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Tribunale di Vicenza

Giudice del Lavoro

Proc.n. 638/2009 G.L. Dr. Perina – Udienza del 13.05.2001


Memoria autorizzata
presentata dagli avvocati Gianni Cristofari, Patrizia
Cattaneo e Valdo Mellone, tutti del Foro di Vicenza,
nell’interesse dei ricorrenti Addis Luca+88, nel
procedimento in epigrafe.
All’udienza del 6 ottobre il MIUR convenuto formulava le
seguenti eccezioni “La dott. Patron per l’Avvocatura Stato
ribadisce che gli 89 ricorrenti non hanno provato il
possesso della abilitazione per le singole classi di
concorso per il quale l’insegnamento è stato prestato, né
che tale servizio è stato svolto su posto vacante e
disponibile. Né tale prova potrebbe essere tardivamente
fornita”.
Il Giudice adito così disponeva “Il G.L. invita parte
ricorrente ad esaminare la eccezione formulata all’udienza
odierna, o a depositare conteggi sull’ipotesi di
risarcimento danni secondo la legislazione prospettata
nella sentenza oggi depositata dal Trib. TV, a prendere
posizione sull’opposto orientamento espresso da Trib. VI
(sent. 164/10) concedendo termine entro il 31.1.11”.
A tale incombente si fa fronte con l’odierna memoria,
riferendosi alle domande di cui al ricorso introduttivo ed
estendendo, per quanto necessario, le deduzioni ad altre
pronunce di merito.
* * * * * * * * * * *
I
Sulle eccezioni del Ministero convenuto.
1.a Tardività delle eccezioni.
In via preliminare si eccepisce che le eccezioni formulate
dal convenuto M.I.U.R. all’udienza del 6 ottobre 2010 sono
tardive, in quanto, contrariamente a quanto presupposto da
controparte con l’uso del termine “ribadisce”, è per la
prima volta in tale udienza che contesta che i ricorrenti
non abbiano provato il possesso dell’abilitazione e che il
servizio sia stato reso su posto vacante.
Infatti, nella memoria difensiva 9 novembre 2009,
controparte si è limitata a contestare alcuni presupposti
per n. 2 ricorrenti, ad eccepire il difetto di
giurisdizione, ad eccepire la non coincidenza delle domande
con il ricorso proposto in sede DPL, e quindi a chiedere il
rigetto in ordine alla diversa interpretazione della
normativa vigente rispetto alla stabilizzazione.
Quindi, a fronte della copiosa produzione documentale
riferita ad ogni singolo ricorrente, riassunta per ciascuno
in una scheda allegata e notificata unitamente al ricorso-
decreto, controparte, in assenza di tempestive
contestazioni in memoria difensiva ha riconosciuto
l’esistenza e l’esaustività delle prove documentali
allegate.
1b. L’eccezione è comunque infondata e deve essere
respinta, in entrambe le sue affermazioni.
Invero sono stati allegati al ricorso i fascicoli dei
ricorrenti (All. 2 ricorso), ognuno dei quali contiene
copia della abilitazione posseduta, nonché dei contratti
individuali di lavoro relativi a ciascun incarico
conferito, dai quali si evince, per dichiarazione esplicita
in essi contenuta:
- il riferimento a posto esistente e disponibile, ai fini
della declaratoria di illegittimità della apposizione del
termine,
ovvero
- a sostituzione di titolare temporaneamente assente, ai
fini della richiesta corresponsione dello stipendio estivo,
laddove spettante secondo la prospettazione dei ricorrenti,
nonché del calcolo della anzianità di servizio.

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E’ di tutta evidenza il carattere meramente dilatorio della
eccezione formulata, atteso che il M.I.U.R. è in possesso
degli stati di servizio di ciascun ricorrente (dei quali è
stato anche chiesto il deposito – punto 10 istanze
istruttorie ricorso) ed è in grado, quindi, di contestare
puntualmente l’eventuale inattendibilità di tale
documentazione. Lo ha fatto invece in modo generico e con
intenti dilatori e defatigatori, come detto, e perciò si
ritiene ancor più opportuno che il Giudice ordini
all’Amministrazione convenuta di fornire tutti i dati in
suo possesso riferiti a ciascun lavoratore ricorrente, cosa
che la medesima Amministrazione potrà fare con un semplice
“click” ponendo fine ad un comportamento processuale per
nulla impostato sulla lealtà ed anche contrattualmente
censurabile, perché in violazione degli obblighi di
correttezza e buona fede.
Sembra inoltre a questo patrocinio che in nulla la
circostanza del possesso o meno della abilitazione possa
incidere sulla vertenza in corso, atteso che:
- la mancanza di abilitazione, in denegata ipotesi,
potrebbe al piu’ configurarsi come condizione ostativa alla
effettiva conversione del contratto a tempo determinato, ma
in nulla inciderebbe sulla potestà del Giudice di
dichiarare la nullità della clausola di apposizione del
termine ed il conseguente titolo alla conversione o al
risarcimento;
- seguendo la prospettazione avversa, dovrebbe essere
previamente dimostrato da ciascun ricorrente anche il
possesso di tutti i requisiti di accesso al ruolo
(cittadinanza italiana, titolo di studio, assenza di
precedenti penali ostativi, idoneità fisica all’impiego
eccetera): il che risulta ictu oculi estraneo alle esigenze
processuali e rinviabile pacificamente alla richiesta CTU
(punto 9 istanze istruttorie ricorso) ovvero anche agli

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adempimenti amministrativi della Amministrazione convenuta,
al momento della immissione in ruolo,laddove soccombente.
II
Sulla integrazione istruttoria per deposito di conteggi.
2. Si premette che la sentenza di Treviso veniva
pronunciata su conteggi depositati, limitatamente ad un
numero ristretto di ricorrenti (9) e con riferimento alla
sola richiesta di ricalcolo della progressione stipendiale
per anzianità: in tali termini, infatti, era stata
formulata richiesta giudiziale.
Viceversa, l’odierna causa è stata radicata su un complesso
di domande piu’ esteso (nullità del termine apposto,
conversione del contratto con riferimento ad una delle 5
ipotesi prospettate in via principale o subordinata,
secondo la valutazione di merito del Giudice adito,
riconoscimento della progressione di carriera per
anzianità, riconoscimento del danno patrimoniale per
differenza, previo ricalcolo, tra lo spettante ed il
percepito, stipendio per i mesi estivi (detratto il
percepito eventuale), risarcimento del danno non
patrimoniale; il tutto previo scioglimento, se necessario,
delle eccezioni di incostituzionalità formulate).
Come si vede, un complesso di esigenze per le quali in
minima parte soccorrono gli strumenti istruttori adottati
dal G.L. di Treviso; piu’ proficuo ai fini della economia
processuale, a parere di questo patrocinio, è una pronuncia
in punto di diritto sull’an da parte del Giudice adito, con
condanna alla immissione in ruolo ed alla ricostruzione
della carriera; adempimenti cui il M.I.U.R. sarà tenuto in
applicazione di precise norme di legge e di contratto.
In sostanza, il Giudice potrà disporre poi C.T.U. per la
determinazione del quantum debeatur, come richiesto.
In rispetto comunque della Funzione Giudicante, qualora il
Tribunale dovesse ritenere, nonostante tutto quanto
dedotto, che sia necessario il deposito di conteggi, si

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chiede un termine per provvedervi,tenendo conto della
complessità e della onerosità dell’incombente.
III

Sulle pronunce in esame.


4. Con sua decisione 164 in data 12 maggio 2010 (All. 5) il
G.L. del Tribunale di Vicenza, Dott.ssa Carmela Italiano,
riaffermata la propria giurisdizione, rigettava il ricorso
proposto da una insegnante precaria ricorrente, che
richiedeva (previa domanda pregiudiziale di rimessione alla
Corte di Giustizia della Comunità Europea per la verifica
di compatibilità dell’art. 4 legge 124/1999 con la clausola
5-1 dell’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a
tempo determinato):
- dichiararsi la nullità dei termini apposti ai contratti
di lavoro subordinato, disponendone la conversione
- e, in via subordinata, condannando l’amministrazione al
risarcimento del danno derivante dall’utilizzazione abusiva
di contratti di lavoro a tempo determinato successivi,
nella misura di venti mensilità della retribuzione globale
di fatto.
A tale decisione il G.L. giungeva (omettendosi in questa
sede la pronuncia sulla giurisdizione) argomentando, in
maniera non condivisibile, sulla circostanza che:
- il conferimento di supplenze da parte della
Amministrazione scolastica è regolato sostanzialmente
dall’art. 4 della legge 124/99 (pressochè replicato nel
T.U. 297/1994) che conferirebbe, nella lettura del
giudicante, alla Amministrazione Scolastica la facoltà di
reiterare, sostanzialmente senza limite, la stipula con i
medesimi soggetti di piu’ contratti a tempo determinato,
anche successivi;
- tale norma, avendo natura di lex specialis rispetto a
quella generale introdotta dal D.Lgs. 165/2001 e dal d.lgs.
368/2001,non potrebbe ritenersi modificata o abrogata

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dall’art. 36 comma 1 del T.U. sul pubblico impiego, che ha
esteso l’applicazione della normativa generale in materia
di contratti di lavoro a termine prevista dal d.lgs.
368/2001 al settore pubblico;
- la reiterazione di contratti a termine, non costituirebbe
perciò utilizzazione abusiva del contratti a termine in
contrasto con la clausola 5 della direttiva 1999/70/CE e
dell’allegato accordo quadro 18.3.1999, poiché
corrisponderebbe a peculiari “circostanze relative a
particolari settori ed occupazioni”, che renderebbero il
settore de quo non assimilabile ad alcun altro tipo di
rapporto di lavoro, sia pubblico che privato, così
realizzando la previsione derogatoria riportata al punto 10
della direttiva comunitaria;
- egualmente l’illecito sarebbe escluso, secondo
l’insegnamento della Corte Costituzionale (su dipendenti
del settore postale, 214/2009), dalla circostanza che il
legislatore ha espressamente introdotto per il settore
scolastico una previsione normativa qualificabile come
“tipizzazione legislativa di un’ipotesi di valida
apposizione del termine” laddove ha disciplinato, nella
legge 124/1999, due tipologie di contratto a tempo
determinato (scadenza 30 giugno o fino al termine delle
attività scolastiche) ravvisandone la necessità “per
garantire la costante erogazione del servizio scolastico
ed educativo”;
- conseguentemente, infine, pur senza esplicito dictum, la
non configurabilità di utilizzazione abusiva e, quindi, di
violazione di norme imperative, esclude anche
l’accoglibilità di qualsivoglia pretesa risarcitoria.
Le suddette motivazioni, non condivisibili per quanto si
dirà appresso, si pongono in contrasto con il dettato
normativo e con la giurisprudenza di merito che si sta
ormai consolidando.

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5. Di segno parzialmente diverso (per diversità del
petitum) è la pronuncia 397/10, depositata il 22 settembre
2010 (All. 6), del Giudice del Lavoro del Tribunale di
Treviso, Dott. Massimo De Luca. Investito unicamente della
richiesta di riconoscimento, da parte di un gruppo di
insegnanti precari ricorrenti, della anzianità pregressa
non attribuita dal competente Ministero per il servizio
prestato, accoglieva la domanda nei termini di cui sopra,
rigettandone invece la richiesta di pronuncia sulle
progressioni future.
Per giungere a tale decisione, il Giudicante ancorava
all’art. 36 del D.Lgs. 165/2001 la disciplina del rapporto
di lavoro a tempo determinato nel settore pubblico, incluso
il settore scolastico.
In particolare, premesso un breve excursus sulla specifica
disciplina del contratto di lavoro pubblico a tempo
determinato, dal D.lgs. 29/1993 ad oggi, il Giudicante si
sofferma sulla Direttiva 199/70 CE, clausola 4.1, a mente
della quale “per quanto riguarda le condizioni di impiego,
i lavoratori a tempo determinato non possono essere
trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo
indeterminato comparabili per il solo fatto di avere un
contratto o rapporto di lavoro a tempo determinato, a meno
che non sussistano ragioni oggettive”; ragioni oggettive
che il giudicante ritiene insussistenti nel caso di specie,
concludendo che l’art. 526 del D.Lgs. 297/94 e la normativa
contrattuale che ha dato applicazione a tale principio
“vadano disapplicati in quanto contrastanti con la
normativa europea, così come interpretata dalla Corte di
Giustizia”, e ciò perché “appare evidente che la scelta di
coprire una parte cospicua dei posti necessari con
contratti a termine anziché con l’assunzione in ruolo è il
risultato di una precisa scelta amministrativa programmata
e reiterata nel corso del tempo evidentemente mirata a
contenere i costi del personale (inferiore per i

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prestatori di lavoro a termine)”. Ed ancora così
efficacemente prosegue: “il ricorso sistematico al
contratto a tempo determinato, tanto piu’ privo di
progressione stipendiale, con una sequenza reiterata
operata dal Ministero resistente deve pertanto ritenersi
illegittimo”.
Mutatis mutandis,i principi affermati dal G.L. di Treviso
sono largamente applicabili al giudizio odierno.
IV
Sulla prevalenza dell’art. 4 della legge 124/1999
6. Argomentando sulla natura di lex specialis della legge
124/1999, a parere di questo patrocinio, la Curia vicentina
incorre in un errore.
La norma citata,invero, introduce due tipologie di incarico
a tempo determinato per il personale della scuola; ma tali
tipologie non sono né estranee né speciali rispetto al
contesto normativo generale del pubblico impiego.
7. Quanto al primo tipo, la norma invocata, al 1° comma,
prevede che “Alla copertura delle cattedre e dei posti di
insegnamento che risultino effettivamente vacanti e
disponibili entro la data del 31 dicembre e che rimangano
prevedibilmente tali per l'intero anno scolastico, qualora
non sia possibile provvedere con il personale docente di
ruolo delle dotazioni organiche provinciali o mediante
l'utilizzazione del personale in soprannumero, e sempreché
ai posti medesimi non sia stato già assegnato a qualsiasi
titolo personale di ruolo, si provvede mediante il
conferimento di supplenze annuali, in attesa
dell'espletamento delle procedure concorsuali per
l'assunzione di personale docente di ruolo.”
Così formulata, la norma non fa altro che ripetere un
principio generale valido in tutti gli ordinamenti di
personale dipendente pubblico: il vincolo della procedura
concorsuale per l’assunzione costituisce giusto motivo di
conferimento di supplenze “nelle more”, fermo restando la

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sindacabilità di una insufficiente, quando non inesistente,
programmazione del fabbisogno di personale e delle relative
procedure. Ciò vale per tutte le pubbliche amministrazioni,
ben potendo rientrare la pendenza di pubblico concorso
nelle “ragioni di carattere organizzativo” previste
dall’art. 1 del d.lgs. 368/2001; nessuna delle Pubbliche
Amministrazioni interessate ha tuttavia mai ritenuto di
poterne derivare una sorta di licenza generale a reiterare
all’infinito contratti a tempo determinato.
L’unico elemento di “specialità” che può escludere il
sindacato del Giudice ha a che fare con la durata
dell’incarico a tempo determinato: mentre nella generalità
del pubblico impiego esso deve coincidere con il tempo
strettamente necessario all’espletamento della procedura
concorsuale, nella scuola la durata è invece predeterminata
(e ciò trova ragionevole giustificazione sia nelle esigenze
di continuità didattica, sia nel carattere nazionale o
interregionale dei concorsi a cattedra). Derivarne una
generale specialità della norma e, quindi, una illimitata
potestà di assumere precari, è quanto meno arbitrario.
8. Quanto al secondo tipo di contratto a tempo determinato,
la norma invocata, al 2° comma, prevede che “Alla
copertura delle cattedre e dei posti di insegnamento non
vacanti che si rendano di fatto disponibili entro la data
del 31 dicembre e fino al termine dell'anno scolastico si
provvede mediante il conferimento di supplenze temporanee
fino al termine delle attività didattiche. Si provvede
parimenti al conferimento di supplenze temporanee fino al
termine delle attività didattiche per la copertura delle
ore di insegnamento che non concorrono a costituire
cattedre o posti orario”.
Nulla quaestio. La citazione da parte della Curia vicentina
di tale comma non è pertinente al caso di specie,
relativamente al quale si controverte esclusivamente di
illegittima reiterazione di incarichi a tempo determinato

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su posti vacanti. Solo incidentalmente, si evidenzia che
anche in questo caso non v’è nulla di speciale, atteso che
è principio generale (“ragioni sostitutive”) che si possa
ed anzi si debba far ricorso a contratti a termine in
presenza di vacanze temporanee di posti provvisti di
titolare avente diritto alla conservazione.
9. Tanto varrebbe ad escludere il carattere di lex
specialis della norma invocata dal Giudice di Vicenza e,
quindi, a dedurre un giudizio di illegittimità della prassi
seguita dal convenuto Ministero.
Ma, si ribadisce, anche l’interpretazione del complesso
normativo relativo al reclutamento del personale docente
come lex specialis è infruttuoso ai fini del presente
giudizio, atteso che non se ne può comunque ricavare una
autorizzazione in via generale a disporre a piacimento di
contratti a tempo determinato (al di là di una constatata
prassi abusiva), ma solo “in attesa dell’espletamento di
procedure concorsuali”. Orbene, è noto che il Ministero
convenuto ha sempre potuto disporre di graduatorie
concorsuali alle quali attingere (le citate graduatorie
permanenti ex art. 401 T.U.), alla cui alimentazione ha
perfino provveduto con concorsi a posti zero. Parimenti va
ricordato che, anche in virtù della normativa ritenuta
cogente dal G.L. di Vicenza (ovvero le procedure di
reclutamento del personale scolastico di cui al d.lgs.
297/1994 e all’art. 1 legge 124/99) l’accesso ai ruoli del
personale docente deve avvenire per il 50% mediante
pubblici concorsi e per il restante 50% attingendo alle
graduatorie permanenti di cui all’art. 401 D.Lgs. 297/1994:
nessun cenno, cioè, alla asserita possibilità per il
Ministero convenuto di disporre, in via ordinaria, alla
copertura con incarichi o supplenze annuali, comunque
denominate; prassi quindi che, anche per tale verso, si
appalesa come abusiva.

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Infine, non risulta, e parte convenuta non lo ha eccepito
né dimostrato, che i rapporti de quibus siano stati
instaurati in assenza di graduatoria valida o in pendenza
di pubblico concorso, condizione che, peraltro, avrebbe
dovuto essere, a norma di legge, riportata nel contratto
individuale di lavoro, quale ragione di carattere
organizzativo che legittimò la stipula di contratto a tempo
determinato. Infatti, come noto, ai sensi dell'art.1 c.1
D.Lgs.n.368/01 e ss.mm. è consentita l'apposizione del
termine al contratto di lavoro subordinato a fronte di
ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o
sostitutivo; ma, ancora, l’art. 1 predetto stabilisce i
requisiti formali del contratto a termine prevedendo
testualmente che: “L’apposizione del termine è priva di
effetto se non risulta, direttamente o indirettamente, da
atto scritto in cui siano specificate le ragioni di cui al
comma 1”; tale disciplina prevede espressamente, quindi,
l’obbligo di specificazione della causale, nel medesimo
atto scritto da cui risulta l’indicazione del termine.
Funzione di tale disposizione è di garantire la
trasparenza, nella utilizzazione dei contratti a termine,
proprio al fine di evitare l’abuso del ricorso agli stessi;
conseguenza della violazione è l’inefficacia del termine
apposto e la conversione in contratto a tempo
indeterminato, per mezzo della sostituzione di diritto
delle clausole nulle per violazione di norma imperativa
(art. 1419, comma 2 c.c.).
V
Altra giurisprudenza di comparazione sul punto
10. La questione della lex specialis, si richiama, è negata
in radice dal Giudice del Lavoro di Treviso Dott. Massimo
De Luca, laddove egli afferma che “Per quanto riguarda il
rapporto di lavoro con la pubblica amministrazione, ivi
compreso il settore scolastico, la durata determinata
trova la sua disciplina nella norma fondamentale di cui

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all’art. 36 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165”
(pag. 3 sentenza citata – in Motivi della decisione).
Nello stesso senso si cita il Giudice del Lavoro di Siena
Dott. Delio Cammarosano (sentenza 699/2009 r.g.l. 27
settembre 2010 – All. 7):
“Assolutamente irrilevante sul piano giuridico, ancora, il
rilievo dell’Amministrazione convenuta che “il rapporto di lavoro
del personale scolastico supplente è regolamentato da distinti
contratti di lavoro, che possono riferirsi anche a supplenze
annuali o fino al termine delle lezioni, che, se anche conferite
allo stesso docente nell’immediato anno scolastico successivo,
non traggono origine dalla precedente nomina e non costituiscono
una prosecuzione senza soluzione di continuità del rapporto di
lavoro, ma traggono origine da diversi provvedimenti, determinati
da distinte procedure di nomina discendenti da apposite
graduatorie di aspiranti” (nota 25/9/08 della Direzione Generale
per il personale scolastico del Dipartimento per l’Istruzione),
un argomentare formalistico che non sfiora le istanze sostanziali
di tutela antiabusiva in materia” (pag. 5 sentenza cit.).
Ed ancora:
“A differenza del settore privato, in quello pubblico il
legislatore ha imposto alle amministrazioni l’obbligo di
“assumere esclusivamente con contratti di lavoro subordinato a
tempo indeterminato” in presenza di “esigenze connesse con il
proprio fabbisogno ordinario”, ripristinandosi la possibilità di
avvalersi di forme contrattuali flessibili “per rispondere ad
esigenze temporanee ed eccezionali” (art. 36, co. 1, modif. art.
49, d.l. 2008/n. 112, conv. L. n. 133, ma v. già art. 4, l.
2006/n. 80), con disciplina, dunque, piu’ restrittiva, nella
proclamazione del superamento del lavoro precario” (pag. 7
sentenza cit.).
La questione viene invece implicitamente risolta (in
giudizio sulla spettanza a docente precaria degli scatti di
anzianità) dal Giudice del Lavoro di Tivoli Dott. Attilio
Mari (sentenza 4/3/09, all. 8)decidendo per l’abrogazione
esplicita delle norme generali e speciali del comparto
pubblico, per effetto del d.lgs. 165/2001:

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“Sul punto, l’art. 69 del d.lgs. 165/01 (recante la definitiva
regolazione della disciplina transitoria conseguente alla
riforma della contrattazione collettiva nel settore pubblico, da
ritenersi applicabile anche nel caso di specie) stabilisce che
tutte le norme generali e speciali applicabili in materia di
pubblico impiego divengono inapplicabili, per eventuale
incompatibilità, a seguito della stipulazione della
contrattazione collettiva per il periodo 1994/97 e divengono “in
ogni caso” inapplicabili a seguito della stipulazione dei
contratti collettivi validi per il quadriennio 1998/01; sul
punto, ritiene il giudicante che il combinato di tale
disposizione con quella dell’art. 2, c.2, imponga di considerare
abrogate tutte le norme speciali dettate per l’impiego pubblico,
derogative rispetto alla disciplina vigente nel settore privato,
a decorrere dalla stipulazione suddetta, anche qualora le
disposizioni speciali non siano comprese negli elenchi allegati,
previsti dall’art. 71” (pag. 4 sentenza cit.).
VI
Sulla compatibilità con la normativa europea
10. Così dedotta (erroneamente, a parere di questo
patrocinio) la cogenza della legge 124/99 art. 4, il
Giudice vicentino procede a valutazione di compatibilità di
tale norma con la clausola 5 della direttiva europea
1999/70/CE e dell’allegato accordo quadro 18.3.1999; ciò
fa, alla luce della sentenza 4 luglio 2006 della Corte di
Giustizia, rifacendosi al principio colà delineato per il
quale grava sugli Stati membri l’obbligo di definire
“circostanze precise e concrete caratterizzanti una
determinata attività e, pertanto, tali da giustificare in
questo particolare contesto l’utilizzazione di contratti
di lavoro a tempo determinato successivi”; circostanze
oggettive che ritiene di ravvisare nella peculiarità del
settore del reclutamento del personale scolastico in
Italia, retto da una normativa speciale e derogatoria.
Anche su tale conclusione non si può che dissentire, anche
alla luce di una giurisprudenza di merito che si va ormai
consolidando.

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In merito va richiamato che la gran parte della
giurisprudenza di merito considera direttamente applicabile
l’art. 36 del D.lgs.165/2001 (circostanza questa negata
dalla Curia vicentina) e rispetto a tale ultima norma (che,
come noto, esclude la convertibilità dei contratti
illecitamente stipulati a tempo determinato, statuendo
l’obbligo di risarcimento) si pone il problema di valutarne
la compatibilità con l’ordinamento europeo. E tale
valutazione conclude positivamente, ritenendo il
risarcimento misura efficace sia quanto all’obiettivo della
dissuasione, sia quanto all’obiettivo di protezione dei
diritti dei lavoratori pubblici in condizione di
eguaglianza sostanziale con quelli privati (con una prima,
significativa eccezione per il G.L. Siena, su cui piu’
avanti).
11. A tale conclusione giunge il G.L. di Viterbo, dott.ssa
Angela Damiani, nella sentenza 1027/09 del 22.12.2009 (All.
9)sulla scorta della sentenza CGE 23.4.2009 emessa in C
378/07 Kiriaki Angelidaki. Tale Giudice, ribadita
l’applicabilità piena dell’art. 36 D.Lgs.1656/01 e,
attraverso esso, del D.lgs.368/01, richiama che “la Corte
di Giustizia Europea ha, quindi, per un verso escluso la
necessità della conversione dei contratti a termine
rimettendo a ciascun ordinamento l’individuazione delle
misure dirette a prevenirne l’utilizzo abusivo e per altro
verso ritenuto l’astratta legittimità di un regime
differenziato nel settore pubblico rispetto a quello
privato e la rispondenza del sistema risarcitorio ai
principi dell’accordo quadro. Alla luce di tali
considerazioni ritiene allora questo giudicante che per
giungere alla conversione del rapporto, nonostante il
divieto dell’art. 36, occorrerebbe sostenere che il
sistema alternativamente previsto dalla legge non
costituisca adeguato strumento per prevenire e sanzionare
l’utilizzo abusivo dello strumento contrattuale (secondo

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la valutazione che la CGE affida al giudicante)”. Tale
esame viene concluso dal G.L. Viterbo dichiarando
l’illegittimità dei contratti a termine stipulati in
successione tra la ricorrente ed il Ministero della
Pubblica Istruzione dopo il 24.10.2001 e, per l’effetto,
condannando il Ministero resistente in persona del
Ministro p.t. al risarcimento dei danni in favore della
parte in misura di 6,5 mensilità dell’ultima retribuzione
globale di fatto, oltre rivalutazione monetaria ed
interessi dalla scadenza dell’ultimo contratto.
12. Analogamente il G.L. di Tivoli (sentenza cit. pag. 8)
ritiene direttamente applicabile la direttiva 1999/70 “Va
d’altra parte richiamata anche la giurisprudenza
comunitaria la quale ha ritenuto che la direttiva 1999/70
si applichi anche ai rapporti di lavoro a tempo
determinato conclusi con le Amministrazioni pubbliche
(Corte di Giustizia 4.7.2006, Adeneler, 7.9.2006, Marrosu)
e che ha stabilito che la direttiva e l’accordo quadro
abbiano sicura efficacia di carattere verticale in ordine
alla pretesa del lavoratore a tempo determinato di vedersi
riconoscere il diritto agli scatti di anzianità porevisti
per i lavoratori a tempo indeterminato (Corte di Giustizia
13.9.97, Del Cerro)”. Pertanto dichiara il diritto della
ricorrente a percepire gli scatti biennali stipendiali a
decorrere dall’anno scolastico 2004-2005 e, per l’effetto,
condanna il Ministero della Pubblica Istruzione al
pagamento delle relative somme e delle spese di lite.
In senso analogo decideva, ma alla luce dei soli artt. 3 e
36 Cost., il G.L. di Livorno (sentenza 1222/09 in data 13
gennaio 2010 – all. 10) riconoscendo il diritto dei
ricorrenti a vedersi riconosciuti dalla P.A. gli scatti
retributivi di anzianità dall’inizio del rapporto di
lavoro, oltre interessi, per l’effetto condannando il
convenuto M.I.U.R. al pagamento delle relative somme ed
alle spese di soccombenza.

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13. Egualmente nel senso di riconoscere il diritto dei
ricorrenti a vedersi attribuire gli incrementi legati alla
anzianità due recenti pronuncie del G.L. di Verona,
dott.ssa Cristina Angeletti, nn. 764 e 765/120 (all. 11 e
12).
14. Il G.L. di Terni Dott. Alfredo Rainone (sentenza n.
21/2010 in data 13 gennaio 2010– all. 13)premessa la
diretta applicabilità delle norme sui contratti a tempo
determinato, Conferma la illiceità dei contratti dedotti in
giudizio per mancata indicazione delle specifiche ragioni
di carattere organizzativo, produttivo e sostitutivo
prevista dalla legge.
Esclude la conversione, perché esclude la abrogazione del
divieto di conversione sancito dall’art. 36 della legge
165/01, ritenendo che trattisi di norma speciale (Cass.civ.
24.5.2005 n. 10904), non in sospetto di incostituzionalità,
atteso che dà piena attuazione all’art. 97 Cost..
Richiama le sentenze del 7 settembre 2006, rese nelle cause
nn. 180/04 e 53/04 dalla C.G.C.E. che hanno ritenuto
compatibile il sistema italiano con le norme europee in
materia di rapporto di lavoro a tempo determinato
(direttiva 1999/70), con riferimento alla PA ed all’art.
36. Tali norme interne, tuttavia, come specifica la CGCE
nella causa 48-04, non devono essere meno favorevoli di
quelle che disciplinano situazioni analoghe di natura
interna (principio di equivalenza) né rendere praticamente
impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei
diritti conferiti dall’ordinamento giuridico comunitario
(principio di effettività); tale valutazione spetta al
giudice di rinvio (ed in questo senso la CGCE giudica prima
facie soddisfare gli obblighi, ma spetta in ogni caso al
giudice italiano “pronunciarsi sull’interpretazione del
diritto interno, il quale deve, nella fattispecie,
determinare se i requisiti ricordati ai tre punti

16
precedenti siano soddisfatti dalla normativa nazionale
pertinente”.
Cita, sulla natura del danno, il G.L. Rossano nella
sentenza 4.6.2007 in causa 450/06, per il quale “dalla
natura della clausola deriva quindi che il contratto deve
ritenersi a tempo indeterminato, ma dall’art. 36 consegue
che detto effetto non vi può essere causa effetto
risolutivo: il danno determinato dalla violazione del
D.Lgs. 368/01 è costituito perciò dalla perdita del lavoro
per effetto del disposto di cui all’art. 36 che determina
una risoluzione legale del contratto a tempo indeterminato,
proprio perché opera sul piano degli effetti.
In punto di statuizione, il G.L. con la predetta sentenza
ha dichiarato la nullità della clausola di apposizione del
termine ai contratti di lavoro stipulati dopo il
24.10.2001 (data di entrata in vigore del decreto
legislativo 368/2001); per l’effetto, ha condannato il
M.I.U.R. convenuto al pagamento in favore dei ricorrenti
di quindici mensilità dell’ultima retribuzione di fatto
percepita, maggiorata degli interessi legali.
15. Anche il Giudice del Lavoro di Orvieto Dott. Gianluca
Forlani, con la sentenza 63/09 in data 5 giugno 2009 (all.
14) muove dal presupposto che la fattispecie proposta
trovi esclusiva disciplina, di carattere conseguentemente
generale, nel D.Lgs. 368/01, deducendo che la predetta
disciplina deve portare a considerare come non apposta la
clausola medesima tanto per mancata esplicitazione della
motivazione, quanto per mancata esposizione dei motivi di
proroga e mancato rispetto degli intervalli di legge.
Quanto alle conseguenze, il Giudicante, richiamato il
divieto di conversione ex art. 36 D.Lgs.165/01, esclude che
tale norma “speciale” possa ritenersi abrogata
implicitamente dal D.Lgs. 368/01, non essendo incompatibile
con questa, né con la direttiva comunitaria: l’effetto
della c.d. conversione non è ritenuto infatti

17
indispensabile per l’attuazione della direttiva
comunitaria, potendo essere limitato in presenza di
condizioni stabilite dallo Stato membro (Tribunale di
Rossano in funzione di Giudice del Lavoro sentenza del
4.6.2007 in causa n. 450/06 R.G.A.C.); e tuttavia la
illegittima apposizione del termine deve,
conseguentemente, ritenersi determinare l’obbligo
risarcitorio del danno cagionato, evidentemente di natura
contrattuale.
Tanto ritenuto, il Giudice, esclusa la possibilità ed anche
la necessità di conversione dei contratti a tempo
determinato, accertato il diritto al risarcimento ex art.
36 D.Lgs.165/01, ne determina l’ammontare, al fine di
escludere che una sua inesatta o insufficiente
quantificazione riporti l’art. 36 in sospetto di
incompatibilità con la direttiva comunitaria, e ciò poiché
“dai principi ricordati ne deriva che la conformità del
disposto di cui all’art. 36 con l’ordinamento comunitario
non è un elemento acquisito, ma che deve essere sottoposto
a puntuale verifica. Ove il danno previsto da detta
disposizione, come interpretato dal giudice italiano, non
soddisfi i requisiti indicati dalla sentenza in esame, non
resta che procedere alla disapplicazione dell’art. 36 del
D.Lgs. 165/01 nella parte in cui vieta l’effetto di
costituire rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le
pubbliche amministrazioni”
In questa valutazione, il Giudice individua una misura che
risponda alle caratteristiche indicate dal Giudice
comunitario (efficacia dissuasiva, rispetto del principio
di equivalenza, effettività). Ciò fa in via necessariamente
equitativa, rapportandolo ad euro 5.000,00 per ogni
contratto ritenuto illegittimo.
Di conseguenza, dichiara la nullità dell’apposizione del
termine ai contratti di lavoro stipulati dopo il 24.10.01 e
per l’effetto condanna la convenuta al pagamento in favore

18
di <omesso> della somma di euro 45.000,00 oltre interessi
legali dalla cessazione dell’ultimo rapporto di lavoro
all’effettivo soddisfo.
16. Infine si citano, senza tuttavia poterle produrre, le
seguenti sentenze favorevoli all’accoglimento di domande
tutte formulate nel presente ricorso:
- Giudice del lavoro di Salerno n. 3651 del 14.7.2010:
riconosciuto il diritto dei ricorrenti agli scatti
biennali;
- Giudice del lavoro di Alba in data 8 novembre 2010:
dichiara illegittimele sequenze dei contratti a tempo
determinato stipulati dai vari ricorrenti con il M.I.U.R.;
condanna il Ministero a risarcire, nei limiti della
prescrizione, il danno subito dai docenti individuato nella
differenza tra quanto effettivamente percepito e quanto i
ricorrenti avrebbero dovuto percepire se fossero stati da
subito assunti con contratto a tempo indeterminato; fissa
data per la prosecuzione del giudizio ai fini della
determinazione del quantum;
- Corte d’Appello di Brescia, sezione lavoro, 8 luglio
2010: dichiara la illegittimità dei contratti a tempo
determinato, non motivati da esigenze particolari e
temporanee imprevedibili, ma, al contrario, “da una precisa
scelta amministrativa evidentemente mirata a contenere i
costi del personale; condanna il Ministero convenuto al
risarcimento del danno, da quantificarsi nella differenza
tra quanto effettivamente percepito dai lavoratori e quanto
avrebbero percepito se fossero stati da subito inquadrati a
tempo indeterminato, ossia tenendo conto della retribuzione
dei mesi estivi con gli interessi di legge;
- Giudice del lavoro di Milano, 08 maggio e 23 maggio 2009:
il Giudice riconosce il diritto dei ricorrenti
all’inquadramento retributivo come previsto per il
personale di ruolo, condannando il Ministero a

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corrispondere le relative differenze retributive oltre
interessi e rivalutazione;
- Giudice del Lavoro di Milano, 26 gennaio 2011; il Giudice
Dott.ssa Pattumelli, su ricorso di 13 insegnanti precari,
ha riconosciuto il diritto alle classi stipendiali previste
per gli insegnanti con contratto a tempo indeterminato; il
Giudice del lavoro di Milano ha anche respinto l´eccezione
di prescrizione quinquennale avanzata dall´Avvocatura dello
Stato, chiarendo che i termini entro cui i dipendenti a
termine possono far valere i propri diritti non decorrono
durante l´esecuzione del contratto di lavoro;
- Giudice del Lavoro di Padova, 14 gennaio 2011 n. 18/11;
il Giudice del Lavoro Dr.ssa Bortot ha dichiarato il
diritto dei ricorrenti al riconoscimento della anzianità
maturata in condizioni di parità con gli insegnanti
dipendenti a tempo indeterminato (All. 15).
VII
Sulla conversione del rapporto
17. Come sopra richiamato, tutte le pronuncie di merito si
arrestano di fronte al divieto di conversione stabilito
dall’art. 36 del D.Lgs. 165/2001, considerandolo
insuperabile per due ordini di ragioni:
- la prima, con riferimento al diritto comunitario, con il
quale sembra compatibile anche la sola misura risarcitoria;
- la seconda, con riferimento al diritto interno, per il
vincolo di concorso quale percorso di accesso ai pubblici
impieghi, ex art. 97 della Costituzione.
In posizione diversa si pone, per prima, la sentenza del
Giudice del Lavoro di Siena 27 settembre 2010 (sentenza
cit.) che, invece, si pronuncia per la conversione dei
contratti impugnati in contratti a tempo indeterminato.
Tale istanza, si richiama, costituiva e costituisce la
domanda principale formulata nel ricorso introduttivo del
giudizio odierno.

20
A tale giudizio il Giudice del Lavoro di Siena perviene,
con motivazioni alle quali si rinvia e che vengono
condivise in pieno da questo patrocinio, sostanzialmente:
- negando che la mancata estensione allavoro pubblico della
conversione legale possa trovare giustificazione nell’art.
97 Cost.: ”La regola costituzionale non risulta in effetti
violata, posto che l’art. 97 della Costituzione prevede
espressamente la possibilità per il legislatore ordinario
di derogare al principio della concorsualità. Deroga non
necessaria, del resto, poiché l’art. 36 del d.lgs. 2001/n.
165, come modificato dal D.l. 2008/n. 112, conv. L. n.
133, prevede che anche le assunzioni a termine siano
effettuate nel rispetto delle procedure di reclutamento di
cui all’art. 35” (pag. 9 sentenza cit.);
- secondo la normativa europea e le pronuncie della CGE, la
tutela risarcitoria deve essere “effettiva” e “dissuasiva”;
- tale non può ritenersi l’attuale regime, quand’anche
modellato sulla misura massima di risarcimento, che il
Giudice di Siena rintraccia nella pronuncia del Tribunale
di Genova 14.12.2006 (venti mensilità, sommando la misura
minima del risarcimento del danno, 5 mensilità, alla
indennità sostitutiva, 15 mensilità, che spetta, in
effetti, fermo restando il diritto al risarcimento del
danno, così come previsto al quarto comma dell’art. 18 l.
1970/n. 300): “un primo dato argomentativo può rinvenirsi
nella mutata convinzione della non effettività, della
inadeguatezza, della sanzione meramente risarcitoria,
rispondendo in tal modo più pienamente alla sollecitazione
che indubbiamente perviene dalla giurisprudenza
comunitaria”. Ed ancora “Dati empirici conducono
agevolmente alla soluzione, attesa la macrodimensione del
fenomeno del lavoro pubblico precario irregolare,
evidentemente non dissuaso dall’apparato sanzionatorio,
che possiamo aggettivare debole e pertanto non conforme al
diritto comunitario, poiché le condizioni di applicazione

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nonché l’applicazione effettiva delle relative
disposizioni di diritto interno ne fanno uno strumento
inadeguato a prevenire e, se del caso, a sanzionare
l’utilizzo abusivo da parte della pubblica amministrazione
di contratti di lavoro a tempo determinato successivi”
(pag. 14 sentenza cit.);
- sotto altro profilo, l’art. 11 del d.lgs.368/2001 dispone
l’abrogazione di tutte le disposizioni di legge che sono
comunque incompatibili; pertanto, anche la previsione
dell’art. 36 del d.lgs. 165/2001 “si presta ad essere
ricompresa nell’azione della mannaia dell’incompatibilità”
(sentenza cit. pag. 19);
- lo stesso CCNL del Comparto Scuola 2006/2009, a ciò
legittimato dallo stesso art. 36 cit., “prevede all’art.
40 c.4 la possibilità di trasformazione del rapporto di
lavoro a tempo determinato in rapporto di lavoro a tempo
indeterminato per effetto di specifiche disposizioni
normative, non alludendo direttamente alla problematica
della conversione sanzionatoria, ma certamente
contribuendo a consentirne pienamente l’ingresso sulla
base del fondamentale riferimento del d.lgs. 2001/n. 368”
(ibidem pag.20);
- “appare pertanto consentita nel caso di specie la
disapplicazione della normativa nazionale (art. 36 d.lgs.
2001/n. 165) a vantaggio della direttiva 1990/70 CE e
delle citate pronunce della Corte di Giustizia, quindi
dell’art. 5 d.lgs. 2001/n. 368” (ibidem).
Su tali basi, il Giudice del Lavoro di Siena, previo
accertamento della illegittimità dell’apposizione del
termine, dichiara la conversione del primo contratto
stipulato dalla ricorrente in contratto a tempo
indeterminato, conseguentemente condannando il M.I.U.R. al
reinserimento della ricorrente nel posto di lavoro e nelle
mansioni quo ante, nonché al risarcimento del danno,
commisurato alle retribuzioni globali di fatto maturate

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dalla messa in mora sino all’effettiva ripresa del lavoro,
oltre interessi legali e spese processuali.
18. Anche alla luce della citata pronuncia si ribadisce la
richiesta formulata in via principale nel ricorso
introduttivo, ovvero di conversione dei rapporti dedotti in
giudizio, ferma restando sia la richiesta di risarcimento
che le domande proposte in via subordinata.
E’ evidente che le misure risarcitorie, anche nella misura
massima, non rispondono al canone della effettività e della
dissuasività richieste dalla norma europea. E’ altrettanto
evidente che la negazione anche della tutela risarcitoria,
come voluto dal Giudice del Lavoro di Vicenza (sentenza
cit.) lascerebbe totalmente privi di tutela i lavoratori
pubblici del settore scolastico, legittimando un uso
ordinario del contratto a termine, in parallelo a quello a
tempo indeterminato, senza necessità di motivazione alcuna:
e ciò in spregio sia alle direttive comunitarie che al
diritto interno, i quali hanno individuato il contratto a
tempo indeterminato come la regola ed il contratto a
termine come eccezione.
Su tali richieste, pertanto, si insiste.
Si richiede il rigetto delle eccezioni avverse, perché
infondate o ininfluenti ai fini del presente giudizio.
Si allegano le pronunce giurisprudenziali sopra citate.
Vicenza, lì 31 gennaio 2011.

Avv. Gianni Cristofari


Avv. Patrizia Cattaneo
Avv. Valdo Mellone

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