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Importante per la diagnosi è l'evoluzione dei sintomi, infatti il paziente tende inesorabilmente
a peggiorare, più o meno velocemente.
Di solito il male colpisce prima un lato del corpo, per poi colpire dopo mesi o anni anche
l'altro.
I sintomi vengono alleviati dalla terapia con una sostanza chiamata L-Dopa.
In realtà alcuni dei sintomi che ho elencato sopra possono mancare, per esempio il tremore
può mancare, almeno in una fase iniziale.
A complicare il processo diagnostico c'è il fatto che esisto una serie di malattie nelle quali
alcuni sintomi possono richiamare la Malattia di Parkinson, ma che in realtà sono altre
malattie.
La Malattia di Parkinson è una malattia nella quale un sistema di centri nervosi cerebrali
vanno in crisi. Questo sistema, che si chiama “extrapiramidale”, governa e regola i nostri
movimenti e fa si che vi sia armonia e scioltezza del gesto.
E' importante la diagnosi corretta per impostare la terapia corretta e per formulare anche
una prognosi, cioè sapere più o meno come evolverà la malattia, perché noi sappiamo, come
detto prima che si tratta di una malattia che peggiora con il tempo.
La Levo Dopa è "la benzina" delle cellule che producono dopamina, infatti questa
sostanza viene trasformata dalle cellule in dopamina.
aumentando la disponibilità di L-Dopa le poche cellule funzionanti riescono a
produrre la dopamina necessaria.
Ad un certo punto della malattia bisogna quindi fare un bilancio tra la scioltezza dei
movimenti e la presenza di movimenti fastidiosi, antiestetici e che interferiscono con
i movimenti voluti.
Nella figura si vede l'effetto die farmaci nei vari stadi della malattia intendendo
"on" come benessere e "off" presenza di sintomi.
Nella figura qui sotto si vedono i livelli di farmaco nel sangue se assunto a
digiuno, linea scura, o dopo un pranzo proteico, linea chiara.
Altri farmaci usati sono i dopaminoagonisti, ovvero sostanze che si sostituiscono
alla dopamina e che arrivano direttamente sulle cellule che vengono stimolate da
questo neurotrasmettitore.
Possono essere usati anche come farmaci di prima scelta ancora prima del
Madopar e Sinemet.
Gli effetti collaterali sono la nausea e l'ipotensione, per evitare questi problemi
bisogna aumentare poco a poco il dosaggio.
Vi sono due approcci che vengono valutati a seconda dei casi, le lesioni di alcuni
fasci nervosi, per ridurre il tremore e l'impianto di elettrodi che agiscono anche sugli
altri sintomi.
agonisti della dopamina. La levodopa è stata per molto tempo il principale strumento farmacologico,
ma dopo alcuni anni presenta una riduzione del suo effetto sul paziente; inoltre ha fastidiosi effetti
collaterali. Viene oggi somministrata assieme ad altre sostanze, come carbidopa ed entacapone, che
I dopaminoagonisti sono i farmaci che negli ultimi anni hanno dato esiti più efficaci, consentendo di
rimandare nel tempo il ricorso alla levodopa. Gli anticolinergici ostacolano l’azione dell’acetilcolina che
diventa negativa quando si abbassano i livelli di dopamina a causa del Parkinson. Gli inibitori delle
enzimi che degradano la dopamina, ma non sono molto efficaci e in genere si prescrivono solo per
La cura può essere personalizzata con l’età del soggetto. Se il Parkinson compare a meno di 50 anni si
inizia con dopaminoantagonisti e solo in un secondo tempo si usa levodopa a basse quantità; se
compare fra i 50 e i 70 anni si può scegliere fra dopaminoantagonisti e levodopa a basse quantità; se
Oltre alla terapia farmacologica esiste anche l’opzione chirurgica, sia per distruggere le cellule nervose
malfunzionanti sia per autotrapiantare cellule cerebrali in grado di produrre dopamina. La prima
soluzione ha però esito positivo solo nei confronti del tremore, inoltre può essere applicata solo
monolateralmente. Gli ultimi sviluppi hanno visto l’introduzione di una tecnica che consiste nella
soggetti malati.
TERAPIA FARMACOLOGICA
Allo stato delle attuali conoscenze, la medicina non dispone di un trattamento che sia in grado di
impedire il progredire della malattia e riportare il malato alla normalità. Esistono soltanto farmaci
“sintomatici” che possono in parte migliorare la situazione esistente e rallentare la progressione della
malattia. Tuttavia, è importante sottolineare che:
questi farmaci sono da utilizzare nella prima fase della malattia, lieve e moderata (non
nelle fasi avanzate);
non funzionano in tutti i casi (ci sono malati che rispondono bene al trattamento, i
“responders”, e altri che invece non hanno alcun beneficio, i “non-responders”) e non si
sa in anticipo quali siano;
possono avere effetti collaterali anche gravi (quindi la somministrazione di questi
farmaci necessita della supervisione di un medico specialista).
E’ opportuno precisare inoltre che raramente i bisogni del paziente possono essere affrontati con la
semplice somministrazione di un solo farmaco più o meno efficace e, al contrario, richiedono un
approccio che può essere effettuato in vari modi che tenga conto del quadro clinico (caratterizzato
non solo dalla presenza di sintomi cognitivi, ma anche di sintomi non cognitivi), dalla presenza di
malattie precedenti o in atto (diabete, ipertensione, disturbi psichiatrici), delle ripercussioni
sull’autonomia della persona e delle problematiche sociali e familiari. Distinguiamo i farmaci per la
Malattia di Alzheimer e farmaci per i disturbi del comportamento.
Recentemente, particolare attenzione è stata volta a una sostanza anomala (cioè irregolare, che non
rispetta le regole) denominata beta-amiloide, che è stato dimostrata essere presente nel cervello
dei pazienti con demenza di Alzheimer (sotto forma di placche). E’ quindi attualmente in corso la
sperimentazione di un nuovo farmaco che potrebbe rallentare la progressione della malattia
attraverso l’inibizione della sintesi della sostanza beta-amiloide.
Si sente spesso parlare anche di cellule staminali in relazione alle demenze e in generale ad altre
malattie degenerative (ad esempio la sclerosi multipla). Cosa sono le cellule staminali? Sono cellule
presenti in ogni organismo che si distinguono dalle altre in quanto sono cellule non differenziate
(cioè non specializzate), nel senso che non hanno ancora una funzione ben precisa all’interno
dell’organismo stesso. Alcuni studi condotti su topi di laboratorio (siamo quindi ancora all’inizio della
sperimentazione!) hanno evidenziato che le cellule staminali iniettate nel cervello dell’animale
agiscono come fertilizzante per il cervello. Le staminali aiutano quindi il cervello del topolino a creare
nuove connessioni tra le cellule che lo compongono e a guarire quelle “ammalate”. Ma non tutto
quello che fanno o che possono fare è poi così “miracoloso”, ci sono comunque dei limiti soprattutto
per patologie come la demenza oltre ad essere degenerative, colpiscono più aree cerebrali e quindi
un grandissimo numero di cellule cerebrali.
Sulla base della considerazione che molti pazienti affetti da demenza sono persone che hanno una
storia di diabete, di ipertensione o di malattie cardiovascolari, un altro passo in avanti proviene da
uno studio americano che avrebbe confermato che alcuni farmaci comunemente usati per
trattare l’ipertensione e le malattie cardiache possono ridurre il rischio di sviluppare la malattia di
Alzheimer e le altre forme di demenza. Si tratta ad oggi di risultati che, per quanto interessanti,
andranno comunque confermati da ulteriori programmi di ricerca futuri.
Infine, un approccio terapeutico molto promettente è basato sullo sviluppo dei vaccini, che si sono
dimostrati in grado di prevenire la formazione della sostanza beta-amiloide e la cui sperimentazione
sui soggetti sani, inizialmente interrotta per il verificarsi di alcuni gravi effetti collaterali, è attualmente
in fase di ripresa.
Concludendo, il quadro generale lascia prevedere la possibilità di individuare nuovi farmaci per la
malattia di Alzheimer, potenzialmente diretti alle cause invece che ai sintomi. D’altra parte occorre
anche sottolineare che le nuove terapie hanno tempi di sviluppo lunghi e quindi nel breve e nel
medio termine non è possibile prevedere di sostituire i farmaci attualmente impiegati.
Decorso e sintomi
Il decorso della malattia è lento e in media i pazienti possono vivere fino a 8-10
anni dopo la diagnosi della malattia.
La demenza di Alzheimer si manifesta con lievi problemi di memoria, fino a
concludersi con grossi danni ai tessuti cerebrali, ma la rapidità con cui i sintomi
si acutizzano varia da persona a persona. Nel corso della malattia i deficit
cognitivi si acuiscono e possono portare il paziente a gravi perdite di memoria, a
porre più volte le stesse domande, a perdersi in luoghi familiari, all’incapacità di
seguire delle indicazioni precise, ad avere disorientamenti sul tempo, sulle
persone e sui luoghi, ma anche a trascurare la propria sicurezza personale,
l’igiene e la nutrizione.
I disturbi cognitivi possono, tuttavia, essere presenti anche anni prima che
venga formulata una diagnosi di demenza di Alzheimer.
Diagnosi
Oggi l’unico modo di fare una diagnosi certa di demenza di Alzheimer è
attraverso l’identificazione delle placche amiloidi nel tessuto cerebrale, possibile
solo con l’autopsia dopo la morte del paziente. Questo significa che durante il
decorso della malattia si può fare solo una diagnosi di Alzheimer “possibile” o
“probabile”. Per questo i medici si avvalgono di diversi test:
esami clinici, come quello del sangue, delle urine o del liquido spinale
test neuropsicologici per misurare la memoria, la capacità di risolvere
problemi, il grado di attenzione, la capacità di contare e di dialogare
Tac cerebrali per identificare ogni possibile segno di anormalità
Questi esami permettono al medico di escludere altre possibili cause che
portano a sintomi analoghi, come problemi di tiroide, reazioni avverse a
farmaci, depressione, tumori cerebrali, ma anche malattie dei vasi
sanguigni cerebrali.
Pramipexolo (es. Mirapexin, Pramipexole Teva, Oprymea, Pramipexole
Accord): per il trattamento del Morbo di Parkinson, si consiglia di
somministrare per via orale una dose di farmaco pari a 0,088 mg, tre volte
al giorno nel caso di compresse a rilascio immediato, oppure 0,25 mg una
volta al giorno per le compresse a rilascio prolungato. La posologia
dev'essere aumentata gradualmente ogni 5-7 giorni, fintanto che gli effetti
collaterali possono essere controllati. Non superare tre compresse a
rilascio immediato da 1,1 mg tre volte al giorno. Quando si termina la
malattia, si raccomanda di diminuire lentamente il dosaggio e di non
interrompere bruscamente la somministrazione. Consultare il medico.
Apomorfina (es. Apofin): altro farmaco agonista dopaminergico indicato
per dare un rapido sollievo al paziente affetto da morbo di Parkinson.
Prima di iniziare la terapia è necessario sperimentare il farmaco sul
paziente con una dose minima (0,2 ml, corrispondenti a 2 mg); qualora il
farmaco fosse tollerato senza provocare reazioni avverse, è possibile
iniziare la terapia con una dose di 0,2 ml (2 mg) somministrati per via
sottocutanea, tre volte al giorno. La dose di mantenimento suggerisce di
aumentare gradualmente il dosaggio (aumentando la dose ogni pochi
giorni di 0,1 ml = 1 mg), fino ad un massimo di 0,6 ml (6 mg) per dose. Non
somministrare il farmaco per più di 5 volte al giorno e non superare i 2 ml
(20 mg) al giorno.
Rivastigmina (es. Rivastigmina Teva, Nimvastid, Prometax, Rivastigmina
Actavis): si tratta di un farmaco inibitore reversibile dell'acetilcolinesterasi, di
elevato interesse farmacologico. Iniziare la terapia con dosaggi di farmaco
piuttosto bassi (1,5 mg, da assumere 2 volte al giorno, a colazione e a cena),
per poi aumentarli gradualmente ad intervalli di 2 settimane, fino a 3-6 mg/die.
Non superare i 6 mg due volte al giorno. Indicato anche per la cura del morbo di
Alzheimer.
Anticolinergici: farmaci ampliamente utilizzati, da molto tempo, per il controllo
dei sintomi associati al morbo di Parkinson (soprattutto tremori). Ponendo
l'attenzione sul bilancio tra gli effetti terapeutici (contrasta il tremore) e quelli
collaterali (alterazione della memoria, confusione, compromissione della
minzione, secchezza delle fauci, secchezza oculare), si comprende come questi
farmaci non possano essere utilizzati da tutti i pazienti malati dal morbo di
Parkinson.