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GEREMIA
GIOVANNI BOGGIO
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Commentari
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Di Geremia, a prima vista, sembra di sapere quasi tutto. I1 libro che porta
il suo nome è ricco di notizie biografiche e di personaggi di contorno alla figura
del protagonista. Questi si presenta in prima persona con parecchi interventi,
che rivelano anche stati d'animo molto personali (ma vedi più avanti a proposi-
to delle «confessioni»). A differenza degli altri profeti, che spesso sono del tutto
nascosti dietro il loro messaggio e lasciano trasparire ben poco della loro vita,
Geremia si offre in primo piano con una immediatezza sorprendente.
Eppure, a una lettura un po' più attenta, ci si accorge che di notizie precise
e sicure (almeno sui fatti che per noi sono importanti: nascita, morte, avveni-
menti significativi, rapporti con personaggi storici che conosciamo, ecc.) ne ab-
biamo poche. Se poi cerchiamo di seguire nel libro un ordine logico (per noi)
nella disposizione dei racconti e degli interventi del profeta, ci troviamo di fron-
te a una situazione che può sembrare disperata.
L'inizio del libro (Ger 1,l-3) colloca la vicenda del profeta entro limiti storici
ben precisi: dall'anno tredicesimo del regno di Giosia (627)' fino all'undicesimo
anno del regno di Sedecia, ossia l'anno della distruzione di Gerusalemme (587).
Ma i cc. 40-44 riportano ancora altri fatti accaduti dopo questa data: vi si riferi-
' Si è scritto molto, e con opinioni contrastanti, sul rapporto intercorso tra Geremia e la riforma
di Giosia. Si va da chi lo ha ritenuto un sostenitore entusiasta dell'opera riformatrice del re, a chi ne ha
fatto un accanito avversario. Naturalmente, chi ritiene che il profeta abbia iniziato la sua attività dopo
il 609, esclude di per sé il problema. Riteniamo equilibrata e ben motivata la posizione di J. Scharbert
che, dopo aver esposto le varie opinioni, conclude che Geremia ha conosciuto il Deuteronomio, ha predi-
cato e insegnato durante il periodo della riforma, ma è stato scettico nei suoi confronti (J. SCHARBERT,
Jeremia und die Reform des Joschua, in BOGAERT P . - M . (ed.), Le livre de Jérémie, 40-57).
sce che il profeta viene condotto in Egitto contro la sua volontà, da un gruppo
di esuli volontari.
In queste vicende complesse e drammatiche, che vedono intrecciarsi in modo
strettissimo fede, religione e politica, si inserisce la vita di Geremia. I1 suo libro
abbonda di riferimenti a grandi avvenimenti storici, ma anche a fatti della vita
quotidiana, visti però sempre in rapporto con il problema che stava maggior-
mente a cuore al profeta: la fedeltà a Jhwh.
Originario di Anatot (Ger 1,l), piccolo borgo a circa 6 km a nord di Gerusa-
lemme ma appartenente alla tribù di Beniamino, Geremia2porta in sé le caratte-
ristiche della terra di origine. Si sente legato affettivamente più alle tribù setten-
trionali, anche se ormai scomparse ufficialmente in quanto assorbite nella pro-
vincia assira di Samerina, che non alla vicina Gerusalemme, capitale del regno
di Giuda.
È significativo che i primi messaggi del profeta siano indirizzati alla gente
che abita la Samaria, e che egli continua a considerare popolo di Dio chiaman-
dolo sempre «Israele». Per queste popolazioni il profeta ha sentimenti affettuo-
si, anche se non risparmia i rimproveri. Egli promette il ristabilimento dell'ami-
cizia con Dio, rotta con la pratica dell'idolatria che era stata punita con la perdi-
ta dell'identità nazionale (cc. 1-6; 30-31).
I1 testo biblico non ci dice nulla sull'anno di nascita del profeta. Da 1,6 sap-
piamo soltanto che Geremia si definisce «giovane» quando si sente chiamato da
Dio. I1 termine non ci aiuta gran che a definire con esattezza la sua età. Infatti
l'ebraico na'ar viene riferito a Salomone (che doveva avere più di trent'anni) dopo
che aveva già incominciato a regnare (1 Re 3,7: «Io sono un giovane piccolo,
non so uscire ed entrare)); cf Ger 1,6: «Non so parlare perché sono giovane)))
e anche al re Giosia quando iniziò la riforma religiosa all'età di 16 anni (2 Cr
34,3; cf 34,l). Sembra dunque che, più che per indicare un'età precisa, il termi-
ne venisse usato con valore relativo, cioè (((troppo) giovane per adempiere a un
incarico)); nel caso di Geremia, «troppo giovane perché gli venisse riconosciuta
l'autorità di parlare a nome del S i g n o r e ~ . ~
Si può pensare che Geremia nel momento della «vocazione» (627, tredicesi-
mo anno di Giosia), avesse più o meno la stessa età del re, cioè una ventina d'an-
ni. Però, ancora recentemente4 si sono avanzati dubbi sulla data della chiamata
del profeta e quindi anche sull'anno della nascita, che verrebbe spostato al 627,
mentre l'inizio dell'attività profetica sarebbe da collocarsi nel 609. Noi seguia-
mo la cronologia che risulta dal testo masoretico e accettata finora abbastanza
comunemente.
I1 nome, attestato anche in documenti extrabiblici, è di etimologia incerta. Ricorre in due forme:
Jirmejahu (1,1.11; 7 , l ; ecc.) e Jirmejah (27,l; 28,5-6.10-12.15; ecc.) ed è stato interpretato in modi di-
versi (Jhwh getti, Jhwh innalzi, Jhwh rivelertl). È comunque un nome jahvista come quello di suo padre
Hilqujahu (l ,l).
I libri sapienziali esigono dai giovani l'atteggiamento dell'ascolto (cf Prv 1,4; vedi M. CIMOSA, Te-
mi di Sapienza biblica, Dehoniane, Roma 1989, 122-134).
W.L. HOLLADAY, A Coherent Chronology of Jeremiah's Early Career, in AA.VV.,Le livre de Jéré-
mie, 58-73.
La prima indicazione di tempo che ricorre nel testo, in riferimento all'attivi-
tà del profeta (3,6), è così vaga che non permette di precisare ulteriormente l'an-
no (dal 627 al 609). Seguendo l'ordine dei capitoli del TM, una seconda indica-
zione - anch'essa vaga - si trova in 21,l dove è nominato il re Sedecia. Dal
contesto (assedio di Gerusalemme) si deduce che siamo nell'anno 587. I1 C. 22
riporta messaggi rivolti a tre re di Giuda: Ioacaz (22,lO-12), Ioiakim (22,13-19)
e Ioiachin (22,20-30), che hanno regnato rispettivamente: tre mesi nel 609 Ioa-
caz, dal 609 al 597 Ioiakim, tre mesi nel 597 Ioiachin.
I1 messaggio di 24,l è comunicato «dopo che Nabucodonosor aveva depor-
tato da Gerusalemme Ieconia)) (cioè Ioiachin): la data è dunque posteriore al 598.
In 25,l si parla del ((quarto anno di Ioiakim)) (605), mentre secondo 26,l il
discorso nel tempio è pronunciato nel primo anno del suo regno (609).
Mentre il v. 1 del C. 27 parla dell'inizio del regno di Ioiakim, nei vv. 3.12
e in 28,l si nomina Sedecia, con riferimenti precisi agli avvenimenti del 598.
I1 C. 29 si colloca dopo la prima deportazione di Giudei a Babilonia, avvenu-
ta nel 598. I1 C. 32 ci porta già all'anno decimo di Sedecia (587), come pure si
può collocare nello stesso tempo quanto raccontato al C. 34.
Con il C. 35 ritorniamo «nei giorni di Ioiakim» (v. 1) e il contesto suggerisce
di collocare l'episodio verso la fine del suo regno (598).
Ger 36,l ci riporta al «quarto anno di Ioiakim)) (605), ma i cc. 37-38 parlano
nuovamente di Sedecia (37,1.3.17.21; 38,14.19), senza specificare l'anno dei fatti
narrati, mentre il C. seguente (39,l-2) ci porta al nono e undecimo anno del suo
regno con l'assedio e la distruzione di Gerusalemme (589-587). I1 C. 45 fa ritor-
nare al 605, il quarto anno di Ioiakim (45,l).
Nei cc. seguenti (46-51) abbiamo altre indicazioni di date (46,2: anno 605;
46,13: a. 568; 47,l: data incerta; 49,34: a. 598; 51,59: a. 594), senza tener conto
di quelle contenute nel C. 52, parallelo a 2 Re 24,18-25,30.
Possiamo ora mettere in ordine cronologico le date rilevate nel testo, per avere
un quadro degli avvenimenti datati nella vita del profeta.
IL TESTO
La vicenda del testo di Geremia si presenta particolarmente complessa. Il rac-
conto del c. 36 già presenta una duplice «edizione» di una raccolta di interventi
del profeta: la prima, distrutta dal re Ioiakim, era più breve, mentre la seconda
aggiungeva «molte altre parole simili a quelle» (36,32) b r ~ c i a t eÈ. ~evidente che
quanto si riferisce al periodo posteriore al 605 è stato aggiunto in seguito. Così,
all'interno del libro stesso già si attesta una sua storia redazionale articolata: par-
' Sono così chiamati quegli autori anonimi che durante l'esilio babilonese hanno ripensato i messag-
gi dei profeti alla luce della situazione nuova in cui si trovavano a vivere. A volte hanno adattato questi
messaggi inserendoli nel libro di Geremia e, nello stesso tempo, servendosi della terminologia tipica del
Deuteronomio (ricordiamo il posto di rilievo riconosciuto a questo libro, almeno quanto al suo nucleo
centrale, nella riforma religiosa di Giosia). In questo modo rendevano più evidente il valore «profetico»
dei messaggi di Geremia.
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I1 problema dell'origine dei singoli brani resta comunque aperto alla discus-
sione e alla ricerca degli studiosi. In linea di massima sembra si possa accettare
con buona probabilità l'attribuzione a Geremia dei messaggi contenuti nel suo
libro, fermo restando che questi non sono giunti a noi, sempre e tutti, come «ip-
sissima verba)) del profeta.
Un problema a parte riguarda l'interpretazione da dare ai brani indicati co-
munemente come «confessioni» (1 l , 18-12,6; 15,lO-21; 17,14-18; 18,18-23;
20,7-18). Questo titolo, ispirato all'opera di sant'Agostino, ha spinto a leggere
in chiave intimista e con interpretazioni psicologiche di tipo autobiografico testi
che possono essere letti in prospettiva diversa. Pur esprimendo un'esperienza del
profeta (che crediamo sia comunque all'origine dei testi), questi brani possono
rappresentare una protesta collettiva del ((giusto sofferente)) e perseguitato, co-
me si verifica anche nei Salmi. L'«io collettivo))di cui parlano alcuni esegeti non
va però inteso come un'astrazione, e i testi relativi non si possono staccare dalle
esperienze di uomini concretL9
MESSAGGIO TEOLOGICO
Non è facile sintetizzare in poche righe il messaggio del libro di Geremia, an-
che se le convinzioni del profeta sembrano riducibili a un numero limitato. In
questo tentativo di sintesi, viste le difficoltà della ricerca critica, prescindiamo
dalla distinzione tra il ((pensiero autentico)) del profeta e le integrazioni che que-
sto pensiero ha avuto o, meglio ancora, suggerito. Ci atteniamo perciò al TM
come ci è stato tramandato, evidenziando alcuni concetti religiosi che vi sono
contenuti, senza la pretesa della completezza.
1. I1 Dio di Geremia
Geremia sa unire in modo sorprendente un alto concetto di Dio a una confi-
denza estrema verso di lui. Per il nostro profeta Dio è il creatore di tutto ciò
che esiste e questo lo rende padrone assoluto della storia umana, che guida se-
condo i suoi piani (18,l-10; 27,5-7; 43'10; cc. 46-51) senza che nessuna forza
umana vi si possa opporre (27,8-11; 51,58).
I1 Signore annuncia l'invasione dei nemici che lui stesso chiama dal setten-
trione (1,15; cf 4,6.28; 6,6.9.19; ecc.), perché egli interviene nelle vicende del
proprio popolo per punirlo delle sue colpe servendosi di ogni mezzo (3,3; 5,21-25;
8,l-3.13-17; 9,9-11; 15,l-4; 18,ll; 44,26-30). Ma interviene anche per dargli la
salvezza (3,14-18; 16,14-15; 24,4-7; 29,lO-14; cc. 30-31; 32,36-44; 33) dimostrando
di essere forte e potente anche in un paese straniero dove non era conosciuto (29,7).
ferenza, lettura delle «confessioni)),Claudiana Ed., Torino 1990 (orig. francese: Genève 1985); M.S. S ~ H ,
The Laments of Jeremiah and Their Contexts:A Literary and Redactional Study of Jeremiah 11-20, Scholars
Press, Atlanta GA 1990.
Dio interviene anche nelle vicende di singole persone, ora per castigarle (20,3-6;
22,24-28; 28,1517; 29,21-23.30-32), ora per premiarle (39,15-18; 45,l-5). Lo può
fare con giustizia perché egli conosce perfettamente i pensieri più segreti dell'uo-
mo, che non può nascondergli nulla (17'10; 11,20; 20,12; 23,23-24), nonostante
si illuda di poterlo fare (12,4).
Oltre ad essere potente, Jhwh è un Dio esigente e geloso che non sopporta
rivali o concorrenti (1,16; 2,9.11.27-28; 3,l-2; 4,l; 5,7; 7,16-20; 12,7-8; 13,25;
15'6; 16,ll; 32,19-35; 44,743; ecc.). I1 discorso del profeta è diretto soprattutto
contro l'idolatria, che si sostituiva al culto di Jhwh o gli si affiancava in forme
di sincretismo non meno pericolose.
La polemica anti-idolatrica del C. 10 evidenzia la nullità degli idoli, incapaci
sia di giovare a chi si rivolge loro sia di recare danno a chi li ignora (10,l-10).
I1 culto idolatrico non solo è inutile ma diventa dannoso per chi lo pratica (2,5.8.28;
3,24; 10,14-15). Infatti nel momento della necessità viene a mancare l'aiuto ri-
chiesto e l'uomo si trova in balia di se stesso, abbandonato alle proprie forze.
L'uomo ha assoluto bisogno di Dio, mentre Dio non ha bisogno dell'uomo,
né dei suoi atti di culto (6,20), né di luoghi che gli siano dedicati. L'uomo rico-
nosce la sovranità di Dio non tanto con atti religiosi, ma mediante una vita fede-
le all'insegnamento che Dio stesso gli ha dato. I1 discorso nel tempio (C. 7; cf
C. 26) sviluppa questo tema in forma violenta e quasi passionale, rivendicando
a Dio la libertà di fronte all'uomo e la sua estraneità a ogni intrallazzo in cui
una religiosità interessata vorrebbe coinvolgerlo.
Abbandonare Jhwh per seguire gli idoli (di qualunque genere) è come trascu-
rare la sorgente, illudendosi di trovare l'acqua raccolta nelle cisterne costruite
dall'uomo (2,13). Ma le cisterne sono screpolate e l'acqua si disperde tra la sab-
bia. L'assetato che corre verso di esse, sicuro di trovarvi la vita, è destinato a
morte certa. Dio è la fonte unica della vita, il padrone assoluto dell'esistenza
umana. Da questa realtà ontologica scaturiscono le esigenze che Dio rivendica
per sé. Non sono espressione del capriccio di un despota, ma condizione essen-
ziale della realtà umana.
Non è necessario che Dio punisca l'uomo, benché spesso il profeta usi imma-
gini e termini legati all'area semantica della punizione, dell'ira e della vendetta
divina. L'uomo che abbandona Dio commette un peccato, ma contemporanea-
mente anche si autopunisce: «La tua stessa malvagità ti castiga e le tue ribellioni
ti puniscono. Riconosci e vedi quanto è cosa cattiva e amara l'avere abbandona-
to il Signore tuo Dio e il non aver più timore di me» (2,19).
Nell'immagine della sorgente è racchiusa anche la convinzione della ricchez-
za infinita che si trova in Dio, della sua generosità verso chi si rivolge a lui e
accetta la propria dipendenza dalla fonte della vita. Questo concetto assume nel
libro di Geremia espressioni di tenerezza che raggiungono a volte un autentico
lirismo, come quando si attribuiscono a Dio sentimenti paterni appassionati verso
il suo popolo, Efraim (cioè Israele), che si è raweduto delle proprie colpe (31,18-20;
cf 31'1-17; cf anche 3,19.22).
Seguendo il modello di Osea, anche'Geremia presenta la relazione tra Jhwh
e Israele come un rapporto tra sposi: un rapporto tumultuoso che, se da una
parte evidenzia l'amore appassionato di Dio-sposo, mette altrettanto in primo
piano l'infedeltà del popolo-sposa (2,20-25; 3,1.6- 13.20).
Il profeta Isaia esercitò un forte influsso sui suoi seguaci, i quali legarono
al suo nome scritti e riflessioni confluiti nella seconda e terza parte del suo libro,
oltre agli inserimenti ((apocalittici)) tra i primi 39 capitoli. I1 libro di Geremia
invece, pur presentando nella sua formazione una storia complessa, non offre
una distinzione così netta tra le parole del profeta e quanto è lecito attribuire
ai suoi seguaci e ammiratori. Oltre ad avere raccolto molti elementi per una «bio-
grafia)) del profeta di Anatot, essi videro nel suo pensiero l'interpretazione più
corretta, e non solo dal punto di vista religioso, dei tragici avvenimenti che ave-
vano condotto all'esilio in Babilonia.
A Geremia, forse grazie alle sue esortazioni accorate perché fosse evitata la
catastrofe nazionale, venne così attribuita la paternità dei «Lamenti» su Geru-
salemme distrutta (le cosiddette ((Lamentazioni di Geremia», che non hanno al-
cuna relazione con il profeta). Anche la ((Lettera di Geremia)) (uno scritto com-
posto forse nel I1 sec. per illustrare l'inutilità dell'idolatria) fu legata al nome
del profeta che tanto aveva lottato contro il culto idolatrico. La tradizione giu-
daica gli attribuì persino la paternità letteraria dei libri di Samuele e dei Re.
I1 Siracide ricorda la vocazione di Geremia e la forza della sua parola antici-
patrice degli eventi (49,6-7). Al tempo dei Maccabei circolava una leggenda su
Geremia, che avrebbe consegnato la Legge e il fuoco sacro ai deportati perché
li conservassero accuratamente. Avrebbe anche nascosto la tenda, l'arca dell'al-
leanza e l'altare degli incensi in una caverna sul monte dove era morto Mosè,
occultandone poi accuratamente l'ingresso. I1 luogo avrebbe dovuto rimanere
sconosciuto ((finchéDio non avrà riunito la totalità del suo popolo))(2 Mac 2,l-12).
A Giuda Maccabeo appare in sogno Geremia «rivestito di una maestà mera-
vigliosa e piena di magnificenza)) (2 Mac 15,13), presentato come ((l'amico dei
suoi fratelli, colui che innalza molte preghiere per il popolo e per la città santa,
Geremia il profeta di Dio» (v. 14), il quale consegna all'eroe la spada che gli
' O Cf G . BOCCIO,
Geremia di fronte alla morte, in AA.VV.,Gesù e la sua morte (Atti della XXVII
Settimana Biblica), Paideia, Brescia 1984, 253-266.
darà la vittoria sui nemici (v. 15). La sua figura di «profeta» rimarrà nell'imma-
ginario popolare, come appare dal fatto che alcuni vedevano in Gesù una rein-
carnazione dello stesso Geremia (Mt 16,14).
Nelle promesse di Geremia sulla durata dell'esilio Daniele trova il punto di
partenza per dare una risposta ai gravi interrogativi sulle condizioni drammati-
che in cui si trova ancora il proprio popolo (Dn 9,2). Ma oltre alle citazioni di-
rette, gli studiosi rilevano molti influssi del pensiero geremiano su Ezechiele
(16,60-62; 34,23-30; 36,22-38), sulla seconda e terza parte di Isaia (42,6; 49,1.8;
51,7; 59,21) e su un certo numero di Salmi, soprattutto quelli che sviluppano
il tema del giusto sofferente."
Se nel Nuovo Testamento si colgono solamente sporadiche allusioni al pro-
feta Geremia (Mc 11,17; Lc 19,46; Mt 2,18; 21,13; 23,38; At 7,51; 1 Cor 1,31;
2 Cor 6,18; 10,17; Ap 13,lo), nella lettera agli Ebrei si legge una citazione parti-
colarmente importante del suo libro (8,8-12; 10,16-17) per presentare l'opera sal-
vifica compiuta da Cristo come la «nuova alleanza)) (cf Lc 22,lO; 1 Cor 11,25;
2 Cor 3,6). A questi testi si ispira l'espressione «Nuova Alleanza)) o «Nuovo Te-
stamento)).
" Cf P.E. BONNARD, Le Psautier selon Jérémie (LeDiv 26), Paris 1960; A. GELIN,Ilpovero nella
Sacra Scriiiura, Vita e Pensiero, Milano 1956, 57-59. Vedi le osservazioni puntuali di R. Tournay in RB
63 (1956) 126.
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due esperienze (già sottolineato da Cooke) pone un interrogativo: fino a che punto
la personalità e il messaggio di Ezechiele sono determinati dalla sua origine sa-
cerdotale? e fino a che punto la chiamata profetica gli ha aperto prospettive nuove?
Ha ragione 0. P r o c k s ~ hquando
~ ~ afferma che in Ezechiele il sacerdote oscura
del tutto il profeta? La tensione tra i due termini è facilmente definibile: il sacer-
dote è tale per nascita e s'innesta in una lunga tradizione della quale diventa cu-
stode e interprete; è l'uomo della legge e del culto, uomo della fedeltà al passato
e ai suoi ordinamenti sacri. Profeti, invece, si diventa per vocazione: il profeta
riceve una parola nuova del Signore, la quale interpreta il presente e lo dirige
verso il compimento di un progetto di Dio; la fedeltà del profeta consiste nel
porre davanti all'uomo le esigenze attuali di Dio e nel chiedere una risposta po-
sitiva a queste esigenze.
1. L'origine sacerdotale
All'origine sacerdotale Ezechiele deve anzitutto il suo patrimonio culturale:
egli conosce molto bene le tradizioni di Israele, ha un interesse notevolissimo
per la sua storia passata ed è in grado di interpretarla di nuovo con grande sicu-
rezza. Ezechiele mostra di conoscere bene anche tradizioni non israelite, com-
prese quelle m i t o l o g i ~ h e . ~ ~
Anche il modo di esprimersi di Ezechiele risente dell'influsso della cultura
sacerdotale: esattezza nelle affermazioni, predilezione per gli elenchi e le ripeti-
zioni, esame di «casi» giuridici (cf 14'12-23; 18,518; 32,17-32.. .). I1 tempera-
mento stesso del profeta può sembrare plasmato o perlomeno influenzato dal-
l'ambiente sacerdotale: Ezechiele appare freddo, duro come la selce (3,9), appa-
rentemente insensibile, soprattutto se lo si confronta con una persona passiona-
le come Geremia.
Infine dobbiamo notare la presenza in Ezechiele di temi della teologia sacer-
dotale. Si pensi alla rivelazione della ((gloria di Jhwh», all'accento posto sulla
trascendenza di Dio, al richiamo frequente alla sua santità. I1 fatto che Ezechie-
le vede il peccato anzitutto come una «profanazione» sembra derivare dall'inte-
resse tipicamente sacerdotale verso il sacro. Mentre per Amos il peccato è l'in-
giustizia sociale, per Osea l'infedeltà religiosa, per Isaia l'orgoglio e l'autosuffi-
cienza, per Ezechiele esso è soprattutto la profanazione di ciò che dovrebbe esse-
re santo.46
Dunque l'origine sacerdotale ha segnato Ezechiele e il suo messaggio. Non
è errato perciò vedere in lui - per certi aspetti - il «padre del Giudaismo)),
(Ger 2,7). Quello che in Geremia è un tema teologico, in Ezechiele diventa il tema centrale attorno al
quale ruota tutto il resto.
cioè di quell'ordinamento che, dopo l'esilio, raccoglie Israele attorno al sacer-
dozio e alla legge.
Ma occorre sottolineare anche l'altra faccia della medaglia: Ezechiele è pie-
namente entrato nella logica del profeta. La visione della gloria di Dio in Babi-
lonia ha segnato una frattura importante nella sua vita. ((Secondo la visione tra-
dizionale, Dio e la sua terra sono strettamente legati e perciò Dio può essere ser-
vito e adorato solo nella sua terra; nonostante ciò, Ezechiele impara che la pre-
senza di Dio non è ristretta a un solo luogo, che il credente la può sperimentare
dovunque gli accada di vivere. Questo rappresenta una frattura fondamentale
I
l
con la tradizione. Non è più vero che l'incontro con Dio e la vera vita sono pos-
sibili in patria, mentre abitare in una terra straniera è come morte; ora la vita I
e la morte abitano entrambe nella condotta interna ed esterna dell'uomo, ovun-
que egli possa abitare e in tutte le circostanze in cui egli viva».47
W. EICHRODT, Der Prophet Ezekiel (ATD 22/1-2), Gottingen 1965-1966 (trad. inglese 1970,40-41).
49 Lo mostra chiaramente J. LUST,The Order andFinal Events in Revelation and in Ezekiel, in L'A-
pocalypse johannique et I'Apocalyptique dans le Nouveau Testament (BEThL LIII), Leuven 1980, 179-183.
lemme", ma con una notevole differenza: Ezechiele vide in essa il nuovo tempio
(Ez 40-47), mentre la "nuova Gerusalemme" di Giovanni non aveva tempio "per-
ché il Signore Dio, l'onnipotente, e l'Agnello sono il suo tempio" (Ap 21,22).
Sotto questo aspetto, comunque, la "città santa" di Giovanni è esattamente co-
me la futura capitale d'Israele, la città dove regna il "principe" (Ez 45,7; 48,15-22).
Se pure essa non avrà tempio, sarà però chiamata Jhwh gamma, "I1 Signore è
là" (48,30-35). Come questa futura capitale, la nuova Gerusalemme dell'Apo-
calisse sarà quadrata (Ap 21,16) e avrà dodici porte coi nomi delle dodici tribù
d'Israele (v. 1 2 ) ~ . ~ O
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