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Prof.

Alessandro Saggioro - Corso di Storia delle religioni

La presenza del ‘religioso’ nella storia


15/10/2020
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1.La preistoria e l’oralità

Gro$a di Trois-Frères , 13.000 a.C.


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2.La nascita della scrittura

Nascita della scrittura


Uruk, Bassa Mesopotamia, fine IV millennio a.C.
nomi divini della
coppia sumerica
Enki e Ninki in
scrittura cuneiforme

dingir EN KI
Determinativo Signore Terra
divino anteposto davanti
ai nomi divini

dingir NIN KI
Determinativo Signora Terra
divino
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3. Un approccio evoluzionistico: primitivo come originario e infantile

«Il mondo ebbe la sua infanzia, e quando era fanciullo


parlò come tale e come tale pensò; e, nuovamente lo
affermo, in ciò che diceva come fanciullo fu veritiero, in
quello che credeva come fanciullo la religione sua fu vera.
L’inganno sta in noi, laddove s’insista nel prendere il
linguaggio dei fanciulli per linguaggio di uomini […]»
Max Müller, Quattro letture di introduzione alla scienza delle religioni, 167

PRIMITIVO
come indice di un stato evolutivo
e accostabile semanticamente a
originario, indigeno, infantile 4
3. Un approccio evoluzionistico: primitivo come originario e infantile

«Cominciava a trapelare la possibilità di una distinzione tra


chi ‘positivamente’ guardava ai primitivi come a dei
depositari di una rozza religiosità e chi ‘romanticamente’ ne
faceva i depositari del primo fondamentale elemento (la
religione) che trasforma il branco inindividuabile in un
popolo, una etnia, una nazione. Max Müller propone appunto
una distinzione di coloro che studiano i primitivi; propone
una denominazione ethnologist, in contrapposizione
all’anthropologist il quale prolunga di fatto il darwiniano
‘dalla scimmia all’uomo’ o tyloriano ‘dal primitivo al civile’,
formulando una trasformazione evolutiva quasi caratteriale»
Sabbatucci, Sommario, 47

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4. Un approccio storico:
2. “Religione” perciviltà “superiori”
la Storia e “inferiori”
delle religioni

I popoli ‘primitivi’ non sono


fuori dalla storia
«Sempre sulle basi della concezione evoluzionistica
si arrivava a concepire i popoli ‘primitivi’ come
popoli "senza storia", come "senza storia"
sembravano essere i popoli definiti pre-istorici […].
Le civiltà ‘primitive’ non sono fuori dalla storia: le
stesse, infinite differenze tra di esse documentano
sviluppi storici differenti. […] Non sono, perciò,
neanche preistoriche nel senso di essere rimaste
‘ferme’ o ‘irrigidite’ in una qualunque fase della
preistoria umana».
A. Brelich, Introduzione, 73-74
4. Un approccio storico: civiltà “superiori” e “inferiori”

«A ben osservare, i criteri obbiettivi in base ai quali distinguiamo le civiltà


superiori da quelle primitive appaiono in gran parte gli stessi che le distinguono
anche dalle civiltà preistoriche: queste ultime, infatti, normalmente ignoravano la
scrittura, gli agglomerati urbani, le sviluppate tecniche agrarie; e se la natura
dei documenti non permette di sapere molto dei tipi di organizzazione sociale
presso la varie popolazioni preistoriche, è comunque accertabile che esse viveano
in gruppi numericamente ridotti e ciò, insieme con le condizioni tecnologiche ed
economiche, fa supporre che anche le forme sociali preistoriche si distinguessero
da quelle delle civiltà superiori nello stesso modo in cui se ne distinguono quelle
dei primitivi attuali. Ora, è certo che nessuna civiltà primitiva attuale può essere
immaginata uguale a una qualsiasi civiltà preistorica, ma se è vero che la
religione - e qui non importa precisare in quale misura- è sempre storicamente
condizionata da tutto l'insieme della civiltà, alle analoghe (non uguali!)
condizioni di vita doveva corrispondere qualche analogia (non identità) anche
nelle loro forme di religione»
Brelich, Introduzione, 78

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4. Un approccio storico: civiltà “superiori” e “inferiori”

«Quando un cacciatore o guerriero ' primi1vo ' si fabbrica una freccia, egli ci appare perfe8amente in
possesso della capacità tecnica richiesta dal suo compito: egli adopererà, per la punta della freccia, un
materiale duro e dal giusto peso, curerà che la punta sia ben acuminata e abbastanza so>le per penetrare
nell'ogge8o previsto (animali di varia specie, grossezza o durezza della pelle, o nemici umani), impiegherà,
eventualmente, un veleno realmente efficiente. Ma, se per noi a questo punto la sua opera potrebbe
sembrar terminata, egli invece non la considererà ancora come pronta: strofi- nerà, p. es., la punta contro
una pietra ritenuta 'potente', l'intriderà del sangue di un animale appositamente ucciso, a8accherà vicino ad
essa qualche erba ' magica ', pronuncerà sopra di essa tradizionali formule magiche, e solo così riterrà che la
sua arma sarà efficace. Ora, noi moderni possiamo e, anzi, dobbiamo dis1nguere nel procedimento di quel
cacciatore o guerriero due serie di azioni radicalmente differen1: una puramente tecnica e realmente
efficace, e un'altra che saremmo tenta1 di definire come 'illusoria', e che è, ad ogni modo, di cara8ere
'rituale'; la prima, conforme alle obie>ve leggi della natura, la seconda conforme alle credenze vigen1 nella
società cui quell'uomo appar1ene. Per noi, la serie tecnica è l'unica che possa apparire u1le. Ma sarà
realmente sufficiente? Certo, se la freccia colpirà al punto giusto il suo obie>vo, produrrà l'effe8o voluto:
ma possiamo esser sicuri che colpirà giusto? anche i migliori 1ratori possono sbagliare, anche un colpo di
vento improvviso può deviare una freccia, anche il bersaglio può so8rarsi, con una mossa imprevista, forse
casuale, al colpo. Contro ques1 imprevis1, la tecnica non serve: ma il cacciatore ha bisogno di proteggersi
anche contro l'incalcolabile: in altri termini, ha bisogno di mezzi con cui dominare ciò che la sua tecnica non
controlla, e perciò ricorre a ri1 in cui crede (oppure: perciò crede in ri1 che possano essergli u1li)»
A. Brelich, Introduzione, 40

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