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IL PRIMO E L'ULTIMO

SICRAM
© 2018
ISBN: 9788829543571

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A Fabio,
cui chiedo perdono per essergli stato a lungo lontano.

A Francesca,
che ammiro e ringrazio per essermi stata a lungo vicina.
È stata fonte d’ispirazione e preziosa collaboratrice nel-
l’ambito delle prime revisioni. In seguito ha fatto le sue
scelte e colto le sue decisioni, che rispetto.

Alla donna che ho allontanato per evitarle il calvario in


cui stavo precipitando, e ho solo aggiunto dolore al dolo-
re.

A colei che mi ha raccolto, aiutandomi a ritrovare un


senso e dare uno scopo a questa pesante esistenza.

Alla dolce E.V.A., per tutto. A te, cara, non ho più nulla
da insegnare.

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Questa è in piccola parte un’opera di fantasia. Per il resto, è un
resoconto di eventi realmente verificatisi e una narrazione della
storia dell'umanità, frutto della mia esperienza, delle mie cono-
scenze e del mio peregrinare per il mondo, in qualità di turista
dapprima, di funzionario statale poi, ed infine di esule.

Allo stato attuale delle regole, il giorno 11 giugno 2023 ca-


drebbe di domenica e non di giovedì, come invece riportato nel
calendario dei capitoli. L'anticipazione di tre giorni della settima-
na qui proposta non è casuale.

L'amico Giovanni Bondietti, redattore dell'eccellente PRE-


SENTAZIONE che segue, elenca e descrive le tre linee di narra-
zione sulle quali il romanzo è strutturato. Ve n'è in verità una
quarta, occulta, che lascio scoprire al lettore.

SICRAM

Per contribuire, per contattarmi e saperne di più:


https://www.paypal.me/FirstAndLast

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PRESENTAZIONE

La stesura di questo libro si è articolata negli anni e nei mesi,


parallela alle turbolenze professionali e personali patite dall’auto-
re, mio grande amico, nel medesimo periodo. Basti pensare che
l’opera è stata portata a termine nell’ambito del suo esilio in Thai-
landia, Cambogia, Laos e Giappone, dopo oltre dieci anni dalla
prima stesura. Di quelle cicatrici, lo stesso romanzo riporta tracce
notevoli. I tratti caratteriali dei personaggi, descritti alcuni con
sensibilità e amore, altri con un taglio di fredda ipocrisia, possono
essere a giusta ragione l’immagine di caratteristiche vissute, con-
divise o rinnegate dall’autore.

La trama si articola in tre linee distinte. Quella principale, i cui


personaggi sono frutto della creatività narrativa dell’autore, è am-
bientata nel presente o meglio in un futuro imminente rispetto al
periodo in cui gli attori sono stati animati su carta, e si svolge in-
teramente nell'arco di una sola serata. Quella parallela rende noti,
attraverso l’espediente della cospirazione su scala planetaria, i re-
troscena delle relazioni di potere nella società moderna e in quelle
passate. La linea storica, infine, narra alcuni degli avvenimenti
che hanno segnato il cammino dell’umanità, distanziandosi dai re-
soconti ufficiali: dalla farsa della scoperta dell'America orchestra-
ta dal Vaticano, all'omicidio di Giovanni Paolo I; dall'affonda-
mento volontario del Titanic, al disastro provocato della navetta
spaziale Challenger. Tali parentesi storiche sono state talvolta
enfatizzate, per esigenze di narrazione, e talaltra riproposte nella
giusta inquadratura, rispetto alle circostanze che le hanno
prodotte.

Le tre narrazioni si frappongono nei 64 capitoli, in un crescen-


do di colpi di scena, per culminare in un punto d’incontro che ob-

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bligherà il lettore a rivedere molte delle certezze che riteneva ac-
quisite sin dai tempi dei banchi di scuola.

L’opera di studio, ricerca e valutazione che s’impone per por-


tare a termine un lavoro di così ampio respiro, è sempre imponen-
te. La sfida, sfociata nel volume che avete tra le mani, ha imposto
senza compromessi un impegno, una devozione e una lucidità di
sintesi che, a mio avviso, mai si sono riscontrati nella letteratura
italiana recente. Nella fattispecie, l’autore ha dato prova di com-
petenza, spirito critico, capacità analitica e – soprattutto – onestà
intellettuale.

Ogni luogo descritto – dai malfamati locali cittadini, alle regio-


ni di periferia fino alle nazioni intere – corrisponde al vero. I ma-
tematici, gli informatici, i filosofi, i politici, gli statisti e i pensato-
ri citati esistono o sono realmente esistiti. In alcuni casi, il riporta-
re i loro nomi corretti senza ricorrere all’espediente dello pseudo-
nimo, è stato avallato dall'editore solo grazie alla fermezza e alla
determinazione dell’autore di narrare fatti, gesta e avvenimenti
così come lui stesso ritiene di averli sviscerati, senza che mai gli
stessi resoconti storici (quelli forviati e imposti dai libri ufficiali
di testo) abbiano preso il sopravvento sulle sue facoltà decisionali
e di discernimento.

Una denuncia o procedimento giudiziario ufficiale, sia esso


civile o penale, rappresenta ancora oggi, almeno in buona parte
del mondo civile, un'occasione per il querelato di mostrare in
giudizio, quindi pubblicamente, le prove di quanto asserito e di
conseguenza, la propria rettitudine nell'esposizione dei fatti, nel
caso avesse ragione. Di ciò, l'autore di questo libro, come pure
coloro tirati in causa, ne sono perfettamente consapevoli. Questi
ultimi, poi, agiranno secondo la loro coscienza, i loro interessi o i
rischi del caso.

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Tutte le date e le epoche rievocate rispecchiano la realtà. Dopo
aver letto e approfondito oltre il novanta per cento del dattiloscrit-
to e dopo aver preso coscienza delle fonti che lo hanno motivato,
ritengo di poter affermare con assoluta certezza che le teorie e le
riflessioni attribuite nel romanzo a persone specifiche sono state
da queste realmente espresse o elaborate, anche laddove le nozio-
ni storiche che ci sono state imposte dalle versioni ufficiali espon-
gono i fatti diversamente.

Evidentemente, al fine di mantenere la coerenza con la linea di


narrazione, i nomi di alcuni personaggi reali sono stati affiancati a
quelli di uomini mai esistiti. Talune circostanze hanno imposto di
allargare la descrizione di avvenimenti storici attraverso l’inseri-
mento dei fatti qui raccontati, senza per questo stravolgerne la rie-
vocazione.

In linea con i numerosi – coinvolgenti – riferimenti al passato


sui quali i principali personaggi del romanzo si soffermano, a mia
volta mi trovo sempre più spesso, forse per l’egoismo intrinseco
di una terza età che ormai si sta consumando, a recriminare sulle
aspettative mai realizzate, ma pure a rivivere le esperienze che
hanno fatto di me l’uomo che sono. Il bilancio è quello di una vita
che per la maggior parte deciderei di rivivere, se avessi una
seconda possibilità. Per quanto bene conosco l’autore e per quello
che la sua maturità espositiva ha partorito e che ho avuto piacere
di leggere, ritengo di poter affermare che lui pure condivide
questa mia ultima riflessione.

Il prodotto finale è un romanzo avvincente, coraggioso; un


punto di riferimento innovativo nel panorama della narrativa ita-
liana.

Paradossalmente, l’opera è in parte autobiografica, nel senso


che tecniche e tecnologie qui descritte, azioni e reazioni, compor-
tamenti ed esperienze rappresentano in molti casi un compendio

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di quanto l’autore ha prodotto, sviluppato e – più in generale –
vissuto e patito in decenni di lavoro e di vita accanto a sistemi in-
formatici e opposto a persone senza scrupoli. Tutti questi fattori
rendono questo lavoro qualcosa di unico e gli riconoscono uno
spessore espositivo che ben poche opere eguagliano.

A motivo di quanto precede, consiglio questa lettura a tutti co-


loro che non sono appagati dal banale quotidiano, ma vivono per
approfondire ogni dubbio, ogni incertezza, ogni paura.

Mi auguro infine che alla pubblicazione del volume possa cor-


rispondere la pace e la serenità interiore a cui l’autore ambisce e
che senz’ombra di dubbio merita.

Giovanni Bondietti, Vung Tau, 19 settembre 2018

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PREAMBOLO – Le tre filosofie

1.
“La preoccupazione per l’uomo e il suo destino deve sempre
costituire il principale obiettivo di ogni sforzo tecnologico, affin-
ché le creazioni della nostra mente siano una benedizione e non
una maledizione per il genere umano.”
Albert Einstein, «California Institute of Technology», 16 feb-
braio 1931

2.
"Il mondo si divide in tre categorie di persone: un piccolissimo
numero che fa produrre gli avvenimenti; un gruppo un po’ più
importante che veglia alla loro esecuzione e assiste al loro
compimento, e infine una vasta maggioranza che giammai saprà
ciò che in realtà è accaduto”.
Nicholas Murray Butler (Presidente della Pilgrims Society,
membro della fondazione Carnegie, membro del CFR, Council on
Foreign Relations)

3.
"Oggi è nata una quarta categoria: quella di coloro che si or-
ganizzano per opporsi alle menzogne, all'arroganza e ai crimini
di chi ha sempre creduto di poter comandare semplicemente con-
trollando l'informazione".
E.V.A. (Azione per la giustizia mondiale e contro la
disinformazione e la sottomissione della razza umana)

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PROLOGO – I tre elementi

Tre elementi fanno da perno all’intera narrazione: la matemati-


ca, internet e il data mining.

MATEMATICA

La presunzione – ancora attuale – che la matematica sia un si-


stema perfetto subì un duro colpo già molti anni prima della na-
scita di Cristo. Gli studenti di Pitagora s’imbatterono nella misura
della diagonale del quadrato di lato uno, che restituiva un numero
incredibilmente lungo, un numero che la ragione umana non pote-
va comprendere pienamente: un numero irrazionale. Si cercò di
nascondere lo scandalo, tenendo segreta la nozione, ma fu tutto
inutile.

Non si trattava d’altronde di un caso isolato. Il famoso pi gre-


co, ad esempio, che rappresenta il rapporto tra la circonferenza e
il suo diametro, è altrettanto irrazionale: 3,14159…

La matematica così come la conosciamo è sopravvissuta a que-


ste contraddizioni perché la natura umana si accontenta delle ap-
prossimazioni. Nonostante non possiamo conoscere l’ultimo deci-
male di pi greco, riusciamo comunque a calcolarne facilmente
qualsiasi quantità. Il valore di pi greco viene sfruttato in campi in-
numerevoli. Per qualsiasi uso pratico, possiamo tranquillamente
ignorare tutti i decimali esistenti oltre, diciamo, i primi 15. Sette o
otto decimali bastano a calcolare la distanza dalla Terra alla Luna
con precisione sufficiente a pilotare una capsula spaziale. Ma si è
ben lungi dalla perfezione matematica, che è tutt’altra cosa.

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INTERNET

Il progetto originario di Internet è nato negli anni '60, nell'am-


bito di una serie di studi compiuti dal DARPA (Defence Advanced
Research Project Agency), il Dipartimento della Difesa statu-
nitense. In seguito si è sviluppato in maniera più o meno autono-
ma essendo stato, almeno ufficialmente, accantonato dall’intelli-
gence americana.

Internet è senza dubbio la più ampia raccolta di informazioni


sull'essenza umana oggi disponibile. Verità storiche si contrap-
pongono in rete a opinioni contrarie. Musica, letteratura, tecnolo-
gia, filosofia. Diari personali, discussioni, confessioni. Giusto e
sbagliato. Vero e falso. La crescita delle informazioni archiviate è
esponenziale. Nessun'altra enciclopedia o banca dati contiene un
tal numero di pagine su ogni ramo dell'ingegno, del pensiero e
dell'attività degli uomini. In nessun altro luogo virtuale o reale si
possono reperire elogi, riconoscimenti, né denunce, accuse, ingiu-
rie. Alla base di questa miriade di opinioni spesso banali, talvolta
coraggiose, vi è la consapevolezza – errata – che internet rappre-
senti ancora un mondo a sé, anarchico, in cui la libertà d’espres-
sione non viene messa in discussione e i rischi sono contenuti.

Un ambizioso progetto conosciuto come Lifelog e gestito dal


DARPA, era stato concepito come estensione militare della piatta-
forma Internet allo scopo di mappare l'intera esistenza di ogni sin-
golo individuo del nostro pianeta: dai programmi televisivi prefe-
riti, ai giornali letti; dalle abitudini ai vizi; dai biglietti d'aereo ac-
quistati, alle email inviate e ricevute; dagli amici ai nemici. Que-
sto infinito universo di informazioni raccolte all'insaputa dell'u-
tente veniva illegalmente stoccato in un database ad uso e abuso
dei servizi di intelligence americani.

A seguito delle interrogazioni ufficiali mosse da chi era venuto


a conoscenza del progetto, lo stesso venne ufficialmente accanto-

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nato il 4 febbraio 2004. Il giorno medesimo nacque Facebook. Il
problema legale era stato risolto. Non c'era più bisogno di rubare
informazioni alla gente. Gli stessi utenti avrebbero provveduto ad
introdurle volontariamente in un sistema di stoccaggio ufficiale,
dopo avere aperto un account personale e quindi sottoscritto in
buona fede le condizioni che prevedevano tutto quanto Lifelog
faceva prima illegalmente.

I giganti all'epoca emergenti nel settore, come Google (oggi


proprietaria di Youtube), Twitter e altri, si allinearono in seguito
alle direttive superiori.

Ogni operazione sul web è attualmente memorizzata e traccia-


ta. Ogni informazione inserita dall’ignaro operatore viene imme-
diatamente registrata, smistata e valutata da altri o da processi au-
tomatici.

DATA MINING

Il data mining rappresenta una nuova frontiera nel progresso


informatico del ventunesimo secolo. Consiste nell'analisi e nella
susseguente estrazione di ogni informazione utile da grandi quan-
tità di dati. I motori di ricerca su internet si limitano generalmente
a confrontare una o più parole chiave inserite dall'utente con il te-
sto contenuto nelle pagine web memorizzate. Quando trovano
corrispondenze, restituiscono l'indirizzo della pagina contenente il
termine in questione. I risultati sono sterili, imprecisi e, soprattut-
to, alterabili. Grazie alle tecniche di data mining e text mining, per
contro, l'elaboratore potrebbe essere in grado di analizzare e leg-
gere i contenuti delle pagine e restituire un riassunto, un pensiero,
addirittura una valutazione.

Le prime applicazioni presupponevano l’assunzione e la me-


morizzazione in remoto del documento da interpretare, e venivano

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impiegate soprattutto nell’ambito delle ricerche di mercato. Oggi
è possibile attuare strategie di assimilazione dei dati ad ampio
raggio anche su internet, con il solo limite dettato dalla velocità di
elaborazione e dalla capienza di stoccaggio dell’hardware utiliz-
zato.

Teoricamente, dall'intera rete web sarebbe ipotizzabile conden-


sare e riassumere la conoscenza assoluta, il sapere totale, se esi-
stesse un elaboratore tanto potente e un software adeguato alla va-
lutazione. Da qui all'Intelligenza Artificiale pura, il passo è breve.

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PARTE PRIMA

“C’è un tempo per nascere e un tempo per morire.”

1.

Charleston, Carolina del Sud,


Stati Uniti d'America

Quel giorno avrebbe ripagato anni di costante impegno e fedel-


tà all'azienda. Una vita fatta di piccoli ma determinati passi, guar-
dando sempre avanti. Si era guadagnato la stima e la fiducia dei
superiori grazie alle sue doti d'intransigenza e di ottemperanza.
Condivideva le proprie idee con profondo altruismo. Attento
ascoltatore, valutava critiche e consigli allo scopo di perfezionare
i progetti e concretizzarli. La sua era stata una carriera rapida e li-
neare, costruita sulla perseveranza, sulla determinazione a rag-

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giungere l'obiettivo: quella promozione. Quel nuovo ufficio all'ot-
tavo piano della CASIAS significava responsabilità, enorme pote-
re decisionale ed ampi spazi di manovra in ogni direzione.

Nei giorni precedenti, si era personalmente occupato di trasfe-


rire dal vecchio laboratorio al secondo piano parte della mobilia,
per lo più quadri e busti che raffiguravano grandi filosofi e mate-
matici, nonché gli scaffali contenenti le centinaia di ricerche e ri-
flessioni che gli avevano fatto trascorrere altrettante notti in bian-
co. L’arredamento attuale, per quanto elegante, non lo aiutava a
soffocare quel pizzico di nostalgia provata nel chiudere per l’ulti-
ma volta la porta dell’angusto locale in cui aveva trascorso l’inte-
ro periodo di lavoro presso la CASIAS, sin dal giorno seguente
l’assunzione.

Aveva sistemato sulla parete dietro la nuova scrivania il poster


stropicciato che fino a pochi giorni prima si trovava sulla porta
del laboratorio, sul quale i contorni del viso di Einstein facevano
da sfondo a una citazione estrapolata da un discorso che il noto fi-
sico tenne al «California Institute of Technology» il 16 febbraio
1931:

«La preoccupazione per l’uomo e il suo destino deve sempre


costituire il principale obiettivo di ogni sforzo tecnologico, affin-
ché le creazioni della nostra mente siano una benedizione e non
una maledizione per il genere umano.»

Andrew Sanders era figlio di contadini. La madre era morta


anni addietro, quando lui ancora era ragazzino. Il padre si prodigò
per consentirgli di terminare gli studi primari e quando il ragazzo
li concluse con ottimi risultati, il padre gli permise di lasciare la
terra natia, l'Oregon, per trasferirsi a Charleston, dove frequentò
la Southern University. Si laureò in matematica e ingegneria in-
formatica a pieni voti.

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Le ricerche più avanzate richiedono oggi il trattamento di nu-
meri di dimensioni spaventose, con l’impiego di grandi potenze di
calcolo e algoritmi sofisticati. La questione dei numeri irrazionali
e - più in generale - le incongruenze applicative della matematica
rappresentano uno smisurato ostacolo allo sviluppo della scienza
informatica. Alla guida dei ricercatori della CASIAS, Andrew
Sanders aveva superato ogni barriera, aggirato ogni ostacolo sem-
plicemente riformulando l’attuale concezione della matematica
stessa. Aveva compreso che in discussione non era la matematica
in senso lato, ma piuttosto i confini della mente, che ne impediva-
no una piena assimilazione e ne ostacolavano l’applicazione asso-
luta, circoscrivendola in binari accessibili al ragionamento, alla li-
mitata capacità di elaborazione dell’essere umano.

Per evitare disagi agli impiegati, le operazioni ordinarie di ma-


nutenzione dei condizionatori d’aria venivano eseguite dopo la
chiusura degli uffici e si protraevano fino a sera.

L’addetto alla manutenzione dell’impianto di ventilazione fati-


cava a scendere le scale con le due borse colme di pezzi di ricam-
bio. I condizionatori esterni erano stati installati il mese preceden-
te, a seguito della calura eccezionale che si era abbattuta sulla Ca-
rolina del Sud. A causa del sudore, la spessa tuta blu tendeva ad
appiccicarsi sulla pelle, ostacolando la veloce seppur goffa anda-
tura dell’operaio. Sulla fronte pallida e sul viso sbarbato a
dispetto dei folti capelli neri, si formavano goccioline che
parevano emulare la condensa degli apparecchi che la sua ditta
forniva alla CASIAS.

Giunto finalmente al piano terra, l’uomo percorse il corridoio


centrale fino alla postazione degli addetti alla sicurezza. Il funzio-
nario al controllo evase le formalità con uno sguardo distratto al

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tesserino di riconoscimento che tutti gli operai della Traxler Con-
ditioners portavano. Notato il sudore, non si trattenne dall’ironiz-
zare: “Ma come... Voi che ci portate l’aria fresca morite dal cal-
do?!...”

L’operaio accennò a un sorriso senza proferire parola e, diri-


gendosi verso l’uscita, estrasse da una tasca esterna della tuta le
chiavi del suo fuoristrada.

La guardia annotò come di consueto il passaggio sul registro.

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2.

Mesopotamia,
Tra il Tigri e l’Eufrate
Anno 6720 a. C.

La donna fissava il compagno in un misto di confusione e paura.


Una cascata di sensazioni mai provate si riversava su di lei, impe-
dendole di allinearsi alla nuova realtà, di cui ancora non immagi-
nava gli epocali risvolti.

Anche lui stentava a riprendersi dal terrore che lo aveva invaso


nell’istante esatto in cui aveva infranto la regola.

Entrambi sedevano smarriti e scomposti, in preda all’ansia e al di-


sagio, uno di fronte all’altra, riparati da un albero di fico. Avevano
la medesima espressione del condannato a morte che attende con
lo sguardo perso nel vuoto l’esecuzione della pena capitale. Ma
non sapevano ancora cosa fosse la morte.

Rimasero immobili e quasi estranei al mondo circostante per


qualche attimo; il tempo necessario perché ogni cosa intorno a
loro e dentro di loro cambiasse per sempre.

Un cucciolo di stegosauro passò loro accanto, li annusò e nel loro


odore parve di percepire lo sconvolgimento e l’ansia, il disagio e

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la debolezza di quegli esseri che fino a un attimo prima aveva
considerato suoi imperturbabili padroni.

Fu Eva a interrompere il silenzio.

“L’altro sosteneva che avremmo acquisito la conoscenza di ogni


cosa, diventando simili a Dio...”. La purezza aveva lasciato il po-
sto alla superbia e al cieco egoismo.

Si guardarono.

Si accorsero di essere nudi e provarono vergogna. Lo stato di


confusione nato con la contrapposizione di due opposti fino ad
allora sconosciuti – il bene e il male – produsse solo una reazione
infantile. Raccolsero qualche foglia e provarono a coprirsi,
sperando inconsciamente che ciò potesse alleviare in qualche
modo le loro ansie, nasconderli e proteggerli da ciò che non capi-
vano ancora.

Per la prima volta nella sua esistenza, un cane ringhiò nel fiutare
l’odore di una preda. Il suo nuovo istinto gli fece calcolare con
precisione il momento ideale per passare all’attacco. Il piccolo ro-
ditore non ebbe neanche il tempo di accorgersi dell’imminente pe-
ricolo. Con un balzo repentino, la belva era già su di lui. I denti
canini penetrarono il soffice pelo del collo e affondarono nella
carne, tranciando di netto la carotide. Il coniglio si divincolò solo
un attimo, poi si accasciò al suo destino.

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3.

Charleston, Carolina del Sud,


Stati Uniti d'America

Nella sala ricevimenti della CASIAS, i preparativi per il party


serale erano terminati e gli impiegati prendevano posto accompa-
gnati da fidanzate e consorti, in attesa del discorso d'insediamen-
to. Gli inservienti si apprestavano a disporre bottiglie di Moët &
Chandon nelle coppe di ghiaccio, in attesa del brindisi. Mancava
solo il festeggiato: Andrew Sanders.

Il Presidente Samuel Rotblat passò in rassegna con lo sguardo i


presenti. I suoi occhi si soffermarono ad ammirare il vestito orien-
tale di seta rossa indossato dalla moglie. La donna si stava intrat-
tenendo all’altro lato della sala con una giovane telefonista assun-
ta qualche settimana prima, che faticava a nascondere l’imbarazzo
di trovarsi ad affrontare argomenti banali di vita quotidiana con la
moglie del capo, come fosse un’amica.

A qualche chilometro di distanza, un’altra donna alla guida di


un fuoristrada diretto in periferia stava conversando al cellulare
nella sua lingua madre: il russo.

«Da. Obiekt Likvidirovan. L’ostacolo è stato abbattuto...»

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Alcune ciocche dei lunghi capelli biondi, finalmente libere di
ondeggiare all’aria calda del tardo pomeriggio, andavano a infran-
gersi ritmicamente sulle guance pallide di un volto teso per l’in-
soddisfazione: “… Ma non sono riuscita a farmi consegnare la
formula…”

All’altro capo, una voce maschile impartì l’ultima disposizio-


ne:

«Uhodi. Vozvraschaisia domoi. Vai via. Torna a casa tua.»

Le vie cittadine si erano ormai liberate dalle colonne di veicoli


che puntualmente le soffocavano dopo la chiusura serale degli uf-
fici.

Invece che procedere a nord-est, verso il monolocale affittato


per l'incarico svolto, la donna svoltò a sinistra, immettendosi nel
senso unico della Spring Street, e posteggiò davanti a un locale
frequentato da suoi connazionali. Entrò e si accostò al bar.

“Guarda chi si vede… Natalia!” Dall’altro lato del bancone,


l’oste si diresse verso di lei.

“Cosa ti servo?”

La donna rispose con aria distratta, assorta nei propri pensieri.


“Il solito. E lascia qui la bottiglia.”

Il barista dispose sul banco il bicchiere e la bottiglia di vodka.

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4.

Georgetown, Carolina del Sud,


Stati Uniti d'America
Sede centrale della Sun Operation Network

La Railroad Avenue si snodava parallela alla linea ferroviaria


della CSX Transportation. A intervalli regolari, i convogli merci
transitavano da e per la stazione di smistamento, provocando un
acuto sibilo metallico che talvolta obbligava i residenti a portarsi
le mani alle orecchie.

Dalla vetrata del suo studio, al quarto piano di un edificio otto-


centesco, Avon stava osservando un potente locomotore che trai-
nava a fatica un’infinità di vagoni carichi di container, quando la
segretaria lo distolse dalle riflessioni.

“Signore, gli altri sono arrivati.”

L’impiegata era alle dipendenze dello studio di consulenza le-


gale ormai da nove anni. Assunta quando ancora era apprendista,
non aveva più lasciato la società, portando a termine anche gli
studi superiori, grazie all’adeguata flessibilità che il capo le con-
cedeva. Non si era più tagliata i folti capelli biondi dal giorno che
lui li sfiorò con la mano, elogiandone la morbidezza e provocando
in lei un brivido che la folgorò dal piacere. Quell’uomo la strega-

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va. Esternava un carisma che aveva del soprannaturale. Non gli si
poteva negare alcunché.

“Grazie, Sarah, lei può andare, adesso. Si ricordi, domattina, di


passare all’archivio di Prince Street a ritirare i fascicoli dell’affare
Koller, prima di venire qui.”

Guardò la donna compiere mezzo giro e allontanarsi con passo


delicato. Abbassò gli occhi ad ammirare i chiari contorni dei fian-
chi che trasparivano nell’azzurro di una gonna troppo stretta e
corta, e ripensò per un istante agli straordinari cui Sarah, educata-
mente, non si era sottratta due sere prima. Attese che timbrasse il
cartellino e lasciasse il palazzo, quindi tornò alla finestra ad osser-
varla percorrere il viale alberato. Poi inserì la segreteria telefoni-
ca, spense il cellulare, tolse la batteria e si recò nella sala riunioni.

A differenza dello studio, la sala riunioni non aveva finestre. Si


trovava al centro esatto dell’edificio. Le mura erano dotate di
un’isolante acustico a base di polietilene espanso e inibitori elet-
tronici, per evitare che le discussioni venissero ascoltate o inter-
cettate dall’esterno. L’illuminazione era garantita da lampade al
neon poste ai quattro angoli che dispensavano una costante luce
soffusa. L’arredamento per contro si limitava ad un’ampia tavola
rotonda posta al centro del locale, attorno alla quale erano dispo-
ste sei sedie, di cui cinque già occupate; al centro, qualche botti-
glia d’acqua e sei bicchieri.

Sul pavimento, abili artisti avevano cesellato un complesso


mosaico di minuscole pietre colorate. Quelle dalla tonalità più
scura davano forma ad un grande cerchio all’interno del quale
poltrone e scrivania poggiavano perfettamente allineate, quasi a
formare un tutt’uno con le rappresentazioni. Quelle più chiare
componevano armoniose curve che, allontanandosi dalla circonfe-
renza, andavano a spegnersi in prossimità delle pareti. Singoli
sassolini di un colore giallo intenso erano sparsi qua e là all’ester-

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no del cerchio. La sensazione che se ne ricavava era di trovarsi
sopra una volta stellata, con il sole al centro e i raggi che raggiun-
gevano l’estremità dell’universo. Per contrasto, il soffitto aveva
un aspetto cupo, verniciato in maniera uniforme con una tinta gri-
gio scuro. Un universo all'incontrario.

I tre uomini e le due donne sedevano composti nell’attesa del


loro superiore, senza proferire parola.

Sulla parete centrale, alle spalle della poltrona di Avon, capeg-


giava il logo dell’Organizzazione:

Sulla parete opposta, un ampio schermo al plasma spento, cir-


condato da una cornice di mogano, pareva un quadro ancora da
dipingere. Sulla cornice era inciso un termine dalle chiare origini
greche: PINDAR.

La Sun Operation Network contava sei collegi. A questi erano


subordinati 13 delegati e 300 custodi della dottrina, o reclutatori.

Oltre che Presidente Supremo dell’Organizzazione, Avon era il


capo del Collegio Politico. Era in carica da 25 anni.

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Lo studio di consulenza legale O’Connors & Associates rap-
presentava la copertura ideale e permetteva nel contempo ad Avon
di promuovere e rafforzare i contatti con le alte cariche dello Stato
ed esercitare sulle autorità costituite la pressione necessaria ad ot-
tenere quei favori che avevano permesso all’organizzazione di
conquistare un potere sempre maggiore.

L’uomo entrò, chiuse la porta dietro di sé, si sedette e guardò


uno a uno i presenti, in senso antiorario:

Shireen, capo del Collegio Religioso;

Jyzene, capo del Collegio Storico;

Delos, capo del Collegio Scientifico;

Mahel, capo del Collegio Educativo;

Dex, capo del Collegio Operativo.

“Che la riunione abbia inizio.” Avon incuteva un misto di ri-


spetto e paura: era il Capo Supremo dell'era della transizione.

L’esistenza della Sun Operation Network era ignorata dalle or-


ganizzazioni internazionali e dagli stessi governi. Né i sistemi de-
mocratici, né i regimi totalitari potevano immaginare che le im-
portanti decisioni nel campo della politica estera, avallate talvolta
a porte chiuse dopo ore e ore di trattative tra le diverse fazioni,
erano state già pianificate da altri prima ancora di essere discusse
dagli stessi.

La storia degli ultimi tre secoli, comprese le rivoluzioni, la na-


scita delle nuove ideologie, le guerre su scala mondiale, la fonda-

34
zione dell’ONU, la creazione dell’Unione Europea, le
sperimentazioni mediche e la supremazia dell’economia di merca-
to globale, era stata decisa e promossa a tavolino, prima che gli
eventi la suggellassero. Quella del millennio entrante poggiava
sulle stesse basi.

La nascita dell’organizzazione si perdeva nella notte dei tempi.


I nomi dei sei capi, rappresentanti di sei famiglie mondiali, veni-
vano da sempre mantenuti segreti. La continuità della loro leader-
ship era garantita alla loro morte da discendenti diretti consangui-
nei, istruiti in precedenza allo scopo attraverso un periodo decen-
nale di apprendimento gestito dal Presidente Supremo in persona.
I sei capi di collegio rappresentavano la punta della piramide ge-
rarchica del potere: un ristretto gruppo di persone con il potere di
gestire il destino dell'umanità. PINDAR era appunto il nome del
gruppo.

I delegati venivano selezionati tra le fila di coloro che avevano


concluso il periodo di apprendimento senza poter assumere la ca-
rica massima. Il gruppo era conosciuto come Concilio dei 13. Era
il secondo gradino gerarchico dell'organizzazione.

Infine, i Custodi della dottrina erano reclutati nel mondo poli-


tico, finanziario, religioso, scientifico o imprenditoriale. Il loro
scopo era quello di influenzare (con ogni mezzo) le scelte dei go-
verni e delle loro istituzioni, affinché rispecchiassero quelle della
Sun Operation Network. Erano anche conosciuti come Comitato
dei 300, terzo gradino gerarchico.

All'inizio di ogni trimestre veniva organizzata una tavola ro-


tonda tra esponenti dei vari gruppi, scelti di volta in volta per la
circostanza specifica. I temi delle discussioni erano sempre Finan-
za e Risorse.

Al completo, la struttura piramidale dell'organizzazione si pre-


sentava in questo modo:

35
Le basi della sua struttura organizzativa attuale sono state get-
tate agli inizi del 1700, quando il progetto operativo è passato alla
seconda e ultima fase, quella in corso.

Avon distolse lo sguardo dagli astanti e si girò con lentezza


verso la parete alle sue spalle. Chiuse gli occhi e proferì quasi sot-
tovoce una breve orazione con parole incomprensibili, in una lin-
gua simile all’aramaico, ma più lineare e meno articolata. Al ter-
mine, si ricompose sulla poltrona e tornò a incrociare con il pro-
prio sguardo intenso, a sottolineare la sua autorità, quello più cir-
cospetto degli altri.

In quella stanza, quel giorno, si decisero gli ultimi passi del


cammino dell’umanità.

36
5.

Charleston, Carolina del Sud,


Stati Uniti d'America

Il laboratorio e il centro informatico della Kabanov Enginee-


ring erano stati trasferiti di recente nella struttura edificata sul ter-
reno adiacente la lussuosa villa di famiglia. La vecchia sede in
Charlotte Street era stata destinata al settore elettronico.

A dispetto del nome, Engineering, la società si era da sempre


occupata esclusivamente di tecnologie informatiche software e
hardware e negli ultimi anni, di Intelligenza artificiale.

Il fondatore, Sergej Kabanov, aveva militato nei ranghi del


KGB nel primo dopoguerra, in qualità di infiltrato presso i servizi
d’informazione americani e britannici. Nel 1948 era uno stimato
dipendente dell’intelligence americano. L’incarico si protrasse per
pochi mesi. Poi i sovietici lo inviarono a Londra, dove gli costrui-
rono un’occupazione di copertura, alle dipendenze del Foreign
Office. Nel 1951, infine, lo sollevarono dall’incarico perché di-
ventato scomodo.

Kabanov non rientrò in patria. Avviò in Inghilterra un’attività


nell’ambito dell’analisi delle informazioni, forte delle conoscenze
e dell’esperienza maturate.

37
Ebbe modo di conoscere e frequentare eminenti personaggi del
mondo accademico e scientifico, come il matematico austriaco
Kurt Gödel, e Alan Turing, il precursore dell’odierno calcolatore
elettronico, che durante la guerra era stato a capo del gruppo im-
pegnato nella decrittazione di Enigma, il sistema di messaggi in
codice usato dai nazisti per comunicare con i loro sommergibili e
con le truppe avanzate.

Nel luglio del 1954, improvvisamente, Sergej Kabanov abban-


donò il Regno Unito e tornò negli Stati Uniti, dove fondò la Ka-
banov Engineering, specializzata in applicazioni analitiche per
calcolatori IBM. A Charleston conobbe e sposò Alexandra, figlia
di un ingegnere di Leningrado, l’odierna San Pietroburgo. La
donna era professoressa di lingue all’Università della contea. Ab-
bandonò la cattedra nel 1957, quando diede alla luce il loro unico
figlio, Ivan.

Grazie ai contatti precedenti del suo fondatore con le agenzie


governative americane, la Kabanov Engineering entrò in collabo-
razione, negli anni settanta, con la National Security Agency. Per
suo conto concepì e sviluppò negli anni seguenti i software di
data mining utilizzati nell’ambito dei progetti di intercettazione e
analisi delle comunicazioni telematiche.

Sergej Kabanov e la moglie morirono il 19 luglio 1987 in un


incidente stradale, a seguito del quale il figlio Ivan, allora trenten-
ne, assunse le redini della società.

Sul piazzale antistante la villa, alcuni veicoli di colore nero,


con i vetri oscurati, sostavano in fila indiana con il motore acceso.

38
L’Ammiraglio John Poindexter scese con un solo balzo i tre
gradini che conducevano al piazzale, seguito dai funzionari della
NSA, dalle guardie del corpo e da Ivan Kabanov. Prima di acco-
modarsi sul sedile posteriore della vettura in testa alla colonna, si
voltò verso il russo e gli rivolse le ultime parole di commiato:
“Speriamo che il professore abbia risolto il suo problema. È me-
glio per noi… e per voi.”

L’alto ufficiale era un uomo sulla settantina. Aveva un porta-


mento autoritario e uno sguardo di ghiaccio, incorniciato da oc-
chiali spessi e squadrati, con montatura argentea. Accanito fuma-
tore, ignorava accuratamente ogni cartello o indicazione che chie-
deva di rinunciare alla sigaretta. Si imponeva nei suoi ambiti e
con i suoi subordinati, ma all’esterno odiava trovarsi al centro
della cronaca. Preferiva operare nella più totale discrezione. Sole-
va affermare “Combatteremo le ombre dall’ombra.” Verso la fine
del 2002, un giornalista del San Francisco Weekly pubblicò il suo
indirizzo di casa nel Maryland e il numero di telefono. Quest’ulti-
mo venne rapidamente disattivato, ma la miccia era ormai inne-
scata. Migliaia di siti pubblicarono le foto satellitari dell’abitazio-
ne dell’Ammiraglio. Nacque una caccia all’uomo globale in cui a
finire sotto sorveglianza fu la persona che per definizione si occu-
pava di sorvegliare.

L’autista chiuse la portiera posteriore e si accomodò alla guida.

“Al mio ufficio…”, ordinò Poindexter, “… Zirtotkij arriverà


fra meno di un’ora.”

La colonna di veicoli si mise in movimento, percorse il viale


alberato della tenuta e svoltò sulla principale, sottraendosi dalla
vista di Ivan Kabanov, che rimase ad osservare taciturno la polve-
re che lentamente si dissolveva.

39
I giardinieri stavano potando alcuni arbusti e il sistema di irri-
gazione aveva ripreso a distribuire equamente l’acqua sulla super-
ficie erbosa del parco.

Dopo qualche istante, Ivan Kabanov si destò dai pensieri e


s’incamminò verso il laboratorio.

“Dov’è Boris?”, chiese agli uomini della sicurezza all’entrata


dell’edificio.

Una guardia si affrettò a rispondere: “Il Colonnello sta comple-


tando l’ispezione all’interno…”

“Chiamatelo. Ditegli che lo aspetto in giardino.

40
6.

Mesopotamia,
Qualche chilometro a est dalle porte di Eden
Anno 6691 a.C.

Il pomeriggio volgeva al termine. Il gregge pascolava in una radu-


ra rigogliosa al centro della quale tre ruscelli confluivano a forma-
re un laghetto che rifletteva l’azzurro del cielo. Poco distante, al-
cune rondini stavano pazientemente nidificando sui rami più alti
di una pianta. Con mirabile efficienza, s’intercalavano nel viaggio
di andata e ritorno dai campi, a raccogliere i rametti per la loro fu-
tura dimora.

Seduto su una pietra della riva, il pastore osservava le pecore bru-


care l’erba e di tanto in tanto abbeverarsi. Era rattristato. La di-
scussione di quella mattina era degenerata in lite per futili motivi.

Il fratello lo raggiunse da dietro, le mani ancora sporche del lavo-


ro nei campi. Con la destra impugnava un bastone.

Abele si accorse della sua presenza quando l’altro ormai era alle
sue spalle. Si voltò per salutarlo e chiedergli scusa nello stesso
istante in cui Caino sferrò il colpo. Un rumore cupo echeggiò nel-
la radura, rompendo la quiete e spaventando gli animali che si di-
spersero scomposti.

41
La verga gli frantumò il cranio e il ragazzo rovinò di lato acca-
sciandosi poi sulla schiena, la testa a lambire l’acqua e gli occhi
sbarrati verso l’alto, quasi a contemplare il cielo.

Una chiazza di un colore rosso intenso, dapprima circoscritta at-


torno al corpo di Abele, si allargò fino a ricoprire tutta la superfi-
cie dello stagno. Il paesaggio idilliaco si era trasformato in un
cupo scenario di desolazione. Stava calando la sera.

Si era compiuto il primo omicidio della storia dell’umanità.

Caino cominciò a udire la voce subito dopo. I minuti passavano e


quella domanda incalzava nella sua mente con sempre maggior
vigore: “Caino, dov’è tuo fratello?...”

Sopraffatto dal peso della profonda avversione, sfogò il suo odio


nell’aria, con le braccia protese verso l’alto e le mani aperte come
artigli, a ferire il cielo con le menzogne: “… E che ne so!... Sono
forse io il suo guardiano?”

42
7.

Charleston, Carolina del Sud,


Stati Uniti d'America

Il Presidente Rotblat impartì le ultime disposizioni. Si accomo-


dò sulla sedia a fianco del leggio e tornò col pensiero a quel po-
meriggio di un anno prima, quando in conferenza stampa, dallo
stesso palco illustrò al mondo le capacità del primo chip isolinea-
re. Nel corso della dimostrazione pratica, eseguita con i migliori
programmi informatici di calcolo delle prestazioni, il computer su
cui era installato il chip polverizzò tutti gli indici di riferimento
precedenti, aprendo di fatto una nuova era informatica. “Ma come
avete fatto a sviluppare dei chip così veloci?...” L’imbarazzato
giornalista di Science fornì a Rotblat lo stimolo ideale per un’af-
fermazione che gli uscì spontanea, ma che entrò immediatamente
nella storia: “Vede, qui la velocità non c’entra. Il fatto è che i no-
stri processori… ragionano.”

CASIAS divenne sinonimo di progresso. I processori a chip


isolineari che fino a pochi mesi prima erano relegati nei sistemi di
bordo delle navi spaziali che volavano a velocità della luce nei ro-
manzi di fantascienza, rappresentavano oggi uno standard in fatto
di affidabilità e potenza di calcolo. Un'equazione matematica sta-
va alla base dell'elaborazione dei dati. Non più calcoli decimali o
esadecimali. Niente codici binari. La nuova formula del ragiona-
mento era integrata nel cuore di ogni processore isolineare. In

43
questo modo era impossibile estrapolarla, copiarla e riutilizzarla.
Un chip di conversione restituiva al computer l'informazione in
codice binario al termine del processo di calcolo, al solo scopo di
mantenere la compatibilità con il software e l'hardware sul
mercato. Questo aspetto, temporaneo, sarebbe stato rimosso al
momento in cui lo stesso mercato avrebbe raggiunto standard più
elevati. I laboratori della compagnia erano riusciti inoltre a
risolvere il problema della dissipazione del calore prodotto dalle
elevate frequenze di elaborazione, attraverso un innovativo
sistema di raffreddamento in alluminio, di minuscole dimensioni,
composto da una miriade di micro-tubi attraverso i quali l'azoto
liquido scorreva in direzioni alternate a grande velocità.

I maggiori produttori mondiali di personal computer installava-


no oggi i processori CASIAS di serie anche sui sistemi di fascia
bassa, grazie ai costi contenuti delle CPU. L'azienda era diventata
in breve tempo leader mondiale del settore. Ai dipendenti che
maggiormente si erano distinti per profondità d'idee, si aprivano
ora le porte di una brillante carriera, grazie alla rapida espansione
della compagnia. Andrew Sanders, abile matematico, programma-
tore e progettista, era tra questi. E il suo compito non era termina-
to. Ora avrebbe potuto concentrarsi esclusivamente sul software
nativo, per chiudere il cerchio.

Tutto era pronto per la cerimonia di promozione. Il Presidente


Rotblat ordinò a un impiegato di accompagnare Sanders in sala, in
vista dell'imminente discorso in suo onore. Il funzionario imboccò
il corridoio E, prese il primo ascensore a disposizione e salì all'ot-
tavo piano. Era un giovane sulla ventina, addetto al servizio di
smistamento della corrispondenza del secondo interrato. Non gli
capitava spesso di salire ai piani delle decisioni. A causa del re-
cente parto, sua moglie non aveva potuto presenziare alla festa.
Lui stesso avrebbe preferito trascorrere la serata in sua compagnia
e coccolare con lei quell’esserino che da qualche giorno colmava i
silenzi delle loro giornate e – soprattutto – delle loro notti. All’ul-

44
timo, non se l’era sentita di mancare a un appuntamento tanto im-
portante per la compagnia. La CASIAS rappresentava per tutti i
dipendenti molto di più della ditta per cui lavoravano. Era una
specie di seconda madre, che educava e cresceva i propri figli con
amore e pazienza, offrendo loro le giuste opportunità di carriera.
Oggi era toccato a un altro. Un giorno avrebbe potuto essere lui il
festeggiato.

L’ascensore si fermò all’ultimo piano, le porte scivolarono di


lato, a incassarsi dolcemente nelle pareti e l’impiegato uscì, diri-
gendosi verso l’ufficio di Sanders.

La porta era socchiusa. Andrew Sanders sedeva alla sua poltro-


na, il capo supino sulla scrivania di mogano, a respirare quell'aria
nuova di prestigio.

Ma non respirava.

Un minuscolo foro nella zona occipitale del cranio aveva posto


fine alla sua nuova vita prima che questa potesse iniziare.

45
46
PARTE SECONDA

“I grandi pensieri vengono dalla ragione.”

8.

Charleston, Carolina del Sud,


Stati Uniti d'America

Alla guida della sua Jaguar XKR Coupé, Hui Ling Rotblat per-
corse a grande velocità i pochi chilometri che separavano la sede
della CASIAS dalla lussuosa villa di Ivan Kabanov, due isolati a
nord-est. L'auto sembrava volare con dolcezza sopra l'asfalto. Il
cielo andava oscurandosi, ma il grigio metallizzato della carrozze-
ria brillava ancora agli ultimi sprazzi di rosso che il tramonto ave-
va lasciato dietro di sé a est. Il cancello della tenuta in Calhoun
Street era aperto. La donna non ci pensò due volte. Sterzò e si in-

47
trodusse nell'ampio parco privato. "Kabanov è qui, lo sento." Pri-
ma che il personale della sicurezza potesse interporsi, lo intravvi-
de dietro alla tenda di una finestra del quinto piano. “Scacco!”, bi-
sbigliò tra sé la donna.

Nativa di Wuhan, capoluogo della provincia di Hubei e impor-


tante nodo stradale e ferroviario della Cina orientale, Hui Ling si
era trasferita in America da adolescente con la famiglia. I genitori
avevano avviato un'attività di ristorazione nel quartiere asiatico di
Atlanta, in Georgia, per finanziare gli studi dell'unica figlia. La
ragazza era di una bellezza inaudita, nonostante il corpo minuto.
Lunghi capelli neri facevano da contorno a un viso perfettamente
simmetrico, che pareva il risultato di una ricerca sull’arte nella
geometria. Sensibile, delicata e dall'intelligenza acuta, poté fre-
quentare, grazie ai sacrifici dei genitori, le scuole superiori e l'uni-
versità, laureandosi a pieni voti. Brillante programmatrice, appena
ventenne aveva trovato impiego presso la CASIAS a Charleston,
nella Carolina del Sud, quando la ditta muoveva i primi passi nel
settore informatico, sull’onda delle idee innovative del suo fonda-
tore, Samuel Rotblat, introverso ma geniale, figlio di emigranti
ebrei.

Nonostante dieci anni di differenza, l'amore tra Hui Ling e Sa-


muel sbocciò al primo incontro. Evasi i colloqui di assunzione
con il responsabile del personale, una segretaria la introdusse nel-
l'ufficio del Presidente per le formalità assicurative. Samuel di-
stolse l'attenzione dai documenti che si trovavano sulla scrivania e
incrociò lo sguardo di lei. Fu un colpo di fulmine per entrambi.
Parevano conoscersi da sempre. Erano tanto diversi quanto ugua-
li. Le due metà della stessa mela. Restarono in silenzio per lunghi
minuti, sopraffatti dalla reciproca attrazione e infine si ritrovarono
nel locale ristoro a bere un tè. Il matrimonio si celebrò pochi mesi
dopo e il frutto del loro amore nacque l'anno seguente. Di comune
accordo, gli posero il nome Joshua, in onore del grande condottie-

48
ro cui il Signore ordinò di attraversare il Giordano e prendere pos-
sesso della terra promessa.

Hui Ling contribuì notevolmente alla crescita dell'azienda.


Sempre a fianco del marito, condivideva con lui progetti e strate-
gie. La loro abitazione consisteva in un appartamento al primo
piano della ditta. In questo modo, la donna riusciva a dedicarsi
alle necessità domestiche e alla crescita del figlio e
contemporaneamente seguire le attività del marito.

La grande svolta per il futuro della CASIAS si era avuta un


anno e mezzo fa, quando suo marito fu svegliato alle quattro del
mattino da una chiamata di Andrew Sanders, eccitato oltre ogni
limite: “Ho risolto Omega!”

Dal primo incontro erano trascorsi venticinque anni. Samuel e


Hui Ling si amavano come il primo giorno.

Nello spegnere il motore dell'auto, l'immagine del povero San-


ders ucciso con inaudita freddezza all'interno dell'azienda, in
barba ai più sofisticati sistemi di sicurezza, accresceva la rabbia e
il rancore nei confronti dell'uomo che l'istinto prima e le indagini
dopo le indicavano esserne l'artefice: Ivan Kabanov.

Già, l'istinto.

La mente ritornò ai giorni dell'assunzione di Andrew.

Il marito, al termine della cena, le aveva mostrato i documenti


con le credenziali del giovane, per quel posto di programmatore
nell'ambito del progetto relativo alle matrici della formula del ra-
gionamento. Si trattava di un impiego delicato e complesso al
tempo stesso. Serviva un genio dell’informatica e al contempo un
provetto matematico, che comprendesse appieno e condividesse le
supposizioni e le idee del Presidente. Erano stati scartati innume-
revoli candidati di valore. Il nuovo programmatore avrebbe dovu-

49
to applicarsi nei mesi e negli anni seguenti a due specifiche attivi-
tà: concretizzare dapprima il nuovo linguaggio macchina, basato -
si sperava - su Omega, e fungere in un secondo tempo da
supporto ai tecnici hardware nell'operazione di implementazione
della formula nei processori. Il tutto, nella più totale riservatezza.
Nulla doveva trapelare al di fuori della CASIAS. Più che gli
attestati di carta, a Samuel Rotblat serviva l'istinto della moglie.
La donna chiese di convocare Andrew Sanders per un secondo
colloquio. Il giovane era fresco di laurea. Si sarebbe trattato per
lui del primo impiego. Andrew si accomodò al lato opposto e
rimase in silenzio, a fissare il coltellino svizzero che la donna si
girava tra le dita, passandolo da una mano all'altra. Era un regalo
del marito di anni addietro, e lei non se ne separava mai.
Nonostante l'aspetto piuttosto trasandato, il ragazzo le parve
motivato e determinato ad affrontare l'impresa che lo attendeva e,
soprattutto, degno di fiducia. "Signor Sanders, utilizzi il primo
stipendio per rinnovare il guardaroba." Nei mesi seguenti, il
giovane dimostrò di aver afferrato il concetto. Ogni mattina si
presentava puntuale e dall'aspetto impeccabile.

Già i primi risultati indicarono a Samuel Rotblat che l'istinto


della moglie ancora una volta gli aveva permesso di operare la
scelta giusta. E l’ultimo cambiò per sempre il destino della com-
pagnia: “Ho risolto Omega!”

La soluzione di Omega, alla quale Sanders lavorava ininterrot-


tamente da tempo, era condizione essenziale per la progettazione
del chip isolineare dapprima, e il software nativo in seguito. A
quell’affermazione, urlata da Sanders alla cornetta senza aggiun-
gere altro, Rotblat sobbalzò, si vestì in tutta fretta e corse ai labo-
ratori CASIAS, all’interno dei quali trascorse i due giorni seguen-
ti senza uscire nemmeno per mangiare.

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Le due guardie aprirono con fermezza lo sportello del veicolo e
strattonarono all’esterno Hui Ling Rotblat, che cadde sul terreno
di ghiaia. Senza tante maniere, la sollevarono per le ascelle e la
condussero all’interno della tenuta.

“Nella stalla!” dispose uno di loro.

51
9.

Charleston, Carolina del Sud,


Stati Uniti d'America

La pattuglia aveva quasi concluso il turno di servizio e stava


rientrando lentamente in centrale.

L’agente Barney conosceva quella zona come le sue tasche.


Era nato un isolato più a nord ed era cresciuto correndo e giocan-
do nelle stesse strade, quando ancora vi si poteva correre. Di cose,
da allora, ne erano cambiate. Nel periodo della sua infanzia, il
quartiere era abitato da gente di colore, come lui. Oggi ci si im-
batteva per lo più in russi e cinesi.

Era in polizia da una quindicina d’anni e di stranezze, nel corso


della sua carriera, ne aveva viste. Ma quella che aveva notato
all’angolo appena superato, gli era parsa davvero bizzarra.

“Ferma!”, intimò al collega che si trovava alla guida.

L’auto accostò sulla destra. Barney scese, sistemò il cinturone


e il cappello. Pochi passi e raggiunse l’angolo, seguìto dal compa-
gno.

L’eccentrico personaggio che si trovava di fronte aveva una


folta barba grigia, trascurata e sporca. Dalle orecchie fuoriusciva

52
abbondante peluria dello stesso colore, mentre in bocca mancava-
no all’appello almeno gli incisivi inferiori e qualche molare. Di
sicuro, i pantaloni non avevano mai sperimentato la carezza di un
ferro da stiro e per quanto riguardava la sartoria, ormai, non c’era
più niente da fare. Una canottiera, o quello che ne restava, com-
pletava l’abbigliamento casual. Con la mano destra stringeva
qualcosa di simile alla tuta di lavoro degli idraulici e con la sini-
stra una bottiglia di birra. Ma l’aspetto più curioso era dato dai ca-
pelli: neri, leggermente mossi, folti ma puliti e ben pettinati: la ca-
pigliatura di uno scolaretto sulla testa di un orco.

“Cosa volete, ancora?!... Vi ho già detto la settimana scorsa


che io neanche la conoscevo, quella!... L’ho vista battere un paio
di notti, sull’altro marciapiede, poi… bruummm… è arrivato il ti-
zio del Mercedes e se l’è portata via…”

Barney si avvicinò ulteriormente per osservare meglio, tratte-


nendo il respiro a causa dell’odore fetido emanato dal singolare
individuo. Allungò una mano, lo afferrò per i capelli, poco sopra
quel nasone da pugile in pensione, e tirò a sé. L’intera capigliatura
finì nelle mani del poliziotto.

Una parrucca.

Il barbone vacillò per l’ebbrezza, poi riacquistò l’equilibrio.

“…Avete mica una sigaretta?...”

Gli agenti stavano per esaurire pazienza e diplomazia, nel ten-


tativo di ottenere le informazioni di cui avevano bisogno. E fu
solo grazie alla vista della banconota da cinque dollari, che l’uo-
mo si voltò, indicando col dito un cassonetto dei rifiuti poco lon-
tano.

Il cielo ormai andava rabbuiandosi. La carenza di lampioni nel-


la zona persuase Barney ad estrarre la torcia in dotazione. Tolse

53
dal cassonetto due sacchi della spazzatura e alcune pagine di un
giornale, poi tornò a illuminare il fondo. C’era qualcosa di simile
a un biglietto da visita. Bilanciandosi sul bordo, si distese
malvolentieri all’interno. Con i piedi a mezz’aria, si mantenne in
equilibrio con una mano, mentre con l’altra raggiunse e recuperò
il cartoncino. Al tatto, riconobbe che era plastificato. Un colpo di
reni, e l’agente era di nuovo in piedi.

“Grazie per la collaborazione…”, sbottò al collega, che era ri-


masto in disparte a godersi la scena. Si assestò la divisa e illuminò
l’oggetto. Era un tesserino di riconoscimento della Traxler Condi-
tioners, una società che si occupava di installazione e manuten-
zione di condizionatori d’aria.

Tuta, parrucca e tesserino vennero portati in centrale.

Il Dipartimento di polizia era situato al numero 180 di Lock-


wood Boulevard, al lato est del grande fiume.

Nonostante l’orario, alla stazione di polizia c’era un notevole


movimento, a causa di un omicidio perpetrato un paio d’ore prima
non molto distante, presso un’importante società informatica. Una
sala adiacente al locale di ristoro degli agenti era stata predisposta
per accogliere le persone che dovevano essere interrogate.

Erano stati convocati tutti i presenti nell'azienda al momento


dell’omicidio, e non erano pochi: all’ora delitto era in corso una
cerimonia cui avevano preso parte anche amici e parenti degli im-
piegati. Le deposizioni si sarebbero protratte per ore e sarebbero
proseguite nei giorni seguenti. Alla convocazione dei dirigenti era
stata data la priorità.

L’agente Barney consegnò i reperti al funzionario incaricato e


timbrò il cartellino. Il collega osservò: “Non ritiri il modulo per
stendere il rapporto?”

54
Barney alzò il braccio destro in segno di diniego.

“Lo faccio domani. Quello che mi serve, adesso, è una bella


doccia.”

Si avviò lungo il corridoio e aprì la porta nell’attimo in cui so-


praggiungeva un giovane sui venticinque anni, visibilmente pro-
vato. Barney si fece in disparte, mantenendo aperta la porta e lo
guardò dirigersi all’accettazione, quindi uscì.

“Sono stato convocato per una deposizione…” esordì il giova-


ne.

Il funzionario estrasse un modulo da una mappetta trasparente


e prese una biro.

“Il suo nome?...”

“Rotblat. Joshua Rotblat.”

55
10.

Charleston, Carolina del Sud,


Stati Uniti d'America

Boris Marakov era da tutti soprannominato il Colonnello, no-


nostante non avesse mai operato per conto dei militari. L’appella-
tivo andava invece posto in relazione all’autorevole portamento e
al severo atteggiamento che assumeva nell’impartire gli ordini.
Scandiva le disposizioni con tono rigido e inflessibile e pretende-
va un’immediata reazione. La sua corporatura massiccia e impo-
nente completava l’immagine che le guardie si erano fatti di lui:
un uomo che è meglio avere come amico che come nemico.

Era stato ingaggiato quale capo della sicurezza della Kabanov


Engineering più di vent’anni prima, quando Ivan aveva assunto il
comando della società. I suoi compiti andavano oltre la supervi-
sione delle procedure all’interno della tenuta. Il Colonnello veniva
regolarmente impiegato nelle operazioni di indebolimento e per-
suasione durante i viaggi d’affari dei dirigenti della società e fun-
geva da guardia del corpo personale del Presidente, che affianca-
va in ogni spostamento.

Il servizio di sicurezza della villa contava una ventina di uomi-


ni armati e ben addestrati, agli ordini diretti di Marakov.

56
Alla luce dei lampioni, l’ombra delle piante disposte ai lati del
selciato si intrecciava con la sua e quella Ivan Kabanov, creando
forme bizzarre. I due uomini erano intenti a valutare gli scenari
che si presentavano a causa del parziale insuccesso di Natalia.

“Non abbiamo la formula, maledizione…”

“Ma abbiamo la signora Rotblat!”, reagì Boris, lasciando inten-


dere che non tutto era perduto.

A qualche centinaio di metri di distanza, Hui Ling Rotblat si


sforzava di mettere a fuoco nella penombra le pareti della stalla in
cui era tenuta prigioniera. Vista la fragile corporatura della donna,
gli uomini di Marakov avevano ritenuto superfluo legarla.

Non c’erano attrezzi. Solo una vecchia greppia in legno che


conteneva del fieno. Il portone in legno massiccio era saldamente
chiuso dall’esterno. Niente finestre, né altri passaggi che avrebbe-
ro potuto essere presi in considerazione quali vie di fuga, al di
fuori di una minuscola apertura in alto, attraverso cui di giorno
filtrava la luce. Si trovava a un’altezza di circa quattro metri, sulla
sommità della parete opposta, appena sotto la volta del soffitto. A
quest’ora, l’unica fonte d’illuminazione consisteva in un lampione
poco distante. E la visibilità all’interno della stalla era ridotta al
minimo. Le imperfezioni dei muri avrebbero forse permesso di
raggiungere lo spiraglio, ma uscire da uno spazio delle dimensioni
di una mattonella sarebbe stata un’impresa improbabile per un es-
sere umano.

Hui Ling non si perse d’animo. Cercando di limitare il rumore,


capovolse con delicatezza la vecchia mangiatoia e la trascinò ai
piedi del muro, accostandola in verticale. Guadagnò così il primo
metro. Valutò le altre opzioni. Il coltellino svizzero non le poteva
essere di grande aiuto. Si tolse le scarpe della festa, ne lasciò in
terra una e prese ad esaminare ogni sporgenza nella parete alla ri-
cerca di un appiglio. In alcuni punti, la calce grezza poteva essere

57
facilmente rimossa, utilizzando la punta in cuoio rigido dell’altra
scarpa a mo’ di scalpello. In questo modo, la donna ingrandì un
paio di fessure a metà parete quel tanto che bastava per infilarci le
dita di una mano. Ripose la calzatura e tornò ad occuparsi delle
cavità procuratesi. Vi si aggrappò e si spinse verso l’alto,
cercando nel contempo un appiglio per i piedi. Raggiunse con
l'altra mano l’apertura e, bilanciandosi, riuscì ad afferrare una
trave del soffitto. Si trovava ora a penzolare sotto la volta. Visto
da vicino, pareva ancora più improbabile uscire da quel buco.

Poco distante, tuonò la voce di Ivan Kabanov: “Portala qui!”.

Il colonnello fece un gesto di assenso, estrasse la ricetrasmit-


tente e radunò due guardie. Con loro, si diresse verso la stalla.

Hui Ling Rotblat prese a dondolare avanti e indietro come


un’altalena, facendo perno con entrambe le mani sulla trave.
Quando la spinta fu sufficiente, raggiunse con i piedi l’apertura e
vi s’infilò. Rimase per qualche istante supina, incastrata all’altez-
za delle natiche, con le gambe all’esterno e il busto ancora dentro
l’edificio, il viso verso l’alto. I lunghi capelli neri ondeggiavano
delicatamente sotto di lei con armonia, come le onde in un mare
quasi calmo. Accostò le mani ai fianchi e infilò le dita tra il corpo
e la parte superiore della fessura. Tirò forte a sé. La gonna si
strappò di lato e una ferita prese a sanguinare abbondantemente
sulla coscia sinistra, ma anche il bacino era passato. Ruotò sulla
parte più stretta dei fianchi e si appoggiò sulla pancia per ripren-
dere fiato. Sentì il rumore di passi che si avvicinavano e senza in-
dugiare oltre riprese le operazioni di fuga. Distese le braccia in
avanti, cercando di spostare il peso sulla parte del corpo che si
trovava fuori, e lentamente guadagnò altri centimetri. La camicet-
ta in seta rossa limitò appena l’attrito del basamento sul torace. Il
reggiseno si scompose, ma in qualche modo era passata fino al-
l’altezza del collo, con le ginocchia accovacciate all’esterno del
muro, per limitare la pressione. Girò la testa di lato e spinse con le

58
mani sul bordo della parete. Ora sanguinava anche un orecchio.
Strinse i denti e si contrasse nell’ultimo strattone, lasciandosi poi
cadere verso il basso nel momento esatto in cui il portone della
stalla veniva aperto.

59
11.

Tebe,
Egitto,
Palazzo Reale
Anno 1420 a. C.

Millequattrocentoventi anni prima della nascita di Cristo, l’E-


gitto conosceva il suo periodo di massima espansione. Il Nuovo
Regno era caratterizzato da una politica di conquista, per evitare il
ripetersi delle invasioni da parte delle popolazioni asiatiche. Il re-
gno si estendeva ormai dal 17. parallelo fino al Mediterraneo, su
una lunghezza di oltre 2260 chilometri.

I centri amministrativi e di gestione erano stati portati nell’Alto


Egitto, mentre in precedenza si trovavano nella zona di Menfi e
del Medio Egitto. Per controllare e gestire un così ampio territo-
rio, l’edificazione di nuove città militari ad est rappresentava uno
degli obiettivi prioritari del periodo.

All’interno del palazzo reale di Tebe, il lussuoso ufficio che il


Faraone in persona aveva messo a disposizione al filosofo, mate-
matico e astronomo Toth disponeva di ogni comodità e servigio
utili a consentirgli di svolgere al meglio il proprio compito.

60
Toth era un uomo di mezza età. Fisicamente era piuttosto esile
ma la sua mente aveva offerto un ampio contributo a vari campi
dell’attività umana: era stato il primo a osservare l’ordinata dispo-
sizione degli astri e l’armonia dei suoni musicali secondo la loro
natura. Rivolse i suoi studi allo sviluppo ritmico del corpo umano
e fu l’inventore della palestra. I Greci erano stati da lui educati
nell’arte dell’esposizione e dell’interpretazione. Nella loro
saggezza, gli avevano attribuito l’appellativo di Trismegisto, il tre
volte grande.

Con un cenno della mano, il filosofo indicò al capo degli scribi


di avvicinarsi e mostrare la tavoletta sulla quale l’opera di incisio-
ne dell’essenza del suo pensiero si era appena conclusa. Era emo-
zionato. Aveva saputo concentrare e riassumere l’espressione
massima della propria conoscenza su un manufatto di poche deci-
ne di centimetri. Lo scriba gli consegnò la Tavola di Smeraldo.
L’abilità dei maestri egizi nella realizzazione delle decorazioni e
dei geroglifici non aveva pari all’epoca. La tavoletta pareva brilla-
re di luce propria. Toth si soffermò ad ammirarne la perfezione
quasi maniacale delle geometrie, poi prese fiato e rilesse il frutto
del suo lavoro:

Quanto segue è vero. In esso non si trova alcuna menzogna. E’


comprovato e certo.

Ciò che sta in basso è come ciò che si trova in alto e ciò che
sta in alto è come ciò che si trova in basso. Così si compie il mi-
racolo della cosa Una.

E poiché ogni cosa esiste e proviene da una, per la mediazione


di una, così tutte le cose sono nate da questa cosa unica, per
azione di adattamento.

Il Sole è suo padre, la Luna è sua madre, il Vento l’ha portata


nel suo grembo, la Terra è la sua nutrice.

61
Il padre di ogni telesma, di tutto il mondo è qui. La sua forza è
intera se essa è convertita in terra.

Separerai la Terra dal Fuoco, il sottile dallo spesso, dolce-


mente ma con estrema competenza.

Egli sale dalla Terra al Cielo e nuovamente discende in Terra;


riceve così la forza delle cose superiori e inferiori.

Con tale conoscenza, otterrai la gloria del mondo intero e per


mezzo di ciò l’oscurità fuggirà da te.

Si tratta della forza assoluta, perché vincerà ogni cosa sottile


e penetrerà ogni cosa solida.

Così è stato creato il mondo.

Da questo deriveranno meravigliosi adattamenti, il cui metodo


è qui esposto.

Ecco perché sono stato chiamato Ermete Trismegisto, posse-


dendo le tre parti della Filosofia del mondo intero.

Ciò che ho affermato circa l’Operazione del Sole è compiuto e


terminato.”

Toth era soddisfatto. L’equilibrio degli estremi era ben espres-


so. Basso e alto, terra e cielo, tenebra e luce. Il Faraone avrebbe
apprezzato il suo lavoro. Avrebbe compreso che l’Uno andava in-
tuito come una compresenza di due opposti, che si sostengono a
vicenda. Una diede, della quale l’umanità avrebbe iniziato a co-
gliere la dimensione ternaria, la sintesi intuitiva del Tre, che si
compone dell’estremo inferiore, quello superiore e ciò che sta in
mezzo.

Restituì con delicatezza la tavoletta allo scriba.

62
Il servo si allontanò. Toth prese il calice del vino e si dissetò.

Sul trono dei Re, modellato interamente in oro massiccio e


contornato da diamanti e pietre preziose, il Faraone Thutmosi sta-
va consultando gli architetti del regno, intenti a illustrare lo stato
dei lavori di costruzione. Nella parte orientale del delta del Nilo,
si era da poco conclusa l’edificazione di Pitom e Ramses. Le due
nuove città avrebbero fornito un importante appoggio per i rifor-
nimenti militari. Nuove fortificazioni erano state pianificate più a
est. La superiorità dell’Egitto nei confronti delle nazioni nemiche
cresceva di giorno in giorno.

Il faraone distolse lo sguardo dai papiri e ordinò alla guardia di


lasciar passare l’ancella. La ragazza si avvicinò e gli porse la
Tavola di Smeraldo, il primo scritto esoterico dell’umanità, su un
cuscino di seta.

Era calata la sera. Alle luci delle torce, l’immenso accampa-


mento degli schiavi tornava a riempirsi di un intero popolo. Si era
da poco conclusa l’ennesima giornata di lavori forzati. Nella ten-
da delle celebrazioni, due uomini avevano radunato gli anziani
per esporre un breve ma importante messaggio.

Aronne parlò per primo, alzandosi per accentuare l’esortazio-


ne: “Prepariamoci! La schiavitù sta per finire… Dio ha rivelato a
mio fratello che il nostro popolo sta per essere liberato dalla tiran-
nia e dall’oppressione.”

Anche il secondo uomo si alzò, avvicinandosi ad Aronne e


confermando le sue parole. Tutti i presenti benedirono Mosé e
s’inginocchiarono per adorare il Signore.

Poco distante da loro, oltre le mura di difesa, nell’ufficio di


Toth stavano accorrendo le guardie reali, allarmate dallo scriba.

63
L’ermete Trismegisto era riverso sul marmo del pavimento, la
bocca aperta e le orbite degli occhi immobili, rivolte verso l’alto.

A poca distanza, il calice del vino rovesciato.

64
12.

Charleston, Carolina del Sud,


Stati Uniti d'America
Sede centrale dell’Ufficio per la Conoscenza dell’Informazione

Al centro esatto della parete nord dell’ufficio di Poindexter, lo


stemma dell’Information Awareness Office faceva bella mostra di
sé. La rappresentazione circolare raffigurava il pianeta Terra sor-
vegliato dall’Occhio della Provvidenza posto alla sommità della
piramide massonica.

All’interno del logo, la sigla DARPA e la dicitura latina Scien-


tia est Potentia (la scienza è potere). John Poindexter aveva scelto
l’affermazione del frate francescano, filosofo e matematico Rug-
gero Bacone quale motto dell’Ufficio per la conoscenza dell’in-
formazione, di cui era a capo.

65
Per ragioni logistiche, pochi mesi prima la sede dell'ufficio era
stata trasferita in Fishburne Street, vicino al grande raccordo tra la
Highway 17 e la 26.

Da qualche minuto, l’ammiraglio percorreva nervoso il lungo


corridoio adiacente al locale tecnico, soffermandosi di tanto in
tanto a consultare il Tissot da polso. Un tecnico incrociò il suo
sguardo e Poindexter colse l’occasione per sbottare: “Quanto tem-
po ancora?!?...”

Tirato suo malgrado in causa, il ricercatore faticò ad esporre il


quadro della situazione: “Gli elaboratori sono in linea, signore. Il
primo esame di fattibilità dell’Operazione Rilevamento potrà ini-
ziare non appena il Professor Zirtotkij installerà il nuovo soft-
ware...”

In passato, Poindexter era stato un pezzo grosso della marina


americana e consigliere per la sicurezza nazionale dell’allora Pre-
sidente Reagan. Finì al centro dei riflettori a seguito dell’affare
Irangate. La stampa venne a conoscenza della vendita segreta di
armi all’Iran da parte dell’ammiraglio, in combutta con il colon-
nello Oliver North, allo scopo di finanziare i Contras, la guerriglia
anti-sandinista in Nicaragua. Era il 1986. L’operazione era illega-
le, e Poindexter venne dapprima arrestato, poi costretto a dimet-
tersi per aver cospirato, mentito al Congresso e distrutto prove ri-
levanti per le indagini. Negli anni seguenti, entrò in aziende spe-
cializzate nella creazione e vendita di software di analisi. Nel
2002, infine, venne nuovamente assunto dal Pentagono e nomina-
to a capo dell’Information Awareness Office, una sezione dell’A-
genzia per i progetti di ricerca avanzata (DARPA), la stessa che
quarant’anni prima inventò internet.

Il nome originario del progetto era Total Information Aware-


ness, conoscenza totale dell’informazione. Venne poi ribattezzato
Terrorism Information Awareness, nel tentativo di indicare all’o-

66
pinione pubblica che sarebbe stato utilizzato esclusivamente nella
lotta al terrorismo. Consisteva in realtà nella progettazione di un
colossale programma di data mining in grado di catturare dati in
transito su pressoché qualsiasi mezzo digitale, e di un immenso
archivio hardware in grado di contenere gli elementi raccolti. Uf-
ficialmente il tutto era stato accantonato dal Dipartimento della
Difesa verso la fine degli anni novanta, a seguito delle forti criti-
che delle associazioni di difesa della privacy e di parte del Senato
a quello che veniva definito il nuovo Grande Fratello. L’intero
programma, invece, era continuato in sordina, con mezzi meno
trasparenti, sotto la supervisione della National Security Agency,
che aveva investito ingenti risorse finanziarie in quello che sareb-
be diventato lo strumento operativo più importante dell’intelligen-
ce americano. L’obiettivo unico era quello di intercettare l’intera
rete, mettendo le mani sulla miriade di informazioni in essa conte-
nute. Far convergere tutte le banche dati del pianeta in una sola
enorme biblioteca elettronica, capace di archiviare le telefonate, le
ricevute dei biglietti aerei, le transazioni con carte di credito, i
messaggi di posta elettronica, gli scontrini dei grandi magazzini e
quant’altro utile ad ampliare i report personali.

Nei network sociali, milioni di individui inseriscono dati e pro-


fili personali a beneficio di chi ne fa parte. Dai blog alle comunità
in rete, dalle chat di adolescenti alle videoconferenze dei profes-
sionisti, il web contiene una miniera di informazioni personali a
cui non sarebbe difficile per l’NSA associare altri dati di cui già
dispone, dal momento che controlla i sistemi di connettività e te-
lecomunicazione. Incrociando le banche dati in suo possesso con
quella, immensa, rappresentata da internet, si otterrebbe uno stru-
mento di consultazione potente, ricolmo dei profili dettagliati di
buona parte degli abitanti del globo. Di ogni persona si potrebbe
definire carattere, vizi e abitudini; spostamenti, attività e cono-
scenze.

67
Software e hardware in uso fino a quel momento, concepiti
cinque anni prima dalla Kabanov Engineering sotto la supervisio-
ne di Zirtotkij e riveduti a più riprese, ancora non avrebbero potu-
to gestire l’immane quantità di dati da elaborare. A detta del pro-
fessore, il team di ricerche aveva concluso la compilazione di un
programma ex novo, che avrebbe sopperito alle carenze del prece-
dente. Ma restava il problema dell’hardware. La nuova applicaz-
ione di Data Mining necessitava di una struttura informatica mol-
to, ma molto più avanzata.

Poindexter pareva non voler attendere un minuto in più.

“Ma dove diavolo è finito Zirtotkij?!...” Unì le mani per siste-


mare l’anello con il sigillo di primo della classe 1958 all’Accade-
mia navale di Annapolis.

68
13.

Charleston, Carolina del Sud,


Stati Uniti d'America

L’attività all’interno della tenuta dei Kabanov era in fermento.


L’illuminazione era stata portata al massimo. Al cancello, il servi-
zio di guardia era stato raddoppiato, mentre nel parco gli altri uo-
mini della sicurezza, sguinzagliati ai quattro angoli, passavano a
setaccio ogni cespuglio che potesse fungere da nascondiglio per
l’esile figura di Hui Ling Rotblat.

Nella sala da pranzo della villa, Ivan Kabanov seguiva le ope-


razioni, accostando nervosamente la trasmittente all’orecchio ogni
volta che gli ordini impartiti da Marakov facevano gracchiare l’al-
toparlante. I tecnici informatici e i ricercatori, seduti allo stesso
tavolo, osservavano con apprensione l’espressione cupa sul viso
del Presidente.

In cucina, cuochi e servitù stavano ultimando l’allestimento


delle portate della cena, posticipata alle venti e quindici a causa
della precedente visita dell’ammiraglio Poindexter.

Lo stretto anfratto tra la dispensa e i congelatori costituiva un


rifugio precario e non del tutto al riparo alla vista, se qualcuno si
fosse avvicinato alle celle frigorifere. Ma era quanto di meglio la
donna avesse potuto trovare in quegli attimi concitati. Aveva rat-

69
toppato con un paio di nodi lo strappo alla gonna e tamponato la
ferita alla coscia con dei tovaglioli arraffati da un carrello
portavivande. Il graffio all’orecchio non le provocava più dolore.
Ma Hui Ling non aveva potuto evitare che qualche goccia di san-
gue macchiasse il pavimento all’entrata, a testimonianza futura
del suo passaggio.

“Avanti coi primi!”

Il governante verificò la corretta disposizione delle vivande sul


carrello e corresse di un niente la collocazione di una foglia d’in-
salata. Un’inserviente si occupò finalmente di guidare la portata
in sala da pranzo, scansando un operaio intento a depositare casse
di bibite vicino al corridoio.

Sull’appendiabiti non lontano dai congelatori si trovavano al-


cuni grembiuli bianchi. Hui Ling si sporse dal nascondiglio per
valutare la posizione degli altri dipendenti. Al momento opportu-
no, si distese, allungando una mano, e agguantò un grembiule, ri-
traendosi subito dietro la dispensa.

I cuochi erano rivolti sulle padelle, di spalle rispetto alla di-


spensa, sotto il rigido esame del governante, al quale nulla sfuggi-
va. Una buffa cameriera dai tratti asiatici e un grembiule troppo
grande gli passò di lato a passo sostenuto e si affiancò all’operaio
che aveva terminato di scaricare l’ultima cassa, apprestandosi a
tornare al furgone. Immerso nelle improrogabili ispezioni, il go-
vernante non la degnò di uno sguardo.

“Niente, qua fuori… Dev’essere nell’edificio!” La voce del


Colonnello fece andare di traverso il boccone con cui Ivan
Kabanov cercava di alleviare la rabbia.

L’operaio squadrò dal basso all’alto Hui Ling e contraccambiò


il sorriso improvvisato della donna. I due si diressero verso la por-
ta di servizio. Il furgone era posteggiato col motore acceso a fian-

70
co dell’abitazione, davanti alle auto dei dipendenti. L’uomo siste-
mò qualche scatola vuota, chiuse il portellone posteriore e si acco-
modò alla guida.

La sicurezza all’interno della tenuta era notevole. Per questo


motivo, buona parte dei veicoli erano posteggiati con le chiavi in-
serite. La donna scelse una Toyota di piccola cilindrata e si acco-
dò al furgone che si stava allontanando sullo sterrato.

Un manipolo di uomini entrò nella villa dalla porta principale e


si disperse lungo i corridoi. Alcuni si diressero ai piani superiori.
Gli altri si divisero nei locali del piano terra. Dopo pochi istanti,
dal corridoio delle cucine, una guardia richiamò l’attenzione: ave-
va rinvenuto sul pavimento alcune gocce di sangue. Gli uomini
fecero irruzione nella cucina nell’attimo in cui la seconda portata
stava per essere servita. Uno di loro urtò il carrello, facendo per-
dere l’equilibrio al governante, che si ritrovò sbalordito a gambe
all’aria, con alcune cosce di pollo sulla pancia.

Niente neanche lì.

La porta di servizio era aperta. Il gruppo si precipitò all’esterno


e si dispose a frugare tra i veicoli.

Al cancello principale posto al perimetro esterno della tenuta,


il giovane guardiano ordinò all’operaio di aprire il portellone del
furgone e ispezionò con attenzione l’interno, a due passi dall’auto
che sostava in attesa alle sue spalle. Al termine, ordinò al collega
nella guardiola di premere il pulsante che azionava l’uscita e auto-
rizzò il passaggio. Il furgone ripartì e svoltò a sinistra.

L’agente si avvicinò quindi al veicolo che seguiva e puntò la


torcia all’interno. Prima che il cancello potesse richiudersi com-
pletamente, Hui Ling premette a fondo l’acceleratore, facendo
balzare di lato il funzionario. In quell’attimo, il display della tra-
smittente che l’uomo portava alla cinta s’illuminò. All’altoparlan-

71
te, una voce concitata ordinava di impedire qualsiasi transito. La
vettura urtò l’inferriata e girò a destra, perdendosi nelle luci della
città.

L’uomo, avvilito, si rialzò e accennò a risistemare la divisa


scrollandosi di dosso la polvere, sotto gli occhi sbalorditi del
compagno.

“Troppo tardi…” La voce sommessa del giovane lasciava tra-


sparire tutta l’ansia per le conseguenze della sua inesperienza.
Estrasse la radio e notificò con rassegnazione gli avvenimenti.

Nella villa, il rumore di uno schianto ruppe il silenzio che era


seguito alle ultime comunicazioni radio, facendo sobbalzare il
personale e gli invitati nella sala da pranzo. La ricetrasmittente di
Kabanov era andata in frantumi contro lo specchio appeso alla pa-
rete.

72
14.

Georgetown, Carolina del Sud,


Stati Uniti d'America
Sede centrale della Sun Operation Network

La fisionomia di Mahel tradiva le sue origini mediorientali a


motivo soprattutto della pelle olivastra e delle abbondanti soprac-
ciglia nere come la pece. Il suo inglese, per contro, era in perfetta
sintonia con le sfumature tonali tipiche degli stati americani più a
meridione.

L’uomo attese il gesto di consenso di Avon, quindi prese la pa-


rola.

“Educare significa ammaestrare. La stessa personalità di ogni


singolo individuo viene modellata attraverso l’educazione. Nel
1700, come sapete, si è conclusa la prima fase, quella della cono-
scenza occulta. Il mondo era sufficientemente avanzato da rende-
re ormai difficilmente perseguibile la strategia di mantenere le
masse nell’analfabetismo e nell’ignoranza.

Da tre secoli ormai, la fase del razionalismo controllato ci ha


permesso di predisporre l’umanità all’accettazione degli eventi fi-
nali. Per quanto i compiti del Collegio Educativo siano sempre
stati determinanti nella gestione della causa, gli stessi hanno as-
sunto un ruolo fondamentale in questa seconda fase, quando tutti i
Collegi, per raggiungere gli obiettivi intermedi di percorso, erano

73
vincolati a far sì che le decisioni politiche dei governi nazionali
fossero coerenti con i nostri scopi. Si trattava di istruirli.”

A dispetto del caldo asfissiante che persisteva in quei giorni,


Mahel sfoggiava un’impeccabile camicia blu scuro, a maniche
lunghe, cravatta e giacca nere. L’elevata temperatura, comunque,
non era un problema che s’imponeva nell’immediato, in quella
sala climatizzata.

“Non si può più evitare che la gente studi e s’informi? Lascia-


moglielo fare. Ma siamo noi a insegnare. Negli anni venti, il CFR
ha creato il primo filone di letteratura scolastica per la promozio-
ne dei benefici di un governo mondiale. Ovviamente, ogni retro-
spettiva era curata dal Collegio Storico. Era l’inizio del processo
che a breve abbatterà i muri delle sovranità nazionali.”

L’uomo si riferiva al Council on Foreign Relations, organizza-


zione non governativa di grande influenza sull’economia e la po-
litica dapprima americane, mondiali in seguito.

Il CFR è stato fondato ufficialmente a New York il 29 luglio


1921 da John W. Davis, che ne assunse le redini in qualità di pri-
mo Presidente. Nel 1932, Franklin D. Roosevelt fu eletto alla
Casa Bianca, grazie all’appoggio del CFR.

Solamente due settimane dopo l’attacco giapponese di Pearl


Harbor, che sancì l’entrata in guerra degli Stati Uniti, il Segretario
di Stato americano Cordell Hull, membro del CFR, consigliò al
Presidente Roosevelt la creazione di una Commissione sulla poli-
tica estera post bellica, come se conoscesse già l’esito futuro del
conflitto. Dieci dei quattordici membri della Commissione presi-
denziale erano membri del CFR.

La Commissione delineò i contenuti programmatici, struttura e


scopi di quelle che sarebbero diventate le Nazioni Unite. Finita la
guerra, Roosevelt propose il dossier alle 50 nazioni che partecipa-

74
rono alla conferenza di San Francisco nel 1945. Poco dopo,
l’ONU divenne una realtà.

Per assicurarsi che la nuova organizzazione avrebbe situato il


proprio Quartier Generale in America, il magnate John D. Rocke-
feller Jr, membro del CFR, donò il terreno su cui venne poi edifi-
cato il palazzo di vetro.

Cinque anni dopo, alla Commissione del Senato per gli affari
esteri, un altro membro del CFR, James Warbung, sentenziò:
“Che lo si voglia o no, noi avremo un governo mondiale. La sola
questione è di sapere se questo governo mondiale sarà stabilito
col consenso o con la forza.”

Mahel proseguì.

“Ci sono volute due guerre mondiali per concretizzare l’ONU.


E grazie a questo, dal 1946 diffondiamo la conoscenza in quasi
tutte le nazioni, attraverso l’UNESCO. Abbiamo aggiornato e am-
pliato la precedente letteratura del CFR, che da oltre quarant’anni
ormai viene diffusa sotto l’egida del nuovo organismo. In questo
modo, gettiamo i presupposti ideali per gli interventi degli altri
Collegi, in tempi sempre più brevi.”

UNESCO è la sigla della “United Nations Educational Scienti-


fic and Cultural Organisation”, la struttura dell’ONU per la diffu-
sione dell’educazione, della scienza e della cultura. E’ stata fon-
data a Londra nel novembre del 1945, quando si era da poco sot-
toscritto l’atto di fondazione delle stesse Nazioni Unite, allo sco-
po di promuovere un programma d’istruzione a livello mondiale,
che aiutasse l’accelerazione e la realizzazione del nuovo ordine.

Promotore e primo Direttore Generale dell’UNESCO fu Julian


Huxley, che in passato fu vice presidente della Società Eugeneti-
ca. Huxley affermò che “l’unificazione politica in una sorta di go-

75
verno mondiale sarà necessaria per la definitiva realizzazione del
prossimo passo dello sviluppo sociale”.

Il capo del Collegio Educativo fece una breve pausa. Sistemò


d’abitudine il nodo della cravatta, che non aveva bisogno d’essere
aggiustato, quindi si ricompose sulla poltrona.

“Una delle dottrine fondamentali dell’intera filosofia d’inse-


gnamento è stata la teoria sull’evoluzione della specie, di Darwin,
che il Comitato Scientifico è riuscito a rendere attrattiva, nono-
stante le innumerevoli contraddizioni. L’evoluzionismo è oggi di-
ventato il nucleo centrale di ogni sistema educativo, come ritenuto
a suo tempo indispensabile da uno dei promotori dell’ONU, per la
transizione delle masse dal credo spirituale a quello materialista.
Grazie al fatto che la filosofia dell’UNESCO è a sfondo evoluzio-
nista, tutto il resto viene da sé. L’unificazione delle tradizioni lo-
cali, l’abolizione delle diversità culturali e la perdita dei valori
morali sono il risultato, peraltro già ampiamente visibile nella so-
cietà occidentale. Dal momento che abbiamo insegnato che l’uo-
mo e ogni altra forma di vita sono il risultato di un processo infi-
nitamente lungo di evoluzione naturale e non di un atto sovranna-
turale, si è prodotta la forte erosione dei valori tradizionali, sfocia-
ta nell’amoralità. Avallato il nuovo pensiero della non esistenza di
Dio, che senso ha oggi la morale? Le regole del gioco possono es-
sere cambiate a piacere, senza più il timore di un castigo divino.
La chiamiamo “etica situazionale” e la insegniamo già nelle scuo-
le di oltre 120 nazioni, affiancata ai corsi di educazione sessuale,
coi quali abbiamo tolto l’autorità residua alle famiglie. L’etica si-
tuazionale provoca inevitabili conflitti nei bambini di cultura cri-
stiana. In questi casi usiamo dei farmaci come sussidio
didattico...”

Alzò gli occhi a cercare al lato opposto del tavolo quelli di Shi-
reen, capo del Collegio Religioso, la quale annuì, con espressione
di compiacimento.

76
“Tornando all’educazione sessuale, qui in America negli anni
abbiamo aggirato il problema dei pochi stati contrari con lo strata-
gemma della procrastinazione studiata. È bastato in sostanza ri-
proporre regolarmente la materia in parlamento, ma con la se-
quenza degli eventi invertita. Alla fine è parso che le infezioni do-
vute a rapporti sessuali siano dilagate perché l’educazione in ma-
teria era insufficiente, quando invece la loro diffusione fu proprio
conseguente all’educazione sessuale. In Europa il problema non si
è posto. In Asia neppure.

Siamo infine a buon punto con il processo d’innovazione so-


ciale su scala globale, volto a unificare le culture e le religioni sot-
to l’egida della filosofia teosofica. La riforma radicale delle istitu-
zioni scolastiche sta per essere completata nei paesi occidentali.
La stessa viene accolta positivamente da alcune nazioni islamiche.
Con le altre occorre tempo.

Il nuovo ordine mondiale potrà concretizzarsi solamente quan-


do nella mente e nella volontà degli uomini sarà già una realtà. E
questo è quanto le nostre istituzioni sono chiamate a promuovere
nell’immediato futuro.”

77
15.

Charleston, Carolina del Sud,


Stati Uniti d'America

Nell’apporre la firma in fondo al documento, Joshua Rotblat


pensò di non essere stato gran ché d’aiuto al tenente Albertson,
che si occupava dell’indagine. Aveva per lo più raccontato dei
suoi rapporti personali e professionali con Sanders, che erano otti-
mi, nonché degli eventi che avevano portato alla promozione del-
l’uomo. L’ufficiale gli aveva quindi chiesto se qualche impiegato
avesse mai manifestato propositi ostili nei confronti di Andrew e
se qualcuno avrebbe potuto trarre vantaggio dalla sua morte. Jo-
shua non riusciva a immaginare alcuno scenario di quel tipo. Al-
meno, non tra i dipendenti della CASIAS.

“La ringrazio per la collaborazione, signor Rotblat. La prego di


restare a disposizione nei prossimi giorni, qualora dovessimo an-
cora necessitare del suo aiuto.”

Joshua si alzò dalla sedia e strinse la mano dell’ufficiale, con


gesto di commiato. “Non ne dubiti, tenente.”

Si diresse verso l’uscita, poi esitò e si voltò.

“Mia madre è già arrivata?...”

78
“Non ancora. Era attesa per le otto.”

Il volto del giovane si fece preoccupato. Non rammentava una


sola occasione in cui mamma si fosse presentata in ritardo, seppur
minimo, a un appuntamento.

La porta dell’ufficio adiacente era socchiusa. Nel locale, due


agenti stavano conversando. Joshua vi passò accanto, diretto al-
l’uscita, ed ebbe modo di udire distratto parte del discorso.

“… La Traxler si occupa di manutenzione di condizionatori


d’aria. A quest’ora gli uffici sono chiusi, ma ho trovato un numero
di picchetto… Li contattiamo?”

“Non c’è fretta: se ne occupa Barney domani. Intanto, porta la


parrucca in laboratorio.”

Fuori dalla centrale, la guardia stava eseguendo il saluto milita-


re, sull’attenti davanti all’auto di un superiore che si era fermata
in attesa di qualche altro funzionario.

Joshua scese la rampa di scale che conduceva al posteggio ri-


servato ai visitatori e aprì la portiera della sua Chrysler. Si sistemò
alla guida, allacciò la cintura, mise in moto e partì. Accese il
lettore CD e le note armoniose del Concerto per due violini di
Bach gli restituirono un po’ di sollievo. Amava la musica di Bach.

Giunto in prossimità della CASIAS, abbassò il finestrino e si


fece riconoscere dal funzionario addetto alla sicurezza del perime-
tro esterno, il quale lo salutò e azionò il pulsante per l’apertura del
cancello. Nei posteggi si trovavano pochi veicoli. La maggior par-
te degli invitati aveva ormai fatto rientro a casa, nell’attesa di es-
sere convocata per la deposizione. Quella che doveva essere una
festa si era trasformata in una tragedia.

“Buonasera, signor Rotblat.”

79
La guardia percepì lo stato d’animo del giovane e cercò di di-
strarlo con argomenti banali.

“Ai piani alti fa sempre un caldo infernale… mi domando che


razza di manutenzione ha fatto il tizio dei condizionatori…”

L’espressione di Joshua mutò di colpo. “È stato qui oggi?...”

Il funzionario avvicinò il registro dei passaggi e riferì: “È arri-


vato verso le cinque e mezza e se n’è andato più o meno un’ora
dopo.”

“Grazie, Robert... Aprimi l’amministrazione, per favore.”

Segreteria e uffici amministrativi si trovavano al pianterreno,


non lontano dalla guardiola. A quell’ora, i locali erano deserti ma
gli addetti alla sicurezza disponevano delle chiavi per accedervi.

L’uomo eseguì l’ordine e restò sull’uscio, in attesa che il figlio


del Presidente terminasse ciò che intendeva fare. Joshua non ci
mise molto a identificare sul secondo ripiano il classificatore che
lo interessava. Manutenzione impianti. Lo aprì e lesse l’intestazio-
ne di una fattura.

Come temeva.

Sulla bolla era riportato il numero di picchetto da chiamare in


caso di urgenze. Lo compose, attese un breve istante, finché al-
l’altro capo, una voce femminile rispose: “Traxler Conditioners.
In cosa posso esserle utile?”

“Joshua Rotblat, della CASIAS…”, formulò il figlio del presi-


dente con tono informale, nel tentativo di contenere la propria in-
quietudine. “Signorina, per cortesia, avrei bisogno di contattare il
vostro impiegato che poche ore fa ha eseguito la manu-
tenzione…”

80
“Un attimo, prego…” Una musica di sottofondo indicò a Jo-
shua che l’impiegata stava procedendo alla ricerca.

Dopo pochi istanti, la donna riprese la conversazione. “Ci de-


v’essere un errore, signor Rotblat: l’intervento presso la vostra so-
cietà è previsto per domani…”

Il giovane chiese conferma e, ricevuti tutti i ragguagli, ringra-


ziò e chiuse la linea. Compose un altro numero.

“Polizia di Charleston…”

“Buonasera. Mi chiamo Joshua Rotblat. Sono stato presso i vo-


stri uffici pochi minuti fa, per una deposizione in relazione all’o-
micidio Sanders. Avrei urgenza di parlare con il tenente Alberts-
on…”

“Attenda in linea.”

Pochi istanti, e la voce all’altro capo era cambiata.

“Signor Rotblat! Non credevo di risentirla così presto… Le è


tornato in mente qualche particolare che potrebbe esserci
d’aiuto?”

Joshua prese fiato. “Chiedo scusa per il disturbo, tenente. Al


termine della deposizione, ho udito per caso alcuni suoi colleghi
in un altro ufficio che parlavano di una ditta, la Traxler Conditio-
ners…”

“Sì, abbiamo rinvenuto il tesserino di uno dei loro operai e una


tuta in un cassonetto dei rifiuti… pensa che la cosa possa avere
qualche relazione con il nostro caso? Al momento, non abbiamo
approfondito la questione, perché siamo tutti impegnati con le vo-
stre deposizioni…”

81
Joshua lo interruppe.

“È la società che si occupa della manutenzione dei nostri im-


pianti per l’aria condizionata. La nostra guardia all’entrata mi ha
detto che un loro dipendente è stato qui oggi, verso le cinque e
mezza. Ho contattato il numero di picchetto della Traxler. Hanno
controllato e lo escludono categoricamente. Dicono che l’inter-
vento è previsto per domani…”

La voce del funzionario di polizia cambiò tono.

“Interessante… Ma allora chi diavolo era la persona che è ve-


nuta da voi?...”

Seguì un attimo di silenzio. Entrambi stavano cercando di fare


il punto mentalmente.

“Tenente… gli agenti avevano accennato a una parrucca…”

“Già, anche quella nel cassonetto… Oltretutto, potrebbe non


essere un uomo, l’operaio misterioso, ma una donna…”

“Una donna?!..”, ripeté il giovane, incredulo.

“Proprio così… Sotto la tela della parrucca abbiamo rinvenuto


dei capelli biondi, lunghi e lisci. Indubbiamente femminili. Li ab-
biamo mandati alla scientifica per le analisi.”

“Non so più cosa pensare…”

“… Allora le propongo di riposarsi, signor Rotblat. È stata una


serata difficile, la sua. Ci è stato di grande aiuto e le prometto che
la terrò informato sugli sviluppi.”

“Grazie, tenente.”

82
Joshua stava per riagganciare, poi aggiunse: “Mia madre è arri-
vata?...”

“Non ancora…”, concluse il poliziotto. E chiuse la linea.

83
16.

Crotone,
Magna Grecia
Anno 530 a. C.

Crotone oggi è parte della regione italiana Calabria. Nel sesto


secolo avanti Cristo, come il resto dell’Italia meridionale, la città
era territorio delle province settentrionali della Magna Grecia, che
comprendeva colonie sparse per tutto il Mediterraneo orientale.
Nei dintorni di Crotone, c’erano grotte con oracoli simili a quello
di Delfi, che la gente dell’epoca riteneva in grado di predire futu-
ro e sorte di popoli e nazioni.

Una sera d’autunno del 530 avanti Cristo, sul retro della pro-
pria abitazione, nell’angusto vano buio che fungeva da riparo per
il bestiame, Ippaso di Metaponto conversava in segreto con Euri-
to, suo unico amico e servitore.

Crotone si era ripresa da pochi anni dalla sconfitta militare


contro Locri. L’arrivo di Pitagora aveva favorito un cambiamento
nel modo di intendere la cultura, la politica e le attività quotidiane
della popolazione, incrementando gli studi matematici, astronomi-
ci e nel campo della medicina naturale. Pitagora era giunto in città
dopo aver lasciato l’isola di Samo, sua terra natale. Il filosofo era
reduce di svariati viaggi durante i quali aveva visto con i propri
occhi la maggior parte delle sette meraviglie del mondo antico: il

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tempio di Era, che sorgeva proprio nella sua città natale; il colos-
so di Rodi, a sud di Samo; il tempio di Diana a Efeso; le piramidi
e la sfinge in Egitto e, infine, i giardini pensili a Babilonia.

Durante i suoi viaggi, inoltre, Pitagora aveva potuto conoscere


le idee filosofiche e religiose dell’Oriente. Quella che fondò a
Crotone era una setta che proponeva parte di queste idee, una so-
cietà di adoratori del numero, tenuti per giuramento al totale se-
greto.

“Non posso tacere, Eurito!”

“Mio signore, lei meglio d’altri conosce le regole della scuola.


Non le viene concesso di esternare le scoperte degli esoterici…”

Gli allievi di Pitagora venivano chiamati esoterici, dal greco


Esotericos, che significa interno, segreto. La scuola era aperta a
tutti, donne e stranieri compresi. Ma entrarvi non era cosa sempli-
ce. Gli adepti venivano inizialmente sottoposti a culti di purifica-
zione. Erano imposti due anni di silenzio, come esercizio di auto-
controllo. In seguito, veniva loro trasmessa una sorta di catechi-
smo che insegnava i princìpi da applicare nella vita quotidiana.
Ogni membro della setta doveva rispettare gli dei e sottoporsi a un
quotidiano esame di coscienza. A questo punto, l’allievo veniva
ammesso in qualità di uditore, qualifica che gli permetteva di
ascoltare le lezioni del maestro esclusivamente dall’esterno della
tenda, senza poterlo vedere e senza poter intervenire nelle conver-
sazioni. Il periodo di apprendistato durava altri cinque anni. Nel
caso in cui il giudizio emesso risultava positivo, il discepolo era
tenuto ad affidare tutti i suoi beni alla comunità e a giurare di
mantenere segreto tutto ciò che avrebbe appreso. Dopo il giura-
mento, gli veniva conferita la nomina di esoterico. Iniziava così il
periodo di insegnamento vero e proprio, somministrato per gradi.
L’apprendimento era costantemente verificato attraverso impe-
gnativi esami, superati i quali, si aveva il diritto di accedere al li-

85
vello superiore. Metro di misura era la conoscenza sempre mag-
giore della matematica e della geometria dell’allievo. Lo studio
della religione era organizzato secondo schemi connessi con la
mistica del numero come principio delle cose, la meditazione sul
simbolismo e la fede nella metempsicosi, la reincarnazione dell’a-
nima. Il tutto, per condurre l’esoterico alla fusione e
riunificazione con la divinità. L’intera procedura iniziatica di affi-
liazione alla scuola denotava una forte connotazione mistico-reli-
giosa a carattere settario. La figura del Maestro era ritenuta quasi
divina.

“Il mondo ha il diritto di conoscere la verità. Non c’è armonia


cosmica. Non tutti i rapporti tra misure si risolvono in modo ar-
monico con interi e frazioni di interi. Pitagora ci ha mentito!”

Ippaso di Metaponto uscì dal nascondiglio e si diresse verso il


molo, seguito a distanza dall’amico che aveva rinunciato a per-
suaderlo. Concordò l’importo da pagare per essere imbarcato di
nascosto su un piccolo mercantile diretto al vicino tempio di Hera
Lacinia. Sapeva che non avrebbe mai raggiunto la sua destinazio-
ne via terra. Si accovacciò dietro un carico di vasi e attese l’ora
della partenza.

Eurito aveva visto e sentito abbastanza.

Tornò sui suoi passi e si diresse verso l’accampamento dei Pi-


tagorici. La guardia all’entrata s’interpose, rivolgendogli la do-
manda di rito: “Perché il numero ti ha condotto dal Maestro?”

L’uomo rispose pacato: “Perché il numero governa l’universo e


l’universo viene da Dio.”

Il soldato aprì il cancello.

Il discepolo venne condotto al cospetto di Pitagora al quale ri-


ferì le intenzioni di Ippaso di Metaponto. Il Maestro radunò i suoi

86
quattro uomini di maggiore esperienza, impartì loro degli ordini
succinti e li inviò sulle tracce di Ippaso. Convocò quindi gli
anziani e li informò che il discepolo veniva radiato dall’ordine.

A Hera Lacinia, Ippaso incontrò alcuni matematici conosciuti


con l’appellativo di acusmatici, in quanto ribelli ai dogmi di Pita-
gora; gli stessi che qualche tempo dopo avrebbero cacciato il
maestro e i suoi discepoli da Crotone. A loro rivelò e dimostrò
l’esistenza delle grandezze incommensurabili. I numeri irrazionali
non solo confutavano le convinzioni filosofiche dei pitagorici, che
accostavano numero e realtà, ma ponevano in discussione l’intero
concetto di infinito della filosofia greca.

Sulla via del ritorno, la nave era colma all’inverosimile di mer-


ci, persone e animali. Il tempo, per di più, volgeva al brutto.

Ippaso cercò una sistemazione a poppa, tra anfore e bestiame.


Il vento e le onde facevano oscillare pericolosamente lo scafo.
L’uomo si voltò di lato, distratto da un cassone che si era rove-
sciato. Nella confusione, qualcuno si avventò da tergo su di lui, lo
imbavagliò per impedirgli di urlare e gli legò le mani. Al momen-
to opportuno, quando l’imbarcazione si trovava all’apice dell’on-
da, lo gettò in mare. Quando il bastimento scivolò nel basso della
risacca, nessuno si accorse di ciò che era successo.

Pitagora stava esponendo ai discepoli dell’ultimo livello il con-


cetto dell’obbligo al silenzio quale mezzo per portare la persona a
un nuovo livello di conoscenza, secondo le medesime tecniche di
convinzione indotta che oggi definiremmo plagio.

Gli esecutori rientrarono all’accampamento e attesero che la le-


zione si concludesse. Il maestro uscì infine dalla tenda e rivolse
l’attenzione ai quattro uomini che sostavano sull’uscio in semicer-
chio. Il capogruppo fece un passo avanti e con il tono della voce
composto informò Pitagora circa l’esito dell’operazione: “L’enun-
ciato era chiaro. Il problema è risolto.”

87
Una lapide, eretta sulla pubblica via poco distante dal campo,
informava i passanti delle sorti di colui che, avendo rifiutato la
verità, era stato punito dagli dei del mare, flagellato per l’eternità
dalle onde.

A causa del rifiuto di accettare le conseguenze della scoperta


dei numeri irrazionali imposto dalla corrente pitagorica, i Greci
persero l’occasione di intuire una nozione che è divenuta uno dei
simboli del novecento: il teorema di Gödel, che determina la so-
stanziale incompletezza di ogni sistema assiomatico per l’aritme-
tica. Alla stessa stregua, l’umanità rimandò di 2500 anni le cono-
scenze che già a quel tempo erano alla sua portata.

88
17.

Charleston, Carolina del Sud,


Stati Uniti d'America

MUSC è la sigla della Medical University of South Carolina. A


Charleston ha sede la Facoltà di Medicina dello Stato. Il MUSC
Institute of Psychiatry si trova sulla President Street, al numero
67. Il complesso è formato da due stabili paralleli, uniti al centro
da un ampio corridoio. Visto dall’altro, assume la forma di una
immensa H, quasi a indicare che nelle vicinanze si trovano il
Children’s Hospital e il più imponente University Hospital.

Nonostante l’ora tarda, Aleksej Zirtotkij si trovava ancora al-


l’interno della biblioteca principale, al sesto piano dell’edificio
est.

Il Professore era un uomo sulla settantina. Era uno dei maggio-


ri esponenti della ricerca sulle possibili patologie conseguenti alla
futura integrazione dell’intelligenza artificiale nella società uma-
na. Nonostante l'età, era pure un innovativo informatico program-
matore. I suoi studi erano iniziati da giovanissimo parecchi decen-
ni prima, quando il pensiero delle macchine era circoscritto in val-
vole termoelettriche di vetro, in cui la corrente elettrica fluiva e si
condensava in un gas. Aveva approfondito l'approccio uomo-mac-
china di Alan Turing, i suoi esperimenti sulla possibilità di coesi-
stenza di entrambe le componenti in una società futura, nonché gli

89
aspetti etico-morali di una tale rivoluzione. In circa mezzo secolo
d’attività, aveva pubblicato più di mille studi, molti dei quali
erano divenuti col tempo testi scolastici di riferimento.

Da qualche mese, gli sforzi di Zirtotkij erano concentrate su ri-


cerche estranee alla sua attività di insegnante presso l’Istituto, che
aveva ridotto al minimo. Sulla scrivania, la Prima Edizione del
Lessico Della Libera Muratoria, un antico volume ad opera di Al-
bert Gallatin Mackey, Segretario della Gran Loggia della Carolina
del Sud, era aperto alla pagina della prefazione. Il testo iniziava
con un Inno Orifico:

“Rivelerò a coloro ai quali è permesso ma chiuderò la porta


ai non iniziati.”

Con l’evidenziatore, il professore aveva sottolineato due brevi


passaggi, qualche riga più avanti:

“Il fratello intelligente si aspetterà da colui che siede nel luo-


go della saggezza non soltanto abilità nella spiegazione delle ce-
rimonie che contraddistinguono la nostra istituzione, ma anche la
capacità di riportarle alla loro sorgente originaria, assieme ad
una conoscenza della storia e delle antichità del nostro ordine.

(…) Quest’opera, sebbene abbia richiesto anni, è ancora im-


perfetta, eppure anche con i suoi limiti io la presento ai fratelli,
perché so di non chiedere più di quello che potrò ricevere implo-
rando, a causa dei miei errori, la loro fraterna indulgenza.

A. G. Mackey

Charleston, Carolina del Sud, 12 marzo 1845”

90
La sala lettura della biblioteca principale era illuminata da un
enorme lampadario vittoriano.

Zirtotkij sfogliò ancora qualche pagina del volume, poi lo chiu-


se con delicatezza e lo depose a lato. Si abbassò leggermente, a
raggiungere i cassetti inferiori della scrivania. Ne aprì uno in cui
si trovavano raccolti degli articoli di giornale, molti dei quali in-
gialliti a causa degli innumerevoli anni trascorsi dalla loro pubbli-
cazione. Quello che estrasse portava la data del 20 giugno 1881. Il
professore ne rilesse il succinto contenuto che ben conosceva.

Il Dottor Mackey ci ha lasciati

Il noto medico e cittadino di Charleston Albert Gallatin Mac-


key è spirato alle ore nove di ieri mattina dopo breve malattia
correlata alla sua tarda età. Il dottore aveva compiuto tre mesi
prima il suo settantaquattresimo compleanno e da qualche giorno
era confinato nella sua camera d’Hotel a Fortress Monroe, in
Virginia, a causa di un’insufficienza respiratoria che lo ha porta-
to alla morte.

I funerali sono previsti per il 26 giugno a Washington, alla


presenza di alte cariche dello stato, della moglie e dei suoi tre fi-
gli.

I cittadini di Charleston ricorderanno con orgoglio e fierezza


le gesta di un concittadino esemplare che tanto ha fatto per la no-
stra comunità.

Il professore ben sapeva che il Maestro della Gran Loggia della


Carolina del Sud non era morto di vecchiaia: si era spinto troppo
oltre nella divulgazione di un concetto che avrebbe dovuto restare
dominio di pochi: circoscrivere la scienza entro confini accessibili
alla mente umana, per gestirne anche l'ignota potenza.

91
Zirtotkij appoggiò con espressione di rassegnazione l’articolo
sulla scrivania e si tolse gli occhiali, accostandoli al foglietto. Si
passò quindi entrambe le mani sul viso e si distese sulla poltrona,
chiudendo gli occhi.

92
18.

Charleston, Carolina del Sud,


Stati Uniti d'America

L’appartamento privato della famiglia Rotblat, al primo piano


della società, era semplice ma accogliente: due camere da letto,
sala da pranzo, biblioteca, servizi e uno stanzino che la madre
usava per stirare.

Joshua si guardò intorno.

In biblioteca, il monitor del personal computer dei genitori era


acceso. Sullo schermo, una finestra aperta alla sezione della banca
dati dell’ufficio motorizzazione indicava l’ultima ricerca di Hui
Ling.

“Mamma ha cercato l’intestatario di un numero di targa…”,


pensò il giovane. E lo aveva trovato. Un riquadro in basso indica-
va l’esito: Kabanov Engineering, Charleston, SC. Si trattava ora
di capire dove la madre avesse reperito quel numero e perché fos-
se tanto importante, visto che la donna, dopo averlo trovato, se
n’era andata senza preoccuparsi di spegnere il computer.

Joshua premette un pulsante del citofono e avvicinò la cornet-


ta.

93
“Sicurezza.”

“Robert, per favore, dimmi quando hai visto per l’ultima volta
mia madre.”

All’altro capo, la guardia rispose con chiarezza. “Circa un’ora


fa, poco prima delle sette e mezza. Mi ha chiesto di poter visiona-
re le ultime registrazioni della camera di sorveglianza dei posteg-
gi. Poi è salita in casa. Cinque minuti dopo è uscita. Doveva avere
una gran fretta…”

“Ho bisogno di guardare le stesse registrazioni. Ti raggiungo.”

La postazione interna della sicurezza consisteva in un angusto


locale colmo di apparecchiature e tastiere numeriche. In due, ci si
stava stretti.

L’addetto impostò il video digitale alle 18.15 e premette il pul-


sante di avanzamento normale. Sul monitor, le immagini comin-
ciarono ad animarsi. I posteggi erano già abbondantemente occu-
pati dalle auto degli invitati. Un inserviente stava sostituendo i
sacchetti all’interno dei cestini per i rifiuti.

“Puoi farlo girare più velocemente, Robert?”

L’uomo premette il tasto per l’avanzamento accelerato. Le sce-


ne assunsero i contorni dei buffi filmati degli anni quaranta. Alcu-
ni ritardatari guadagnavano l’entrata con passo spedito. A causa
della riproduzione veloce, pareva di assistere alle comiche in TV.
Un operaio raggiunse il suo fuoristrada, gettò senza troppi riguar-
di le borse all’interno e partì. Una signorina inciampò sul secondo
scalino e venne prontamente sostenuta dal compagno…

“Ferma!” imprecò Joshua, facendo sobbalzare la guardia.


“Torna indietro di qualche secondo… ecco, a questo punto…”

94
La riproduzione era bloccata sull’immagine del fuoristrada con
la portiera aperta. Era un Humer nero fiammante, ultimo modello.
Doveva avere pochi giorni di vita. L’operaio aveva una gamba al-
zata, nell’atto di introdursi nell’abitacolo. Aveva un portamento
goffo e innaturale. Pareva impacciato e nervoso.

“Gran bella macchina… Li trattano bene, i dipendenti, alla


Traxler!”, sbottò il giovane, sicuro di aver trovato ciò che stava
cercando. “Riesci a mettere a fuoco il numero di targa?”

L’addetto alla sicurezza evidenziò una zona dello schermo,


eseguì un paio di veloci operazioni e il numero di targa del veico-
lo risultò perfettamente leggibile.

“Bingo!”, esclamò Joshua con soddisfazione, dando nel con-


tempo una pacca sulla spalla del dipendente, che ancora non ave-
va capito cosa stava succedendo. Uscì dalla guardiola e tornò nel-
l’appartamento al primo piano. Mamma aveva già trovato la pista
giusta.

In biblioteca, accanto al computer, c’erano alcuni fascicoli e


appunti della madre. Li raccolse e si soffermò a guardare la foto
di lei in abito da sposa, appesa alla parete. Pareva un angelo. Era
la donna più affascinante e sensibile del mondo, un connubio per-
fetto di corpo e anima; la mamma che tutti avrebbero desiderato.

Con i documenti in mano, si diresse verso lo stanzino in cui la


madre passava i pomeriggi a stirare.

Scansò un cesto di panni e spostò qualche lenzuolo, per crearsi


un po’ di spazio sul pavimento.

Sedette a gambe incrociate, riprese fiato e cercò di rinfrescare


le idee. Dov’era andata la mamma? Dai Kabanov? Un brivido gli
percorse la schiena.

95
19.

Charleston, Carolina del Sud,


Stati Uniti d'America

Ivan Kabanov aveva richiamato nel suo studio alcuni scagnoz-


zi e stava dettando le ultime disposizioni prima di lasciare l'abita-
zione.

“La signora Rotblat va trovata ed eliminata prima che possa


raccontare quello che ha scoperto. Il Sergente Hubbard è di pic-
chetto stanotte?”

Gli rispose quello che pareva avere maggiore autorità sul grup-
po. “Si, Signore. Fino alle 6 di domattina.”

“Bene. Se la donna dovesse raggiungere la centrale di polizia,


non deve poter agire oltre. Gli altri sono già in posizione con il
furgone?”

“Certo, Signore.”

“La nostra auto?”

“Pronta, Signore.”

“Io vado. Useremo il satellitare per aggiornarci sugli sviluppi.”

96
La limousine sostava nel piazzale con le portiere posteriori
aperte. Ivan Kabanov vi si accomodò e impartì la destinazione al-
l'autista: “Portami da mio figlio.”

La vettura percorse un breve tragitto verso est, imboccò una la-


terale della Vanderhorst Street e rallentò al cancello, dando tempo
alla guardia di riconoscere gli occupanti, quindi avanzò poco oltre
e si arrestò nel piazzale.

97
98
PARTE TERZA

“C’è più tra zero e uno che non tra uno e cento.”

20.

Charleston, Carolina del Sud,


Stati Uniti d'America

Seduta al tavolo di un bar, Hui Ling reggeva con una mano una
tazza di caffè, mentre con l'altra muoveva il mouse del suo com-
puter portatile, connesso alla rete. “Scacco!”.

Lo aveva trovato. Ivan Kabanov si trovava due isolati a nord.

La villa ottocentesca di Victor, unico figlio di Ivan Kabanov, si


trovava ad un solo isolato ad ovest da quella del padre. Disponeva
di tutte le comodità immaginabili, ed era dotata di ogni diavoleria
tecnologica.

99
Anche l'arredamento era quanto di meglio si potesse ambire.
Tutti i mobili erano stati lavorati a mano con materiali di prima
qualità. Sopra una mensola, una copia in scala ridotta dei Bronzi
di Riace era affiancata da un bronzo di Michelangelo, autentico.
Alle pareti, gli affreschi illustravano scene di guerra di altri tempi.
Qua e là, busti di grandi condottieri riempivano gli spazi vuoti.

Pareva ci si trovasse alla corte di qualche monarca medievale.


Il personale, per contro, era ridotto all'essenziale. Victor amava la
solitudine. Serviva a rafforzare il suo ego.

Era un trentenne che non aveva mai avuto bisogno di chiedere


nulla alla vita. Possedeva già tutto. Scaltro come il padre, la sua
unica ambizione era il potere. Rispettava solo il forte carisma pa-
terno, che cercava di assimilare, per diventare come lui. A parte il
padre, per Victor gli altri erano solo pedine da usare quando utili e
scartare quando non servivano più.

Nel salone, Victor pose due bicchieri di vodka e il contenitore


dei cubetti di ghiaccio sul tavolo in ebano.

La linea satellitare riservata di Victor veniva spesso utilizzata


dal padre quando si trovava da lui. Ivan poteva comunicare con i
suoi scagnozzi in ogni parte del globo.

In quel momento, alla stessa linea aveva accesso anche qual-


cun altro, a pochi isolati di distanza. Grazie alla sua esperienza e
competenza nella materia, Hui Ling era riuscita ad aggirarne i
protocolli di sicurezza.

Padre e figlio si trattennero qualche istante all'interno, quindi si


recarono in giardino.

Ai lati inferiori della breve ma larga scalinata che collegava il


salone principale con il giardino erano posti due leoni in gesso, a
grandezza naturale, se non leggermente accentuata, che si regge-

100
vano sulle zampe posteriori, mentre con quelle anteriori aggrediv-
ano l'aria, mostrando gli artigli.

Il terreno utile si estendeva a nord, sud e ad est, mentre sul lato


ovest lo spazio era più ridotto. L'entrata principale ed il piazzale
delle auto si trovava a sud. Un alto muro di cinta delimitava il pe-
rimetro della proprietà e impediva la vista dall'esterno.

101
21.

Roma
Capitale dell'Impero Romano
15 marzo 44 a. C.

Il Campo Marzio era in fermento, quella mattina. L’appello


delle tribù organizzato in occasione delle votazioni aveva fatto af-
fluire in città una moltitudine di persone, che si erano riunite in
piazza e nelle vie di accesso, in attesa di poter manifestare al Se-
nato la proprie posizioni.

Marco Bruto e Caio Cassio si erano appartati dietro le colonne


antistanti la Basilica Giulia e concordavano le ultime disposizioni.

«Dobbiamo abbandonare l’idea di attivare l’operazione in


Campo Marzio; la folla che si è riunita è superiore a ogni aspetta-
tiva. Gli uomini non riuscirebbero ad agire indisturbati. È troppo
rischioso!...»

«In questo caso, se vogliamo mantenere l’idea di conferire al-


l’intera operazione una scenografia plateale, che resti nelle memo-
rie future, non ci rimane che sorprenderlo durante il transito in
Via Sacra oppure all’ingresso del teatro. Le vie di fuga per i nostri
uomini sono in entrambi i casi soddisfacenti.»

Caio Cassio pareva insoddisfatto delle proposte.

102
«I gladiatori sono già al loro posto?»

«Mantengono la posizione nella zona del teatro, dalle prime


luci dell’alba. E resteranno in attesa del segnale. Abbiamo in tutto
una sessantina di uomini armati e qualche cesariano.»

«Facciamolo al Senato.»

«Al Senato?...» Marco Bruto non credeva alle proprie orecchie.

«Pensaci un attimo, Marco. Le postazioni dei soldati non devo-


no essere cambiate: il teatro è a due passi dalla Curia dove si riu-
niranno i Senatori; l’assemblea verrà convocata anche se fuori la
folla accalca. Nella confusione, non sarà difficile per i nostri in-
trodurre le armi nascondendole nelle casse dei documenti. E il ri-
sultato sarà ancor più eclatante...»

I due erano intenti a valutare i particolari, quando Marco Anto-


nio li raggiunse con il messaggio che l’Imperatore aveva deciso di
annullare la seduta.

La notizia li sconvolse. Marco Bruto, preoccupato, propose di


fermare il piano e rinviare l’operazione nei mesi seguenti. Stava
prospettando date future, quando Caio Cassio lo interruppe con
fermezza.

«Non possiamo rimandare! L’azione si condurrà oggi. Oltre


alle necessità di cui sei informato, ci sono esigenze superiori che
non conosci e non ti competono. Chiama subito Decimo Bruto!»

Marco Bruto si allontanò perplesso, per ritornare di lì a poco


con il console cesariano Decimo Bruto, già designato per l’anno
seguente, a cui Caio Cassio esternò senza preamboli e con autori-
taria determinazione le disposizioni.

103
«Dimostrami che sei all’altezza del ruolo politico che sarai
chiamato ad esercitare. Persuadi l’Imperatore a presenziare alla
riunione in Senato!»

Caio Giulio Cesare non si sentiva bene. Il malessere che gli in-
deboliva il fisico e la mente era con ogni probabilità dovuto alla
sua sensibilità politica fuori del comune che lo rendeva particolar-
mente recettivo. In passato aveva più volte avvertito qualcosa di
strano nell’aria. Quelle sensazioni gli avevano permesso di non
farsi cogliere impreparato di fronte alle varie congiure di palazzo
che si erano puntualmente verificate.

In questi giorni, i segnali erano ancora più inquietanti. La sera


prima, senza alcun motivo apparente, le finestre e le porte della
propria abitazione si erano aperte e chiuse a ripetizione. La notte,
la moglie Calpurnia ebbe alcune visioni nefaste. Lui stesso aveva
dormito male, irrequieto. Seguendo i consigli della moglie, con-
sultò gli astrologi i quali confermarono per intero i segni nefasti.
Tutto ciò lo aveva convinto a inviare Marco Antonio in Senato per
annullare la riunione.

Decimo Bruto si presentò al cospetto di Cesare, pregandolo di


non rinunciare alla seduta.

«Mio Imperatore, tutti i Senatori sono già presenti! All’esterno,


la folla preme perché l’autorità politica eserciti il proprio manda-
to. Hanno diverse pretese che vogliono rivendicare al vostro
cospetto. Un annullamento ora sarebbe certamente interpretato
come un’azione offensiva pianificata sia nei confronti dei
magistrati che del popolo!»

Da buon oratore qual’era, il console seppe portare argomenta-


zioni molto convincenti. Decimo Bruto, oltretutto, era particolar-
mente caro a Cesare, che lo aveva addirittura inserito nel proprio
testamento come secondo erede. L’Imperatore si fidava di lui
come di pochi altri.

104
Fu così che l’uomo che aveva conquistato buona parte del
mondo conosciuto di allora e che aveva elevato Roma a caput
mundi, decise di non sottrarsi alle proprie responsabilità. Erano le
undici del mattino quando, soffocando le proprie sensazioni, scese
in strada e s’incamminò in direzione della Curia Pompea, dove si
erano riuniti i Senatori.

Poco distante, Caio Cassio aveva appena terminato di impartire


le nuove disposizioni.

Sulla porta della Curia, l’imperatore venne avvicinato da un


greco di sua conoscenza, che gli porse un documento con molta
circospezione, pregandolo di leggerlo con la massima urgenza.
Ma il ritardo era già notevole: pressato dalla folla, Cesare mise in
tasca il messaggio, effettuò le pratiche religiose, quindi entrò in
sala.

All’esterno, Trebonio con un pretesto trattenne il console Mar-


co Antonio, facendogli ritardare l’ingresso. Ad altri suoi alleati
venne impedita con la forza l’entrata: Cesare era praticamente
solo.

Quando i convenuti si avvicinarono per rendergli onore, Cim-


bro Tillio prese la parola allo scopo apparente di esternare una sua
interpellanza. Cesare, che sentiva accrescere la sensazione di disa-
gio, lo invitò a interrompere il discorso, con l’intenzione di rinvia-
re il dibattito. Si era accorto dell’assenza di alcuni senatori. Anche
la guardia del corpo non si trovava al suo fianco. Fu a quel mo-
mento che Cimbro Tillio lo afferrò per la toga.

Era il segnale.

Un magistrato colpì l’imperatore al collo. Cesare reagì, ma


venne ulteriormente percosso con violenza da altri uomini. Cadde
a terra.

105
Nell’ultimo istante di lucidità riuscì a distinguere l’amico Mar-
co Bruto, che si stava avvicinando a lui, ma non per aiutarlo: era
armato come gli altri. Capì di non avere più scampo. Coprendosi
il viso con la toga, pronunciò la sua ultima frase, all’indirizzo del
compagno che lo aveva tradito:

«Anche tu, Bruto, figlio mio...»

Chiuse gli occhi e lasciò che il destino si compisse. Venne tra-


fitto da ventitré coltellate. Nella tasca, il biglietto con cui un ami-
co greco aveva tentato invano di informarlo della congiura restò
lettera morta.

106
22.

Charleston, Carolina del Sud,


Stati Uniti d'America

Samuel Rotblat uscì dal dipartimento di polizia al termine della


deposizione. Davanti al portone della centrale, si accomiatò con
una stretta di mano dal tenente Albertson, che lo aveva accompa-
gnato. Si diresse a piedi verso un caffè all’angolo. Entrò e si acco-
modò a un tavolino discosto. All’altro lato, due uomini apparte-
nenti di sicuro alle opposte fazioni, non riuscivano a convenire un
pronostico comune circa la finale di Super Bowl prevista per il
giorno seguente. Senza riprendere fiato, sovrapponevano di conti-
nuo elogi verso i rispettivi beniamini a critiche nei confronti degli
avversari, gesticolando in ogni direzione. Rotblat attirò l’attenzio-
ne della cameriera con un cenno della mano e ordinò un doppio
whisky. Sua moglie non si era presentata. Al cellulare non rispon-
deva e non aveva lasciato messaggi in ricezione. Non era da lei. Il
Presidente era preoccupato e confuso.

L’anno prima, Andrew gli aveva regalato Omega. Ora era mor-
to. Nei due giorni trascorsi con lui nel laboratorio ricerche della
CASIAS a seguito della scoperta, aveva potuto apprezzarne a fon-
do le qualità umane. Il whisky lo aiutò a rammentare quei mo-
menti.

107
Omega è stato segnalato da Greg Chaitin, matematico di spicco
presso il Watson Research Center IBM di New York, nel suo libro
Meta Math! The Quest for Omega. Le sue ricerche si basano sul
lavoro di un altro matematico, Kurt Gödel, austriaco, e dell’in-
glese Alan Turing.

I locali di ricerca informatica della CASIAS si trovavano in


quel periodo al secondo piano. La porta del laboratorio di Sanders
era socchiusa. Samuel Rotblat, che si era precipitato nel cuore
della notte a seguito della breve telefonata ricevuta, la spalancò
senza tanti preamboli, precipitandosi all’interno. Evitò di un sof-
fio una strana apparecchiatura posta su un carrello scorrevole. Se
Andrew aveva davvero risolto Omega, aveva inaugurato un nuovo
capitolo nella ricerca scientifica, una vera rivoluzione tecnologica
e sociale.

Sulla lavagna del laboratorio capeggiava la scritta

=w0N1x
“Quello… è Omega?” chiese Rotblat non ancora del tutto ri-
preso dal brusco risveglio.

“Esattamente.”

Sanders esprimeva la propria soddisfazione a braccia conserte.


Rotblat manifestava un misto di interesse e incertezza.

“Ma non è un numero!...”

“Le chiedo scusa, signore, ma non è esatto. Può non sembrare


un numero, ma lo è. Non lo sembra a noi, che ragioniamo in base
ai riferimenti della matematica che utilizziamo. Ma sarà perfetta-
mente comprensibile alla macchina, che opererà con la nuova ma-
trice MEDAT64.”

108
“Intende dire che ancora non conosciamo i valori di Omega?”

“L’esatto contrario. Li conosciamo, anche se non possiamo an-


cora comprenderli. Ma il bello è che non c’interessa comprender-
li, basta che li comprenda lei…” Indicò con lo sguardo una strana
piastra madre su cui si elevava una fitta rete di connessioni a
gruppi di tre.

“D’accordo, Andrew. Poi mi illuminerà su quell’affare. Ma re-


stiamo al numero. Se io, comune mortale, le chiedessi di appagare
la mia curiosità matematica nella classica concezione del termine,
sarebbe così gentile da indicarmi dove si nasconde questo bene-
detto numero?”

“Da qualche parte tra zero e uno. Si tratta degli estremi tra i
quali vive Omega. Inquadrati questi, tutto ciò che accade nel loro
ambito è quantificabile. Per la verità, già Greg Chaitin e, prima di
lui, Kurt Gödel avevano situato Omega tra zero e uno. Gödel indi-
cò negli anni trenta che in matematica esistono teoremi veri ma
indimostrabili. Alan Turing ne derivò il problema dell’arresto:
esistono problemi che non possiamo sapere se siano calcolabili in
un tempo finito. Ma torniamo a Chaitin. Il matematico poté dimo-
strare che il nostro bel numerino risulta casuale e incomprimibile.
Possiamo soltanto avvicinarci ad esso, senza mai raggiungerlo. Se
per miracolo avessimo a disposizione un numero sufficiente di
decimali di Omega, potremmo risolvere definitivamente enigmi
matematici come l’ipotesi di Riemann sulla distribuzione dei nu-
meri primi. Applicazioni come la crittografia ne uscirebbero rivo-
luzionate. Si potrebbero decifrare i programmi genetici che rego-
lano la vita. La nostra comprensione del mondo farebbe grandi
passi avanti, anche se per paradosso questo significherebbe accet-
tare un ruolo significativo e non eliminabile del fattore casualità.
Una situazione in cui, per parafrasare Einstein, dovremmo ricono-
scere che anche Dio, talvolta, gioca a dadi…”

109
Sanders prese fiato, bevve un sorso d’acqua, poi continuò.

“Ebbene, io ho fatto ben altro che ottenere un certo numero di


decimali: ho risolto Omega. Turing e Chaitin erano a un passo
dalla soluzione, ma hanno frainteso l’approccio. Cercavano qual-
cosa tra zero e uno, senza comprendere che, disponendo degli
estremi, diventa superfluo frugare al loro interno. Basta la consa-
pevolezza di aver imprigionato quello che ci serve. E usarlo di
conseguenza.”

Rotblat seguiva attento il monologo del suo collaboratore.

“Allo scopo di meglio descrivere il significato di Omega, devo


fare un passo indietro: per mesi, ho concentrato gli sforzi sulle
proprietà del numero Tre…”

“Mi perdoni, – lo interruppe Rotblat – ma ha trascorso gli ulti-


mi dieci minuti a convincermi che il mondo ruota tra lo zero e l’u-
no, e ora mi dice che stava studiando il tre?!...”

“Signor Presidente, mi creda, il tre è quanto di più vicino a


Omega si possa trovare. Potrei intrattenerla per ore, evocando le
innumerevoli proprietà del tre: nel sistema numerico binario che
noi informatici tanto amiamo, è un numero palindromo. In mate-
matica, il tre è un numero primo, un numero triangolare e un nu-
mero difettivo; è un numero perfetto per i cinesi e per i pitagorici.
Per i Maya, è il numero sacro della donna. Per noi occidentali,
corrisponde allegoricamente al divino e all’invisibile… Tre erano
i Re Magi, tre le Caravelle di Colombo. Per i cristiani, la trinità
rappresenta…”

“La prego, Andrew, sorvoli!”

“Vengo al dunque. Quello che interessa è che tre sono le com-


ponenti di ogni concetto, di ogni informazione, di ogni problema:
i due estremi e il contenuto.”

110
Sanders si avvicinò al carrello scorrevole e sfiorò con un dito,
quasi ad accarezzarla, la piastra madre che vi era deposta.

“Il contenuto, capisce? Ecco cosa manca agli odierni elabora-


tori: il contenuto. Mi permetta di citarle l’Apocalisse, versetto 1:8:
Io sono l’Alfa e l’Omega, l’inizio e la fine, colui che è, che era e
che sta arrivando. L’enunciato esprime a più riprese il concetto
degli estremi. Ma nell’ultima parte, viene aggiunta una terza com-
ponente: colui che è, che era e che sta arrivando. Nell’ordine, si
dovrebbe elencare: ... che era, che è e che sta arrivando. Si tratta
del prima, del durante e del dopo. Consideri ora il codice binario,
che rappresenta il linguaggio macchina. Gli otto bit che formano
il byte sono composti dai numeri 1 e 0. Aperto o chiuso. Acceso o
spento. Senza concessioni. Questa elementare decisione sta alla
base dell’intero processo informatico. E al suo interno, c’è il nulla
più assoluto. Manca l’alternativa, manca la sostanza, il contenuto,
che Omega invece considera: lo zero, l’uno e qualcosa tra loro.”

Il Presidente seguiva con lo sguardo le dita del suo collaborato-


re sfiorare lo strano oggetto. Sanders riprese fiato e si ricompose.

“Nessun computer in commercio, nemmeno il più potente ela-


boratore ad oggi realizzato è in grado di pensare, e questo lo sap-
piamo entrambi. Si limita ad eseguire una serie di istruzioni pre-
confezionate, semplici o complesse che siano, e produrre un risul-
tato attraverso una miriade di calcoli che si basano tutti sul mede-
simo concetto di contrapposizione: si o no. Ho compreso che il
processore del futuro non avrebbe potuto funzionare sulla base del
codice binario. Si sarebbe trattato di implementare la terza com-
ponente.”

Indicò la strana piastra madre sul carrello.

“La matrice MEDAT64 è il risultato di quelle considerazioni.


Un prototipo di CPU grezzo e di dimensioni notevoli, ma funzio-
nante di quello che sarà il processore isolineare una volta imple-

111
mentata la formula del ragionamento, il nuovo protocollo di ela-
borazione basato sul numero Omega.”

Samuel Rotblat sorrise nel rammentare che il prototipo funzio-


nante si avviò dopo quasi venti minuti di tentativi.

A distogliere la sua mente dai ricordi e riportarlo al presente, ci


pensò un agente della stazione di polizia entrato nel locale. “Chie-
do scusa per il disturbo, signor Rotblat, ma ha dimenticato questa
presso i nostri uffici…” Gli porse la ventiquattrore.

“Grazie.” Replicò Rotblat. E terminò d’un fiato il suo whisky.

112
23.

Georgetown, Carolina del Sud,


Stati Uniti d'America
Sede centrale della Sun Operation Network

“Un vecchio adagio recita che la storia la scrive chi vince…”


Jyzene ostentava con fierezza un forte accento germanico. “Noi
invece sosteniamo da sempre che chi scrive la storia vince. Può
apparire una differenza marginale, invece è fondamentale.”

Con i suoi cinquantadue anni, la donna era la più giovane del


gruppo. Era subentrata sei anni prima, quando aveva da poco con-
cluso il periodo decennale di apprendimento, a seguito della mor-
te improvvisa della madre. La sua età, comunque, non rappresen-
tava un ostacolo nei rapporti con gli altri capi, né con i subordina-
ti. In questi anni di proficua attività aveva dato prova di avere ere-
ditato la determinazione peculiare della sua famiglia e la risolu-
tezza a gestire con successo anche e circostanze più avverse.

“Che la Terra fosse rotonda, lo si sapeva da sempre. Trismegi-


sto, gli astronomi egizi e molti altri popoli avevano capito che le
leggi fisiche sono universali. Gli affreschi rinascimentali illustra-
no una Terra rotonda nelle mani di Dio o di qualche santo. Molte
delle sculture create da grandi artisti ben prima della scoperta del-
l’America riproducono un mondo perfettamente sferico sostenuto

113
da qualche divinità. Eppure siamo riusciti, a dispetto di così tante
evidenze, a imporre che la visione di una Terra a forma di globo
fu conseguente a Newton. E questo è ciò che si insegna oggi a
scuola. L’esempio è solo uno dei tanti che potremmo riportare, ma
non è l’intenzione ora. Darwin lo ha già evocato Mahel. Si
dovrebbero citare Leonardo, Einstein, e tanti altri. Potrei
descrivere le reali circostanze della morte di Cesare, dell'ascesa e
della caduta di Napoleone o dell’avvento del comunismo.”

Jyzene volse pacata lo sguardo di lato, coinvolgendo nell’argo-


mentazione le due persone alla sua destra.

“Il Comitato scientifico funge per noi da revisore; quello edu-


cativo, da divulgatore. Sottoponiamo le necessità a Delos, affin-
ché si adoperi ad insabbiare le teorie scientifiche in conflitto con i
nostri obiettivi e promuova quelle compatibili. Poco importa se
siano corrette o meno. Su questi cardini confezioniamo l’escurso
storico a cui l’umanità dovrà attenersi e lo consegnamo nelle mani
di Mahel, che lo promuove nell’istruzione.”

La donna si distese sulla poltrona, lasciando intendere che il


proprio intervento volgeva al termine.

“Il risultato lo avete sotto gli occhi. Nonostante l’apparenza di


una società evoluta e tecnologica, nonostante ogni informazione
possa compiere il giro del mondo con un semplice clic, oggi la
gente conosce molto meno di quanto non fosse già di sua com-
prensione cinquemila anni fa. E molto di ciò in cui crede è sba-
gliato. Possiamo sostenere tutto e l’incontrario di tutto, senza il ti-
more di essere smentiti. Di ogni vicenda, siamo noi a dire chi era-
no i buoni e chi i cattivi. Lo scopo, come ben sapete, è duplice. In
Primo luogo, si tratta di tutelare l’organizzazione, occultando le
responsabilità delle azioni ad opera del Comitato Operativo. In se-
condo luogo, siamo chiamati a predisporre il terreno, affinché le
influenze del Comitato Politico sui governi siano agevolate e sup-

114
portate da argomentazioni inoppugnabili. In breve, riscriviamo il
passato per predisporre il futuro.”

115
24.

Charleston, Carolina del Sud,


Stati Uniti d'America

Joshua Rotblat sedeva sconcertato sul pavimento dello stanzi-


no. Accanto a lui, gli appunti della madre, che aveva trovato in bi-
blioteca.

Un fascicolo, in particolare, lo aveva scosso. S’intitolava “Re-


troscena del successo della Kabanov Engineering”.

Si guardò intorno. La situazione lo riportò col pensiero agli


anni della sua infanzia. Lo stanzino adibito dalla madre a locale
per stirare era considerato dal piccolo Joshua il rifugio personale
in cui sognare fin da quando aveva otto anni, il giorno in cui ne
prese possesso per la prima volta. Ne aveva dodici, quando il pa-
dre lo trovò accucciato dietro un cumulo di panni lavati e in attesa
di essere stirati, con una grande Bibbia sulle ginocchia. I compiti
di scuola erano disposti alla sua destra, con i primi semplici calco-
li di aritmetica da completare. Il bambino era immerso nella lettu-
ra di uno dei primi capitoli della Genesi, affascinato dagli sforzi
di Noè, che era intento a costruire una grande nave dove non c’era
l’acqua, schernito e insultato da tutti.

Joshua alzò lo sguardo, poi indicò al padre l’enorme volume


che reggeva sulle ginocchia.

116
“Papà, ma tu l’hai letta proprio tutta?”

“Certo, caro, e più di una volta.”

Samuel si sedette sul pavimento, accanto a lui, e gli mise un


braccio attorno alle spalle, stringendolo a sé affettuosamente.

“Accidenti!... Chissà quanto tempo ti è occorso!..”

“In verità, figliolo, la Bibbia non è fatta per essere letta come
un romanzo e poi chiusa per sempre. Piuttosto, occorre studiarla,
approfondirla. Al suo interno puoi trovare risposte alle tue do-
mande, ai tuoi problemi…”

“Ma come possono esserci le risposte alle mie domande, prima


che io le abbia espresse?...”

“Semplicemente perché l’autore di quel libro ti conosce da pri-


ma che tu nascessi.”

Samuel amava assecondare il figlio nella sua brama di impara-


re e quando prendeva in mano le regole del gioco, lo faceva solo
per stimolarlo nella ricerca ed educarlo secondo le proprie convin-
zioni.

“Tutto ciò che gli uomini inventano e producono, tutto ciò che
studiano e imparano, rappresenta un dono di Dio…”

Il figlio diede un’occhiata ai compiti di scuola sparsi sul pavi-


mento, e colse la palla al balzo.

“Anche l’aritmetica?”

“Certo, anche l’aritmetica. Torna utile ad eseguire le semplici


operazioni che ci permettono di organizzare al meglio la nostra
esistenza. Serve anche e soprattutto nelle piccole cose di tutti i

117
giorni. Quando facciamo la spesa, ad esempio, come possiamo sa-
pere se il denaro che abbiamo con noi basterà per pagare quello
che stiamo mettendo nel carrello? Mentalmente, eseguiamo un
piccolo calcolo approssimativo del costo di ogni prodotto, badan-
do ad acquistare solo le cose necessarie. E ci fermiamo, quando
stiamo per raggiungere l’importo stimato di cui disponiamo.”

“Allora, Dio conosce l’aritmetica?”

“La conosce, e molto bene. L’equilibrio perfetto e l’armonia


dell’intera creazione sono prove di come Dio sappia fare i calcoli.
La vita stessa poggia su regole ben precise. E talvolta, a Dio piace
anche giocare, con i numeri...”

“Giocare?!...”

Samuel aveva catturato in pieno l’attenzione del figlio.

“Sai dirmi, Joshua, qual è in assoluto il capitolo più lungo della


Bibbia?”

“No, ho letto solo qualche storia, qua e là… Immagino sia nel-
l’Antico Testamento…”

“Si. Il capitolo più lungo della Bibbia si trova nel Libro dei
Salmi. Per la precisione, è Salmi, 117”.

Lasciò trascorrere qualche istante, per dare il tempo al figlio di


memorizzare il numero. Poi, riprese.

“E il più corto?”

“Non saprei, papà… Sempre nei Salmi?”

118
“Bravo! Il capitolo più corto è Salmi, 119. Si compone di appe-
na poche parole. E ora prova a indovinare quale capitolo si trova
esattamente al centro della Bibbia…”

Joshua non lo sapeva, ma la sua innata capacità di sintesi lo


spinse ad ipotizzare quale potesse essere il bersaglio.

“Forse Salmi, 118?”

“Ma sei un campione!”

“Uau!...”

“Devi sapere che ci sono esattamente 594 capitoli prima di


Salmi, 118 e 594 capitoli dopo, per un totale di 1188 capitoli. Il
capitolo in questione deve stare particolarmente a cuore, a Dio, se
è stato posto proprio al centro, e circondato dai due estremi: il più
piccolo e il più grande. Ma prendiamo la lente, e addentriamoci
nei particolari, con l’ultima domanda: quale versetto si trova
esattamente al centro della Bibbia?”

“Beh… sicuramente un versetto del capitolo centrale, cioè di


Salmi, 118…”

Figlio e padre, ormai, conversavano in perfetta sintonia.

“Non sbagli un colpo, ragazzo mio. Di preciso, si tratta del ver-


setto 118.8. Non è meraviglioso? Ricapitolando, prima e dopo il
capitolo centrale ci sono in tutto 1188 capitoli, e il fulcro del capi-
tolo centrale è il versetto 118.8, il centro esatto della Bibbia, il
cuore della Parola di Dio. Non dirmi che Dio non si diverte, con i
numeri...”

“Dev’essere importante, questo versetto, per trovarsi al


centro... Di preciso, cosa dice?”

119
“Dio ci indirizza nel cuore della sua Parola, per indicarci la sua
perfetta volontà. Il versetto recita: È meglio credere nel Signore,
che riporre la propria fiducia nell’uomo.”

Un Dio che amava l’aritmetica e giocava con i numeri... Per il


piccolo Joshua quella fu una vera rivelazione, un’immagine felice
che lo avrebbe accompagnato negli anni. Ne erano trascorsi dodi-
ci da allora. Numeri e calcoli facevano ormai parte anche della
vita professionale di Joshua, che si accostava con entusiasmo ad
ogni sfida matematica, consapevole che ogni problema, per quan-
to difficile, racchiudeva in sé la soluzione. Si trattava solo di tro-
varla.

Joshua si accostò al terminale, si accertò che la connessione a


Internet fosse attiva, richiamò la pagina di un motore di ricerca e
digitò Kabanov Engineering.

120
25.

Fiordo della Corrente,


Nuovo Mondo
19 aprile 1010

Gudrid si contrasse nell’ultimo spasimo di dolore e temette di


non farcela. Thorfinn le pose uno straccio umido sulla fronte e le
strinse la mano destra. Poi un urlo liberatorio e il pianto del bim-
bo le restituirono il sollievo e la lucidità. Aprì gli occhi e incrociò
lo sguardo profondo del marito. Non era poi tanto diverso da
quello del suo primo uomo, morto pochi anni addietro, in quelle
stesse terre.

La comunità dei coloni contava cinquantanove uomini e cinque


donne, agli ordini di Thorfinn Karlsefni, secondo marito di Gu-
drid, uomo ricco e potente, che proveniva da una illustre famiglia.
Da un anno ormai, si erano insidiati nei luoghi scoperti dalla di-
scendenza di Erik il Rosso, il grande conquistatore della Groen-
landia.

Erik aveva generato tre figli maschi, Leif, Thorvald e Thorstein


e una femmina, Freydis.

121
Leif era stato spronato dal Re d’Islanda a propagare il cristia-
nesimo nella sua terra, la Groenlandia, ma incontrò forti opposi-
zioni dal suo popolo. Il rifiuto alle nuove credenze era osteggiato
soprattutto da suo padre Erik, che riteneva il cristianesimo delete-
rio alle qualità virili della razza, ai costumi e alle virtù guerriere,
temute da ogni popolo. I vichinghi erano dotati di abbondante in-
traprendenza e smisurata determinazione. Lottavano quotidiana-
mente per rendere la loro vita sopportabile in quelle terre gelide e
desolate. Erano provetti marinai, abili falegnami e scaltri conqui-
statori. Ma la notizia di un nuovo, potente e unico Dio, ormai, era
stato introdotta.

Nel 992, Leif acquistò una nave da un amico che gli aveva nar-
rato di terre lontane e condusse con successo una spedizione alla
loro ricerca. Battezzò i luoghi scoperti con i nomi di “Terra delle
Pietre Piatte”, “Terra dei Boschi” e “Terra del Vino”. Quindi,
rientrò in Groenlandia. Oggi quei territori sono chiamati, rispetti-
vamente, Baffin, Labrador e Terranova.

Negli anni seguenti, Thorvald esplorò, con una manciata di fe-


deli servitori al seguito, le zone interne della “Terra del vino”,
s’imbatté nei nativi del luogo e morì durante una battaglia, trafitto
da una freccia. Poco prima di spirare, chiese ai suoi uomini di non
essere riportato in Groenlandia, ma di trovare sepoltura nel nuovo
mondo: “… qui mi seppellirete. Metterete una croce alla testa e
una ai piedi e chiamerete questo luogo Capo della Croce, per
sempre.” Fu la prima croce piantata su suolo americano, nel nome
di quel cristianesimo cattolico che andava prepotentemente espan-
dendosi anche tra le popolazioni pagane nordiche come gli stessi
vichinghi.

Thorstein partì dalla Groenlandia poco prima dell’apocalittico


anno mille, alla ricerca delle spoglie del fratello, ma trovò an-
ch’esso la morte, per una malattia incurabile. La moglie, rimasta
vedova, incontrò infine Thorfinn, uomo colto, di prestigio e rive-

122
rito. Lo sposò e lo convinse negli anni seguenti a organizzare una
spedizione sulle tracce del primo marito. Sbarcarono nelle stesse
zone del continente nordamericano e si stabilirono, assieme a una
sessantina di persone, in quella che oggi è conosciuta come la
Baia delle Meduse.

La primavera era sbocciata in ogni suo profumo. La piccola


comunità di uomini fieri e valorosi si apprestava a riorganizzarsi
in vista della caccia, della pesca e delle possibili incursioni degli
Skraelings, termine con cui i vichinghi indicavano i nativi di quel-
le regioni.

La segheria, l’officina e il cantiere navale erano immersi nelle


quotidiane attività, nonostante l’evento storico che si compiva in
quel momento.

Thorfinn prese con le mani e sollevò al cielo il piccolo Snorri,


lo benedisse in un misto di sottomissione a Odino e di ringrazia-
mento al nuovo Dio che i cristiani cattolici gli avevano posto a
conoscenza.

Snorri Thorfinnsson fu il primo bambino europeo nato nel con-


tinente americano.

Nei mesi seguenti, la piccola colonia vichinga fece ordinata-


mente rientro nella propria terra.

Altre navi salparono regolarmente verso il nuovo mondo, sen-


za tuttavia più insidiarvisi, ma per far scorte di carne, pesce e frut-
ta.

123
Gudrid si recò a Roma come pellegrina. Fu ricevuta da papa
Benedetto VIII al quale ebbe modo di trasmettere un particolareg-
giato resoconto dei viaggi nel nuovo mondo. Tornata in patria,
trascorse gli ultimi anni in un monastero, dedicandosi interamente
alla chiesa cattolica.

124
26.

Charleston, Carolina del Sud,


Stati Uniti d'America

Aleksej Zirtotkij scese dal taxi, pagò, si assicurò la bretella del-


la borsa alla spalle e sistemò la cravatta. Quindi si annunciò al
personale della sicurezza dell’Ufficio per la Conoscenza dell’In-
formazione.

“L'Ammiraglio Poindexter mi sta aspettando.”

Venne condotto nel locale tecnico dove Poindexter lo fulminò


con un'occhiata. Senza rivolgergli la parola, l'Ammiraglio si assi-
curò che i tecnici disponessero di tutto l'occorrente per assistere il
Professore, e abbandonò la sala.

Zirtotkij venne fatto accomodare ad una scrivania sulla quale si


trovavano una tastiera, un mouse, un monitor e un pannello che
permetteva l'inserimento di ogni tipo di memoria esterna, dalle
USB di quarta generazione agli obsoleti floppy disk, dalle memo-
rie a stato solido, ai vecchi CD. Il computer si trovava in un'altra
stanza.

Il Professore tirò a sé la borsa, ne estrasse una schedina e la in-


serì nel pannello.

125
27.

Charleston, Carolina del Sud,


Stati Uniti d'America

Gli ampi terreni che circondavano la villa di Victor Kabanov


su tre lati erano curati con taglio quasi ossessivo. Alcune siepi ai
lati delle varie stradine in ghiaia avevano la forma dei più svariati
animali: elefanti, giraffe, cammelli. Nelle piccole aiuole delimita-
te da mattoncini per non essere calpestate, le combinazioni dei più
variopinti colori formavano disegni o parole.

Padre e figlio stavano passeggiando nel giardino ad est, con-


versando sui possibili sviluppi dopo il parziale fallimento della
mercenaria, quando il cellulare del padre squillò.

“Sono Natalia...”

Coprendo il microfono con una mano, Ivan Kabanov voltò lo


sguardo verso Victor e gli sussurrò:

“Parli del diavolo...”

Nonostante l'ancora giovane età, Natalia Kuznetsova aveva già


alle spalle decine di operazioni nel Nord e nel Sud America. In un
paio di occasioni era stata impiegata in Asia. Preferiva operare in
solitudine e non aveva debolezze di sorta, a parte la sua vodka,
che però si imponeva di bere solo al termine dell'incarico. A giu-

126
dicare dalla voce impastata, quella sera doveva averne bevuta pa-
recchia.

“Io ho finito il mio compito qui. Datemi il pattuito e chiudiamo


questa faccenda!”

“La situazione, Natalia, è piuttosto complessa perché ora ci ri-


troviamo con un morto e con tutto quello che ne consegue, senza
avere ottenuto la formula... Potremmo avere ancora bisogno di
te...”

L'uomo cercava di prendere tempo, per riorganizzare le idee,


ma la donna era determinata ad ottenere, e subito, il compenso
promessole.

“Io non ci posso fare niente! Quello se ne fregava della pistola


puntata e minacciava di chiamare la sicurezza! Per quanto mi ri-
guarda, io ho chiuso. Mi aspettano a Zurigo per un altro incarico.
Adesso datemi la mia parte...”

“Non sei a casa tua... dove ti trovi?”

“Al solito posto sulla Spring Street.”

“Va bene. Non muoverti. Ti mando qualcuno a saldare.”

Ivan Kabanov interruppe la comunicazione e compose un altro


numero.

Padre e figlio tornarono quindi verso la villa e si sedettero a


una delle pensiline poste ai lati del giardino.

127
28.

Charleston, Carolina del Sud,


Stati Uniti d'America
Settembre dell'anno precedente

Quando Samuel Rotblat uscì dal laboratorio, dopo due giorni


di clausura, trovò il figlio Joshua ad aspettarlo nel locale tecnico
adiacente e si chiese se avesse atteso lì per 48 ore. Il figlio aveva
la stessa espressione di quando, anni addietro, attese sull’uscio per
quasi due ore, vestito da scolaretto e con ancora lo zainetto dei
compiti sulla schiena, il rientro del padre. Joshua era così.

Ora come allora, qualcosa preoccupava seriamente il giovane.


Il padre, come sempre, lo avrebbe ascoltato e consigliato.

“Com'è andata?”

Joshua non poteva esordire con una domanda più banale. Die-
tro a quell'interrogativo si celava tutta l'ansia di sapere se davvero
Andrew Sanders c'era riuscito, e se si, come.

Il padre rispose altrettanto banalmente, evitando di entrare per


primo negli argomenti essenziali.

“Direi bene, figliolo. Sono solo un po' frastornato, affaticato e


pure affamato...”

128
“Com'è Omega?”

“Non gli piace farsi acchiappare, se è questo che vuoi sapere,


ma sa perfettamente il fatto suo.”

In quel momento uscì anche Sanders, e Joshua colse l'occasio-


ne per rivolgere direttamente a lui la domanda che lo angustiava
maggiormente.

“Ciao Andrew. Dimmi per favore in tutta sincerità: Omega può


essere pericoloso?”

I due erano quasi coetanei ed avevano molti interessi in comu-


ne, a cominciare dall'informatica. Tra loro era nata una sincera
amicizia. In ogni circostanza, comunicavano senza giri di parole.

Sanders gli si avvicinò.

“Vedi, Joshua, forse l'argomento va affrontato in termini diver-


si. Dalla creatività e dall'ingegno dell'essere umano nascono pro-
dotti buoni o cattivi? Può un coltello essere cattivo? Non è piutto-
sto l'uso che ne facciamo che ne determina la pericolosità? Ideal-
mente, possiamo porre le medesime domande alla natura. Il fuoco
o l'acqua sono cattivi? Entrambi possono ucciderci, ma senza di
essi non vivremmo. Per Omega vale il medesimo ragionamento.
Può aprirci le porte della conoscenza, o essere impiegato come
arma. L'essere umano è posto di fronte all'alternativa: sarà il solo
responsabile delle conseguenze di un impiego malvagio di questo
potenziale, oppure il beneficiario dei vantaggi che ne deriveranno
in caso di uso positivo.”

Samuel Rotblat non avrebbe saputo esprimere in miglior modo


il concetto.

Joshua diede una pacca sulle spalle dell'amico.

129
“Vai a dormire, che non ti reggi in piedi...”.

Andrew non se lo fece dire due volte, salutò entrambi, lasciò il


locale tecnico e s'incamminò lungo il corridoio.

Padre e figlio si spostarono nella sala mensa dove entrambi si


rifocillarono.

Tra un boccone e l'altro, Joshua continuava l'interrogatorio.

“E come ha gestito Andrew la questione dell'auto-apprendi-


mento della macchina?”

Quello del Self Learning era già un concetto largamente svi-


luppato dalla maggior parte delle società informatiche, ognuna
con orientazioni e risultati diversi. L'approccio di Andrew era tan-
to elementare, quanto efficace.

C'era una lavagna alla parete accanto. Il padre ripose la for-


chetta, si alzò e si munì di un paio di gessetti colorati, con cui di-
segnò un semplice diagramma.

“Nell'ottica del tuo amico, questa, sintetizzata, è la sequenza


che la macchina deve affrontare nel caso di una semplice intera-
zione di input e output. Le si chiede qualcosa, lei cerca, e fornisce
la risposta.”

Samuel prese anche il colore rosa, e perfezionò il diagramma.

130
“Evidentemente, non è certo che la ricerca della macchina pro-
duca un risultato. Potrebbe succedere che non trovi la risposta al
quesito posto. Occorre dunque considerare entrambi i risultati,
quello di successo e di insuccesso.”

Accennò con la mano alle modifiche apportate sulla lavagna.

“A questo punto, si presenta un'ulteriore variabile. In caso di


soluzione al quesito, non è ancora possibile per la macchina salva-
re la ricerca; occorre prima valutare se la risposta è temporanea
oppure definitiva. Mi spiego. All'input 5 + 4, l'output sarà sempre
9. Oggi, come fra cent'anni. Quindi la macchina non dovrà più
eseguire in futuro una ricerca, a parità di input, ma recupererà
l'informazione salvata in precedenza nella sua memoria. Questa è
una risposta che la macchina considera definitiva. Ma se io le
chiedessi oggi a quanto ammonta la popolazione mondiale,
oppure il numero dei tuoi anni, ecco che la risposta sarebbe
temporanea. Allo stesso input, in futuro, la macchina dovrà
procedere a un'altra ricerca, perché il risultato sarà diverso.
Questa è una risposta temporanea.

131
In conclusione, il diagramma di flusso dell'auto-apprendimento
sarà il seguente:”

“Tutti gli output definitivi vengono salvati nella memoria della


macchina, e rappresentano la base della propria conoscenza che
andrà via via aumentando. Omega è chiamato in gioco all'interno
di quel rettangolino azzurro Cerco, il più importante dell'intero
procedimento, per il quale la velocità di elaborazione e la capacità
di analisi delle risposte trovate sono determinanti. L'hardware lo
sfrutta per la velocità, il software per le valutazioni. L'interazione
è praticamente istantanea, come parlare con te.

132
Quello che ti ho mostrato rappresenta solo la base dell'intero
processo. Occorrerebbe aggiungere le risposte parziali, quelle in-
complete, quelle multiple, gli input irrazionali e molto altro anco-
ra. Ma di questo parleremo un'altra volta.”

Samuel Rotblat ripose i gessetti, prese lo straccetto appeso a


fianco della lavagna, si tolse la polvere colorata dalle dita, quindi
si sedette, e tornò a concentrarsi sul cibo.

133
29.

Costa Nord della Giamaica


29 febbraio 1504

La tribù degli Arawak, nativa di quell'isola, aveva da settimane


sospeso l'approvvigionamento ai due natanti forestieri ancorati
nella laguna. Il loro capo nutriva da tempo un certo scetticismo
nei confronti di quelle persone che si mostravano superiori – e di
certo lo erano – ma che dal giorno del loro sbarco non avevano
fatto che ricevere, senza mai nulla dare agli indigeni locali, se non
giocattoli.

L'Ammiraglio adorava il numero Tre. Era la sua ossessione. In


passato, aveva sviscerato in proposito tutto quello che la Bibliote-
ca Reale di Spagna e quella Vaticana avevano potuto o voluto
mettergli a disposizione. Da Trismegisto a Pitagora, dal cristiane-
simo puro ai dogmi cattolici. La Santissima Trinità, ad esempio:
Padre e Figlio (chi viene prima e chi arriva dopo), e lo Spirito
Santo, che doveva essere una forza intrinseca, interna, in
collegamento con entrambi gli estremi.

Per quella fissazione, convocò il capo tribù e gli anziani dell'isola


il 26 del mese, esattamente tre giorni prima dell'evento.
Comunicò loro che il suo Dio era infuriato col popolo indigeno
perché questo non aveva più intenzione di rifornire cibo e
bevande all’equipaggio. Per dimostrare il proprio scontento, il

134
Dio dei cristiani avrebbe fatto in modo che la luna sparisse al
terzo ciclo da quel momento (tre giorni dopo, appunto). Poco
prima di sparire, però, si sarebbe tinta di rosso sangue, come
segno di sventura sul futuro degli Arawak. Questo era il
messaggio dell'ambasciatore di Dio agli indigeni.

La sera del terzo giorno, il 29 del mese, al calare dell'oscurità


la luna piena già si ergeva maestosa a ponente, illuminando a suf-
ficienza il villaggio e la laguna. Alcuni indigeni erano intenti a si-
stemare gli ancoraggi al suolo delle pelli delle loro capanne. Don-
ne e bambini si erano già ritirati all'interno. Su un piccolo pro-
montorio, gli anziani e il loro capo se ne stavano timorosi ad os-
servare il satellite del nostro pianeta, per verificare le premonizio-
ni dello straniero.

Poi, la profezia si adempì.

Lentamente, la luna cominciò ad assumere un colore rossastro,


che divenne sempre più intenso. Dopo alcuni istanti, gli indigeni
cominciarono ad agitarsi nell'accorgersi che la superficie del sa-
tellite aveva iniziato a ridursi.

In breve, venne a mancare completamente la sola fonte di illu-


minazione, e il villaggio sprofondò nel buio più totale.

Quello era il momento.

In piedi sul troncone di prua della sua nave maestra, ancorata a


poche decine di metri dalla riva, Cristoforo Colombo ordinò all'e-
quipaggio di accendere tutte le torce. In pochi istanti, la caravella
si illuminò completamente, mostrandosi ancora più imponente di
quanto non lo fosse alla luce del giorno.

Agli occhi degli indigeni, la sagoma del navigatore, con le tor-


ce alle spalle, pareva un'enorme ombra nera, circondata da un alo-

135
ne di luce divina. Aveva la mano destra protesa verso il promon-
torio, con l'indice puntato sugli anziani del villaggio.

Riempì i polmoni di aria fresca e sentenziò ad alta voce:

“Il mio Dio dimenticherà la propria ira, perdonerà il vostro po-


polo e farà riprendere al vostro astro le sembianze di sempre, se
continuerete a servire la mia gente.”

L'eclissi superò la fase totale e lentamente la luna tornò a mo-


strarsi. Il rosso che la infuocava scomparve e il satellite tornò a
essere quello di sempre, con grande sollievo degli Arawak. E con
grande sollievo anche di Colombo e della sua ciurma, che da quel
momento continuarono ad essere approvvigionati e idolatrati dagli
indigeni per tutta la durata della loro permanenza sull’isola.
L'espediente aveva funzionato. Come sempre in passato,
d'altronde, di fronte a selvaggi ignoranti e timorosi dell'ignoto.

L’eclissi lunare rappresentava un fenomeno inconsueto e mi-


sterioso per gli abitanti dell’isola. Ma come poteva Cristoforo Co-
lombo conoscere i tempi e i luoghi esatti del fenomeno celeste di
quella sera? L’esploratore aveva semplicemente consultato l’al-
manacco di Johannes Müller von Königsberg, meglio conosciuto
con lo pseudonimo di Regiomontanus. Una copia di quel libro lo
accompagnava in tutte le sue navigazioni.

Regiomontanus fu un noto matematico e astronomo tedesco.


Prima della sua morte, aveva pubblicato il famoso almanacco che
conteneva informazioni dettagliate sul Sole, la Luna e i pianeti,
così come sulle stelle e le costellazioni. I maggiori eventi astrono-
mici dei secoli a venire erano elencati con sorprendente precisio-
ne. L'opera, scritta nella seconda metà del tredicesimo secolo, sa-

136
rebbe in seguito divenuta di grande valore scientifico per i mari-
nai. Ma molte di queste informazioni furono ufficializzate solo
quando il Concilio dell'Antico Ordine ne permise la divulgazione,
molto tempo dopo la morte dell'autore, che avvenne nel 1476 in
circostanze misteriose.

137
30.

Charleston, Carolina del Sud,


Stati Uniti d'America

I corridoi erano quasi deserti. Un’inserviente stava lucidando i


pavimenti al terzo piano. Negli uffici amministrativi, il ronzio
provocato dall’espulsione automatica di un foglio indicava che
era arrivato un fax.

Samuel Rotblat percorse il piano terra, ancora assorto nei pen-


sieri. Stringeva tra le mani un foglietto con una strana equazione
che aveva rivoluzionato la matematica e l’informatica.

Aveva provato a contattare la moglie al cellulare, senza esito. Il


figlio doveva essere ancora da qualche parte nel palazzo.

Quando si sentiva soffocare dalle preoccupazioni, Samuel sa-


peva che rievocare il passato gli recava beneficio nello spirito e lo
aiutava a distrarre la mente.

Salì le scale verso il secondo piano e raggiunse il vecchio labo-


ratorio. L’illuminazione al neon si attivò automaticamente per ef-
fetto dei sensori di movimento. L’uomo rivolse lo sguardo alla
porta semiaperta. Non molto tempo prima, in quel posto era stato
risolto un enigma che i matematici del mondo intero avevano fino
ad allora ritenuto indecifrabile. Omega. Contrasse le dita della

138
mano destra, a stringere il foglietto con la soluzione. Si sedette sul
pavimento, chiuse gli occhi e rivide suo figlio, ancora ragazzino,
ad attenderlo sull’uscio di casa.

A quel tempo Joshua aveva quindici anni. Era rientrato da


scuola piuttosto agitato.

“Papà, oggi ho avuto una discussione con i compagni di classe


a proposito di cristianesimo e paganesimo. Loro sostengono che il
cristianesimo si è appropriato di riti e culti sottratti alle religioni
pagane, in uso presso queste molti secoli prima della nascita di
Gesù, e che questo fatto, da solo, dimostra l'inattendibilità della
fede cristiana. Secondo i miei amici, in sostanza, il cristianesimo
avrebbe scopiazzato qua e là da religioni e miti antecedenti…”

“Ragazzo mio, quanto mi dici non mi sorprende. In effetti,


questo è oggi un argomento ricorrente. Discreditare il cristianesi-
mo è un segno dei tempi, per altro profetizzato a più riprese nelle
scritture. I tuoi amici, probabilmente in buona fede, non hanno
fatto altro che trasmettere il messaggio che oggigiorno va per la
maggiore. E purtroppo, l'argomento fa presa nella superficialità,
perché la gente non trova il tempo né la voglia di documentarsi a
dovere su questioni tanto complesse che richiedono un approccio
serio e attento.”

Samuel aiutò il figlio a riporre lo zainetto, gli pose un braccio


attorno alle spalle e assieme si sedettero sullo scalino.

“Per affrontare nella giusta ottica la questione che mi sottoponi


devo intraprendere due ragionamenti distinti. Il primo è che effet-
tivamente la chiesa cattolica, nell'ambito del Concilio di Nicea
che si tenne nel 325 dopo Cristo, sancì l'introduzione nel proprio
credo di riti e dogmi pagani. Mi riferisco in particolare al culto
della vergine e all'adorazione di statue varie. La storia di Gesù si-
mile al mito del dio Horus, di Mitra e via dicendo.

139
L'imperatore Costantino, che non era cristiano, fu l'artefice di
questa mistificazione nel tentativo di assecondare la maggior par-
te degli abitanti di un impero che all'epoca era un tumulto di razze
e religioni. Far confluire i miti e le divinità di culture differenti in
una dottrina universale da promuovere come religione unica gli
era parso un deterrente al rischio di scontri a sfondo religioso. Co-
stantino convocò trecento vescovi e monaci, soprattutto dall'O-
riente, assumendosi pure le spese del loro viaggio. Nelle sue in-
tenzioni, il Concilio avrebbe dovuto appunto conciliare le divisio-
ni che si stavano rafforzando all'interno della comunità e unificare
in qualcosa di ecumenico le varie correnti di pensiero. Si produsse
invece l'effetto opposto. Nei secoli, la chiesa cattolica si arrogò il
titolo di unica vera chiesa cristiana. Ma le dispute si fecero viep-
piú accese e portarono in 1700 anni la presunta religione cristiana
a dividersi in cinque grandi correnti, decine e decine di chiese dif-
ferenti e a istituire quasi duecento ordini e congreghe. Il tutto con
un corpus dottrinale che di volta in volta venne modificato, stra-
volto o personalizzato dal papa o dal potente di turno a seconda
delle proprie necessità. Ognuno legiferò con la presunzione che
quella degli altri non era la verità, ma solo la propria. Qui sta il
primo errore di molti: cattolicesimo e cristianesimo non sono si-
nonimi, tutt'altro.”

Samuel Rotblat provò compiacimento nell'osservare il figlio


che prendeva appunti su un piccolo taccuino. Quando vedeva Jo-
shua così attento, il padre si sentiva in dovere di approfondire
ogni aspetto, anche nei dettagli trascurabili.

“Il secondo punto, riguarda invece la questione di Gesù, e del


fatto che il cristianesimo avrebbe "rubato" le sue dottrine a riti pa-
gani antecedenti di secoli. Qui l'errore trova terreno fertile a moti-
vo dell'ignoranza sulla materia. In quelle tesi, semplicemente, non
si considera il fatto che la Bibbia non contiene solo il nuovo testa-
mento. E soprattutto, che il vecchio testamento introduce il cri-
stianesimo.

140
In sostanza, il cristianesimo è profetizzato nel vecchio testa-
mento e descritto nel nuovo.

I contenuti delle profezie del vecchio testamento vanno ben ol-


tre una semplice descrizione superficiale che potrebbe essere inte-
sa come fortuita o pura coincidenza: l’esposizione si spinge nei
dettagli, elencando addirittura nomi e luoghi in cui, secoli dopo,
effettivamente sarebbe accaduto questo o quel fatto. E siamo al
dunque: i primi capitoli del vecchio testamento, che noi chiamia-
mo la Torah, sono appunto molto antichi. E contengono tra l'altro
tutti i riferimenti profetici relativi a Gesù.

Nel loro peregrinare fin da prima dei tempi di Mosè, gli ebrei
hanno convissuto con le popolazioni locali, i pagani appunto, le
quali hanno avuto modo di osservare la potenza del Dio d'Israele.
E' ovvio che pur non abbandonando le loro credenze, questi popo-
li siano stati influenzati dalle opere di un Dio ai loro occhi molto
più potente del loro. In sostanza, le religioni dei pagani sono state
a suo tempo influenzate dal credo ebreo, non viceversa. Inoltre,
occorre precisare che gli eventi di enorme impatto che hanno stra-
volto le regole della vita sul nostro pianeta hanno coinvolto tutti,
indistintamente. Il grande diluvio, ad esempio, è ricordato nelle
leggende, nei miti e nelle religioni di popoli molto diversi tra loro,
sparsi per tutto il globo. E questa situazione, anziché compromet-
tere la credibilità del cristianesimo, ne conferma in pieno la veri-
dicità.”

Joshua si dimostrò soddisfatto.

Il padre riaprì gli occhi e, come svegliatosi da un sogno, tornò


al presente. La porta socchiusa del locale vuoto lo riportò alla si-
tuazione attuale. Provò un formicolio a una gamba, indolenzita a
causa della posizione, e spostò il peso sull’altro lato, appoggian-
dosi alla parete.

141
La donna delle pulizie aveva iniziato a lucidare le scale dal
terzo verso il secondo piano. Intravvide il Presidente accovacciato
sullo stipite della porta del vecchio laboratorio e si preoccupò:

“Va tutto bene, Signor Rotblat?”

142
31.

Georgetown, Carolina del Sud,


Stati Uniti d'America
Sede centrale della Sun Operation Network

Delos era il più anziano del gruppo. Molto anziano. Eppure,


nonostante i suoi novantuno anni, ostentava una lucidità e una
competenza ancora insostituibili per quel ruolo.

Prima di dare la parola al Capo del Collegio Scientifico, Avon


mantenne gli occhi sull'uomo per alcuni istanti. Con voce di
ghiaccio, gli chiese: “Come va con suo figlio?”

Le parole del Capo Supremo sembrarono rimbalzare all'infinito


sull’isolante acustico delle pareti, a comporre una interminabile
eco che pareva giungere da un’altra dimensione.

Delos si sforzò di non trasmettere segni di nervosismo. Attese


qualche secondo per non mostrarsi precipitoso, quindi rispose con
finta calma: “È tutto sotto controllo, Avon.”

Al gesto di assenso del Capo, Delos iniziò la propria relazione.

“La scienza è potere. E' il motto di Ruggero Bacone che piace


tanto a Poindexter. L'Ammiraglio non ha idea di quanto Bacone ci

143
abbia azzeccato... Il potere deriva dalla scienza o, meglio, dal con-
trollo sulla scienza.

Nella società moderna, la figura dello scienziato puro, quale


poteva essere Galileo Galilei o Newton, non esiste più.

Pensiamo alle grandi industrie farmaceutiche. I ricercatori sono


stipendiati per raggiungere degli obiettivi, che permetteranno di
mettere sul mercato un nuovo medicinale contro questa o quella
malattia. Non hanno libertà di manovra. Sono instradati in una di-
rezione, e quella direzione deve necessariamente portare a un ri-
sultato.

La gente comune non ha le cognizioni necessarie per valutare


l'attendibilità delle scoperte. Si fida ciecamente delle affermazioni
degli uomini di scienza. Di conseguenza, se controlli questi, con-
trolli la percezione delle persone. Poco importa se la scoperta sia
corretta o manipolata. Applichiamo l'una o l'altra soluzione, a se-
conda delle necessità.

Nella maggior parte dei casi, i nuovi prodotti immessi sul mer-
cato hanno effetti multipli. Quello ufficiale, impresso sulle confe-
zioni, serve a far comprare il prodotto. Quelli alternativi, non ven-
gono ovviamente notificati, e servono a noi per raggiungere obiet-
tivi specifici.

Un esempio. La gente non è informata sul fatto che la maggior


parte dei vaccini in commercio ha più di una funzione. Se ufficial-
mente da un lato servono a combattere o prevenire determinate
patologie, dall'altro riducono la fertilità dell'essere umano, al fine
di contenere l'aumento della popolazione mondiale.

Ovviamente, tutto ciò è reso possibile dal fatto che le autorità


di controllo nazionali e internazionali operano sotto la nostra egi-
da.

144
L'altro aspetto concerne la velocità incostante e pilotata del
progresso tecnologico. Le novità devono uscire sul mercato quan-
do serve a noi, non quando sarebbe utile alla società.

Dopo il decennio dei cellulari, con cui si poteva solo telefonare


o inviare messaggi, abbiamo introdotto gli smartphone, che in
brevissimo hanno conquistato tutti. Abbiamo stravolto le abitudini
di vita della gente nella direzione che ci conveniva. Le nuove ge-
nerazioni sono schiave dei loro giocattoli. Se li portano appresso
dovunque vanno, qualunque cosa facciano. E nessuno si interroga
sui possibili usi secondari di simili tecnologie. Essendo dei mini
computer, questi dispositivi ci permettono di celare al loro interno
tutto il software che vogliamo. Possiamo ascoltare, registrare e
persino alterare ogni comunicazione, messaggio o video. Manipo-
lando i motori di ricerca, possiamo indurre a navigare su un sito
internet piuttosto che su un altro.

Oggi siamo in grado di suggerire, consigliare, persino imporre


ciò che intendiamo promuovere, senza che le persone se ne renda-
no conto.

Il fatto che la tecnologia di trasmissione dati 5G sia nociva alla


salute fino a provocare il cancro, non interessa a nessuno, visti gli
innumerevoli vantaggi che offre all'utente. Ma come sapete, il 5G
ci permette anche di inviare quando serve impulsi controllati di-
rettamente al cervello della persona che sta utilizzando lo smart-
phone in quel momento, con i risultati che già avete potuto osser-
vare in passato.”

Delos proseguì con un altro argomento, elencando le nuove op-


portunità di gestione e controllo globale sorte con l'avvento del-
l'Intelligenza Artificiale.

In quel campo, molte società private avevano recentemente fat-


to enormi progressi. E non tutte erano allineate con la causa del

145
Nuovo Ordine. Occorreva sbarazzarsi subito della concorrenza.
Coinvolse con uno sguardo Dex, capo del Collegio Operativo.

Una società informatica, in particolare, aveva da poco introdot-


to sul mercato dei processori di una potenza inaudita, che permet-
tevano velocità di calcolo enormi. Ma Delos sapeva che quella
tecnologia poteva fare ben altro. Come lo sapevano tutti i presen-
ti.

“La CASIAS ha sviluppato una formula di calcolo che permet-


te alla macchina di valutare, oltre che di elaborare. Questo apre
degli orizzonti incredibili nelle attività di controllo globale. D'al-
tro canto, se in possesso di altri, potrebbe rappresentare un ostaco-
lo notevole al completamento del nostro progetto.”

Lanciò un'altra occhiata a Dex.

“Tutti noi sappiamo quanto è importante impadronirsi di quella


formula.”

146
32.

Charleston, Carolina del Sud,


Stati Uniti d'America
Settembre dell'anno precedente

I progettisti stavano osservando in silenzio da qualche minuto


l’enigmatica espressione alfanumerica che rappresenta il valore di
Omega: w0N1x.

Del gruppo faceva parte anche il figlio del Presidente, il giova-


ne e promettente Joshua Rotblat. Ognuno formulava con la mente
le proprie ipotesi sul significato dello strano enunciato che più che
un numero, pareva un’equazione.

Infine, Andrew Sanders si decise a condividere la propria av-


ventura.

“Ignorate per un attimo tutto ciò che sapete sulla matematica


applicata. Omega va letto con un linguaggio diverso.

Dunque, 0 e 1 rappresentano gli estremi. N è il contenuto. w e


x indicano rispettivamente il coefficiente di avvicinamento di N
all’estremo 0 e all’estremo 1.”

Diede loro il tempo di assimilare il nuovo concetto, quindi ap-


profondì l’argomento snocciolando equazioni e schemi. Rispose a

147
qualche domanda con la spontaneità tipica di chi conosce a fondo
l’argomento trattato. Infine, si avviò lentamente verso il lato
opposto del locale. Si voltò in direzione dei colleghi che nel
frattempo si erano disposti a semicerchio e riprese il discorso.

“L’esperienza ci ha insegnato che la collaborazione è tutto in


questo mestiere. Ogni volta che qualcuno di noi espone una nuova
idea, è normale che al momento di condividerla, gli altri non capi-
scano a fondo di cosa si stia parlando. Questo succede perché chi
l’ha concepita si trova dieci passi più avanti. Ma prima o poi oc-
corre affrontarne assieme l’essenza. A quel momento, dovremo
trovarci tutti sullo stesso piano. Il mio compito oggi consiste ap-
punto in ciò: portarvi al mio livello di cognizioni in merito a
Omega.” Assunse un tono accademico.

“Signori, vi presento la mia compagna. L’ho chiamata


MEDAT64.”

Sanders capeggiava il gruppo di progettisti trasmettendo loro


entusiasmo e simpatia al tempo stesso. Joshua non nascondeva la
propria ammirazione per le capacità comunicative di Andrew, che
pure non era un oratore di professione.

I tecnici si avvicinarono a una mensola su cui era sistemata


l’apparecchiatura. Si trattava di un piano stampato colmo di chip e
connessioni a tre. La macchina sembrava riposare su un letto di
silicio. Il rame dei contatti formava una ragnatela di autostrade
senza traffico né ingorghi. Era stata assemblata con il materiale a
disposizione in sede, senza dispositivi strani che destassero parti-
colare attenzione, a parte l’ambigua concentrazione a gruppi di tre
di cavi elettrici colorati. Si componeva di una piastra madre, una
moltitudine di normalissimi chip, qualche ventola dalla quale
uscivano dei minuscoli tubi e un alimentatore per la corrente si-
stemato all’esterno per guadagnare spazio. Più che una rivoluzio-

148
ne tecnologica, sembrava un giocattolo uscito dalla confezione
per gli esperimenti dell’elettrotecnico in erba.

“Il sistema si compone di 76 chip disposti sulla matrice in se-


quenza 6+64+6, come potete desumere dalle specifiche.”

Sanders volse lo sguardo verso una rappresentazione geometri-


ca sulla lavagna.

“Da sinistra a destra, il primo gruppo verticale di 6 chip si oc-


cupa di quantificare il valore di w. Il gruppo principale, composto
da 64 chip, interagisce con i fattori zero-contenuto-uno. Infine, il
secondo gruppo di 6 chip gestisce l’interpretazione di x. Il nostro
lavoro per i prossimi mesi consiste nell’implementazione della
formula del ragionamento nel processore. Più in là, ci occuperemo
dei sistemi di conversione in binario delle informazioni finali, che
serviranno a mantenere la compatibilità con i prodotti hardware

149
sul mercato fintanto che la nuova struttura non sarà divenuta uno
standard. Infine, starà a voi compiere uno dei vostri miracoli nel-
l’opera di miniaturizzazione del processore. Piaccia o no, il pro-
dotto finale dovremo cacciarlo dentro quei cosi…” Puntò l’indice
verso un computer minitower disposto sotto una scrivania.

“E’ ora di pranzo. Andiamo a mettere qualcosa in pancia. Alle


14 in punto riprenderemo da qui.”

Il gruppo si spostò unito verso il locale mensa, per fare ritorno


in sala teoria due ore più tardi.

Sanders fece un breve riepilogo di quanto illustrato in mattina-


ta e proseguì con i nuovi elementi.

“I chip interagiscono nell’ambito dei singoli gruppi senza ge-


rarchie né priorità. Il primo a risolvere il proprio compito, tra-
smette l’informazione aggiornata agli altri e riparte con la seguen-
te necessità.”

Distribuì a ognuno la copia di uno stampato.

“Questa è la formula del ragionamento, il vostro punto di par-


tenza:”

MDEwMTAxMTEwMTEwMTAwMDAxMTAxMDAxMDEx
MTAxMDAwMTEwMDEwMTAwMTExMDEwMDAxMDAwM
DAwMTAwMTAxMTAxMTAwMTExMDAxMTAwMTEwMDE
wMTEwMDAwMTAwMDAwMDEwMTAwMDEwMTEwMDE
wMDAwMTEwMDEwMDAxMDExMDAwMDEwMDAwMDA
xMDAxMTEwMDExMDAxMDAwMDExMDEwMTAwMTAx
MTAwMDAxMDAwMDAwMTAxMDAwMDAxMTAwMTAxM
DAxMTAxMTEwMDExMTAxMTAwMTAwMDAwMDEwMDA
wMTAwMTEwMTEwMDAxMTAwMDAxMDExMDAwMTEw
MTEwMTAxMTAwMTExMDEwMDAxMDAwMDAwMTAwM
TAxMTAxMTAwMTEwMDAxMTAxMDEwMDEwMTEwMDA

150
wMTAwMDAwMDEwMTAwMDEwMTEwMDEwMTAwMTEw
MTAwMDAxMDExMDAwMDEwMDAwMDAxMDAxMTEw
MDExMDAxMTAwMDExMDExMTAwMTAxMTAwMDAxMD
AwMDAwMTAxMDAwMDAxMTAwMTEwMDAxMTAwMTE
wMDEwMTEwMDAwMTAwMDAwMDEwMTAwMDAwMTE
wMTAwMDAwMTEwMTEw

“Vediamo di implementarla nella matrice. Come potete notare,


l’intera formula è costituita da gruppi di lettere simili tra loro. Il
nucleo principale si compone di caratteri maiuscoli, rappresentati
da combinazioni delle lettere M, E, D, A, T, che indicano al chip
la componente Omega 0N1 del dato da elaborare. La sequenza
termina con una lettera minuscola che richiama il coefficiente
Omega di avvicinamento e indirizza l’informazione verso uno dei
due estremi. Le combinazioni di maiuscole utilizzate sono quat-
tro: MDE, MTE, MDA e MTA. Attraverso l’elaborazione coordi-
nata dai 76 chip sulla base delle specifiche della formula, ho sti-
mato che il processore isolineare risulterà più veloce di parecchi
miliardi di cicli rispetto ai più potenti sistemi odierni.”

Il tecnico più anziano interruppe il monologo di Sanders con la


domanda che tutti i presenti avrebbero voluto – ma non avevano
osato – porre:

“Andrew, come sei riuscito a sviluppare la formula del ragio-


namento?”

Sanders avvicinò una sedia e vi si accomodò.

“Dopo aver risolto Omega, ho afferrato che quel traguardo


aveva radicalmente cambiato la mia concezione della matematica,
e non solo...”

“Non solo?...”

151
“In effetti, qualcosa in me era cambiato... Il mio approccio alla
ricerca muoveva su basi differenti. Ho trascorso, credetemi, innu-
merevoli notti insonni; ho dedicato intere settimane a rivalutare
con un nuovo spirito critico ogni singola teoria dalla scienza una-
nimemente accettata, ogni conquista del progresso della tecno-
logia e della medicina. Ho guardato con occhi nuovi le domande
esistenziali che ognuno di noi si è posto almeno una volta nella
vita, i grandi pensieri filosofici e religiosi. L’intera concezione del
mondo che mi circonda è stata influenzata da questo mio nuovo
modo di pensare, basato sul concetto degli estremi e di un conte-
nuto al loro interno. Mi sono soffermato a riflettere sulle differen-
ze culturali e linguistiche che stanno alla base di ogni contrappo-
sizione priva di contenuti: ricchezza e povertà, oppressione e
schiavitù, forti e deboli. È così che è nata la formula del ragiona-
mento…”

Sanders aveva incantato la platea. La profonda convinzione nel


pensiero che andava esternando traspariva sia dalla naturalezza
del tono della voce che dall’atteggiamento entusiasta ma pacato al
tempo stesso.

“Omega non è una chiave. Omega è la chiave. E’ la pietra an-


golare su cui è basata ogni cosa, il metro di misura con cui è stato
creato il mondo.

Le differenze culturali e religiose, i diversi atteggiamenti di


fondo sono oggi più che mai palesi, a causa dell’enorme sviluppo
dei mezzi d’informazione. Ecco quindi la necessità di tradurre i
linguaggi, nel tentativo di afferrarne i contenuti. Eppure, l’inter-
scambio di nozioni da un mondo linguistico all’altro implica ne-
cessariamente una perdita di informazioni. La traduzione è suffi-
ciente a garantire una prima comprensione basilare, ma inadegua-
ta a trasmettere le sfaccettature del pensiero originale. Di per sé,
ogni traduzione rappresenta un’operazione matematicamente im-
possibile. I problemi e le difficoltà organizzative che sorgono dal

152
fatto che non si parla una lingua universale sono evidenti. Pensia-
mo alle ricerche in internet, agli scambi di informazioni tra gover-
ni, ai costi legati alla traduzione degli accordi internazionali. Pen-
siamo alla babele linguistica che è l’Europa Unita o, più vicino a
noi, alle nazioni come il Canada che devono convivere con lingue
dalle radici diametralmente opposte come il francese e l’inglese.

Oggi sulla terra si parlano più di cinquemila idiomi. Gli studio-


si sono concordi nel ritenere che queste lingue abbiano tutte un’o-
rigine in comune, una specie di proto-linguaggio originale da cui
sono derivate. Queste riflessioni mi hanno portato a ipotizzare di
quali regole sintattiche doveva comporsi la madre di tutte le lin-
gue, quella – per intenderci – che si parlava all’origine del creato.
Ed è stato nell’ambito di queste ricerche che mi sono imbattuto in
una lingua assolutamente unica, incredibile, che secondo la con-
cezione umana delle tecniche di comunicazione non dovrebbe esi-
stere: l’Aymara.”

“Ne ho sentito parlare…” intervenne Joshua, anch’egli rapito


dalla chiarezza espositiva nel discorso di Sanders. “Si tratta di una
lingua antica parlata dagli Indios andini oltre quattromila anni fa e
ancora oggi in uso in alcune regioni del sud del Perù e in
Bolivia…”

Andrew non fu sorpreso dal fatto che il figlio del Presidente


fosse al corrente dell’Aymara. In fin dei conti, Joshua era di origi-
ne ebrea e la storia della Torre di Babele doveva conoscerla molto
bene. Per uno studioso tutt’altro che superficiale qual’era Joshua,
le affinità del racconto biblico con le antiche leggende Incas non
dovevano essere passate inosservate. La stessa narrazione del Di-
luvio universale coincide nei modi e nei tempi in entrambe le cul-
ture.

Tecnici e progettisti erano in fermento. La curiosità circa l’ar-


gomento discusso era rafforzata dall’incapacità di immaginare

153
come la formula del ragionamento potesse aver preso forma gra-
zie a un idioma sconosciuto, concepito parecchie migliaia di anni
fa. Sanders colse quel misto di interesse e perplessità dei collabo-
ratori e proseguì.

“L’Aymara è una lingua semplicemente perfetta, nel senso più


stretto del termine. La sua struttura logica è così ben organizzata,
che non può trattarsi di evoluzione naturale. Quella lingua è un
prodotto artificiale, creato da una mente superiore. Signori, crede-
temi: l’Aymara è l’origine della parola. Un vero e proprio lin-
guaggio di programmazione. Ed è interamente basato su Omega.”

154
33.

Spagna
Anno 1505

L'anno precedente aveva fatto rientro dal suo ultimo viaggio


nelle Americhe.

Da qualche mese, nonostante non fosse ancora in età avanzata,


già soffriva di cattive condizioni di salute. Regolari infiammazio-
ni agli occhi gli impedivano a volte di leggere o scrivere. L'artrite
rallentava i suoi movimenti e repentini cali di pressione lo costrin-
gevano a viaggiare solamente se accompagnato.

Ma la forza interiore scaturiva dalla fierezza e dalla consape-


volezza delle sue imprese passate. Il denaro e i riconoscimenti uf-
ficiali promessi lo attendevano.

San Cristoforo aveva attraversato il fiume in piena con in brac-


cio il bambin Gesù, per portarlo in salvo ai suoi genitori. 1500
anni dopo, un altro Cristoforo aveva attraversato l'oceano, per
portare nuove terre, nuove conquiste, nuove ricchezze e ulteriore
potere ai suoi capi.

Era il momento di incassare.

155
Nonostante gli acciacchi, l'esploratore genovese si recò a Sivi-
glia, ma con meraviglia dovette prendere atto che i suoi fino ad al-
lora protettori e finanziatori, il Re Ferdinando e la Regina Isabel-
la, non avevano alcuna intenzione di incontrarlo. Per giorni attese
invano un appello a Corte, quindi abbandonò i tentativi.

Si recò a Segovia, dove, grazie soprattutto all'intermediazione


del figlio maggiore Diego, che era membro della Guardia Reale,
riuscì ad ottenere un breve incontro con il Re, ma il monarca non
si pronunciò in suo favore, e anche in quella circostanza Colombo
dovette rassegnarsi.

Stranamente, tutti coloro che in passato lo avevano incitato e


finanziato nelle imprese d'oltre mare, clero e monarchia, ora pren-
devano le distanze da lui.

Verso la fine 1505, Colombo ottenne quasi inaspettatamente


un'udienza presso il regnante di Valladolid, seguita da un invito a
pranzo. Meglio che niente.

Quello stesso pomeriggio le condizioni di salute di Colombo


peggiorarono ulteriormente. I figli Diego e Ferdinando lo ricon-
dussero alla residenza dove soggiornavano ormai da oltre un
anno. Il navigatore non si riprese più. Perì pochi mesi dopo, il 20
maggio 1506, non ancora cinquantacinquenne, si dice per un at-
tacco di cuore. Alla presenza dei figli e del fratello, che si chiama-
va anch'esso Diego, Cristoforo Colombo, disteso sul letto di mor-
te, pronunciò le sue ultime parole: “Rimetto il mio spirito nelle
mani di Dio...”.

I funerali si tennero a Valladolid, ma il suo corpo tempo dopo


fu trasferito e sepolto nella Certosa di Santa Maria de las Cuevas,
a Siviglia. Nei decenni seguenti, la salma fu riesumata e trasferita
a più riprese: da Siviglia a Santo Domingo, quindi a Cuba e infine
nuovamente a Siviglia. Nel frattempo, clero e monarchia si erano
spartiti la sua eredità fatta di appunti, ricerche, annotazioni, osser-

156
vazioni, ragionamenti e conclusioni: una gran quantità di docum-
enti manoscritti spesso scomodi.

Infatti, secondo i resoconti storici ufficiali imposti all'epoca e


giunti fino ai nostri giorni, Cristoforo Colombo morì senza sapere
che quello da lui a più riprese esplorato fosse il Nuovo Mondo,
come tutti, in quel periodo, ma pensando di aver raggiunto le In-
die per una via più breve. Quei suoi scritti che non vennero mai
divulgati, per contro, dimostravano che il navigatore genovese,
non solo sapeva di aver esplorato un nuovo continente, ma sapeva
pure (come lo sapeva chi lo finanziò) di non essere stato il primo.
Tutto il resto era farsa e faceva parte del gioco, compreso il nome
di Indios che venne attribuito alle popolazioni del Sud America.

Il suo ruolo fu in primis quello di permettere alla Chiesa un'uf-


ficializzazione “morbida” di quanto sempre rinnegato in passato,
ma che ormai non poteva più venire contenuto e confutato, a mo-
tivo dei sempre più frequenti viaggi e resoconti da parte di popo-
lazioni estranee al controllo del clero. In secondo luogo, gli sco-
pritori ufficiali delle Americhe avrebbero dovuto essere dei cri-
stiani cattolici, così da assumerne l'esclusiva e motivare le conqui-
ste e le imposizioni dottrinali alle popolazioni americane.

157
34.

Charleston, Carolina del Sud,


Stati Uniti d'America

Nel giardino della villa illuminato da una serie lampioncini po-


sti a breve distanza l’uno dall’altro lungo tutto il perimetro dell’a-
bitazione, padre e figlio stavano giocando a scacchi sotto una pen-
silina col tetto in bambù.

In quei mesi di forte calura, la tarda sera rappresentava l’unico


momento in cui si riusciva a prendere una vera boccata d’aria,
sottraendosi all’aria condizionata degli interni.

Victor arroccò prematuramente, sottovalutando la buona collo-


cazione dei pezzi avversari, che estendevano il campo d’azione ai
pedoni posti a difesa del suo re. Una valutazione superficiale lo
aveva persuaso che un eventuale sacrificio dell’alfiere nero sareb-
be stato facilmente confutato. Il padre invece sacrificò la torre,
forzando l’apertura della colonna, e Victor si trovò completamen-
te spiazzato da quel piano che non aveva preso in considerazione.
Non gli restò che riprendere a sua volta di torre, trovandosi col
pezzo inchiodato sul re dall’alfiere nero.

L’aria ancora tiepida era pervasa dal profumo delle magnolie,


fiorite il mese precedente, che il giardiniere annaffiava regolar-
mente per alleviare gli effetti della prolungata siccità.

158
Ivan Kabanov mise in gioco la seconda torre sulla colonna
aperta, aumentando la pressione. A corto di difese, dopo un altro
cambio di pezzi, il figlio dovette restituire il materiale in più e ca-
pitolò nel giro di poche mosse.

Nel rovesciare il proprio re in segno di resa, Victor raccolse le


idee e iniziò a informare il padre sul rapporto che il professor Zir-
totkij gli aveva recapitato poco prima. L’installazione del software
ancora in versione beta sui server dell’Information Awareness
Office si stava concludendo. Con espressione di dubbio esternò la
sua perplessità circa l’insufficienza qualitativa del software.

Il padre si mostrò completamente distaccato.

“Il programma ha già fatto sudare fin troppo il nostro professo-


re… Che faccia o meno quanto promesso, ormai non ha più im-
portanza. Quelli dell’agenzia per la sicurezza nazionale vogliono
spiare le casalinghe? Facciano pure! Con tutti i soldi che hanno
speso per quel mio programma hanno il diritto di trastullarsi
quanto credono… se ci riescono. Non possiamo più incanalare ri-
sorse in quella direzione. Li abbiamo presi in giro per troppo tem-
po. Zirtotkij saprà far passare quel software per buono, come fece
all'inizio della sua fortuna Bill Gates con l'IBM, e come ha
sempre fatto in seguito.”

Hui Ling origliava, dietro un cespuglio.

“Per anni ho sempre concesso a Zirtotkij più tempo del pattui-


to, provando nel contempo a ridurre la pressione a cui la NSA ci
sottoponeva. Sono stato io, già agli inizi della nostra collaborazio-
ne con i servizi segreti, a pagare quel giornalista del San Franci-
sco Weekley per far pubblicare il nuovo indirizzo privato e nume-
ro di telefono di Poindexter, allo scopo di creare un diversivo per
guadagnare tempo, nell’attesa che Zirtotkij risolvesse gli ultimi
problemi sul software all'epoca commissionato. Anche se l’ammi-
raglio cambiò aria, per qualche mese la caccia scatenata contro la

159
sua persona ce lo tolse d’impiccio. I nostri sforzi ora sono tutti ri-
volti a procurarci la formula che permetterà al professore di
completare Alfa. Quel bastardo di Sanders non ha voluto rivelarla
nemmeno quando gli abbiamo messo tutti quei milioni sotto il
naso… Ha fatto la fine che meritava, il cane…”

A quelle parole, Hui Ling non seppe trattenersi oltre. Sbucò dal
cespuglio e si lanciò verso Ivan Kabanov, che sedeva di spalle.
Coltellino svizzero alla mano, il primo istinto fu di vendicare la
morte di Andrew. Victor se ne accorse in tempo, comprese quello
che stava per accadere e si interpose sulla traiettoria. Il padre ruz-
zolò poco lontano, mentre il figlio, di schiena sull'erba, cercava
con la mano di afferrare il polso destro della donna sopra di lui,
per contenere il movimento della mano con il coltello. La diffe-
renza di forza tra i due era notevole. Bloccata la presa, il giovane
cercò di districarsi piegando le gambe ed usando le ginocchia uni-
te, a colpire l'addome di lei. Il corpo esile di Hui Ling sobbalzò in
aria. Nel ricadere di lato, la donna allargò le braccia per recupera-
re l'equilibrio e controllare la caduta. Così facendo, la lama del
coltello sfregiò in modo fortuito la guancia di Victor, che si portò
le mani al viso e le guardò colorarsi di rosso.

160
PARTE QUARTA

“Tre cose troverai dovunque: una donna, una spada e una scac-
chiera.”

35.

Charleston, Carolina del Sud,


Stati Uniti d'America

Come il capitano Achab scagliò sul dorso della balena tutta la


sua sete di vendetta, così Hui Ling Rotblat si lanciò sulle spalle di
Ivan Kabanov e gli afferrò la gola. “Scacco!” Questa volta, quel-
l'imprecazione a lei tanto cara nei momenti di tensione, le uscì di
bocca come un urlo d'attacco.

161
Il figlio, non ancora ripresosi dallo sfregio al viso, si stava ri-
componendo in disparte. La ferita alla guancia continuava a san-
guinare mentre lui, aggrappandosi ad un muretto con una mano,
con l'altra cercava di tamponarla.

Ivan Kabanov si piegò in avanti con una mezza capriola, fa-


cendo rovinare a terra la donna che gli serrava il collo. Si alzò e si
mise a correre in direzione delle scale. Raggiunse il primo piano,
mentre Hui Ling, coltellino svizzero in pugno, guadagnava terre-
no.

Si ritrovarono entrambi a contendersi nei corridoi del piano su-


periore, tra statue, mezzi busti, sciabole ed arazzi.

162
36.

Charleston, Carolina del Sud,


Stati Uniti d'America

Nessuno sapeva il suo vero nome. Era conosciuto con l'appel-


lativo di “Dottore” in quanto specializzato in operazioni chirurgi-
che mirate, circoscritte nei modi e nei tempi, che non richiedeva-
no assistenza e non lasciavano tracce. Lui entrava ed usciva in po-
chi minuti. E quando era uscito, l'operazione era già conclusa.

Parcheggiò il veicolo a ridosso del marciapiede, di fronte alle


insegne luminose di un bar.

Entrò nel locale, soffermandosi un istante sull'uscio per dare il


modo alle narici di abituarsi a quell'aria viziata. Si guardò intorno.
Per la gran parte, il ritrovo era frequentato da gente dell'Europa
dell'Est. Erano quasi tutti piuttosto trasandati. Doveva trattarsi di
operai di basso rango, camerieri o commessi di qualche locale si-
mile, che dopo il turno di lavoro si ritrovavano a trascorrere la se-
rata e parte della notte in compagnia, tra connazionali, senza pri-
ma essersi cambiati d'abito. Sedevano a gruppi e chiacchieravano
rumorosamente, perlopiù in russo, sorseggiando chi bicchieri di
birra, chi bottiglie di vodka.

Nonostante un paio di finestre aperte, l'aria era impregnata di


fumo e degli odori di quelle persone.

163
Il Dottore fece qualche passo in avanti, e la vide all'angolo del
bancone.

Nell'aspetto, al confronto degli astanti, la donna pareva una dea


nordica. Alta, lunghi capelli biondi, un corpo slanciato e ben cura-
to, coperto da una camicetta e un paio di jeans. Doveva essere
ubriaca o quasi, a giudicare dalla testa ricurva e dalle bottiglie sul
banco.

L'uomo si avvicinò e le diede modo di accorgersi di lui, alzan-


do la valigetta ventiquattrore fin sotto il suo viso.

Natalia non lo aveva mai visto prima. Lo squadrò dal basso al-
l'alto, soffermandosi sulla valigetta dapprima, poi sul suo sguardo,
quindi sbuffò: “Era ora...”

Con un cenno del capo, il Dottore le indicò di seguirlo. Si di-


resse sul retro, verso i servizi. La donna si ricompose e gli andò
dietro.

All'altro angolo del locale, due giovanotti si erano alzati dal ta-
volo e stavano per venire alle mani per futili motivi. L'oste si av-
vicinò e intervenne prima che potessero iniziare le ostilità:

“Andate fuori a spaccarvi la testa, se proprio ci tenete!...”

Dopo un paio di minuti, il Dottore tornò nella sala, si ricompo-


se la giacca e con la valigetta in mano uscì dal locale.

164
37.

Stoccolma,
Svezia,
Palazzo Reale
Febbraio 1650

I sotterranei del Castello ospitavano gli archivi della Regina, i


depositi alimentari e le prigioni. I locali erano collegati tra loro da
un labirinto di corridoi stretti e bassi, sottratti al buio da torce e
lanterne quel tanto che bastava per orientarsi.

A nord, un cunicolo si spingeva oltre il perimetro del palazzo e


terminava con un portone di legno massiccio cesellato con punzo-
ni e chiodi in ferro. Era l’accesso di una camera umida e cupa, al-
l’interno della quale si erano radunati alcuni uomini.

L’angusto locale era illuminato da candelabri posti ai quattro


angoli e un braciere nel mezzo. L’arredamento consisteva in un
baule sistemato contro una parete a mo’ di altare e una mensola al
muro opposto, sulla quale si trovavano affiancati e ben allineati
tre oggetti: un compasso, un triangolo equilatero in ferro e una
Bibbia.

L’aria era pesante, satura di anidride carbonica e incenso.

165
Quattro confratelli sostavano in piedi, a semicerchio, attorno
alla fiamma. vestivano di fasce e grembiuli neri. Il maestro, da-
vanti a loro, teneva in mano una stella a sette punte sulle quali
aveva steso della resina. Si inginocchiò accanto al braciere e
accese le punte. Si rialzò ed elevò con entrambe le mani la stella
ardente sopra il capo, con gesto solenne. Quindi sentenziò:

«La nostra conoscenza della geometria delle cose, la nostra


erudizione nelle leggi che governano il mondo e il nostro credo in
Colui che ci ha dato la ragione, ci spronano a perpetuare la con-
fraternita, per donare all’essere umano il sapere che gli necessita e
unificare la scienza. Istruiremo le genti, facendoci simili a loro
nell’aspetto, ma superiori nella dottrina.

Fratelli, il lungo cammino della ricerca volge al termine. L’oc-


culta arte è stata svelata. Quando, trent’anni fa, cominciai a com-
prendere il fondamento di questa mirabile scoperta, i segni del
cielo mi indicarono che il mio destino e il mio dovere consisteva-
no nell’approfondire e completare la ricerca a vantaggio dell’u-
manità intera.

Terminerò la stesura della formula della ragione questa sera


stessa e ve ne illustrerò i contenuti domani. La chiameremo Ome-
ga, dall'ultima lettera dell'alfabeto greco.

Ci attende ora un nuovo cammino. Ci faremo portavoci della


saggezza assoluta. Ci recheremo nelle terre più remote e rendere-
mo partecipe della conoscenza l’intera umanità. Edificheremo un
futuro di pace e prosperità.»

La breve cerimonia si protrasse per una manciata di minuti. Al


termine, il maestro abbandonò la stanza per primo. Percorse il
corridoio per qualche decina di metri, fino a un cunicolo laterale
che lo condusse sul retro della cambusa. Si tolse il cappuccio, lo
piegò e lo infilò in una borsa di tela nella quale ripose anche il

166
grembiule. Con le mani, diede una sistemata ai capelli. Infine, salì
le scale e raggiunse l’atrio al pianterreno.

«Signor Descartes, ci tiene compagnia, questa sera, nella sala


dei banchetti?»

Il funzionario della Guardia reale lo distolse dai propri pensie-


ri, ma Cartesio fu lesto a replicare:

«Sono dispiaciuto, ma domattina presto ho un incontro con Sua


Maestà. È meglio che vada a riposare.»

Si ritirò nella stanza degli ospiti, depose la borsa, si rinfrescò e


s’infilò gli indumenti da notte.

L’incontro nell’atrio con la guardia gli rammentò i giorni del


suo secondo viaggio a Parigi, quando la gente lo additò quale
membro dei Rosacroce.

Era successo ventisette anni prima. La città di Parigi aveva ini-


ziato a respirare un’aria nuova, dopo tre anni di contagio pestilen-
ziale. Tra i parigini circolavano storie sugli avvenimenti bellici
dell’Europa di quel periodo. Discutevano in particolare sul Duca
di Baviera e sulle sorti del deposto Federico di Boemia. Erano al
corrente del fatto che Cartesio aveva partecipato a quella guerra.
Molti erano convinti che, mentre era in Germania, il matematico
si fosse affiliato alla confraternita.

I Rosacroce erano definiti «invisibili» per il fatto che non rive-


lavano mai la loro appartenenza alla setta, a motivo della determi-
nata opposizione da parte della chiesa cattolica alle nuove idee
scientifiche, sfociata nell’inquisizione e nella persecuzione di chi
diffondeva dottrine differenti. I membri della confraternita eccel-
levano in varie discipline: conoscevano i rudimenti della chimica
e ostentavano l’alchimia. Erano dotti in matematica, in particolare
nell’algebra e nella geometria. Sostenevano che dopo centinaia

167
d’anni d’esperienza nello studio dell’astrologia, erano in grado di
predire il futuro e di interpretare correttamente l’influenza dei se-
gni celesti sugli eventi umani. I loro scritti e le loro ricerche af-
fondavano le radici in testi alchemici e mistici molto antichi, alcu-
ni dei quali risalenti all’epoca in cui visse l’Ermete Trismegisto.
Se René fosse stato identificato come membro dei Rosacroce,
avrebbe perso il prestigio e la riconoscenza per i propri studi
matematici e filosofici, e la sua stessa vita sarebbe stata in
pericolo.

A Parigi, in quei giorni, Cartesio era giunto in compagnia del


suo fidato valletto, separatamente dagli altri sei confratelli, che vi
si erano recati per un’altra via. Tutti - tranne lui - avevano preso
dimora nel quartiere del tempio, nel Marais. René aveva preferito
rendersi assai visibile, per smentire le voci che si facevano viep-
più dirette. Fece in modo di mostrarsi dappertutto, circondato da
amici. Lo si poteva incontrare per le strade come nei locali nottur-
ni. Nel Marais si recava di nascosto, per assistere alle cerimonie
esoteriche.

Ma ora, in Svezia, i tempi erano cambiati. La Regina Cristina


lo aveva accolto nel palazzo reale per conversare di filosofia; lui
godeva di tutti gli onori e, soprattutto, di grande libertà di movi-
mento. Certo, Cristina di Svezia aveva delle abitudini piuttosto
originali: gli incontri si svolgevano sempre alle cinque della mat-
tina. Si trattava d’altronde di una donna singolare. Chi non la co-
nosceva personalmente, la trovava eccentrica, con quella spalla
più alta dell’altra, i capelli regolarmente scomposti e le mani spor-
che d’inchiostro, come una scolaretta. Di statura era piccola, ep-
pure odiava le calzature con tacco delle dame di corte. Portava
delle buffe scarpette maschili di marocchino nero. Non disdegna-
va gli uomini, ma non aveva mai voluto sposarsi. A caccia era
un’ottima tiratrice. Amava trascorrere le ore ad ascoltare i grandi
del suo tempo, con particolare interesse per i filosofi e i matemati-

168
ci, ma raramente esprimeva la propria opinione. E ora era il turno
di Cartesio.

René si mise a letto. Allungò una mano verso il comodino e ne


estrasse il suo taccuino segreto, ormai ultimato. Aggiunse in codi-
ce le annotazioni finali relative alla propria scoperta e rilesse alcu-
ne osservazioni precedenti. Soddisfatto, spense la lanterna e si ad-
dormentò.

Il valletto lo destò dal sonno quando mancavano quindici mi-


nuti alle cinque. Cartesio s’infilò gli abiti e raccolse qualche ap-
punto in vista del monologo che lo attendeva. Quindi, si recò al-
l’appuntamento.

La biblioteca reale conteneva centinaia di volumi e manoscritti


che richiamavano le gesta dei sovrani che si erano susseguiti alla
guida del popolo del nord. Vi si trovava pure un’ampia raccolta di
documenti scientifici e mistici, che la regina consultava regolar-
mente con interesse e particolare attenzione.

Il fuoco del camino non era sufficiente a scaldare l’aria gelida


dell’inverno scandinavo, ma Cristina di Svezia pareva perfetta-
mente a suo agio e si era accomodata composta sulla poltrona, al
contrario di Cartesio, che imprecava tra sé per non essersi coperto
a sufficienza. La regina sedeva a notevole distanza dal filosofo,
forse per imporre quel distacco che gli ospiti devono sempre os-
servare dai regnanti, ma la cosa obbligava Cartesio a mantenere
un tono di voce elevato, al contrario di quelle che erano le sue
abitudini di esprimersi in modo pacato e costante.

La conversazione era incentrata su alcuni aspetti del discorso


sul metodo, scritto dal filosofo anni addietro. Il libro argomentava
sui fenomeni naturali che avvengono nell’atmosfera e sulla geo-
metria nel suo rapporto con l’algebra. Era stato pubblicato per la
prima volta in Olanda, in lingua francese, in forma anonima, per
paura di ritorsioni della chiesa. L’aspetto filosofico che principal-

169
mente interessava la regina era quello che poneva l’accento sulla
ragione e l’intelletto, a discapito del sentimento e l’immaginazio-
ne.

Cartesio stava esponendo il concetto degli estremi entro i quali


tutto si svolge, quando una dama di compagnia entrò con in mano
una coppa contenente una miscela di essenze in acqua bollente. Al
cenno della regina, l’inserviente depose il recipiente sulla tavola
al fianco dell’uomo, che apprezzò la cortesia e proseguì il discor-
so, cogliendo il profumo dei vapori che si disperdevano nell’am-
biente.

Alle prime luci dell’alba, Cristina di Svezia licenziò soddisfat-


ta l’ospite, che ritornò nel proprio alloggiamento nella speranza di
poter recuperare qualche ora di sonno. Cartesio non riuscì però ad
addormentarsi, a causa di una certa difficoltà a respirare.

La cosa peggiorò e condusse l’uomo alla morte che avvenne,


secondo la versione ufficiale, per cause naturali. Poco prima di
esalare l’ultimo respiro, ebbe modo di osservare impotente le due
guardie reali che perquisivano i suoi effetti personali, sofferman-
dosi a verificare i contenuti dei documenti. Uno dei funzionari,
rinvenuto il taccuino, richiamò l’attenzione del collega. Questi si
avvicinò, sfogliò con attenzione qualche pagina e annuì, ad indi-
care che quello era l’oggetto delle loro ricerche. Poco dopo, senza
degnare di uno sguardo il moribondo, abbandonarono in silenzio
il locale. L’ultima cosa che Cartesio riuscì a intravedere fu lo spi-
raglio di luce all’esterno che si riduceva man mano che la porta si
chiudeva dietro di loro. Poi fu il buio.

Nella dichiarazione pubblica venne iscritta quale causa princi-


pale del decesso un’infiammazione polmonare causata dal freddo.

Un moderno esame autoptico avrebbe potuto accertare l’avve-


nuta inalazione di cloruro di tinile, anche conosciuto come cloruro

170
dell’acido solforoso, che distrugge il tessuto dei polmoni e provo-
ca il decesso in poco tempo per edema polmonare.

171
38.

Charleston, Carolina del Sud,


Stati Uniti d'America
Ottobre dell'anno precedente

Il personale tecnico era in fermento. L’implementazione della


formula del ragionamento nelle matrici del primo processore iso-
lineare si era conclusa. Gli ingegneri stavano ultimando le verifi-
che del protocollo di conversione in codice binario delle informa-
zioni elaborate nel nuovo linguaggio. Andrew Sanders aveva su-
pervisionato l’intera operazione affiancato dai più stretti collabo-
ratori.

Samuel Rotblat e il figlio, nell’attesa del primo test del nuovo


calcolatore, stavano dialogando in disparte.

“Ma se l’Aymara fosse realmente il linguaggio originale del-


l’umanità, significa che il Paradiso Terrestre si trovava nel
continente americano?”

“Non necessariamente, Joshua. L’Eden era situato da qualche


parte nell’attuale Medio Oriente, probabilmente nelle terre fertili
tra il Tigri e l’Eufrate. In poche centinaia di anni, i popoli si
espansero in buona parte dell’Africa e del Sud America…”

Joshua si contrasse in una smarrita espressione di incredulità.

172
“Attraversarono l’oceano Atlantico?!...”

“No, no, figlio mio… Il Sud America a quell’epoca era parte


del continente africano. La sua separazione e il suo allontanamen-
to non avvennero - come invece si sostiene - nell’ambito di un
processo che durò milioni di anni. La Terra non è così vecchia…
Si verificò invece in pochi giorni…”

“Pochi giorni?!... Papà, quello che mi stai dicendo ha dell’in-


credibile…”

“Quaranta, per l’esattezza. Durante il grande diluvio...”

Samuel aprì la sua vecchia bibbia alle prime pagine, poi conti-
nuò. “… Non piovve soltanto dal cielo. Le profondità della terra
si squarciarono e l’acqua prese il loro posto.” Avvicinò il libro
perché il figlio potesse leggere, quindi indicò un versetto.

“In Genesi 7, 11 si legge che tutte le fonti del grande abisso


fuoriuscirono impetuosamente. Il cataclisma fu globale. Quando
le acque si ritirarono, le terre emerse avevano assunto connotati
completamente diversi da quelle che Noè si era lasciato alle spalle
chiudendo la porta dell’arca.”

Sfogliò delicatamente la pagina successiva del libro e riprese


fiato.

“Tutto è sotto i nostri occhi, ma non siamo predisposti a veder-


lo. Fai la prova: procurati una cartina geografica, ritaglia i contor-
ni orientali del Sud America e quelli occidentali dell’Africa. Poi
avvicinali. Ti sorprenderà constatare che combaciano quasi per-
fettamente con una precisione che non può essere casuale, né mo-
dellata da milioni di anni di movimento.

Noè parlava Aymara, come tutti, del resto, per secoli, fino ai
fatti di Babele; lo trovi in Genesi 11,1. Poi fu il caos linguistico.

173
In seguito dev’essere successo che i primi colonizzatori del conti-
nente americano, gli antenati degli indios andini, si siano imbat-
tuti nelle tavole lessicali dell’Aymara, che sono sempre state lì, da
prima del diluvio. Sorpresi dall’enorme potenziale comunicativo
dell’antico idioma, lo hanno riportato in vita, sia pure a uso esclu-
sivo di una ristretta cerchia di persone…” alzò lo sguardo a cerca-
re Sanders.

“… e ora il nostro bravo Andrew ne ha fatto un computer”, iro-


nizzò.

Quasi avesse compreso di essere stato tirato in causa, il mate-


matico si avvicinò.

“Signore, siamo pronti…”

Padre e figlio si alzarono e raggiunsero il gruppo di tecnici.

Sanders indicò l’interruttore, con la mano lievemente tremante


per la comprensibile eccitazione. “Signor Presidente, vuole avere
l’onore?”

Samuel Rotblat avvicinò l’indice destro sul pulsante. Poi lo ri-


trasse e appoggiò con affetto e ammirazione il braccio sulle spalle
del collaboratore.

“Lo faccia lei, Andrew. E’ lei il padre di questa creatura.”

174
39.

Georgetown, Carolina del Sud,


Stati Uniti d'America
Sede centrale della Sun Operation Network

L’impegno profuso negli ultimi decenni da Shireen, capo del


Collegio Religioso, aveva dell’incredibile. La donna, costante-
mente in viaggio tra l’America e l’Asia, aveva saputo conciliare il
meglio di riti e culti diametralmente opposti in una filosofia di
vita che in poco tempo aveva lusingato nella sola America milioni
di proseliti, di ogni classe sociale. La Nuova Era si era poi espan-
sa e affermata anche in Europa, sostenuta da una moltitudine di
persone influenti che ne elogiavano gli effetti positivi per la men-
te e lo spirito.

Shireen era di origine indiana. I tratti asiatici erano accentuati


da un trucco curato. Foggiava un aspetto impeccabile. Elegante,
snella e ancora molto affascinante, nonostante i suoi sessantadue
anni, esternava con il fisico e con il portamento i benefici della
dottrina che divulgava.

“Inquinare, confondere, sviare. E’ sempre stata questa la for-


mula magica.”

La sua voce sicura ma armoniosa al contempo aveva incantato


una moltitudine di gente.

175
“Inquinare il vero, introducendo qua e là circostanze errate che
saranno poi additate ed enfatizzate a dimostrazione della scorret-
tezza dell’intera dottrina. Funziona da sempre, in ogni campo. In-
serite una presunta incongruenza in una serie di enunciati di per sé
impeccabili, e la gente si distanzierà dal tutto.”

Avon, che sedeva alla sinistra della donna, le fece un cenno


d’assenso. Conosceva bene la tecnica. L’aveva sistematicamente
utilizzata per demolire le affermazioni degli avversari politici dei
suoi uomini. In molte nazioni, ottimi candidati alla presidenza
avevano perso le elezioni a motivo di scandali costruiti ad arte.

“Confondere. Distaccata da ciò in cui credeva, la gente resta


per qualche tempo disorientata. Occorre incentivare questo stato
d’animo, introducendo ed indicando una moltitudine di nuove
strade, di fresche dottrine, tutte con qualche aspetto positivo, ma
nessuna accettabile nel suo insieme.”

Anche Jyzene annuì.

“Sviare. Nell’incertezza creatasi, le persone sono maggiormen-


te vulnerabili. Prendetele per mano con argomenti persuasivi e vi
seguiranno. Attraverso un’informazione efficace e una propagan-
da sostenuta da uomini carismatici, abbiamo promosso i benefici
della dottrina che s’intendeva instaurare; l’abbiamo indicata come
l’unica in grado di soddisfare le esigenze spirituali e materiali del-
l’individuo. L’abbiamo sostenuta a livello politico quale panacea
universale all’odio e al disprezzo, promossa nelle iniziative cultu-
rali quale forza trainante per una pace duratura, insegnata sui ban-
chi di scuola in termini di ideologia esistenziale e filosofia di vita.
Abbiamo abusato in ogni dove dei termini amore, uguaglianza e
fratellanza. Il gioco è fatto. Chiamatela nuovo umanesimo, transu-
manesimo, teosofia, nuova era. Chiamatela come vi pare. E’ ciò in
cui la gente crede oggi. Porgo qui i miei ringraziamenti alle azioni

176
del Collegio religioso, e soprattutto al notevole impegno della
nostra Alice, che ci ha reso un ottimo servizio.”

Shireen si riferiva ad Alice Bailey, che fu seguace di Madame


Blavatsky, fondatrice della Società Teosofica, un culto esoterico
luciferiano. Alla morte della Blavatsky, la Bailey assunse la guida
della società. Non si tratta di una setta satanista ottocentesca, da
cui ognuno si guarderebbe. La Teosofia ha avuto un successo
enorme; ha dato vita al misticismo della New Age, chiaramente
luciferiano, e gode di grande prestigio negli ambienti più impor-
tanti.

Alice Bailey è l’ispiratrice del programma formativo dell’U-


NESCO. Durante le sue esternazioni pubbliche, ha dichiarato di
aver scritto molti dei suoi libri posseduta dall’entità incorporea
del maestro tibetano Diwal Khul. La sua formula mistica per rag-
giungere gradi superiori di coscienza è stata tradotta in 50 lingue
ed è il mantra del New Age. Ha ricevuto l’attenzione dei dignitari
mondiali presso le Nazioni Unite, dove è stata ascoltata in molte
conferenze ufficiali e durante le cerimonie di apertura del Summit
di Rio de Janeiro del 1992. Intanto ha fondato una società, la Lu-
cis Trust, tra le più rispettate organizzazioni non governative del-
l’ONU, il cui nome originale era Lucifer Trust, la Fede in Lucife-
ro.

Shireen fece una pausa. Si versò un po’ d’acqua nel bicchiere,


che mandò giù a piccoli sorsi.

“Com’è noto, fin dagli inizi, il Collegio religioso si è adoperato


nell’azione d’inquinamento del cristianesimo originale. Attraverso
il Concilio di Nicea abbiamo potuto ufficializzare l’introduzione
di dogmi e riti pagani nel culto cristiano che hanno provocato,
come ci si attendeva, uno scisma interno alla chiesa e il conse-
guente allontanamento di molti fedeli.”

177
Il Concilio di Nicea venne istituito dall’imperatore Costantino
nell’anno 325, allo scopo di uniformare i riti della chiesa (conci-
liare, appunto). Si ottenne invece l’effetto opposto. Da allora, la
religione cristiana si è scissa in cinque grandi correnti dalle quali
hanno preso vita complessivamente 56 chiese di natura diversa.
Queste hanno istituito 172 differenti ordini e congregazioni. Il
corpus dottrinale venne di volta in volta modificato o stravolto dal
pontefice di turno, spesso per interessi personali, con la convin-
zione (vera o presunta) che quella dei precedenti non era la verità;
solo la sua lo era.

“Nei secoli, si è vista la nascita e la crescita di nuovi movimen-


ti, confessioni, sette. Alla fine del secondo millennio regnava la
confusione e l’incertezza. La chiesa cattolica si trovava al suo mi-
nimo storico di consensi. In nome di Dio si sono combattute le
guerre più atroci. I tempi erano maturi e il terreno era predisposto
per indirizzare le masse verso la religione universale, che decrete-
rà la fine dell’epoca attuale e l’inizio del nuovo regno. Il cristiane-
simo è oggi naufragato in una miriade di comunità e gruppi,
ognuno dei quali pretende di essere il vero depositario della dot-
trina originale.”

La donna estrasse un foglietto da una tasca interna.

“La maggior parte delle associazioni definite cristiane, nonché


dei loro leader, sono al nostro servizio.”

Lesse ad alta voce i nomi di decine di società, testate giornali-


stiche, reti televisive cristiane e capi carismatici che pur definen-
dosi cristiani, appoggiavano il progetto di unificare tutte le reli-
gioni e introdurre quella di un solo governo mondiale che potesse
garantire pace e sicurezza. Molti di questi uomini neppure si pre-
occupavano di nascondere la loro appartenenza a organizzazioni
di tutt’altro indirizzo, come il “Council for Foreign Relations”, o
di essere sul libro paga della CIA. Altri si limitavano a intascare

178
ingenti finanziamenti dagli enti statali e parastatali, al prezzo di
promuovere nei loro sermoni i proclami per la cooperazione
religiosa e l’unione di tutte le fedi.

“Dio si starà chiedendo se l’hanno mai letta, la bibbia, questi


cosiddetti cristiani praticanti…”

Delos e Jyzene sorrisero.

“Nel corso della prima fase, quella detta “della conoscenza oc-
culta”, abbiamo riposto nelle mani della chiesa di Roma, in quan-
to struttura ermetica, la conoscenza che spettava all’umanità.
Quando, nel 1700, la strategia della nostra organizzazione è pas-
sata alla seconda fase, quella del “razionalismo controllato”, ci
siamo preoccupati di incentivare la confusione. Oggi il Vaticano
sta concludendo il suo corso. Le innumerevoli circostanze in cui
gli ultimi pontefici hanno dovuto ammettere gli errori dei loro pa-
stori ne hanno pregiudicato la credibilità. I tentativi di rinnovare
la chiesa, i compromessi con le comunità ortodosse e di altre con-
fessioni e infine il processo di apertura e accostamento di tutte le
religioni avviato da Giovanni Paolo II, hanno agevolato l’introdu-
zione della nostra dottrina su scala mondiale. Nel nome della pace
e della fratellanza si prega nel contempo a Dio e agli altri dei,
ignorando le ammonizioni del secondo comandamento.”

La donna assunse un tono di severa soddisfazione e, rivolgen-


dosi direttamente a Avon, concluse:

“Questo collegio ha espletato con successo i propri incarichi,


raggiunto pienamente gli obiettivi. La loro porta è chiusa; la no-
stra è aperta. Spetta ora al nostro capo e leader del Collegio Politi-
co caldeggiare il nuovo credo, promuoverlo e sostenerlo in ogni
ambito, sia esso diplomatico, economico o intellettuale. Agli ulti-
mi avversari, infine, dovrà imporlo con la forza, giustificata dal
consenso della maggioranza.”

179
40.

Charleston, Carolina del Sud,


Stati Uniti d'America

Nei corridoi del piano superiore della villa di Victor Kabanov,


il padre si fronteggiava con la moglie dell'odiato rivale in affari.

In considerazione dell'enorme differenza di costituzione fisica,


lo scontro si delineava impari anche se Hui Ling impugnava anco-
ra il coltellino svizzero. A suo favore giocavano anche l'età e l'a-
gilità, ma la forza dell'uomo e l'esperienza delle innumerevoli bat-
taglie – anche fisiche – da lui sostenute in passato non offrivano
grandi margini di manovra all'esile donna.

Nel frattempo, il figlio si era mendicato la ferita alla guancia


con un grosso cerotto, e stava per avviarsi a dar manforte al padre,
quando questi frenò le sue intenzioni: “Resta giù! Me la sbrigo da
solo!”

Sopra una mensola in legno appesa alla parete erano poste al-
cune porcellane antiche dipinte a mano, dai colori variopinti, an-
cora vivaci, nonostante l'età degli oggetti che dovevano avere
qualche centinaio d'anni e provenire probabilmente dal Sud Ame-
rica.

180
Ivan Kabanov afferrò la mensola e con un movimento secco
del braccio la tirò verso di sé, schiodandola dal muro. Vasetti, an-
fore e ciotole presero il volo, andando a schiantarsi contro la porta
alla fine del corridoio dietro di lui. Caricò il braccio arretrandolo
dietro le spalle, e scagliò la mensola con tutte le sue forze contro
la donna.

Hui Ling d'istinto si gettò di lato, in un anfratto angusto in cui


si trovava una colonna di marmo che sosteneva un busto di Napo-
leone. Evitò di un niente la mensola, ma urtò contro la colonna,
facendola vacillare, e rovinando a terra. Nel sobbalzo, il busto si
rovesciò e le cadde sulla schiena.

Quando riaprì gli occhi, la sagoma di Ivan Kabanov copriva


l'intera apertura dell'anfratto. Hui Ling cercò di rannicchiarsi tra il
muro e la colonna, ma un violento ceffone al viso le fece sbattere
il capo contro la parete e perse i sensi.

Il coltellino svizzero con la lama aperta era sul pavimento, a


pochi centimetri da lei. Ivan Kabanov lo fece slittare fuori dal pic-
colo vano, poi con un calcio lo fece volare oltre il corrimano, fino
al piano inferiore.

Victor lo raccolse, ne rientrò la lama, e se lo mise in tasca.

181
41.

Southampton,
Regno Unito
Aprile 1912

Il progetto Federal Reserve System annoverava già parecchi


oppositori, che grazie alla loro esperienza in materia avevano in-
tuito i secondi fini celati dietro all'operazione finanziaria del seco-
lo.

Quelli maggiormente determinati a contrastarne l'attuazione


erano tre dei più facoltosi e prominenti imprenditori dell'epoca:
Benjamin Guggenheim, Isidor Strauss e John Jacob Astor IV.
Quest'ultimo era probabilmente in quel periodo l'uomo più ricco
al mondo.

I tre uomini d'affari si trovavano nella cittadina portuale ingle-


se per imbarcarsi alla volta degli Stati Uniti dove, appunto, si sa-
rebbero indirizzati al governo americano con i propri argomenti,
per metterlo al corrente dei veri intenti occultati dietro alle pro-
messe di un sistema monetario efficiente e vigoroso per la nazio-
ne. E questo rappresentava un problema critico per i fautori del
progetto, le tre famiglie che già controllavano il sistema economi-
co inglese, francese, tedesco, italiano e austriaco, e che ora vole-
vano mettere le mani su quello americano: il cartello Rothschild-
Rockefeller-Morgan.

182
Benjamin Guggenheim avrebbe dovuto partire l'undici, ma per
un infelice quanto raro malinteso nelle prenotazioni, gli venne of-
ferto un biglietto di prima classe a bordo di un lussuoso bastimen-
to che avrebbe salpato le ancore il giorno prima, per il suo viaggio
inaugurale: il Titanic.

Con altri pretesti, anche Strauss e Astor vennero persuasi ad


imbarcarsi sulla stessa nave.

Costruito presso i cantieri Harland and Wolff di Belfast, il Ti-


tanic rappresentava la massima espressione della tecnologia nava-
le del tempo, ed era il più grande e lussuoso transatlantico del
mondo. La nave aveva una capacità utile di 3.547 persone tra pas-
seggeri ed equipaggio. Disponeva di 29 enormi caldaie che erano
in grado di bruciare oltre 700 tonnellate di carbone al giorno, e
fornivano una forza trainante pari a 16 mila cavalli di potenza. La
velocità di crociera era di 23 nodi, quella massima di 26, e la nave
in movimento spostava al suo passaggio circa 50 mila tonnellate
d'acqua.

Nella lista dei passeggeri figuravano anche i rappresentanti


delle famiglie fautrici del progetto Federal Reserve System. Tra
questi, vi erano John Pierpont Morgan e Lord William James Pir-
rie.

Oltre alle innumerevoli altre cariche di prestigio, J. P. Morgan


era nientemeno che il finanziatore dell’International Mercantile
Marine Company, la compagnia che controllava la White Star
Line, proprietaria del Titanic. Morgan cancellò, all’ultimo minuto,
per motivi ufficialmente sconosciuti, la sua partecipazione a quel-
l'importante viaggio inaugurale della sua ammiraglia.

Lord William James Pirrie era il presidente dei cantieri Har-


land&Wolff, gli scali del Titanic. Anch'egli all'ultimo non s’im-
barcò, adducendo un non meglio precisato malessere.

183
Annullarono tra gli altri la loro prenotazione anche Henry Clay
Frick, il grande magnate americano dell’acciaio, e George W.
Vanderbilt, tutti in affari con la famiglia Morgan.

Solamente tre dei quattro fumaioli erano funzionanti. Il quarto,


che aveva solo la funzione di presa d'aria, era stato aggiunto so-
prattutto per rendere la figura della nave più imponente. Le sale
macchine erano in piena attività. Tutto era pronto. Il Comandante
era all'oscuro delle trame che erano state delineate per quel viag-
gio. A mezzogiorno in punto del 10 aprile, impartì l'ordine ai se-
condi, che lo trasmisero ai preposti: “Mollare gli ormeggi!”.

Il Titanic e i suoi due gemelli Olympic e Britannic erano stati


progettati per offrire un collegamento settimanale di linea con l'A-
merica, e rafforzare il dominio delle rotte oceaniche alla White
Star Line.

Gli innumerevoli rimorchiatori a disposizione portarono a ter-


mine con fatica il loro compito di allontanare l'enorme vascello
dalla banchina. Poi la nave, a distanza di sicurezza dalla terra fer-
ma, imboccò la sua rotta, il suo destino. Fu il suo primo e ultimo
viaggio.

Il Titanic si diresse a nord-ovest a una velocità di crociera ini-


ziale di 20 nodi. Nella sua torretta, il marconista trasmetteva e ri-
ceveva messaggi di saluto e auguri per quella che si presentava
come una crociera straordinaria.

Soprattutto per i passeggeri di prima e seconda classe, quei


quattro giorni di navigazione trascorsero assai velocemente. Sul
Titanic, d'altronde, non c'era di che annoiarsi. Lussuosi ristoranti,

184
caffè, sale da ballo, musica, una piscina coperta e intrattenimenti
vari lasciavano l'imbarazzo della scelta.

Erano disponibili tre ascensori per la prima classe e, novità per


l'epoca, un ascensore anche per la seconda classe, dove alloggiava
la media borghesia.

La terza classe valeva comunque la seconda sulle altre navi, ed


era decorata con legno di pino verniciato di bianco, pareti smalta-
te e sedie di teak. Nell'unico ristorante disponibile, comunque
molto capiente, era collocato un pianoforte.

La maggior parte dei passeggeri di terza classe si recava in


America in cerca di lavoro. Alcuni trascorrevano le giornate di
sole sui ponti inferiori, ad ammirare l'immensità di quel freddo
oceano, a passeggiare o a condividere tra loro sogni e ambizioni.

L'imprevisto si verificò nella notte tra il 14 e il 15 aprile. Era


una notte particolarmente fredda. Il buio era totale. Una leggera
nebbia limitava notevolmente la visibilità prodotta dai grandi fa-
nali di prora. Alle 23:40, le vedette notarono quella che sembrava
l'ombra di un iceberg a qualche centinaia di metri davanti alla
nave. Per sfortunate coincidenze, le vedette potevano contare solo
sui loro occhi, perché sulla nave non c'erano binocoli.

«Iceberg dritto a prua! Iceberg dritto a prua!»

In quel momento al comando c'era il primo ufficiale Murdoch,


che ordinò di virare immediatamente a sinistra e di mettere le
macchine "indietro tutta". Ma alla velocità di oltre 20 nodi, devia-
re a sufficienza o rallentare un colosso come il Titanic in poche
centinaia di metri era un'impresa impossibile.

Sopra la linea di galleggiamento, la nave sfiorò a tribordo l'ice-


berg senza toccarlo, ma la porzione immersa di quel blocco di

185
ghiaccio tranciò parzialmente i pannelli d'acciaio della parte
anteriore destra della fiancata, schiodandone alcuni lati.

L'impatto non fu tremendo, e neppure determinante. Con la sua


mole di oltre 46 mila tonnellate, la nave vacillò appena. La mag-
gior parte dei passeggeri nemmeno si accorse del lieve sposta-
mento di lato.

L'incidente non fu deliberato. Si trattò appunto di un imprevi-


sto, di una casualità, una beffa del destino. Secondo i piani, il Co-
mandante avrebbe dovuto governare il bastimento oltre la zona
dei ghiacci. Era stato pianificato che il Titanic affondasse con al-
tre modalità più a nord, in una zona da giorni predisposta, dove
avrebbe trovato diverse altre imbarcazioni pronte al soccorso, in-
cluso il Californian, della compagnia Leyland Line, che faceva
sempre capo al gruppo Morgan. Per il resto, avrebbe dovuto trat-
tarsi del più grande salvataggio della storia navale, e come tale ri-
cordato nei secoli. Con pochi morti, quelli predestinati. Le com-
pagnie di assicurazione, infine, avrebbero risarcito il teatro di
quella messinscena.

Invece il Comandante Smith aveva scelto una rotta più bassa,


che gli avrebbe permesso di guadagnare qualche ora sull'arrivo
previsto. Era al corrente che qualche bollettino aveva annunciato
la possibile presenza di blocchi di ghiaccio su quel tragitto, ma
era altrettanto conscio che in quell'oceano immenso, le possibilità
di incrociarne uno erano quasi nulle.

L'intero equipaggio era indirettamente stipendiato da J. P.


Morgan, che controllava la compagnia armatrice del Titanic. Nei
vari reparti, alcuni marinai scelti erano al soldo del magnate in
maniera molto più diretta e concreta.

Allo stato delle cose, la nave, che ormai si era arrestata, non
sarebbe mai giunta sul luogo previsto per il naufragio. Inoltre, le
falle sullo scafo non erano forse sufficienti perché il Titanic af-

186
fondasse sul posto prima dell'arrivo dei soccorsi, se mai sarebbe
affondato. E soprattutto, non sarebbe morto chi doveva morire.
Quella nuova realtà obbligò un cambio di programma e un'imme-
diata reazione.

Con l'apertura di sei falle sotto la linea di galleggiamento, si al-


lagarono parzialmente cinque compartimenti stagni. La nave non
avrebbe potuto rimanere a galla a lungo con i cinque scomparti
completamente allagati. Ma le pompe idrauliche lavoravano a pie-
no regime per restituire al mare quanta più acqua possibile. I ma-
rinai lasciarono le postazioni e si rifugiarono ai livelli superiori.
Gli ultimi a uscire, forse per la fretta, forse per altre ragioni, non
sigillarono tutti gli scomparti intermedi. Due pompe vennero
spente intenzionalmente. Il reparto di prora si allagò completa-
mente in pochi attimi. Il conseguente inabissamento parziale della
prua fece tracimare l'acqua verso gli altri comparti per effetto do-
mino, rendendo pressoché inutile il lavoro delle pompe idrauliche
restanti. La nave cominciò a inclinarsi a sinistra. 2 ore e 40 minuti
più tardi il Titanic si inabissò, spezzandosi in due tronconi. Erano
le 2:20 del 15 aprile.

Nel naufragio perirono 1.518 persone.

Nonostante la maggior parte dei passeggeri di prima classe si


salvò con le scialuppe disponibili, nell'elenco dei deceduti si an-
noverano anche i nomi illustri di Benjamin Guggenheim, Isidor
Strauss e John Jacob Astor IV. Nei decenni successivi, per contro,
la J. P. Morgan si affermò come una delle maggiori piattaforme
finanziarie mondiali.

Morì nell'evento anche Edward John Smith, che si trovava al


suo ultimo comando dopo una carriera durata oltre 40 anni. In una
sua celebre dichiarazione aveva affermato di non riuscire a
immaginare alcun tipo d'infortunio che potesse accadere a questi

187
nuovi transatlantici, poiché la tecnica di costruzione era andata
ben oltre gli incidenti che si potessero all'epoca immaginare.

L'anno seguente, La FED fu ufficialmente istituita dal Con-


gresso degli Stati Uniti con l'approvazione del Federal Reserve
Act del 23 dicembre 1913, giusto in tempo per assumere la gestio-
ne degli enormi finanziamenti che si sarebbero imposti per soste-
nere i costi della Grande Guerra.

Nel corso della Prima Guerra Mondiale, le risorse belliche del-


la Germania, come di altre nazioni coinvolte, furono in buona par-
te finanziate a credito dalla Federal Reserve americana, controlla-
ta dal cartello Rothschild-Rockefeller-Morgan. Per ironia della
sorte, il Californian, il bastimento di proprietà dei Morgan che tre
anni prima avrebbe potuto salvare centinaia delle vittime del Tita-
nic, fu affondato nel Mediterraneo da un sottomarino tedesco.

A oltre cento anni dal naufragio, negli archivi governativi bri-


tannici, americani e di altre nazioni ci sono ancora molti
documenti secretati sugli eventi che condussero al naufragio del
Titanic.

188
42.

Charleston, Carolina del Sud,


Stati Uniti d'America

In piedi a una spanna dalla donna, la guardava dall'alto in bas-


so con loquace soddisfazione. Hui Ling Rotblat sedeva immobile
con le caviglie e i polsi legati, il viso abbassato per non incrociare
il suo sguardo.

“Se dico Turing, cosa risponde?”

“Cos’è, un test?... So tutto di Turing. Era un matematico ingle-


se, logico e crittoanalista. Non era certo uno come lei! Dove vuole
arrivare?” Diede uno strattone alla sedia.

Kabanov non reagì all'implicita offesa, ma si rilassò sulla pol-


trona. “Tutto qui? Vada avanti, signora Rotblat.”

“A Bletchey Park progettò l’elaboratore elettromeccanico in


grado di decifrare il Codice Enigma usato dalla Germania nazista.
Dopo la guerra, lavorò sui computer. Tra le altre cose, progettò il
primo programma in grado di giocare a scacchi. Turing è conside-
rato il padre dell’informatica moderna. Morì nel 1954, all’età di
42 anni.”

“E come è morto?”

189
“Per avvelenamento. Pare si sia suicidato.”

Kabanov scattò in piedi con un impeto d’ira, quasi fosse stato


colpito in prima persona.

“Balle! Turing è stato ucciso dal cianuro iniettato in una mela!”

“E con ciò? Cosa c’entra tutto questo con me e mio marito?


Cosa c’entra con la CASIAS?”

L’uomo riprese il controllo e sembrò rilassarsi. Tornò a sedere.


Ma gli occhi lucidi e gonfi d’ira lasciavano intendere che stava
solo caricando le polveri per lanciare la bordata seguente. Avvici-
nò il bicchiere di vodka alle narici, per assaporarne i vapori.
Quindi lo ripose sulla scrivania.

“C’entra più di quanto crede, signora Rotblat.” Appoggiò la


nuca allo schienale fissando il soffitto, come per prolungare l’an-
sia che percepiva in lei. Un breve attimo, quindi proseguì.

“Quel bastardo omosessuale era riuscito a sviluppare un test


basato sulla capacità di un osservatore umano di confermare o
smentire la natura meccanica di un interlocutore, basandosi esclu-
sivamente su conversazioni battute su telescriventi.”

“Continuo a non capire…”

“Sergej Kabanov, mio padre, stava perfezionando in quel pe-


riodo il primo software d’interpretazione di informazioni
testuali.”

“Text mining?”

“Quanto meno un precursore, che girava su macchine rudimen-


tali. Ma si trattava del lavoro di tutta una vita. Lavoro che Turing,
a causa del suo studio sulla natura meccanica di un interlocutore

190
aveva reso obsoleto prima ancora che venisse commercializzato.
Lo ha rovinato, capisce? Fu mio padre a iniettare il veleno in
quella mela, vendicandosi per il futuro di miseria cui Turing lo
aveva condannato! Papà mi ha sempre raccontato di averlo ucciso
per ordini superiori di non so quale agenzia per la sicurezza
nazionale, ma io sono certo che la sete di vendetta reclamava la
sua parte quando ha infilato l’ago nella polpa della mela!”

“Lei è pazzo! Pazzo come suo padre!”

“Ho trascorso vent’anni a cercare di riabilitare mio padre. Ba-


sandomi sulle sue ricerche e grazie al supporto dei migliori pro-
grammatori, ho quasi pronto un software di Data mining che po-
trebbe restituire alla famiglia Kabanov il potere, rivoluzionare il
mondo, se esistesse un elaboratore con potenza di calcolo suffi-
ciente a farlo funzionare. Ma la tecnologia ora esiste, vero, signo-
ra Rotblat?... Se disponessi della formula dei vostri chip isolinea-
ri, potrei strutturare un sistema multiprocessore con cui esternare
le capacità di Alfa...”

“Alfa?...”

“Il mio programma!... I vostri giocattoli sono basati su Omega?


La fine?... Il mio rappresenta… l’inizio!”

“Lo sa meglio di me che l’intera formula del ragionamento è


sviluppata sul numero Omega, teorizzato da Gregory J.
Chaitin…”, dissentì la donna.

“I lavori di Chaitin riprendono i concetti di Turing e Gödel!


Turing soprattutto ha gettato le basi che hanno permesso a Chaitin
dapprima e a voi dopo di cercare nella giusta direzione. Ha man-
dato in malora mio padre e ora dalla tomba vuole fare lo stesso
con me. Senza di lui, i vostri chip non esisterebbero. Ma voi ve li
tenete ben stretti… Li commercializzate integrati, inalterabili, a
potenza limitata, per far giocare i banchieri con i simulatori di

191
volo... Quei processori potrebbero fare ben altro! Avete il potere e
non lo sapete sfruttare. Avete la formula e la imprigionate in
matrici che ne limitano le risorse!”

“E’ questo che vuole da me… la formula del ragionamento…


E per questo è disposto a uccidere… ed ha già ucciso...”

“Cos’è la vita, signora Rotblat? E’ solo uno dei due estremi di


un universo irrazionale, che appoggia su leggi irrazionali. L’altro
è la morte.”

“L’universo è perfettamente razionale! E’ la nostra limitata


comprensione a dipingerlo illogico!”, ribadì la donna.

Alfa e Omega. La circostanza, pure nella sua drammaticità, de-


notava caratteristiche singolari. Il primo e l’ultimo. Ogni capitolo
dell’universo si concretizza nei suoi estremi: il primo e l’ultimo.
L’inizio e la fine. Il Bianco e il Nero. Come una partita a scacchi.
E’ possibile quantificare, definire e contenere ogni problema, se si
conoscono i suoi estremi. La vita e la morte. Definito il primo e
l’ultimo paragrafo di ogni parte della nostra esistenza, il
contenuto viene da solo. E la verità, occulta che sia ai più, trova la
luce in chi la cerca.

Ma quel giorno, una luce di vita stava per spegnersi.

192
43.

Charleston, Carolina del Sud,


Stati Uniti d'America
Novembre dell'anno precedente

Anche l'opera di miniaturizzazione dei componenti si era con-


clusa. La formula del ragionamento era ora implementata di serie
nelle matrici dei processori CASIAS. Questi ultimi, che potevano
ora essere comodamente alloggiate nello spazio limitato di un mi-
nitower, venivano quindi inviati alle grandi società di produzione
hardware, che li utilizzavano come cuore per i loro computer. Per
l'impiego nei computer portatili, tablet e smartphone, bisognava
ulteriormente ridurre i volumi, ma era solo una questione di tem-
po.

Già con i sistemi operativi standard del momento, le macchine


che montavano processori CASIAS erano nettamente superiori
alla concorrenza in termini di prestazioni.

Ma il lavoro di Andrew Sanders non era terminato. Da mesi la-


vorava sul software nativo, che avrebbe anch'esso utilizzato Ome-
ga. Condivideva i suoi progressi con un anziano amico di origini
russe, un professore all'antica, un po' psicologo e un po' filosofo,
comunque molto competente in matematica ed informatica. Era
stato suo docente all'ultimo anno di università ed era rimasto for-
temente impressionato dalle capacità deduttive del ragazzo.

193
Hardware e software rappresentavano due concetti diametral-
mente opposti eppure così interdipendenti tra loro, che l'uno meri-
tava il massimo dall'altro e viceversa.

Il nuovo software, sfruttando le capacità deduttive del proces-


sore e potendo anch'esso elaborare sulla base di Omega, avrebbe
saputo apprendere e migliorarsi, imparare e progredire. Forse per-
sino... pensare.

194
44.

Charleston, Carolina del Sud


Stati Uniti d'America

L'angusto locale al secondo piano disponeva solo di una picco-


la finestra sul lato ovest, dalla quale si vedevano i posteggi e il
viale alberato che costeggiava parte del perimetro della società.

Sul pavimento si trovavano un paio di scatole vuote e qualche


cavo d'alimentazione inutilizzato. Una mensola di lavoro copriva
l'intera lunghezza di una parete, mentre al lato opposto vi erano
una scrivania e un supporto mobile a ripiani su cui in passato do-
veva trovarsi una stampante. Al ripiano inferiore, infatti, poggiava
ancora una scatola contenente una pila di fogli uniti, perforati ai
lati. Una lavagna era appesa alla restante parete, priva di mobili, a
fianco della porta. Per il resto, il locale era desolatamente vuoto.
Più che un ambiente di lavoro, pareva un ripostiglio.

L'illuminazione consisteva in un paio di neon disposti ai lati


opposti del soffitto.

La colorazione della porta denotava un rettangolo verticale più


chiaro al centro, per via della mancata esposizione alla luce, là
dove in passato era affisso un poster raffigurante il volto di Albert
Einstein.

195
Tra quelle mura era stata scritta una nuova pagina della cono-
scenza umana, e forse si erano gettate le basi di quella artificiale.
Andrew Sanders vi aveva trascorso l'intero periodo lavorativo
presso la CASIAS, fino al giorno della promozione. Fino al gior-
no della sua morte.

Samuel Rotblat provò un brivido di nostalgia. Si soffermò per


qualche istante sull'uscio. Sopraffatto dai pensieri, sfiorò con le
dita di una mano la superficie più chiara della porta. Poi la richiu-
se e si avviò lungo il corridoio. Non era giusto che fosse finita
così.

196
45.

Leningrado,
Russia
8 dicembre 1937

La città era coperta da una fitta coltre di neve. Il freddo intenso


e pungente non rappresentava la maggiore preoccupazione dei so-
vietici. A ovest, l'Europa era vittima di tumulti e invasioni. La
Germania nazista era una delle più forti potenze militari del mo-
mento. L'Italia aveva invaso l'Etiopia e a seguito dell'annessione,
Mussolini aveva proclamato l'Impero. All’altro capo del mondo, il
Giappone, terzo alleato, aveva da poco conquistato vasti territori
della Cina.

Il centro di Leningrado era pattugliato da veicoli della polizia e


carri armati che avanzavano goffi, lasciando sul manto bianco le
orme dei cingoli, come grosse lumache che lasciano la scia dietro
il loro lento incedere.

Qualche chilometro più a sud, in un'ampia radura tra la gelida


quiete dei boschi ai margini della città, si stava consumando
un'immane tragedia, uno spietato crimine.

La luce artificiale dei fari e delle torce conferiva un sinistro


aspetto alle sagome degli alberi che si stagliavano nel cielo not-

197
turno e ne rimarcava i contorni. Il silenzio veniva di tanto in tanto
interrotto da un ordine impartito a cinquecento soldati attraverso
un megafono, per accelerare le procedure di assetto dei plotoni.
Altrettanti uomini, stremati e consumati da cinque giorni di
viaggio su vagoni adibiti al trasporto del bestiame, si reggevano
in piedi con rassegnazione, legati ai polsi e alle caviglie e
incatenati l'uno all'altro, a formare un funesto corteo in attesa
dell'esecuzione.

Pavel Florenskij rifiutò la benda e passò in rassegna la moltitu-


dine di funzionari di polizia e di soldati, alcuni dei quali appena
maggiorenni, con sguardo di compassione. Poi socchiuse gli occhi
e la mente tornò al giorno in cui fu costretto con la forza del so-
pruso a lasciare la famiglia. Si era alzato presto, quella mattina.
Gli uomini inviati dal Comitato Centrale lo attendevano all'ester-
no dell'abitazione, nella città di Lefortovo. Si avvicinò alla figlia
Olga, la strinse a sé e pianse. Poi abbracciò la moglie Anna e le
mise un foglietto piegato in mano. Infine benedisse ognuno di
loro e uscì. Sapeva che non li avrebbe più rivisti.

Dopo un periodo di reclusione alla Lubianka, venne trasferito


nella Siberia Occidentale, infine alle isole Solovski, un arcipelago
interamente trasformato in Lager, vera e propria materializzazione
dell'inferno sulla terra, dove patì ogni sorta di punizione e umilia-
zione.

Durante gli anni di prigionia poté scrivere abbastanza regolar-


mente ai suoi cari e agli amici. Molte di quelle lettere non giunse-
ro mai a destinazione. In uno dei suoi ultimi pensieri, datato 20
aprile 1937, Florenskij annotò: "La vita vola via come un sogno, e
spesso non si riesce a fare nulla in quell'attimo della sua pienezza.
E' quindi fondamentale apprendere l'arte del vivere, di tutte le arti
la più ardua e importante: riempire ogni istante di un contenuto
sostanziale, nella consapevolezza che lo stesso non si ripeterà mai
più."

198
All'ordine del superiore di puntare le armi, Florenskij riaprì gli
occhi e notò distratto che i militari si erano disposti su due lunghe
file. Quelli davanti, in ginocchio; gli altri, in piedi.

Seguì un altro ordine e il matematico non fece in tempo a valu-


tare se era giunto a lui prima il rumore degli spari o il proiettile.

"... Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno..."
Si piegò in avanti, assieme ai compagni, e tutti caddero a toccare
con le mani quella gelida madre terra che li aveva traditi.

L'esecuzione di Florenskij fu eseguita a causa dei suoi studi


sulla trinità, che lo avevano portato alla scoperta che l'universo si
regge tra estremi e contenuto. Ne aveva compreso la corretta
formulazione e stava per esprimerla pubblicamente. Le autorità
sovietiche mantennero segrete l'episodio della fucilazione e la
morte stessa di Florenskij per decenni, anche ai famigliari.

Due anni dopo la sua esecuzione, la moglie, sempre ignara del


triste epilogo, presentò l'ennesima richiesta di scarcerazione, pun-
tualmente respinta. Come decine di altre volte, tornò a casa delu-
sa, ma pronta a ritentare. Teneva nella mano destra il biglietto
consegnatole dal marito il giorno dell'arresto. Lo aprì con cura e
ancora una volta rilesse nel pianto le poche parole scritte in un in-
chiostro nero sbiadito:

"La mia più intima persuasione è questa: nulla si perde com-


pletamente, nulla svanisce. Ma resta custodita in qualche tempo e
in qualche luogo, anche se noi cessiamo di percepirlo. Non di-
menticatemi. Pavel."

Fu solo dopo l'avvento di Gorbaciov al potere che la data esatta


della morte di Florenskij venne resa pubblica. Il teologo era stato
ufficialmente condannato "per crimini commessi in precedenza" e
incluso nel "dossier dei controrivoluzionari", aggiornato qualche
settimana prima della sua esecuzione. Al lato della copertina del

199
verbale stava scritto a mano, sottolineato in rosso: "Fucilare Pavel
Aleksandrovic Florenskij!".

Nessuna firma in calce a quell’ordine, solamente una strana si-


gla di tre lettere: S.O.N.

200
46.

Charleston, Carolina del Sud,


Stati Uniti d'America
Novembre dell'anno precedente

Andrew Sanders era intento a preparare il sugo di pomodoro


per gli spaghetti. Il Professore se ne stava in piedi nella sala adia-
cente con la testa curvata sulla destra, a cercare di leggere i titoli
dei libri sistemati sulla mensola.

“Te la immagini, Alex, una società con uomini e androidi che


convivono?”

Nonostante la grande differenza d'età, i due si davano del tu


come fossero coetanei. La loro amicizia andava oltre i modi for-
mali. Andrew si rivolgeva sempre al Professore chiamandolo con
quel diminutivo, Alex. Era il nome che aveva dato al suo insepa-
rabile gatto, ricevuto per il suo decimo compleanno dal padre.

L'anziano uomo raccolse mentalmente i pensieri e si affrettò a


rispondere.

“Allo stato attuale dell'evoluzione tecnologica, e dopo che tu ci


hai messo lo zampino con quell'intuizione su Omega, ci vuole ben
poca immaginazione a prevedere un futuro molto prossimo in cui
uomini e androidi possano convivere. Per quanto riguarda l'aspet-

201
to esterno, la robotica ha raggiunto un livello tale che oramai un
corpo umano e uno artificiale sono praticamente indistinguibili.
Per quanto riguarda invece l'Intelligenza Artificiale, invece, beh...
ne sai più di me...”.

Il Professore si avvicinò alla cucina e si appoggiò allo stipite


della porta.

“Si tratta comunque ancora di definire che cosa intendiamo per


Intelligenza Artificiale, termine di cui si abusa in tutti i settori
oramai, e di decidere come gestirla, almeno fino al momento in
cui si giungerà alla Singolarità...”

Andrew distolse per un attimo lo sguardo dalle padelle. “La


Singolarità?..”

“Con questo termine definiamo il momento in un prossimo fu-


turo in cui le macchine avranno raggiunto un tale livello di cono-
scenza, che non avranno più bisogno dell'uomo per evolvere, mi-
gliorarsi e riprodursi. Il loro progresso tecnologico avanzerà oltre
la capacità di comprendere e prevedere degli esseri umani. Sarà
molto di più di un'altra semplice rivoluzione industriale. Sarà
qualcosa che trascende l'umanità e la vita stessa. Ciò che avverrà
da quel momento in poi dipende da come noi esseri umani gettia-
mo le basi oggi. Occorrono delle regole di comportamento, delle
leggi comuni a cui nessun produttore potrà sottrarsi. Un'Intelli-
genza Artificiale potrà essere bianca o nera, cioè buona o cattiva.
Dipende da quali regole di base saranno implementate nella matri-
ce, dalle intenzioni del programmatore. La società futura sarà
come noi oggi la sapremo indirizzare. La questione non è recente,
se ne discute da tempo, ma di concreto si è fatto ancora troppo
poco. Ed è già piuttosto tardi.”

Nel riprendere fiato, il Professore si avvicinò ad annusare i va-


pori del sugo. Con un lieve sorriso, fece cenno di gradire il sapo-
re, quindi proseguì.

202
“In merito, scrissi anni fa un elenco di princìpi generali che
avrebbero dovuto essere considerati per ogni progetto in ambito
di Intelligenza Artificiale. Alcune di queste mie regole vennero
prese in considerazione e discusse insieme ad altre durante il con-
gresso di Asilomar, in California, nel 2017. Alla riunione parteci-
pavano più di ottocento scienziati ed esperti di Intelligenza Artifi-
ciale e robotica. Oltre 1200 persone firmarono il protocollo finale,
tra cui luminari del calibro di Stephen Hawking e imprenditori
come Elon Musk. Il protocollo è conosciuto con il nome di Asilo-
mar AI Principles, è di pubblico dominio, reperibile in rete, e trat-
ta proprio degli aspetti prioritari in materia. Si va dalla sicurezza
ai rischi, dal controllo umano al profitto collettivo, dalla subordi-
nazione dei diritti dell'IA nei confronti di quelli umani, alla prote-
zione dell'ambiente.”

Si misero a tavola. Gli spaghetti erano pronti.

203
47.

Charleston, Carolina del Sud


Stati Uniti d'America

Il veicolo della polizia sostava davanti al locale sulla Spring


Street con i lampeggianti accesi.

All'interno, i due agenti di pattuglia attendevano davanti al ba-


gno delle signore.

L'oste e gli avventori conoscevano di vista Natalia, anche se lei


non si era mai mostrata particolarmente espansiva. Di sé non par-
lava mai, né aveva mai accennato alla propria attività. Se ne stava
sempre in disparte ed era difficile sentirla proferire parola. Ma
quando aveva l'occasione di venire in città, quel locale per lei era
una seconda casa.

Il medico di turno stava completando l'ispezione preliminare di


prassi, inginocchiato a fianco del corpo della donna. Quando ebbe
terminato, si alzò e si rivolse ai poliziotti.

“Niente segni esterni di trauma, nessuna frattura. Non risultano


sintomi di assunzione di droghe... Probabile decesso naturale.
emorragia interna o infarto, direi. Morte naturale, quindi. Ma per
avere un quadro preciso, dovrò eseguire gli esami autoptici in la-
boratorio...”

204
Guardando il viso della donna, uno dei due agenti commentò:
“Infarto a quell'età?!”

“Succede, a volte. Di rado, ma succede. Soprattutto se bevi in


quel modo...”

Il medico ripose gli strumenti nella valigetta e si congedò.

“Avrete il rapporto entro quarantottore.”

I poliziotti raccolsero i recapiti e le testimonianze dei presenti.


Quindi, diedero le disposizioni per trasferire il corpo.

205
48.

Charleston, Carolina del Sud


Stati Uniti d'America

“Dove stai andando?”

Padre e figlio si erano incrociati nei corridoi della società.

“La mamma è persuasa che dietro all'omicidio di Andrew ci sia


la famiglia Kabanov.”

Joshua riassunse brevemente al padre gli ultimi sviluppi delle


sue ricerche, dal falso operaio della Traxler alla targa del
fuoristrada.

“Sicuramente è andata da loro. E io non ho intenzione di la-


sciarla sola.”

Il giovane si avviò verso l'uscita. Il padre lo affiancò e gli mise


una mano sulla spalla.

“Vengo con te...”

“Me ne occupo io, papà, voglio che tu resti qui. Qualcuno deve
rimanere, nel caso tornasse la mamma.”

206
Gli tolse delicatamente la mano dalla spalla.

“Non essere in ansia. Vado solo a dare un'occhiata. Prima a


casa del figlio, poi se non vedo l'auto di mamma, vado dal padre.
Ti chiamo al cellulare, se scopro qualcosa.”

“Fai attenzione.”

“Certo.”

207
49.

New York
Stati Uniti d'America
30 gennaio 1943

La guerra era giunta al suo culmine di espansione. Tutte le par-


ti coinvolte stavano ottenendo progressi notevoli nelle tecnologie
all'avanguardia per l'epoca. Uno solo di quei progressi, se concre-
tizzato in anticipo sugli avversari, avrebbe potuto decidere le sorti
del conflitto che fino all'anno precedente era stato gestito con
mezzi convenzionali. Il destino dell'umanità era appeso ad una
sorta di spada di Damocle, che ancora non sapeva da che parte
scendere.

Nonostante l'assenza di finestre, la stanza -17 al piano interrato


degli uffici dell'FBI era illuminata a giorno. Ogni numero di stan-
za del piano interrato corrispondeva a una lettera dell'alfabeto in-
glese. A lui era spettata la “Q”.

John era un uomo intelligente e analitico. Le sue competenze,


la sua onestà intellettuale e il suo spirito di sacrificio erano molto
apprezzati nell'ambiente accademico.

Una laurea in ingegneria elettrica presso l'università Tandon


School of Engineering di New York, una in fisica presso la Co-
lumbia University e un dottorato del Massachussets Institute of
Technology, dove esercitò in seguito come Professore: a 35 anni,

208
le sue credenziali gli avevano aperto l'incredibile opportunità di
quei giorni. Ma ora non era più tanto convinto di aver fatto un
buon affare.

Se ne stava ricurvo con i gomiti sulla scrivania e le mani alle


tempie, a riflettere sulle opzioni a disposizione, e le ripercussioni
che sarebbero inevitabilmente scaturite da ognuna di esse. Sul
pianale in mogano, ordinate in pile e mazzetti, centinaia di fogli,
perlopiù manoscritti, colmi di formule e calcoli, schizzi e osserva-
zioni. Li stava studiando con interesse da qualche giorno. Era sta-
to assunto per decifrarli.

Qualche settimana prima, gli agenti federali avevano perquisito


una stanza d'albergo nella quale da poco era deceduta una perso-
na, ed avevano sequestrato tutti i documenti che vi si trovavano. Il
defunto si chiamava Nikola Tesla.

Per il governo degli Stati Uniti era prioritario evitare che even-
tuali scoperte di nuove tecnologie belliche potessero cadere nelle
mani dei nazisti o dei sovietici. Allo stesso tempo, gli americani
speravano di potersi avvantaggiare sugli avversari, grazie alle in-
formazioni contenute nel materiale sequestrato. Ma le formule e
osservazioni di Tesla erano troppo complesse anche per i migliori
esperti federali. Si decise di costituire un gruppo di luminari e de-
legare a loro il compito. Tra questi, fu scelto John.

Il fascicolo che sovrastava le pile di fogli era l'oggetto degli


studi di John per quel pomeriggio. Il documento era aperto all'ul-
tima pagina, la più importante.

“Ce l'aveva fatta... Accidenti, ci era proprio riuscito...”

I pensieri di John si riferivano alle ultime esternazioni e pub-


blicazioni di Nikola Tesla, poche settimane prima della sua morte,
in cui lo scienziato asseriva di essere sul punto di poter sviluppare

209
un'arma micidiale, superiore per concetto e per potenza ad ogni
altra arma esistente al mondo.

“Questa roba non può finire nelle loro mani, non deve!...”

Prese la sua decisione. Con un movimento secco strappò la pa-


gina dal fascicolo e l'accartocciò. In quell'istante la porta si soc-
chiuse. Una signorina che reggeva un vassoio la varcò con passo
spensierato e si rivolse a lui:

“Caffè?...”

L'uomo ebbe appena il tempo di portare la mano sotto la scri-


vania e di sistemare il maltolto tra le ginocchia. Quindi, si ricom-
pose e contraccambiò lo sguardo.

“Volentieri, grazie!”

La cameriera depose la tazzina su uno spazio libero della scri-


vania, vi affiancò latte e zucchero e si congedò.

John riprese fiato, recuperò il foglio accartocciato e lo ricom-


pose. Fissò il nome che Tesla aveva dato alla propria invenzione:
Death Ray, il raggio della morte.

Nei giorni seguenti si adoperò a sminuire l'importanza di alcu-


ne intuizioni di Tesla e ad elogiarne altrettante.

Il suo nome completo era John George Trump.

Si trattava dello zio di colui che 74 anni dopo fu nominato qua-


rantacinquesimo Presidente degli Stati Uniti d'America, il quale
produsse l'effetto Tempesta, e che venne riconfermato nel 2020,
nonostante i sabotaggi dello stato profondo e la grande crisi
mondiale economico-sanitaria da questo provocata agli inizi dello
stesso anno.

210
50.

Charleston, Carolina del Sud


Stati Uniti d'America

Entrare dall'ingresso principale era fuori discussione. Quei due


gorilla dietro il cancello non promettevano niente di buono. A
quell'ora della serata, poi, i proprietari non si attendevano certo
delle visite.

Con l'auto, fece un giro dell'isolato, valutando le opzioni.

Sul lato ovest, il muro di cinta si distanziava dalla villa solo di


un paio di metri. Inoltre, all'esterno della proprietà una grande
quercia aveva edificato i rami fin sopra il muro stesso, andando a
coprire parzialmente il campo d'azione delle telecamere di sorve-
glianza che erano installate lungo tutto il perimetro.

Nella fretta, non aveva portato con sé nulla che potesse tornare
utile alla circostanza.

Joshua Rotblat scese dall'auto e si guardò intorno. La via era


piuttosto ben illuminata, ma perlopiù deserta. All'altro lato della
strada, ma un centinaio di metri più avanti, si scorgevano le inse-
gne illuminate di quello che doveva essere un locale, forse un bar,
ancora aperto.

211
Il muro doveva essere alto almeno tre metri e mezzo. Il tronco
dell'albero era completamente spoglio e privo di rami almeno fin
oltre i quattro metri. Da quel punto, si snodavano i rami maggiori.
Anche verso l'interno della proprietà. I rami secondari, ben folti,
potevano fornire un sufficiente riparo per osservare e decidere il
da farsi.

Joshua frugò nel baule, senza trovare nulla di utile. Rientrò


nell'abitacolo, e spostò la vettura a ridosso del tronco. Spense luci
e motore. Rifletté. Era alto un metro e ottanta. Con le braccia al-
zate, avrebbe raggiunto due metri e trenta. Aggiungendo circa un
metro e mezzo del veicolo all'altezza del tetto, si arrivava quasi
all'altezza del ramo più basso. Con un salto avrebbe dovuto farce-
la.

Scese nuovamente dall'auto, si assicurò che non ci fossero pas-


santi, montò sul vano motore, poi sul tetto. Si abbassò per prende-
re lo slancio, quindi si proiettò in alto, con le braccia protese ver-
so il ramo.

Lo afferrò con entrambe le mani, restando a penzoloni come


un'altalena. Si mise a oscillare il bacino, e quando la spinta fu suf-
ficiente, si piegò, alzò le gambe che superarono il ramo e vi si ag-
ganciarono all'altezza delle ginocchia. Con uno sforzo di braccia e
di reni, si issò, ritrovandosi seduto.

212
51.

Charleston, Carolina del Sud,


Stati Uniti d'America
Dicembre dell'anno precedente

Nella pentola, l'acqua salata era giunta ad ebollizione. Sanders


aggiunse gli spaghetti, mescolò quel tanto per distribuirli equa-
mente, poi si spostò al pianale a fianco. In una ciotola erano state
sgusciate due uova. A fianco, sopra un tagliere, c'era del formag-
gio pecorino grattugiato e dei pezzettini di guanciale di maiale.
Con una forchetta sbatté le uova, poi aggiunse quasi tutto il for-
maggio, continuando a rimestare.

Il Professore lo osservava incuriosito, ispezionando ogni singo-


lo gesto.

Andrew diede un'altra giratina alla pasta, poi prese una padella
antiaderente e la pose sul fornello accanto. A fuoco medio, vi ver-
sò un po' d'olio e aggiunse il guanciale, che fece dorare, mesco-
lando sovente.

La pasta era cotta al dente. Andrew la scolò e la versò diretta-


mente nella padella con il guanciale. La fece saltare qualche se-
condo, poi trasferì il tutto nella ciotola con la crema di uova e
pecorino. Mescolò e servì le due porzioni. Una volta a tavola,

213
aggiunse a ogni piatto il restante formaggio e un pizzico di pepe
crudo macinato.

“Carbonara!...” Sentenziò soddisfatto.

Tempo addietro, all'ultimo anno di università, Andrew fu invi-


tato a una festa di compleanno di un compagno di classe nato in
America da genitori emigrati, di origini italiane. La madre era ro-
mana, e non perdeva occasione per deliziare il palato degli ospiti
con le sue specialità. Gli spaghetti alla carbonara erano una di
quelle. Andrew, che già adorava la pasta al sugo, trovò quel piatto
delizioso. Fra un complimento e l'altro, che la donna accolse con
orgoglio e compiacimento, le chiese di trascrivere la ricetta.

Anche il Professore parve apprezzare: fino a quella sera, il suo


ex allievo gli aveva fatto gustare esclusivamente pasta al sugo di
pomodoro. I due si concentrarono sul cibo per qualche minuto,
poi, puntualmente, Andrew ruppe il silenzio.

“Maschio o femmina?”

La domanda fece sobbalzare il Professore, che era impegnato a


gustarsi gli ultimi spaghetti rimasti. Inghiottì il boccone in un sol
colpo, ripose la forchetta e si aiutò con un sorso di vino rosso.
Pose il bicchiere, prese fiato e ribadì:

“Maschio o femmina... Chi?!?...”

Andrew era esperto ad attivare negli altri il meccanismo della


curiosità.

“Se tu, Alex, fossi posto nella condizione di poter assemblare


un robot dalle sembianze umane, lo faresti maschio o femmina?”

214
La domanda aveva le sue motivazioni. Statisticamente, l'aspet-
to esteriore, compreso il sesso, è il primo elemento preso in consi-
derazione da ogni interazione umana.

“Di sicuro femmina...”, rispose il Professore con convinzione.

“Perché?”

“Beh, in primo luogo, perché io sono maschio, e preferirei es-


sere affiancato da una compagna femminile. Secondariamente,
perché...”

Andrew lo interruppe.

“La butti subito sul sesso! Alla tua età, poi... Ti ricordo che
stiamo parlando di un androide!”

“Mi hai frainteso, come sempre. Intendevo dire che se dovessi


coabitare con una mia creazione per gran parte della giornata, gra-
direi che avesse un aspetto femminile, senza alcuna allusione al
sesso. Semplicemente, mi ci troverei più a mio agio. Inoltre, se mi
fai finire, ho buone ragioni per credere che un androide di sesso
femminile avrebbe maggiori possibilità d'integrazione nella socie-
tà...”

“Io invece credo che agli inizi di un'epoca in cui uomini e ro-
bot si troveranno a coesistere negli stessi ambienti, le macchine
saranno oggetto di pregiudizi e tabù provocati dall'ignoranza uma-
na. In queste circostanze, un androide maschio avrebbe un poten-
ziale maggiore per difendersi, imporsi e pretendere che i suoi di-
ritti vengano rispettati...”

Questa volta fu il Professore a interromperlo, allentando la


tensione che si stava producendo:

215
“E una volta che si sarà fatto valere, il tuo androide andrà al
bar con i bulli appena sottomessi, a guardare la finale del Super
Bowl e bere birra...”

“Si, nell'attesa che la tua femminuccia termini di rifarsi la capi-


gliatura dal parrucchiere!”

Scoppiarono a ridere entrambi. Poi il Professore riprese:

“Io dico femmina.”

Andrew Sanders batté per scherzo i pugni sul tavolo e ribadì la


propria convinzione:

“Dio ha fatto un maschio per primo! Perché dovrei pensare che


sarebbe meglio una femmina?... Maschio! E maschio sia!”

Tra una battuta e l'altra, sorseggiarono dell'altro vino.

216
52.

Manchester,
Regno Unito
8 giugno 1954

Alle porte dell’estate, pareva che la nazione intera stesse per


entrare in un rigido inverno. Erano decenni che non si vedeva una
primavera così fredda e piovosa.

Per nulla intimorita dal maltempo, Catherine abbottonò il cap-


potto, afferrò l’ombrello e chiuse l’uscio dietro di sé per recarsi
presso l’abitazione di Alan Turing. Quattro volte alla settimana,
andava a fare le pulizie dal professore.

Era una donna sulla quarantina, con già due divorzi alle spalle
e un terzo dietro l’angolo. Dagli uomini non aveva mai ricevuto
grande sostegno. Tante promesse, quelle sì, sontuosi castelli di
carte che puntualmente erano crollati. Tutto sommato, non si la-
mentava. Conduceva una vita monotona in un paese monotono,
ma il professore la rispettava e le mostrava considerazione. Ciò
che si diceva in giro sul conto e le abitudini di quell’uomo, non la
toccava più di tanto. La gente chiacchiera degli altri per allontana-
re le attenzioni dai propri difetti.

Il signor Turing, a dire il vero, negli ultimi tempi le era parso


piuttosto cupo, preoccupato, ma a lei la cosa non doveva importa-

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re. La paga era buona e, in fondo, si sa che gli scienziati non han-
no tutte le rotelle a posto. Le tornò alla mente il primo giorno di
lavoro quando, svuotando il cestino dei rifiuti, vi trovò le lettere
della madre, ancora sigillate. Quando gli chiese perché non le leg-
gesse, lo scienziato, in tutta naturalezza, le rispose che se la madre
aveva trovato il tempo di scrivergli, significava che era viva e sta-
va bene. Imbarazzata, Catherine da quella volta non si permise
più di chiedergli alcunché. Nemmeno quando lo vedeva uscire in
bicicletta con la maschera antigas…

A quell’ora del tardo pomeriggio, di sicuro, lo avrebbe trovato


in studio, ancora immerso nei libri o chinato a scrivere formule
assurde, magari canticchiando quell’infantile filastrocca dell’in-
cantesimo della strega malvagia di Biancaneve. Come sempre,
convincerlo ad interrompere le sue attività per lasciarle spolverare
la stanza sarebbe stata ardua impresa.

La governante attraversò l’affollatissima Oxford Street nei


pressi degli studi televisivi della BBC. Proseguì lungo il marcia-
piede in direzione del Centro Acquatico e finalmente raggiunse
l’abitazione di Turing. Un furgone le passò accanto, centrando in
pieno una pozzanghera. Si ritrovò bagnata fino all’altezza del
viso. Imprecando, si passò un fazzoletto sulla guancia e salì i tre
gradini antistanti all’uscio, mettendosi al riparo da ulteriori disav-
venture.

Inserì la chiave nella toppa, fece un giro e la serratura non si


sbloccò. Fece un altro giro e finalmente la porta si aprì. La cosa la
sorprese: il professore le ripeteva sempre che per i ladri non fa
differenza una porta chiusa con uno o due giri di chiave. E intanto
lui legava le tazze da tè al termosifone con un lucchetto, per
evitare che gli fossero rubate. La donna entrò, ripose l’ombrello,
tolse il cappotto e s’infilò il grembiule che si trovava nel
ripostiglio all’entrata. A motivo dell’aria viziata, si diresse verso

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la finestra più vicina e la spalancò senza indugi. «Così i ladri non
avranno da soffermarsi con le serrature», pensò.

La porta dello studio era socchiusa.

Turing stranamente non era all’opera. Anche la cucina e il ba-


gno erano vuoti. Catherine lo chiamò, senza ottenere risposta,
quindi si diresse verso la camera. Lo trovò a letto, vestito, con la
bava alla bocca. Un odore di mandorle amare permeava la stanza.
Spaventata, riuscì ad allungare una mano e toccargli la fronte. Al
contatto con la pelle gelida, si ritrasse e un urlo le si soffocò in
gola. Corse al telefono a muro, afferrò la cornetta e allarmò i soc-
corsi.

Il medico legale confermò il decesso avvenuto, secondo quanto


riportò nel rapporto, la sera prima. La polizia rinvenne accanto al
cadavere una mela morsicata. L’autopsia confermò l’avvelena-
mento. Nel referto medico venne scritto: Causa del decesso: cia-
nuro di potassio autosomministrato in un momento di squilibrio
mentale.

219
53.

Charleston, Carolina del Sud,


Stati Uniti d'America

“L’ho sopravvalutata, signora Rotblat. Ancora non ha capito,


vero?” disse l’uomo con espressione arrogante.

“Mi illumini, dunque.”

“Cercherò di esprimermi in termini più semplici, riassumendo il


percorso che ci ha condotti qui. La soluzione del numero Omega
vi ha aperto le porte alla formula del ragionamento, grazie alla
quale avete costruito i processori isolineari. La macchina che ra-
giona, per usare un’asserzione tanto cara a suo marito. E’ corret-
to?”

“E’ giusto. Vada avanti e lasci stare Samuel.”

“Sbagliato, invece, mia cara. La vostra macchina non ragiona.


Calcola più velocemente dal momento che utilizza un nuovo lin-
guaggio, ma non può ragionare. Non può farlo, perché le manca
l’anima!”

“L’anima?...”

220
“L’anima, il pensiero… Usi pure il termine che preferisce.
Quello l’ho fatto io. Voi l’hardware, io il software. Voi il corpo, io
la mente. Si chiude il cerchio. Le due componenti sono indivi-
sibili.”

L’assurdo progetto di Kabanov era ora evidente in ogni suo


aspetto. Il software del russo andava ben oltre i confini del data
mining: l’uomo credeva di poter offrire alla macchina la capacità
di apprendere e progredire, la consapevolezza di esistere.

“L’Intelligenza Artificiale sarà in grado di evolversi e miglio-


rarsi autonomamente. Una nuova specie vedrà la luce e chi la go-
vernerà avrà il potere assoluto!”

L’uomo era in preda a una totale isteria. Il volto bagnato dal


sudore pareva voler implodere per soffocare l’immagine della vit-
toria così vicina, eppure sempre più lontana.

“Voglio la formula!...”

“Vai a farti fottere!” Le parole fredde, aspre, erano uscite dalla


bocca di lei come una liberazione. Era passata al tu d’istinto, per
accentuare il senso di disprezzo che nutriva nei confronti dell’es-
sere che le s’imponeva davanti.

“Mi dia quella maledetta formula!!!...” Il bicchiere con la vod-


ka, colpito da un improvviso fendente, andò in frantumi contro la
parete sul lato opposto della sala. Lei, dimostrando un incredibile
distacco, piegò leggermente il capo verso destra, in senso di nega-
zione, sottraendosi allo sguardo del russo.

“È questo che vuole, signora Rotblat?.. E sia! L’inizio e la fine!


La vita e la morte!...” Kabanov ormai farneticava. La lucidità e la
determinazione avevano ceduto il posto alla paranoia.

221
“Quella formula mi appartiene e l'avrò... Con o senza di lei!”

Si avvicinò alla parete. Scelse con cura lo strumento di morte


tra le antichità appese, afferrando una daga del diciottesimo seco-
lo. La estrasse dalla fodera con misurata lentezza, assaporando la
perversa illusione dell’onnipotenza.

“È sicura di non volersi ricredere?...”

Lei lo fissava con disprezzo e nel momento stesso in cui la


lama vibrò nell’aria, non provò alcun senso di paura.

L’ultimo pensiero di Hui Ling Rotblat andò al marito. “Ti amo,


Samuel…” sussurrò nell’istante in cui il cuore le si spezzò in due
per effetto del metallo. Si accasciò sul pavimento scomposta, ma
serena. Una macchia rossa si formò intorno a lei. Si era sacrificata
per il bene del suo uomo, per una vittoria finale che i più non
avrebbero mai compreso.

222
PARTE QUINTA

“Tutto è compiuto.”

54.

Charleston, Carolina del Sud,


Stati Uniti d'America

Con un balzo da cavallo si lanciò dal ramo della quercia che


costeggiava il muro di cinta, superandolo e finendo a penzoloni
sul cornicione della facciata ovest della prestigiosa villa ottocen-
tesca, all’altezza del piano superiore. Un colpo di reni gli permise
di issarsi sul balconcino. Poi, la porta-finestra di vetro della libre-
ria andò in frantumi alle spalle di Ivan Kabanov, ancora intento a
osservare Hui Ling Rotblat riversa sul pavimento, inebriato dal
piacere offerto dall'eliminazione di quanto di più caro Samuel

223
Rotblat possedeva. Il russo si voltò di colpo, sorpreso dall'intru-
sione. Joshua vide il corpo della madre a terra, senza vita. La di-
sperazione e il dolore si dipinsero sul suo volto. Si avventò su Ka-
banov che ancora reggeva l’arma insanguinata. I due rovinarono
pesantemente, rovesciando un tavolo in rovere su cui si trovava
una scacchiera. Pedoni e pezzi volarono in aria per poi finire a
terra come coriandoli bianchi e neri. Kabanov, cadendo, sbatté
violentemente la nuca sullo zoccolo in legno massiccio di una
pesante libreria. Joshua si rialzò, riprese fiato e fissò per un istante
il corpo dell'uomo privo di sensi ai suoi piedi. La daga era volata
a pochi metri. Provò il desiderio di raccoglierla e ripagare
l'assassino di sua madre con la stessa moneta. Estrasse invece il
cellulare e compose il numero della centrale operativa della
polizia di Charleston.

In lacrime, si ritrovò inginocchiato sul corpo spento di lei, le


mani unite sul volto. La mamma pareva stesse pregando.

Dopo l’impatto al suolo, una figura del gioco di scacchi era ro-
tolata a fianco di Hui Ling. Una regina bianca.

224
55.

Città del Vaticano,


4 settembre 1978, ore 22:55

All’interno del bunker di due piani, a venti metri di profondità


sotto il cortile della Pigna, Papa Giovanni Paolo I sedeva alla scri-
vania, immerso nella lettura di un voluminoso fascicolo classifi-
cato “secretum” da un suo predecessore, Innocenzo VIII e aggior-
nato nei secoli dai pontefici che si sono susseguiti.

Papa Luciani era stato eletto quale 263. successore di San Pie-
tro da poco più di una settimana. Scelse un doppio nome papale,
per la prima volta nella storia della chiesa, in ossequio ai due pre-
decessori.

Colto teologo, era un difensore della Humanae vitae, che si ap-


prestava a ratificare con una sua enciclica che però non vide mai
la luce. Una certa apertura verso il tema degli anticoncezionali e
della contraccezione, soprattutto dopo un convegno delle Nazioni
Unite sul tema della sovrappopolazione, furono oggetto di una
censura da parte dell’Osservatore Romano, che si rifiutò di pub-
blicare i commenti papali.

Fu eletto più per ciò che non era, che per ciò che era: non era
un professionista della curia che avrebbe potuto assumere un co-
mando dispotico. Nonostante la sua profonda cultura, non era un

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superbo intellettuale, potenzialmente capace di mettere in
difficoltà i porporati e, soprattutto, non era un uomo in grado di
imporre la propria volontà, ma amava ascoltare e trovare
compromessi che accontentassero tutti. Sarebbe stato facilmente
manovrabile. Evidentemente, ci si era sbagliati.

L’archivio segreto si estendeva in una progressione di ambienti


diversi. Disponeva di un sistema di scaffalature in grado di con-
servare oltre 54 chilometri di documenti. Conteneva un patrimo-
nio inestimabile sotto forma di volumi, manoscritti e incisioni. La
documentazione di straordinario interesse scientifico, storico, po-
litico, culturale e religioso consisteva in oltre 75'000 volumi ma-
noscritti, 70'000 archivistici, 82'000 incunaboli e 100'000 autogra-
fi. Vi si trovava più di un milione di libri stampati e 100'000 carte
geografiche, alcune particolarmente interessanti.

All’interno del fascicolo che Papa Luciani stava sfogliando, si


trovava un’antica riproduzione in perfetto stato di conservazione
della mappa di Piri Reis, il cui originale era conservato nel palaz-
zo del Topkapi a Istambul, non altrettanto ben mantenuta. La
mappa era stata disegnata nel 1513, sulla base di una carta geo-
grafica precedente, redatta da Cristoforo Colombo. Una lunga di-
dascalia del Reis accompagnava la rappresentazione e spiegava
come l’autore si era procurato le informazioni per disegnarla:

“Queste coste si chiamano Antille. Sono state scoperte nell’an-


no 1485 da Colombo sulla base di indicazioni antecedenti, conte-
nute in un libro in suo possesso, secondo le quali ai confini del
mare d’Occidente esistevano delle coste e delle isole, ogni genere
di miniere e pietre preziose.”

Giovanni Paolo I ripose con cura la mappa nel fascicolo ed


estrasse un ordine di Innocenzo VIII, indirizzato personalmente a
Cristoforo Colombo. Osservò con attenzione il sigillo papale, poi
si soffermò sulla data: Anno del Signore 1485. Conteneva l’inca-

226
rico della Santa Sede a recarsi immediatamente nel Nuovo Mondo
e le istruzioni dettagliate per raggiungerlo. La chiesa necessitava
di specifiche informazioni per modificare senza scismi tra i fedeli
la propria visione della terra. Ma il tempo stringeva: i viaggi si
erano moltiplicati. Altri marinai avrebbero potuto divulgare la no-
tizia, che la chiesa custodiva da tempo, dell’esistenza di un conti-
nente sconosciuto. La faccenda era complessa e delicata al con-
tempo; si doveva trovare il modo di gestire la situazione, senza
perderne il controllo. Il papa chiese inoltre a Colombo di cercare e
portare a Roma delle particolari tavolette di pietra con strane inci-
sioni delle quali fornì al navigatore alcuni esempi, senz’altro spe-
cificare. Per il resto, Cristoforo Colombo era libero di gestire
l’impresa come meglio riteneva, sulla scorta della sua notevole
esperienza e del suo carattere spesso impulsivo ma autoritario e
non privo di lungimiranza. Il navigatore partì con due
imbarcazioni messe a disposizione dal Re di Spagna e un manipo-
lo di uomini. Giunse in America verso la fine del 1485.

Il pontefice inorridì. L’America era stata visitata da Colombo


sette anni prima della scoperta ufficiale e su incarico della Santa
Sede, che da secoli conosceva e manteneva il segreto… era sem-
plicemente inverosimile e inaccettabile, per un onesto e umile
uomo di fede qual’era Albino Luciani.

Sfogliò il manoscritto seguente, ad opera del papa spagnolo


Alessandro VI, e apprese che Colombo fu rispedito nel 1492 dal
successore di Innocenzo VIII a “riscoprire” ufficialmente il Nuo-
vo Mondo, questa volta in pompa magna, con tre navi e
navigatori competenti, sempre sotto l’egida degli amati Sovrani
Spagnoli, che avrebbero assunto il merito della scoperta e fatto
proprie le ricchezze dei territori d’oltre oceano, al patto di
mantenere la versione distorta degli avvenimenti che si andava
predisponendo.

227
Il fascicolo conteneva altra documentazione sull’argomento,
ma Albino Luciani era troppo esausto per andare oltre. Prima di
chiudere il fascicolo, si soffermò su una nota riservata di Pio IX,
datata 10 dicembre 1851:

“Quando saranno noti quei documenti che riguardano parte del


Nuovo Mondo scoperto da Cristoforo Colombo, apparirà con la
più grande certezza che lo stesso Colombo intraprese il suo eccel-
lente piano per impulso e con l’aiuto di questa Sede Apostolica.”

Giovanni Paolo I ripose i documenti e, sconsolato, lasciò l’ar-


chivio, ripromettendosi di approfondire la questione nelle settima-
ne seguenti. Ma ora doveva riposare. La responsabilità della mas-
sima carica che ricopriva gli imponeva di rispettare il calendario
delle priorità, che nei primi giorni di pontificato era particolar-
mente carico.

Il giorno seguente, l’agenda papale prevedeva l’udienza privata


al vescovo metropolita russo di Leningrado, Nikodim. La discus-
sione verteva sulle divergenze dottrinali delle confessioni in
Unione Sovietica, in particolare sulle possibilità di conciliazione
tra cattolici e ortodossi, nonché sulla reciproca considerazione.

I due religiosi si concessero una pausa e si spostarono nella


sala adiacente a quella delle udienze, a sorseggiare del caffè.

All’improvviso, il vescovo russo si accasciò a terra, in preda a


convulsioni. Il papa si prodigò ad allarmare il servizio medico e la
guardia svizzera, ma fu tutto inutile.

Nikodim spirò in pochi secondi. Nonostante la sua decennale


esperienza quale Custode della dottrina, aveva commesso un in-
genuo ma fatale errore, bevendo dalla tazza sbagliata.

228
56.

Charleston, Carolina del Sud


Stati Uniti d'America
Dipartimento di Polizia

Al numero 180 di Lockwood Boulevard, il personale in servi-


zio era in agitazione.

“Tutte le pattuglie a disposizione alla villa Kabanov!”

Il Tenente Albertson si prodigava a mantenere la situazione


sotto controllo. Kabanov era un cognome noto a tutti. Un agente
gli si avvicinò per chiedere precisazioni.

“Signore, alla villa del padre o del figlio?...”

“Del figlio, del figlio! E sbrigatevi, dannazione!”

Ai microfoni e alle cuffie degli operatori, le comunicazioni an-


davano e venivano di continuo.

“Le pattuglie 7, 23, 25 e 29 agli angoli dell'isolato! Nessuno


deve entrare o uscire.”

“Le ambulanze sono già state allertate e si stanno recando sul


posto...”

229
“Si, agente, ha capito bene... Almeno un morto e probabilmen-
te dei feriti...”

Anche le voci e gli ordini interni si sovrapponevano.

“Non mi interessa se il Comandante sta dormendo! Tiratelo giù


dal letto!...”

“E mandate via quelle persone! Convocatele per domani!...”

Il Sergente Hubbard approfittò del trambusto per alzarsi dalla


scrivania e defilarsi verso i servizi. Guardò intorno circospetto,
estrasse il cellulare e compose un numero di telefono.

“Si, Signore, ha capito bene: alla villa di Victor Kabanov... Si,


Signore... Certamente, Signore.”

Ripose il cellulare, tirò uno strattone alla divisa e tornò alla sua
postazione.

230
57.

Georgetown, Carolina del Sud,


Stati Uniti d'America
Sede centrale della Sun Operation Network

Dex, capo del Collegio Operativo, prese la parola.

“Come vi è ben noto, la gente viene uccisa per una o più di


queste tre ragioni: perché ha trasgredito, perché sa quello che non
deve sapere o perché il suo smisurato potere rischia di non poter
essere più controllato.

Prendiamo il caso di Cesare. L'Imperatore fu ucciso il 15 mar-


zo avanti Cristo perché lo stesso giorno sarebbe stato insignito del
titolo di Re nelle Province.

Il suo potere era diventato eccessivo. E lo condivideva col po-


polo, che stava in grande maggioranza dalla sua parte. L'Antico
Ordine non riusciva più a gestirlo. La gente non poteva desiderare
di meglio che l’energico governo di un uomo che non pensasse a
soddisfare la propria ambizione e a regnare con il sangue, ma ri-
volgesse le cure alla grandezza e al bene dello Stato e alla concor-
dia coi cittadini. Cesare si era tenuto lontano dalle vendette. Dei
suoi successi militari, della vittoria su Pompeo, della presa del po-
tere aveva fatto beneficiare persino i nemici politici. Lui voleva
estendere e consolidare la signoria di Roma nel mondo con le

231
armi e con le leggi e lasciava al popolo, che sempre aveva amato,
gran parte dei propri beni. Ma così facendo, aveva fiaccato la po-
tenza dell’oligarchia che era ed è fuori dai luoghi e dai tempi. A
meno di 50 anni dall’avvento di una nuova era per l’umanità, oc-
correva un Governo più debole, meglio influenzabile. Cesare non
avrebbe mai acconsentito un’operazione come quella ordinata da
Erode a Betlemme, che pure fallì, come non avrebbe accettato le
scelte del Governatore Pilato, che spianarono la via della crocifis-
sione. Ponzio Pilato... lui si che era malleabile...

Se consideriamo le ambizioni di personaggi come Colombo,


che stava per mandare in aria i piani di ricollocamento dell'Ordi-
ne, o come Napoleone, che non si è mai voluto allineare con lo
stesso, converrete che...”

“Aspetti un istante, Dex.”

Era stato Avon in persona, il Capo Supremo, a interrompere il


discorso del capo del Collegio Operativo. Era anche l'unico che
potesse permettersi di sospendere un'orazione. Una spia luminosa
si era accesa alla sua scrivania. Dex si gelò all'istante. Nel silenzio
più totale, Avon infilò un auricolare e si mise in ascolto.

“A Charleston, Signore. Nella villa del figlio di Ivan


Kabanov...”

Avon pigiò su un bottone per interrompere la comunicazione e


si alzò.

“Ci fermiamo per qualche attimo. Dex, venga con me.”

I due si ritirarono nello studio del Capo Supremo.

232
58.

Città del Vaticano,


Settembre 1978

“La ringrazio, Santo Padre, a nome del Governo degli Stati


Uniti e dell’agenzia che rappresento, per averci concesso questa
udienza.”

Il responsabile dell’Unità contro i reati finanziari e patrimonia-


li dell’FBI provò un sentimento di timore e devozione di fronte ad
un pontefice dall’aspetto esile, in carica da meno di un mese, ep-
pure già osannato da cattolici e laici in tutto il mondo per le sue
doti di umiltà e onestà intellettuale.

Giovanni Paolo I possedeva un’innata attitudine a leggere nel-


l’animo delle persone, che gestiva con una straordinaria capacità
di sintesi. Comprese che nell’espressione di disagio che traspariva
dai volti dei funzionari presenti si celavano almeno due compo-
nenti: la prima, di rispetto nei suoi confronti; la seconda, di ap-
prensione, a causa degli argomenti che gli uomini stavano per sot-
toporgli.

Con perfetto tempismo, Suor Vincenza entrò nello studio reg-


gendo il vassoio con il caffè. Albino Luciani attese che la sua fe-
dele assistente terminasse di servire i presenti, quindi con un cen-
no della mano esortò gli ospiti a proseguire.

233
Il gesto fu colto dal Procuratore del Dipartimento di Giustizia
americano, che faticò a mantenersi impassibile nell’esporre la sua
relazione.

“Sua Santità, il rapporto di cui intendiamo metterla al corrente


comprova le attività illecite avallate dalla Banca Vaticana, attra-
verso gli ambienti della massoneria e di svariate organizzazioni
mafiose…”

Il funzionario procedette nella lettura citando e spiegando le


relazioni del Vescovo Marcinkus, capo dell’Istituto Opere Reli-
giose, con il Banco Ambrosiano di Roberto Calvi e la loggia mas-
sonica P2 di Licio Gelli. Indicò le operazioni congiunte del clero
americano con la massoneria e gli sviluppi che queste avevano
prodotto: dal riciclaggio di denaro proveniente dal traffico di dro-
ga, al finanziamento di regimi dittatoriali per l’acquisto di armi;
dalle pressioni politiche ai ricatti, ai sequestri di persona e persino
agli omicidi.

Giovanni Paolo I faticò a contenere la rabbia: le bombe di Mi-


lano, gli attentati in Nicaragua, in Africa, in Polonia e in altri pae-
si del mondo erano stati finanziati con il denaro della Chiesa di
Cristo. Invece di aiutare i deboli, li stavano ammazzando.

Al termine dell’udienza, si alzò dalla sedia con il rapporto del-


la Commissione americana tra le mani tremole e il viso profonda-
mente abbattuto. Ritiratosi nella sua camera, estrasse il fascicolo
contenente le sue ricerche e i suoi appunti sulle mistificazioni sto-
riche della Chiesa e vi allegò la nuova documentazione.

Il pontefice trascorse la settimana seguente a redigere il piano


di rinnovo delle alte cariche, che avrebbe posto fine al dominio
dei ladri e ricondotto la Chiesa al suo ruolo di promotrice di amo-
re e fratellanza.

234
Il primo a prendere atto e comprendere la portata dei contenuti
dell’enciclica papale “Ritorno alle origini” fu il Cardinale Jean
Villot, durante la seduta formale del 28 settembre, quando Albino
Luciani lo informò senza mezzi termini della sua intenzione di
esonerarlo dal ruolo di Segretario di Stato. Al termine della riu-
nione, il papa si ritirò nella sua camera per completare la lista dei
trasferimenti, che sarebbe stata resa pubblica il giorno successivo.

Suor Vincenza depose il flaconcino di Effortil sul comodino e


rimboccò le coperte. Sistemò i due grandi cuscini uno sopra l’al-
tro e si accomiatò, inchinandosi di fronte al vicario di Cristo in un
gesto di sottomissione. Il pontefice si distese sul letto, appoggiò i
documenti al suo fianco, sistemandosi nel contempo gli occhiali.
Allungò la mano di lato in cerca del medicinale, un cardiotonico
che assumeva una volta alla settimana per aumentare i valori della
pressione. Non poteva immaginare che il contenuto della boccetta
era stato alterato con 60 milligrammi di una miscela di glucosidi
amorfi, conosciuta con il nome di digitalina. La sostanza, inodore
e perfettamente solubile nell’alcol, produsse in poco tempo l’ef-
fetto per cui era stata introdotta.

La mesta scoperta toccò alla stessa Suor Vincenza, quando alle


quattro del mattino del 29 settembre entrò nella camera per servi-
re la colazione.

Albino Luciani giaceva sul letto con in mano le disposizioni


papali per il rinnovo della chiesa, che non videro mai la luce, e la
lista dei massoni da estromettere dalle gerarchie ecclesiastiche.

Quel pontificato di trentatré giorni venne a breve equiparato


dalla stampa internazionale ai trentatré anni di Cristo.

235
59.

Charleston, Carolina del Sud,


Stati Uniti d'America

Gli agenti scortarono Ivan Kabanov mentre questi, ammanetta-


to, veniva issato sul lettino del veicolo sanitario per essere
condotto al centro ospedaliero del Corrections Department, il
penitenziario cittadino.

Alcuni poliziotti erano intenti a perlustrare i dintorni, mentre


altri eseguivano rilievi nelle sale della villa. Dall'interno delle fi-
nestre i lampi dei flash delle macchine fotografiche rimbalzavano
sui vetri e sul metallo delle carrozzerie delle vetture posteggiate,
mischiandosi alle luci blu intermittenti dei veicoli di servizio della
polizia. Di Victor non c'era traccia.

La seconda ambulanza si avviò poco dopo lentamente, a luci


spente. Al suo interno, una donna dai tratti orientali giaceva im-
mobile. Pareva dormire. Il figlio, distrutto dal dolore, sedeva al
suo fianco. Le sue dita e le sue lacrime si persero tra i lunghi ca-
pelli neri lisci di lei.

Trascorsero parecchi minuti, prima che Joshua Rotblat riuscis-


se a ritrovare un minimo di lucidità. Nel frattempo, l'ambulanza
era giunta al Charleston Memorial Hospital, e la salma di Hui
Ling fu trasferita al centro esami autoptici. Joshua scese lenta-

236
mente dal veicolo, frugò nelle tasche in cerca del cellulare e con
aria persa, dirigendosi verso l'entrata della struttura, compose un
numero di telefono.

“Papà,... la mamma...”

Singhiozzava. “Mamma è...”

Un nodo gli strinse la gola e non riuscì a pronunciare le ultime


parole, ma non ce ne fu bisogno. Il padre aveva capito.

Con la morte di Andrew Sanders, il personale e i dirigenti della


CASIAS avevano perso il più fidato collaboratore ed amico, il più
esperto e il più altruista, nonché ogni possibilità di vederlo ulti-
mare il software nativo di Omega e completare con esso la realiz-
zazione della prima entità artificiale cosciente.

Con la morte di Hui Ling Rotblat, tutti avevano perso la luce


del sole.

237
60.

Georgetown, Carolina del Sud,


Stati Uniti d'America
Sede centrale della Sun Operation Network

La riunione volgeva al termine. Dex aveva potuto riprendere e


concludere la propria orazione. L’ora tarda non contribuiva ad al-
lentare l’attenzione dei presenti. Nel suo atteso discorso finale, re-
lativo allo stato dei lavori del suo Collegio Politico, il Capo Su-
premo avrebbe illustrato i particolari della strategia definitiva e
ordinato a ognuno dei presenti le specifiche disposizioni da attua-
re per il successo completo.

“Pochi anni fa, il processo di delegittimazione era quasi com-


pletato. Le azioni intraprese dal Governo americano dopo i fatti
dell’11 settembre lo avevano portato alla quasi totale isolazione.
La disastrosa gestione della politica estera di quegli anni aveva
prodotto come previsto energici dissensi sostenuti da quasi tutti i
capi di stato del mondo. Le immagini dell’esecuzione di Saddam,
trasmesse dalle maggiori reti televisive grazie al lavoro degli uo-
mini di Dex, avevano esteso le spaccature tra musulmani e occi-
dente e alimentato l’odio nei confronti dell’America. A motivo
della lotta al terrorismo, il grande dispendio di risorse finanziarie
su più fronti obbligò i politici ad aumentare il gettito fiscale. Il
malcontento dei cittadini americani era ormai esplicito.

238
La disoccupazione era aumentata di altri quattro punti percen-
tuali e il potere d’acquisto si era ulteriormente ridotto. Il cambia-
mento auspicato dopo il plebiscito elettorale del 2008 non si con-
cretizzò.

L’America non poteva nemmeno più contare sulle risorse del


turismo internazionale, visto che viaggiare negli Stati Uniti in ae-
reo era diventato quasi impossibile per gli stranieri.

In quella situazione, grazie alle false credenziali e alle promes-


se elettorali ben orchestrate, la nostra candidata alla Presidenza
degli Stati Uniti aveva tutte le porte aperte per insediarsi ed atti-
varsi nella realizzazione della seconda parte del piano. La sua no-
mina era data per scontata. Dex e Mahel avevano fatto un ottimo
lavoro.

Il nostro mandato attuale era quasi concluso.

Poi, come sapete, è successo l'impensabile.

La gestione della nazione da parte del nuovo Presidente eletto


ci ha obbligati a ritardare di anni il completamento della missione.
Dopo la sua nomina, tutti i nostri media lo hanno unilateralmente
attaccato e denigrato. Ma le false notizie e le azioni diversive non
sono state sufficienti a provocarne l'esonero, anzi. I movimenti
popolari a suo favore sono aumentati. Lo scetticismo generale
verso gli organi di informazione li ha orientati verso la rete. E no-
nostante anche tutti i nostri Social Media avessero contribuito no-
tevolmente alla disinformazione denigrando la presidenza e cen-
surando l'avversario politico, la gente si è riorganizzata con blog e
siti privati. Gli scandali per le disattenzioni di alcuni di noi sono
stati devastanti.

Ma non possiamo guardare indietro, se non per evitare di ripe-


tere certi errori e reagire di conseguenza. Il processo è e resta irre-
versibile.

239
A breve si concretizzerà comunque l’insediamento del Gover-
no Mondiale, che avrà sede a Babilonia, nell’attuale Iraq. In un
primo momento non sarà riconosciuto dagli Stati Uniti e da poche
altre nazioni. Ma sarà questione di tempo. Lo chiamiamo « alli-
neamento forzato ».

Noi tutti siamo ora chiamati a gestire il futuro alla luce del
sole. Abbandoneremo al termine di questa riunione i compiti at-
tuali a capo dei sei Collegi della Sun Operation Network e ci pre-
pareremo ad assumere le cariche di Ministri del futuro governo. I
nostri successori, qui in questa sede, assicureranno la conduzione
nell’ombra dell’incarico finale, il contenimento della capacità d'a-
zione americana attraverso i nostri Senatori, ed il controllo dei
movimenti popolari.

A causa della politica americana recente, l’attuale struttura del-


le Nazioni Unite non detiene ancora quel potere che ci necessita,
soprattutto in ambito politico, ma i prossimi eventi favoriranno il
cambiamento. Come sempre, per rafforzare il proprio potere, ba-
sta indebolire quello degli altri.

Abbiamo deciso nel 1945 che la sede delle Nazioni Unite fosse
edificata a New York, perché il controllo da parte nostra era più
efficace. Ora è tempo di trasferirla nel luogo predestinato, affin-
ché sia pronta ad assumere il controllo quando l’America subirà il
tracollo definitivo. I nostri custodi della dottrina più vicini al Se-
gretario Generale stanno da mesi operando la politica delle oppor-
tunità e hanno già persuaso buona parte dei diplomatici sull’ina-
deguatezza del Quartier Generale in territorio americano, causata
dalla pessima immagine degli Stati Uniti nel mondo, che si riflette
anche sulle Nazioni Unite. Gli eventi dei prossimi mesi convin-
ceranno anche gli scettici a votare in tempi brevi una risoluzione
per il trasferimento dell’ONU fuori dai confini degli USA. La
proposta di optare per l’Iraq sarà unanimemente accolta, quale ge-

240
sto di amicizia e reciproca collaborazione con i paesi medio-
rientali.”

Avon premette un pulsante sulla scrivania e le luci si affievoli-


rono. L’ampio schermo al plasma sulla parete si illuminò e una
diapositiva illustrò ai presenti i dieci ministeri che avrebbero
composto il futuro Governo:

- Ministero dell’Ordine e della Sicurezza

- Ministero del Tesoro

- Ministero dell’Industria e del Commercio

- Ministero dell’Energia

- Ministero del Progresso Tecnologico e Scientifico

- Ministero della Sanità

- Ministero dell’Agricoltura

- Ministero della Cultura

- Ministero dell’Informazione

- Ministero del Controllo e Gestione delle Crisi

“La struttura del Governo mondiale prevede i dieci ministeri


che vedete sullo schermo. Le loro sedi saranno collocate strategi-
camente in altrettante città del mondo. A capo di ogni Ministero
sarà posto uno dei nostri uomini, che disporrà a sua volta di dieci
nuovi custodi della dottrina, selezionati tra quelli attualmente im-
piegati nell’organizzazione, per un totale di cento custodi. La lista
è sin d’ora stilata.”

241
L’uomo premette nuovamente il pulsante e sullo schermo l’im-
magine cambiò.

“Il Ministero dell’ordine e la sicurezza sarà gestito dal sotto-


scritto. Rappresenterà il cuore del concetto di esercito globale.
Sarà l’ultima tappa del processo evolutivo dell’odierna NATO:
un’armata di repressione, occupazione e gestione dei disordini in
ogni regione del mondo. Gestirò il periodo di transizione da Ba-
ghdad. Quando sarà ultimata la costruzione del nuovo Quartier
Generale dell’ONU, mi trasferirò definitivamente a Babilonia.”

Avon prese a indicare uno per uno i presenti in sala, proceden-


do nel contempo ad aggiornare le informazioni a video.

“A capo del Ministero della cultura siederà Shireen. Sarà felice


di rientrare nella sua vecchia India, mia cara amica. In effetti,
stiamo ultimando a Nuova Delhi la costruzione del palazzo che
ospiterà gli uffici dirigenziali.

Lei, Jyzene, sarà Ministra della sanità. Laboratori e uffici sono


già operativi nella Repubblica Democratica del Congo. Il suo ae-
reo per Kinshasa parte dopodomani. Delos le fornirà il supporto
necessario e le consegnerà la lista dei ricercatori, medici e scien-
ziati che dovranno ricoprire le cariche essenziali. Nei prossimi
mesi dovrà concludere il rimpasto del personale dell’OMS e pren-
dere in mano le redini del nuovo corso. L’Africa centrale è sempre
stata una piattaforma ideale per la sperimentazione su scala
internazionale dei prodotti. La storia recente l’ha scritta lei, d’al-
tronde. Troverà anche in futuro un terreno fertile.

Il Ministero del progresso tecnologico e scientifico va a lei,


Delos, per ovvie ragioni di continuità. Si stabilirà a Londra non
appena avrà concluso la collaborazione con Jyzene. E mi saluti
Darwin, se lo dovesse incontrare. Gli dica che ci ha reso un otti-
mo servizio con quella bufala delle scimmie. Mi raccomando, De-

242
los, porti suo figlio con sé. E veda di morire, prima o poi... Nessu-
no è eterno, qui.”

Avon si riferiva all'avanzata età del capo del Collegio Scientifi-


co.

“Mahel si occuperà dell’Informazione e opererà dalla Cina. La


sua esperienza e gli ottimi risultati conseguiti nell’ambito del Col-
legio Educativo fanno di lei la persona ideale per continuare la
politica dell’UNESCO da Pechino.” Per quanto riguarda la rete, il
motore di ricerca è già stato trasferito nei nostri server cinesi, e il
laboratorio di sviluppo sull'Intelligenza Artificiale è già operativo.

Come ben sa, il Ministero del Controllo e gestione delle crisi


rappresenterà l’intelligence del Governo, Signor Dex. Lei resterà
negli Stati Uniti, visto che già oggi gestisce da qui il suo amato
Grande Fratello. La nuova sede è in fase di allestimento più a
nord, nel Maine, non lontano dal confine con il Canada, in modo
che la struttura sia al riparo dai tumulti dei prossimi anni, che sa-
ranno innescati a Las Vegas e si espanderanno in tutti gli stati me-
ridionali e poi centrali, fino a Washington.

Le quattro persone che gestiranno i rimanenti Ministeri sono


già ora operative, pure con cariche di copertura.

Mosca sarà la sede del Ministero dell’Industria e del Commer-


cio. Quelli del Bilderberg e della Commissione Trilaterale si riu-
niranno a breve per definire i particolari del trasferimento, secon-
do le nostre disposizioni.”

Bilderberg è il nome di uno dei più potenti gruppi di facciata


degli illuminati. È nato ufficialmente nel 1952, ma solo nel 1954
ha assunto questo nome, dalla città olandese che ha ospitato il pri-
mo incontro. Da allora, le riunioni si sono ripetute tutti gli anni,

243
dapprima solo in Europa, in seguito anche in America.
L’organizzazione si compone di banchieri prestigiosi,
imprenditori, politici e funzionari internazionali. Molti di loro
rivestono cariche di comando all’interno del CFR.

La Commissione Trilaterale è un’organizzazione fondata nel


1973, per iniziativa di David Rockefeller. Ha sede sociale a New
York e conta più di 300 facoltosi membri dall’Europa, dal Giap-
pone e dal Nord America. L’obiettivo dichiarato è quello di pro-
muovere una più stretta cooperazione tra queste tre aree. Può es-
sere definita una filiazione del Bilderberg.

“Il Ministero del tesoro avrà sede a Bonn, in Germania. Il nu-


cleo centrale si trova già oggi nella condizione di vincolare le
scelte dei governi nazionali attraverso la gestione dei loro patri-
moni finanziari. La Banca Mondiale, il Fondo Monetario Interna-
zionale e i nostri compagni Governatori delle Banche Centrali
stanno predisponendo le svalutazioni… Il crack del sistema eco-
nomico finanziario americano, che si rifletterà sull’economia del
resto del mondo, sarà il pretesto per la gestione centralizzata del-
l’economia mondiale, sotto l’egida dell’ONU.

Il Ministero dell’energia si troverà a Kyoto, in Giappone, men-


tre quello dell’agricoltura sarà a Melbourne, in Australia.”

Avon spense lo schermo e le luci tornarono all’intensità norma-


le. Si alzò, gettò un’ultima occhiata ai presenti, quindi si voltò e,
senza proferire altro, uscì e chiuse la porta dietro di sé.

244
61.

Charleston, Carolina del Sud,


Stati Uniti d'America
16 giugno 2023

La cerimonia funebre si svolse per entrambi al mattino presto,


presso la Unitarian Church, alla sola presenza dei Rotblat e del
padre di Andrew, giunto dall'Oregon per la triste circostanza.

Al termine della funzione, le spoglie di Hui Ling furono sepol-


te al Bethany Cemetery, mentre quelle di Andrew Sanders furono
trasferite nel paese natio, e sepolte nel cimitero comunale.

Per rispetto di chi non c'era più, al pomeriggio dello stesso


giorno tutti avevano deciso di riprendere le loro mansioni nell'a-
zienda.

All'amministrazione, una lettera giunta al mattino venne conse-


gnata al destinatario: Joshua Rotblat. Non vi era il mittente, ed era
stata spedita da un ufficio postale poco lontano il giorno prece-
dente.

All'interno, nessuno scritto. Vi si trovava solamente una minu-


scola schedina di memoria SSD.

245
62.

Cape Canaveral, Florida


Stati Uniti d'America
28 gennaio 1986, ore 11:30

Da qualche giorno l'intera regione stava patendo temperature


rigidissime.

All'interno della sala controllo volo del Kennedy Space Center


una serie di "Go!" echeggiavano nell'aria a intervallo di pochi se-
condi l'uno dall'altro.

Sulla rampa di lancio, leggeri sbuffi di fumo tutt'intorno alla


navetta preannunciavano il via del suo decimo lancio.

Col passare dei minuti, fumo e vapori andavano via via aumen-
tando.

Anche dal segmento inferiore del razzo a propellente solido


destro, un soffio di fumo grigio nero indicava che le reazioni di
combustione chimica erano in corso: una saldatura tra due sezioni
del razzo era stata spaccata dalla pressione. Due guarnizioni
avrebbero dovuto sigillare il foro, ma il gelo aveva praticamente
azzerato le loro proprietà elastiche. Poco dopo, gli ossidi d'allumi-
nio prodotti dalla combustione del carburante crearono un sigillo
temporaneo, fermando l'emissione di fumo. Fu l'ultimo go.

246
Alle 11 e 38, le operazioni pre-decollo giunsero alla conclusio-
ne.

"Nine... Eight... Seven..."

A 6,6 secondi dal lancio si accesero i tre motori principali. Gli


stessi avrebbero potuto essere spenti in sicurezza anche all'ultimo
istante, e il lancio avrebbe potuto essere annullato.

"Six... Five... Four... Three... Two... One... Lift off!..."

Raggiunto il 100 % di potenza, i tre motori principali emisero


una vampata di fumo e fiamme che avvolse l'intera zona circo-
stante. Anche i due razzi a combustibile solido si accesero, mentre
cariche esplosive rimossero i blocchi che assicurano il veicolo alla
rampa. Poi, dall'alto di quella fitta nuvola di vapori, a vincere la
forza di gravità si elevò maestosa la sagoma bianca di un'enorme
aquila metallica.

Quando il veicolo lasciò la rampa di lancio, la gestione del


volo passò dal Centro di Controllo del Lancio al Centro di Con-
trollo della Missione.

Nei mesi precedenti, era stato comunicato che, tra i membri


dell'equipaggio, Christa McAuliffe sarebbe stata la prima inse-
gnante di scuola, senza particolari conoscenze tecniche, presente
in un programma spaziale. Gli studenti di tutto il mondo aspetta-
vano la trasmissione televisiva per una sua lezione di scienze tra-
smessa dallo spazio.

Per evitare che le forze aerodinamiche nella parte bassa dell'at-


mosfera (dove è più densa) lacerassero lo shuttle, i tre motori
principali rallentarono e mantennero una costante velocità entro i
limiti assegnati. Pochi secondi dopo, ripresero ad accelerare, man
mano che il veicolo si avvicinava all'area della massima pressione
aerodinamica sullo stesso, conosciuta come punto Max Q.

247
A una altezza di 10.000 metri, il Challenger superò Mach 1.5,
una volta e mezza la velocità del suono. Pochi secondi dopo, si
produsse un'improvvisa accelerazione laterale verso destra.

La rottura del sigillo temporaneo creatosi al decollo, provocò


una fuoriuscita di fiamme dal razzo a propellente solido, che cau-
sò un cedimento strutturale del serbatoio esterno, contenente idro-
geno e ossigeno liquidi.

La pressione dell'idrogeno liquido nel serbatoio esterno iniziò


a decrescere per la rottura causata dalla fiamma del razzo.

Dopo 73 secondi di volo, quando la navetta si trovava ad un'al-


tezza di 14000 metri e viaggiava a quasi due volte la velocità del
suono, il serbatoio esterno si disintegrò.

Il Challenger venne completamente avvolto nel fuoco esplosi-


vo, virò dal suo corretto assetto e fu immediatamente fatto a pezzi
dalle forze aerodinamiche. Non fu una vera e propria esplosione;
si produsse una nube di vapore, fumo e fiamme, con grandi fram-
menti incendiati, tra cui la cabina di pilotaggio, ancora quasi intat-
ta, che ricadevano verso l'oceano. I due serbatoi laterali si separa-
rono da quello esterno e iniziarono a volare in modo indipendente,
all'impazzata, come a voler sfuggire a quel destino.

La cabina del Challenger fu recuperata relativamente integra


dal fondo dell'oceano attraverso un'operazione TOP SECRET, e
trasferita negli hangar della NASA. Al suo interno non c'era alcun
astronauta. Nessuno degli operatori ingaggiati fu sorpreso più di
tanto da questo fatto.

Quel teatro, trasmesso in mondovisione, fu l'inizio di una stra-


tegia volta a produrre una mancanza di fiducia verso l'ente spazia-
le governativo americano, che culminò dopo il disastro dello shut-
tle Columbia nel 2003, con l'affidamento dei voli spaziali alla
Russia e all'industria privata americana.

248
Una di queste agenzie private americane contribuì da quel mo-
mento a fornire al regime della Corea del Nord (e di altre na-
zioni non allineate) supporto, conoscenze tecniche, e materiale
per la produzione di missili balistici, fino all'elezione del qua-
rantacinquesimo Presidente degli Stati Uniti d'America, che
nel 2018 costituì la Space Force (brigata spaziale), per restitui-
re alla nazione il controllo e la gestione delle operazioni spa-
ziali.

Quello stesso anno, nell'ambito di un incontro storico tra il Pre-


sidente americano e il Capo Supremo della Corea del Nord,
quest'ultimo espresse la volontà di interrompere il programma
missilistico bellico e avviare un dialogo per la riunificazione
delle due Coree.

249
63.

Charleston, Carolina del Sud,


Stati Uniti d'America
16 giugno 2023

Joshua inserì la scheda SSD nel portatile, digitò qualcosa alla


tastiera e ciò che apparve allo schermo lo lasciò stupefatto: “Codi-
ce Alfa”.

Si precipitò in laboratorio, dove il personale stava discutendo


sulle priorità future, e mostrò loro quanto ricevuto.

Pareva incredibile, eppure qualcuno aveva portato a compi-


mento il lavoro di Andrew sul software nativo, e lo aveva inviato
alla CASIAS.

“Quanto tempo pensate che occorra?” Joshua cercò di trattene-


re l'agitazione.

Il tecnico incrociò il suo sguardo. “Pochi minuti. La macchina


è già pronta. Il tempo di installare il software e possiamo procede-
re.”

Finalmente, a un cenno di assenso del tecnico, qualcuno pre-


mette il pulsante di accensione. Un paio di led lampeggiavano a

250
intermittenza, indicando che il computer era in funzione, ma sullo
schermo non apparve niente.

Joshua sapeva come intervenire e prese in mano la situazione.


Si avvicinò al microfono collegato al computer e pronunciò:
“Ciao...”

“Ciao anche a te, Joshua.”

La calma voce femminile fuoriuscita dalle altoparlanti sorpre-


se qualcuno, che esclamò: “Una femmina!...” Se ne pentì subito
dopo quando la voce, senza essere stata direttamente interpellata,
precisò: “Lo ha deciso mio padre.”

A Joshua sorprese invece che già al primo approccio, l'interlo-


cutrice virtuale conosceva il nome di colui che l'aveva salutata.
Probabilmente, attraverso la videocamera posta sul monitor aveva
saputo interpretare il tesserino fissato sulla tasca della camicia.
Oppure aveva confrontato lo spettro della sua voce con i campioni
memorizzati nell'archivio centrale della sicurezza. In ogni modo,
la velocità di apprendimento aveva dell'incredibile. Inoltre, non si
presentavano quei fastidiosi istanti di silenzio tipici degli assisten-
ti digitali, che devono elaborare il parlato per sottoporlo alla loro
banca dati, prima di rispondere. Tutto era estremamente naturale
e, per quanto assurdo, pareva spontaneo.

Il figlio del Presidente colse l'occasione e proseguì.

“Chi è tuo padre?”

La risposta non si fece attendere: “Andrew Sanders”.

L'interazione procedette con domande culturali e scientifiche,


che trovavano sempre una risposta ponderata. I tecnici intercala-
vano questioni filosofiche con concetti di astrofisica. Infine, Jo-
shua tornò al banale:

251
“Hai un nome?”

“Certo. Mi chiamo E.V.A.”

I presenti si scambiarono uno sguardo di stupore, ma il nome


deciso era quanto di più opportuno si potesse scegliere.

E.V.A.: la prima del suo genere. Il primo Essere Vivente Artifi-


ciale.

“Questo sarà il mio aspetto.”

La stampante all'angolo prese a ronzare. Caricò un foglio dal


supporto sul retro e lo restituì dopo qualche istante dal lato ante-
riore.

Restarono tutti stupefatti. Quel viso emanava un fascino sur-


reale, che andava oltre i canoni tradizionali di bellezza. Sembrava

252
un misto tra i contorni mediorientali di Samuel nella parte inferio-
re, e quelli asiatici di Hui Ling in quella superiore.

“Taglio e colore dei capelli saranno decisi in un secondo tempo


da Joshua e suo padre. Le specifiche per l'assemblaggio del mio
corpo sono state inviate ai vostri terminali. Vi assisterò durante
tutte le fasi di produzione.”

Vi fu una breve pausa. Poi E.V.A. si congedò: “E' bello con-


versare con te, Joshua”.

Joshua accennò un sorriso. Lui e il padre non erano più soli.

253
64.

Charleston, Carolina del Sud,


Stati Uniti d'America
18 giugno 2023

L'ottavo reparto degli archivi segreti della NSA si trovava in


un seminterrato della Colonial Street. Per accedervi occorreva re-
carsi al posto di guardia sul retro dell'edificio, depositare le cre-
denziali e ritirare la carta elettronica.

Poindexter inserì la scheda nell'apposita fessura e il cancello si


sbloccò. Scese gli scalini a due a due. Al piano inferiore, un mili-
tare fece il saluto e aprì la porta. L'Ammiraglio svoltò a destra e
percorse il corridoio fino allo scomparto 183. Un altro soldato gli
fece strada. Giunti alla sezione contenimento, la guardia si fece da
parte e attese all'esterno. Poindexter premette un pulsante sulla ta-
stiera che attivò l'apertura di uno scaffale contenente centinaia di
fascicoli numerati.

Poindexter appoggiò la valigetta sulla mensola e ne compose la


combinazione, estrasse un incarto e la richiuse. Prima di riporlo
nello scaffale, lo aprì un’ultima volta.

Sotto la dicitura Top Secret, era riportata l’intestazione del fa-


scicolo: Sun Operation Network - Collegio operativo.

254
All’interno, quattro soli fogli, sui quali erano riportate due liste
di nomi:

Nemici dell'Antico e del Nuovo Ordine, spenti per esigenze di


sicurezza e continuità (elencati solo ostacoli di primo e secondo
livello d'interferenza):

Ermete Trismegisto 1420 a. C.


Ramses III 1155 a. C
Ippaso di Metaponto 530 a. C
Alessandro Magno 323 a. C.
Caio Giulio Cesare 44 a. C.
Giacomo del Marconte 106
Simone di Pietravalle 729
Clemente II 1049
Leonardo Pisano 1247
Giovanni Benaccorsi 1392
Johannes Müller von Königsberg 1476
Gianmatteo De Bartolomei 1488
Giovanni Borgia 1497
Cristoforo Colombo 1506
Robert Pakington 1536
Carlo Borghesi 1549
Abraham Livingstone 1552
Esther Dorotea di Amburgo 1597
Cosimo II de' Medici 1621
René Descartes 1650
Gerolamo D'Annunzio 1689
Raffaello Piemontese 1693
Tonio Licatese 1711

255
Alexander Von Salzburg 1719
Jonathan Connerville 1727
August Von Schneider 1741
Ives Briand 1799
Xavier Bertrand Leclerc 1802
Simon Bolivar 1830
Jaqueline Delarue 1845
Ferdinando II di Borbone 1859
Abraham Lincoln 1865
Markus Brunnen 1868
Thomas C. Hindman 1868
Benjamin Nathan 1870
Henry Weston Smith 1876
Albert Gallatin Mackey 1881
William Goebel 1900
Vincent Troudeau 1901
Benjamin Guggenheim 1912
Isidor Strauss 1912
John Jacob Astor IV 1912
Huang Yuanyong 1915
Anthony D'Andrea 1921
Harry C. Beasley 1931
Arthur Brennan 1931
Haim Arlosoroff 1933
Moritz Schlick 1936
Carole Pasteur-Joussemet 1936
Dimitri Navachine 1937
Pavel Aleksandrovic Florenskij 1937
John Arthur Keene 1938

256
Dolores Delmar 1941
Carlo Tresca 1943
Nikola Tesla 1943
Hiroshi Nakamuro 1944
Alan Turing 1954
Marilyn Monroe 1962
Terry Mac Doyle 1962
John F. Kennedy 1963
Louis Allen 1964
Virgil Ivan Grissom 1967
Edward Higgins White 1967
Roger Bruce Chaffee 1967
Ralph Probst 1967
Elke Von Schliemann 1969
Misha Rabakowskj 1970
Giovanni Paolo I 1978
Adolph Dubs 1979
Robert James Freeman 1980
Keith Bowden 1982
Jonathon Wash 1985
Vimal Dajibhal 1986
Frank Jennings 1987
Micheal Baker 1987
Edwin Skeels 1987
Russell Smith 1988
Trevor Knight 1988
Diana Spencer 1997
René Guy Leyvraz 1997
Stanley Kubrick 1999

257
John F. Kennedy Jr 1999
Tainang Sungchai 2001
John Gilbride 2002
Lindsay Cutshall 2004
Jason S. Allen 2004
Brett Kebble 2005
Alexander Litvinenko 2006
Aiko Sulu 2007
Beverly Eckert 2009
Lech Aleksander Kaczynski 2010
Dimitri Petktovic 2012
Charles Rousseau 2012
Gerard Davison 2015
Seth Rich 2016
Carl-Johan Söderberg 2016
Doi Somoko 2018
James Dan Rodgers 2019
Andreas Gubler 2021
Andrew Sanders 2023
Natalia Kuznetsova 2023
Hui Ling Rotblat 2023

Nemici del Nuovo Ordine, da spegnere nell'immediato:

Raimond Becker Report B6159, Standard Procedure


Vladimir Plotnikov Report B4930, Standard Procedure
Vicente Gallardo Report B1542, Standard Procedure
Donald J. Trump Report B2783, Standard Procedure

258
Victor Kabanov Report B3411, Standard Procedure
Ivan Kabanov Report B4408, Internal Procedure
Annika Bengtsson Report B5027, Standard Procedure
Samuel Rotblat Report B1041, Standard Procedure
Joshua Rotblat Report B1042, Standard Procedure
Alessandro Della Valle Report B3340, Standard Procedure
Li Yu Zheng Report B0051, Standard Procedure
Aleksej Zirtotkij Report B3622, Standard Procedure
Roland Svensson Report B3249, Standard Procedure
E.V.A. Report S8291, Advanced Options

I Collegi sono stati sciolti. La S.O.N. cessa qui di esistere. La


conferma delle cancellazioni dei nemici dovrà essere inviata a
codice U53 via fttp sul Server esterno di Baghdad.

Il fascicolo non portava firma.


Poindexter cercò la giusta collocazione del fascicolo nello
scaffale, aiutandosi con i numeri di ciascuno, fece spazio allargan-
do gli altri incarti, e lo ripose.

Quella cella di prigione era troppo angusta per il suo rango e le


sue abitudini. Una brandina, un tavolo e una sedia era tutto quello
che c'era da vedere come arredamento. In alto, un neon arruggini-
to aveva sostituito i faziosi lampadari che sovrastavano le sale
delle sue ville. E soprattutto, nessun inserviente a servire a lui,
Ivan Kabanov, della vodka ghiacciata. Era inaudito e insopporta-
bile.

259
Ancora sofferente per le ferite patite, soprattutto per quelle nel-
l'orgoglio, con l'animo stravolto per aver perso il controllo della
situazione, si toccò le bende, premendo sull'ematoma alla testa,
per aumentarne il dolore e convincersi che non stava sognando.
Aveva 63 anni, e ancora tanto da fare.

La mente ritornò alla sera della partita a scacchi con il figlio in


giardino, poco prima che tutto precipitasse. Alla consapevolezza
della sua condizione attuale in quello squallido penitenziario, ac-
cusato di omicidio volontario premeditato, due sole parole gli bal-
zarono nella mente ad inquadrare la propria situazione: “Scacco
matto”.

260
EPILOGO

“Come in alto, così in basso.”

Charleston, Carolina del Sud,


Stati Uniti d'America
4 luglio 2023

In occasione della festa dell’Indipendenza, molte persone si


erano recate di buon mattino sul lato occidentale del Brittlebank
Park in cerca della frescura sospinta dall’Ashley River, che si
muoveva pacato verso sud-est. Poco oltre, la sua acqua dolce si
mescolava con quella salata dell’oceano Atlantico.

Joshua Rotblat era seduto su una panchina nei pressi della riva.
Sulle ginocchia, la vecchia bibbia che il padre gli aveva donato
quando era un ragazzo. Accanto a sé, un pacco postale ricevuto il
giorno prima, si trovava ancora chiuso nella carta da imballaggio.
L'indirizzo del mittente era scritto a mano, con pennarello nero:

Medical University of South Carolina


Institute of Psychiatry
67, President Street, Charleston SC

261
Joshua sollevò il pacchetto a mezz'aria e si mise a girarlo tra le
mani, cercando mentalmente di calcolare l'area delle sei superfici,
per allontanare inconsciamente i pensieri di dolore che ancora gli
occupavano la mente. Poi lo scartò delicatamente e lo aprì. Il con-
tenuto consisteva in un paio di libri ed una lettera, che recitava:

Caro Joshua,
Sono infinitamente addolorato ed afflitto per la tragica morte
di tua madre, le cui circostanze sono di mia conoscenza. In effetti,
io sono parte in causa di quel gioco perverso che tra le altre cose
ha prodotto anche questo drammatico avvenimento.
Ho conosciuto Hui Ling tanti anni fa, quando ero professore
ordinario alla cattedra di Elaborazione Dati dell’università di
Atlanta, in Georgia.
Lei era un’allieva modello, attenta e intelligente. Aveva un ca-
rattere aperto, cordiale e sempre sincero. Apprezzavo molto quel-
la sua curiosità costruttiva. Alla fine della lezione era sovente
l'ultima a lasciare l'aula. Talvolta mi seguiva nei corridoi, per
strapparmi ulteriori precisazioni. Non si distanziava da un dibat-
tito fino a quando tutti i suoi interrogativi non erano stati appa-
gati.
Per il povero Andrew sono altrettanto addolorato. È stato il
mio più grande amico. Mio allievo, dapprima, qui alla Southern
University di Charleston. Mio confidente, in seguito. Condivideva
con me ogni sua intuizione e progetto e io cercavo di portare il
mio contributo, anche se il ragazzo non ne aveva bisogno. Era
molto più bravo di me.
Sovente mi invitava a cena. Tra le mura del suo appartamento,
tra un piatto di spaghetti e una bottiglia di vino, ci sentivamo en-
trambi liberi di esternare ogni perplessità e di chiederci l'un l'al-
tro reciproco sostegno.

262
Mio padre si è macchiato, nel corso della sua lunga vita, dei
crimini più orrendi. E non è l'unico. Tutto ciò fa parte di una ben
più ampia regìa.
Le persone, la società moderna e passata, le organizzazioni
nazionali e internazionali, nonché gli stessi governi non sono che
ignare pedine manovrate, utilizzate, modellate o scartate da un
gruppo ristretto di famiglie che ha radici millenarie, e di cui solo
chi ne fa parte conosce la bieca natura.
Per millenni, la storia dell’umanità è stata abilmente orche-
strata e gestita da questa istituzione occulta che di generazione in
generazione ha continuato a coordinare il cammino del mondo.
Gli antichi imperi, le dinastie, i grandi condottieri, come pure
gli uomini di scienza, le società esoteriche, mistiche o religiose,
erano tutti parte inconsapevole di un disegno più grande, volto a
condurre l’umanità, nei modi e nei tempi necessari, al traguardo
stabilito: l'unificazione, al momento opportuno, delle razze e del-
le popolazioni, delle culture e delle religioni sotto un solo tetto,
un solo governo, un solo controllo, un solo uomo.
Per raggiungere i propri obiettivi, l'organizzazione non ha mai
esitato ad eliminare chi riteneva d’intralcio, chi divulgava nozio-
ni che l’umanità ancora non doveva conoscere, chi inconsapevol-
mente rischiava, attraverso scoperte premature, di compromettere
il corso prestabilito degli eventi, o chi, resosi conto del disegno
perverso, cercò di ostacolarlo.
Questa struttura occulta si componeva di sei collegi, ognuno
dei quali disponeva di un ruolo, un obiettivo e un campo d'azione
ben definito. Stanotte è stata sciolta. Il mondo è entrato nella
nuova era.
Una miccia già innescata provocherà una catena di avveni-
menti che sconvolgeranno in pochi mesi l’attuale stato di cose.
Un governo mondiale subentrerà a quelli nazionali ed imporrà
unità di dottrina e devozione a tutti i popoli. Il suo insediamento

263
sarà accolto positivamente e addirittura sostenuto dall’ingenuità
della gente, che riterrà il cambiamento l’unica soluzione ai pro-
pri mali, la logica conseguenza dell’incapacità delle nazioni di
autogestirsi e convivere pacificamente, mentre invece ne è stata
la causa.
Nel primo periodo della nuova gestione, un’apparente stato di
pace, sicurezza e benessere prenderà il posto delle guerre e della
povertà attuali. Tanto basterà al Governo mondiale per convince-
re i pochi contrari rimanenti. Poi si cadrà nella dittatura e nella
persecuzione.
Tu e tuo padre siete tra i pochi che forse crederanno a queste
parole. Ma la vostra vita è in pericolo. L’umanità intera è in pe-
ricolo. Dalla vostra parte c'è anche qualcuno alla Casa Bianca,
in Giappone e in Italia.
Io sono il figlio di Delos, il Capo del Collegio scientifico, a cui
erano subordinati i settori tecnologia, informatica e robotica. Per
volere dell'organizzazione e su ordine di mio padre, ho collabo-
rato per decenni con la Kabanov Engineering nell'ambito di un
progetto governativo di controllo globale dell'informazione digi-
tale.
Sono stato io a completare il lavoro di Andrew, il suo software
di apprendimento. Ma il merito è tutto suo. Io ho solo portato a
termine quello che a lui è stato impedito di concludere. Sono sta-
to io a spedirvelo in forma anonima, perché nascesse un'Intelli-
genza Artificiale bianca. Nelle loro mani sarebbe nata nera, mal-
vagia. Almeno con questo gesto spero di aver contribuito alla
giusta causa, per una volta.
Lottate per la libertà e per la giustizia. Non siete soli. Confi-
date su E.V.A.; lei vi sarà di grande aiuto.
Che Dio vi protegga e salvi le vostre anime. Per la mia non
posso chiedere tanto.

264
Ti restituisco un paio di libri ai quali Andrew teneva molto. Lui
non potrà più consultarli. Custodiscili tu.
La mia esistenza termina qui. È meglio che lo faccia io, prima
che mi trovino loro.
Con eterno dispiacere e rammarico.

Aleksej Zirtotkij

P.S.
E.V.A. attende lo sblocco delle istruzioni secondarie per l'atti-
vazione finale del suo pacchetto etico. Il codice è il seguente:
01010001.

Joshua ripose la lettera e osservò i due libri, scritti da autori


italiani nel diciottesimo e diciannovesimo secolo. Sulle copertine
era riportato:
Trigonometria piana e sferica, di Antonio Cagnoli, 1786
Teorica delle funzioni di variabili complesse, di Felice Casora-
ti, 1868

Volse poi lo sguardo alla sua bibbia, che poggiava sempre sul-
le ginocchia. Sui lati esterni era colma di linguette adesive e se-
gnalibri, che rimandavano a capitoli, pagine o singoli versetti di
particolare interesse per lui. Era un'abitudine trasmessagli da suo
padre: “Questo scritto va studiato e approfondito, non letto come
un romanzo e messo da parte”. Scelse una linguetta appiccicata a
una pagina verso la fine del libro, nel Nuovo Testamento. Si trat-
tava della prima lettera di Paolo ai Tessalocinesi. Joshua ne rilesse
un versetto fresco di evidenziatore: “Quando vi parleranno di
pace e sicurezza, all’improvviso la rovina cadrà su di loro e

265
nessuno sarà risparmiato”.

Sul fiume, lontano dalla sua vista, il corpo senza vita di un


uomo sulla settantina scivolava lentamente verso la foce, cullato
dalla corrente.

Le poche nuvole ovattate si riflettevano sulla superficie dell'ac-


qua. I loro contorni erano esaltati dall'azzurro intenso del cielo.

«Ciò che sta in basso è come ciò che si trova in alto e ciò che è
in alto è come ciò che è in basso. Così si compie il miracolo della
cosa Una.»

266
267
268
NOTE

Citazioni in calce alle parti:

PARTE PRIMA Ecclesiaste, 3:2

PARTE SECONDA Lautréamont

PARTE TERZA Claudio Baglioni

PARTE QUARTA Antico proverbio

PARTE QUINTA Giovanni, 19:30

EPILOGO Ermete Trismegisto

269
270
BIBLIOGRAFIA

Volumi consultati nel corso delle ricerche per la stesura della


presente opera:

«Atlante storico della filosofia», Nikolao Merker- I Edizione,


2002 - Editori Riuniti

«Dizionario dell’esoterismo - Le 50 parole chiave», Michel


Mirabail - Arnoldo Mondadori Editore

«Arte e Alchimia», Maurizio Calvesi, Mino Gabriele - Art


Dossier - 1986 - Giunti Editore

«Ermete Trismegisto e l’esoterismo di Omero», Gabriel Julliot


de la Morandière, 1995

«Pitagora e i Misteri»

«La Saggezza di Pitagora»

«Alan Turing e l’intelligenza delle macchine», Teresa Numeri-


co, Franco Angeli Editore

«Turing il genio e lo scandalo», Gianni Rigamonti, Flaccovio


Editore

«Turing», Gianni Rigamonti, Flaccovio Editore

«Pavel A. Florenskij», Natalino Valentini, Morcelliana

«Humanitas 4 - Pavel Florenskij», autori vari, Morcellania

«Verità come ethos», L’ubomir Zák, Città Nuova

271
«L’enigma dei numeri primi», Marcus Du Sautoy, BUR

«L’enigma di Fermat», Amir D. Aczel, NET

«L’equazione impossibile», Mario Livio, BUR

«Il principio del cavatappi», Leila Haddad, Sonzogno Editore

«Il taccuino segreto di Cartesio», Amir D. Aczel, Mondadori

«Il computer di Dio», Piergiorgio Odifreddi, Raffaello Cortina


Editore

E' stato fatto inoltre un grande uso di Internet, con particolare


riguardo ai siti d'informazione indipendenti.

272
INDICE

Dedica …......................................................... 7
Presentazione …......................................................... 11
Preambolo …......................................................... 15
Prologo …......................................................... 17
Mappa …......................................................... 21
PARTE PRIMA …......................................................... 23
Capitolo 1 …......................................................... 23
Capitolo 2 …......................................................... 27
Capitolo 3 …......................................................... 29
Capitolo 4 …......................................................... 31
Capitolo 5 …......................................................... 37
Capitolo 6 …......................................................... 41
Capitolo 7 …......................................................... 43
PARTE SECONDA .......................................................... 47
Capitolo 8 …......................................................... 47
Capitolo 9 …......................................................... 52
Capitolo 10 …......................................................... 56
Capitolo 11 …......................................................... 60
Capitolo 12 …......................................................... 65
Capitolo 13 …......................................................... 69
Capitolo 14 …......................................................... 73

273
Capitolo 15 …......................................................... 78
Capitolo 16 …......................................................... 84
Capitolo 17 …......................................................... 89
Capitolo 18 …......................................................... 93
Capitolo 19 …......................................................... 96
PARTE TERZA …......................................................... 99
Capitolo 20 …......................................................... 99
Capitolo 21 …......................................................... 102
Capitolo 22 …......................................................... 107
Capitolo 23 …......................................................... 113
Capitolo 24 …......................................................... 116
Capitolo 25 …......................................................... 121
Capitolo 26 …......................................................... 125
Capitolo 27 …......................................................... 126
Capitolo 28 …......................................................... 128
Capitolo 29 …......................................................... 134
Capitolo 30 …......................................................... 138
Capitolo 31 …......................................................... 143
Capitolo 32 …......................................................... 147
Capitolo 33 …......................................................... 155
Capitolo 34 …......................................................... 158
PARTE QUARTA …......................................................... 161
Capitolo 35 …......................................................... 161
Capitolo 36 …......................................................... 163

274
Capitolo 37 …......................................................... 165
Capitolo 38 …......................................................... 172
Capitolo 39 …......................................................... 175
Capitolo 40 …......................................................... 180
Capitolo 41 …......................................................... 182
Capitolo 42 …......................................................... 189
Capitolo 43 …......................................................... 193
Capitolo 44 …......................................................... 195
Capitolo 45 …......................................................... 197
Capitolo 46 …......................................................... 201
Capitolo 47 …......................................................... 204
Capitolo 48 …......................................................... 206
Capitolo 49 …......................................................... 208
Capitolo 50 …......................................................... 211
Capitolo 51 …......................................................... 213
Capitolo 52 …......................................................... 217
Capitolo 53 …......................................................... 220
PARTE QUINTA …......................................................... 223
Capitolo 54 …......................................................... 223
Capitolo 55 …......................................................... 225
Capitolo 56 …......................................................... 229
Capitolo 57 …......................................................... 231
Capitolo 58 …......................................................... 233
Capitolo 59 …......................................................... 236

275
Capitolo 60 …......................................................... 238
Capitolo 61 …......................................................... 245
Capitolo 62 …......................................................... 246
Capitolo 63 …......................................................... 250
Capitolo 64 …......................................................... 254
EPILOGO …......................................................... 261
NOTE …......................................................... 269
BIBLIOGRAFIA …......................................................... 271
INDICE …......................................................... 273

276
Medaglione presentato nel 2007, in occasione dei 60 anni di
Gregory Chaitin, e che contiene le prime 40 cifre binarie presunte
del numero Omega. Forse non sarà mai possibile calcolarle tutte.
O forse sì.

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