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Chisari
LEZIONE 4
1) VIVO PER LEI
Vivo per lei da quando sai la prima volta l'ho incontrata, non mi ricordo come ma, mi è entrata dentro e
c'è restata. Vivo per lei perché mi fa vibrare forte l'anima, vivo per lei e non è un peso.
Vivo per lei anch'io, lo sai, e tu non esserne geloso, lei è di tutti quelli che hanno un bisogno sempre
acceso. Come uno stereo in camera, di chi è da solo e adesso sa, che è anche per lui, per questo, io
vivo per lei. È una musa che ci invita a sfiorarla con le dita, attraverso un pianoforte la morte è lontana,
io vivo per lei.
Vivo per lei che spesso sa essere dolce e sensuale, a volte picchia in testa ma è un pugno che non fa mai
male. Vivo per lei, lo so, mi fa girare di città in città, soffrire un po' ma almeno io vivo. È un dolore
quando parte, vivo per lei dentro gli hotels. Con piacere estremo cresce, vivo per lei nel vortice.
Attraverso la mia voce si spande e amore produce.
Vivo per lei nient'altro ho e quanti altri incontrerò che come me, hanno scritto in viso: io vivo per lei.
Sopra un palco o contro ad un muro, vivo per lei al limite. Anche in un domani duro, vivo per lei al
margine. Ogni giorno una conquista, la protagonista sarà sempre lei.
Vivo per lei perché oramai io non ho altra via d'uscita, perché la musica lo sai davvero non l'ho mai
tradita. Vivo per lei perché mi da pause e note in libertà ci fosse un'altra vita la vivo per lei. Vivo per lei
la musica.
2) CON TE PARTIRÒ
Quando sono solo sogno all´orizzonte e mancan le parole. Si lo so che non c´e luce in una stanza
quando manca il sole. Se non ci sei tu con me, con me….Su, le finestre mostra a tutti il mio cuore che
hai acceso, chiudi dentro me la luce che hai incontrato per strada.
Con te partirò, paesi che non ho mai veduto e vissuto con te, adesso si li vivrò, con te partirò. Su navi
per mari, che io lo so, non esistono piú…Con te io li vivrò. Quando sei lontana sogno all’orizzonte e
mancan le parole. Ed io sí lo so che sei con me, con me….Tu, mia luna, tu sei qui con me, mio sole tu sei
qui con me.
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5) PARLAMI D’AMORE, MARIU (C. A. Bixio)
Come sei bella, più bella stasera, Mariù. Splende un sorriso di stella negli occhi tuoi blu. Anche se
avverso il destino domani sarà, oggi ti sono vicino, perchè sospirar? Non pensar!
Parlami d’amore, Mariù…tutta la mia vita sei tu. Gli occhi tuoi belli brillano, fiamme di sogno
scintillano! Dimmi che illusione non è! Dimmi che sei tutta per me! Qui sul tuo cor non soffro più,
Parlami d’amore, Mariù.
So che una bella e maliarda sirena sei tu. So che si perde chi guarda quegli occhi tuoi blu. Ma che
m’importa se il mondo si burla di me? Meglio nel gorgo profondo ma sempre con te!.
Che gelida manina! Se la lasci riscaldar. Cercar che giova? Al buio non si trova.
Ma per fortuna è una notte di luna, e qui la luna l'abbiamo vicina. Aspetti, signorina, le dirò con due
parole chi son, che faccio e come vivo. Vuole?
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Chi son? Sono un poeta. Che cosa faccio? Scrivo. E come vivo? Vivo.
In povertà mia lieta scialo da gran signore rime ed inni d'amore. Per sogni, per chimere e per castelli in
aria l'anima ho milionaria. Talor dal mio forziere ruban tutti i gioielli due ladri: gli occhi belli.
V'entrar con voi pur ora ed i miei sogni usati e i bei sogni miei tosto son dileguar!
Ma il furto non m'accora, poiché vi ha preso stanza la dolce speranza! Or che mi conoscete,
parlate voi. Deh, parlate. Chi siete? Via piaccia dir?
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Parlo d'amor vegliando, parlo d'amor sognando, all'acque, all'ombre, ai monti, ai fiori, all'erbe, ai
fonti, all'eco, all'aria, ai venti, che il suon de' vani accenti portano via con sé. E se non ho chi mi oda,
parlo d'amor con me.
D. G.: Alfin siam liberati, Zerlinetta gentil, da quel scioccone. Che ne dite, mio ben, so far pulito?
ZERLINA: Signore, è mio marito...
D. G.: Chi? Colui? Vi par che un onest'uomo, un nobil cavalier, qual io mi vanto, possa soffrir che quel
visetto d'oro, quel viso inzuccherato da un bifolcaccio vil sia strapazzato?
ZERLINA: Ma, signore, io gli diedi parola di sposarlo.
D. G.: Tal parola non vale un zero. Voi non siete fatta per essere paesana; un altra sorte vi procuran
quegli occhi bricconcelli, quei labbretti sì belli, quelle ditucce candide e odorose, parmi toccar
giuncata e fiutar rose.
ZERLINA: Ah! Non vorrei...
D. G.: Che non vorreste?
ZERLINA: Alfine ingannata restar. Io so che raro colle donne voi altri cavalieri, siete onesti e sinceri.
D. G.: È un’impostura della gente plebea! La nobiltà ha dipinta negli occhi l'onestà. Orsù, non
perdiam tempo; in questo istante io ti voglio sposar.
ZERLINA: Voi!
D. G.: Certo, io. Quel casinetto è mio: soli saremo e là, gioiello mio, ci sposeremo. Là ci darem la
mano, Là mi dirai di sì. Vedi, non è lontano; Partiam, ben mio, da qui.
ZERLINA (fra sé): Vorrei e non vorrei, mi trema un poco il cor. Felice, è ver, sarei, ma può burlarmi
ancor.
D. G.: Vieni, mio bel diletto!
ZERLINA: Mi fa pietà Masetto.
D. G.: io cangerò tua sorte.
ZERLINA: Presto... non son più forte.
A DUE: Andiam! Andiam, andiam, mio bene a ristorar le pene d'un innocente amor.
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19) PAGLIACCI – Ruggero Leoncavallo
Dramma in due atti. La scena si passa in Calabria (Italia) fra el 1865 e il 1870.
Personaggi: Nedda (Colombina - soprano) attrice, moglie di Canio – Canio (Pagliaccio - tenore) capo
della compagnia – Tonio (Taddeo - baritono) commediante – Peppe (Arlecchino - tenore)
commediante – Silvio, compagnuolo (baritono).
Prologo: Tonio, uno degli attori di una povera compagnia girovaga, si presenta davanti al sipario ed
espone i veri sentimenti, spesso tragici, di coloro che il pubblico considera unicamente dei teatranti.
Atto primo: In una strada di campagna accorrono a gruppi i contadini e circondano il carretto guidato
da Peppe, in constume da Arlecchino. Canio annunzia lo spettacolo e gli uomini invitano Canio a bere
all’osteria, Nedda rimane sola e pensierosa. Tonio le si avvicina e le confessa il suo amore e insiste
per baciarla, ma lei lo colpisce in faccia con una frustata. Tonio si allontana minaccioso.
Silvio, innamorato della giovane, cerca di persuaderla a lasciare quella misera vita girovaga ed a
fuggire con lui. Nedda si abbandona fra le braccia di lui e gli promette di raggiungerlo dopo la
rappresentazione. Tonio, intanto, ha spiato i due innamorati ed ha avvertito Canio che giunge in
tempo per udire le ultime parole di sua moglie ma non riesce ad individuare Silvio.
Malgrado le minacce del marito, Nedda rifiuta di rivelare il nome di suo innamorato. Canio le si
avventa contro un coltello, ma Peppe lo trattiene e lo disarma, invitando i compagni a prepararsi per
lo spettacolo.
Atto secondo: Si alza il sipario del teatrino: Colombina (Nedda) sta attendendo la visita di Arlecchino
(Peppe), durante l’assenza di Pagliaccio, suo marito. Arlecchino segnala il suo arrivo con una
serenata, ma Colombina esita a fargli il segnale convenuto perché intanto è entrato Taddeo (il servo
sciocco) che porta un paniere di provviste e fa la corte alla padrona. Arlecchino entra dalla finestra e
con un calcio manda via Taddeo. Colombina ed Arlecchino si mettono a tavola, mangiano e bevono
allegramente. Ma Taddeo annunzia che Pagliaccio sta arrivando e Arlecchino scappa dalla finestra.
Canio, vestito da Pagliaccio, entra ma è stravolto (la sua gelosia non è finzione). Insiste per conoscere
il nome del rivale, ma Nedda rifiuta di parlare; allora Canio afferra un coltello, le si lancia contro e la
colpisce. Cadendo, Nedda invoca Silvio che acorre e Canio ferisce anche l’amante di Nedda. Pagliaccio
(Canio) annunzia che “la commedia è finita”.
A sipario calato il giovane Turiddu canta una serenata alla bella Lola, la donna che egli amava prima di
partire per il servizio militare e che, tornando, ha trovata sposa del carrettiere Alfio. Ha cercato di
consolarsi con Santuzza, ma l’antico amore ha ripreso il sopravvento e fra i due, ora, vi è una
relazione che Alfio ignora ma che Santuzza, sedotta e abbandonata, sospetta.
Non c’è pace nel cuore di Santuzza che, angosciata, si reca all’osteria di Mamma Lucìa a chieder
notizie del figlio di questa, Turiddu. Il giovane, pur avendo detto alla madre che si recava a
Francofonte a comprare il vino, è stato visto, a notte alta, ancora in paese. Anche Alfio ha scorto
Turiddu – al mattino – vicino a casa sua.
Santuzza apre il suo cuore a Mamma Lucìa, esprimendo tutta la sua disperazione per il tradimento di
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Turiddu. La vecchia, turbatissima, entra in chiesa e Santuzza affronta Turiddu ed ha con lui un
tempestoso colloquio, interrotto dall’arrivo di Lola che entra cantando uno stornello e rivolge parole
ironiche e pungenti a Santuzza.
Ora Turiddu rimprovera aspramente Santuzza di tormentarlo con la sua folle gelosia, esasperato dalle
insistenze della ragazza, la getta a terra e fugge in chiesa. Santuzza, fuori di sè per il dolore e
l’umiliazione, maledice l’amante augurandogli la mala Pasqua e rivela a Alfio la relazione di Lola e
Turiddu.
Durante un brindisi che Turiddu fa all’uscita della Messa con alcuni amici, Alfio rifiuta il vino...la sfida
è lanciata: i due uomini si abbracciano (secondo l’uso) e Turiddu morde l’orecchio di Alfio. Poi ha un
ultimo dialogo con la madre, che nulla sospetta, e alla quale raccomanda Santuzza, nell’eventualità
che egli muoia.
Alfio lo aspetta dietro l’orto per il duello. Si ode un mormorìo confuso, poi un grido tremendo:
“hanno ammazzato compare Turiddu!”
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BIBLIOGRAFÍA
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Argentina. 1966
- Williams, A.: Teoría de la Música. Editorial “La Quena” Casa de Música S.R.L. Buenos
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Consultas a material diverso extraido de Internet, programas televisivos, videos de youtube, etc...
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