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Nel decennio a cavallo tra XVI e XVII secolo scompaiono dalla scena politica due sovrani che
avevano fortemente condizionato la storia del continente: la regina d’Inghilterra Elisabetta Ie il re
Filippo II di Spagna. Durante la prima metà del Seicento crescono le spinte reazionarie dei Paesi
ancora sotto il diretto dominio delle tre maggiori potenze europee, Spagna, Francia e Inghilterra,
sempre più in lotta tra loro per il controllo di vaste aree territoriali nel cuore dell’Europa.
Ne scaturiscono attriti sempre più violenti che finiscono per essere la causa di uno scontro armato di
estese dimensioni, la cosiddetta Guerra dei Trent’ anni: dal 1618 si combattono diversi conflitti
cui viene posto un termine con la Pace di Westfalia del 1648. Questa guerra sancisce l’ascesa della
Francia a principale potenza europea e pone fine al progetto dei cattolici Asburgo d’Austria
(ancora detentori della corona del Sacro Romano Impero) di dominare gli Stati protestanti
dell’Europa centro-settentrionale. Trent’anni di guerra provocano nel continente danni gravissimi al
tessuto economico-sociale in Paesi già provati da crisi interne.
La pressione militare e fiscale durante la guerra dei Trent'anni; il declino dei grandi sistemi
imperiali, quello spagnolo in particolare, soprattutto per quanto riguarda il rapporto tra il centro e la
periferia del sistema; la crisi delle forme e delle relazioni politiche tradizionali; l'influenza e la
circolazione su scala europea di nuovi modelli politici: sono questi gli scenari delle rivoluzioni e
delle rivolte che, soprattutto negli anni Quaranta del Seicento, sconvolsero alcuni Paesi europei.
Dalla crisi alcuni paesi uscirono più deboli, altri più forti: alcuni, come l'Inghilterra e l'Olanda,
stabilirono la loro egemonia sul continente, altri si indebolirono ulteriormente e furono subalterni
alle grandi potenze economiche fino alla seconda rivoluzione industriale.
Nel corso del Seicento l’Italia, in una posizione marginale rispetto alle lotte fra le grandi potenze
europee, continua a essere divisa in una moltitudine di Stati, quasi tutti sottoposti all’egemonia
della Spagna, che governa direttamente la Lombardia, i regni di Napoli, Sicilia e Sardegna, e
controlla indirettamente gli altri Stati della penisola, esclusi il Ducato di Savoia, la Repubblica di
Venezia e lo Stato della Chiesa. Ciò significa che anche gli Stati italiani risentono della crisi del
regno ispanico. Prima conseguenza di questo influsso è una maggiore pressione fiscale; seguono
devastazioni belliche, aggravate da carestie e pestilenze che decimano la popolazione soprattutto in
area lombarda. L’egemonia spagnola comincia a indebolirsi solo negli ultimi decenni del Seicento,
quando sarà la Francia a conquistare progressivamente il dominio sugli Stati italiani.
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Nebuloni Daniela_storia dell’arte IV
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2. Contesto artistico
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Movimento, energia e tensione sono fra le caratteristiche principali dell’arte barocca; forti
contrasti di luce e ombra accentuano l’effetto drammatico di dipinti, sculture e opere
architettoniche. Nei quadri, negli affreschi, nei rilievi e nelle statue barocche vi sono inoltre spesso
elementi che suggeriscono una proiezione verso lo spazio circostante, indistinto e infinito, grazie
anche a un’attenta resa volumetrica e prospettica.
La tendenza naturalistica è un’altra componente fondamentale dell’arte barocca: le figure umane
ritratte non sono stereotipi, bensì individui, ognuno ben caratterizzato. Gli artisti di questo periodo
erano affascinati dagli intimi meccanismi della mente e dalle convulse passioni dell’anima, che
vollero ritrarre attraverso le caratteristiche fisiognomiche dei loro soggetti. Un senso di intensa
spiritualità è presente in molte opere, in particolare nelle rappresentazioni di estasi, martiri o
apparizioni miracolose, soprattutto a opera di artisti di Paesi cattolici come l’Italia, la Spagna e la
Francia. L’intensità, l’immediatezza, la cura per il dettaglio dell’arte barocca ne fanno tuttora
uno degli stili più coinvolgenti per lo spettatore in tutto l’arco dell’arte occidentale
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3. Il Barocco in Italia
https://www.youtube.com/watch?v=PxejVqEOR0o
Barocco è il termine utilizzato per indicare un movimento culturale costituito dalla letteratura,
dalla filosofia, dall'arte e dalla musica barocca caratteristiche del periodo che inizia dalla fine del
XVI secolo e finisce nella metà del XVIII secolo. Per estensione, si indica quindi col nome
«barocco» il gusto legato alle manifestazioni artistiche di questo periodo, in particolare quelle più
legate all'estrosità e alla fantasia. Tuttavia, da un punto di vista artistico, questa epoca è percorsa
anche da una corrente classicista e in generale il linguaggio classico rimane il punto di riferimento
comune degli artisti di ogni tendenza.
Sulla derivazione del termine ci sono tre ipotesi:
1. deriva da un'antica parola portoghese, barroco (barrueco in spagnolo), usata per definire una
perla scaramazza, ovvero una perla non coltivata, non non simmetrica. Proprio per le
particolarità del suo stile l'arte barocca si accosta alla perla scaramazza;
2. deriva dalla figura più complessa del sillogismo aristotelico, il barocco;
3. Attraverso il francese 'baroque', attestato in Francia nel XVII secolo nel significato di
"stravagante, bizzarro".
Inizialmente dai critici il Barocco fu definito in senso negativo e dispregiativo in quanto
rappresentava un’arte irregolare, stravagante e bizzarra, quindi di cattivo gusto.
L’immaginario artistico barocco riflette pienamente la dimensione di crisi politica, sociale ed
economica. Il mondo è così visto come un labirinto folle in cui è impossibile orientarsi. L’uomo
percepisce se stesso come una creatura fragile gettata in un universo ambiguo, privo di
certezze, dove ogni cosa si muove e si trasforma. Anche ciò che è ritenuto eterno non è esente da
metamorfosi. Tutto ciò che esiste è soggetto al dominio del tempo e inevitabilmente è destinato
a scomparire. Il tema della fugacità della vita e quello della trasformazione di qualunque
aspetto del reale divengono così i motivi centrali della visione poetica barocca.
Il mondo, poiché in continua mutazione, è soltanto apparenza e viene visto come un grande teatro,
dove tutto è solo rappresentazione: ogni cosa si confonde, realtà e finzione, verità e menzogna.
L’ uomo, in questo mondo illusorio, si affida ai sensi per conoscere la verità: essere, infatti, vuole
dire apparire. Da questo deriva la necessità di afferrare l’apparenza sensibile e ingannevole di
tutto ciò che esiste per comprendere la realtà più profonda delle cose.
È da tali presupposti di carattere culturale che nasce l’estetica barocca: il fine di ogni opera umana è
lo stupore dei sensi perché è grazie a essi che l’uomo diviene partecipe della metamorfosi continua
del creato. Per ottenere questo effetto di meraviglia è necessaria ogni forma di ostentazione e di
sfarzo. A questo scopo si sperimentano tutte le possibili tecniche artistiche ed espressive finalizzate
a suscitare ammirazione, stupore, incredulità. È un’estetica che coinvolge l’uomo in ogni sua
attività, non solo artistica: il Seicento è così il secolo in cui tutto diviene spettacolo, in cui
abbondano rappresentazioni teatrali dalla scenografia sontuosa, feste di corte dominate dal lusso e
dallo sfarzo. Il compito dell’ingegno umano sembra essere quello di individuare sempre nuove e
sorprendenti attrazioni.
In questa esaltazione e arricchimento dell'artificio intimamente contenuto nell'animo teatrale del
barocco, e in qualche modo derivato, con connotazione nuova, dal Manierismo, si trova uno dei
principali punti di divergenza con il classicismo.
Il Barocco è l'arte ufficiale della Chiesa trionfante: nasce negli anni della Controriforma, con cui la
Chiesa Cattolica reagisce alle spinte riformatrici della Chiesa Protestante riaffermando con
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decisione i suoi dogmi. Ciò influisce profondamente sull’arte che mira ad esaltare la grandezza di
Dio e della santità, accentuandone la tragicità.
Tale grandezza viene esaltata nelle arti figurative attraverso lo sfarzo, il lusso e la teatralità delle
figure.
I principali caratteri del Barocco sono:
la complessità, il rifiuto delle forme semplici e l'uso di forme e strutture articolate e sistemi
ingegnosi;
la fantasia, il forte ricorso all'immaginazione e a soluzioni strane, imprevedibili, miranti a
suscitare sorpresa e meraviglia;
il senso dell'infinito, creato con artifici prospettici spettacolari e quindi l'importanza
dell'illusionismo mediante l'uso di espedienti ottici e lo studio dei fenomeni percettivi
il dinamismo, espresso con l'uso di forme e superfici curve. Fondamentale, da questo punto di
vista, è l'immagine e l'uso dell'acqua (basti pensare alle numerose fontane), simbolo di dinamismo e
trasformazione per eccellenza;
la luce, impiegata per creare uno spazio altamente emozionale (Caravaggio, Bernini,Borromini)
coerente col soggetto pittorico o scultoreo o con l'organismo architettonico;
il colore, pieno, ricco, vivace, coinvolgente sul piano emozionale, viene usato in modi diversi,
anche in funzione simbolica;
l'interesse ambientale e urbanistico delle opere;
la teatralità e il coinvolgimento emozionale dello spettatore anche attraverso l'esagerazione e
la deformazione. Ad esempio nelle opere religiose si tende a suscitare compassione anche
mettendo in evidenza aspetti macabri o sgradevoli
3.1 Architettura
In architettura furono costruiti sontuosi e grandissimi palazzi, chiese e teatri.
A differenza del Rinascimento, che credeva nell’indipendenza delle singole arti, il Barocco
sosteneva la collaborazione e l’unità di tutte le discipline artistiche.
L’arte non rappresentava più l’ordine della natura, ma l’artificio che permetteva la messa in scena di
un’altra realtà: scultura e architettura cercavano l’effetto pittorico, mentre la pittura, ricorrendo a
giochi prospettici di illusione ottica, si trasformava in architettura e scultura.
Si prestò pertanto una fede totale nelle possibilità espressive della decorazione: il parametro
stilistico fondamentale fu il decorativismo eccessivo, intendendo con il termine «decorazione» un
qualcosa che è aggiunto per abbellire. Questo abbellimento era, quindi, un qualcosa di applicato, di
sovrapposto, che non nasceva dalla struttura.
Negli edifici barocchi, la struttura e l’aspetto dell’edificio erano considerati come momenti separati.
Il primo, la struttura, seguiva logiche sue proprie, il secondo, l’aspetto, veniva affidato alle
decorazioni, aggiunte con marmi e stucchi: le pareti erano arricchite da numerose sporgenze,
cornici e nicchie; i portali delle entrate e le finestre erano squisitamente decorati.
Quindi, la differenza tra Rinascimento e Barocco, in architettura, si basava su questa diversa
concezione dell’edificio: l’architetto rinascimentale cercava la bellezza nella giusta proporzionalità
delle parti dell’edificio, che quindi risultava gradevole all’occhio per il senso di armonia che
suscitava, attraverso l’uso, come strumento progettuale, degli ordini architettonici, affidando ad essi
anche la decorazione dell’edificio. L’architetto barocco, invece,cercava di stupire, di suscitare una
reazione forte di meraviglia, ricorrendo alla decorazione eccessiva e fantasiosa, che creasse così un
effetto di ricchezza e preziosità.
Gli architetti italiani più importanti furono il Bernini e il Borromini, che operarono soprattutto a
Roma.
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Grazie ai loro interventi Roma diviene uno dei centri più significativi del Barocco europeo, con
complessi architettonici e scultorei che conferiscono al tessuto urbano della città forme fastose e
monumentali, quasi quinte scenografiche di un enorme teatro a cielo aperto.
Gli ambiti cittadini, infatti, erano considerati alla stregua di spazi teatrali e i prospetti degli edifici
fungevano da quinte scenografiche, impreziosite anche da fontane, scalinate, monumenti ed altro,
Un dato stilistico fondamentale del barocco fu la linea curva. In questo periodo, infatti,nulla era
concepito e realizzato secondo linee rette, ma sempre secondo linee sinuose.
Il Barocco, infatti, preferiva curvature complesse, quali ellissi, parabole, spirali e così via (si
vedano, ad esempio, le Chiese del Borromini).
3.2 Scultura
La scultura di stile barocco, proprio per la sua maggior capacità di legarsi agli spazi architettonici e
urbanistici, risulta l’arte che più segna l’immagine del secolo. Grandi monumenti, effetti teatrali e
scenografici, virtuosismo e decoratività sono gli ingredienti che nascono soprattutto dal genio di
Gian Lorenzo Bernini, che si può senz’altro considerare l’esponente più importante della scultura
barocca. Tra le sue opere principali ricordiamo la decorazione della Basilica di San Pietro a Roma e
la sistemazione della piazza con un antico colonnato.
3.3 Pittura
La pittura collabora a creare uno spazio illusionistico e scenografico, acquistando il suo carattere
più barocco. In effetti, è soprattutto nei grandi affreschi che si ritrova la pittura barocca, in
particolare nella decorazione delle volte, dove si potevano creare effetti illusionistici di maggiore
spettacolarità.
Possiamo considerare che due sono i modelli per decorare una volta. Quello assunto da
Michelangelo per la volta della Sistina, è di realizzare le immagini come quadri tradizionali solo che
vengono disposti non in verticale ma in orizzontale con la superficie in giù. Il modello assunto
invece dai pittori barocchi è di concepire le immagini come viste dal basso verso l’alto, così da
creare l’effetto illusionistico che il soffitto non c’è, e al suo posto vi è lo spazio virtuale creato
dall’affresco. In questo secondo modello vengono molto accentuati gli effetti di scorcio e la
costruzione prospettica dello spazio.
Uno dei motivi che più distingue i pittori rinascimentali da quelli barocchi è proprio l’uso della
prospettiva. Nei primi la prospettiva era una tecnica che rendeva chiaro e razionale lo spazio
rappresentato, nei secondi invece la prospettiva è usata per ingannare l’occhio (trompe l’oeil)
e far vedere spazi che non esistono, in maniera illusionistica.
La pittura del Seicento, tuttavia non è solo quella barocca. In particolare nel corso del secolo
possiamo distinguere altre due correnti fondamentali, oltre quella barocca: il realismo, di
derivazione caravaggesca, e il classicismo, di derivazione carraccesca. Nella prima corrente
rientrano, in particolare, le maggiori esperienze europee del XVII secolo: quelle che si sviluppano
in Olanda e in Spagna e nel regno di Napoli. Grandi interpreti di questa tendenza furono
Rembrandt, Vermeer, Velazquez.
Nella corrente del classicismo ritroviamo innanzitutto i pittori bolognesi diretti allievi dei Carracci
quali il Guido Reni e il Domenichino, ma anche pittori francesi, ma attivi a Roma, quali Nicolas
Poussin o Claude Lorrain.
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In sintesi l’arte del Seicento, molto più variegata di quel che sembra, si divide nella ricerca del vero
(realismo), dell’idea (classicismo) o dell’artificio (barocco).
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Nel 1623, infatti, a soli venticinque anni, venne chiamato alla corte pontificia da Urbano VIII,
appena eletto papa, che l’anno successivo gli commissionò il baldacchino bronzeo per la basilica di
San Pietro. Inizia così la sua attività in San Pietro che si concluse con una delle sue opere più
mirabili in campo architettonico: la realizzazione del colonnato ellittico che definisce la piazza
antistante la basilica. Sempre presente fu in lui la ricerca dell’effetto scenografico, avendo cura di
fondere scultura e architettura in un’unica spazialità, nella quale anche la luce veniva sapientemente
controllata
In campo architettonico le sue maggiori imprese sono legate, oltre che al colonnato di San Pietro, al
Palazzo di Montecitorio e alla Chiesa di Sant’Andrea al Quirinale a Roma, nonché al palazzo del
Louvre a Parigi che anch’egli in parte progettò, in occasione del suo soggiorno francese nel 1665.
Bernini, insieme agli architetti Francesco Borromini e Pietro da Cortona (quest’ultimo anche
pittore), contribuì a definire la nuova sensibilità barocca in ambiente romano, dando un contributo
notevole alla nuova immagine urbana di Roma, che proprio dal virtuosismo barocco riceve l’aspetto
che ancora oggi contrassegna maggiormente il suo centro storico.
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momento l'alloro diventa la pianta sacra ad Apollo, con esso verranno incoronati i poeti.
Bernini scelse per la sua rappresentazione il momento cruciale: quando Apollo raggiunge Dafne e la
ninfa si trasforma in alloro. E' un'immagine di grande intensità con cui Bernini realizza una sintesi
di valori espressivi. Alle forme naturali dei corpi, colti nel compiersi dell'azione, l'artista dona un
tipo di bellezza classica, in cui è facile riconoscere l'ispirazione all'arte ellenistica, ma anche una
morbida e avvolgente sensualità tutta seicentesca.
Il dinamismo della scena è sviluppato su più livelli. Al movimento inteso come azione si associa il
divenire delle emozioni e tutto si fonde a quella straordinaria magia della metamorfosi con cui
Bernini immagina la favola antica.
Con grande efficacia è rappresentato l'effetto di velocità: Apollo, adolescente, sembra trascinato
dalla sua corsa. Il corpo nudo mette in evidenza i muscoli in tensione, mentre compie una
rotazione e si sbilancia in avanti per afferrare Dafne. Il mantello sembra scivolargli via e si
gonfia nel vento con una leggerezza che sembra incredibile per un blocco di marmo. La gamba
sinistra è ancora sollevata in alto, e il braccio destro è scostato da corpo; unico punto di appoggio a
terra è la gamba destra.
Dafne, ancora impegnata nella sua corsa, frena all'improvviso, s'inarca all'indietro ruotando il busto
e allarga le braccia in alto, il suo corpo descrive un arco che controbilancia la spinta di Apollo.
Alla rappresentazione "fisica" dell'azione nel suo svolgersi si accompagna il raffinato dinamismo
psicologico dei sentimenti: l'espressione sorpresa e insieme delusa di Apollo, la mano aperta in
un gesto dimostrativo, il terrore misto all'affanno nel viso di Dafne, con la testa e gli occhi
girati e la bocca aperta in un urlo.
L’opera rappresenta uno dei momenti più alti dell’intera produzione scultorea barocca, sia nella
splendida lavorazione del marmo, sia nella tensione psicologica che la caratterizza. La morbidezza
del panneggio del mantello di Apollo e la minuziosa descrizione dei dettagli hanno una resa
stupefacente, quasi da opera pittorica. Le fronde nella parte alta della scultura hanno uno spessore
così ridotto da far trasparire la luce e alleggerire la materia, che si increspa e si appesantisce invece
nella base, dove il corpo si fa corteccia.
Ma l'espressività del Bernini ha anche un'efficace potere di coinvolgimento, così vediamo nel
gesto e nell'espressione di Apollo un riflesso del nostro stesso stupore nel trovarsi di fronte a un
aggraziato e sensuale corpo femminile, e avvertiamo il senso di angoscia e sconcerto vissuto da
Dafne, che si sente perduta, e con un guizzo improvviso si sta trasformando in pianta.
La trasformazione avviene sotto i nostri occhi con grande naturalezza, vediamo le radici spuntare
dai piedi di Dafne e le foglie diramarsi dalle mani e dai capelli della ragazza.
L'immediatezza e la spontaneità di questi effetti sono dovuti al realismo e alla precisione con
cui Bernini trattava i dettagli e la superficie del marmo, ammiratissimi già dai suoi contemporanei.
Egli sapeva rendere le differenze di materia (morbidezza, durezza, ruvidezza, levigatezza, ecc.)
delle varie superfici, quasi a voler superare la natura stessa del marmo, che non sembra più pietra,
ma corteccia, stoffa,capelli, velo, foglia, ecc. La vera metamorfosi sembra essere proprio quella
subita dal marmo sotto le mani di Bernini.
Il dramma della scena è sottolineato quindi dal potente dinamismo, dall'alternanza di pieni e vuoti,
dai giochi di luce e di ombra, dai contrasti di superficie come quelli tra la morbidezza di corpi delle
figure e la corteccia dell'albero, la consistenza soffice dei capelli e la ruvida freschezza delle foglie
e dei rami in crescita, resi con effetti di chiaroscuro pittorico.
Lo schema compositivo è impostato sui due archi descritti dalle figure e sviluppato a spirale. Ma
è sorprendente soprattutto come Bernini ha risolto il problema dei pesi e del funzionamento statico
delle masse di marmo con forme così articolate, sottili, protese verso l'esterno. In un raffinatissimo
gioco di equilibri, le braccia, le gambe, le dita e i capelli delle due figure si estendono nello
spazio, sfidando le leggi di gravità e portando la materia del marmo alle sue estreme
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possibilità espressive. La scena è molto spettacolare: sembra di vedere due figure sospese nel
vuoto. La regia scenografica del Bernini è tale da costruire una scultura che non possiede un punto
di vista privilegiato ma si muove perfettamente nello spazio.
Eppure, nulla è eccessivo nell'opera di Bernini, che nell'insieme mantiene sempre uno straordinario
senso di armonia.
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Ma ciò che dà il maggior effetto scenografico è la luce. Bernini, dietro il gruppo scultoreo, crea una
piccola abside emiciclica, che fuoriesce dal perimetro della chiesa. In questo modo riesce ad aprire
una finestra in sommità della piccola abside, che rimane invisibile a chi osserva la cappella. Da
questa invisibile finestra entra dall’alto un fascio di luce che illumina direttamente il gruppo
scultoreo. Per accentuare il valore simbolico della luce, inserisce una serie di raggi dorati, che
esaltano la luce che entra dalla finestra nascosta. L’effetto dovette apparire straordinario. Rispetto
alla penombra della cappella, l’illuminazione più chiara, ottenuta da una fonte invisibile, crea una
sensazione di illusionismo scenografico assolutamente inedito. Una cappella che è quasi un
palcoscenico teatrale. E tale fu l’intenzione consapevole di Bernini, che ai lati della cappella
inserisce due piccoli palchetti finti dove sono le sculture dei committenti dell’opera, affacciati come
a teatro ad ammirare l’estasi della santa. Le figure emergono poco dal fondo marmoreo ma la
prospettiva anamorfica (L'anamorfismo è un effetto di illusione ottica per cui una immagine viene
proiettata sul piano in modo distorto, rendendo il soggetto originale riconoscibile solamente
guardando l'immagine da una posizione precisa) della parte interna del palchetto crea un forte
senso di realismo e tridimensionalità per via dell’illusione di profondità che riesce a creare. In
pratica in questa straordinaria opera, tra le più barocche che si possano immaginare, Bernini riesce
con un’invenzione che crea sicuramente meraviglia e stupore, a fondere scultura, luce, architettura e
pittura, per creare un’immagine dalla forte spettacolarità.
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Gli spazi di Borromini sono sempre dinamici e illusionistici, come la scala elicoidale di Palazzo
Barberini o l’ingresso in prospettiva accelerata (prevede che i lati dell’ambiente siano realmente
convergenti andando così ad amplificare la naturale convergenza visiva data dalla prospettiva. Il
risultato è un ambiente che appare molto più profondo di quanto non sia realmente) della galleria
di Palazzo Spada.
Le facciate e le superfici hanno curvature e ondulazioni, con un’alternanza di profili
concavi e convessi. Utilizza materiali poveri: mattoni, intonaco bianco, decorazioni a stucco e
modella le superfici con elementi decorativi.
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L'accademia dei Carracci era una sorta di moderno atelier, una specie di università dell'arte, un
ambiente vivo ed aperto dove accanto alla tecnica pittorica si apprendevano anche contenuti della
scienza e della letteratura. L'organizzazione dell'accademia bolognese, almeno fino alla partenza di
Annibale per Roma, nel 1595 e di Agostino, due anni dopo, funzionava secondo un criterio di chiara
divisione dei compiti:
Ludovico, l'artista più anziano e più esperto (cugino di Annibale e di Agostino) aveva funzioni
direttive. Come pittore aveva uno stile nettamente contrapposto a quello del manierismo e molto
attento agli effetti della luce e del colore.
Agostino (fratello più grande di Annibale), anche se artisticamente meno dotato era un uomo di
grande cultura, inclinato soprattutto agli studi scientifici. Si occupava dell'insegnamento
dell'anatomia e della prospettiva. Fu anche un abile incisore e come pittore si avvicinava più allo
stile di Annibale che a qello di Ludovico.
Annibale, il più giovane dei tre, era l'uomo di punta, ricchissimo di fantasia e di talento, dotato di
spirito aperto e vivace.
La loro formazione è abbastanza ecclettica e comprende la tradizione classicistica di Raffaello e
Michelangelo e la tradizione veneziana del colore: essi riuscirono a compierne una sintesi
innovativa nella loro arte. Dalla tradizione rinascimentale fiorentina e romana, di stampo più
classico e riferita agli esempi di Michelangelo, Raffaello i Carracci ripresero solo alcuni elementi
fondamentali, come ad esempio lo studio della figura dal punto di vista anatomico, dei movimenti e
dell'interazione con lo spazio, ma ogni aspetto monumentale o eroico venne superato in favore di un
atteggiamento più quotidiano.
Le figure divennero più concrete, meno divinizzate e più cordiali, i ritratti persero l'aspetto
aristocratico per acquisire un tono più vero e quotidiano, divennero acuti studi introspettivi dove
emerge piuttosto l'interesse psicologico, avvicinandosi alla corrente lottesca-lombarda. Un esempio
in questo senso è l'Autoritratto con due figure di Annibale Carracci.
Dalla linea naturalistica, offerta da un lato dalla pittura veneziana di Tiziano e dall'altro dalle
esperienze emiliane di Correggio riprendono l’uso del colore per ottenere maggiore verosimiglianza
ed effetti illusivi perché lo spettatore potesse convincersi, attraverso l'arte, della verità del tema
rappresentato: per i Carracci il naturalismo era il mezzo più idoneo per esprimere realtà astratte,
oltre i limiti dell' esperienza sensibile, perché divine e soprannaturali, tramite una convincente
somiglianza pittorica. Ne consegue che anche il naturalismo dei Carracci non è una componente
inedita dovuta semplicemente allo studio diretto della natura, ma si richiama ad una precisa
tradizione artistica.
I Carracci, ed in particolare Annibale, furono artisti con una sufficiente padronanza del mestiere che
gli permise di spaziare su tecniche e generi diversi; anche per quanto riguarda i soggetti, i Carracci
furono vari e prolifici: religione, mitologia, paesaggistica e ritrattistica. E fu proprio nei ritratti che
Annibale mise in evidenza il suo talento innovativo.
Un cambiamento importante si riscontra anche nei dipinti sacri, dove non venne più mostrata una
divinità lontana, irraggiungibile, ma un'umanità umile e dimessa. Ler scene rappresentate, più
vicine alla vita di tutti i giorni, rispecchiano una religiosità popolare, quasi ingenua. La splendida
Annunciazione di Ludovico Carracci è tutta impostata su un'atmosfera calda, intima, domestica. Lo
spazio è ridotto all'essenza nella sua ordinata e armonica semplicità. Le figure sono cariche di una
dolcezza umanissima.
I dipinti di genere vennero riqualificati dai Carracci proprio come "quadri", mentre la cultura
ufficiale li considerava come sottoprodotti artistici, all'ultimo posto di una scala gerarchica del gusto
primeggiata dalla pittura di storia (sacra e profana). A questo proposito si può indicare Il
Mangiafagioli e La macelleria di Annibale.
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Si crea quindi un divario tra i due artisti: Ludovico accentua la visione soprannaturale, Annibale
tende a fondere l’esperienza naturale con la componente metafisica.
Mentre fino a tutto il 1594 le opere di Ludovico e Annibale mostrano comunque reciproche
influenze, il 1595, segnato dalla partenza di Annibale per Roma, è il momento in cui i due stili
iniziano a cambiare e ad allontanarsi tra loro, seguendo strade diverse.
Prima di partire per Roma, in opere come Cristo e la Samaritana di Brera e L’elemosina di San
Rocco del museo di Dresda, Annibale si avvicina allo stile di Ludovico soprattutto con l’uso delle
deformazioni, come l’allungamento delle figure o l’esagerazione dei volumi: una caratteristica
appartenente alla pittura del Parmigianino, molto ammirata da Ludovico.
Nello stesso tempo però Annibale, affascinato dalla maniera di Raffaello, studia composizioni
costruite su raggruppamenti distribuiti attentamente, con effetto coreografico che fa risaltare gesti e
movimenti. Nell’Elemosina di San Rocco, ad esempio ,sono ben distinti i due gruppi di personaggi:
quelli che hanno ricevuto l’elemosina hanno atteggiamenti diversi da quelli che si avvicinano per
riceverla.
Dopo il suo arrivo a Roma, Annibale assorbe immediatamente l’insegnamento della pittura di
Raffaello e delle antichità romane.
A Bologna Ludovico accentua la tendenza espressionista, continuando a guardare alla cultura
figurativa settentrionale, senza mai avvicinarsi alla maniera romana. Ma soprattutto la pittura di
Ludovico si evolve con grande originalità, portando avanti una linea personalissima. Sviluppa
composizioni del tutto inedite, basate su un disegno innovativo, sperimenta accostamenti e
viraggi cromatici fantastici, creando dissonanze visive ed effetti psicologici di particolare
intensità emotiva.
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Annibale, invece, intendeva superare l’artificiosità del Manierismo, tornando ad una diretta
ispirazione alla realtà, introducendo con toccante umanità il vero in pittura, creando un realismo che
sembra percorrere a volte, come in quest’opera dal taglio fotografico, addirittura gli stilemi che si
realizzeranno solo alcuni secoli dopo con l’Impressionismo. Tuttavia, questa sua intenzione finisce
ben presto in un vicolo cieco, e sarà invece soprattutto l’ispirazione diretta ai maestri rinascimentali
(non mediata dalle opere dei Manieristi) a condurre Annibale Carracci all’approdo di una pittura più
idealizzante che realista, mentre sul terreno del Naturalismo sarà soprattutto Caravaggio a produrre
gli esiti più interessanti e rivoluzionari.
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La volta illustra un soggetto mitologico: il tema degli Amori degli Dei della decorazione,
commissionata per il matrimonio di Ranuccio Farnese con Margherita Aldobrandini, è tratto dalle
Metamorfosi di Ovidio. Il programma iconografico dell’intero ciclo affreschi si sviluppa intorno
all’iscrizione latina: OMNIA VINCIT AMOR, riferita alla celebrazione del potere e dominio
universale dell’amore. La composizione complessiva dell’intero ciclo è molto originale, perché
Annibale non volle seguire né uno sviluppo narrativo e sequenziale, né una distribuzione gerarchica
con temi più importanti e temi minori. Le scene sulla volta sviluppano una rete di corrispondenze
reciproche in un insieme unico e continuo. Si tratta di una soluzione senza precedenti, una novità
assoluta.
Al centro della volta si trova il celebre Trionfo di Bacco e Arianna, che costituisce la chiave di
lettura, ma anche strutturale, dell’intera decorazione e rappresenta la glorificazione di Ranuccio
Farnese e Margherita Aldobrandini, raffigurati appunto come Bacco e Arianna e simboleggia la
consacrazione dell’Amore terrestre (incarnato dalla donna sdraiata in basso a destra) e dell’Amore
celeste (Arianna rappresentata come Venere).
Il festoso corteo di baccanti, satiri e putti che accompagnano il carro nuziale segue una
composizione ondulata in un ritmo fatto di intervalli e riprese che richiama l’idea della musica e
della danza: le figure sono tutte in movimento, investite dal ritmo della musica.
Le due metà della scena presentano elementi di simmetria e di contrasto, in un gioco di accordi e
rispecchiamenti.
Contemporaneamente, attraverso questo affresco dionisiaco – una sorta di “ammicco” al visitatore
erudito – Annibale si stacca dai luoghi comuni mitologici.
Così, lontano dall’abituale rappresentazione di Giove come marito infedele e di Giunone come
persecutrice delle amanti del marito, si scopre una coppia innamorata e fedele.
Lo stesso criterio di corrispondenze incrociate dell’affresco centrale si trova anche nei finti quadri,
che si riflettono tra loro come in un gioco di specchi. Infatti Annibale ha utilizzato composizioni
simili disposte modo simmetrico, ma riportando sempre sottili differenze.
Nei quattro angoli sono collocati diversi momenti della lotta di Eros e Anteros (allegoria
dell’Amore e Amore ricambiato): in tutti gli affreschi, ogni singola scena segue coerentemente il
tema dell’amore profano. Un certo atteggiamento canzonatorio si nota anche nella rappresentazione
di Ercole che scuote il tamburo e di Iole che porta la clava, vestita di pelle di leone. Con
l’inversione degli attributi delle due figure mitologiche, Annibale ridicolizza le qualità eroiche del
guerriero. Infine, il putto che urina dimostra la tonalità generale di questa volta, molto irriverente.
Un argomento cosi profano nel palazzo di un cardinale dopo la Controriforma ha sorpreso i
contemporanei e rimane eccezionale.
La concezione di questo ciclo figurativo ha alla base le esperienze romane di Raffaello e
Michelangelo, sia dal punto stilistico che quello iconografico e segna una tappa fondamentale nello
sviluppo della corrente “classicheggiante” del barocco.
Il capolavoro romano di Annibale riflette infatti una fase di riscoperta del mondo classico da parte
del pittore bolognese, che ha l’occasione di avere una conoscenza diretta dell’opera di Raffaello e di
Michelangelo. Nelle scene dipinte da Annibale i personaggi atletici ed eroici vivono in ariosi
paesaggi e rievocano i miti antichi in una atmosfera gioiosa e fantastica. Gli ambienti naturali sono
invasi da una luce solare che unifica tutto e i colori sono chiari splendenti.
Se nell’insieme degli affreschi si coglie una visione ideale dell’uomo e della natura che discende dal
Rinascimento, la nuova interpretazione offerta da Annibale è già seicentesca e porta con sé
contenuti inediti pieni di conseguenze sia dal punto di vista artistico che da quello culturale in
genere. Sono nuovi gli effetti di luce, vita, gioia, movimento, i personaggi non sono più in posa
ma vengono colti “di sorpresa” nel culmine di un’azione.
Altro elemento di novità, che sarà importantissimo per l’estetica del Barocco, è l’unità di visione in
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una continuità infinita dello spazio, dovuta alla scelta di un unico punto di vista prospettico
per l’intera decorazione.
Le pareti sono essenzialmente opera degli allievi dei Carracci
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l’interprete più sincero della cultura della Controriforma che si propone di sollecitare la devozione
del popolo attraverso la sua opera
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Crocefissione di San Pietro per la Chiesa di San Paolo alle Tre Fontane, dove già si evidenzia la
peculiarità del suo linguaggio pittorico e di una propria ricerca estetica per superare la
spettacolarizzazione e l’artificiosità barocca e realizzare una rappresentazione più credibile della
realtà, cercando di controllarla e disciplinarla con integrazioni classiciste, coniugando l'idealismo
di Raffaello (che certo ispira i suoi quadri devozionali; le sue Madonne) alle esigenze di verità
poste dall’esplosione di Caravaggio e sentite come proprie perlomeno da una parte della Chiesa
controriformata: un verismo ben temperato, depurato di dramma o un idealismo capace di guardare
al vero, che valsero a Reni il plauso quasi unanime della critica sua contemporanea, che lo
vedeva secondo solo a Raffaello.
In breve tempo Guido Reni divenne celebre negli ambienti romani, diventando l’interprete del gusto
dell’alta aristocrazia; tuttavia egli non sopportava la mancanza di riguardo della committenza verso
la propria creatività, nonché i continui solleciti per accelerare i tempi di realizzazione delle opere
ancora in fase di sviluppo e nel 1620 tornò definitivamente a Bologna, riprendendo quindi a
lavorare a pieno ritmo per una clientela di alta aristocrazia – anche fuori della nostra penisola .
Dipinse opere a tematica religiosa ma anche altre a sfondo mitologico, impiegando uno stile atto a
teorizzare la bellezza nell’accezione di morale. Nelle ultime opere lo stile del pittore si modificò,
forse perché, indebitatosi con il gioco, gli era necessario portare a termine velocemente le sue opere
per venderle: il colore si fece più spento e la forma perse consistenza come nel San Sebastiano
della Pinacoteca di Bologna e l'Adorazione dei Magi della Certosa di San Martino a Napoli.
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Il punto di fuga situato in prossimità della mano del carnefice di sinistra vuole ricondurre alla
violenza il motore dell'episodio sanguinario.
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cui Guido Reni si rifece più volte, non ancora non intaccato dalle frecce che i suoi aguzzini gli
scagliarono contro, si divincola in modo quasi teatrale e anche l'espressione sembra quella di un
attore.
Il cielo grigio e cupo contrasta con il candore del corpo del santo, che rivolge lo sguardo proprio
verso il cielo, a contemplare la gloria del paradiso con profonda tranquillità, senza la sofferenza o la
paura del martirio imminente.
Molto meno studiato appare il paesaggio: notiamo i sintomi della fretta di Guido Reni se
osserviamo la piana che si estende oltre l'arbusto in secondo piano: senza dettagli, senza rifiniture,
solo colore quasi "gettato" sulla tela senza troppa attenzione, con pennellate veloci e sommarie,
secondo un'intenzione stilistica che la critica, dal Novecento, riconobbe invece come consapevole
scelta estetica.
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Nei quadri di Caravaggio un’attenzione particolare è sempre riservata alla luce. Non poteva essere
diversamente visto che egli perseguiva una pittura realista. Ma il dato stilistico che egli inventa è
l’abolizione dello sfondo per circondare le immagini di oscurità. Ottiene così un effetto molto
originale: le sue immagini sembrano sempre apparizioni dal buio. Le figure appaiono grazie a
sprazzi di luce: una fiaccola, uno spiraglio di finestra aperta. In questo modo l’immagine che si
coglie è solo una parte della realtà: solo quel tanto che la debole illuminazione ci consente di
vedere. Il resto rimane avvolto dall’oscurità, ossia dal mistero. È il buio che domina in queste
immagini, quasi ad accentuarne la drammaticità. Perché questo buio è una specie di notte calata sul
mondo, per assorbirne i lati più gradevoli, e lasciarvi solo paura e terrore.
Il buio è il luogo stesso delle nostre angosce e paure nei confronti di dolori, morte, sofferenze. I
quadri di Caravaggio ci riportano proprio a questo territorio: è la pittura più drammatica mai vista
fino ad allora, e rappresenta inevitabilmente quella oscurità, fatta di inquisizione e terrore, che
sembra calata sulle coscienze dopo l’avvento della Controriforma.
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