzialmente 16. Dei rimanenti 7 quattro sono stati
considerati troppo vaghi o irrisolubili. In effetti tra quelli che restano da risolvere solo
declino o rinnovamento?

la cosiddetta ipotesi di Riemann, relativa alla misteriosa distribuzione dei numeri


primi, la vera balena bianca della matematica, sembra ancora del tutto inaccessibile.

Nella fisica, a sua volta, sembra che non si sia lontani dal comprendere uno dei
maggiori enigmi: come si generi la massa di una parte delle particelle elementari.
E’ intuibile che nel frattempo altri problemi, cui nemmeno accenniamo, siano
sorti sia in matematica sia in fisica, e non si sa se e quando saranno risolti; ma la
marcia intellettuale continua.
Anche uno dei maggiori incubi dell’umanità, ossia il cancro, comincia
a essere sempre meglio circoscritto. Ci vorrà forse ancora molto tempo ma gli aspetti
generali di questa incredibilmente complessa fenomenologia, che veniva
generalmente considerata intrattabile, cominciano a delinearsi. Si potrebbe dire che il
nemico pur se non ancora sconfitto almeno è stato circondato.
Restano pur tuttavia ancora altri enormi problemi, di natura del tutto diversa,
che occorre affrontare e risolvere. Paurose disuguaglianze, tra nazioni ricche e
nazioni povere, tra ricchi e poveri nella stessa nazione, tra possibilità o meno di
accesso alle cure mediche o all’istruzione, e altro ancora, rendono lo scenario
mondiale molto disuguale.
C’è poi una grande inquietudine per il futuro dell’energia e del clima.
Ottimisti e catastrofisti si fronteggiano animosamente.
Come sempre chi ne fa le spese è l’etica. Di fronte a veloci
mutazioni tecno-socio-politiche i comportamenti diventano aleatori, soprattutto
perchè è difficile la rapida alfabetizzazione non solo tecnica ma soprattutto morale
della popolazione.
Per quanto attiene all’impatto dell’ICT sulla società umana, quattro aspetti ci
sembrano particolarmente importanti e degni di alcune osservazioni: la crescente
declino o rinnovamento?

omologazione culturale, l’apparente diffondersi del telelavoro, l’empatia, e il


concetto stesso di democrazia.
- omologazione culturale: l’attuale fenomeno della globalizzazione mondiale
spinge verso una forma di cultura che, attraverso una lingua quasi universale
come l’inglese, favorisce anche il diffondersi della cultura nordamericana.
Internet, a sua volta, coinvolge settori sempre più vasti con indubbi benefici
ma anche con il rischio di mescolare, spesso in modo inopportuno, tradizioni
locali con culture lontane ed eterogenee.
- telelavoro: molte persone potrebbero oggi lavorare a casa, ma soprattutto in
un ambito abbastanza specialistico. Il telelavoro generalizzato potrebbe però
rappresentare un rischio per le donne, perchè molte di esse ritornerebbero in
quella dimensione casalinga dalla quale erano uscite, entrando nel mondo
della produzione, secondo un fondamentale principio di pari opportunità con
gli uomini. Se il telelavoro non venisse attuato con molta attenzione potrebbe
dar luogo a un fenomeno di desocializzazione della donna, che costituirebbe
un grave rischio per la società
- empatia: la maggior parte delle reti sociali, ossia delle comunità virtuali di cui
si è parlato prima, nascono per empatia ossia attraverso comuni interessi di
persone diverse verso particolari argomenti. Le persone che entrano in
comunicazione condividono per lo più età, sesso, professione, interessi,
problemi, rivendicazioni sociali, politiche, economiche. Ma tale condivisione
di interessi è spesso anche un limite per quella che viene genericamente
indicata come la democrazia del Web. Infatti una vera democrazia non si
fonda su persone simili che condividono interessi comuni, ma quasi
sull’opposto, ossia sul confronto di persone diverse persone che raffrontano
idee, interessi, e valori differenti, per identificare possibili convergenze o
eliminare eventuali divergenze.
- democrazia: se l’empatia dei social network favorisce la creazione di comunità
virtuali non è detto che ciò crei di per sé una società democratica, persino
globale. Potrebbe piuttosto sembrare che possa nascere una società globale
frantumata in un coacervo di comunità vituali. Poiché allora è difficile che il
singolo possa da solo tenersi informato sull’intera evoluzione della società di
cui fa parte resta fondamentale il ruolo della politica. In un suo grande dialogo
(Protagora, 322) Platone afferma che la tecnica più grande è proprio la
politica, ossia l’arte di far coesistere secondo sapienza e temperanza (sofia kai
sofrosune) una comunità umana. E politica vuol dire saper delegare ai
rappresentanti istituzionali; i quali, a loro volta, potrebbero non essere
all'altezza delle necessità e allora il Web sarebbe forse in grado di essere uno
strumento efficace per richiamare l'attenzione della comunità verso
l’inadeguatezza delle scelte.

Ecco allora che gli attuali comportamenti possono diventare inadeguati e difficili
da inquadrare in uno schema normativo efficace. I Romani, cui più volte abbia
fatto
riferimento, lo avevano già capito: quid leges sine moribus? Come si può legiferare se
la coscienza individuale non ha ancora acquisito una corretta sensibilità di fronte al
nuovo? La Storia ci insegna tanto, ma non possiamo leggere il futuro riproponendo
declino o rinnovamento?

successioni più poetiche che scientifiche come l’età dell’oro, dell’argento, bronzo e
del ferro, e via dicendo.
La conclusione è che il futuro ci proporrà soprattutto un grande impegno
personale, anche in termini di ulteriore alfabetizzazione tecnica.
Un paio di decenni fa al termine di un convegno sull’ICT, che era stato
tenuto in una grande albergo romano, di fronte alla quantità di novità tecnologiche che
erano state presentate durante un lungo pomeriggio, ci fu nella sala come un attimo di
disorientamento. E allora nel silenzio che si era venuto a creare si potè udire
distintamente una voce esclamare, quasi in romanesco: ”ma allora tocca lavorà!”. La
tensione cadde di colpo e la sala scoppiò in una fragorosa risata seguita da un grande
applauso.
Potremmo dire la stessa cosa: bisognerà lavorare, e anche tanto. Ma Freud
sosteneva, con molta arguzia, che il lavoro è la miglior cura contro tante angosce
esistenziali.
Oggi il lavoro però sembra mancare, soprattutto per i giovani. E questo è il
vero dramma attuale della nostra civiltà, un dramma dalle proporzioni sociali quasi
incalcolabili. Purtroppo questa è una fase storica di grandi trasformazioni
tecnologiche e sociali. L’avvento di nuove tecnologie altera sempre la composizione
del mondo del lavoro.
Quando sta avvenendo ora può ricordare, anche se in modo diverso, la
grande crisi avvenuta in Inghilterra all’avvento dei telai meccanici, degli opifici
satanici, degli ospizi di mendicità; con tutto il loro carico di dolore e di sfruttamento
del lavoro minorile, di miserie e di diseguaglianze sociali che avrebbero costituito un
vero laboratorio di ricerca per le analisi socio-politiche di Marx ed Engels e per i
meravigliosi romanzi di Charles Dickens; e che avrebbero fatto esclamare a William
Blake: “ And was Jerusalem builded here, Among these dark Satanic Mills?”.
Il mondo attuale si sta rapidamente trasformando e occorre saperne seguire
rapidamente le evoluzioni, comprenderne le contraddizioni e combatterne le
ingiustizie.
Potremmo concludere ritornando proprio a Spengler col cui pensiero avevamo
iniziato la nostra analisi. Ci piace allora ricordare le parole di Seneca, ancora
profetiche, con le quali egli concludeva il suo Tramonto: “ ducunt fata volentem,
nolentem trahunt”.

Il destino guida chi vuole lasciarsi guidare e trascina chi non vuole.
declino o rinnovamento?

riferimenti

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http://www.trisaia.enea.it/Biblioteca1/borges.htm

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