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(PRIMA VERSIONE)
In questi mesi mi sono sentito più volte porre la domanda: “ma perché studiare
(sottinteso: “ancora”) i ricercari di Ganassi?”. La risposta in effetti è tutt’altro che
semplice.
Come presumo sia stato per molti altri musicisti il primo incontro con Ganassi è
scaturito da necessità didattiche: presentare un ricercare, nella fattispecie il primo dei
quattro, al programma d’esame per il Compimento Inferiore (V anno), nell’ambito del
corso tradizionale di Viola da Gamba in Conservatorio1.
I primi passi, quelli di una tutto sommato logica e “normale” ricerca sulle fonti e sulle
edizioni a stampa esistenti, pur chiarendo molti particolari, come spesso succede in
questi frangenti, più che fornire esaustive risposte hanno creato i presupposti per
ulteriori domande. Ed anche questa è in realtà una visione prospettica con la quale mi
sono già confrontato più volte nel corso delle mie esperienze musicali, traendone spesso
il massimo profitto, e in ogni caso particolare piacere, estetico e formativo.
L’approccio della Regola Rubertina (ma è lo stesso per la Fontegara e lo sarà anche per la
Lettione Seconda) è duplice, dogmatico nell’esposizione e progressivo nell’attuazione. Non
è ancora una metodologia basata sul feedback (ossia che tenga conto delle “reazioni”
1 Corso, come tutti quelli cosidetti “tradizionali” in via di definitiva chiusura, a seguito della
riforma dei Conservatori con il DM 1990, e sostituiti da corsi di Alta Formazione (I e II livello),
preceduti dalla fascia formativa pre Accademica.
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dell’allievo e della sua capacità di comprendere, assimilare e riproporre i singoli passaggi
del metodo didattico) ma è certamente un salto qualitativo e contenutistico senza
precedenti rispetto ad opere anteriori e coeve sia didattiche che teoriche.
Il problema nasce quando si cerchi di scendere dal concetto generale alla comprensione
del singolo passaggio, tecnico o musicale che sia.
Anche in questo caso il problema è di due ordini: uno generale, l’altro particolare.
Cominciamo da quello della lingua, e dalla relativa sintassi ganassiana e veneta di primo
Cinquecento.
Quando nella prima e seconda metà del secolo XX, soprattutto in area europea, si provò
a divulgare le opere di Ganassi, i musicisti e ricercatori d’Oltralpe, pur intuendone il
potenziale valore, si scontrarono con la complessità del periodo, le tortuosità
fraseologiche, i non pochi problemi di interpunzione: rendere al meglio ogni singolo
passaggio divenne di fatto impossibile, traslare specifici concetti in inglese, tedesco e
francese (per citare i tre principali ambiti linguistici europei) addirittura drammatico. I
tentativi dei vari Seiffert & C., pur significativi ed importanti, si scontrarono (e forse si
scontrano tutt’oggi) con oggettivi ed insormontabili ostacoli. Certamente i limiti per una
reale comprensione e rinascita “moderna” ganassiana nel continente passarono anche
attraverso questi problemi.
Né d’altro canto si può dire che in Italia le cose andassero meglio: anzi, in maniera
indiretta fu proprio l’attenzione estera alle opere di Ganassi (in particolare, va detto, alla
Fontegara) ad innescare, con tempi di reazione certamente più lunghi, una progressiva
presa di coscienza, in verità tutto sommato modesta e limitata a pochissime personalità,
delle scarse conoscenze dirette desunte dall’opera del nostro conterraneo veneziano.
Bisognerà aspettare gli anni Ottanta, con gli studi di Lo Cicero e De Paolis, perché
l’approccio su Ganassi cambi radicalmente, almeno nel suolo italico (da questo punto di
vista la “traduzione” della Fontegara operata da Salvatore nel 2003 è attualmente l’ultimo
passo in ordine di tempo di quel fenomeno), e comunque con rinnovata attenzione al solo
ambito flautistico; mentre per quello violistico non nascondo che il quasi assoluta
mancanza di riflessioni in merito di studiosi e musicisti, con due sole certificate
eccezioni, Bettina Hoffmann e Maurizio Less, attesta un ritardo tuttora ampio e diffuso.
Della serie, il solito straordinario dualismo italico relativo alla tipica testimonianza
dell’arte musicale italiana: da una parte, un oggetto artistico divulgato e valorizzato in
buona parte d’Europa ma spesso privo di univoche chiavi di lettura; dall’altra una diffusa
ignoranza sul medesimo; dato quest’ultimo oggettivo, che per le generazioni che hanno
fatto della cosiddetta “riscoperta della musica antica” una bandiera e una ragione di vita
ha a dir poco dello scandaloso, visti l’autore ed i relativi contenuti.
A questa panoramica generale, che da sola già giustificherebbe qualsiasi sforzo atto a
capire un po’ di più Ganassi e le sue composizioni per viola da gamba, va aggiunto un
terzo livello, probabilmente ancora più interessante per le complesse relazioni che può
.
produrre, e per i benefici effetti e ricadute in tutti i campi del mondo musicale, didattico
ed artistico compresi.
Ho sempre ritenuto che l’approccio didattico formativo musicale Italia fosse una chiara
testimonianza della visione shintoistica della stessa.
Della serie, come in quella religione giapponese, “obbedisci a chi ti dice cosa fare e fatti
obbedire da chi si rivolge a te”.
E’ una logica figlia probabilmente di un più generale modello culturale (e quindi non solo
musicale) degli Anni Venti e Trenta della società italiana, ai suoi tempi probabilmente
non privo di ragion d’essere (niente accade per caso, nella chimica come nella società),
ma certamente oramai desueto, vuoto simulacro di un assetto formativo che, purtroppo,
cerchiamo ancora oggi di far sopravvivere usando feticci sostitutivi (ed ovviamente
inefficaci, quando applicati dall’alto di un modello che non guarda alla realtà peculiare ed
alla tradizione di questo paese) denominati “credito formativo” e “piano di studi”. Abiti
nuovi, dunque, per corpi fondamentalmente vecchi quando non putrescenti.
Credo che la mia scelta, circa sei anni fa, di studiare uno strumento completamente (?!?)
estraneo all’ambito del clavicembalo e dell’organo come la viola da gamba, sia stata una
delle operazioni più innovative rischiose eppure sorprendentemente utili del mio
personale percorso d’aggiornamento formativo. La scelta di “cambiare mondo per
cambiare il mondo”, per dirla con un taglio operativo da logica francescana, si sta
rivelando più che proficua, direi addirittura necessaria, se non “obbligatoria” per chi si
voglia dichiarare oggi “musicista”.
La mia idea di base è che dietro ad una serie di apparenti contraddizioni oppure
incongruenze riportate nella Regola Rubertina si nasconda in realtà un ulteriore livello di
conoscenza, non esplicito, ma, per forza di cose e come logica conseguenza, desumibile
dai dati oggettivi rilevabili.
Attenzione, non intendo affermare che la Regola Rubertina sia una sorta di Pendolo di
Foucalt (il riferimento è ovviamente al romanzo di Umberto Eco) ma è certamente
evidente che Ganassi pur dicendo molto, conta poi sulle capacità di comprensione e di
progressione dell’allievo per dire anche altro.
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Illustre signore, il più celebrato e riverito proverbio dell'antichità, quasi dato dalla bocca di Dio, è questo:
conosci te stesso, cioè l'essenza della tua anima; e poiché l'anima è armonia, come sostengono i migliori
filosofi, ciò equivale a dire conosci l'armonia.
e chiusura di libro:
Ora ascoltami: se vuoi progredire velocemente impara ad imparare. Per fare ciò bisogna essere diligenti ed
inoltre sono necessarie molte altre cose, e soprattutto queste tre: l'assiduità, la pazienza, e la temperanza;
l'assiduità riguardo al tempo, la pazienza riguardo alla fatica, la temperanza quanto alla disposizione
d'animo.
2Quanto del moderno successo di una figura come quella bachiana è legata alla capacità del compositore di
Eisenach di sintetizzare buona parte della precedente tradizione musicale occidentale? Passato e
contemporaneità convivono nelle sue opere, in maniera sia esplicita che implicita, e ne fanno probabilmente
quell’unicum, quell’assoluto valore che tutti apprezziamo.
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Un aspetto oggettivo entra invece nello specifico della dispositio ganassiana, nella
capacità oratoria (notevole) del Nostro di presentare un’opera sì pratica ma anche
estremamente strutturata e piena di rimandi, a sé stessa e ad altro.
I ricercari sono 4, sia nella Regola che nella Lettione Seconda (viene da chiedersi perché
quattro e non cinque, oppure uno: un significato particolare?).
Rari errori nel testo a stampa sono comunque stati identificati in quanto tali, ma non
andrebbe sottovalutato un dato che fa della Regola un testo a stampa particolarissimo:
l’autore è anche editore. Non è una cosa da poco. Perché permette, in un’epoca in cui la
cosa era non solo difficile per ovvi problemi di natura tecnologici ma anche perché le
competenze di musico e stampatore erano strettamente separate, un’aderenza assoluta,
nel limite del possibile, all’idea dell’autore.
Non a caso Tilo Hirsch utilizzerà anche il frontespizio della Regola per la ricostruzione
virtuale (prima in 3D, poi rifatta in misura 1:1) della “viola alla Ganassi” nel recente
progetto condotto con la Schola Cantorum Basiliensis.
Particolare interessante, ci metto anche questo: tutte, e sottolineo tutte, le fonti primarie
esistenti, nelle varie biblioteche d’Italia, Francia, Germania e USA sono perfettamente
identiche.
Logica, anche se lo ammetto non certificabile conseguenza: Ganassi stampò una sola
edizione delle proprie opere, ritenendola, evidentemente, adeguata al suo obiettivo (le
frasi fatte tipo “nuovamente data alla stampa” nel Cinquecento si sprecano, anche
quando non veritiere).
Certo, il dubbio che Ganassi sia particolarmente loquace e disponibile nei confronti del
lettore (ossia, acquirente del libro; che, lo ricordiamo, all’epoca aveva costi altissimi) ma
poi non dica proprio tutto quello che potrebbe dire, a me è sinceramente venuto, e più di
una volta.
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E non si tratterebbe nemmeno di una cosa strana, conoscendo almeno in parte i
complessi rapporti che regolano la gilda dei musici a Venezia, strettamente sottoposta a
principi di vera e propria segretezza, sia all’interno della “schola”, sia nell’ambito delle
celebrazioni pubbliche, figuriamoci con eventuali lettori privi della cittadinanza veneta
(cosa che, probabilmente non a caso, Ganassi tiene a rimarcare in apertura, non
rinunciando però a riaffermare le proprie origini bergamasche). Senza dimenticare che i
rimandi alla Lettione Seconda, vero trattato di “perfezionamento” già ipotizzato e
probabilmente in itinere al tempo della stampa della Regola, stanno già a indicare un
ulteriore livello di approfondimento.
La mia idea di base è che già nella Regola ci siano più chiavi di lettura, e più percorsi,
espressi e non dichiarati.
Per esempio, andrebbe chiarito chi sia l’ideale allievo del Ganassi alla viola.
Parrebbe di sì.
Inoltre, a differenza del flauto, e dell’omologo nobile, ossia il cornetto, pur esprimendo un
percorso parallelo sia formativo che artistico con il consort, la viola sembra ad occhio
uno strumento di minore diffusione ed utilizzo, anche se potenzialmente espressione di
quel “mercato” che si andava creando in quegli anni, nell’Italia centro-settentrionale.
Ma se l’allievo potenziale è già uno strumentista, come intraprende lo studio della viola?
E poi: c’è l’aspetto “pratico”, del musico “faber”, che non va sottovalutata. E il musico è
“faber” soprattutto nella manutenzione dello strumento: quindi uso dei compassi per le
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tastature, conoscenza delle corde (buona e mediocre) e accordatura. Fino a prevedere che
succede se (Lettione Seconda) ti ritrovi ad accordare uno strumento con quattro oppure
tre corde buone su sei.
Probabilmente l’allievo suona bene il flauto dolce. Non è un caso che il ricercare primo
abbia l’esatta estensione del flauto tenore. Il che vuol dire che chi suona non è proprio
un ragazzino alle prime armi, ma un discreto professionista: diciamo che conosce
approfonditamente (ed anche questo è specificato in apertura del trattato) la Fontegara, e
sa diminuire.
Canta certamente, l’abbiamo già detto. E probabilmente alterna voce e strumento nei
consorts.
Iniziati non vuol dire necessariamente “ricchi”, anche se il censo influenza certamente
l’ingresso nel club.
Iniziati può voler dire anche “iniziati all’arte”, iniziati alla conoscenza.
“Conosci te stesso”; e “l’armonia”. Torniamo ancora una volta all’inizio della Regola.
Un’altra parte del problema “eseguire i ricercari” verte intorno alla domanda: “ma che
strumento uso per i ricercari di Ganassi?”
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Tra parentesi, il paragrafo I) mi permette di:
a) usare non solo qualsiasi viola (basso, tenore o soprano) e di qualsiasi periodo (da
rinascimentale a tardo barocca)
ma anche
a) a chiedermi se non sia in qualche modo ricostruibile, con tutti i benefici del
dubbio esistenti, una esecuzione “tipicamente” rinascimentale. Magari partendo,
in modo molto comune, con una viola copia anche tarda (come la mia attuale
Gasparo da Salò 1580), accordata in mesotonico e tastata di conseguenza. E,
perché no, utilizzando un arco “in stile” che al momento mi sembra più che altro
un bastone per quanto è diametralmente grossa e ingombrante;
b) a esplorare la possibilità (al momento alquanto fantasiosa ma non da escludersi
del tutto in un futuro più o meno prossimo) di poter fare la conoscenza della
misteriosa originale Zanetto (misterioso strumento del M° Savall che però nessuno
pare abbia mai visto dal vivo) oppure, più concretamente, fare conoscenza con la
“viola alla Ganassi” ricostruita da Tilo Hirsch, questa relativamente documentata
(che ci vuole, basta un viaggio fino a Basilea).
Siamo giunti alla conclusione di questa presentazione, nata con precisi obiettivi e poi, lo
ammetto, scivolata in parte su argomenti più prosaicamente minuti.
Del resto, non è mai facile né semplice sintetizzare le necessità di una ricerca che parte
ufficialmente il 1° Luglio 2015 e verrà portata avanti tramite l’istituzione di un databank
(ossia di un deposito digitale di informazioni) fino al 31 Dicembre, sotto il patrocinio
tutelare del Centro Studi per la Musica Antica “Gabriele d’Annunzio” di Pescara.
Spero solo di aver fornito un’idea di massima di quanto possa essere rischiosa,
complessa ma anche intrigante e incentivante una ricerca su quattro piccole
composizioni di Sylvestro Ganassi.
Massimo Salcito
15 Giugno 2015