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Si tratta di tre scienze umane il cui oggetto di studio è l’uomo e la cultura umana nelle sue
articolazioni etniche e nelle sue espressioni popolari.
In antropologia per cultura si intende non solo i prodotti del lavoro intellettuale come arte, letteratura
e scienza, ma il complesso degli elementi non biologici attraverso i quali i gruppi umani si adattano
all'ambiente e organizzano la loro vita sociale. Fanno parte della cultura: istituzioni, tecniche di
lavoro, forme di parentela, linguaggio etc…
2: Cultura
Anche il concetto di cultura si sviluppa nella seconda metà dell'Ottocento. gli antropologi per cultura
intendo non solo l'arte, letteratura o la scienza ma l'insieme di tutte quelle consuetudini, usi e
conoscenze quotidiane che una comunità possiede e attraverso le quali si è dato l'ambiente e regola le
proprie relazioni sociali.
Nell'ottocento tutti antropologi sono influenzati dal razzismo tuttavia sono interessati allo studio della
cultura intesa come elemento di differenza tra gruppi ma come si spiega la diversità culturale se tutti
gli esseri umani hanno un’origine comune?
La risposta sta nell’ipotizzare un unico processo di evoluzione culturale che si muove a velocità
diverse in diverse parti del mondo e per diversi gruppi umani. Se fosse così attualmente i popoli
primitivi starebbero vivendo uno stadio evolutivo precedente; dunque anche.se cronologicamente
sono contemporanei le società più evolute, questi popoli letteralmente sono situati in un periodo
passato rispetto ad esse.
In questo modo gli altri sono considerati uguali a noi ma solo nel senso in cui lo sono dei bambini che
vanno educati e aiutati a crescere.
Nel 900 però si ha un mutamento radicale un altro podio si afferma un punto di vista relativista e
pluralista della cultura. In questo secolo la valutazione negativa delle altre culture dipende soprattutto
beh l'incapacità di comprendere il funzionamento di codici linguistici, estetici, morali, semplicemente
diversi da quelli che ci sono più familiari.
Nasce In questo periodo il principe del relativismo culturale: non si possono formulare giudizi etici,
estetici il secondo alcuni neppure cognitivi, al di fuori di un contesto culturale poiché è il contesto
culturale stabilire i criteri di riferimento. Ogni tentativo di stabilire criteri sovra-culturali di
riferimento è etnocentrico. Il sociologo Sumner disse: Il punto di vista secondo il quale il gruppo a cui
appartiene il centro del mondo e il campione di misura cui si fa riferimento per giudicare gli altri, in
linguaggio tecnico va sotto il nome di etnocentrismo.
L'etnocentrismo si trasforma spesso e volentieri in pratica discriminatoria verso gli altri e l’americano
Herskovits e il francese Lèvi-Strauss riconoscono questo atteggiamento, tuttavia pensano che sia un
segno distintivo di una società avanzata, quello di riuscire a controllare l’etnocentrismo, promuovendo
l’incontro ed il dialogo con le diverse culture.
3: Etnia
Il termine etnia è utilizzato per esprimere differenze tra gruppi umani indipendentemente dalle
suddivisioni politiche degli stati.
L’ origine del Termine è molto antico ed arrivato a noi attraverso la cultura greca prima e cristiana
poi. Nella Bibbia ethne designa i non ebrei e i non cristiani, gli altri. Il derivativo ethnici si afferma
con l’accezione spregiativa di pagani (quando cristianesimo si identificò con tutta la società
occidentale, l’accezione negativa si estenderà a tutti non occidentali).
Oggi, il termine etnico, finisce ancora con l’avere un’accezione negativa. Con etnico si identifica
infatti l’altro, il diverso, mai la cultura dominante (es musica etnica, cibo etnico, ecc… tutte cose
comunque che escono dall’ordinario).
Rischia, anche il termine etnia, di essere un altro modo per tracciare dei confini e porre delle divisioni.
Ma il rischio principale che corrono le nozioni di etnico e di etnia e la reificazione/essenzializzazione:
tra le nazioni fatti tendono ad essere lette secondo la carta geografica ovvero come si può appartenere
ad un solo stato così si appartiene ha una sola cultura o etnia. La partenza culturale ed etnica è intesa
come proprietà immutabile di un gruppo umano e di tutti gli individui che ne fanno parte. di questa
tendenza all essenzialismo/reificazione colpevole anche l'antropologia in quanto essa a lungo tempo
mostrato un'immagine eccessivamente statica e divisionista delle culture.
L'antropologia ha naturalizzato le culture, ci ha abituato a pensarla come cose che esistono prima ed
indipendentemente dai processi storici. pure ammesso che tale modello divisionista forse adeguato
alla realtà primitive classicamente studiate dall’antropologia, E sono le di certo adeguato alla realtà
attuale di un pianeta dominato dei processi di globalizzazione. Tuttavia nel senso comune e nel
linguaggio dei media, l’uso reificato persiste.
Razzismo differenzialista
La tendenza alla reificazione dei termini etnici-culturali rischia di produrre una nuova
assolutizzazione delle differenze. Il rischio è che il discorso etnico-culturale sia usato come supporto
“scientifico” di pratiche discriminatorie che sono definite “razziste”.
L’essenzialismo culturale è teorizzato in alcune forme odierne di ideologie e pertiche neo-razziste, in
particolare in quello che viene chiamato il “razzismo differenzialista”.
Al giorno d'oggi le idee di pulizia etnica non possono più essere mandate avanti nel modo in cui si
faceva in passato, il neo razzismo differenzialista non parla più di differenze naturali esso accetta il
relativismo culturale (secondo il quale tutte le culture hanno pari dignità e importanza e non possono
essere giudicate sulla base di criteri ad esse estranei) ma proprio questa tolleranza porta poi a
riaffermare quell’esigenza xenofoba: i nostri valori, le nostre convinzioni morali, sono radicate in una
ben precisa identità culturale e proprio per questo motivo le identità non devono essere mescolate.
Anche secondo Strauss bisogna evitare contaminazioni in quanto la diversità culturale è il bene
massimo da preservare per l'umanità, poiché il progresso stesso non è consentito dalla prevalenza di
una cultura su tutte le altre ma dalla compresenza di alcune diverse. Quindi è necessario favorire lo
scambio il dialogo ma bisogna anche evitare contaminazioni troppo profonde che facciano perdere
senso della diversità.
↓ ↓
5
Pierre-Andrè Taguieff descrive tre atteggiamenti intellettuali e tre tipi di pratiche come
denominatori comuni rispettivamente dell'Ideologia Razzista e del Comportamento razzista
Sono tre i gradi progressivi dell’Ideologia Razzista:
1° - Categorizzazione Essenzialista (Individuazione): è il pregiudizio con il quale viene catalogato
un individuo solo perché appartenente ad una determinata categoria/etnia (es. “albanese”, “negro”,
“ebreo”…). Produce un giudizio a priori e totalizzante su un individuo, a cui sono associati
immediatamente tutti gli attributi e stereotipi della categoria.
Essenzializzare è un processo comune, tuttavia affinché si possa parlare di razzismo bisogna che ci sia
un’asimmetria di potere; il razzista è chi fa opera di essenzializzazione di una categoria più debole o
subalterna perché vedono in essa, una minaccia alla propria posizione.
È l'enfatizzazione generalizzata e definitiva, di differenze, reali o immaginarie, che l'accusatore
compie a proprio vantaggio e a detrimento della sua vittima, al fine di giustificare i propri privilegi o
la propria aggressione.
2° - Stigmatizzazione (Negativizzazione): una volta categorizzarti secondo una presunta immutabile
essenza, gli "altri" possono essere stigmatizzati, cioè subire un processo di esclusione simbolica,
imperniato sulla attribuzione di stereotipi negativi.
Ad essi si attribuiscono difetti congeniti, tare, impurità, qualità pericolose. Il “nemico” viene
demonizzato, disumanizzato, bestializzato.
Questo crea una distanza psicologica e morale, tale da poter giustificare ogni mezzo di
oppressione/soppressione.
La mixofobia è la paura della mescolanza e dell’ibridazione, con l'ossessione di un “contagio”,
metaforico o reale
3° - Barbarizzazione (Disumanizzazione): consiste nella convinzione che certe categorie di esseri
umani non siano civilizzabili, "che non siano perfettibili, non siano educabili, convertibili,
assimilabili".
Questo porta al massimo distacco ed esclusione dell’altro. In quanto "barbaro" esso non è solo
diverso, inferiore, pericoloso, ma rappresenta l'antitesi stessa della civiltà: è colui che non ne
riconosce i valori fondamentali.
Ciò apre la strada politiche di eliminazione, di separazione xenofoba ed anche di genocidio.
Comportamento Razzista: Taguieff distingue tre tipi o livelli di azioni legate alle precedenti
Componenti:
1° - Segregazione, Discriminazione, Espulsione: questo atteggiamento è quello di chi, per vari
motivi che possono essere di carattere strutturale-oggettivo (economico, politico, sociale, …) oppure
personale-soggettivo (esperienziale, passionale, emotivo, …), isolano e iniziano a identificare nell’
“altro”, se non un nemico, quanto meno una persona da allontanare in nome del proprio bene e del
bene comune.
2° - Persecuzione e Violenza Essenzialista: azioni dirette contro una categoria in quanto tale.
Significa passare dalle parole ai fatti. Dalla semplice esclusione, alla persecuzione sia verbale che
fisica vera e propria.
3° - Genocidio: l’atto finale della violenza espressa è il desiderio di annientare l’intera
popolazione/categoria avvertita come nemica, ostile, pericolosa, non recuperabile.
Questo ci porta a pensare come in un’escalation di violenza, pur nella diversità quantitativa, vi sia un
filo rosso che lega esclusione e genocidio e come di fatto l’uno sia conseguenza dell’altro (vedere
esempio leggi razziali – Shoah).
2.6 - Antirazzismo
Anche l’antirazzismo oggi corre il rischio di adoperare gli stessi strumenti del razzismo.
Essenzializzare, Stigmatizzare ed infine Barbarizzare l’altro accusandolo di razzismo, indicandolo
come un nemico da combattere in una visione totalizzante della realtà dove il bene (l’antirazzismo)
deve combattere il male (razzismo).
Il neonazismo diventa un nemico assoluto e astratto, il Razzista è la figura negativa, un grande
seguace del Male Assoluto.
Un modello dicotomico che contrappone un Male Assoluto ad un Bene Assoluto.
Caccia alle Streghe: si corre il rischio di cercare il razzismo in ogni cosa che fa parte della società,
esasperando i termini del discorso e riconoscendo solo ciò che di male viene prodotto dagli altri.
Rischioso perché, così facendo, non si riconoscono i diversi livelli di razzismo, l'incapacità di
distinguere diversi livelli di pregiudizio, essenzializzando solo un nemico da combattere a tutti i costi.
Vi è nella nostra cultura una forte accentuazione dell’opposizione bianco (pulito, candido, buono, …)
– nero (sporco, cattivo, uomo nero, …), tuttavia si tratta di capire quanto questi meccanismi siano
radicati nella nostra cultura, come operino e come cercare di cambiarli.
Viceversa “vedere il razzismo dappertutto” rischia di far si che il vero razzismo non venga poi
realmente riconosciuto.
, DIRITTI UMANI
3.1 - La Ragione e i Costumi
Il tentativo di definire la ragione umana, in una sua forma "pura", doveva prescindere dalla
frammentaria eterogeneità dei costumi, regno dell’imperfezione e dell’apparenza. Il cammino verso
l'essenza della ragione è "una via interna" un "giro breve": una riflessione introspettiva che il pensiero
svolge su se stesso, il cogito ergo sum cartesiano.
Secondo Remotti esistono fondamentalmente due “giri” utili a capire e confrontarsi con la diversità.
Giro Breve: la filosofia ha da sempre (da Platone a Kant) ricercato un’unità ed un fondamento che
possa riconoscersi come universale. Kant lo esprime molto bene analizzando quelle che sono
considerate le tribù primitive o native della sua epoca (ad esempio gli abitanti di Tahiti), arrivando a
considerarle marginali nell’importanza della ricerca della ragione.
Ragionamento Deduttivo: Io sono un Uomo, Io ragiono così, allora tutti gli Uomini ragionano così
Giro Lungo: al precedente modello questo si oppone, ciò descrive la conoscenza come un viaggio.
Questo viaggio è lo strumento per arrivare a definire la ragione. Questa posizione viene enfatizzata
durante il periodo coloniale con la scoperta di nuove terre e nuove popolazioni, che si ponevano in
evidente contrasto con il modo di essere occidentale (esempio del cannibalismo).
Ragionamento Induttivo: attraverso l’incontro con i vari tipi di ragione e razionalità si inferiscono
tratti generali.
Michel de Montagne con il suo saggio “Sui Cannibali” approfondisce questo tema. Il cannibalismo è
una caratteristica che viene spesso attribuita ai selvaggi, è il più classico contrassegno di barbarie, una
prova della loro disumanità.
Egli però coglie la natura rituale dell'atto, atto in qualche modo morale o di pietà, che si può
contrapporre alla ben più grande barbarie dei supplizi e delle torture che gli europei infliggono ai corpi
vivi dei nemici o dei condannati, per cui i veri barbari saremo noi. Il cannibalismo è una pratica
cultuale organica e piena di senso se inquadrata nel giusto contesto.
Il pensiero di Montagne va contro l’etnocentrismo: ritiene ingiusto chiamare barbaro ciò che non si
conosce, quando l’unico strumento che si ha a disposizione per valutare la realtà di fatto non è altro
che l’esempio, le opinioni e gli usi del paese in cui si è nati.
Etnocentrismo è quello che ci fa apparire ovvio e naturale quanto ci è semplicemente familiare.
Quanto ci appare come verità e valore assoluto è invece frutto della convenzione e della consuetudine.
Montagne è sostenitore del “giro lungo”, del relativismo.
Vi è però un problema: il paradosso del Relativismo. Questo modo di pensare infatti incontra un
paradosso, ovvero quello del pensiero debole.
Se la filosofia razionale si fonda su se stessa, la filosofia relativista si fonda invece su niente di
consistente.
Su cosa Montagne può formulare il suo giudizio di irragionevolezza circa il “giro breve”?
Venir meno alla certezza del pensiero razionalista può creare dei problemi dal punto di vista
speculativo, non potendo fare esperienza di tutto quello che esiste al mondo. È interessante il punto di
vista del “giro lungo” che pone la diversità dei costumi quale agente costituente della realtà umana.
Visione rigida ed esclusiva delle culture e dell'appartenenza ad esse degli individui (negativa)
Analizzando il pensiero dei due antropologi Herskovits e Levi–Strauss, si distinguono due aspetti:
1) Herskovits ha un pensiero di tipo esclusivo nei confronti delle altre culture, vale a dire che esistono
tante morali, tante libertà, ecc… quanti sono di fatto le società esistenti.
2) Levi–Strauss usa la metafora del treno, i treni sono le culture, i passeggeri gli individui. Noi
possiamo vedere gli altri individui dal finestrino del nostro treno in corsa, attraverso il finestrino di
un altro treno in corsa, avendo così un’ immagine fuggevole e distorta. Il sistema di riferimento che
ci portiamo dietro finisce per falsare tutta la conoscenza che possiamo fare delle altre realtà
esistenti.
Visione “essenzialista”: le culture sono entità stabili nettamente definite che incombono sugli
individui, con il paradossale effetto di deresponsabilizzarli rispetto alle loro scelte.
L’essenzialismo è il pregiudizio con il quale viene catalogato un individuo solo perché fa parte di
un determinato gruppo. Passività: se gli individui non possono far altro che seguire passivamente
le norme proposte dalla loro società, allora vuol dire che non sono responsabili del male compiuto,
in quanto determinati nel farlo dalla società.
Inutile quindi appellarsi ad un’ etica o ad un diritto internazionale.
B) Sorveglianza critica costante (positiva) che l'antropologia può esercitare verso le tendenze
etnocentriche nella definizione dei diritti. Troppo spesso quanto si pretende "universale" è qualcosa
che appartiene alla moderna civiltà occidentale.
Nelle dichiarazioni “universali” Herskovits ci vede la volontà dell’uomo bianco occidentale di
portare al resto del mondo la sua civilizzazione.
Basi Universali: su quali basi allora sostenere l’universalità dei diritti umani? Un modo per ragionare
su questi termini è ragionando sui diritti dei bambini. Possono dei diritti essere validi in alcune
culture e non in altre? Anche qui l’etnocentrismo rischia di trarci in inganno. Nell’occidente ricco e
civilizzato, i bambini sono tenuti in grandissima considerazione, protetti educati, spesso addirittura
tutto viene fatto in funzione loro.
Questo fatto non è sempre stato così, ma è stata una novità piuttosto recente della nostra cultura.
Come confrontarsi con le altre culture? Il sociologo Rosen ha detto che la volontà di dare una norma
universale al riguardo ha fatto si che non si tenesse conto delle specificità e ha portato a
considerare tutte le altre modalità di educazione inumane. Come pensare a un bambino africano
che di fatto diventa, per la sua cultura, responsabile molto tempo prima dei suoi coetanei europei o
nord americani? Es i bambini soldato o le menomazioni genitali femminili.
L’etica dei principi rischia di sostituirsi all’etica delle responsabilità. Bisogna fare attenzione che il
discorso sui diritti universali non diventi una scusa per affermare una propria immagine da imporre
ad un’altra parte di mondo.
Questo ad indicare non il disinteresse dell’antropologia nei confronti dei diritti, ma per affermare
che al centro dei diritti ci devono essere le persone vere, prese nella loro unicità e nelle loro
differenze, non le etnie, non i principi.
CAPITOLO 4 - LA RICERCA SUL CAMPO E L’EVOLUZIONE DEI METODI
ETNOGRAFICI
4.1 - “Antropologia da Tavolino”
I grandi studiosi vittoriani dell’800 non svolgevano in modo diretto la ricerca sul campo.
I loro libri erano trattati di taglio comparativo, che accostavano e discutevano racconti e resoconti di
mercanti, missionari, funzionari coloniali, naturalisti e altri viaggiatori che, trovandosi in paesi esotici,
descrivevano in modo più o meno approfondito gli usi e i costumi delle popolazioni locali
L’antropologia era dunque chiamata “da Tavolino” poiché si occupa più di comparare delle fonti
in maniera bibliografica, senza approfondire di fatto nessun argomento in particolare,
Bisogna dunque fare una distinzione tra l’antropologo comparativista e il ricercatore sul campo
poiché avevano ruoli e compiti completamente diversi:
1) Il Teorico Comparativista aveva bisogno di grandi biblioteche e di molto tempo per consultarle; i
viaggi dovrebbero distratto dal suo compito. Inoltre, l'approfondimento di una cultura specifica
avrebbe compromesso l'equilibrio di uno sguardo che doveva restare generalizzante.
Purtroppo l’antropologo vittoriano che si occupava di comparativismo, ancora risentiva
dell’atteggiamento tipico della scienza positivista, e dell’etnocentrismo nel suo approccio
interculturale. Il famoso Antropologo scozzese James Frazer nella sua opera “Il Ramo d’Oro”, fa un
immenso lavoro di comparazione delle religioni, ma cade inevitabilmente nella tendenza etnocentrica
dell’epoca.
Egli fa risalire tutte le religioni alla magia, ritiene che sia il pensiero magico alla base del pensiero
primitivo dell’umanità, basato sull’associazione delle idee, la similarità ed il contatto.
Questo pensiero porta a divinizzare i caratteri naturali che gli uomini hanno da sempre esperito nel
corso della loro storia, e ad elaborare idee sempre più complesse, come quella del Dio incarnato che
muore e risorge, a simboleggiare il ciclo dell’eterno ritorno, presente in natura nell’alternarsi delle
stagioni.
Frazer nella sua opera arriva ad affermare, come chiara prova del suo pregiudizio etnocentrico in
rapporto alla sua ricerca:
“La magia è tanto un falso sistema di leggi naturali quanto una guida fallace della condotta; tanto una
falsa scienza quanto un'arte abortita”
2) Il ricercatore su campo raccoglieva "fatti" pure attraverso viaggi e lunghe permanenze in luoghi
lontani, nei quali non poteva svolgere alcun lavoro teorico. Anzi la teoria era pericolosa perché
portatrice di "pregiudizi".
1 Romanticismo e positivismo
L’interno e l’esterno, l’alterità prossima e quella lontana, fanno parte del sapere antropologico.
Tale progetto è possibile quando i ceti colti e dominanti dell’Europa moderna diventano consapevoli
della propria modernità: di essere l'avanguardia di un processo di sviluppo che procede in modo NON
UNIFORME. da questa consapevolezza si apre il campo all’alterità non moderno come oggetto di
conoscenza. il non moderno assume due sembianze
1 da un lato l’arcaico, il primitivo, il selvaggio, i luoghi non coltivati e distanti, nello spazio nel tempo
dalla civiltà
2 dall'altro il tradizionale, ciò che esiste nel cuore stesso della civiltà, più precisamente negli strati
sociali più bassi virgola in virtù di una forza di inerzia ultimo insufficiente capacità di penetrazione
del processo di civilizzazione stesso.
Come accade per il selvaggio, l'assunzione del “popolo”, si compagna di ambivalente giudizio etico
1 da una parte, la condanna dell'arretratezza, dell'ignoranza, della superstizione che caratterizza il
popolo
2 dall'altra l'esaltazione una nostalgia tutta moderna per la sua autenticità, la sua “naturalità”, le sue
primordiali virtù.
È Soprattutto il folclore contadino a rappresentare oggetto di “scandalo” per il suo ostinato attardarsi
fuori dalla modernità e nello stesso tempo oggetto di osservazione morale, in quanto il dispositivo di
lavoro e virtù genuina che andrebbero invece perduta con il processo di modernizzazione. Ancor più
dei selvaggi i ceti popolari incolti suscitano indignazione per la loro scandalosa arretratezza; Ma sono
anche oggetto di osservazione morale poiché quella stessa arretratezza li renderebbe “puri” e lontani
dagli inautentici artifici del progresso.
questa bivalenza invade i moderni studi sulla cultura popolare che si inseriscono i due grandi basi
1 romanticismo: Alla fine del XVIII secolo, la cultura dei ceti popolari e in particolare contadino
acquista un posto centrale nelle preoccupazioni degli intellettuali europei. Ad esempio, il filosofo
tedesco J.G. Herder chiamava Volksgeist lo spirito del popolo, un’anima collettiva della nazione che
trova negli usi e nei costumi, nel patrimonio lirico e narrativo orale, la sua massima espressione.
La raccolta di canti e fiabe segna in profondità la cultura romantica. Per l'Italia, la raccolta di canti
popolari toscani di Tommaso Nicolò e molto legato allo spirito risorgimentale. in questi scritti esaltato
la spontaneità e la autenticità dell'estetica popolare, concepita come frutto di una creazione collettiva,
di una originaria e quasi divina mitopoiesi (tendenza caratteristica dello spirito umano di creare miti o
considerare in modo mitico i fatti). Se ne privilegia inoltre il carattere nazionale cioe la particolarità
linguistica e culturale. Ciò non implica un uso del folclore come strumento ideologico del chiuso e
aggressivo nazionalismo ottocentesco. lo diventerà in qualche caso, ma l'iniziale ispirazione di Herder
costruisce il concetto di Volksgeist con un'apertura cosmopolita. il romanticismo nascente il
riconoscimento del radicamento locale è fattori di fratellanza e Unione tra i popoli/ concezione che
tramonterà ben presto con le tensioni del periodo napoleonico. In ogni caso romanticismo si concentra
per lo più sulla letteratura orale, sui prodotti folkloristici cui è possibile assegnare valore artistico.
2 positivismo: il positivismo che domina gli studi della seconda metà dell'Ottocento, tenta invece di
documentare tutti gli aspetti della cultura del popolo, dal punto di vista di un concetto antropologico
esteso di “cultura”. Quindi non solo fiabe canti, ma anche usi e costumi, credenze magiche
superstizione , pratica del lavoro contadino e artigianale, riti e cerimonie, tradizioni legate al ciclo
della vita. Ri positivismo non c'è un vero e proprio limite disciplinare tra folklore e antropologia;
entrambe le discipline sono interessate a documentare stavi arcaici dell evoluzione culturale
dell'umanità virgola di cui fenomeni folkloristici sarebbero le sopravvivenze (resti pietrificati, fossili
di epoche precedenti). I “selvaggi” o “primitivi di oggi”, al pari dei contadini europei vivono in un
epoca precedente, tendenza all’allontanamento dell'altro tempo o allocronia. Per la scuola di fine 800
il folclore rappresenta uno dei grandi campi per uno studio comparativo delle origini della cultura
umana . il suo metodo consiste nel ricondurre usi e costumi contemporanei a presunti antecedenti
storici, a forme originarie che nei contribuirebbero la spiegazione. Wittgenstein insisteva sulla
inutilità delle ricerche di ipotetiche origini di simili pratiche. Eppure il metodo genealogico ha
risentito lungo il declino del positivismo evoluzionistico. esso ha rappresentato un potente dispositivo
teorico in grado di stimolare e organizzare la ricerca documentaria in tutti i campi della cultura
popolare. l'ipotesi su antiche origini, per quanto non dimostrabili hanno dato una grande spinta agli
studiosi su fenomeni che altrimenti sarebbero stati inosservati. È dunque grazie anche alla geologia
che la ricerca sulla cultura popolare conosce un grande impulso nell epoca positivista. ogni cultura
nazionale produce una propria tradizione di studi: Per l'Italia Giuseppe Pitrè, medico fondatore della
“demopsicologia” (primo insegnamento universitario dedicato al folklore). ma ogni regione italiana ai
suoi appassionati raccoglitori di curiosità popolari: gli ambiti più frequentati restano quelli dei canti e
delle fiabe; importanti anche i proverbi, le filastrocche, le ninna nanne, la medicina popolare, le
credenze etc…
Agli inizi del 900 Lamberto Loria, viaggiatore, studioso e collezionista, fonda a Firenze il primo
museo di etnografia italiana, una raccolta di cultura materiale proveniente dalle diverse regioni
(diventerà poi mostra di etnografia italiana a Roma. Da ciò emerge la vitalità di un ambito di studi
che fa della grande varietà di culture regionali italiane il suo punto di forza.
3 egemonia e subalternità
gli studi di cultura popolare si sviluppano in correnti nazionali autonome e sono difficili da ricondurre
a unità.
Per quanto riguarda l’italia si verifica un brusco arresto degli studi antropologici, non solo a causa
della grande guerra Che anzi susciterà un interessante dibattito sulla diffusione di uno specifico
folclore militare. dopo la guerra sono due fattori principali a determinare l’immobilità della ricerca in
campo folkloristico e antropologico. Il primo fattore è il fascismo virgola che con le sue politiche
autarchiche toglie i contatti vitali tra gli studiosi italiani le correnti internazionali (anglosassoni e
francesi) dove più forti sono le scienze succede e l’etnografia. Questa situazione ne ha compromesso
l'autonomia e lo spessore, Portando verso un approccio ideologico a sostegno delle aggressioni
coloniali e al manifesto della razza.
il secondo fattore è stato l'idealismo storicistico di Benedetto croce ossia un indirizzo culturale che
non vede di buon occhio lo sviluppo delle scienze umane e sociali.
Neanche croce è interessato alla cultura “primitiva” o a quella dei ceti popolari che considera come
rami secchi nello sviluppo della civiltà umana. Il periodo fra le due guerre gli studi antropologici non
godono dunque in Italia di particolare vigore. Ma le cose sembrano cambiare nel secondo dopo
guerra. da un lato L'Italia si apre alla cultura internazionale dove arrivano per la prima volta
introduzione delle grandi opere della psicanalisi, della storia delle religioni e dell'antropologia;
dall'altro lato si sviluppa un indirizzo di studio autonomo che sia accentra proprio suo interesse
specifico della cultura popolare, Le cui radici sono da ricercare nel pensiero di Antonio Gramsci Il
quale elaborò nei suoi “quaderni del carcere” una versione originale della teoria marxista incentrata
sui rapporti tra struttura economica e forze sociali/ culturali. Gramsci scrisse in una lettera sulla
cultura definendolo un campo in cui le classi esercita un'azione egemonica nei confronti di quelle
subalterne. nei suoi quaderni e gli dedica alcune pagine importanti proprio al folklore , infatti ritiene
che ciò che definisci un tratto culturale come folclorico è proprio la collocazione nelle dinamiche dei
rapporti sociali. Le classi popolari non potendo accedere alla cultura dei ceti dominanti si
accontentano di frammenti quando questi cadono verso il basso; il folklore è appunto la raccolta di
questi frammenti: eppure è anche capace di organizzarsi in forme progressive o oppositive che
denunciano la subalternità e la pressione esprimendo un'aspirazione emancipativa. il Gramsci si
distacca dalle concezioni positivistiche e romantiche del folclore Hello ripensa come un rapporto fra
classi e come conseguenza diretta dei processi egemonici tramite i quali i ceti dominanti esercitano
il potere.
Il folclore si trova posto al centro della teoria e della pratica politica. Gramsci individua gli
intellettuali come principali mediatori dei progressi di egemonia culturale e virgola ipotizza la
formazione di nuovi intellettuali, “organici” non più alle classi dominanti ma quelle subalterne.
Gianni Bosio seguendo questa direzione propone una figura di intellettuale rovesciato che non insegna
ai ceti popolari ma impara da loro. Lo strumento attraverso il quale può avvenire ciò è il
“magnetofono” ossia un registratore vocale portatile che consentiva di produrre la storia dal basso
basata sulla voce diretta dei subalterni e dei lavoratori.
Cirese ricompatta l'unità di una tradizione di studi il cui nome è demologia. i vecchi studi di folklore e
come spirito della nazione o come sopravvivenza non sono da scartare, possono essere reintegrati in
una moderna scienza della cultura popolare a patto di rileggerli sullo sfondo della contrapposizione
egemonia-subalternità.
“Cultura egemonica e cultura subalterna” è la più nota delle opere di Cirese nella quale troviamo una
definizione relazionale di folkore.
Un tratto culturale non è mai di per sé alto o basso, egemonico o subalterno: la sua natura dipenderà
dal concreto e determinato contesto storico-sociale in cui si colloca. La tematica gramsciana si radica
nell’antropologia italiana e ne rappresenta l’elemento unificante e propulsivo. Ne nasce un filone di
ricerche su aspetti della cultura popolare che si avvicinano a forme di inchiesta e denuncia sociale.
4 folk revival
Con quel vasto movimento di democratizzazione della cultura esplode nella società italiana ed
europea negli anni 60 ci troviamo di fronte ad una nuova valorizzazione politica del folclore anche se
è completamente inversa rispetto a quello del fascismo.
Tra gli anni 50 70 questo apprezzamento per il valore progressivo alternativo del folclore si salda ad
un Folk revival di tipo più estetico e commerciale che riguarda fasce sempre più ampie di
popolazione.
il “folk” da oggetto di interesse specialistici gli viene un genere di consumo di massa. Tuttavia, nel
secondo dopoguerra, In Europa e in Italia si verifica una fase di grande trasformazione che in pochi
anni spazio il via al centro del folklore (il mondo contadino).
L'industrializzazione porto allo spopolamento delle campagne. l'universo culturale contadino si
disgrega: nelle regioni del 12:00 questi processi di modernizzazione hanno luogo in modo forse più
limitato. Nel ventenni o 50 70 vengono meno proprio quelle condizioni che nella visione di Gramsci e
cirese garantivano la separazione della cultura subalterna da quella egemonica: Isolamento territoriale,
la perifericità, l'impossibilità di accedere all'istruzione ecc. la modernizzazione non cancella certo le
differenze di classe ma c'è una più lineare corrispondenza fra differenze di classe differenze culturali.
se le generazioni dell inurbamento hanno cercato di disfarsi della memoria contadina , vista quasi
come un retaggio di arretratezza, le nuove generazioni hanno fatto oggetto di nostalgia, di revival, di
patrimonializzazione.
Il disgusto per la cultura di massa attraversa in quegli anni il campo intellettuale a tutti i livelli. la
sociologia critica della scuola di Francoforte considera l'industria culturale come agente di un nuovo
totalitarismo che distrugge l'autonomia individuale. In Italia, Pier Paolo Pasolini, denunciò i suoi
effetti omologanti e alienanti. Negli scritti corsari, Pasolini vede nel consumismo di massa la
principale causa di una “rivoluzione antropologica” che ha cambiato gli italiani.
“La scomparsa delle lucciole” è l'immagine poetica con cui si rappresenta l’allontanamento
dell’autenticità Della vita e della cultura contadina.
le masse popolari sì “Imborghesiscono” cadendo così in una forma tanto più totalizzante di
oppressione e falsa coscienza. C'è questa diffusa coscienza che spinge a salvare il passato contadino.
Gli enti locali Sviluppano progetti focalizzati sulla memoria , le tradizioni e le radici del passato.
Prendono vita archivi di memoria basati sulle fonti orali e musei del lavoro agricolo e della vita
contadina. tutto ciò accade sulla base dell alleanza e della convergenza i tre agenti culturali
1 gli studiosi
2 portatori delle tradizioni
3 amministrazioni locali
5 il paradigma patrimoniale
dagli anni 90 si afferma una nuova cornice o paradigma incentrata attorno alla nozione di memoria e
soprattutto a quella di patrimonio.
È proprio un istituzione internazionale, l’UNESCO che ne diventa interprete e detta il nuovo
linguaggio ai nuovi obiettivi della valorizzazione delle culture locali e tradizionali. l’UNESCO e il
promotore del pensiero anti razzista ed è contro la discussione di Levi Strauss sull etnocentrismo e
relativismo. L'attività principale di questa istituzione ha riguardato la costruzione di un quadro di
riferimenti normativi per la salvaguardia e la valorizzazione del patrimonio culturale dell'umanità.
Una convenzione del 1972 ha creato la lista dei beni culturali e naturali riconosciuti appunto come
“patrimonio dell'umanità” Di carattere storico artistico e monumentale.
A questalista se ne sono aggiunte altre come quella delle memoria del mondo, ossia gli archivi i
documenti e quella del “patrimonio immateriale” relativa alla cultura nel senso etnico del termine.
1 1989 raccomandazione per la salvaguardia della cultura tradizionale e del folklore
2 1993 tesori umani viventi: programma volto a favorire la trasmissione si saperi tradizionali
3 1999 capolavori del patrimonio orale e intangibile dell'umanità
In questi documenti si associa l'idea di patrimonio a quella di “tesori” e “capolavori” ,
nell'individuazione di eccellenza che emergono rispetto ad uno sfondo che non merita di essere
salvaguardato. La cultura e per certi aspetti l'opposto dei monumenti e dei capolavori. tale difficoltà
caratterizza anche atti successivi all Unesco come la “dichiarazione sulla diversità culturale”
e la “convenzione per la salvaguardia del patrimonio culturale intangibile”. quest'ultimo documento
contribuisce alla definitiva affermazione della nozione di “intangibile” o “immateriale” per definire
quanto un tempo si chiamava folclore o cultura popolare.
In questa nozione di “patrimonio intangibile” sono ricompresi i seguenti ambiti culturali:
1) Tradizioni ed espressioni orali, incluso linguaggio.
2) arti dello spettacolo
3) pratiche sociali, riti e feste
4) conoscenze pratiche riguardanti la natura e l'universo
5) artigianato tradizionale
Questo documento rappresenta oggi lo standard di riferimento per il ministero dei beni culturali, per le
politiche delle regioni, degli enti locali e delle associazioni culturali. I documenti UNESCO parlano di
differenze in Riferimento ha proprietà visibili e spettacolari di una comunità indifferenziata e le
procedure di riconoscimento richiedono l'assenza di conflitto, un totale consenso Comunitario verso i
tratti culturali da salvare.
I mass-media ci hanno abituati allo sfruttamento delle immagini di violenza a fini di audience e di
successo commerciale. Tacere non serve però a portare testimonianza, a rendere o almeno a chiedere
pubblicamente giustizia per le vittime.