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7.

: Grammatica storica: i principali fenomeni

1. aspetti morfologici:

 IL GENERE DEL NOME : LA SCOMPARSA DEL NEUTRO : La lingua latina, a


differenza dell’italiana, aveva tre generi: il maschile, il femminile e il neutro.
gli esseri animati erano maschili o femminili (p. es. lupus ‘lupo’, maschile; puella
‘fanciulla’, femminile) gli elementi inanimati erano neutri. il genere di numerose parole
era incerto. →Nel passaggio dal latino all’italiano il neutro si perse, e le parole che
appartenevano a questo genere furono trattate come maschili. Questo avvenne anche
perché la gran parte dei termini neutri aveva un’uscita tale da fondersi e confondersi
facilmente con quella del maschile. come donum (‘dono’), tempus (‘tempo’), cornu
(‘corno’). i plurali in -a sono relitti del plurale neutro latino, e sono stati trattati come
femminili ( le braccia, le budella, le calcagna) perché la -a è una desinenza tipica del
femminile.

 LA SCOMPARSA DEL SISTEMA DEI CASI: Casi e declinazioni erano gli strumenti
attraverso i quali il latino distingueva le funzioni logiche e i significati che una o più
parole potevano avere all’interno della frase. L’italiano affida questa funzione distintiva
alla posizione che una parola o un gruppo di parole assumono all’interno della frase,
nonché all’opposizione fra l’articolo e le varie preposizioni che possono precedere un
nome o un pronome. Nella fattispecie, i casi erano sei:
nominativo,ablativo,genitivo,dativo,accusativo,vocativo. La riconoscibilità di un caso
rispetto a un altro era affidata alla diversa uscita che un nome o un aggettivo potevano
avere.
Ogni nome o aggettivo, infatti, era composto di una parte fissa (tradizionalmente indicata
come radice) e di una parte variabile, detta desinenza. Ancor prima dell’età classica, si
affermò una forte tendenza a ridurre e a semplificare il complesso sistema di casi del
latino.Ben presto, ad esempio, i parlanti confusero il nominativo e il vocativo, che nella
maggior parte dei nomi presentavano la stessa desinenza.L’italiano e le lingue romanze
hanno fatto propria la costruzione con la preposizione [a], e non hanno raccolto l’eredita
del dativo latino.Divenuto il caso di tutti i complementi, l’accusativo ha finito col
sostituirsi anche al nominativo, e si presenta, fatta salva qualche eccezione, come il caso
da cui derivano tutte le parole dell’italiano
 SEMPLIFICAZIONE DELLE DECLINAZIONI:La quarta e la quinta declinazione latine
erano scarsamente consistenti sul piano numerico. in particolare, i sostantivi di quarta
declinazione (uscenti in -us o in -u al nominativo) confluirono nella seconda,
mentre i sostantivi di quinta declinazione (uscenti in -es al nominativo e pressoché tutti
femminili) confluirono nella prima declinazione, anch’essa composta in larga parte di
nomi femminili
 LA FORMAZIONE DEGLI ARTICOLI:L’articolo determinativo (il, lo, la, i, gli, le) e
quello indeterminativo (un, uno, una) rappresentano, rispetto al latino, una novità
grammaticale che l’italiano condivide con le altre lingue romanze: il latino non li
possedeva.l’articolo determinativo italiano continua la forma latina ille, illa, illud, mentre
l’articolo indeterminativo continua la forma unus, una, unum. Entrambe queste voci non
erano articoli. ille era un aggettivo o pronome dimostrativo che indicava «qualcuno o
qualcosa lontano», materialmente o psicologicamente, dall’emittente e dal ricevente .
mentre unus era un aggettivo che aveva il valore numerale di ‘uno’ . Talvolta, però, nel
latino colloquiale (anche in quello dell’età arcaica o classica), unus fu adoperato con un
valore non lontano da quello che in italiano attribuiamo all’articolo indeterminativo.
 LA VOCALE D’APPOGGIO:Successivamente, la [L] fu fatta precedere da una vocale,
detta vocale d’appoggio perché ne consentiva la pronuncia autonoma: era, appunto, la
vocale su cui quella singola consonante poteva appoggiarsi per essere pronunciata da sola,
non in sequenza con altre parole. Da quanto si è detto, risulta chiaro che nell’italiano
antico la selezione delle forme dell’articolo maschile era determinata dalla finale della
parola che precedeva l’articolo stesso . In particolare, nell’italiano antico si aveva lo
all’inizio di frase e dopo parola terminante per consonante, mentre si aveva [il] dopo
parola terminante per vocale.

2. Aspetti sintassi:

 L’ORDINE DELLE PAROLE NELLA FRASE:il latino distingueva le funzioni


logiche e i significati delle parole in base al sistema dei casi, l’italiano affida in parte
questa funzione distintiva alla posizione che le parole hanno all’interno della frase.si
può dire che l’ordine delle parole era relativamente libero nella frase latina, mentre è
sottoposto ad alcuni vincoli nella frase italiana. L’ordine abituale di una frase italiana
composta da un soggetto (S), un verbo (V) e un complemento oggetto (O) e
rappresentato dalla sequenza SVO. Nella maggior parte delle frasi italiane
quest’ordine è obbligato, Nel latino classico, invece, la desinenza distingueva non solo
il genere e il numero, ma anche la funzione che una parola svolgeva nella frase. In
parole come Claudius e Marcellus, per esempio, una -s finale distingueva la funzione
del soggetto, mentre una -m finale distingueva la funzione del complemento oggetto.
Di fatto, però, da una parte gli scrittori privilegiarono la sequenza SOV, dall’altra nel
latino tardo si affermo la sequenza SVO, poi continuatasi nell’italiano. nel latino tardo
della Vulgata, vicino alla lingua parlata, spesso il soggetto precede il verbo e questo, a
sua volta, precede i vari complementi, proprio come in italiano. Gli autori di testi
letterari, da Giovanni Boccaccio a Vittorio Alfieri, da Pietro Bembo ad Alessandro
Verri, applicarono spesso alla loro prosa la sequenza SOV, per imitare il modello
latino.

 L’ESPRESSIONE E LA POSIZIONE DEL PRONOME SOGGETTO:La lingua


antica è stata caratterizzata dalla forte tendenza (che in alcuni casi è diventata
obbligatorietà) a esprimere il pronome personale soggetto e a collocarlo prima del
verbo nella frase enunciativa dopo il verbo nella frase interrogativa. la lingua
contemporanea, invece, ha abbandonato quest’uso, e tende a omettere il soggetto
pronominale in ogni tipo di frase,
sia enunciativa (≪Oggi resto a casa≫) sia interrogativa (≪Domani andate al cinema?
≫).

 L’ENCLISI DEL PRONOME ATONO:Un altro tratto sintattico che ha caratterizzato


l’italiano antico ma non caratterizza l’italiano moderno consiste nell'enclisi del
pronome personale atono. Quando si appoggiano al verbo che li segue, questi pronomi
si dicono proclitici, e il fenomeno prende il nome di proclisi. In quattro casi
particolari, invece, si appoggiano per la pronuncia al verbo che li precede, al quale
vengono uniti nella grafia.In questi casi, essi si dicono enclitici, e il fenomeno prende
il nome di enclisi. L’enclisi del pronome atono nell’italiano moderno si ha:
 1) con un imperativo: Gianni, aiutami
 2) con un gerundio: Vedendola, mi sono emozionato.

 3) con un participio isolato: Parlatole, se ne andò.


 4) con un infinito: Incontrarlo è stato un piacere.

Nell’italiano antico, i criteri di distribuzione dell’enclisi e della proclisi dei pronomi


atoni erano completamente diversi.Essi sono descritti dalla legge Tobler-Mussafia,
così chiamata dal nome dei due studiosi (Adolf Tobler e Adolfo Mussafia) che per
primi hanno scoperto e descritto il fenomeno dell’enclisi, il primo nel francese e il
secondo nell’italiano dei secoli passati.
I 4 CASI DELL’ENCLISI OBBLIGATORIA: a) dopo pausa, all’inizio di un periodo
b) dopo la congiunzione (e)c) dopo la congiunzione ma d) all’inizio di una
proposizione principale successiva a una proposizione subordinata:
Dell’enclisi di tipo (a) non si conoscono eccezioni; diversamente che da quella dei tipi
(b) e (c) nel tipo (d) l’enclisi si incontra, nei testi italiani antichi, in circa metà degli
esempi utili. Se in questi casi l’enclisi era del tutto o in parte obbligatoria, in tutti gli
altri era libera: poteva aversi in qualunque contesto, a seconda del gusto e della
disposizione di chi parlava o scriveva.Anche quando, dopo il Quattrocento, l’enclisi
obbligatoria decadde, l’enclisi libera sopravvisse a lungo nella lingua letteraria in
prosa e in versi. Oggi, oltre che con l’imperativo, il gerundio, il participio e l’infinito,
l’enclisi sopravvive, come relitto dell’uso antico, in formule cristallizzate come dicesi,
dicasi, volevasi . oppure in ambiti particolari, quali la lingua della piccola pubblicità e
quella dello stile telegrafico.

 FUNZIONI DI ≪CHE≫: LE PROPOSIZIONI COMPLETIVE:Nel latino volgare, il


pronome indefinito quid (> che) ha esteso fortemente la sfera d’uso che aveva nel
latino classico, e ha preso il posto di molte altre parole.Vediamo nello specifico però il
caso del che introduttore di una proposizione completiva,cioè una proposizione
subordinata che fa da soggetto o da complemento oggetto diretto alla principale.In
italiano le proposizioni completive sono formate:Nella forma esplicita: dalla
congiunzione che + l’indicativo o il congiuntivo Nella forma implicita: dalla
preposizione di + l’infinito.In latino le proposizioni completive si presentavano in tre
forme diverse. Nella costruzione della frase completiva dell’italiano, il sostituto di
quod (che è co, attestato nei dialetti meridionali antichi) è stato rimpiazzato dal
sostituto del pronome interrogativo e indefinito neutro quid, che. Nel passaggio
all’italiano questa parola ha esteso fortemente l’ambito delle sue funzioni, fino a
diventare una sorta di elemento ≪tuttofare≫.

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