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“molti studi hanno scoperto che un alto stile cognitivo negativo, cioè la tendenza ad
attribuire eventi negativi a cause stabili, globali e interne, in relazione con eventi
stressanti, rappresenta un grosso fattore di rischio per lo sviluppo della
depressione”.
“Nello studio presente abbiamo usato una procedura di induzione di umore negativo
per attivare l’elaborazione delle informazioni disadattive verso la le prestazioni
della Working Memory per volti con espressioni diverse (propri e di estranei) in
individui sani. Gli individui vulnerabili possiedono (secondo I modelli di
depressione diatesi-stress) schemi cognitivi disadattivi che li distinguono da
individui non vulnerabili”
“Un bias della memoria verso il proprio volto felice è adattivo, poiché può
proteggere il soggetto dall’umore negativo e dalla perdita di autostima.
Contrariamente, un bias di memoria verso il proprio volto triste è disadattivo,
poiché può risultare una rappresentazione distorta del mondo sociale e può
influenzare l’autovalutazione negativa e una scarsa concezione di sé stessi”
Diversi studi hanno scoperto che uno stile cognitivo negativo, cioè la tendenza ad
attribuire eventi negativi a cause interne, stabili o globali, legato ad eventi stressanti,
indica un fattore importante di rischio per la depressione.
Usando una tecnica per attenuare l’attenzione(AB), è dimostrato che uno stile
cognitivo negativo può variare l’assegnazione autonoma dell’attenzione verso
informazioni emotive. Romens et al. ha scoperto che in condizioni attenzionali
limitate i partecipanti sani con un alto livello cognitivo negativo indotto e con un
umore negativo, mostravano una probabilità più alta degli altri partecipanti di
rilevare parole di attribuzione negativa (“fallimento” per esempio), rispetto al
negativo non pertinente(“pericolo”) o parole neutre. Quindi uno stile cognitivo
negativo è legato nel modulare la salienza di stimoli per le auto-attribuzioni
negative.
L’insieme degli stimoli in questo test includeva il proprio volto triste, poiché il volto
triste di un estraneo non avrebbe fornito informazioni sensibili quanto quelle legate
al proprio volto per studiare la memoria distorta.
I soggetti sono stati valutati come a rischio cognitivo alto o basso a seconda del
punteggio ottenuto nel Cognitive Style Questionnaire (CSQ). L’induzione
dell’umore negativo poteva invece accelerare il processo di disadattività solo se i
soggetti avessero sperimentato una grande differenza di umore. Incrociando questi
fattori abbiamo quindi ottenuto i 4 gruppi in cui suddividere i 66 partecipanti.
Nel test sono stati mostrati 4 volti (2 di sé stessi e 2 di un estraneo) con emozioni
felici e tristi. Questa procedura ci ha permesso di misurare l’impatto
dell’autoreferenziazione sulla codifica involontaria delle espressioni facciali
affettive. Sono state formulate quindi 3 ipotesi:
Ipotesi 1- I soggetti ad alto rischio cognitivo con una forte risposta all’induzione di
umore triste mostreranno un vantaggio superiore di “self-face” per le espressioni
del volto tristi rispetto a quelle felici.
Ipotesi 2-I soggetti ad alto rischio cognitivo con una risposta più debole
all’induzione di umore triste mostreranno un vantaggio maggiore di “self-face” per
le espressioni felici rispetto a quelle tristi. Se gli schemi di sé negativi sono
dormienti perché non stimolati allora l’elaborazione disfunzionale non avverrà.