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N.S. Anno XXVII (2018) N.

1-2 (Gennaio-Dicembre)

L’IMMAGINE RIFLESSA
TESTI, SOCIETÀ, CULTURE

GLI ARCHETIPI E I TESTI:


MODELLI, METODI, INTERPRETAZIONI

a cura di
Alvaro Barbieri, Massimo Bonafin, Rita Caprini

Edizioni dell’Orso
Alessandria
L’IMMAGINE RIFLESSA
Pubblicazione periodica semestrale
Registrazione presso il Tribunale di Alessandria
n° 430 del I Aprile 1992

Direttore responsabile: Lorenzo Massobrio

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ISSN 0391-2973
ISBN 978-88-6274-916-9
L’IMMAGINE RIFLESSA
TESTI, SOCIETÀ, CULTURE

N.S. Anno XXVII (2018) N. 1-2 (Gennaio-Dicembre)

SOMMARIO

Massimo Stella, Per Diego Lanza: studioso dell’Antico, interprete


del nostro tempo................................................................................ VII

Gli archetipi e i testi: modelli, metodi, interpretazioni

Alvaro Barbieri – Massimo Bonafin, Gli archetipi e i testi: quasi


un’introduzione................................................................................. 1
Rita Caprini, Sul concetto di archetipo nel Novecento........................... 17
Nicolò Pasero, Dall’Albero della vita alle scienze della vita: parabola
di un’immagine archetipica.............................................................. 39
Mauro Canova, Dell’anima. Percorsi intertestuali di un archetipo
(da Lascaux ad oggi)......................................................................... 53
Riccardo Castellana, Il mythos del giusto perseguitato: attualizza-
zioni moderne dell’archetipo di Giobbe........................................... 71
Manfredi Bortoluzzi, Il cacciatore di se stesso. Antropologia di un
archetipo da Edipo re a Blade Runner 2049.................................... 91
Teodoro Patera, «Non si tratta che di saltare da un letto all’altro
senza toccare la farina»: Ferdinand de Saussure alle prese con
l’archetipo tristaniano...................................................................... 109
Stefano Pezzè, «When the white hart breaks his cover». Il disvela-
mento del motivo archetipico della caccia al cervo......................... 131
Andrea Ghidoni, L’archetipo dell’iniziazione dell’eroe: motivi, temi,
testi.................................................................................................... 149
Paolo Rinoldi, Le acquane nella letteratura francoitaliana: una nota
aspremontiana.................................................................................. 175
VI Sommario

Cesare Mascitelli, L’erede e il suo destino. Su alcuni episodi di tutela


del lignage nell’epica medievale....................................................... 185
Enrica Salvaneschi, ʼΑρχέτυπος. Prolegomenon a una ricerca da
compiere............................................................................................ 203

Sommari dei fascicoli arretrati 207


Andrea Ghidoni

L’ARCHETIPO DELL’INIZIAZIONE DELL’EROE: MOTIVI, TEMI, TESTI

Abstract - The concept of ʻheroo-poietic narrativeʼ can be extended to the set of tales, legends,
literary texts concerning the hero’s childhood, his sufferings in the early years of his life (exile,
violence, kidnapping etc.), the deeds that earn him the respect and recognition of his community
(epiphany of the hero). Within this wide narrative genre, we can include tales and texts on heroic
children belonging to different cultures, from Antiquity to the Middle Ages and beyond: the
heroic initiation constitutes an almost universal archetype, not confined to cultural, ethnic and
linguistic boundaries. The remarks here proposed are prolegomena to problems, constants,
issues emerging from an overview of this narrative typology, aspects still waiting for a deep
investigation.

In quell’ampia categoria di narrazioni, leggende, testi letterari concernenti


l’infanzia dell’eroe, in cui vengono riportate le sue prime avventure, le
sofferenze a cui l’eroe è sottoposto fin dai primi anni di vita (esilio, attentati
da parte di chi vede nell’infante un pericolo, distacco dalla famiglia), le imprese
che gli guadagnano il rispetto e il riconoscimento della propria comunità
(epifania dell’eroe) – in sostanza, la formazione dell’eroe – possono essere
inclusi i récits e i testi su eroi fanciulli appartenenti a diverse culture, dal mondo
antico fino al Medioevo (ma anche oltre: si pensi alla contemporanea
cinematografia dei prequel), per cui si può affermare che l’iniziazione eroica
costituisce un universale narrativo e letterario ‒ multimediale ‒ che adopera
patterns e schemi che travalicano i confini culturali, etnici e linguistici. Di
fronte all’enorme massa di materiale che si può prendere in esame, le riflessioni
che si vogliono proporre in questo studio si presentano come prolegomeni a
problematiche, costanti, questioni che emergono dall’analisi di quel genere di
racconto che si può chiamare eroo-poietico1 – tanto chiavi di lettura quanto
aspetti che attendono ancora di essere approfonditi.

1. Il neologismo eroo-poietico è costruito a partire da un termine desunto dall’antropologia,

L’immagine riflessa, N.S. Anno XXVII (2018), 1-2, pp. 149-173.


150 Andrea Ghidoni

1. A proposito della poesia narrativa (tragica o epica), Aristotele scrive nella


Poetica (1451a 16-30)2:

La trama è unitaria non, come alcuni pensano, quando riguarda una sola persona: a quell’uno
infatti possono succedere molte e infinite cose, da alcune delle quali non si ricava nessuna unità.
Vi sono anche molte azioni di una sola persona, dalle quali non si forma nessuna azione unitaria.
Per questo motivo hanno evidentemente sbagliato tutti i poeti che hanno composto un’Eracleide,
una Teseide, o simili. Pensano che siccome Eracle è un individuo, una debba risultare anche la
trama. Omero invece come al solito si distingue e sembra aver visto bene anche su questo punto,
sia per arte o sia per natura: componendo l’Odissea, non vi mise tutti i fatti accaduti a Odisseo,
per esempio che ricevette una ferita sul Parnaso, o che si finse pazzo durante l’adunata dei
Greci, perché, dato uno di questi due fatti, l’altro non può dirsi accaduto secondo necessità o
verosimiglianza – compose invece l’Odissea intorno a un’unica azione nel senso che ho detto,
e allo stesso modo anche l’Iliade.

Il severo giudizio dello Stagirita sull’epica biografica e – per converso –


l’esaltazione dei poemi omerici, incentrati su singole azioni unitarie, ha
comportato un perdurante pregiudizio classicista: l’epica è un poema fondato
su un’azione eroica unitaria; questa può essere solamente una battaglia o una
singola quest composita – una sequela di avventure strettamente legate da
un inalterabile rapporto causale e teleologicamente coerenti.
Come la stessa citazione aristotelica dimostra, il racconto eroico della
Grecia antica era lungi dall’essere rappresentato solo dai poemi omerici, i
quali assursero a canone per il prestigio panellenico che era loro tributato:
esistevano infatti poemi o cicli eroici incentrati sulla biografia di singoli
personaggi, come Herakles e Theseus. Non possiamo che lamentare l’ado-

antropopoiesi, con il quale si è cercato di sostituire l’etichetta, divenuta troppo generica e


quindi inefficace, di iniziazione. Con il termine antropopoiesi si identificherebbero tutte le
pratiche (rituali) in cui si realizza un ʻprocesso di costruzione dell’uomoʼ, affinché un
individuo – un membro di una società – possa uscire da una condizione percepita come
incompleta. Applicheremo dunque eroo-poietico a quei racconti in cui un personaggio
acquisisce, attraverso prove qualificanti, lo statuto eroico. Si veda: F. Remotti, «Tesi per
una prospettiva antropo-poietica», in Le fucine rituali: temi di antropo-poiesi, a cura di S.
Allovio e A. Favole, Torino, il Segnalibro, 1996, pp. 9-25; F. Affergan, S. Borutti, C.
Calame, U. Fabietti, M. Kilani, F. Remotti, Figure dell’umano. Le rappresentazioni
dell’antropologia, Roma, Meltemi, 2005; E. Franchi, «Destini di un paradigma: il rito
iniziatico tra antropologia e scienze dell’antichità», Mythos, 5 (2011), pp. 175-190.
2. Aristotele, Poetica, trad. it. a cura di G. Paduano, Bari, Laterza, p. 19.
L’archetipo dell’iniziazione dell’eroe: motivi, temi, testi 151

zione di un criterio prescrittivo nella Poetica al posto del criterio descrittivo


e collezionistico che anima altrove la produzione di Aristotele: se il filosofo
avesse offerto un’ampia comparazione priva di pregiudizi tra le varie
tipologie eroiche esistenti ai suoi tempi, avrebbe fornito testimonianza di un
ampio patrimonio ora perduto; se poi avesse aggiunto alla discussione
materiali extra-ellenici, avrebbe radicalmente mutato la nostra percezione
dell’epos eroico antico.
In forma preliminare, possiamo dire che le narrazioni eroiche di una
cultura possono essere organizzate in base a due princìpi: da una parte, un
principio puntuale, cioè un evento ben delimitato come una battaglia (o
anche un solo episodio di questa) o il ritorno a casa dell’eroe: a questo
criterio corrispondono i poemi omerici; dall’altra, un principio lineare, che
assume come centro l’eroe stesso, quindi la sua biografia, la successione
delle sue avventure o almeno l’insieme di queste (non necessariamente
ordinate in una chiara concatenazione diacronica): oltre ai poemi biografici
spregiati da Aristotele, potremmo includere in questa categoria esempi di
cicli o poemi eroici come l’epopea di Gilgamesh, i racconti su Maui, la geste
di Guillaume, il Digenis Akritas. I due principi talvolta possono anche
incrociarsi: il Mahābhārata è bifocale in quanto si estende sull’intera
biografia (per non dire genealogia) dei Pāṇḍava e converge al tempo stesso
verso l’evento centrale, la battaglia di Kurukṣetra (forse il nucleo originario).
L’organizzazione puntuale è frutto di uno sforzo creativo e compositivo
più avanzato rispetto alla disposizione che ho definito lineare. Quest’ultima
appare spesso come una nebulosa aggregazione di miti o racconti legati dalla
ricorrenza di un’unica figura (o meglio: un personaggio con lo stesso nome):
in assenza di una cornice narrativa e di confini marcati come quelli che può
fornire un singolo poema, non è automatico che la somma degli episodi –
spesso indipendenti in origine – costituisca una biografia (se non nella mente
dei fruitori, che tendono a figurare l’eroe come un individuo reale). Pertanto
è condivisibile il rilievo di Aristotele: l’organizzazione biografica non è
unitaria, bensì è caratterizzata da una pluralità di episodi qualitativamente
diversi e variegati.
La varietà di tali costellazioni narrative si spiega con la polivalenza
archetipica dell’eroe, una figura umana (al massimo semidivina ma quasi
sempre mortale) che nel folklore tradizionale partecipa alla costruzione in
tutti i suoi aspetti del ʻcosmoʼ biologico-sociale (che può essere tanto il posto
dell’uomo nel mondo naturale, quanto le relazioni di una tribù o una nazione
con altri gruppi umani) e che al tempo stesso soggiace al ritmo della vita
152 Andrea Ghidoni

umana – nascita, sviluppo individuale, morte: a ciascuna fase corrisponde-


ranno imprese specifiche.
Momenti marcati della biografia dell’eroe sono l’iniziazione e le espe-
rienze a essa antecedenti, ossia l’infanzia: nel prosieguo, approfondirò
motivi, temi e funzioni del racconto eroo-poietico, il quale esprime meglio
di altre fasi del ciclo vitale dell’eroe quelle potenzialità plurinarrative che
hanno reso produttivo nelle culture umane l’archetipo eroico. Possiamo
distinguere due tipologie di racconti iniziatici: 1) dell’eroe non si conoscono
altre avventure fuorché quelle narrate nel racconto stesso, per cui gli esordi
di quell’eroe possono coincidere sostanzialmente con l’intera sua carriera:
nel genere delle chansons de geste medievali francesi – nel quale il sotto-
genere delle enfances3 costituisce un ampio campionario di racconti
eroo-poietici – di personaggi come Aiol, Floovant, Beuve de Hamptone,
Renier, non conosciamo altre avventure che quelle dei poemi di cui sono
eroi eponimi, i quali iniziano con l’infanzia del protagonista e sviluppano la
consacrazione eroica su un ampio arco biografico4; 2) il racconto riprende
un eroe tradizionale – noto attraverso le sue imprese compiute in età matura
– e ne racconta gli esordi: soggetto specifico della narrazione sarà dunque
l’epifania della sua straordinarietà, in questo caso in posizione marcata, e il
racconto sarà sviluppato in direzione eziologica e antefattuale. Di Roland,
per esempio, conosciamo dapprima la morte e l’impresa maggiore (la
battaglia di Roncisvalle) raccontate nella chanson eponima; venne poi
composto Aspremont, un poema incentrato sulle enfances dell’eroe, in cui
Rolandin sfugge al prudente controllo dello zio Carlo Magno, imbraccia le
armi, affronta per la prima volta il nemico, rivela la propria superiorità,

3. Sulle enfances delle chansons de geste, fondamentale è F. Wolfzettel, «Zur Stellung und
Bedeutung der Enfances in der altfranzösischen Epik», Zeitschrift für französische Sprache
und Literatur, 83 (1973), pp. 317-348 e 84 (1974), pp. 1-32. Altri studi di minore portata
sono J. Lods, «Le thème de l’enfance dans l’épopée française», Cahiers de civilisation
médiévale, 3 (1960), pp. 58-62; J. Baker, «The Childhood of the Epic Hero: Representation
of the Child Protagonist in the Old French Enfances Texts», in The Child in French and
Francophone Literature, N. Buford (ed.), New York, Rodopi, 2004. Infine si segnala il
seguente volume di prossima uscita: A. Ghidoni, L’eroe imberbe. Le enfances nelle
chansons de geste: poetica e morfologia di un genere epico medievale, Alessandria,
Edizioni dell’Orso, 2018.
4. In questo caso, il racconto eroo-poietico propriamente detto coincide solo con la prima
parte dell’intera narrazione.
L’archetipo dell’iniziazione dell’eroe: motivi, temi, testi 153

conquista sul campo le armi che lo renderanno celebre e viene infine rico-
nosciuto cavaliere dal sovrano.
Prima di passare oltre, si potrebbe infine far notare en passant che
l’etimologia della stessa parola greca heros, per quanto ampiamente di-
battuta, può includere – nell’ipotesi proposta da D.Q. Adams, che
ricostruisce il sostantivo indoeuropeo *yeẸr, ʻazione, impresaʼ – come tratto
essenziale e radicale la gioventù dell’eroe: «The Greek words [heros e la sua
famiglia lessicale] can now be seen as the regular outgrowth of an important
Indo-European cultural emphasis on youthful vitality»5.

2. Il racconto eroo-poietico mette al centro l’archetipo del giovane eroe –


spesso in tenera età – ed è generalmente costruito sul paradigma narrativo
che A. Taylor6 ha definito biographical pattern: in sintesi, il giovane eroe
(bambino o fanciullo) viene allontanato dalla famiglia o espulso dalla patria
(considerato in qualche modo una minaccia – sia anche solo il pericolo
derivante dalla sua indocilità – viene esposto, viene esiliato); in terra
straniera, l’eroe viene allevato (se ancora piccolo) e acquisisce l’esperienza
necessaria per diventare un guerriero; conquista armi e si copre di onore in
una serie di prodezze rivelatrici del suo carattere sovrumano; infine torna in
patria dove recupera il suo retaggio.
La presenza di racconti iniziatici nel più ampio orizzonte della biografia
dell’eroe è resa pressoché necessaria da due fattori di ordine semiologico:
l’infanzia eroica diventa il tratto distintivo della natura eccezionale
dell’individuo e, al tempo stesso, della sua umanità. Questa duplice –
apparentemente paradossale – funzione della semiologia che accompagna
l’infanzia e gli esordi eroici viene ben espressa da E.M. Meletinskij7. Da una

5. D.Q. Adams, «Ἤϱως Αnd Ἤϱᾱ: Of Men and Heroes in Greek and Indo-European», Glotta,
65 (1987), pp. 171-178 (p. 177).
6. A. Taylor, «The Biographical Pattern in Traditional Narrative», Journal of the Folklore
Institute, 1 (1964), pp. 114-129. Sul biographical pattern, oltre ai riferimenti bibliografici
segnalati nell’articolo di Taylor, estremamente utili possono risultare: O. Rank, Der Mythos
von der Geburt des Helden. Versuch einer psychologischen Mythendeutung, Leipzig,
Deuticke, 1909 [ed. italiana: O. Rank, Il mito della nascita dell’eroe, Milano, SugarCo,
1987]; J. Campbell, The Hero with a Thousand Faces, New York, Pantheon Books, 1949.
7. E. M. Meletinskij, Archetipi letterari, ed. italiana a cura di M. Bonafin, Macerata, eum,
154 Andrea Ghidoni

parte, «i motivi dell’iniziazione sono presenti nel folklore sin dai tempi più
antichi, ma il loro inserimento obbligatorio nella biografia dell’eroe» avviene
nel momento in cui il carattere eziologico dei racconti cosmogonici è
trasferito anche al tema della formazione individuale dell’eroe: in sostanza,
se il mito è generalmente incentrato sulle origini o sulla fondazione
dell’ordine universale, anche il mito eroico deve necessariamente attribuire
all’eroe comuni origini umane (o umanoidi). Dall’altra, «i motivi dell’infan-
zia eroica … fungono da manifestazione generale, da segno dello stesso
eroismo», ossia l’eroe è tale perché in gioventù ha attraversato determinate
esperienze che lo distinguono come eccezionale. La nascita e la formazione
sono imprescindibili meccanismi di individuazione dell’eroe (e soprattutto
della sua umanità: è la motivazione di base del culto cristiano della Madre
di Dio e di Gesù Bambino, in cui si realizza e si completa l’Incarnazione) e
il modo in cui avvengono gli esordi caratterizza la straordinarietà del fan-
ciullo8.
Secondo il modello zoologico con cui E. Pellizer descrive la formazione
dell’eroe (in particolare l’uccisore di mostri), infanzia e iniziazione «sono
collegate alla simulazione di esperienze di predazione», che da passiva
diventa, dopo la consacrazione definitiva del giovane eroe, attiva. Quando
per esempio si cerca di eliminare il bambino, lo si allontana dalla sua
famiglia e dalla vita sociale, lo si espone indifeso ad ambienti selvaggi e
ostili, lo si costringe all’esilio, «il bambino si trova così a essere facile preda
(a senso unico, preda passiva) di animali bruti e predatori per natura», oppure
– aggiungiamo noi – preda perseguitata da traditori, briganti, stranieri, se
non dai capricci di entità sovrannaturali concrete (divinità) o astratte (il
destino). Allo stesso modo, «la fase dell’iniziazione giovanile sembra
attraversare principalmente una serie di esperienze di predazione. Le varie
imprese che l’eroe deve compiere quando è arrivato alla soglia dell’adole-
scenza e la maturità (battute di caccia, lotte contro mostri e briganti, o
qualunque altra figura possibile della prova qualificante) possono forse

2016, p. 24 e 27 [trad. it. di E.M. Meletinskij, O literaturnych archetipach, Moskva,


Rossijskij gosudarstvennyj gumanitarnyj universitet, 1994].
8. Con processo di individuazione si intende «un processo di continua agglomerazione, di
progressiva aggiunta ‒ come per amalgama ‒ di tratti specifici, singolari, idiosincratici …
fino a costruire un’ampia e dettagliata biografia, la leggenda individuale di un singolo uomo
straordinario» (E. Pellizer, La peripezia dell’eletto, Palermo, Sellerio, 1991, p. 15).
L’archetipo dell’iniziazione dell’eroe: motivi, temi, testi 155

essere definite come catastrofi di individuazione»9: è attraverso il momento


iniziatico che l’eroe acquisisce pienamente la sua identità (nei racconti
eziologici, quella tramandata dalla tradizione) e la sua condizione di preda
è definitivamente rovesciata in quella di predatore.
La polivalenza dell’eroe iniziando si esprime chiaramente già soltanto
nel contrasto tra ciò che precede e segue il ʻcapovolgimento predatorioʼ:
dopo il perfezionamento dell’iniziazione, il fanciullo straordinario si con-
forma a un modello eroico canonico, che può essere fornito da altri racconti
tradizionali su quella stessa figura (in versione adulta) oppure dai parametri
con cui una singola cultura misura l’eroismo. Il racconto eroo-poietico
propone un modello alternativo di eroicità, in cui l’eroe bambino è debole,
disprezzato, sottovalutato, non ha ancora assunto la funzione fondativa e
difensiva che riveste nel consorzio umano di cui è parte. Rispetto quindi al
racconto sulle azioni dell’eroe maturo, la narrazione eroo-poietica tende a
rappresentare la debolezza del proprio protagonista, il lato patetico, i
momenti in cui egli è in balia di forze decisamente soverchianti e rischia di
essere soppresso. I rapporti di forza vengono rovesciati attraverso uno o più
momenti epifanici, peripezie in cui l’eroe fanciullo esibisce precocemente
le proprie attitudini e qualità di Übermensch accettando prove e imprese che
hanno spesso il carattere di iniziazione: più che di una reale crescita peda-
gogica e psicologica dell’eroe ‒ il quale rimane in genere identico a se stesso
e figura dell’eroe maturo fin da bambino (secondo la concezione del puer
senex) ‒, si tratta di una brusca permutazione di funzione all’interno del
binomio preda/predatore.
Non bisogna però intendere la fase di predazione passiva tematizzata dal
racconto iniziatico come un momento anti-eroico, come se l’eroismo coinci-
desse solamente con la fase euforica della biografia dell’eroe, alla quale il
racconto sull’infanzia si opporrebbe. Sottolineo ancora l’obbligatorietà
semiotica del momento iniziatico, in quanto distintiva di una carriera eroica.
Un sintomo potrebbe essere fornito dalla chanson de geste del XIII secolo
Maugis10, nella quale il carattere lacrimevole delle prime avventure dell’eroe
è fissato perfino nel nome del protagonista, come un marchio indelebile: il
nome del famoso ladro e cugino degli Aymonidi deriva dal germanico

9. Ivi, p. 19.
10. Maugis d’Aigremont, chanson de geste, ed. a cura di Ph. Vernay, Bern, Francke, 1980.
156 Andrea Ghidoni

Amalgis, ma il troviero del poema antefattuale inventa una falsa etimologia,


particolarmente opportuna per il contesto narrativo. Maugis, esposto alle
belve, viene così battezzato perché ʻmal giacenteʼ (malement gisoit, v. 588).
È indubbio che Maugis sia un personaggio preesistente (in Renaut de
Montauban), ma nelle sue enfances i suoi tratti identitari vengono obliterati
e il nome che fa riferimento alle sue sventure infantili è un sintomo della
dominanza dello schema iniziatico. La concezione eroica viene arricchita da
nuove sfaccettature e l’eroe non è più solo il perpetuatore di violenza ma
anche l’oggetto di questa, termini egualmente essenziali alla composizione
della figura eroica11.
Non soltanto la figura eroica viene rovesciata, essa è aperta anche a una
pluralità di esperienze e modelli di vita differenti: il percorso probatorio
dell’eroe è una sequenza di peripezie in cui l’eroe deve respingere o deve
venire a patti con personaggi, ambienti, condizioni estranei allo statuto eroico
canonico. Paradigmatici in questo senso sono tutti quei motivi in cui il
fanciullo abbandonato viene raccolto e allevato da individui appartenenti a
classi sociali differenti dalla sua (perlopiù inferiori) che tentano di inculcare
nel fanciullo princìpi contrari all’etica eroica: un esempio medievale è fornito
dalle Enfances Vivien (fine XII secolo), nelle quali il protagonista, la cui
nature è quella cavalleresca, viene invano avviato alle attività mercantili;
nel Tristan de Nanteuil (XIV secolo), l’infante viene nourri da una cerva e
in un ambiente selvaggio, per cui lo scarto si misura in termini non sociali
ma antropologici. Invece nel Ruodlieb, testo mediolatino dell’XI secolo,
l’eroe viene messo a confronto con modelli negativi dai quali si deve
astenere: il rex che è stato suo precettore lo ammonisce a non compiere certi
errori (fare amicizia con un rosso, alloggiare nella casa di un uomo anziano
sposato con una donna giovane ecc.), precetti a cui Ruodlieb si atterrà
scrupolosamente nel corso della trama12.

11. Sul significato e la funzione della violenza nei riti iniziatici si veda: A. Morinis, «The Ritual
Experience: Pain and the Transformation of Consciousness in Ordeals of Initiation», Ethos
13.2 (1985), pp. 150-174; J.-L. Siran, «Initiation: pourquoi la violence? », L’Homme 162
(2002), pp. 279-290.
12. Per i testi e le relative bibliografie si vedano: Les enfances Vivien, éd. M. Rouquier, Genève,
Droz, 1997; Tristan de Nanteuil, ed. K.V. Sinclair, Assen, Van Gorcum, 1971; R. Gam-
berini, Ruodlieb con gli epigrammi del Codex Latinus Monacensis 19486. La formazione
e le avventure del primo eroe cortese, Firenze, SISMEL/Edizioni del Galluzzo, 2003.
L’archetipo dell’iniziazione dell’eroe: motivi, temi, testi 157

3. Partendo dalle chansons de geste antico-francesi – che, come detto,


offrono un ampio campionario di esempi del nostro tema –, vediamo ora
giusto un paio di casi in cui viene espressa la condizione di preda (quindi,
di inferiorità e debolezza) del giovane eroe.
Il primo caso è, per così dire, letterale: l’eroe bambino è realmente minac-
ciato da animali predatori. La chanson de geste nota col titolo di Maugis
d’Aigremont (inizi del XIII secolo) riferisce gli esordi dell’eroe eponimo,
già reso popolare dal Renaut de Montauban, in cui il personaggio è cugino
di Renaut noto per le sue tecniche incantatorie. Maugis è stato rapito ai suoi
genitori da una serva infedele che intende portare in pagania il neonato: sulla
strada per Palermo, la donna si imbatte in un leone e un leopardo, che
sbranano la sventurata. A questo punto le belve si rivolgono al neonato
inerme (Maugis, vv. 419-424):

Quant des bestes fu si trestot le cors mengiez


de l’esclave et a duel detrait et esraciez,
fors le chief ensement qui d’els n’ert atouchiez,
a l’enfant sont andui maintenant repairiez.
Por ce qu’il fu petit, fu forment covoitiez.
Or le garisse Dex par la söe pitiez!

(Non appena venne divorato dalle bestie il corpo / della schiava, straziato e dilaniato, / eccetto
la testa, che dalle fiere non venne toccata, / le due bestie si volsero allora verso il bambino. /
Poiché era piccolo, le bestie lo bramavano ardentemente. / Abbia Dio pietà di lui, lo salvi!)

Nonostante le due fiere si siano già saziate con le carni della rapitrice,
esse bramano il piccolo Maugis, proprio perché il fu petit. La piccolezza è
dunque uno dei tratti che sottolineano la natura patetica dell’eroe non ancora
formato e proprio le sue dimensioni ridotte e la sua condizione inerme
attirano l’appetito dei due predatori: la bramosia delle belve può essere
placata, più che dalla quantità di carne che offre l’animale cacciato, dalla
qualità della preda stessa (in questo caso, l’eroe bambino). Per fortuna del
neonato, la prelibatezza che lo rende preda perfetta gioca a suo favore: i due
feroci felini, che si erano spartiti pacificamente le spoglie della donna, si
scagliano ora l’uno contro l’altro per contendersi Maugis e finiscono per
uccidersi a vicenda.
L’eroe bambino è però vittima anche di altri generi di predatori: nelle
chansons de geste spesso l’eroe è scacciato dalla propria patria dalle
macchinazioni di un traditore (in Beuve de Hamptone addirittura della pro-
158 Andrea Ghidoni

pria madre), il quale usurpa il feudo o il regno che spetta alla famiglia dell’e-
roe. In Doon de Mayence (XIII secolo)13, il piccolo Doon ha appena assistito
alla violenza perpetrata dal perfido Herchembaut contro la madre; poiché il
piccolo in quel momento tiene in mano un arco, reagisce all’affronto
colpendo con l’oggetto la testa del traditore, il quale infierisce contro il
bambino (Doon de Mayence, vv. 192-215):

L’enfant prent a .II. mains, contremont l’a levé,


a terre l’a feru si qu’a poy n’est crevé.
Li enfes se pasma, si mal l’a atourné.
Et quant il resperi, si a son arc combré,
Herchembaut requeurt sus par ire et par fierté;
se il ne reculast, ja le reust frapé.

L’arc li tolt de la main, en veie l’a rué;
puis li a de sa paume .I. si grant coup donné
que li enfez quey u pavement ouvré.
Les autrez .II. enfans, qui furent esplouré,
ra combré par les bras en guise de desvé.
Sous son bras lez a mis moult estroit et serré;
puis vint a Doolin, qui Dex avoit donné
seur tous autrez enfans et valour et bonté,
a son col le geta comme un agniau tonsé.

(Prende con entrambe le mani il bambino, lo solleva in alto, / lo scaraventa a terra, per poco
non lo ammazza. / Il bambino svenne, tanto male l’ha conciato. / Quando si riprese, recuperò
il suo arco, / si scagliò contro Herchembaut con ira e ardimento; / se quell’altro non si fosse
spostato, l’avrebbe colpito. / … / L’arco gli levò dalla mano, lo gettò via; / poi gli ha dato con
la mano un tale colpo / che il bambino crollò sul pavimento decorato. / Gli altri due bambini,
in lacrime, / prese per le braccia come un indemoniato. / Se li infilò sotto il braccio ben stretti;
/ poi tornò dal piccolo Doon, al quale Dio aveva donato / più valore e animo che agli altri due
infanti, / se lo mise sul collo come se fosse un agnellino tosato.)

In questo episodio si misura tutto lo scarto tra la potenza dell’eroe maturo


e l’impotenza dell’eroe fanciullo. Doon, per grazia divina più forte e audace
dei suoi due fratellini, attacca Herchembaut, ma ne ricava solo botte. Il
vassallo infedele lo getta a terra, lo insulta, lo schiaffeggia e ne doma la
ferocia con poca fatica: l’eroe è alla mercé del suo persecutore. Il traditore

13. Doon de Maience, ed. a cura di M.A. Peÿ, Paris, Vieweg, 1859.
L’archetipo dell’iniziazione dell’eroe: motivi, temi, testi 159

poi agguanta i tre fratelli inermi e si getta sulle spalle Doon come se fosse
un agnellino (agniau tonsé): la similitudine predatoria è completa.

4. Il racconto eroo-poietico, in ragione della sua presenza fin dai livelli più
arcaici e semplici delle culture umane, non può essere completamente
separato dai riti di iniziazione che caratterizzano le società tribali: racconti
e riti iniziatici sono simili da un punto di vista formale e si possono scambiare
paradigmi e patterns (gli intrecci e la sequenza rituale) che, astratti dalla
forma originaria, possono regolare il comportamento degli attanti di
entrambe le forme (personaggi del racconto o partecipanti all’azione
cerimoniale). Le tappe iniziali della biografia dell’eroe (nascita, esordi, prove
iniziatiche ecc.) sono – secondo E.M. Meletinskij – l’asse che permette la
resa in forme narrative di processi di rinnovamento e sviluppo biologici (il
cambio delle stagioni, la crescita naturale dell’individuo) e sociali (la
successione al vertice gerarchico, l’avvicendamento delle generazioni):
«Particolarmente influenti dal punto di vista della generazione di intrecci
sono i rituali come l’iniziazione, le feste stagionali di rinascita della natura,
il rito dell’uccisione dei capi-stregoni tribali in connessione con il succedersi
delle generazioni, i riti e le usanze nuziali. Tra questi riti, il principale è
l’iniziazione, legata alla rappresentazione della morte temporanea e al
rinnovamento, nonché alle prove e al cambiamento dello stato sociale: essa
è incorporata anche in altri riti»14.
Nei riti d’iniziazione intravvediamo lo stesso potenziale creativo e
combinatorio che riscontriamo nei racconti e nei testi eroo-poietici. La
funzione culturale dell’iniziazione (rituale e narrativa) può essere ben
espressa dal concetto di liminalità elaborato dall’antropologo V. Turner – a
sua volta rielaborazione del concetto di margine dei riti di passaggio di A.
Van Gennep15 –, applicato in senso proprio ai riti di passaggio ed esteso non

14. Meletinskij, Archetipi letterari, pp. 15-16.


15. A. Van Gennep, Les rites de passage, Paris, Émile Nourry, 1909 [ed. italiana: A. Van
Gennep, I riti di passaggio, Torino, Bollati Boringhieri, 1981]. Sui riti di iniziazione, cfr.:
M. Bloch, Prey into Hunter. The Politics of Religious Experience, Cambridge, Cambridge
University Press, 1992 [ed. italiana: M. Bloch, Da preda a cacciatore. La politica
dell’esperienza religiosa, Milano, Raffaele Cortina, 2005]; A. Brelich, Le iniziazioni,
Roma, Editori riuniti, 2008; S. Allovio, Riti di iniziazione. Antropologi, stoici e finti
immortali, Milano, Raffaello Cortina, 2014.
160 Andrea Ghidoni

solo a tutte le forme rituali ma anche (metaforicamente) a ogni forma di


transizione culturale. Nello stadio liminale attraverso il quale vengono fatti
passare gli iniziandi, relegati in uno spazio circoscritto e sacralizzato, le
strutture ordinarie della società vengono scardinate e poi riformulate16:

Liminality may perhaps be regarded as the Nay to all positive structural assertions, but as in
some sense the source of them all, and more than that, as a realm of pure possibility whence
novel configurations of ideas and relations may rise.

Liminality is the realm of primitive hypothesis, where there is a certain freedom to juggle with
the factors of existence. As in the works of Rabelais, there is a promiscuous intermingling and
juxtaposing of the categories of event, experience and knowledge, with a pedagogic intention.

Il limen «betwixt and between» è il luogo o il tempo di massima creatività


culturale, dove sorgono nuove forme culturali, proprio in ragione dell’assen-
za delle norme sociali ordinarie: la dissoluzione e la scomposizione delle
vecchie forme culturali è accompagnata da un processo di crescita, di trasfor-
mazione e di riformulazione di vecchi elementi in nuovi patterns, nella
liminalità sono generati nuovi simboli e nuove metafore, nuovi concetti
religiosi e artistici e, quindi, anche nuovi intrecci. Quanto al riferimento di
Turner a Rabelais, si può aggiungere che non è casuale che il primissimo
libro dell’epopea di Gargantua sia strutturato come enfances dell’eroe, ossia
il racconto dei suoi esordi. Più in generale, il modello dell’iniziazione (e dei
riti di passaggio), trasferito nel racconto, fornisce all’eroe la libertà di azione
che gli permette di confrontarsi nel corso delle sue prove d’esordio con
eterogenee realtà, di fare propri (o respingere) modelli di comportamento
proibiti dalla natura o dalla società, di assurgere a dimensioni sovrumane o
subumane.
La creatività legata all’archetipo dell’iniziazione è stata indagata anche
da A. Brelich nel suo lavoro sulle istituzioni iniziatiche elleniche. La
fondazione del complesso mitico-rituale delfico – avvenuta tra il VII e il VI
secolo a.C. – avrebbe avuto al centro una riplasmazione della figura del dio
Apollon, apparentato alle figure dei giovani iniziandi di vari riti locali, le cui

16. V. Turner, «Betwixt and Between: The Liminal Period in Rites de Passage», in V. Turner,
The Forest of Symbols: Aspects of Ndembu Ritual, Ithaca, Cornell Univ. Press, 1967, pp.
93-111 (p. 97; p. 106) [ed. italiana: V. Turner, La foresta dei simboli: aspetti del rituale
Ndembu, Brescia, Morcelliana, 1976].
L’archetipo dell’iniziazione dell’eroe: motivi, temi, testi 161

funzioni di rinnovamento generazionale sarebbero state assorbite dal com-


plesso mitico-rituale dei Pythia. Apollon effettivamente è il dio che presiede
i passaggi di stato ed è rappresentato come il pais divino per eccellenza,
raffigurato secondo i canoni del kouros eterno. Il mito cosmogonico e
iniziatico di Apollon (l’uccisione del mostruoso Python, la prima impresa
del dio) sarebbe divenuto il nucleo originario della festa dei Pythia e –
considerazioni che valgono per la festa in generale – «quanto più la festa è
concepita come una realtà obiettiva fuori del tempo, tanto più adatta è ad
assorbire i mutevoli interessi della società, che possono modificarne le forme
senza intaccarne l’obiettiva essenza: perciò una festa è suscettibile di
arricchirsi sempre di valenze nuove, sebbene non prive di agganci con quelle
più antiche»17. Così la festa dell’iniziazione di Apollon assorbe e attira nella
propria orbita feste, riti e miti locali, integrandoli in una nuova cornice: il
processo poteva avvenire anche a prescindere dal nucleo iniziatico, ma
l’esempio dimostra l’adattabilità del nostro archetipo eroico a divenire il
centro di costruzioni complesse. Rimanendo nella realtà greca, sarebbe bene
menzionare anche il caso di Theseus, il quale assorbe una serie di miti locali
dell’Attica entro la cornice della propria iniziazione: le numerose prove
giovanili dell’eroe costellano il suo viaggio verso Atene, dove recupererà la
regalità che gli spetta. Così il giovane Theseus diventa il synoikistes
(l’unificatore) dell’Attica e delle sue tradizioni.

5. Un esempio della sovrapponibilità di strutture iniziatiche rituali e narrative


è reperibile nella chanson de geste nota col titolo di Maugis, di cui abbiamo
già parlato a proposito delle esperienze di predazione passiva del giovane
eroe. Nelle sue enfances, Maugis viene sottratto alla sua famiglia ancora
neonato e dopo diverse peripezie viene allevato dalla fata Oriande nel
castello di Rocheflor. Un giorno, passeggiando con la sua madre adottiva, il
giovane vede all’orizzonte un’isola fumante. Interrogata in proposito, la fata
descrive al fanciullo l’asperità di quel luogo (Maugis, vv. 656-660):

«C’est» fet elle, «Bocan, qui mout fet à doter,


qui art et nuit et jor, ja ne vodra cesser,

17. A. Brelich, Paides e Parthenoi, Roma, Editori Riuniti, 2013 [19691], p. 383.
162 Andrea Ghidoni

d’ilec si vient li sosfres, qui put et est amer;


einsi com il est arz, si va aval la mer.
La droite cheminee d’enfer est, sanz fauser».

(Ella disse: «È il temibile Bocan, / che arde notte e dì incessantemente, / da là viene lo zolfo
puzzolente e amaro; / come arde, il mare si abbassa. / È la dritta via per l’inferno, senza
dubbio».)

Il luogo dell’iniziazione assume dunque contorni fantastici e quasi


mitologici: l’isola vulcanica che sarà teatro dello scontro con la belva è
un’isola infernale, abitata da creature pericolose come serpenti e demoni.
Tra queste creature vi è il cavallo Bayard, autentico mostro mitologico (è
stato generato da un drago e un serpente) che il pubblico conosce attraverso
il Renaut de Montauban. Maugis desidera immediatamente impossessarsi
del magico destriero (Maugis, vv. 680-685). Nonostante le deboli resistenze
di Oriande, Maugis si arma per l’impresa e lo scontro con le belve feroci
richiede una weaponry adeguata (Maugis, vv. 706-721):

Maugis prist meintenant, ne s’i est atargiez,


une pel d’ors locue quë il ot escorcié;
.I. vestemenz l’en fu isnellement tailliez
qui contreval li ferme jusques au col des piez.
Tote jor sejorna deci à l’anuitier.
Au matinet au jor quant il fu esclerié,
de son vestement fu Maugis apareilliez,
et ot une visiere, bien fu aharneschiez;
d’un cuir de buef tané durement fu froiez;
keues ot de gorpil environ atachiez,
et de chascunne part ot .II. cornes drechiez.
Quant en son vestement fu encloz et laciez,
bien resemble dëable que d’enfer soit chaciez.
Baudris li a ses mestres le croc de fer baillié.
O lui porta s’espee, si fist quë ensegniez.

(Maugis prese allora, senza perdere tempo, / un’irta pelle d’orso che aveva scuoiato; / se ne
fece una veste tagliata su misura / che lo copriva tutto fino alle caviglie. / Si riposò tutto il
giorno, fino a notte. / Il mattino all’alba / Maugis fu vestito con l’abito, / gli fu data una visiera,
venne armato di tutto punto; / con un bruno cuoio di bove venne sfregato; / code di volpe ha
legate attorno, / e da ciascuna parte si drizzavano due corna. / Quando il suo abito fu chiuso
e allacciato, / sembra un diavolo cacciato dall’inferno. / Baudris, il suo maestro, gli ha portato
il gancio di ferro. / Con sé portò la sua spada, si comportò da esperto.)
L’archetipo dell’iniziazione dell’eroe: motivi, temi, testi 163

Questa sorta di addobbamento di Maugis serve a mimetizzare l’eroe con


l’ambiente in cui dovrà mettersi alla prova e la lotta con le belve demoniache
coincide con l’assunzione di tratti ferini e mostruosi da parte dell’eroe stesso:
il travestimento richiama alla mente la preparazione ai riti di iniziazione
nonché la figura del trickster. Maugis dunque, parato come uno chasseur
noir (usando la fortunata espressione di P. Vidal-Naquet18), sbarca sull’isola
e affronta il demone Roenel: l’eroe esibisce le proprie tecniche incantatorie
e la propria trickery paralizzando il suo avversario. Ma, prima di
impossessarsi del cavallo, deve ancora sconfiggere il serpente guardiano, ed
ecco allora che sopraggiunge la lotta con la belva (Maugis, vv. 794-800):

Le serpent fu mout grant et de lede estature:


onques mes si hisdos ne regarda nature,
et jesoit en rouorte en une crevëure.
Quant vit venir Maugis, s’a levee la hure
qui fu grant et hisdos et let à desmesure.
Quida qu’il fust dëable quant il vit sa figure;
por ce mist jus la teste, qu’i connut sa nature.

(Il serpente era molto grande e di enormi dimensioni : / mai si vide un animale così spaventoso,
/ e se ne stava arrotolato su se stesso in un crepaccio. / Quando vide avvicinarsi Maugis, ha
sollevato la testa / che era grande, spaventosa e smisurata. / Il serpente pensò che fosse un
diavolo quando vide l’aspetto (di Maugis); / perciò chinò il capo, perché l’aveva riconosciuto.)

Il travestimento di Maugis inizialmente sortisce l’effetto di ingannare la


belva, facendo passare l’eroe per un diavolo; solo quando Maugis colpisce
il serpente sulla testa con la spada, il mostro inizia a dare la caccia al giovane
(Maugis, vv. 813-819): l’eroe è ora la preda designata e come un animale
cacciato si rintana in un anfratto. Il rettile insegue Maugis fino alla caverna,
da dove egli riesce a colpire a morte la belva: il cadavere però ora ostruisce

18. P. Vidal-Naquet («Le chasseur noir et l’origine de l’éphébie athénienne», Annales.


Économies, Sociétés, Civilisations, 23 (1968), pp. 947-964) rintraccia le origini dell’efebia
ateniese in miti connessi al giovane eroe Melanthos ‒ ʻil Neroʼ, che ottiene la vittoria in un
duello attraverso un astuto inganno ‒ e in riti e costumi iniziatici in cui era previsto che i
giovani si recassero nelle zone liminari del territorio ateniese per vivere come cacciatori e
con uno stile di vita militare individualista e anarchico, esattamente rovesciato rispetto alla
paideia del cittadino-oplita (cioè l’uso militare del cittadino maturo).
164 Andrea Ghidoni

l’uscita intrappolando al suo interno il giovane eroe. Così Maugis è costretto


a trascorrere digiuno la notte all’interno della grotta, minacciato costante-
mente da ogni genere di bestes sauvages, serpenti, scorpioni, tigri e altro
ancora (Maugis, vv. 952-960):

Sus une haute pierre est montez en estant


por la fiere vermine dont il i avoit tant,
et tint le croc de fer et nu sache le brant.
Trestote nuit s’estut que ne sist tant ne quant,
onques ne clost son oil ne ne fu en sëant,
et convint jëuner la vassal combatant.
Grant fain a et gran soif qui le va destraignant,
ne d’ileques n’istroit por tot l’or d’Orïant:
reclus li convint estre, n’i voi autre semblant.

(Su un’alta roccia è salito e si è messo in piedi / a causa delle tante bestie velenose che c’erano,
/ e teneva il gancio di ferro e sguainato il brando. / Tutta la notte stette così e non si sedette
nemmeno un po’, / non chiuse mai occhio e non si riposò, / e dovette patire la fame, quel vassallo
combattivo. / Lo tormentano una gran fame e una gran sete, / ma non sarebbe uscito da là
neppure per tutto l’oro d’Oriente: / dovette starsene lì imprigionato, non c’era altra possibilità.)

La notte di Maugis può essere paragonata a quei momenti dei riti


iniziatici in cui gli aspiranti guerrieri vengono relegati (reclus) in un ambito
liminare – un’esperienza approssimabile alla morte – prima di poter essere
riammessi nel consorzio umano e civile: naturalmente, si pensi anche alla
notte di preghiera che precede l’addobbamento cavalleresco. Al mattino, il
corpo del serpente si sgonfia, permettendo la fuoriuscita di Maugis, il quale
ora può finalmente domare il cavallo Bayard.
La teriomachia del Maugis dunque conserva il carattere antropologico
delle arcaiche iniziazioni guerriere. Sia ben inteso però che nel caso di
Maugis l’associazione con tali pratiche rituali o con la figura mitologica del
trickster è metaforica: mentre tutto lascia pensare a un’elaborata iniziazione
secondo modelli arcaici, non vi sono prove esplicite che tale impresa sia
davvero un’iniziazione (nel Tristan de Nanteuil, per esempio, la prova
dell’eroe è intesa esplicitamente come iniziazione) e i presunti arcaismi sono
riconducibili piuttosto alla poetica romanzesca del meraviglioso e
dell’esotico e al riattivarsi di strutture archetipiche del racconto iniziatico
nella fantasia combinatrice del poeta.
L’archetipo dell’iniziazione dell’eroe: motivi, temi, testi 165

6. L’archetipo dell’eroe, proprio in virtù della sua polivalenza, è stato inve-


stito in alcuni testi anche di una funzione culturologica: in certi cicli o poemi
che riplasmano un patrimonio tradizionale di miti e racconti esso viene
assurto a centro gravitazionale di materiali (motivi, temi, intrecci) differenti,
che possono essere innestati sull’intero arco biografico del personaggio
(proprio perché tale arco è ampio ed elastico). Se l’epica è definibile come
super-genre19, ciò avviene grazie alla capacità dell’eroe polytropos di attrarre
e unificare elementi eterogenei.
È evidente che l’apertura e la polivalenza che caratterizza l’eroe esor-
diente attira nel racconto motivi e intrecci estranei al canone ʻepicoʼ: i due
testi medievali menzionati, Ruodlieb ed Enfances Vivien, propongono
elementi di generi quali la novella (entrambi) e la fiaba (il primo), frammisti
alla semiologia – rispettivamente – delle Heldensagen germaniche e delle
gestes antico-francesi20. In questo modo viene espletata quella funzione
culturale del racconto eroo-poietico che abbiamo messo in luce poc’anzi:
alcuni testi che propongono il tema dell’iniziazione eroica sfruttano – più o
meno coscientemente – quegli intrecci per includere e combinare tra loro
materiali eterogenei della tradizione narrativa. Il confronto e la contrappo-
sizione con modelli eroici o comportamentali differenti non sono solo interni
al récit e non concernono solamente la formazione individuale dell’eroe,
diventano altresì un’operazione contrastiva culturologica e letteraria, in
quanto viene messo in relazione un campionario di generi e forme narrative,
se non addirittura di schemi epici o filoni leggendari differenti. I racconti
iniziatici propongono non solo l’educazione dell’eroe, ma anche una sorta
di panoramica ʻpedagogicaʼ dei generi narrativi.

19. Il concetto di epica come super-genre è stato formulato da R. Martin («Epic as Genre», in
A Companion to Ancient Epic, a cura di J. Foley, Malden, Blackwell, 2005, pp. 9-19):
l’epica, più che un genere universale con regole sue proprie, è piuttosto un super-genere
che raccoglie elementi (frammenti, intrecci, personaggi, miti, segni) di altri generi narrativi
o lirici; è al tempo stesso un testo marcato all’interno della cultura in cui sorge e inclusivo.
20. In Enfances Vivien, i genitori adottivi affidano al giovane eroe un cospicua somma di denaro
e mercanzia da far fruttare al mercato, ma Vivien, mosso dalla proprio propensione
cavalleresca, dilapida i beni in acquisti folli (almeno secondo la logica borghese), pagando
prezzi esagerati per un cavallo, un falcone e cani da caccia: è evidente la traccia di motivi
comici novellistici. In Ruodlieb invece la scena in cui il rex impartisce all’eroe lezioni di
retto comportamento in situazioni molto specifiche richiama motivi fiabeschi, nei quali il
protagonista riceve consigli oscuri che troveranno spiegazione e la loro utilità nel prosieguo
del racconto.
166 Andrea Ghidoni

Questa considerazione ci porta a riflettere brevemente sulle motivazioni


che spingono certe comunità ad arricchire le storie dei propri eroi con i récits
dell’infanzia. Naturalmente una complessità differente acquistano quei
racconti che abbiamo definito eziologici, ossia quelli che vengono composti
quando già esistono delle tradizioni sull’eroe maturo ma mancano storie sulle
origini di quello stesso eroe.
Per le narrazioni su eroi ʻnuoviʼ (oggetto di racconto per la prima volta)
il principio della biografia eroica è solo una tappa (per quanto obbligatoria)
della carriera del personaggio di cui narrano le gesta, il fine di quei testi è la
biografia stessa: possono sfruttare la polivalenza insita nell’iniziazione eroica
che abbiamo messo in luce, ma non hanno un esito finale con cui confrontarsi
o a cui contrapporsi. Le narrazioni e i testi eziologici invece partono da
presupposti vincolanti (le avventure già note di un eroe), da cui possono
smarcarsi solamente aumentando e variando le avventure dell’eroe giovane,
lasciando però immutato l’esito di quest’ultime: il racconto antefattuale deve
logicamente terminare laddove iniziava il racconto primario e ha come
precipuo scopo lo sviluppo dell’epifania dell’eroe, la primissima manifesta-
zione di quel personaggio straordinario di cui si conoscono le gesta maggiori.
Se queste sono le premesse narratologiche che guidano la composizione
dei prequel, le funzioni culturali dei testi che cercano di completare en amont
la biografia dell’eroe possono essere diverse. La prima e più elementare è
quella meramente narrativa: questi testi vengono composti per esaudire il
desiderio del pubblico di ascoltare/leggere nuove storie sui suoi eroi più
popolari, per colmare una lacuna su parti della sua biografia sentite come
essenziali. Tale scopo è per esempio quello alla base della produzione di
enfances delle chansons de geste.
Lo sviluppo ciclico delle chansons de geste non è altro che un esempio
della pratica della transfictionnalité, che R. Saint-Gelais definisce come «le
phénomène par lequel au moins deux textes, du même auteur ou non, se
rapportent conjointement à une même fiction, que ce soit par reprise de
personnages, prolongement d’une intrigue préalable ou partage d’univers
fictionnel»21; le pratiche transfictionnelles operano sul piano dei contenuti
diegetici, in special modo sui personaggi, i quali vengono fatti migrare da

21. R. Saint-Gelais, Fictions transfuges. La transfictionnalité et ses enjeux, Paris, Éditions du


Seuil, 2011, p. 7.
L’archetipo dell’iniziazione dell’eroe: motivi, temi, testi 167

un testo all’altro: «la transfictionnalité implique par définition une tra-


versée»22, fondata sull’assunto dell’identità degli elementi che migrano da
un testo all’altro, ossia che il personaggio sia il medesimo e che basti il nome
per determinare l’unità biografica con il personaggio del racconto primario.
Tuttavia nella pratica della transfictionnalité l’inizio e la fine dei testi da
espandere non sono equivalenti23:

Certes, si l’on s’en tient à une perspective formelle, [les sequels et les prequels] paraissent
simplement emprunter des directions opposées: les sequels prolongent le récit vers son aval,
les prequels vers son amont. En termes de dynamique narrative cependant, il faut bien voir
qu’ils n’opèrent pas de la même manière: les sequels profitent de la lancée d’une histoire alors
que les prequels, pour leur part, accomplissent une opération curieuse qui va, et pas seulement
dans le sens chronologique du terme, à contre-courant du récit. Indépendamment du jugement
esthétique que l’on pose sur les suites, il reste concevable que la frontière tracée par le
dénouement soit franchie, voire transgressée par un récit ultérieur; par contre l’idée même de
«continuation vers l’amont» a quelque chose d’étrange, comme si c’était moins un interdit qu’un
impensé qui se voyait ainsi remis en question. … Manifestement, la pulsion de récit s’exerce
… plus volontiers vers l’aval, comme si le fil narratif était noué (ou coupé) à son terme, mais
non à son amorce; comme si le point de butée terminal était plus arbitraire, ou fragile, que le
point de départ.

Lo spazio narrativo da colmare con le avventure e le gesta primordiali


dell’eroe naturalmente è vincolato alle azioni susseguenti. Pertanto, mentre
il sequel ‒ ossia la narrazione che riprende la storia dell’eroe nel punto in
cui si era interrotto il racconto primario ‒ è sostanzialmente libero di con-
durre gli eventi proiettando i propri protagonisti in un futuro (rispetto
ovviamente alle gesta già note) che la fantasia modella a piacere, inventando
episodi ad libitum secondo potenzialità pressoché infinite, il prequel al
contrario deve assumere come esito finale il punto in cui la narrazione
originale prende le mosse: in altri termini, l’infante eroico o il giovane
guerriero potranno essere protagonisti solo di quelle avventure che non
entrino in contraddizione con le gesta maggiori. Gli antecedenti eroici
godono di potenzialità asimmetriche rispetto alle narrazioni ʻsequenzialiʼ.
Questo vincolo e questo principio nella costruzione della biografia eroica
implicano dunque differenti motivazioni alla base delle narrazioni degli

22. Ivi, p. 23.


23. Ivi, p. 78.
168 Andrea Ghidoni

antefatti e una speciale poetica: «pour susciter quelque intérêt romanesque


ou dramatique, l’expansion analeptique gagne à incorporer des éléments à
la fois notables et inédits; or ce caractère de nouveauté implique que le
prequel mette en place des éléments diégétiques, quand ce n’est pas une
trame narrative entière, dont le récit original ne garde pas la trace»24. Ripren-
dere la gioventù eroica significa colmare una lacuna, riempire un vuoto che
non è necessario postulare invece per i seguiti narrativi. Infatti il racconto
primario termina per esempio con la vittoria o il sacrificio dell’eroe e trova
una conclusione ai fatti narrati: riaprirli significa perturbare l’ordine di tale
chiusura narrativa. Il seguito comporta tutti i rischi che l’ignoto futuro pone
davanti a ciascun individuo, in questo caso un individuo testuale: l’amato
eroe potrebbe morire da un momento all’altro. Il prequel in questo senso è
più rassicurante: si perde la tensione dell’ignoto, qualsiasi incidente sulla
biografia dell’eroe non potrà essere catastrofico, in un modo o nell’altro il
termine sarà quel che non può essere altrimenti.
Ma il ricorso alla narrazione degli antefatti giovanili dell’eroe può non
essere dettato solo dal semplice desiderio di completare il racconto della vita
dell’eroe. Se nell’ambito delle chansons de geste antico-francesi non è
possibile intravvedere altre funzioni che l’intrattenimento feudale-cortese,
altrove nei récits sull’infanzia eroica s’innestano questioni ideologiche che
sfruttano i temi e i patterns iniziatici per promuovere operazioni contrastive
nei confronti della concezione dell’eroe espressa nei testi pregressi.
Ciò è naturalmente visibile appieno in quei contesti in cui l’eroe non è
confinato soltanto all’interno di un piano letterario (come è il caso dell’epica
medievale) ma diventa portatore di istanze religiose, è oggetto di canoniz-
zazione ideologica: se le gesta dell’eroe sono il soggetto di narrazioni
marcate, sacre, inviolabili, l’unico modo per proporre una prospettiva ideolo-
gica diversa, pur attribuendola alla stessa fonte (ossia l’eroe), è sfruttare
eventuali lacune della biografia dell’eroe stesso, quindi sviluppare i récits
sulla sua infanzia, valorizzandone tutte le aperture potenziali.
In forma di annotazione e di accenno alla questione – poiché manca lo
spazio per la discussione più strutturata che l’argomento meriterebbe – posso
limitarmi a fare due esempi rapidi di tali funzioni ideologiche del racconto
eroo-poietico, ossia i racconti sull’infanzia di Gesù e di Krishna: due eroi

24. Ivi, p. 80.


L’archetipo dell’iniziazione dell’eroe: motivi, temi, testi 169

(l’uno fondato su una figura storica25, l’altro su una figura mitica26) sui
generis in quanto di natura divina, ma la cui peculiarità comune è proprio la
commistione di tratti umani (tra cui la nascita e la mortalità) e divini (commi-
stione legata nel cristianesimo al dogma dell’Incarnazione, nell’induismo
alla teoria degli avatāra). Lo sviluppo della loro biografia umana ci permette
di includerli in questa rassegna sul tema della gioventù eroica.
Entrambi questi personaggi vengono delineati principalmente in testi che
inquadrano le loro gesta maggiori (i Vangeli, da una parte, e il Mahābhārata
e la Bhagavadgītā, dall’altra) e che vengono canonizzati come testi sacri.
Successivamente vengono composti testi che raccolgono le tradizioni (infar-
cite di elementi popolareggianti) sull’infanzia di questi due eroi: l’insieme
dei Vangeli dell’Infanzia di Gesù e lo Harivaṃśa (ʻgenealogia di Hariʼ,
epiteto di Krishna). In entrambi questi testi, i giovani Gesù e Krishna si ren-
dono protagonisti di exploits che mettono in luce la loro natura sovrumana,
operano miracoli (episodi che sollecitano la pietà popolare), si mostrano
sprezzanti nei confronti di chi li sottovaluta, suscitando ammirazione e
sgomento nelle loro rispettive comunità e nei genitori (reali o adottivi),
esprimono implacabilmente il proprio potere anche in forme violente. Vi è
uno scarto notevole con le gesta compiute in età matura: proprio l’apoditticità
delle azioni di Gesù Bambino, prive di misericordia e proprie di un
castigatore, lo pone in contrasto con la sua versione adulta; invece Krishna,
di cui si ricordano azioni dello stesso tenore anche in fase adulta, si allontana
dall’immagine tradizionale di guerriero e precettore, in quei racconti viene

25. Per i testi e la bibliografia si veda: I Vangeli apocrifi, a cura di M. Craveri, Torino, Einaudi,
2014. Per un commento approfondito della cultura alla base dei Vangeli dell’Infanzia si
può utilizzare: Ph. Vielhauer, Geschichte der urchristlichen Literatur: Einleitung in das
Neue Testament, die Apokryphen und die Apostolischen Väter, New York-Berlin, W. De
Gruyter, 1975, pp. 665-679.
26. Per i testi, la bibliografia e un commento approfondito si veda in particolare: A. Couture,
L’enfance de Krishna, Paris, Éditions du Cerf et Presses de l’Université Laval, 1991.
Altrettanto utili possono risultare: Ch. Vaudeville, «Aspects du mythe de Kṛṣṇa-Gopāla
dans l’Inde Ancienne», in Melanges d’Indianisme à la Memoire de Louis Renou, Paris,
Editions Boccard, 1968, pp. 737-761; C.S.T. White, «Kṛṣṇa as Divine Child», History of
Religions, 10 (1970), pp. 156-177; B. Preciado-Solis, The Krsna Cycle in the Puranas:
Themes and Motifs in a Heroic Saga, Delhi, Motilal Banarsidass, 1984; N. Hein, «A
Revolution in Kṛṣṇaism: The Cult of Gopāla», History of Religions, 25 (1986), pp. 296-
317.
170 Andrea Ghidoni

immaginato come pastore (nonostante il suo retaggio nobile, viene allevato


in una comunità di mandriani ed è per questo conosciuto con gli epiteti di
Govinda o Gopāla, ʻprotettore delle vacche, bovaroʼ), come enfant terrible,
come libertino.
La dissonanza delle infanzie di Gesù e Krishna svolge però una funzione
ideologica nei testi che le riportano. I Vangeli dell’Infanzia (in particolare il
Vangelo dell’Infanzia dello Pseudo-Tommaso) sono stati favoriti entro co-
munità gnostiche27: il Bambino che manifesta la propria natura divina in
modi plateali e sconcertanti e che punisce coloro che non riconoscono la sua
vera essenza esprime nozioni di correnti di pensiero particolari, che sfruttano
le potenzialità del tema dell’infanzia in opposizione all’immagine tradizio-
nale, contenuta in altri testi, di Gesù adulto (umile e misericordioso
predicatore)28:

Le storie dell’infanzia devono rappresentare Gesù fanciullo già come il potente taumaturgo e
grande maestro che sarà in futuro, come un essere divino. Tale tendenza introduce nella
rappresentazione non soltanto pie leggende, ma anche motivi della biografia del theios aner ed
elementi mitici. È evidente che i racconti non spingono il proprio orizzonte temporale oltre i
dodici anni di età, escludendo quindi gli anni dell’adolescenza e della prima maturità; l’idea di
sviluppo non ha alcuno spazio nella rappresentazione di un essere divino.

I concetti qui espressi si possono estendere all’intera tipologia eroo-


poietica: il protagonista, al cui sviluppo in termini personali non si accenna,
non è giovane in senso anagrafico, non è tanto questo che importa, ma è
ʻgiovaneʼ in senso tipologico, è tale perché compie determinate azioni e
possiede qualità che convenzionalmente vengono attribuite al giovane eroe,
talvolta differenti da quelle che caratterizzano l’eroe adulto (Gesù è bambino
non nel senso che attraversa tutte le fasi dell’infanzia e dell’adolescenza, ma
perché corrisponde al tipo fisso del Götterkind delle religioni pagane).

27. Cfr. Vielhauer, Geschichte der urchristlichen Literatur, p. 676.


28. Ivi, p. 667: «Die Kindheitsgeschichten sollen schon den Jesusknaben als den künftigen
mächtigen Wundertäter und großen Lehrer, ja als göttliches Wesen erweisen. Solches
Bestreben läßt nicht nur fromme Legenden, sondern auch Motive der theios aner-
Biographie und mythische Elemente in die Darstellungen einströmen. Es fällt auf, daß die
Erzählungen zeitlich nie weiter gehen als bis zum Zwölfjährigen, die Jünglings- und frühen
Mannesjahre aussparen; der Gedanke der Entwicklung hat in der Darstellung eines
Gottwesens keinen Raum».
L’archetipo dell’iniziazione dell’eroe: motivi, temi, testi 171

Lo Harivaṃśa raccoglie invece tradizioni che erano sorte a livello


popolare a latere della concezione krishnaitica canonizzata dalla religione
brahmanica: si tratta di racconti e leggende che si erano sviluppate in seno a
comunità rurali, nomadi, dedite all’allevamento e alla pastorizia, e che a
partire dal III secolo d.C. divengono estremamente popolari, quasi eclissando
nella devozione popolare la concezione brahmanica29. Mentre questa, fon-
data principalmente su Mahābhārata e Bhagavadgītā, offriva una immagine
di Krishna come saggio precettore, guerriero astuto, sovrano attento alle virtù
del dharma, le avventure del piccolo Krishna dello Harivaṃśa includono
exploits come le uccisioni di demoni compiute dall’infante, l’impossibilità
di tenerlo legato, il dominio sulle fiere (con cui il giovane eroe costringe i
mandriani al nomadismo), la pretesa di offerte destinate al dio Indra, il
sollevamento di una montagna per proteggere i pastori e il bestiame da un
diluvio mandato dallo stesso Indra, i liberi amori con le fanciulle della
comunità dei mandriani: imprese in cui l’eroe esibisce la propria schiacciante
superiorità sui malvagi, sui demoni, sui genitori, sui mandriani, sugli animali,
sulla natura e pure sugli dei.
In entrambi i testi iniziatici su Gesù e Krishna si consuma dunque una
rottura tra due concezioni ideologiche di questi eroi divini: essi colmano una
lacuna e al tempo stesso offrono un’immagine diversa, inedita dei prota-
gonisti, al fine di fondare nel mito nuovi approcci al divino e nuove nozioni
teologiche30:

Nonostante questa trasposizione in condizioni rurali, i racconti di Tommaso rappresentano una


grossolana introduzione di motivi ʻmondaniʼ stranieri nella tradizione su Gesù. Dal punto di
vista della storia della letteratura si tratta non di un processo di espansione della forma dei
Vangeli, ma dell’acquisizione di autonomia di una ʻlacunaʼ lasciata da Matteo e Luca, che venne
riempita attraverso narrazioni mitiche per tipo e origine. Non si dovrebbe parlare di un Vangelo

29. Si tratta della tesi di Hein, «A Revolution in Kṛṣṇaism».


30. Vielhauer, Geschichte der urchristlichen Literatur, p. 677: «Trotz dieser Transposition in
dörfliche Verhältnisse repräsentieren die Thomaserzählungen das Einströmen fremder
ʻweltlicherʼ Motive in die Jesusüberlieferung denkbar krass. Literaturgeschichtlich han-
delt es sich nicht um eine Weiterbildung der Evangelienform, sondern um die Verselbst-
ändigung eines von Mt und Lk hinterlassenen ʻLeerraumesʼ, der durch Novellen mythi-
scher Art und Herkunft aufgefüllt worden ist. Von einem Kindheitsevangelium sollte
man daher nicht sprechen, sondern allenfalls von einer ʻBereicherung des Evangelien-
stoffesʼ, wenn man diese nicht qualitativ, sondern nur quantitativ auffaßt».
172 Andrea Ghidoni

dell’infanzia, ma al massimo di un ʻarricchimento della materia dei Vangeliʼ, se si intende ciò


non in senso qualitativo, ma soltanto quantitativo.

Il completamento della lacuna si realizza non attraverso una ripresa della


forma evangelica, ma tramite lo sfruttamento di forme del racconto folklorico
che erano escluse dal canone evangelico legato alla figura di Gesù adulto.
Pertanto a rigore non si tratterebbe di ʻVangelo dell’infanziaʼ, perché tale
racconto dell’infanzia di Cristo ha poco da spartire con il genere ʻevangelicoʼ
in senso stretto. Il prequel – ciò deve essere esteso anche ad altri casi, non
solo alla letteratura protocristiana – non deve essere interpretato solo come
un completamento, ma come lo spazio in cui una tradizione narrativa si apre
a un arricchimento dei propri canoni, importando da altre fonti forme che le
erano estranee. I racconti eroo-poietici antefattuali all’interno di una stessa
cultura condividono una poetica a loro precipua che per certi aspetti tende a
separarli dai racconti primari. Per esempio, all’interno della letteratura delle
chansons de geste francesi medievali, i racconti focalizzati su eroi già noti
vengono riconosciuti come una sorta di sottogenere trasversale – il gruppo
delle enfances – che include testi su eroi diversi ma che condividono uno
stesso codice, gli stessi motivi, gli stessi temi: un’aria di famiglia rafforzata
rispetto ai testi sulle gesta maggiori dei rispettivi protagonisti. Si viene a
creare una coesione di genere tra i racconti dell’infanzia più forte che la
coerenza tra i racconti delle avventure giovanili di un singolo eroe e i ri-
spettivi racconti primari.

7. In questa rapida rassegna di questioni e aspetti che attendono una


riflessione approfondita concernenti il racconto eroo-poietico (e i testi che
sfruttano i patterns corrispondenti), si è voluto delineare le potenzialità della
concettualizzazione di tale tipologia narrativa, fondata su un archetipo (l’eroe
esordiente) che, tra costanti e varianti, è riscontrabile in diverse culture. Nelle
fasi che precedono l’epifania definitiva dell’eroe intravvediamo in modo
spiccato la polivalenza di tale personaggio, un carattere generale dell’ar-
chetipo eroico che è stato spesso messo in sordina da una concezione di
stampo aristotelico, focalizzata sugli aspetti guerrieri e respingente nei
confronti dell’ampiezza biografica e multiforme in cui si sviluppa la figura
dell’eroe, che non può essere limitata a uno o pochi poemi ma che deve
essere estesa a un fascio di fenomeni culturali (letteratura, mito, folklore,
religione, arte ecc.).
L’archetipo dell’iniziazione dell’eroe: motivi, temi, testi 173

Il racconto eroo-poietico assume inoltre all’interno di certi sistemi


culturali una funzione ʻtotalizzanteʼ: attraverso il racconto della vita dell’eroe
(e quindi della sua gioventù) si realizza una sorta di cultura della silloge,
ossia la tendenza a raggruppare (e riplasmare) attorno oggetti, simboli, segni
(nel nostro caso un segno-personaggio, l’eroe) una parte consistente del
patrimonio culturale di una comunità, per conservarlo – dopo che è divenuto
reliquia del passato – o integrarlo in nuove cornici.

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