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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI GENOVA

SCUOLA DI SCIENZE SOCIALI


DIPARTIMENTO DI ECONOMIA
Corso di laurea in Economia e Commercio

Elaborato scritto per la Prova finale in


Storia Economica

Economia e
monetazione nella
Genova medievale

Docente di riferimento: Marina Romani

Candidato: Matteo Schivo

anno accademico 2017/2018


Alla mia famiglia

2
Indice:

Capitolo I : Economia e moneta nell’Europa medievale

1.1 L’Europa dell’ Alto Medioevo

1.2 La Riforma Carolingia

1.3 La Rivoluzione Economica e Monetaria del XII – XIII Secolo

1.4 La Moneta Nera e il Contesto Urbano

1.5 Svalutazione e Pressione Fiscale

1.6 Lombardi, Cambiavalute e la nascita delle prime banche

Capitolo II : Genova Medievale

2.1 Le Origini della Zecca Genovese

2.2 Area Monetaria della Moneta Genovese

2.3 La Svalutazione del Denaro Genovese e l’Introduzione della Moneta Grossa

2.4 Svalutazione ed Economia Reale

2.5 L’introduzione dell’Oro Monetato

2.6 Monete Alternative? Il Caso della Crimea

2.7 Debito Pubblico e Casa di San Giorgio

3
Abstract

Il seguente elaborato ha come obbiettivo quello di analizzare i principali fattori economici e monetari
che possiamo riscontrare nella Genova medievale, mettendoli in relazione con quelli europei ad essi
contemporanei. La scelta dell’argomento è dovuta alla passione dell’autore per l’ambito numismatico.
Per il metodo di ricerca si è cercato di utilizzare quanto più possibile un corretto metodo scientifico
attraverso la lettura delle più rilevanti ed aggiornate fonti in materia.

The aim of the following work is to analyze the main economic and monetary factors that we can
observe in the medieval Genoa, and compare them with the contemporary European ones. The topic has
been chosen due to the author’s passion for the numismatic field. For the research method I tried to
follow as much as possible a correct scientific method through the lecture of most important and updated
documents of the field.

4
Capitolo I : “Economia e moneta nell’Europa medievale”

1.1 L’EUROPA DELL’ ALTO MEDIOEVO

A seguito della caduta dell’Impero Romano d’Occidente del 476 d.C., l’Europa andò frammentandosi
non soltanto sotto il punto di vista politico, ma pure sotto altri aspetti come quello culturale ed
economico.
Le popolazioni barbare che si stanziarono nella parte occidentale dell’impero lungo il V secolo
utilizzarono monete romane o a continuarono con la pratica del baratto per far fronte alle proprie
esigenze commerciali. In Inghilterra abbiamo notizie sulla ripresa dell’uso e coniazione di monete
solamente a partire dal VII sec 1.
Il progressivo abbandono dell’uso della moneta nell’ Alto Medioevo venne favorito anche da altre
circostanze: la suddivisione politica dell’Europa portò all’abbandono delle grandi vie romane con una
conseguente riduzione dei traffici commerciali via terra; potremmo definire questa involuzione come il
passaggio da un’economia continentale ad una regionale. Un declino economico che non favorì la
coniazione monetaria.
Di conseguenza alla metà del VI secolo si registrò la quasi totale scomparsa dell’uso di bronzo e argento
monetato. L’emissione di moneta aurea continuò tuttavia fino alla conquista islamica del VIII secolo 2,
sebbene il suo utilizzo, prevalentemente per scopi fiscali come donazioni reali o sussidi, rimase invece
limitato negli scambi commerciali3.
Queste emissioni, coniate nei vari regni europei, si differenziano fra di loro non soltanto dal punto di
vista stilistico, ma pure da quello ponderale: quest’ultimo elemento assume un’importanza molto
rilevante in quanto costituì un altro deterrente agli scambi commerciali su lunga scala. È opportuno
sottolineare come, a partire dal VII secolo, la coniazione delle monete venne affidata ai monetari, figure
incaricate dalle autorità centrali allo svolgimento di tale compito, spesso itineranti, il cui nome compare
sui tondelli coniati4.

1
R. Kelleher, A history of medieval coinage: 1066 - 1485, Cambridge, 2015, pag 8.
2
J. Le Goff, Lo sterco del diavolo. Il denaro nel medioevo, 2010, pag 5.
3
J. Porteous, Monete, 1965, pag 54.
4
J. Le Goff, Lo sterco del diavolo. Il denaro nel medioevo, 2010, pag 6.

5
Figura 1 Cartina dell'Europa agli inizi del VI sec. Tratta da: B.De Corradi, A.Giardinia e B.Gregori, 2010, pag.97.

1.2 LA RIFORMA CAROLINGIA

La varietà di tipologie circolanti e la “perdita” del controllo del conio da parte del sovrano, oltre alla
continua fluttuazione del rapporto fra argento e oro furono fra le motivazioni principali che portarono
alla Riforma Monetaria Carolingia che si rese necessaria anche per supportare le espansioni territoriali
dei Franchi. Iniziata nel 755 d.C. sotto il regno di Pipino il Breve, venne poi definitivamente completata
nel 795 d.C. durante il regno del figlio Carlo. Essa si basava su due principi chiave: la riappropriazione
del conio da parte del potere pubblico5 ed il passaggio da una monetazione fondata sul bimetallismo
ad una sul monometallismo argenteo.

Se da un lato assistiamo, quindi, alla cessazione nella produzione di oro monetato dall’ altro assistiamo
all’introduzione di una nuova moneta argentea destinata a dominare la scena economica europea, il cui
nome denarius, riprende quello di un altro nominale argenteo coniato in epoca romana repubblicana
prima e imperiale dopo.

Il nuovo sistema monetario, introdotto da Carlo Magno, era basato sulla libbra di argento 950 millesimi
(circa 409 grammi). Venne stabilito che da una libbra d’argento dovessero ricavarsi 240 denari. Una
libbra (da cui il termine “lira” per corruzione) valeva pertanto 240 denari e sebbene col tempo
cambiassero il piede monetario e venissero introdotti i soldi e poi i soldi grossi, il sistema rimase, in
Europa, immutato fino alla Riforma Monetaria di Napoleone del 1800 e nel Regno Unito fino al 1971.
La libbra era solamente una moneta di conto che non esisteva materialmente, ma serviva solo come

5
J. Le Goff, Lo sterco del diavolo. Il denaro nel medioevo, 2010, pag. 8

6
unità di riferimento per i calcoli. A partire dal maggio 794 d.C. 6 e per un certo periodo il denaro rimase
l’unica moneta fisica in circolazione riferibile alla monetazione dell’occidente cristiano. Aveva un peso
teorico di 1,70 gr. L’argento estremamente scarso in epoca alto-medievale ritornò ad affluire grazie allo
sfruttamento di nuove miniere, fra le quali quella di Melle nel Poitou 7 in Francia, nota per essere la
principale fonte d’argento per i Franchi.

L’importanza della Riforma Carolingia sta nel fatto che essa non venne applicata solo entro i confini
dell’impero Carolingio, ma venne introdotta pure presso altri regni europei, fra i quali il Regno di
Mercia8 governato allora da re Offa (757-796) che introdusse una moneta equivalente al denaro il penny.
Tale moneta era destinata a grande fortuna tanto che rimase l’unico vero nominale in circolazione fino
alla riforma monetale di Edoardo I Plantageneto del 12799.

Il fatto che il denaro circolasse senza sottomultipli né multipli evidenzia, tuttavia, come l’economia
europea del VIII sec. si trovasse ancora in uno stato “embrionale”, dove la moneta, se si esclude la
funzione di moneta di conto, circolava poco ed era destinata solamente a regolare gli scambi
commerciali più importanti.

Gli storici sono tuttavia concordi nel vedere, nella riforma di Carlo Magno, il punto d’inizio della
ripresa dell’utilizzo della moneta anche per le transazioni minute; una testimonianza la possiamo
riscontrare nel Libro dei miracoli di San Filiberto dove viene menzionato un agricoltore che, verso
l’840, recandosi alla fiera dedicata al Santo bevve mezzo denaro di vino presso una taverna. 10

Figura 2 Carlo Magno, denaro (812-4), 1.59g. Fonte: Bibliothèque Nationale de France©
http://gallica.bnf.fr/ark:/12148/btv1b7700118m data di consultazione: 13/11/2017

6
P. Grierson, 1954, pag. 72
7
J. Le Goff, 2010, pp. 9-10
8
Il regno di Mercia corrisponde all’attuale regione delle Midlands.
9
R. Kelleher, 2016, pp. 10-12
10
J. Le Goff, 2010, pag. 9

7
È quindì intorno al IX sec. il periodo in cui potremmo collocare il definitivo passaggio dal primo al
secondo (di tre) stadio dello sviluppo economico, teorizzato nel 1864 dallo storico tedesco Hildebrand;
ovvero il passaggio dall’ Economia Naturale (Naturalwirtschaft) a quella Monetaria
(Geldwirthschaft)11. È bene sottolineare come con il primo dei due stadi sia da intendere come un regime
dove la moneta esiste, ma il suo utilizzo risulta limitato.

La nascita della moneta di conto Carolingia e la lenta, progressiva diffusione di quella metallica per le
transazioni quotidiane, fecero sì, che fu proprio in questo periodo a nascere il concetto di moneta come
misura del valore. L’importanza della moneta di conto o immaginaria, viene ben evidenziata da Luigi
Einaudi nella sua Teoria della moneta immaginaria12 dove si evince come la sua separatezza dal mezzo
di scambio, permise di assolvere ad una duplice funzione: favorire i commerci con l’estero e consentire
i pagamenti dei debiti all’interno delle comunità.

1.3 LA RIVOLUZIONE ECONOMICA E MONETARIA DEL XII-XIII Secolo

Mentre, come precedentemente accennato, il rapporto 1 : 20 : 12 rimase alla base delle monetazioni
europee per un lunghissimo tempo , la “detenzione” del conio come esclusiva imperiale venne meno in
tempi assai più brevi. Le motivazioni alla base di questo fenomeno furono molteplici: a cominciare
dall’iniziativa degli imperatori stessi che, a partire dalla seconda metà del X sec., incoraggiarono
l’apertura di nuove zecche imperiali nella parte orientale del loro vasto impero. Il punto fondamentale
e di svolta è però da vedersi nella prorompente affermazione, a seguito del rinnovato slancio economico
che dal XI sec. attraversò tutta l’Europa, di due fondamentali realtà medievali: i comuni e le sedi
vescovili.

La volontà dei comuni di affermazione e di un riconoscimento della propria identità, si concretizzava


infatti con l‘ottenimento della concessione imperiale per l’apertura di una zecca. Il poter disporre di una
moneta propria rappresentava non soltanto un indiscusso vantaggio economico derivante dalle entrate
della zecca, ma pure un’occasione di affermarsi a livello commerciale. Un esempio di questo fenomeno
lo possiamo riscontrare con il comune di Genova la cui moneta, il denaro, divenne nel giro di pochi anni
dalla sua introduzione, la moneta prediletta per i commerci con la Terra Santa e l’Oriente Latino, tanto

11
B. Hildebrand, Naturalwirthschaft, Geldwirthschaft und Creditwirthschaft, 1864, pag. 4 citato in L. Fantacci, La
moneta. Storia di un’istituzione mancata, Venezia, 2005, pp. 27-33.
12
L. Einaudi, Teoria della moneta immaginaria, 1936, pag. 433 citato in L. Fantacci, 2005, pag. 53.

8
che furono molte le zecche che iniziarono a coniare monete stilisticamente molto simili al denaro
genovese.

Per rendere meglio l’idea dell’ampiezza e dell’intensità del proliferare dell’apertura di nuove zecche
basti segnalare come nell’ Italia Settentrionale alle antiche zecche di Milano, Pavia, Verona e Venezia
si aggiunsero fra il 1138 ed il 1200: Genova, Asti, Piacenza, Cremona, Ancona, Brescia, Bologna e
Ferrara. Nel Lazio si passò dalle quattro zecche attive nel 1130 alle ventisei del 1200. In Sassonia, nella
regione mineraria di Freiberg dalle appena nove zecche del 1130 si passò alle quaranta della metà del
secolo successivo13.

Parallelamente all’apertura delle zecche comunali in epoca medievale osserviamo pure l’apertura di
zecche presso le maggiori sedi vescovili dell’epoca, così da permettere alla Chiesa di far fronte alle
sempre maggiori spese economiche fra le quali si segnalano quelle per le costruzioni delle grandi e
maestose cattedrali gotiche. In Inghilterra troviamo per esempio troviamo le zecche di York, Durham e
Bury St. Edmund, mentre in Italia il caso sicuramente più importante è rappresentato da Trento quando
nel 1007 con la concessione del feudo ai vescovi di Trento da parte di Corrado II “il Salico”, imperatore
del Sacro Romano Impero, essi ricevettero il diritto di battere moneta. Per una monetazione propria
però si dovette attendere il XII sec. con la prima moneta trentina giunta fino a noi: un denaro piccolo
scodellato, attribuito al vescovo Adalpreto II (1156-1173)14.

La ripresa intensiva dei commerci su lunga scala e lo sviluppo delle città fece sì che a distanza di circa
400 anni dalla riforma carolingia il denaro, oramai pesantemente svilito, non risultasse più adeguato a
supportare le transazioni più rilevanti.

Il problema della riduzione del contenuto di fino viene ben esposto dal Cattini 15 che evidenzia come
alla fine del XII sec. il contenuto argento del denaro si era ridotto di oltre il 90 per cento, con una
conseguente riduzione del piede monetale.

Fra il XII e il XIII sec., si assiste pertanto ad un mutamento del quadro monetario europeo con
l’introduzione della moneta grossa argentea prima e della moneta aurea dopo; ritornando di
conseguenza a quel bimetallismo abbandonato con la Riforma Carolingia. Il primo esempio di moneta
grossa lo possiamo riscontrare a Venezia con l’introduzione del grosso matapan , coniato per la prima
volta nel 1203 durante il dogato di Enrico Dandolo (1192-1205), presentava un peso di 2,18g ed un fino

13
J. Le Goff, 2010, pag. 49.
14
A. Gazzoletti, Della zecca di Trento, Trento, 1858.
15
M. Cattini, Argento, oro e monete in Europa dal IX al XV secolo, in Lo Scudo d’oro. Monete e potere da Augusto a
Carlo V, Roma, 1996, pp. VI. 6-7.

9
di 965/1000. Grazie a queste sue caratteristiche il nuovo grosso veneziano conquistò in breve tempo il
dominio dei pagamenti internazionali, soprattutto nei Balcani soppiantando i miliarensi bizantini ed i
dirhem arabi, i principali nominali argentei utilizzati all’epoca per i traffici commerciali nel
Mediterraneo. Il termine matapàn deriva probabilmente dall'arabo mautabān che significa “Cristo
Seduto” rimandando alla raffigurazione che troviamo sul rovescio della moneta 16.

L’introduzione e la rapida ascesa del grosso matapan spinsero ben presto le concorrenti realtà
economiche dell’epoca a coniare una propria moneta grossa: intorno al primo quindicennio del XIII sec.
quasi contemporaneamente Pisa, Lucca e Genova iniziarono a coniare un nominale grosso; nella città
ligure in particolare un Grosso da 6 denari dal peso teorico di 1.70g17. A Piacenza i grossi piacentini
furono emessi per la prima volta nel 1219. Di questo evento ne troviamo testimonianza dal Codagnello
che registrò la prima coniazione del grosso da 6 denari piacentini:

"Eodem anno (1219) mense augusti proximi sequentis, placentini minuti qui dicuntur quarteroli, et
placentini grossi, quorum quilibet valet sex denarios de Placentini veteribus qui modo sunt, facti fuere."
(Giovanni Codagnello - Chronica tria placentina: Chronicon Placentinum ab annum MXII ad annum
MCCXXXV, in Monumenta historica ad provincias parmensem et placentinam pertinentia, III, Parma
1859).

Successivamente fu la volta di Firenze nel 1230 con il così detto Fiorino Vecchio da 12 denari. A Roma
invece il primo grosso fu introdotto solamente da Brancaleone d’Andalò, Senatore (1252-55, 1257-58)
nel 1253 circa.

In Francia invece la prima moneta grossa fu quella di Marsiglia coniata nel 1218 mentre risale al 1266
il Grosso Tornese di Luigi IX, in Inghilterra bisognerà aspettare solamente il 1279 con l’introduzione
del Groat, a seguito della riforma monetale attuata da Edoardo I.

Ulteriore evidenza della riuscita del grosso matapan sono pure le numerose contraffazioni di questa
moneta prodotte da diverse zecche europee, in particolare quelle coniate nell’attuale Serbia di cui fa
menzione lo stesso Dante in un passo del Paradiso (XIX 140-141) (citato in L.Fantacci, 2005):

16
Fonte: http://www.maxcarrara.it/articoli/IL%20GROSSO%20VENEZANO.pdf
17
M. Baldassarri, Coniazioni ed economia monetaria del Comune di Genova: dalle origini agli inizi del Trecento in
Quaderni Ticinesi di Numismatica e antichità classiche XLV, 2016, pp. 288-289.

10
[…] e quel di Rascia

che male ha visto il conio di Vinegia.

Il continuo espandersi dei commerci favorì inoltre la ripresa alla coniazione di nominali aurei, la cui
produzione, era stata interrotta, a seguito della riforma carolingia. Monete auree circolavano tuttavia
anche in precedenza grazie agli scambi commerciali con i territori islamici dove l’oro monetato
continuava ad essere coniato. Fra i territori islamici, in particolare, vi è da ricordare la Sicilia dove anche
a seguito della conquista Normanna del 1052 si continuò a coniare moneta basata sugli standard arabi,
legende in lingua araba comprese, per molto tempo. Il nominale maggiormente degno di nota, è
senz’ombra di dubbio il Tarì: introdotto in Sicilia verso il 913 circa dai Fatidimi, si tratta di una moneta
d’oro dal peso iniziale di circa 1 grammo la cui coniazione venne mantenuta pure dopo la conquista
Normanna. La bontà del Tarì è ben visibile dalle numerose contraffazioni coniate presso altre località
fra le quali si segnalano Amalfi e Salerno a partire dalla seconda metà del X secolo e dal fatto che la
prima vera emissione aurea Occidentale si basò proprio sugli standard ponderali del Tarì. È il caso della,
così detta, Quartarola coniata per la prima volta a Genova nel 1252 18 e che presentava infatti un peso e
fino in linea con quello del Tarì siciliano (0,90 g teorici)19.

In verità, una prima nuova moneta d’oro prodotta in Europa fu l’Augustale dell’imperatore Federico II,
coniata sempre in Sicilia a partire dal 1231 e che presenta nelle sue raffigurazioni chiari elementi di
distacco con le emissioni precedenti. Tuttavia, come segnala Le Goff: “Si trattava però ancora di
monete di natura “marginale”, dipendenti dall’oro africano e dai legami con i territori bizantini e
musulmani.”20

All’introduzione della Quartarola si affiancò, a distanza di un anno, quella di una moneta grossa d’oro:
il Genovino a Genova ed il celeberrimo Fiorino d’oro a Firenze. Sebbene, il peso teorico era 3,50g per
entrambe le emissioni, la seconda delle due presentando un fino leggermente superiore (24 carati contro
i 23,50) aveva un valore maggiore.21

Fu probabilmente proprio questa differenza di valore intrinseco a determinare la maggiore fortuna del
Fiorino il cui utilizzo è ben attestato in quasi tutta l’Europa, in particolare in Francia ed Inghilterra dove
l’afflusso di oro monetato estero spinse le rispettive monarchie a voler introdurre anch’esse una moneta
aurea che tuttavia, non riuscì in entrambi i casi ad ottenere il risultato sperato. In particolare si segnala

18
M. Baldassarri, 2016, pag. 290.
19
ibidem
20
J. Le Goff, 2010, pag. 54.
21
M. Baldassarri, 2016, pag. 290.

11
il fallimento totale del Gold Penny voluto nel 1257 da Enrico III in Inghilterra. Il peso del Gold Penny
era di 2.95g o 45.5 grani e venne inizialmente valutato a 20 penny, in linea con il prevalente tasso di
cambio dell’epoca fissato a 10:1 fra oro e argento. Il nuovo nominale trovò tuttavia, fin da subito le
ostilità della popolazione, tanto che nel novembre dello stesso anno il re proclamò che nessuno era
obbligato ad accettarli in pagamento e che potevano essere cambiati in zecca per 19.5 penny. Il problema
consisteva nel fatto che, a seguito di un contemporaneo incremento del prezzo dell’oro, il Gold Penny
risultava sottovalutato rispetto al suo fino. Contro tale avvenimento nel 1265 il valore venne
incrementato a 24 penny; questo provvedimento risultò tuttavia tardivo: la quasi totalità degli esemplari
erano infatti già stati fusi dalla popolazione22. Dopo questo fallimentare tentativo l’introduzione di un
nuovo nominale aureo avvenne solamente nel luglio 1344 sotto il regno di Edoardo III.

L’egemonia del Fiorino negli scambi commerciali tuttavia, si rivelò di breve durata: a partire dal 1284
infatti Venezia coniò il Ducato una moneta aurea, raffigurante le immagini di Cristo benedicente entro
una Vesica Piscis e di San Marco nell’atto di consegnare il vessillo cittadino al doge inginocchiato,
destinata nel giro di qualche anno a non conoscere rivali nel bacino del Mediterraneo. Le motivazioni
alla base dell’affermazione del Ducato furono molteplici: innanzitutto i fitti ed estesi traffici
commerciali dei mercanti veneziani ne permisero una vasta diffusione che arrivò fino all’India dove
sono stati rinvenuti ripostigli contenti principalmente ducati, con qualche emissione genovese, e dove
furono pure coniate contraffazioni dello Ducato stesso. Grande successo è attestato pure presso l’impero
Bizantino dove: fatto curioso, ma non eludibile a riguardo del ducato, il favore e la popolarità che
ebbe tra le popolazioni del Levante cristiano, fu in parte dovuta all’errato convincimento che le effigi
di San Marco e del Doge, fossero, in verità, quelle di Costantino Magno e della madre Elena23.

22
Lord Stewarby, English coins: 1180-1551, Malta, 2009, pp. 105
23
L. Binaschi, Il ducato di Venezia. Comparazione stilistica dei conii attraverso i secoli, 2011, pag. 3.
http://numismatica-italiana.lamoneta.it/docs/ducato-veneziano.pdf

12
1.4 LA MONETA NERA E IL CONTESTO URBANO

L’ espansione economica del XIII secolo, come abbiamo visto, permise il fiorire di nuovi nominali
monetari dal valore superiore al denaro che favorirono le maggiori transazioni economiche. Le
transazioni minute venivano invece soddisfatte dalle così dette “monete nere”. Con questo termine si
definiscono una serie di monete di bassa lega aventi come scopo quello di soddisfare le necessità della
vita quotidiana; non va dimenticato infatti, come, in conseguenza dell’espansione economica, si assista
ad un altrettanto significativo ingrandimento delle città. Dal basso medioevo e più marcatamente in età
moderna proliferarono nuove attività artigianali che stimolarono non soltanto l’acquisto di materie
prime e la vendita in prodotti finiti, ma pure il ricorso a manodopera salariata. È in questo contesto che
nascono le gilde o corporazioni dei mestieri, associazioni aventi come scopo quello di tutelare e
regolamentare le attività dei loro membri.

L’aggettivo “nere” è dovuto al fatto che queste monete essendo prodotte in bassa lega argentea prima
(spesso definita come “mistura” o “biglione”) e successivamente in rame, ossidandosi diventavano di
colore nero.

Esempi sono l’Obolo veneziano, il Quattrino di Firenze o il denaro Parisis in Francia dove durante il
regno di Luigi IX detto il Santo le grandi elargizioni ai poveri fatte dal sovrano lo resero “la moneta
dell’elemosiniere per eccellenza”24.

In Inghilterra dove l’assenza di una moneta minuta costrinse la popolazione a tagliare letteralmente i
penny così da ricavarne dei sottomultipli: i cut halfpenny e cut farthing aventi rispettivamente il valore
di mezzo e un quarto di penny.

L’introduzione di una moneta coniata con titolo di fino estremamente basso apre pertanto la strada
all’ipotesi per cui, a partire dal Duecento, più che di bimetallismo sia maggiormente opportuno parlare
di trimetallismo monetario. Questa visione, formulata dal medievalista francese Alain Guerreau
nell’opera L’Europe médiévale: une civilisation sans la notion de risque25, tuttavia è fortemente limitata
dal fatto che i nominali aurei e minuti avendo differenti ambiti di utilizzo, di conseguenza, non esisteva
un unico mercato su cui poterli scambiarli direttamente. Questa distinta separazione economica dei due
ambiti è ben visibile nella lettura di alcuni documenti del Comune di Firenze dove, per esempio, si legge
che nel 1294 si proibì di fissare gli stipendi dei dipendenti comunali in moneta aurea, prescrivendo

24
J. Le Goff, 2010, pag. 55.
25
Citata in Le Goff, 2010, capitolo 7.

13
invece che venissero fissati in moneta piccola… similarmente a inizi del Trecento si ordinò invece che
fatta eccezione per i mercanti di Calimala, i cambiatori, i setaioli e i pellicciai, tutte le altre attività
dovessero fissare i prezzi e tenere la contabilità in moneta piccola 26.

È proprio l’esistenza di una molteplicità di conii diversi a motivare l’ascesa della figura del
cambiavalute, la cui importanza lungo il basso medioevo crebbe a tal punto da occupare un ruolo
centrale nella società del tempo.

1.5 SVALUTAZIONE E PRESSIONE FISCALE

L’economia del Duecento trainata dai traffici commerciali, come è stato evidenziato, permise la crescita
della circolazione monetaria; tuttavia, quest’ultimo fattore associato alla progressiva svalutazione di
fino del denaro portò ad un crescente aumento dei prezzi, fenomeno fino ad allora sconosciuto alla
società medievale. Al posto di svalutare il denaro infatti le autorità optarono per mantenerne invariato
il valore nominale, con una conseguente rivalutazione della moneta grossa e di quella aurea.

Esempio di questo fenomeno lo troviamo a Firenze dove a circa cinquant’anni dall’introduzione del
fiorino il valore di quest’ultimo era passato dai 240 denari iniziali ad oltre 3 lire. Conseguentemente la
parità aurea della lira di Firenze si modificava da 3.5 a 1.13 grammi27.

Di tali avvenimenti ne troviamo riferimenti nella Commedia di Dante (Purg. VI 145-147)28:

Quante volte, del tempo che rimembre,

legge, moneta, officio e costume

hai tu mutato, e rinovate membre!

A conseguenza della crescente inflazione i nobili e proprietari terrieri dell’epoca si ritrovarono sempre
più bisognosi di denaro; per sopperire a questa necessità ricorsero ad innalzare i prelievi fiscali. Non
essendo ancora in grado di riscuotere una tassa regolare, essi optarono per l’introduzione di balzelli e
tramutarono le rendite in natura, in particolare i tributi derivanti da raccolti agricoli, in versamenti
monetari. Misure analoghe vennero prese anche dalle città italiane e dei Paesi Bassi.

26
C.M. Cipolla, 1990, pp. 3-4.
27
L. Fantacci, 2005, pag. 56.
28
Citato in ibidem

14
1.6 LOMBARDI, CAMBIAVALUTE E LA NASCITA DELLE PRIME BANCHE.

Il crescente bisogno di denaro, a partire dalla seconda metà del Duecento, porta all’ascesa della figura
dei prestatori di denaro, meglio conosciuti col nome di lombardi. Originari del Nord Italia, ma presenti
in gran parte dell’Europa Occidentale. Sebbene non furono mai oggetto di persecuzioni come gli ebrei,
con quest’ultimi condivisero l’immagine negativa dell’usuraio: subendo quindi forti critiche dalla
Chiesa, e la discriminazione da pare di vari monarchi Europei, specialmente francesi, spesso col pretesto
di evitare il rimborso degli ingenti prestiti di denaro da loro ottenuti in un primo momento. Sebbene
condannata quindi, si può osservare come l’attività dei Lombardi fosse contemporaneamente richiesta
e desiderata.

Differente, ma a volte difficilmente separabile era la figura dei, già citati, cambiavalute. Quest’ultimi
nati inizialmente col fine di convertire la moneta straniera in quella locale presso i grandi centri
commerciali, come le fiere, ben presto iniziarono ad allargare la propria attività grazie anche
all’introduzione di nuovi ed innovativi prodotti finanziari. Poiché non lavorano in un negozio, come
gli artigiani o i mercanti, ma dietro un banco montato nella piazza del mercato ed usandolo come piano
d’appoggio i cambiavalute erano noti anche col termine di banchieri. Essi ben presto, iniziarono ad
accettare depositi rimborsabili a termine fisso o a richiesta, per i quali pagano un interesse o una
partecipazione agli utili; a prestare denaro rimborsabile a data prestabilita e fruttante un interesse in caso
di ritardo.

Il più importante strumento finanziario è sicuramente la lettera di cambio, che a partire dal XII secolo,
permette di effettuare pagamenti, anche su lunga scala, esonerando l’acquirente dal consegnare
l’importo in contanti. Il trasferimento del denaro da un luogo all’altro, infatti, avveniva grazie ad un
documento cartaceo il cui funzionamento è riportato nello schema seguente, dove le linee blu
rappresentano i trasferimenti di denaro contante mentre quelle nere tratteggiate i passaggi della lettera
di cambio:

15
Luogo A

Datore Prenditore

Luogo B

Trattario Beneficiario

Uno dei vantaggi maggiori della lettera di cambio era quello di permettere ai mercanti di viaggiare
liberamente su lunghe distanze senza la necessità di portare grandi quantitativi di denaro con sé; questo
è rilevante perché consente a quest’ultimi di ridurre gran parte del rischio di essere derubati durante le
tratte commerciali. Un altro esempio di prodotto finanziario medievale utilizzato dai cambiavalute è il
moltiplico: ossia la capitalizzazione composta applicata ad un insieme di luoghi per un periodo più o
meno lungo allo scopo di raggiungere un certo capitale che dovrà essere usato secondo la volontà del
fondatore29. L’ideatore di questo sistema è da attribuirsi al genovese Francesco Vivaldi. Con il termine
luoghi si intendono le quote in cui era suddiviso un debito.

L’ ampliamento dell’ attività dei cambiavalute, rese necessario lo sviluppo di sistemi più dettagliati e
precisi per la tenuta della contabilità: nasce proprio verso la fine del XIII secolo la partita doppia, il cui
utilizzo, inizialmente all’appannaggio di cambiavalute e mercanti, venne ben presto esteso alla
contabilità pubblica delle città30.

Proprio le figure dei cambiavalute e dei mercanti danno origine, verso la fine del Trecento, alla nascita
di una nuova categoria professionale: quella dei mercanti-banchieri. Sebbene essi trattino
prevalentemente affari “bancari”, tali operatori non possono definirsi semplicemente “banchieri”.

29
G. Felloni e G. Laura, Genova e la storia della finanza: dodici primati ?, Genova, 2017, pag. 56.
30
G. Felloni e G. Laura, Genova, 2017, pag. 63.

16
L’esiguità della domanda, locale ed internazionale non permetteva tuttavia alcun tipo di
specializzazione e la banca veniva inevitabilmente ad intrecciarsi con la produzione e rivendita di beni.

Cronologicamente il primo caso di banco pubblico è quello della Taula de canvi di Barcellona, fondata
nel 1401. Risale a sei anni dopo la costituzione del secondo istituto di questo tipo: il Banco di San
Giorgio di Genova la cui attività oltre ad esercitare il deposito ed il giro, è quella di concedere prestiti
garantiti allo stato e a privati sotto forma di apertura di credito in conto corrente 31.

I Monti di Pietà nascono, nel corso del Quattrocento, sull’onda religiosa degli ordini mendicanti,
proponendosi come obiettivo quello di contrastare l’usura attraverso la concessione di prestiti di
modesta entità dietro pegno.

31
G. Felloni, Moneta, credito e banche in Europa: un millennio di storia ,Genova, 1999-2000, pag. 116.

17
Capitolo II : Genova Medievale

2.1 LE ORIGINI DELLA ZECCA GENOVESE.

Le origini della zecca di Genova sono note grazie ai ricchi archivi della città, ma soprattutto grazie ad
uno dei primi e più importanti cronisti d’Italia che registrò le azioni e i fatti a lui contemporanei. Caffaro
di Rustico di Caschifellone era un aristocratico genovese che entrò a far parte della nobiltà consolare,
le cui cronache vennero continuate come un ufficiale documento comunale della storia della città. Fu
proprio il Caffaro a menzionare la concessione imperiale da parte di Corrado III all’apertura di una
zecca a Genova nel 1138:

“ … et moneta data fuit Ianuensi urbi a Conrado Theutonico rege.”32

Corrado conferì il privilegio dalla sua corte a Norimberga dove ricevette una delegazione genovese, di
cui faceva parte lo stesso Caffaro, inviata con l’apposito scopo di ottenere tale concessione 33. Siccome
il privilegio di battere moneta venne dato nel mese di dicembre, è pertanto ragionevole supporre che
Genova iniziò a coniare il suo denaro solo nel 1139. L’ubicazione della zecca cittadina, in un primo
tempo venne fissata nei pressi della cattedrale di San Lorenzo 34.

Figura 3: Genova, denaro 1210-1240 ca., 0.80 grammi, Collezione privata.

32
Caffaro, Annali Genovesi, vol I, p.28, rr.19-21.
33
Day, Matzke, Saccocci, Medieval European Coinage, vol. 12, Cambridge, 2017.
34
G. Felloni, Genova organizza la sua zecca e le sue monete cominciano a correre per il mondo in La Casana, Genova,
1998, pag.3.

18
2.2 AREA MONETARIA DELLA MONETA GENOVESE

La produzione di moneta propria assicurava a Genova, non soltanto una rendita aggiuntiva derivante
dal signoraggio, ma soprattutto un importante fonte monetaria da utilizzare per supportare le mire
commerciali della città che voleva diventare lo snodo di riferimento fra Mediterraneo ed Europa
continentale.

L’introduzione del denaro genovese serviva pertanto a contrastare e soppiantare le altre valute allora
circolanti. Fra di esse le due certamente più importanti erano i denari di Lucca e di Melgueil che erano
rispettivamente le principali monete circolanti nell’Italia centro-meridionale e nel Sud della Francia,
oltre che fra le principali valute in uso negli Stati Latini d’Oriente della Prima Crociata35.

A testimonianza di questo punto lo sono i numerosi esemplari di denari genovesi riconiati sopra
esemplari attribuibili proprio alle città di Lucca e Melgueil 36.

Il tentativo volto all’ affermazione della valuta ligure ebbe successo, tanto che Genova decise di
mantenere stilisticamente inalterata, salvo piccole variazioni volte a differenziare le differenti emissioni,
la tipologia dei propri nominali fino al 1339, anno della riforma dogale.

La tipologia della moneta genovese è così caratterizzata: da un lato troviamo una Croce entro un cerchio
perlinato e circondata dalla legenda facente riferimento al nome del sovrano che garantì il diritto di
batter moneta “CVNRAD1 REX”. Sull’altra faccia della moneta compare invece una rappresentazione
ideale della città, sempre entro cerchio perlinato e circondata dal toponimo “IANVA”.

Segno evidente della riuscita di questa tipologia monetale e della sua ampia area di circolazione sono i
numerosi rinvenimenti in ambito archeologico37 attestati oltre gli attuali confini italici, come nell’attuale
Svizzera, Francia, Israele, Siria, Turchia e Grecia.

Altro elemento che indica l’importanza della moneta genovese fra il XII ed il XIV secolo è l’inizio di
un processo di imitazione, da parte di altre zecche che proprio in questo periodo iniziarono a coniare
monete stilisticamente molto simili a quella genovese, ma spesso con peso o fino inferiore rispetto a
quest’ultima.

35
M. Baldassarri, Coniazioni ed economia monetaria del Comune di Genova: dalle origini agli inizi del Trecento in
Quaderni Ticinesi di Numismatica e antichità classiche XLV, 2016, pag. 285.
36
M. Baldassarri, Miliarenses and silver grossi in the Western Mediterranean. Some new documents and perspectives, in
Atti del XV Congresso Internazionale di Numismatica, Taormina, 21-25 settembre 2015 (in corso di stampa).
37
Per un elenco dettagliato consultare il capitolo dedicato in Day, Matzke, Saccocci, Cambridge, 2017.

19
Tale fenomeno lo possiamo riscontrare per esempio a Cipro, nel Ducato di Atene, nella Contea di Tripoli
o a Gerusalemme. Questo risulta di primaria importanza ai fini di comprendere come la moneta
genovese fosse, all’epoca, una delle più apprezzate e accettate entro la propria area di circolazione, tanto
da essere presa a modello da alcune fra le altre realtà commerciali del Mediterraneo.

2.3 LA SVALUTAZIONE DEL DENARO GENOVESE E L’INTRODUZIONE DELLA MONETA


GROSSA.

Come si è già avuto modo di scrivere nel capito precedente, due fra punti chiave del XIII secolo furono
l’introduzione della moneta grossa e la sempre più progressiva svalutazione del denaro.

Tali fenomeni si possono riscontrare pure nella realtà genovese.

In base ai recenti studi38 condotti dalla dott.ssa Monica Baldassarri infatti l’introduzione di un nominale
grosso, di più alto valore rispetto al denaro, risalirebbe molto probabilmente al primo quindicennio del
XIII secolo.

Sempre in accordo coi suddetti studi sarebbe da rigettare l’idea, portata avanti da storici e numismatici
del XIX e XX secolo, secondo la quale Genova produsse contemporaneamente due tipologie di moneta
grossa, aventi rispettivamente valore di 4 e 6 denari, con un peso di 1.40 e 1.70 grammi.

Il grosso con peso inferiore, manterrebbe infatti sempre un valore nominale di 6 denari, essendo stato
introdotto in un periodo successivo (metà del Duecento circa) dove il denaro si era anch’esso svilito in
termini ponderali. Va detto inoltre che per quanto riguardo queste due tipologie di moneta grossa
genovese il calo di peso venne, seppur in maniera minore, compensato da un lieve aumento del fino (da
935 a 950 millesimi circa).

Molto più evidente e significativo è lo svilimento che interessò i denari genovesi e relativi mezzi noti
col termine di Medaglie o Mezzaglie. Sebbene la mancanza di uno studio approfondito riguardante il

contenuto di fino delle singole varianti non ci possa permettere di quantificare con precisione quasi
assoluta l’entità della svalutazione a cui andarono in contro, l’analisi dei singoli pesi ci permette tuttavia,

38
M. Baldassarri, D. Ricci, I grossi d’argento e la monetazione di Genova tra Due e Trecento: nuovi dati ed osservazioni
per vecchi problemi, in Quaderni Ticinesi di numismatica e antichità classiche, 2013, pag. 287.

20
di poter avere una stima di massima piuttosto affidabile, visto l’elevatissimo numero di esemplari a
disposizione. In media, i denari genovesi attribuibili ai primi anni di attività della zecca presentano
infatti un peso medio di 0.88 grammi, per scendere a circa 0.79 grammi nel periodo a cavallo fra XII e
XIII secolo e a 0.70 grammi alla fine di quest’ultimo.

Tale processo non avvenne in maniera regolare e costante, ma piuttosto a sbalzi di variabile ampiezza.
Questo è ben spiegabile in ragione del fatto che il fenomeno della svalutazione monetale non fu
determinato da scelte statali per necessità di bilancio, ma da fattori esterni provenienti dal mercato.

La determinante più rilevante fu, senz’ombra di dubbio, il rincaro del metallo grezzo: oro e argento su
tutti. La crescita dei metalli monetabili infatti, già a partire dal XI secolo, si registrò in tutta Europa a
causa dello squilibrio fra domanda e offerta di moneta39.

Da un lato infatti la crescente richiesta di moneta metallica causata dall’aumento demografico, dai
sempre più crescenti scambi e dall’abbandono definitivo del baratto nelle aree continentali più arretrate;
dall’altro invece l’incremento inadeguato dell’offerta di metallo monetabile e di conseguenza,
monetato.

Questo processo, face sì che anche a Genova si assistette a quel progressivo cambiamento del piede
monetale a cui si è già accennato nel primo capitolo. Riprendendo le parole di Felloni infatti A Genova,
tra i primi anni del secolo XIII e gli anni 1795-1804, l’equivalenza in argento della lira di conto scese
da 70 grammi a 3,70 grammi (-95%)40…

39
G. Felloni, Monete,economia e finanza: il caso genovese in L. Travaini, Il Patrimonio Artistico di Banca Carige:
Monete, Pesi e bilance monetali, Genova, pp 28-33.
40
ibidem

21
2.4 SVALUTAZIONE ED ECONOMIA REALE

Argomento di grande interesse è quello di analizzare come la problematica della svalutazione monetale
influenzò l’economia reale. Il processo di svilimento dei tondelli infatti provocò un conflitto d’interessi
nel cambio e in tutti quei prodotti finanziari a medio-lungo termine, ovvero dove l’esborso ed il rimborso
di denaro avvengono a distanza di tempo.

Il conflitto aveva origine dal fatto che mentre i creditori, avendo versato un certo quantitativo di denaro
con un determinato potere d’acquisto, desideravano alla scadenza recuperarlo interamente; il debitore
invece voleva restituire l’importo nominale che a seguito della svalutazione, nel frattempo occorsa,
presentava un potere d’acquisto minore rispetto a quello originale.

Sebbene la documentazione a riguardo sia scarsa possiamo trarre alcune importanti informazioni da
una serie di documenti risalenti all’ultimo decennio del Duecento, il più antico risale al 1191, dove
viene fatto riferimento ed un esportatore che ottenuto un prestito a Genova per l’acquisto di merci da
rivendere presso le fiere di Champagne, si impegnava di rimborsarlo con i proventi derivanti ed in caso
svalutazione, di compensarla in maniera proporzionale41.

Questo passo risulta di grande importanza in quanto ci permette di capire come, almeno i mercanti
genovesi, avessero conoscenza dei fattori monetali e dei rischi connessi.

41
M. Chiaudano, La moneta di Genova nel secolo XII, in Studi in onore di Armando Sapori, Milano, 1957, pag. 210.
Citato in: Vedi nota 35.

22
2.5 L’ INTRODUZIONE DELL’ ORO MONETATO

Il continuo sviluppo cittadino e dei suoi commerci spinse la zecca di Genova, ad un secolo di distanza
dalla sua apertura, all’introduzione di una moneta aurea al fine di facilitare le transazioni commerciali
e di insediare le monete auree di stampo arabo circolanti all’epoca nel Mediterraneo. Non è un caso
infatti che la prima moneta genovese d’oro, detta Quartarola, presenti caratteristiche ponderali analoghe
a quelle dei Tarì siciliani.

Sono sempre gli annali del Caffaro a citare l’inizio della coniazione aurea nel 1252:

“… nummus aureus Ianue fabricatus …”42

Alla coniazione delle Quartarole venne ben presto affiancata quella di un’altra moneta aurea, il
Genovino, il cui valore pari a quattro Quartarole si avvicinava a quello del Fiorino di Firenze rispetto
al quale riscontrò una minore fortuna, nonostante la discreta circolazione nell’ Italia settentrionale ed in
Europa.

Figura 4: Genova, Genovino, 3.50 grammi. Fonte: ex NAC 57 lotto 91.

42
Caffaro, Annali Genovesi, vol IV, 10.

23
2.6 MONETE ALTERNATIVE? IL CASO DELLA CRIMEA

Sebbene la moneta genovese riscontrò fin dalle sue origine notevole apprezzamento nelle piazze
commerciali dove ebbe corso, ci sono casi che testimoniano come i commercianti genovesi utilizzassero
anche forme alternative di pagamento a quelle del metallo monetato.

Il caso sicuramente più significato è quello relativo a traffici in Crimea, dove a partire dalla seconda
metà del XIII secolo, i Genovesi si erano stanziati grazie a diverse colonie, Caffa e Tana fra tutte, ed
avevano così ottenuto il monopolio dei traffici sul Mar Nero verso Costantinopoli 43.

La maggior parte delle transazioni commerciali che interessavano la Crimea ed il suo entroterra infatti,
venivano regolate tramite la pratica del baratto o attraverso il pagamento in argento non monetato,
solitamente sotto forma di verghe o lingotti. Mentre quest’ultimi presentavano forme e pesi differenti,
le verghe invece avevano forma parallelepipeda e un peso costante (circa 198 grammi) 44. L’unità di
riferimento per il peso dell’argento era il sommo, la cui effettiva entità non era universalmente stabilità,
ma differiva dalle singole realtà. Per esempio a Tana e a Trebisonda il sommo corrispondeva a 197.97
grammi, mentre a Caffa 213.37 grammi.

Sebbene ad una prima analisi sembrerebbe come nei commerci con le parti interne della Crimea
l’utilizzo delle monete assunse un ruolo estremamente marginale, la parità di peso fra le verghe
d’argento ed il sommo di Trebisonda e Tana, tuttavia, suggeriscono come il sommo fosse in realtà
moneta sia reale sia di conto in quanto utilizzato dai tesorieri di Caffa come unità per i loro conti 45.

Si sottolinea inoltre come il sommo fosse al base dell’aspro, una moneta argentea coniata anche dai
genovesi a Caffa e a Tana a partire dalla seconda metà del XII secolo, il cui rapporto era pari a 1:120 46.

43
G. Lunardi, Le monete delle colonie genovesi, Genova, 1980, pag. 31.
44
Ibidem.
45
L. Balletto, Genova Mediterraneo Mar Nero (sec. XIII – XV), Genova, 1976, pag. 182.
46
ibidem

24
2.7 DEBITO PUBBLICO E CASA DI SAN GIORGIO

Sebbene i traffici marittimi dei genovesi crebbero in maniera significativa durante il XIII ed il XIV
secolo, lo stesso successe al debito pubblico della città a causa delle continue battaglie contro le rivali
realtà commerciali, Pisa e Venezia fra tutte, e alle costanti lotte intestine per il controllo cittadino da
parte delle famiglie più importanti dell’epoca.

Per far fronte alla problematica del debito pubblico venne così creata nel 1407 la Casa, o Ufficio delle
compere di San Giorgio, avente come scopo primario quello di convertire i precedenti debiti statali
allora in essere coi privati (aventi tassi compresi fra l 8% e il 10%), in un unico debito unificato al 7%47;
attività alla quale venne affiancata l’anno seguente quella di banco pubblico.

Tale procedura è da attribuire al allora governatore della città per conto del re di Francia Carlo VI, Jean
le Meingre, detto il Boucicaut.

L’entità del debito consolidato nel 1407 da parte della Casa di San Giorgio fu di circa tre milioni di lire
genovesi, pari a circa metà del debito pubblico totale48.

Il corso del Quattrocento è caratterizzato da nuovi prestiti da parte della Casa alle casse pubbliche, al
punto da renderla da fonte primaria di nuovo credito per la città. Questo permise al Banco di San Giorgio
di ottenere sempre più benefici, primo fra tutti il diritto di riscuotere nuove tasse e la concessione del
governo dell’isola della Corsica nel 1453 e l’amministrazione di Cipro nel 1477 per un periodo
prestabilito di ventotto anni49.

47
Paola Massa, Attori e Strumenti del credito in Liguria, Genova, 2007, pag. 86.
48
ibidem
49
ibidem

25
Bibliografia di riferimento

▪ M. Baldassarri, Miliarenses and silver grossi in the Western Mediterranean. Some new
documents and perspectives, in Atti del XV Congresso Internazionale di Numismatica,
Taormina, 21-25 settembre 2015 (in corso di stampa).

▪ M. Baldassarri, Coniazioni ed economia monetaria del Comune di Genova: dalle origini agli
inizi del Trecento in Quaderni Ticinesi di Numismatica e antichità classiche XLV, 2016.

▪ M. Baldassarri, D. Ricci, I grossi d’argento e la monetazione di Genova tra Due e Trecento:


nuovi dati ed osservazioni per vecchi problemi, in Quaderni Ticinesi di numismatica e
antichità classiche, 2013.

▪ L. Balletto, Genova Mediterraneo Mar Nero (sec. XIII – XV), Genova, 1976.

▪ L. Binaschi, Il ducato di Venezia. Comparazione stilistica dei conii attraverso i secoli, 2011.

▪ Caffaro, Annali Genovesi, volumi I e IV, Genova.

▪ M. Cattini, Argento, oro e monete in Europa dal IX al XV secolo, in Lo Scudo d’oro. Monete e
potere da Augusto a Carlo V, Roma, 1996.

▪ M. Chiaudano, La moneta di Genova nel secolo XII, in Studi in onore di Armando Sapori,
Milano, 1957.

▪ G. Codagnello - Chronica tria placentina: Chronicon Placentinum ab annum MXII ad annum


MCCXXXV, in Monumenta historica ad provincias parmensem et placentinam pertinentia, III,
Parma, 1859.

▪ Day, Matzke, Saccocci, Medieval European Coinage, vol. 12, Cambridge, 2017.

▪ L. Einaudi, Teoria della moneta immaginaria, 1936.

▪ L. Fantacci, La moneta. Storia di un’istituzione mancata, Venezia, 2005.

26
▪ G. Felloni, Genova organizza la sua zecca e le sue monete cominciano a correre per il mondo
in La Casana, Genova, 1998.

▪ G. Felloni, Moneta, credito e banche in Europa: un millennio di storia ,Genova, 1999-2000.

▪ G. Felloni, Monete,economia e finanza: il caso genovese in L. Travaini, Il Patrimonio


Artistico di Banca Carige: Monete, Pesi e bilance monetali, Genova.

▪ G. Felloni e G. Laura, Genova e la storia della finanza: dodici primati ?, Genova, 2017.

▪ A. Gazzoletti, Della zecca di Trento, Trento, 1858.

▪ B. Hildebrand, Naturalwirthschaft, Geldwirthschaft und Creditwirthschaft, 1864.

▪ R. Kelleher, A history of medieval coinage: 1066 - 1485, Cambridge, 2015.

▪ Lord Stewarby, English coins: 1180-1551, Malta, 2009.

▪ G. Lunardi, Le monete delle colonie genovesi, Genova, 1980.

▪ J. Le Goff, Lo sterco del diavolo. Il denaro nel medioevo, 2010.

▪ P. Massa, Attori e Strumenti del credito in Liguria, Genova, 2007.

▪ J. Porteous, Monete, 1965.

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