7 I descrittori linguistici
del Profilo della lingua italiana
per la programmazione didattica nell’ottica
della politica linguistica europea
di Barbara Spinelli
7.1 INTRODUZIONE
Il Quadro, proposto all’interno dell’insieme di strategie e scelte operative promos-
se dalla politica linguistica europea, identifica sin da subito l’approccio che adotta
nel contesto di apprendimento e insegnamento linguistico, come un approccio
“orientato all’azione” che considera l’apprendente come un “attore sociale”, ovvero
colui che utilizza la lingua per soddisfare alcuni bisogni e per portare a termine dei
compiti in un dato contesto sociale (2002, p. 11). Più esplicitamente, l’individuo
con le proprie caratteristiche (quali la conoscenza e l’affettività, i processi cognitivi
e le strategie) si trova a interagire in un mondo esterno in cui deve adempiere ad
alcuni compiti facendo leva sulle sue risorse (di cui sopra) e, nel caso in cui questi
includano anche attività linguistiche (ricezione, produzione, interazione, media-
zione), dovrà riferirsi al proprio bagaglio linguistico.
La realizzazione dei compiti induce, quindi, il singolo ad attivare tutte le sue
competenze (Quadro, 2002, pp. 14-16 e p. 193) sia generali (sapere, saper essere,
saper fare, saper imparare) sia linguistico-comunicative (lessico, strutture grammati-
cali, funzioni linguistiche, pronuncia, ortografia, conoscenze sociopragmatiche).
Si pensi, per esempio, ai molteplici aspetti che un individuo deve considerare
eseguendo il compito: “Comprare un biglietto del treno alla biglietteria di una sta-
zione”.
Egli si troverà a operare in uno specifico contesto situazionale, vale a dire inte-
ragirà con un dipendente statale in un determinato luogo pubblico per raggiun-
gere il suo scopo: ottenere il biglietto del treno. In questo contesto egli dovrà con-
frontarsi con diversi generi testuali sia scritti (per esempio orari) sia orali (parte-
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Per svolgere questo compito con successo l’individuo dovrà inoltre coinvolgere
il suo:
• sapere (vale a dire conoscere: le modalità e i luoghi per ottenere il biglietto in
quella data comunità, gli orari di chiusura e apertura della biglietteria, come
relazionarsi con un funzionario pubblico, le differenze che intercorrono tra
questi aspetti e quelli relativi alla propria comunità di appartenenza, se diver-
sa ecc.);
• sapere essere (per esempio, dimostrare apertura e disponibilità verso l’interlocutore
se non comprende ciò che questo dice ecc.);
• saper fare (comportarsi rispettando le convenzioni della comunità e seguirne le
pratiche comportamentali: per esempio, fare la fila e aspettare il proprio turno
ecc.);
• saper imparare (prestare attenzione alla sequenzialità delle domande dello scam-
bio che appartengono al copione di routine – per esempio: Cosa desidera? Bi-
glietto solo andata o andata e ritorno? ecc. – per svolgere con più efficacia lo stes-
so compito in situazioni future e gestire le difficoltà se l’apprendente ha mezzi
linguistici limitati sviluppando strategie di compensazione a cui potrà ricorrere
anche in altri contesti ecc.).
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(grammatica, lessico ecc.), per raggiungere degli scopi e dei risultati significativi
così come avviene nel suo uso normale.
Come si è visto precedentemente, già a partire da metà degli anni Settanta con
gli approcci di tipo comunicativo, si è focalizzata l’attenzione sulla comunicazione,
ovvero sulla necessità da un lato di enfatizzare l’importanza dell’uso di attività
comunicative (Widdowson, 1987; Brumfit, 1984) e dall’altro di considerare le
caratteristiche peculiari dell’apprendente con i propri ritmi di apprendimento e il
suo ruolo di co-partecipante attivo (Candlin, 1987; Breen, 1987) del processo di
apprendimento.
Nasce da qui la difficoltà di definire cosa differenzi un’attività comunicativa, che
richiede comunque la lingua in uso, e un compito (Zorzi, 2007; Samuda e Bygate,
2008; Nunan, 2004; Candlin, 2001). Johnson (1979, p.198), per primo, avverte
la necessità di definire il concetto di compito anche se la sua interpretazione è stret-
tamente legata all’insegnamento della lingua per scopi specifici e accademici. Egli
pone l’accento su due concetti fondamentali:
1. l’importanza dell’analisi dei bisogni (Munby, 1978) degli apprendenti di riferi-
mento (nel suo caso per lo più professionisti) per la selezione dei compiti da
svolgere;
2. la necessità di focalizzare l’attenzione dei diversi approcci metodologici non solo
sulla conoscenza della lingua ma anche sui processi cognitivi che si attivano
quando questa viene usata.
Questi punti definiscono il compito come un’attività neutrale che può essere uti-
lizzata nel corso di qualsiasi tragitto didattico supportato da diversi tipi di sillabi.
Come si è già visto, l’approccio comunicativo enfattizza l’importanza di un rap-
porto più paritario e collaborativo tra insegnante e apprendente, che permette al
1
Tecniche più comunemente utilizzate per la realizzazione di un compito di interazione sono:
• attività di problem-solving (un problema x da risolvere in un tempo y);
• attività di decision-making (prendere una decisione che richiede una negoziazione tra le parti);
• information-gap (lo studente A ha delle informazioni che lo studente B non ha e viceversa e devono nego-
ziarle);
• opnion-exchange (uno scambio di opinioni senza la necessità di trovare un accordo finale);
• jigsaw (ogni partecipante ha un pezzo diverso di una storia o informazione che deve essere ricostruita).
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2 Come fanno notare Ellis e Siegler (1994) è necessario sottolineare che se da un lato il compito assume
un valore didattico in quanto permette di contestualizzare l’apprendimento, dall’altro non lo promuove di per
sé, se da parte dell’insegnante non vengono forniti agli apprendenti:
• una chiara descrizione degli obiettivi relativi al compito specifico;
• delle linee guida per l’esecuzione (soprattutto se gli apprendenti sono bambini);
• un continuo feedback formativo.
3 Si riporta qui la distinzione proposta da Nunan allo scopo di adottare una possibile classificazione per
rispondere ai dubbi sollevati relativamente alla confusione di significato tra attività e compiti comunicativi.
(Ellis, 2006, p. 31) e assumendo il ruolo di “utenti di una lingua”, concetto che
rimanda a quello di “attore sociale” a cui si riferisce sin da subito il Quadro.
Va considerato, tuttavia, che i compiti non riguardano esclusivamente attività
di gruppo, ma anche la produzione di un testo orale o scritto di senso compiuto
in cui la lingua viene usata nella sua globalità per ottenere un risultato pragmati-
camente credibile (Samuda e Bygate, 2008, p. 68) come persuadere o convincere
l’interlocutore (per esempio attraverso un saggio argomentativo, una presentazio-
ne di un prodotto) oppure stimolare la sensibilità estetica di un pubblico più inde-
finito su un tema (per esempio con la creazione di una poesia). In tal senso il desti-
natario assume un ruolo molto importante per le scelte che il parlante/scrittore
deve adoperare e per questo motivo tale attività viene considerata interattiva
(Nunn, 2006, p. 77).
Secondo Springer (2008) l’esecuzione di un compito, mettendo in gioco simul-
taneamente diverse conoscenze e specifiche strategie necessarie per il suo svolgi-
mento, integra le competenze linguistico-comunicative – su cui ha posto l’accento
l’approccio comunicativo – conferendo all’apprendimento linguistico una dimen-
sione più olistica così come viene descritto dalla figura 1.
Competenza comunicativa
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Tra queste varianti, come si è detto, c’è anche quella relativa alla lingua che viene
utilizzata. Di fatto, benché i compiti offrano all’individuo l’opportunità di usare la
lingua più creativamente, è possibile prevedere, almeno in parte, alcuni degli ele-
menti linguistici e discorsivi che verranno utilizzati da parte degli apprendenti
durante la loro esecuzione (Newton e Kennedy, 1996, p. 312), soprattutto quando
questi sono delimitati dal tempo e da una chiara struttura4.
Gli inventari del Profilo possono rivelarsi, a questo proposito, un utile strumen-
to di riferimento fornendo informazioni sulle strutture grammaticali e lessicali e
sugli esponenti linguistici delle funzioni che un apprendente potrebbe utilizzare per
eseguire un compito in rapporto al suo livello di competenza5.
Ciò vuol dire che, riprendendo l’esempio del compito già citato “Comprare un
biglietto del treno”, saremmo in grado, grazie agli inventari, di prevedere – anche
se con i limiti dovuti alle varianti che possono occorrere nel contesto specifico – la
sua esecuzione linguistica nei diversi gradi di competenza, per esempio, sia di un
apprendente di livello A1 sia di un apprendente di livello A2.
Sebbene la componente linguistica rappresenti solo uno dei tanti elementi che
caratterizzano un compito, i riferimenti forniti dal Profilo si rivelano comunque
efficaci per definirne l’appropriatezza tenendo presente anche che, quando un com-
pito manca di chiarezza o risulta inappropriato rispetto al livello linguistico degli
apprendenti, può determinare l’aumento di uso della L1 o portare al fallimento
degli obiettivi previsti.
Queste considerazioni assumono un valore ancor più significativo, se viene
fatto uso dei compiti in ambito di verifica. I descrittori linguistici del Profilo pos-
sono delinearsi come parametri di riferimento per prevedere il tipo di esecuzione
che un apprendente potrebbe fare in base al livello di competenza raggiunto e, di
conseguenza, fornire suggerimenti utili all’esaminatore su ciò che egli deve anda-
re a verificare (vedi cap. 9). Così il Profilo si presenta come un ponte di connes-
sione tra insegnamento e verifica, offrendo tracce utili per costruire un percorso
didattico coerente e trasparente, in particolare, per quei corsi che hanno come
obiettivo il conseguimento di una certificazione linguistica.
“Trasparenza” e “coerenza” si delineano come concetti base nella costruzione di
un qualsiasi tragitto didattico – illustrato da un sillabo – all’interno della cornice di
politica linguistica europea, come verrà descritto nel paragrafo 7.5.
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inizialmente esposto solo a livello ricettivo (per esempio per ciò che concerne
il passato prossimo) su cui, in seguito, svilupperà una riflessione linguistica per
ottenerne la padronanza nella produzione. Questo consente di accettare obiet-
tivi parziali soprattutto nello sviluppo di una terza o quarta lingua (per esem-
pio solo la ricezione o l’uso formulaico della lingua che favorisce un’interazio-
ne “ping pong”);
• autovalutazione: è importante far riflettere gli apprendenti sui propri bisogni e ri-
sultati per migliorare la qualità del loro rendimento (vedi cap. 11).
6 È proprio in questa tendenza alla modularità e alla flessibilità del Quadro, tanto auspicata da uno dei suoi
principali ideatori, John Trim (Coste, 2007), che alcuni intravedono una “debolezza” (Vedovelli e Villarini,
2003, p. 280) poiché può dare spunto a intepretazioni diverse da parte degli utenti e di conseguenza indebo-
lire il carattere di trasparenza che scaturisce dal suo riconoscimento come documento di riferimento generale.
Tuttavia, la nascita di strumenti integrativi, quali il Profilo, vengono proprio concepiti per contribuire a garan-
tire la coerenza di certe scelte formative, fornendo ulteriori indicatori per delineare i diversi livelli di compe-
tenza linguistica.
7
La Guida (2007, p. 99) suggerisce, per esempio, che in un contesto accademico-universitario
l’insegnamento linguistico a livello di sillabi dovrebbe essere diversificato in base a:
• la funzione che la lingua assume nei corsi da frequentare (per esempio, all’interno dell’ottica delineata dal-
la politica dell’università come quella di raggiungere un livello adatto per affrontare testi letterari o accade-
mici di altro tipo ecc.);
• la funzione della lingua nell’educazione personale dello studente (per esempio, la lingua che egli apprende,
rappresenta anche la lingua ereditaria);
• la funzione della lingua nella trasmissione della conoscenza (la lingua viene adottata come lingua di inse-
gnamento di altre materie);
• la funzione della lingua come strumento all’interno di relazioni internazionali (per esempio, utilizzata per
corsi on-line, relativa alla mobilità studentesca e utilizzata nei corsi all’interno di progetti quali l’Erasmus,
per preparare gli studenti che frequenteranno corsi di studio – inclusi corsi di lingua – all’estero ecc.).
La Guida fa riferimento anche alla selezione dei contenuti linguistici per corsi che rispondono a esigenze
specifiche quali, per esempio, corsi per bambini di immigranti che vogliono imparare la prima lingua dei
genitori o dei nonni, o altri bisogni che portano a sviluppare in particolare alcune abilità rispetto ad altre,
per esempio: ricettive scritte piuttosto che orali o produttive e ricettive orali piuttosto che scritte ecc.
8 La Guida (2007, pp. 100-101) individua le variabili che influenzano la diversificazione metodologica nei
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A B
Livello elementare Livello intermedio
A1 A2 B1
6
A1.1 A1.2 A1.3 A2.1 A2.2
1 2 3 4 5
Allo stesso modo, come fa notare il Quadro (pp. 40-41), sarebbe plausibile, in
un percorso scolastico che va dalla scuola primaria alla secondaria inferiore, artico-
lare maggiormente il tronco relativo al livello elementare A, mentre, per esempio,
se i destinatari corrispondessero a dei professionisti che devono utilizzare la lingua
per scopi specifici, la suddivisione del tronco sarebbe necessaria e più evidente al
livello avanzato C.
È importante, inoltre, notare che i descrittori illustrativi del Quadro, e di con-
seguenza quelli linguistici del Profilo, nascono considerando implicitamente le abi-
lità sociali e cognitive di adulti, identificati in una popolazione che parte dall’età di
16 anni (basti pensare che uno dei tratti distintivi del livello B2 è proprio quello di
saper sviluppare e supportare un’argomentazione). Tuttavia, non si può escludere
che un apprendente adolescente, di età inferiore a quella sopra citata, possa rag-
giungere un livello di competenza B2 o C, solo perché nel suo percorso formativo
ha perlopiù sviluppato abilità d’interazione basiche (BICS – Basic Interpersonal
Communication Skills) piuttosto che abilità cognitive (CALP – Cognitive
Academic Language Proficiency) (Cummings, 1979), che gli consentono di mette-
re in atto discorsi di tipo argomentativo.
Ciò evidenzia ancora una volta la necessità di un adattamento dei descrittori per
la specifica popolazione di riferimento. Secondo North (2007, p. 27), di fatto, non
esiste un reale conflitto tra un quadro centrale che tenta di promuovere coerenza e
trasparenza e le diverse esigenze locali.
Gli strumenti operativi, nati in seno alle iniziative di politica linguistica europea
– come il Quadro, il Profilo e il Portfolio – si presentano, dunque, come dei “meta-
sistemi descrittivi” che diventano efficaci laddove vengono utilizzati attraverso
un’ulteriore elaborazione e un adattamento in relazione alle diverse circostanze di
riferimento (vedi Prefazione e Presentazione).
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In questo percorso l’adozione del Quadro assume un valore significativo nei tre
livelli:
1. strategico in quanto permette di definire gli obiettivi e le mete da raggiungere a
lungo termine;
2. tattico poiché questi si declinano nelle varie fasi intermedie attraverso la proget-
tazione dei sillabi;
3. operativo perché consente di focalizzare gli obiettivi delle singole lezioni.
9 In base a tali convinzioni nascono diversi tipi di sillabi quali, per esempio: il “sillabo grammaticale”, orga-
nizzato sulla base di item grammaticali; il “sillabo funzionale”, orientato sulle funzioni comunicative; il “silla-
bo basato sul contenuto”, focalizzato su tematiche e argomenti come elementi base del percorso didattico; il
“sillabo basato sul compito”, che concepisce il compito come punto di partenza di un’unità di insegnamento,
così come il “sillabo integrato” che tenta di combinare i diversi aspetti che caratterizzano una lingua ecc. Per
una descrizione più dettagliata si rimanda, tra gli altri a Nunan, 2004; Richards, 2001; Markee, 1997.
10 Per esempio, se un corso è finalizzato primariamente allo sviluppo della produzione orale di un pubbli-
co di apprendenti adulti con competenze linguistiche basiche che studia la lingua per scopi turistici, potranno
essere selezionati contenuti quali: testi relativi all’interazione orale (telefonate, transazioni in negozi ecc.), le
relative funzioni linguistiche (“Interagire al telefono”, “Informarsi” ecc.) e il lessico coinvolto dei temi affron-
tati (cibo, mezzi di trasporto, spese nei negozi ecc).
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Per riassumere quanto asserito sinora, qui di seguito viene proposta brevemente
una esemplificazione di tappe che potrebbero essere seguite nella progettazione di
uno specifico percorso didattico, ricorrendo all’ausilio di questi due strumenti.
Si prendano, per esempio, in considerazione le tappe da seguire per la pianfica-
zione di un corso rivolto alla popolazione di apprendenti così come descritta nella
tabella 1.
Livello di competenza B2
Tipologia studenti Studenti che devono raggiungere un livello B2 della lingua ita-
liana per frequentare i propri corsi di studio presso
un’università in Italia
Dominio Educativo
Argomento Relativo all’ambito di studio dello studente
Tappa 1 Analisi dei bisogni
Tappa 2 Obiettivi-Quadro (per es. abilità di produzione orale)
Tappa 3 Adattamento obiettivi del Quadro al contesto d’insegnamento
Tappa 4 Selezione contenuti linguistici-Profilo
Come illustrato nella tabella 1 una volta raccolte le informazioni relative a que-
sto tipo di popolazione (tappa 1) così come al dominio e agli argomenti per essa
rilevanti, si procederà all’individuazione degli obiettivi da raggiungere facendo rife-
rimento ai descrittori del Quadro (tappa 2).
Per ciò che concerne, per esempio, l’abilità di produzione orale, la tassonomia
descrittiva a livello B2 propone una serie di descrittori tra i quali si legge il seguen-
te: “È in grado di produrre descrizioni ed esposizioni chiare e ben strutturate met-
tendo opportunamente in evidenza gli aspetti significativi e sostenendoli con par-
ticolari pertinenti” (Quadro, 2002, p. 73).
Secondo quanto affermato nel paragrafo 7.5 di questo capitolo, si dovrà proce-
dere a un adattamento di questi descrittori al fine di renderli rilevanti per il conte-
sto d’insegnamento identificato (tappa 3), ovvero rivolto a studenti che vogliono
raggiungere un livello B2 per frequentare corsi universitari nel paese ospite.
Una delle possibili riformulazioni di questo indice di capacità potrebbe essere la
seguente: “Sa strutturare una presentazione in un contesto accademico, sviluppan-
do coerentemente un’argomentazione, fornendo esemplificazioni e mettendone in
evidenza i punti salienti”.
Si deve quindi procedere all’individuazione del materiale linguistico necessa-
rio per raggiungere tale obiettivo consultando il Profilo (tappa 4) e selezionando
i generi testuali, le funzioni ed esponenti linguistici, le strutture grammaticali e
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11 Le osservazioni di questo paragrafo rimandano all’analisi più dettagliata dei tratti distintivi degli inven-
tratti distintivi ricorrenti come le funzioni relative a: “Rispondere al telefono”,“Informarsi se c’è la persona che
si sta cercando”, “Lasciare un messaggio se la persona è assente” ecc.
13 Se si tratta di un corso di italiano commerciale si dovranno non solo scegliere i testi ma adattarli al con-
testo, per esempio selezionare le lettere ed e-mail relative, nello specifico, alla richiesta di un ordine, per espor-
re una lamentela di mancata consegna e cosí via.
14 Per esempio, un corso rivolto a studenti di dottorato il cui principale scopo è quello di sviluppare la let-
tura di testi relativi al loro ambito di studio prenderà in considerazione soprattutto articoli scentifici, relazioni
di casi-studio, saggi ecc.
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notare, però, che l’appropriatezza di un testo selezionato in base a questi due crite-
ri, di per sé non risulta sufficiente se non vengono pianificate su questi ultimi atti-
vità didattiche altrettanto mirate (Swales, 1990, pp. 72-73)15.
Strettamente collegato ai generi testuali deve essere cosiderato l’inventario delle
funzioni. Per esempio, un testo in produzione come la “richiesta di un prodotto”
(livello B1) sarà interrelato a funzioni quali: “Descrivere” l’oggetto della richiesta,
“Informarsi sul tempo” necessario per ottenerlo, “Informarsi sul modo” ovvero
sulle modalità di pagamento ecc.
Il corpus linguistico del Profilo, riferendosi anche alle produzioni scritte e orali
di parlanti L2, consente di identificare i tipi di esponenti che si possono utilizzare
per realizzare queste funzioni al livello specifico di competenza.
Come si è detto, informazioni di questo tipo diventano preziose in quanto con-
sentono di valutare se le attività didattiche o i compiti (per esempio un role-play) adot-
tati in un percorso formativo siano appropriati al livello di competenza dell’appren-
dente e permettono di prevedere come tali attività possano essere linguisticamente ese-
guite (vedi par. 7.4).
Per ciò che concerne, invece, la selezione del lessico è necessario tener presente una
serie di aspetti che vengono descritti dal Quadro (2002, p. 184), come i seguenti cinque:
1. l’ampiezza lessicale (ovvero il numero di parole che un apprendente sarà chia-
mato a padroneggiare);
2. la varietà lessicale (vale a dire i domini e le aree tematiche coinvolte nel sillabo);
3. il controllo del lessico che l’apprendente sarà chiamato a esercitare;
4. l’eventuale distinzione tra il lessico che un apprendente sa riconoscere e com-
prendere e quello che sa ricordare e utilizzare nella produzione;
5. l’uso che egli fa delle tecniche di inferenza.
15 Swales (1990) porta come esempio la sua esperienza di insegnante di inglese per scopi accademici, ovvero
per docenti di Legge, in Sudan. Egli aveva selezionato testi quali le relazioni di casi giudiziari sudanesi e aveva pia-
nificato delle attività di comprensione, allo scopo di farne capire le storie che vi venivano narrate. Però, solo dopo
aver frequentato le lezioni di un professore di Legge criminale, si è reso conto che le strategie di lettura richieste
in quell’ambito legale non consistevano nel comprendere la narrativa dei casi, quanto piuttosto nel focalizzare
l’attenzione sui punti cruciali in cui risiedeva la decisione finale. I problem-solving che Swales aveva proposto alla
sua classe erano quindi ben diversi da quelli utilizzati dal professore di Legge e dunque inefficienti per gli scopi
che dovevano raggiungere i suoi studenti. Con questo esempio egli sottolinea quanto sia importante valutare il
testo e il ruolo specifico che esso assume nell’ambiente in cui viene utilizzato.
meno direttamente osservabile. Per tale motivo, l’individuazione del lessico in rice-
zione viene per il momento rimandata16 all’intuizione e all’esperienza del singolo
insegnante, tenendo conto che il lessico in produzione è molto più limitato rispet-
to a quello ricettivo (Corda e Marello, 2004, p. 29).
La possibilità, invece, di individuare il numero di parole che un apprendente
è chiamato a conoscere nei vari livelli di competenza per la produzione orale e
scritta, delineato nel Profilo, ha delle interessanti implicazioni nella progettazio-
ne didattica.
Bettoni (2001, p. 63) individua in 20.000 famiglie di parole il vocabolario che
ha a disposizione un parlante nativo adulto colto; secondo De Mauro (1998, p.
77) un parlante nativo di lingua italiana può raggiungere in ricezione e in pro-
duzione un numero complessivo di parole che varia dalle 30.00 alle 50.000.
Tuttavia, per un parlante L2 che deve apprendere la lingua in un determinato
periodo di tempo e per scopi specifici, la conoscenza di tutte queste parole non
risulta necessaria. Ne consegue la necessità di determinare quante e quali parole
il parlante non nativo debba conoscere per comunicare in italiano come lingua
non materna (vedi cap. 5 e cap. 12)
Per adoperare tale selezione in ambito didattico e per determinare la varietà e
l’ampiezza del lessico da includere all’interno di corsi o libri di testo, si fa general-
mente riferimento alle liste di frequenza disponibili che, però, sono perlopiù basa-
te su testi prodotti dai parlanti nativi (in particolare il VdB di De Mauro).
Un problema dipendente da tale scelta è che parole considerate non fondamen-
tali per un parlante nativo rispondono invece a esigenze comunicative di prima
necessità per un parlante non nativo.
In altri casi, invece, per adoperare tale selezione, si fa ricorso alla pura intuizio-
ne dei progettisti dei corsi o dei libri di testo. Tuttavia, anche tale criterio, non fon-
dandosi su parametri comuni, può giungere a dei risultati confusi e trasversalmen-
te diversi in percorsi che si propongono di raggiungere uno stesso livello di com-
petenza17.
In tale prospettiva, il lessico suggerito dalle tassonomie del Profilo, emergendo
essenzialmente dalla lingua dei parlanti non nativi individuata nelle situazioni in
16 Data la flessibilità della versione elettronica del Profilo, considerato come uno strumento aperto e dina-
mico, si prevede una possibile e futura integrazione degli inventari relativi alle nozioni specifiche, alle nozioni
generali e alle liste di parole con il lessico in ricezione orale e scritta.
17
A questo proposito Li e Richards (1995) hanno fatto una ricerca il cui scopo consisteva nell’analizzare
cinque libri di testo di corsi introduttivi per il cantonese. Benché questi si riferissero alla stessa tipologia di
apprendenti, digiuni di qualsiasi conoscenza della lingua, sono state trovate circa 1800 parole differenti anche
se non tutte apparivano in ciascuno dei cinque testi. Circa il 63,4% dell’intero corpus linguistico appariva solo
in un libro di testo. Molte di queste parole non appartenevano a quello che veniva considerato il Vocabolario
di base del cantonese, quindi gli studenti si ritrovavano a imparare vocaboli di cui in realtà non avevano biso-
gno per affrontare le situazioni comunicative in cui si trovavano a interagire.
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cui plausibilmente questi si potrebbero trovare in accordo con quanto descritto dal
Quadro, può fornire un contributo utile per rendere l’apprendimento più efficace.
Di fatto, a causa della sua stessa natura, il corpus linguistico rispecchia in sé alcuni
criteri generalmente adottati per la selezione del lessico nella programmazione
didattica, quali:
• il criterio di insegnabilità;
• il criterio di disponibilità;
• il critero di inclusione (Richards, 2001, p. 8).
Il criterio di insegnabilità consiste nel dare la precedenza, durante lo sviluppo
evolutivo del lessico, a parole di significato concreto rispetto a quelle che rimanda-
no semanticamente a concetti più astratti. Questa transizione ci viene suggerita
anche dai descrittori linguistici del Profilo che vedono un uso più diffuso di parole
concrete nei livelli elementari A1 e A2, progredendo gradatamente verso parole più
astratte nei livelli B1 e B2.
Il criterio di disponibilità si riferisce, invece, al considerare parole non necessa-
riamente di uso frequente, ma che vengono facilmente alla mente perché presenti
nei contesti o negli argomenti primariamente affrontati. È il caso del vocabolario
relativo alla classe, che può essere insegnato in anticipo perché rimanda a riferi-
menti immediati.
Quest’aspetto si rfilette anche nelle liste lessicali del Profilo dove, sin dai primi
livelli A1 e A2, s’incontrano parole quali frigo, penna, studente, che secondo liste les-
sicali per parlanti nativi come il VdB di de Mauro non hanno alta frequenza, ma
che invece assumono una forte potenzialità comunicativa nelle situazioni di prima
necessità, che si trova a soddisfare il parlante non nativo (quale la gestione di una
casa, l’interazione in un ambiente scolastico ecc.)
Infine, il criterio di inclusione considera quei lessemi generici che includono il
significato più specifico di parole appartenenti alla stessa area semantica e che ven-
gono utilizzati dai parlanti non nativi con competenze linguistiche basiche come
parole passpartout.
Si è già visto (vedi cap. 3) quanto tale comportamento linguistico si rifletta
nelle scelte lessicali che adopera il parlante nei livelli di competenza elementare
del Profilo. Di fatto, a livello A si nota un uso diffuso di certi iperonimi (per
esempio, casa) che vengono utilizzati dallo stesso per sopperire alla mancata
conoscenza dei relativi iponimi (per esempio, monolocale, villette a schiera) i
quali, avendo un significato più delimitato, s’incontrano a partire dal livello
superiore B. Ed è proprio in relazione a questa esigenza comunicativa che si devo-
no interpretare certi comportamenti linguistici che emergono dall’inventario
relativo alla grammatica.
Le caratteristiche peculiari di quest’inventario rimandano a uno dei punti citati
all’inzio del paragrafo 7.5 a proposito delle implicazioni didattiche che, secondo
North (2007), il Quadro può avere nell’insegnamento di una lingua. Tra questi,
CAPITOLO 7 109
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7.8 CONCLUSIONI
Alla luce di quanto sin qui asserito, i descrittori linguistici del Profilo possono for-
nire indicazioni agli insegnanti su cosa aspettarsi da parte di apprendenti di lingua
italiana come lingua non materna, nei vari livelli di competenza da A1 a B2. È uno
strumento che può agevolare la programmazione didattica ma, essendo per sua
natura libero da ogni contesto di riferimento, deve essere oggetto di una rielabora-
zione in base agli obiettivi che i diversi utenti si prefiggono.
L’aspetto organico e interrelato dei diversi inventari linguistici consente di suppor-
tare una descrizione olistica della lingua e per tale ragione può rendersi utile nella
definizione di compiti linguistici. Essi sono momenti essenziali della didattica poi-
ché consentono di integrare modalità di apprendimento più guidate con altre più
legate alla contingenza del contesto, quindi meno controllate perché dipendenti
dall’interazione dei partecipanti che combinano le proprie strategie e competenze
per eseguirli.
Di fatto, benché gli inventari del Profilo possano contribuire a suggerire della
tracce a cui rapportarsi, essi di per sé non hanno ambizioni di esaustività né di for-
nire risposte definitive al ben più complesso processo di apprendimento.
L’uso della lingua è influenzato da un insieme di variabili (Giacalone Ramat,
1993; Larsen-Freeman, 2008; van Lier, 1996 e altri) quali: l’esperienza in sé che il
parlante vive nel momento specifico, le interazioni sociali cui partecipa, i meccani-
smi cognitivi che vengono coinvolti e i fattori ambientali legati al setting in cui si
svolge lo scambio comunicativo. Per queste ragioni, comportamenti linguistici, sep-
pur prevedibili, potrebbero non verificarsi in quanto l’esperienza di apprendimento
è caratterizzata da percorsi comunque individuali18 ed è un fenomeno complesso e
non lineare che prevede diverse fasi transitorie e contradditorie. Nel contesto didat-
tico, per sua natura circoscritto, è dunque necessario attivare la lingua in ambiti il
18 Larsen-Freeman (2008) descrive alcuni studi in cui veniva richiesto a uno studente di raccontare in
pochi minuti una storia a un compagno. La stessa storia veniva poi riferita a un altro partner in un tempo più
breve. Nella seconda narrazione si è verificato un aumento dell’accuratezza e della fluenza da parte del parlan-
te. Allo stesso modo attraverso studi longitudinali, ovvero estesi nel tempo, da lei realizzati, nei quali veniva
richiesto agli studenti di svolgere la stessa attività (raccontare una storia) a intervalli di tempo distanti, si è nota-
to che gli apprendenti seguivano percorsi diversi, ovvero alcuni aumentavano la complessità pragmatica, altri
quella lessicale e che nel contempo mostravano progressi e regressi: una stessa struttura veniva diacronicamen-
te utilizzata correttamente e scorrettamente. Questa instabilità, che rappresenta un’ulteriore testimonianza della
complessità dell’apprendimento linguistico, rende difficile ogni previsione scientifica dei percorsi individuali.
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