Sei sulla pagina 1di 6

CAPITOLO PRIMO

ASPETTI STORICI DELLE TEORIE DELLO SVILUPPO

Sommario: 1. Definizione di base. - 2. Modelli teoria e clinici. - 3. Struttura del


processo evolutivo.

1. DEFINIZIONE DI BASE
La psicologia dello sviluppo studia l’evoluzione e i mutamenti del com-
portamento umano, dalla nascita alla morte, e i processi che ne sono alla
base, che si manifestano in rapporto al trascorrere del tempo nel compor-
tamento e in tutte le funzioni psicologiche dell’individuo, inteso come or-
ganismo psico-fisico inserito nell’ambiente. L’individuo viene considerato
dunque, oltre che nella sua dimensione fisica, anche in quella temporale,
che ne definisce le coordinate storico-sociali. Durante il ciclo vitale l’indi-
viduo è costretto a fronteggiare esperienze che richiedono risposte molto
spesso nuove: in questo senso, l’organismo è in costante adattamento al-
1 l’ambiente. Tale adattamento, ovvero l’insieme dei processi di elaborazio-
ne messi in atto e la valutazione di queste nuove risposte, è un processo
complesso e richiede l’interazione di più sistemi, che in un lavoro sinergico
si organizzano per la costruzione di almeno quattro sotto-processi specifici:
— processi fisiologici;
— processi comportamentali;
— processi emotivi;
— processi cognitivi.
Ciclicamente l’individuo si trova a dover stabilizzare il proprio adatta-
mento all’ambiente e a sviluppare non solo estemporanee nuove risposte,
ma ad assumere opinioni, capacità e sentimenti costanti come punti stabili
che contribuiscano a definire la sua personalità. Quindi l’individuo, nel per-
corso dalla vita intrauterina alla quarta età, è posto di fronte a veri e propri
2 passaggi evolutivi che non può non affrontare. L’insieme dei processi di
adattamento e sviluppo costituisce il terreno di indagine della psicologia
dello sviluppo. Sia i processi di adattamento che le transizioni evolutive
6 Capitolo Primo

spesso sono passaggi critici per il soggetto, il quale può sviluppare una
sofferenza psicologica con diversi gradi di complessità. Di quest’ultimo am-
bito si occupano la psicologia clinica e le sue figure professionali.

2. MODELLI TEORICI E CLINICI


Tra i modelli teorico-clinici principalmente utilizzati troviamo quello
cognitivo-costruttivista, un sistema teorico e applicativo che considera l’uo-
mo nella sua complessità e multidimensionalità e ne valuta sia i comporta-
menti espliciti sia i processi motivazionali e conoscitivi come il linguaggio,
l’immaginazione, l’emozione ecc. Si tratta di un modello che possiede una
base eclettica: la sua evoluzione storica affonda le radici in molte altre ipo-
tesi teoriche, tra cui quella della psicologia comportamentista, della psico-
logia dei costrutti personali di George A. Kelly, della terapia razionale emo-
tiva di Albert Ellis, della teoria dell’attaccamento di John Bowlby, oltre
che delle scienze cognitive. Nello specifico la psicologia dello sviluppo tro-
va i suoi massimi rappresentanti teorici nelle teorie stadiali di Jean Piaget
ed Erik Erikson, dalle quali è possibile estrapolare, tra i vari passaggi evo-
lutivi, almeno cinque momenti durante i quali lo sviluppo è fortemente cri-
tico:
— l’infanzia;
— la fanciullezza;
— l’adolescenza;
— l’età adulta;
— la tarda età.
Ciascuno di questi momenti presenta specifiche difficoltà a proprio ca-
rico:
— durante l’infanzia (0-2 anni), ad esempio, il processo di adattamento
nel bambino è costantemente attivo, le cose da apprendere sono innu-
merevoli e a tal fine l’interazione con l’ambiente è regolata da diversi
compiti evolutivi tra i quali troviamo l’esplorazione, l’emozione, la gra-
tificazione, la percezione degli effetti delle proprie azioni sul mondo e il
controllo. Studiosi come John Bowlby e Donald Winnicott considera-
no la prima infanzia un periodo cruciale per lo sviluppo di una fiducia di
base in sé stessi e negli altri. Questa risulta di fondamentale importanza
nella capacità di agire con efficienza, oltre che nella possibilità di co-
Aspetti storici delle teorie dello sviluppo 7

struire un atteggiamento fiducioso e concreto. Il fallimento dei compiti


evolutivi, in questa fase, si manifesterà nell’adulto o già nel bambino
con disparate forme che vanno dal ritardo nello sviluppo cognitivo a
sentimenti di dubbio, vergogna o inferiorità; da sentimenti di ambiva-
lenza verso di sé e verso le figure significative a modalità emotive rigide
e così via. La portata di tali problematiche dello sviluppo delineerà le
forme della sofferenza psichica dell’individuo;
— nel corso della fanciullezza (orientativamente dai 2 agli 11 anni) ritro-
viamo alcuni elementi dell’infanzia, ai quali si aggiungono nuovi com-
piti, che richiedono ulteriori esperienze di apprendimento e nuove abili-
tà. In questa fase il bambino è messo di fronte alla possibilità, soprattut-
to attraverso il gioco, di compiere delle scelte e prendere l’iniziativa.
Sviluppa interesse per le relazioni interpersonali uscendo così dalla
modalità del «pensiero egocentrico» (Piaget), impara a riconoscere i
propri sentimenti e, come suggerisce Erikson, impegnandosi in diversi
ruoli sociali comincia ad aumentare la complessità del sé. Qui si svilup-
pa, ammesso che non si incappi in blocchi evolutivi, la capacità di pen-
sare in modo logico e sistematico, che permetterà di sviluppare il senso
di autonomia e la capacità di confrontarsi con l’esterno;
— molti autori (tra cui principalmente Erik Erikson) concordano nell’attri-
buire al periodo dell’adolescenza il compito evolutivo della formazione
di un’identità stabile. Si intuiscono la complessità e la delicatezza di
questa fase, che costituisce un supporto decisivo per la costruzione di
uno stabile benessere psicologico per l’individuo. Interessante eviden-
ziare il ruolo dello psicologo durante il periodo adolescenziale che, oltre
a poter essere presente nello specifico dei meccanismi di costruzione
dell’identità, qualora venisse contattato, può intervenire in diversi ambi-
ti per far sì che l’adolescente, la famiglia e la scuola funzionino armo-
niosamente e concorrano in maniera positiva allo sviluppo del giovane
individuo;
— il compito evolutivo fondamentale dell’età adulta consiste nel senso
della generatività, che riguarda problemi relativi al senso di sé e degli
scopi della propria vita. Le problematiche psicosociali spesso destabi-
lizzano l’individuo, apportando un senso di ansia, apparentemente in-
giustificata, che può sfociare in una forte confusione bloccante o nella
moltitudine dell’eventualità psicopatologica;
8 Capitolo Primo

— la tarda età è caratterizzata da mutamenti fisiologici e sociali che im-


pongono all’individuo una nuova serie di adattamenti. Alcuni studiosi
individuano in questa fase il compito evolutivo di costruire una piena
accettazione di sé, valorizzando la dimensione temporale della memo-
ria; altri focalizzano l’attenzione sulla capacità di sviluppare una pro-
spettiva matura sulla morte. Il ruolo dello psicologo nell’intervento su
un individuo in tarda età si configura, sulla base delle conoscenze relati-
ve allo sviluppo psicologico dell’individuo anziano, nel sostegno volto
alla creazione di un ambiente che favorisca questi due processi e che
allontani la possibilità di intensificare sentimenti di isolamento.
Alla luce di quanto appena evidenziato è naturale trarre la conclusione
che la prassi clinica prevede indiscutibilmente l’analisi del livello evoluti-
vo del proprio paziente, prendendo in esame tutti gli aspetti pertinenti a tale
livello nelle dimensioni comportamentale e relazionale sia consce che in-
consce. Così concepita, la sfera evolutiva offre alla psicologia un irrinun-
ciabile e valido sostegno oltre che un ampio campo d’indagine riguardo
l’individuo. Inoltre garantisce un’analisi accurata dei mutamenti in rappor-
to allo stadio evolutivo. Questo favorisce lo sviluppo di ipotesi di ricerca o
di presupposti essenziali per la relazione terapeutica e facilita lo sviluppo
dell’empatia, presupposto necessario per entrare in contatto e quindi in co-
municazione con il paziente al fine di un intervento clinico efficace durante
tutto l’arco della vita.

3. STRUTTURE DEL PROCESSO EVOLUTIVO


I presupposti teorici della psicologia dello sviluppo tentano di chiarire
in cosa consiste il mutamento che si verifica nel corso del tempo e come
avviene in termini di processi struttural-funzionali. Possiamo evidenziare
due orientamenti teorici principali:
— teorie organismiche;
— teorie innatiste.
Sintetizziamo la concezione organismica dello sviluppo con le parole
di Joachim F. Wohlwill il quale nel 1973, con la pubblicazione di The stu-
dy of behavioral development, asseriva che gli obiettivi della ricerca in psi-
cologia dello sviluppo dovessero concentrarsi nell’individuare e descrivere
tutti gli aspetti del comportamento che mutano col procedere dell’età.
Aspetti storici delle teorie dello sviluppo 9

Wohlwill considerava l’analisi dell’azione dei fattori ambientali, che inter-


vengono come modulatori di tali mutamenti, importanti ma solo di prope-
deutica importanza rispetto ai primi.

I principi dell’apprendimento si applicano al livello microscopico, vale a dire ai muta-


menti che si osservano in particolari risposte al verificarsi di un insieme ben definito di
condizioni. Può darsi che tali principi possano essere ugualmente rilevanti anche per il tipo
di mutamenti di cui si occupa lo studioso dello sviluppo, e che di solito riguardano un’inte-
ra classe di risposte, modoficabili in conseguenza di un complesso di condizioni mal defi-
nite, se non impossibili a definirsi; tuttavia ad un livello macroscopico, è più utile conside-
rare questi mutamenti come qualcosa di dato, e dunque non riducibile a delle particolari
forze determinanti.

I modelli teorici di J. Piaget, L. Vygotskij e H. Werner si riconoscono


in questo tipo di approccio in quanto considerano il bambino come un «co-
struttore» attivo delle proprie capacità. Di conseguenza lo sviluppo non
appare come un processo che dipende dall’ambiente esterno ma come un
processo o, per meglio dire, una serie complessa di processi che dipendono
da principi organizzatori intrinseci, cioè da leggi regolative.
A questi modelli si contrappone il punto di vista meccanicistico, ravvi-
sabile nel filone comportamentista, secondo il quale lo sviluppo consiste in
una variegata serie di mutamenti di natura quantitativa. In questa prospetti-
va, lo sviluppo viene visto come un processo relativo all’accrescimento, nel
quale sono inclusi naturalmente anche i processi che riguardano la struttura
e le funzioni del sistema nervoso centrale e che si susseguono in rapporto
all’età. Con l’accrescimento psico-fisico aumentano le abilità e, insieme ad
esse, le possibilità di interazione con l’ambiente. Per tale ragione i compor-
tamentisti considerano lo sviluppo come un processo estrinseco, controlla-
to cioè esclusivamente dall’esperienza e dall’apprendimento che ne con-
segue. In questo senso, un organismo psicologico è, in quanto tale, in intera-
zione con il suo ambiente e con gli stimoli da esso provenienti.
Queste interazioni mutano nel corso dell’esperienza. Tale mutamento
costituisce uno sviluppo dell’organismo, e sarà compreso soltanto quando
si sarà dimostrato quali sono le condizioni necessarie a produrre il muta-
mento. Un’analisi evolutiva procederà, pertanto, indagando gli stimoli che
controllano un certo modello di comportamento.
La nascita della psicologia dello sviluppo è stata sollecitata, nella secon-
da metà dell’Ottocento, sostanzialmente da due eventi, rappresentati dalla
10 Capitolo Primo

diffusione della teoria dell’evoluzione di Charles Darwin e dal fenomeno


della scolarizzazione di massa causato dalle nuove esigenze della società
industriale.

Nel 1852 per la prima volta Herbert Spencer definiva con il termine evoluzione quel
fenomeno che consisteva in un «mutamento da un’omogeneità incoerente, ad un’eteroge-
neità coerente, definita, attraverso continue differenziazioni ed integrazioni». Sottolinea-
va, inoltre, che il processo evolutivo riguardava sia il mondo biologico che quello del con-
testo sociale in cui l’individuo era inserito.

La psicologia dello sviluppo si è evoluta indipendentemente dalla psico-


logia generale, è possibile riscontrarlo anche da una breve analisi dello svi-
luppo dei metodi di ricerca di cui si è avvalsa. Lo studio del bambino infatti
si caratterizzò, almeno fino agli anni Trenta, per metodi di osservazione
del comportamento spontaneo rappresentati ad esempio dal metodo bio-
grafico, i cui prototipi sono rappresentati dai diari relativi allo sviluppo dei
bambini a cura di Tiedemann o di Darwin. Solo negli anni Cinquanta, se-
condo Patricia Miller, si assiste ad un incontro tra psicologia dello sviluppo
e psicologia sperimentale, sia da un punto di vista teorico che metodologi-
co. Tra le varie teorie dello sviluppo che sono state formulate se ne possono
distinguere in via generale due filoni: le teorie dello sviluppo cognitivo e
quelle motivazionali.

Potrebbero piacerti anche