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Riassunto - completo -a.a. 2015/2016 - Proff. Berruto e


Cerruti
Linguistica generale (Università degli Studi di Torino)

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APPUNTI LINGUISTICA

LEZIONE I

Che cos'è la Linguistica?

La LINGUISTICA è il ramo delle scienze umane che studia in modo scientifico la lingua. Lo studio della lingua
si può dividere in due sotto-campi:

1. LINGUISTICA GENERALE: Si occupa di che cosa sono, come sono fatte e come funzionano le lingue.
Con il termine "generale" intendiamo la struttura comune a tutte le lingue.

2. LINGUISTICA STORICA

Oggetto della linguistica sono dunque le cosiddette LINGUE STORICO-NATURALI, vale a dire le lingue nate
spontaneamente lungo il corso della civiltà umana e usate dagli esseri umani ora o nel passato.

Tutte le lingue sono espressione di quello che viene chiamato LINGUAGGIO VERBALE. Il linguaggio verbale
è una facoltà innata nell'homo sapiens ed è uno degli strumenti, dei modi e dei sistemi di comunicazione
che questi abbia a disposizione.

In conclusione, la lingua è la specificazione del linguaggio verbale, una manifestazione concreta (tipica di
una società o di una cultura).

Che cos'è una lingua?

La lingua è un SISTEMA DI COMUNICAZIONE. La lingua è un CODICE, ossia l'insieme di corrispondenze,


fissatesi per convenzione, fra qualcosa (Significante) e qualcos'altro (Significato).

I segni linguistici costituiscono il codice lingua!

Un segno è qualsiasi cosa si possa usare per comunicare, è qualcosa che sta al posto di qualcos'altro e serve
per comunicare questo qualcos'altro. Il segno è la singola entità che fa da supporto alla comunicazione o al
passaggio di informazione. Segno è quindi l'unità fondamentale della comunicazione.

Quali proprietà possiede il codice lingua?

1. BIPLANARITA'.

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Una prima proprietà ovvia, tautologica in quanto costitutiva di tutti i segni e quindi anche di quelli
linguistici, è la BIPLANARITA', il fatto che ci siano in un segno due facce.

SIGNIFICANTE E SIGNIFICATO.

SIGNIFICANTE: E' la parte fisicamente percepibile del segno, quello che cade sotto i nostri sensi (per
esempio la parola gatto pronunciata o scritta).

SIGNIFICATO: E' la parte o faccia o piano non materialmente percepibile (il concetto o idea di gatto).

2. ARBITRARIETA'

Un'altra proprietà importante dei segni in senso stretto, e quindi dei segni linguistici, è l'ARBITRARIETA'.
Non c'è alcun legame naturalmente motivato, connesso alla natura o all'essenza delle cose, derivabile per
osservazione empirica o per via di ragionamento logico, fra il significato e il significante di un segno. Il
significante "gatto" non ha di per sé nulla a che vedere con l'animale; nella natura di una cosa non c'è nulla
che rimandi al suo nome.

I legami, i rapporti che ci sono, non sono dati naturalmente, ma posti per CONVENZIONE: in questo senso,
quindi, arbitrari.

In realtà, la questione dell'arbitrarietà dei segni linguistici, o più in generale del linguaggio verbale umano, è
cosa più complessa di quanto appaia in prima approssimazione.

Osserveremo il TRIANGOLO SEMIOTICO per comprendere i rapporti tra segno e elemento esterno.

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Ai tre vertici abbiamo le tre entità in gioco: un significante, attraverso la mediazione di un significato con cui
esso è associato e che esso veicola, si riferisce ad un elemento della realtà esterna, un REFERENTE.

La linea di base del triangolo è tratteggiata, al contrario dei due lati, perché il rapporto fra significante e
referente non è diretto, ma è mediato dal significato. I segni linguistici sono arbitrari!

Gli altri rapporti sono invece diretti.

Al principio dell'arbitrarietà radicale dei segni linguistici vi sono alcune eccezioni. Ci sono dei segni linguistici
che appaiono almeno parzialmente motivati.

E' il caso, ad esempio, delle ONOMATOPEE (tintinnare, sussurrare) che presentano quindi un aspetto più o
meno nettamente ICONICO.

Più strettamente iconici sembrano invece i cosiddetti IDEOFONI: cioè espressioni imitative o interiezioni
descrittive che designano fenomeni naturali o azioni (boom, zac, splash).

E' stato per esempio notato che la formazione del plurale attraverso l'aggiunta di materiale linguistico alla
forma del singolare è un dispositivo molto diffuso nelle lingue. Si è quindi sostenuto che questo fatto
obbedirebbe appunto ad un PRINCIPIO DI ICONISMO.

Un'altra prospettiva che tende a vedere nei segni linguistici più motivazione di quanto solitamente si creda
è quella che sostiene l'importanza del FONOSIMBOLISMO, affermando che certi suoni avrebbero la stessa
natura associati a sé certi significati.

In conclusione, nonostante esistano eccezioni, perlomeno parziali, al principio dell'arbitrarietà totale della
lingua, esse non sono così cruciali da mettere veramente in crisi lo statuto dell'arbitrarietà come una delle
più importanti del linguaggio verbale umano.

3. TRANSPONIBILITA' DI MEZZO

Il significante dei segni linguistici possiede un'altra proprietà molto importante, caratterizzante della lingua:
può essere tramesso o realizzato sia attraverso il mezzo aria (il canale fonico-acustico) che si propaga come
onde sonore e vengono ricevuti dall'apparato uditivo, sia attraverso il mezzo luce, il canale visivo-grafico -
sotto forma di segni, tracciati sulla carta o su un altro supporto solido.

Anche se i segni linguistici possono essere trasmessi o oralmente o graficamente, il carattere orale è
tuttavia prioritario a quello visivo.

1. Il parlato è anzitutto prioritario ANTROPOLOGICAMENTE rispetto allo scritto. Tutte le lingue che
hanno una forma e un uso scritti sono (o sono state) anche parlate, mentre non tutte le lingue

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parlate hanno anche una forma e un uso scritti: migliaia di lingue, soprattutto in Africa o in Oceania,
non hanno una scrittura.

Ovviamente questo dato di fatto non contraddice la proprietà generale della transponibilità di mezzo: sono
fattori contingenti, storico-sociali, a far sì che una lingua non venga scritta e non abbia sviluppato il suo
codice grafico; ed è sempre possibile, in qualunque momento, se ne sorge l'esigenza, dotare qualunque
lingua di un suo sistema di scrittura che ne permetta l'impiego scritto.

2. C'è una priorità ONTOGENETICA del parlato: ogni individuo impara prima, al momento della
socializzazione primaria, e per via naturale, spontanea, a parlare, e sono in un secondo tempo, e
attraverso addestramento guidato e specifico, a scrivere.

3. C'è poi una priorità FILOGENETICA del parlato: nella nostra specie, la scrittura si è sviluppata
certamente molto dopo il parlare. (La scrittura cosiddetta cuneiforme si sviluppa presso i Sumeri, a
circa il 3500 A.c. ; La scrittura alfabetica nasce probabilmente presso i Fenici attorno al 1300 a.C. )

Aggiungiamo un'altra considerazione: " Posso scrivere ciò che dico e viceversa". In questo non c'è completa
equivalenza. Non posso trascrivere l'intonazione e il volume della voce, mentre nel parlato non posso
comunicare la punteggiatura. Si perde sempre qualcosa.

LEZIONE II

Le origini del linguaggio sono certamente molto più antiche rispetto la parola scritta. E' ipotizzabile infatti
che qualche forma embrionale di comunicazione orale con segni linguistici fosse già presente nell'Homo
habilis e poi nell'Homo erectus (circa tre milioni di anni fa).

Il parlato possiede poi alcuni vantaggi rispetto lo scritto:

1. Utilizzabile in qualsiasi circostanza, purchè vi sia aria.

2. Può essere utilizzato in concomitanza ad altre attività

3. Permette localizzazione della fonte di emittenza

4. Ricezione contemporanea

5. E' più rapido della scrittura

6. Permette la trasmissione simultaneamente ad un gruppo

7. E' evanescente

8. Richiede energia ridotta

4. LA DOPPIA ARTICOLAZIONE

Un'altra importante proprietà del linguaggio verbale è la DOPPIA ARTICOLAZIONE.

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La doppia articolazione consiste nel fatto che il significante di un segno linguistico è articolato a due livelli
nettamente diversi.

Ad un primo livello, il significante di un segno linguistico è organizzato e scomponibile in unità che sono
ancora portatrici di significato e che vengono riutilizzate per formare altri segni. Questa prima
scomposizione è detta PRIMA ARTICOLAZIONE.

La parola GATTO è scomponibile in due pezzi più piccoli: GATT e O che recano ciascuno un proprio
significato (rispettivamente "felino domestico" e "uno solo", cioè singolare) e che sono suscettibili di
comparire col medesimo significato in altre parole: GATT-I, GATT-E, GATT-INO.

Tali pezzi o elementi costituiscono le UNITA' MINIME DI PRIMA ARTICOLAZIONE, e non sono ulteriormente
articolati (scomponibili) in elementi più piccoli che rechino ancora un proprio significato.

Ogni segno linguistico è in linea di principio analizzabile, scomponibile in unità minime di prima
articolazione. Le unità minime di prima articolazione, che chiameremo MORFEMI, sono ancora segni, i più
piccoli.

Ad un secondo livello (SECONDA ARTICOLAZIONE), i morfemi sono a loro volta scomponibili in unità più
piccole che non sono più portatrici di significato autonomo e che combinandosi insieme in successione
danno luogo alle entità di prima articolazione. Tali elementi, che non sono più segni in quanto non hanno
un significato e che chiameremo FONEMI costituiscono le unità minime di seconda articolazione.

La doppia articolazione consente alla lingua una grande ECONOMICITA' di funzionamento: con un numero
limitato di unità di seconda articolazione si può costruire un numero grandissimo di unità dotate di
significato.. Anche molto importante nella strutturazione della lingua il principio di COMBINATORIETA': la
lingua funziona combinando unità minori, possedute in un inventario limitato, per formare un numero
indefinito di unità maggiori. E' tale principio che permette alla lingua una produttività illimitata.

LA FONETICA

Occorre rendersi conto di come siano fatti fisicamente i suoni di cui le lingue si servono. La parte della
linguistica che si occupa di questi aspetti si chiama FONETICA, che tratta quindi la componente fisica,
materiale della comunicazione verbale.

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I suoni del linguaggio vengono normalmente prodotti mediante l'ESPIRAZIONE, quindi con un flusso d'aria
EGRESSIVO: L'aria muovendo dai polmoni, attraverso i bronchi e la trachea raggiunge la laringe.

Nella laringe, dove ha inizio il "tratto vocale", l'aria incontra le corde vocali (risiedono nella glottide). Queste
ultime nella "fonazione" possono contrarsi e tendersi avvicinandosi o accostandosi l'una all'altra, e
riducendo o bloccando in tal modo il passaggio dell'aria, costituendo le cosiddette vibrazioni delle corde
vocali. Il flusso d'aria passa poi nella faringe, e da questa nelle cavità boccale (o orale). Nella parte
superiore della faringe, la parte posteriore del palato (o velo), da cui pende l'ugola, può a questo punto
lasciare aperto oppure chiudere il passaggio che mette in comunicazione la faringe con la cavità nasale.
Nella cavita orale abbiamo: la lingua, il palato, gli alveoli, i denti e le labbra.

In ciascuno dei punti compresi tra la glottide e le labbra al flusso d'aria espiatoria può essere frapposto un
ostacolo al passaggio, ottenendo così suoni e rumori che costituiscono fisicamente i suoni del linguaggio.

1. Il LUOGO con cui viene articolato un suono costituisce un PRIMO PARAMETRO FONDAMENTALE
PER LA CLASSIFICAZIONE e identificazione dei suoni del linguaggio.

2. Un SECONDO PARAMENTRO FONDAMENTALE è dato dal MODO DI ARTICOLAZIONE, e cioè dal


restringimento relativo che in un certo punto del percorso si frappone o no al passaggio del flusso
d'aria.

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In base al modo di articolazione abbiamo una prima grande opposizione fra i suoni del linguaggio: quella fra
suoni prodotti senza la frapposizione di ostacoli che creino perturbazioni al flusso d'aria e suoni prodotti
mediante la frapposizione di un ostacolo in qualche punto del percorso.

I primi suoni costituiscono le VOCALI, i secondi le CONSONANTI.

I suoni prodotti con concomitante vibrazione delle corde vocali accostate e tese sono detti SONORI, i suoni
prodotti senza vibrazione delle corde vocali sono detti SORDI.

Le vocali sono normalmente tutte sonore; le consonanti possono essere sia sorde che sonore.

VOCALI

Le vocali sono suoni prodotti senza che si frapponga alcun ostacolo al flusso dell'aria nel canale orale.

Per classificare i suoni vocalici occorre infatti far riferimento in primo luogo alla POSIZIONE DELLA LINGUA,
precisamente al suo grado A) di avanzamento o arretramento e B) di innalzamento o abbassamento.

In base a questi parametri le vocali possono essere:

 ANTERIORI: se vengono articolate con la lingua in posizione avanzata

 POSTERIORI: se vengono articolate con la lingua in posizione arretrata

 CENTRALI

In base al secondo parametro, cioè lo SPOSTAMENTO RELATIVO DELLA LINGUA VERSO L'ALTO, le vocali
possono essere:

 ALTE

 MEDIE (MEDIO BASSE O ALTE)

 BASSE

La posizione con cui vengono pronunciate le vocali può essere rappresentata da uno schema, detto per la
sua forma TRAPEZIO VOCALICO.

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Un altro parametro importante nella classificazione dei suoni vocalici è la POSIZIONE DELLE LABBRA
DURANTE L'ARTICOLAZIONE:

 ARROTONDATE: sono le vocali prodotte con le labbra protruse.

 NON ARROTONDATE: sono le vocali prodotte senza protrusione e arrotondamento delle lebbra.

In italiano abbiamo SETTE FONEMI VOCALICI! Sono i seguenti:

VOCALI ANTERIORI

 [ i ] : ALTA (es. vino)

 [ e ]: MEDIO-ALTA (es. meno)

 [ & ]: MEDIO BASSA (es. bene)

VOCALI CENTRALI

 [ a ]: BASSA (es. mano)

VOCALI POSTERIORI

 [ u ]: ALTA (es. muro)

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 [ o ]: MEDIO-ALTA (es. bocca)

 [ C ]: MEDIO-BASSA (es. uomo)

CONSONANTI

Le consonanti sono classificabili secondo parametri più numerosi rispetto le vocali.

 LUOGO DI ARTICOLAZIONE

Partendo dal tratto terminale del canale, che è peraltro anatomicamente il più avanzato, abbiamo
consonanti:

 (BI)LABIALI, prodotte dalle labbra o tra le labbra

 LABIODENTALI, prodotte fra l'arcata dentaria superiore e il labbro inferiore

 DENTALI, prodotte a livello dei denti. Esse comprendono anche le ALVEOLARI, prodotte dalla lingua
contro o vicino gli alveoli)

 PALATALI, prodotte dalla lingua contro o vicino al palato duro.

 VELARI, prodotte dalla lingua contro o vicino il velo.

 UVULARI, prodotte dalla lingua contro o vicino l'ugola.

 FARINGALI, prodotte fra la base della radice della lingua e la parte posteriore della faringe.

 GLOTTIDALI, prodotte direttamente dalla glottide.

 MODO DI ARTICOLAZIONE

Ossia dal restringimento relativo che in un certo punto del percorso si frappone o no al passaggio del flusso
d'aria.

 OCCLUSIVE, dette a volte anche esplosive)

 FRICATIVE, così chiamate perché l'avvicinamento degli organi articolatori è prossimo al contatto.

 AFFRICATE, sono suoni consonanti la cui articolazione inizia come una occlusiva e termine come
una fricativa. Sono consonanti, per così dire, composte, costituite in due fasi.

 LATERALI, quando l'aria passa solo ai due lati della lingua.

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 VIBRANTI, quando si hanno rapidi contatti intermittenti tra la lingua e un altro organo articolatorio.

 NASALI, quando vi è un passaggio d'aria attraverso la cavità nasale.

 PARAMETRO SONORO

LEZIONE III

Nella lezione precedente abbiamo visto i parametri di classificazione delle vocali (anteriorità/posteriorità ;
Alto/Medio/Basso; Arrotondamento/Abbassamento) e delle consonanti (Modi di articolazione; Luoghi di
articolazione; Parametro sonoro).

In base al LUOGO di articolazione abbiamo distinto:

 BILABIALI
 LABIODENTALI
 DENTALE-ALVEOLARE (le più frequenti in italiano)
 PALATALE
 VELARI

Ora vediamo la classificazione delle singole consonanti:

 [ b ] : OCCLUSIVA , BILABIALE (es. Bocca)

 [ tS ] : AFFRICATA , PALATALE (es. Ciao)

 [ k ] : OCCLUSIVA , VELARE (es. Collo / Quadro)

 [ d ] : OCCLUSIVA , ALVEOLARE (es. maDonna)

 [ f ] : FRICATIVA , LABIODENTALE (Es. aFricano)

 [ d3 ] : AFFRICATA, DENTALE (es. GiorGio)

 [ g ] : OCCLUSIVA , VELARE (es. Gatto)

 [ l ] : LATERALE , ALVEOLARE (es. Lotta)

 [ m ] : NASALE , BILABIALE (es. Mano)

 [ n ] : NASALE , ALVEOLARE (es. Nave)

 [ N ] : NASALE , VELARE (es. faNgo) (Ricorda la gambetta lunga della enne)

 [ p ] : OCCLUSIVA , BILABIALE (Pacco)

 [ r ] : VIBRANTE , ALVEOLARE (Ratto)

 [ s ] : FRICATIVA , ALVEOLARE (Sano)

 [ z ] : FRICATIVA , ALVEOLARE (Sbaglio)

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 [ t ] : OCCLUSIVA , ALVEOLARE (Tappo)

 [ v ] : FRICATIVA , LABIODENTALE (Vero)

 [ tz ] : AFFRICATA , ALVEOLARE ( paZZo )

 [ dz ] : AFFRICATA , ALVEOLARE (Zaino)

 [ n ] : NASALE , PALATALE (Gnomo) ( Ricorda la gambetta lunga inizia della enne)

 [ Y al contrario ] : LATERALE , PALATALE ( fiGLio)

 [ S ] : FRICATIVA , PALATALE [ Scendere ]

 [ 3 ] : FRICATIVA , PALATALE [ Jour ]

FONOLOGIA
Ogni suono producibile dall'apparato fonatorio umano rappresenta un potenziale suono del linguaggio, che
chiameremo ora FONO.
Un fono è la realizzazione concreta di un qualunque suono del linguaggio.

Nella gamma di foni materialmente producibili, le diverse lingue ne rendono pertinenti un certo numero
assegnando loro valore distintivo: quando i foni hanno (in una data lingua) valore distintivo, cioè si
oppongono sistematicamente ad altri foni nel distinguere e formare le parole di quella lingua, si dice che
funzionano da FONEMI.

I foni sono unità minime in fonetica. I fonemi sono le unità minime in fonologia. La fonologia studia
l'organizzazione e il funzionamento dei suoni nel sistema linguistico.

Foni diversi che costituiscano, come nel caso della doppia possibile pronuncia di (mare), realizzazioni
foneticamente diverse di uno stesso fonema, ma prive di valore distintivo, si chiamano ALLOFONI di un
fonema.

Una coppia di parole che siano uguali in tutto tranne che per la presenza di un fonema al posto di un altro
in una certa posizione forma una COPPIA MINIMA. Una coppia minima identifica quindi sempre due fonemi
(mare e pare).

Un procedimento di scoperta delle coppie minime è la PROVA DI COMMUTAZIONE. Consiste nel


confrontare un'unità in cui compaia il fono di cui vogliamo dimostrare se è o no fonema con altre unità
della lingua che siano uguali tranne che nella posizione in cui sta il fono in oggetto.

LEZIONE IV

Nella lezione precedente abbiamo visto i parametri di classificazione delle vocali (anteriorità/posteriorità ;
Alto/Medio/Basso; Arrotondamento/Abbassamento) e delle consonanti (Modi di articolazione; Luoghi di
articolazione; Parametro sonoro).

In base al LUOGO di articolazione abbiamo distinto:

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 BILABIALI

 LABIODENTALI

 DENTALE-ALVEOLARE (le più frequenti in italiano)

 PALATALE

 VELARI

Ora vediamo la classificazione delle singole consonanti:

 [ b ] : OCCLUSIVA , BILABIALE (es. Bocca)

 [ tS ] : AFFRICATA , PALATALE (es. Ciao)

 [ k ] : OCCLUSIVA , VELARE (es. Collo / Quadro)

 [ d ] : OCCLUSIVA , ALVEOLARE (es. maDonna)

 [ f ] : FRICATIVA , LABIODENTALE (Es. aFricano)

 [ d3 ] : AFFRICATA, DENTALE (es. GiorGio)

 [ g ] : OCCLUSIVA , VELARE (es. Gatto)

 [ l ] : LATERALE , ALVEOLARE (es. Lotta)

 [ m ] : NASALE , BILABIALE (es. Mano)

 [ n ] : NASALE , ALVEOLARE (es. Nave)

 [ N ] : NASALE , VELARE (es. faNgo) (Ricorda la gambetta lunga della enne)

 [ p ] : OCCLUSIVA , BILABIALE (Pacco)

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 [ r ] : VIBRANTE , ALVEOLARE (Ratto)

 [ s ] : FRICATIVA , ALVEOLARE (Sano)

 [ z ] : FRICATIVA , ALVEOLARE (Sbaglio)

 [ t ] : OCCLUSIVA , ALVEOLARE (Tappo)

 [ v ] : FRICATIVA , LABIODENTALE (Vero)

 [ tz ] : AFFRICATA , ALVEOLARE ( paZZo )

 [ dz ] : AFFRICATA , ALVEOLARE (Zaino)

 [ n ] : NASALE , PALATALE (Gnomo) ( Ricorda la gambetta lunga inizia della enne)

 [ Y al contrario ] : LATERALE , PALATALE ( fiGLio)

 [ S ] : FRICATIVA , PALATALE [ Scendere ]

 [ 3 ] : FRICATIVA , PALATALE [ Jour ]

FONOLOGIA

Ogni suono producibile dall'apparato fonatorio umano rappresenta un potenziale suono del linguaggio, che
chiameremo ora FONO.

Un fono è la realizzazione concreta di un qualunque suono del linguaggio.

Nella gamma di foni materialmente producibili, le diverse lingue ne rendono pertinenti un certo numero
assegnando loro valore distintivo: quando i foni hanno (in una data lingua) valore distintivo, cioè si

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oppongono sistematicamente ad altri foni nel distinguere e formare le parole di quella lingua, si dice che
funzionano da FONEMI.

I foni sono unità minime in fonetica. I fonemi sono le unità minime in fonologia. La fonologia studia
l'organizzazione e il funzionamento dei suoni nel sistema linguistico.

Foni diversi che costituiscano, come nel caso della doppia possibile pronuncia di (mare), realizzazioni
foneticamente diverse di uno stesso fonema, ma prive di valore distintivo, si chiamano ALLOFONI di un
fonema.

Una coppia di parole che siano uguali in tutto tranne che per la presenza di un fonema al posto di un altro
in una certa posizione forma una COPPIA MINIMA. Una coppia minima identifica quindi sempre due fonemi
(mare e pare).

Un procedimento di scoperta delle coppie minime è la PROVA DI COMMUTAZIONE. Consiste nel


confrontare un'unità in cui compaia il fono di cui vogliamo dimostrare se è o no fonema con altre unità
della lingua che siano uguali tranne che nella posizione in cui sta il fono in oggetto.

LEZIONE V

Un DITTONGO è la combinazione di una semivocale (o approssimante) e una vocale; la vocale costituisce


sempre, ovviamente, l'apice sillabico.

Se la sequenza e V + semiV, avremo un DITTONGO DISCENDENTE (come in auto), se la sequenza è invece


semiV + V avremo un DITTONGO ASCENDENTE (come in pieno).

Si possono anche dare combinazioni di due semivocali e una vocale: si avrà allora un TRITTONGO.

FATTI SOPRASEGMENTALI

Vi è una serie di fenomeni fonetici e fonologici rilevanti che riguardano non i singoli segmenti, bensì la
catena parlata nella sua successione lineare. All'insieme di tali fenomeni si dà il nome di fatti, o tratti,
SOPRASEGMENTALI.

I fondamentali tra di essi sono: l'accento, il tono e l'intonazione, e la lunghezza o durata relativa.

ACCENTO

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L'accento è la particolare forza o intensità di pronuncia di una sillaba relativamente ad altre sillabe, che fa sì
che tendenzialmente in ogni parola una sillaba (detta sillaba tonica) presenti una prominenza fonica
rispetto alle altre (dette sillabe atone).

In italiano l'accento è fondamentalmente DINAMICO o INTENSIVO (si applica maggiore forza).

L'accento come fondamentale tratto soprasegmentale non va confuso con l'accento grafico.

La posizione dell'accento, cioè la posizione della sillaba, all'interno di una parola, su cui cade l'accento, può
essere LIBERA o FISSA. In alcune lingue la posizione è libera e l'accento può cadere su una qualunque delle
sillabe della parola, o comunque in posizioni sillabiche diverse.

In italiano l'accento è tipicamente LIBERO, e può trovarsi sull'ultima sillaba di una parola, sulla penultima (la
più frequente), sulla terzultima, e più raramente sulla quartultima o addirittura sulla quintultima ( questo si
ha però soltanto in parole composte con pronomi CLITICI come "fabbricamelo").

Conseguentemente, in italiano l'accento interviene a differenziare pertinentemente parole diverse a


seconda della sua pozione. ( capitano - il comandante - e capitano - dal verbo capitare ).

TONO E INTONAZIONE

I fenomeni di tonalità e intonazione riguardano l'ALTEZZA MUSICALE con cui le sillabe sono pronunciate. Il
TONO è precisamente l'altezza relativa di pronuncia di una sillaba , dipendente fondamentalmente dalla
tensione delle corde vocali e della laringe.

In molte lingue dette appunto LINGUE TONALI, il tono può avere valore distintivo pertinente a livello di
parola.

L'INTONAZIONE è invece l'andamento melodico con cui è pronunciata una frase o un intero GRUPPO
TONALE o gruppo ritmico ( cioè la parte di una sequenza o catena parlata pronunciata con una sola
emissione di voce). L'intonazione è in sostanza una sequenza di toni che conferisce all'emissione fonica nel
suo complesso una certa curva melodica.

In italiano il contorno intonativo degli enunciati è in molti casi l'elemento principale a fornire l'informazione
cruciale che distingue il valore interrogativo, esclamativo o affermativo di un enunciato.

LUNGHEZZA

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La LUNGHEZZA (o "durata" o "quantità") riguarda l'estensione temporale relativa con cui i foni e le sillabe
sono prodotti. Ogni fono può essere breve o lungo, cioè durare nella realizzazione per un tempo più o meno
rapido.

In italiano, la lunghezza delle consonanti non ha funzione distintiva. E' infatti possibile analizzare ogni
consonante doppia che abbia una corrispondente semplice o come ripetizione in contiguità dello stesso
fonema. In questa prospettiva l'opposizione lunga e breve interverrebbe a costituire coppie minime ; quindi
cane e canne sarebbero una coppia minima.

Dal punto di vista delle vocali. Ci sono vocali suscettibili di tale allungamento enfatico, soprattutto nelle
vocali delle sillabe toniche. A rigore infatti le VOCALI TONICHE sono sempre tendenzialmente lunghe.

MORFOLOGIA

PAROLE E MORFEMI

Ci spostiamo ora al livello superiore, prendendo in considerazione il piano del significante in quanto
portatore di significato (PRIMA ARTICOLAZIONE).

Studieremo le unità minime di prima articolazione e il modo in cui queste si combinano per dare luogo ai
segni che fungono da entità autonome della lingua, le PAROLE.

Il livello di analisi in causa si chiama MORFOLOGIA; l'ambito d'azione della morfologia è la forma, o meglio
la struttura della parola.

Definiremo PAROLA, la minima combinazione di elementi minori dotati di significato, i morfemi (costituita
da almeno UN morfema).

Se proviamo a scomporre parole in pezzi più piccoli di prima articolazione, cioè tali che vi sia ancora
associato un significato proprio isolabile, troviamo allora dei MORFEMI.

Esempio: la parola DENTALE è analizzabile in tre morfemi: DENT-, significato "organo della masticazione", -
AL, "relativo a", -E, "singolare"

Un procedimento pratico per scomporre le parole in morfemi è la PROVA DI COMMUTAZIONE:

Data la parola DENTALE, la si confronta via via con parole simili, dalla forma molto vicina, che contengano
presumibilmente uno per uno i morfemi che vogliamo individuare. Conviene cominciare dunque con la
forma più vicina che ci sia, DENTALI: il confronto ci permette di indentificare, per sottrazione della parte

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uguale, il morfema -E col valore di "singolare"; confrontando poi dentale con , per esempio, STRADALE,
abbiamo che -AL e DENT- sono presumibilmente due altri morfemi.

MORFEMA è dunque l'unità minima di prima articolazione, il più piccolo pezzo di significante di una lingua
portatore di un significato proprio, di un valore e una funzione precisi ed individuabili, e riusabile come tale.
Possiamo anche dire che il morfema è la minima associazione di un significante ed un significato.

TIPI DI MORFEMI

Esistono due punti di vista principali per individuare differenti tipi di morfemi:

1. CLASSIFICAZIONE FUNZIONALE, in base alla funzionale svolta, al tipo di valore che i morfemi recano
nel contribuire al significato delle parole;

2. CLASSIFICAZIONE POSIZIONALE, basata sulla posizione che i morfemi assumono all'interno della
parola;

TIPI FUNZIONALI DI MORFEMI

Nella classificazione funzionale, dunque, la prima distinzione da fare è tra:

 MORFEMI LESSICALI

 MORFEMI GRAMMATICALI , che a loro volta si suddividono in

1. DERIVAZIONALI ; serve a formare parole derivandole da altre parole già esistenti, attaccandosi cioè
ad un morfema lessicale o base di cui modifica il significato.

2. FLESSIONALI. Serve ad attualizzare una delle varie forme in cui una parola può comparire, recando
il significato previsto obbligatoriamente dal sistema grammaticale di una lingua.

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I morfemi lessicali stanno nel lessico, nel vocabolario, di una lingua e costituiscono una CLASSE APERTA,
continuamente arricchibile di nuovi elementi in maniera non predicibile.

Mentre i morfemi grammaticali stanno nella grammatica e costituiscono una CLASSE CHIUSA, non
suscettibile di accogliere nuove entità.

Non sempre tuttavia la distinzione tra morfemi lessicali e morfemi grammaticali è del tutto chiara e
applicabile senza problemi: in italiano questo è il caso di molte PAROLE FUNZIONALI, come gli articoli, i
pronomi personali, le preposizioni, le congiunzioni, che formano classi grammaticali chiuse ma che
difficilmente si possono definire morfemi grammaticali.

Una distinzione che si fa di solito e che può essere utile in questo contesto è quella tra MORFEMI LIBERI
(LESSICALI) e MORFEMI LEGATI (grammaticali): i secondi non possono mai comparire in isolamento, ma
solo, appunto, in combinazione, legati, con altri morfemi.

La DERIVAZIONE, che da luogo a parole regolandone i processi di formazione, e la FLESSIONE, che da luogo
a forme di una parola regolandone il modo in cui si attualizzano nelle frasi, costituiscono i due grandi ambiti
della morfologia. Si tenga presente che, a partire da determinate radici o basi lessicali, la derivazione agisce
prima della flessione: prima costruiamo parole, a cui poi applichiamo le dovute flessioni. Questa priorità
della derivazione, ha come conseguenza che di solito i morfemi flessionali stanno più lontano dalla radice
lessicale rispetto ai morfemi derivazionali.

Inoltre mentre la derivazione non è obbligatoria, la flessione è obbligatoria. Cioè si applica invariabilmente
a qualunque base lessicale ad essa soggetta.

TIPI POSIZIONALI DI MORFEMI

Dal punto di vista della posizione, i morfemi grammaticali i suddividono in classi diverse a seconda della
collocazione che assumono rispetto al morfema lessicale o radice, che costituisce la "testa" della parola e fa
perno nella sua costruzione.

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Quando siano considerati dal punto di vista posizionale, i morfemi grammaticali possono essere
globalmente chiamati AFFISSI : un affisso è ogni morfema che si combini con una radice.

Esistono diversi tipi di affissi.

 PREFISSI ; sono gli affissi che nella struttura della parola stanno prima della radice.

 SUFFISSI ; Sono quelli che stanno dopo la radice

I SUFFISSI CON VALORE FLESSIONALE si chiamano DESINENZE.

I PREFISSI in italiano sono solitamente derivazionali.

 INFISSI ; sono quegli affissi che sono inseriti dentro la radice

 CIRCONFISSI ; sono formati da due parti, una che sta prima della radice e l'altra dopo.

 TRANSFISSI ; Si incastrano alternativamente dentro la radice, dando quindi luogo a discontinuità sia
dell'affisso che della radice. ( k t b)

LEZIONE VI

MORFEMA, MORFO E ALLOMORFO

Analoga, ma non del tutto equivalente, dato che qui interviene anche il significato, alla distinzione che in
fonologia si fa tra FONEMA, FONO e ALLOFONO, c'è in morfologia la distinzione fra MORFEMA, MORFO e
ALLOMORFO.

Il MORFO è un morfema inteso come forma, dal punto di vista del significante, prima e indipendentemente
dalla sua analisi funzionale e strutturale. "Il morfema del singolare è realizzato dal morfo -e"

L'ALLOMORFO è la variante formale di un morfema, che realizza lo stesso significato di un altro morfo
equifunzionale con cui è in distribuzione complementare; o, in parole più semplici, è ciascuna delle forme
diverse in cui si può presentare uno stesso morfema, che sia suscettibile di comparire sotto forme
parzialmente diverse. Il criterio in base a cui possiamo dire che si tratti dello stesso morfema è che
l'elemento individuato abbia sempre lo stesso significato e si trovi nella medesima posizione nella struttura
della parola.

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Il verbo VENIRE appare in italiano nelle cinque forme VEN- VENN- VENG- VER- VIEN-: ciascuna di esse è un
allomorfo dello stesso morfema, che possiamo designare con la forma più frequente e normale (per i verbi,
di solito, la forma dell'infinito), e cioè VEN-. Diremo allora che il morfema VEN- ha quattro allomorfi diversi.

Le cause dei fenomeni di allomorfia sono solitamente da cercare nella diacronia, vale a dire da riportare a
trasformazioni avvenute nella forma delle parole e dei morfemi, spesso per ragioni fonetiche, lungo l'asse
del tempo: gran parte dei fenomeni di allomorfia è dovuta ai mutamenti fonetici e alle diverse trafile con le
quali le parole si sono trasmesse dall'origine latina all'italiano.

Una certa vicinanza fonetica tra diversi morfi che realizzano lo stesso morfema è normalmente dovuto alla
stessa origine, si parla più tecnicamente di FENOMENI FONOSINTATTICI ( in-lecito è diventato il-lecito)

Si danno anche, sia pure raramente, casi in cui un morfema lessicale in certe parole derivate viene
sostituito da un morfema dalla forma totalmente diversa ma ovviamente con lo stesso significato (nome
acqua, aggettivo idrico, l'una proveniente dal latino e l'altra dal greco). A tale fenomeno si da il nome di
SUPPLETIVISMO.

LEZIONE VII

ALTRI TIPI DI MORFEMI

Esistono anche morfemi i cui morfi non sono isolabili segmentalmente. Di questo genere sono i morfemi
detti SOSTITUTIVI, perché si manifestano con la sostituzione di un fono ad un altro fono. Tali morfemi
costituiscono in mutamenti fonici della radice e quindi sono da essa inseparabili. (es. Foot/Feet)

Si parla in certi casi anche di MORFEMA ZERO, laddove una distinzione obbligatoriamente marcata nella
grammatica di una certa lingua viene eccezionalmente a non essere rappresentata in alcun modo nel
significante: un esempio classico è quello dei plurali invariabili in lingue che abbiano normalmente la
marcatura del numero. (es sheep SG/ sheep P). Il caso in italiano Città SG/ Città P è un caso un po' diverso,
poiché in italiano il plurale non è aggiuntivo. Qui si può parlare di MORFEMA ZERO per la categoria generale
del numero.

Spesso morfemi grammaticali recano contemporaneamente più di un significato o valore: così, per
esempio, nella forma di parola italiana BUONE (E) vale insieme "femminile" e "plurale". Si parla in tal caso
di MORFEMI CUMULATIVI.

Un caso particolare, e un po' più complesso, di morfema cumulativo può essere ritenuto il cosiddetto
AMALGAMA, dato dalla fusione di due morfemi in maniera tale che nel morfema risultante non è più
possibile distinguere i due morfemi all'origine della fusione. Un esempio di amalgama in italiano può essere
" i ", articolo determinativo plurale in cui si trovano fusi il morfo dell'articolo determinativo l- e quello del
plurale -i.

DERIVAZIONE E FORMAZIONE DELLE PAROLE

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I morfemi derivazionali svolgono una funziona assai importante, quella di permettere, attraverso processi
soprattutto di prefissazione e suffissazione, la formazione di un numero teoricamente infinito di parole a
partire da una certa base lessicale. In ogni lingua esiste una lista finita di moduli di derivazione che danno
luogo a FAMIGLIE di parole. Una famiglia di parole (o FAMIGLIA LESSICALE) è formata da tutte le parole
derivate da una stessa radice lessicale.

LA VOCALE TEMATICA

Esaminiamo ora più attentamente il morfema ABIL. Nella grande maggioranza delle forme verbali e
deverbali (cioè parole derivate da verbi) si pone in italiano il problema della cosiddetta VOCALE TEMATICA,
la vocale iniziale della desinenza dell'infinito dei verbi: mangiAre, vedEre, partIre. Poiché si può ritenere che
la vocale tematica abbia un suo significato, in quanto indica l'appartenenza della forma ad una determinata
classe di forme della lingua, potremmo a rigore scomporre ulteriormente ABIL in A e BIL.

Possiamo dunque considerare ABIL un allomorfo, oppure analizzarlo ulteriormente come formato da due
morfemi. Entrambe le soluzioni hanno ragioni a favore, sono ambedue accettabili.

PREFISSOIDI E SUFFISSOIDI

Qual è la natura dei morfemi che costituiscono la parola SOCIOLOGIA? A prima vista sembra ci siano due
morfemi lessicali, SOCI- e LOG-IA.

Qual è in questo caso la base? Occorre notare che "sociologia" significa "studio della società". SOCIO è
quindi il morfema in gioco, rappresenta quindi una radice lessicale che funziona come un prefisso,
attaccandosi davanti a un'altra radice lessicale per modificarne il significato. Possiamo chiamare morfemi di
questa natura, che sono allo stesso tempo morfemi lessicali e derivazionali, radici e prefissi, PREFISSOIDI.

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Esistono anche SUFFISSOIDI, cioè morfemi con significato lessicale, come le radici, ma che si comportano
come suffissi nella formazione delle parole: -LOGIA può essere quindi considerato un suffissoide.

Un caso interessante di prefissoide è AUTO. Si sono formate parole in cui tale prefissoide vale, ovviamente,
"da sé stesso": autonomia, autocritica, ecc., e fra le altre, automobile. Per la grande frequenza d'uso di
quest'ultima parola, se ne è fatta l'abbreviazione AUTO (macchina).

In questo caso AUTO entra a costituire parole con uno statuto diverso rispetto all'auto- prefissoide da cui
deriva attraverso la trafile che abbiamo accennato.

PAROLE COMPOSTE

Analizziamo ora una parole come NAZIONALSOCIALISMO, abbiamo un caso che sembra assai simile a quello
di sociologia, in cui però le due radici lessicali che coesistono nella stessa parola mantengono entrambe il
valore che avrebbero se utilizzate come parole autonome: nazionalsocialismo equivale a tutti gli effetti a
socialismo nazionale, due parole si sono agganciate fra loro a formare un'entità unica in cui i due membri
sono perfettamente riconoscibili e recano il loro significato lessicale normale. Si tratta di PAROLE
COMPOSTE. Come per esempio: portacenere, apriporta, lavavetro, ecc.

UNITA' LESSICALI PLURILESSEMATICHE

Non vanno confuse con le parole composte in senso stretto le unità lessicali plurilessematiche, costituite da
sintagmi fissi che rappresentano un'unica entità di significato, non corrispondente alla semplice somma dei
significati delle parole componenti, comportandosi quindi come se fossero una parola unica. (gatto
selvatico , gatto delle nevi, fare il bucato).

Le unità lessicali plurilessematiche costituiscono infatti una categoria molto ampia e variegata che può
comprendere classi diverse di elementi. Anche i cosiddetti verbi sintagmatici (andare via, mettere sotto,
buttare giù), o addirittura quelli che vengono chiamati "binomi coordinati": sale e pepe, anima e corpo, usa
e getta, ecc.

Una posizione intermedia fra le parole composte e le unità plurilessematiche hanno formazioni bimembri
come: nave scuola, scuola guida, parola chiave, ecc. Unità lessicali cioè in cui il rapporto tra le due parole
costitutive giustapposte non ha raggiunto il grado di fusione tipico delle vere parole composte e i due
elementi vengono rappresentati separatamente nello scritto. Si chiamano UNITA' LESSICALI BIMEMBRI.

SIGLE E ACRONIMI

Le sigle (o acronimi) sono formate in genere dalle lettere iniziali delle parole piene, la cui pronuncia
compitata è promossa a parola autonoma: CGIL: cigielle, FS: effeesse, TG: tigì. Quando la sequenza delle

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iniziali che formano la sigla è compatibile con la struttura fonologica della parola in italiano, diventa essa
stessa una parola autonoma: NATO, IVA.

PAROLE MACEDONIA

L'unione con accorciamento dà luogo a quelle che sono state chiamate parole macedonia: cantautore,
ristobar, mapo, smog.

IL PROCESSO DI SUFFISSAZIONE , DI PREFISSAZIONE E DI ALTERAZIONE

In italiano, il più importante e produttivo dei procedimenti di formazione di parole è la SUFFISSAZIONE.

Suffissi derivazionali come: -zion, -ment che formano nomi di azione o processo a partire da base verbali
(spedizione, spegnimento) ; -ier, -ari, -tor che formano nomi di agente o di mestiere a partire da basi
nominali o verbali (barbiere, fornaio, giocatore, ecc.) ; -ità che forma nomi astratti a partire da basi
aggettivali, come in abilità; -abil , -os , -an , -evol , -es , -ic , -ist che formano aggettivi a partire da verbi o da
nomi ; -izz che forma verbi a partire da nomi o aggettivi; -mente che forma avverbi a partire aggettiivi.

E' peraltro in italiano assai produttiva anche la PREFISSAZIONE. La prefissazione non muta in italiano la
classe grammaticale di appartenenza della parola, mentre aggiungendo un suffisso ad un nome, ottengo un
aggettivo, aggiungendo un prefisso ad un nome o ad un aggettivo riottengo un nome o rispettivamente un
aggettivo.

Fra i prefissi più comuni: in- , s- e dis- con valore di negazione, ad- con valore di verso, con- con valore di
insieme, a- con valore di senza, ri- con valore di nuovo, anti- con valore di contro.

Nella grande categoria della derivazione suffissale può essere fatto rientra un altro procedimento moto
produttivo in italiano: l'ALTERAZIONE. Con i suffissi alterativi si creano parole che aggiungono al significato
della base lessicale un valore generalmente valutativo, e associato a particolari contesti pragmatici, che può
essere, secondo la terminologia tradizionale:

1. DIMINUTIVO (es. gattino, finestrella, affarruccio)

2. ACCRESCITIVO (es. donnone, librone)

3. PEGGIORATIVO (es. amorazzo, robaccia)

LA CONVERSIONE (DERIVAZIONE ZERO)

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Nei meccanismi della formazione di parola rientra anche il fenomeno della cosiddetta CONVERSIONE, vale a
dire la presenza di coppie di parole, un verbo e un nome o un aggettivo, aventi la stessa radice lessicale ed
entrambi privi di suffisso, fra i quali quindi in termini meramente derivazionali non è possibile stabilire
quale sia la parola primitiva e quale quella derivata: lavoro/lavorare ; stanco/stancare; fiore/fiorire.

Tuttavia, quando la coppia è costituita da un verbo e da un nome è spesso da assumere che la base sia il
verbo, in quanto il nome designa l'atto indicato dal verbo, di qui la definizione di DERIVAZIONE ZERO.

In sintesi:

LEZIONE VIII

FLESSIONE E CATEGORIE GRAMMATICALI

E' ora il momento di chiederci più precisamente quale genere di significato venga veicolato dai morfemi
flessionali, che danno luogo alle diverse forme in cui una parola può presentarsi nel suo impiego nel
discorso.

Naturalmente i morfemi flessionali intervengono solamente nelle parole che possono assumere tali diverse
forme: operano cioè sulle classi cosiddette "variabili" di parole (in italiano, nomi, verbi, aggettivi, articoli e
in parte pronomi), suscettibili di accogliere la flessione. I morfemi flessionali realizzano valori delle
categorie grammaticali; più precisamente, un determinato morfema realizza un valore di una determinata
categoria grammaticale, è la MARCA di quel valore.

Le categorie grammaticali a loro volta pertinentizzano e danno espressione ad alcuni significati


fondamentali , più comuni e frequenti, di portata generale, che diventano categorici per una determinata
lingua e che devono obbligatoriamente essere espressi.

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In generale, si distinguono le categorie flessionali in due grandi classi: quelle che operano sui NOMI (o, in
generale sui NOMINALI: aggettivi, sostantivi, pronomi, ecc.) e quelle che operano sui VERBI.

LE CATEGORIE DEI NOMINALI

In lingue come l'italiano, la morfologia nominale ha come categorie fondamentali il GENERE e il NUMERO.

GENERE

In italiano la categoria del genere si esprime coi due morfemi del "maschile" e del "femminile", che sono
appunto i due valori che può, e deve, assumere in italiano tale categoria. In altre lingue il genere può essere
marcato per più valori.

NUMERO

La categoria del numero è marcata in italiano con i due morfemi del singolare e del plurale. Anche qui, altre
lingue possono avere più valori, come il duale, il triale, il paucale.

CASO

E' un'altra categoria flessionale molto rilevante per i nominali, il CASO, svolge l'importante funzione di
mettere in relazione la forma della parola con la funzione sintattica che essa, o meglio il sintagma di cui essa
fa parte, ricopre nella frase.

In italiano esistono resti fossili di flessione causale nel sistema dei pronomi personali, dove per esempio tu
e te sono appunto distinti per essere l'uno soggetto, al caso "nominativo", e l'altro oggetto, al caso
"accusativo", anche il pronome relativo "cui" è forma marcata per caso.

I GRADI DELL'AGGETTIVO

In molte lingue gli aggettivi possono poi essere marcati per GRADO: comparativo, superlativo. L'italiano
affida però alla flessione soltanto l'espressione del superlativo, ammesso che accettiamo che "bellissimo"
sia una delle forme della parola "bello". Mentre i comparativi di maggioranza, di minoranza e di uguaglianza
sono realizzati con mezzi flessionali

LE CATEGORIE DEL VERBO

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La morfologia verbale ha cinque categorie flessionali principali:

1. MODO, esprime la modalità, cioè la maniera nella quale il parlante si pone nei confronti del
contenuto d quanto vien detto e della realtà della scena o evento rappresentati nella frase: per es.
indicativo, mangio (modo che indica certezza rispetto a quanto affermato), vs. condizionale,
mangerei (modo che indica incertezza, supposizione, ecc.).

2. TEMPO, colloca appunto nel tempo assoluto e relativo (fornendovi una precisa localizzazione e
attualizzazione "storica" in un preciso contesto temporale) quanto viene detto: per es., presente,
vedo, vs. futuro, vedrò, vs. passato, ho visto/vidi.

3. ASPETTO, riguarda la maniera in cui vengono osservati e presentanti in relazione al loro


svolgimento l'azione o l'evento o il processo espressi dal verbo: per es., "perfettivo" vs.
"imperfettivo", che oppongono l'azione vista come compiuta ,all'azione vista come in svolgimento;
in ital. Tale opposizione è per esempio resa dal passato prossimo, ho visto, vs. imperfetto, vedevo.

4. DIATESI, o "voce", esprime il rapporto in cui viene rappresentata l'azione o l'evento rispetto ai
partecipanti e in particolare rispetto al soggetto (attivo vs. passivo: lavo, sono lavato) .

5. PERSONA, indica chi compie l'azione o più in generale riferisce e collega la forma verbale al suo
soggetto. La marcatura di persona implica di solito anche una marcatura di numero. (lui) gioca, 3°
PERS SG; giochiamo, 1° PERS PL.

Certe Lingue marcano inoltre sul verbo, almeno in alcune persone, anche il genere. (Come del resto fa
l'italiano, limitatamente ai partici passati: sono partito, sono partita).

LE PARTI DEL DISCORSO O CATEGORIE LESSICALI

Categorie grammaticali che classificano le parole raggruppandole in classi a seconda della natura del loro
significato, sono dette PARTI DEL DISCORSO.

Nella grammatica tradizionale le parti del discorso sono nove: nome o sostantivo, aggettivo, verbo,
preposizione, articolo, congiunzione, pronome e interiezione, a cui, volendo, si potrebbe aggiungere gli
ideofoni, come zigzag.

Di molte parole non è ben definibile l'appartenenza a una classe determinata, dato che si pongono a cavallo
fra più classi.

Mentre le categorie grammaticali viste sinora sono definibili sull'ASSE PARADIGMATICO, altre importante
categorie grammaticali si individuano invece sull'ASSE SINTAGMATICO che operano a livello di sintagma e
quindi rientrano nel dominio della SINTASSI. Si tratta delle nozioni tradizionalmente definite dall'analisi

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logica, come soggetto, predicato, complemento oggetto, di termine, di specificazione, di luogo, di modo, di
mezzo, ecc. A tali funzioni corrispondono i casi.

FLESSIONE INERENTE E FLESSIONE CONTESTUALE

La flessione inerente riguarda la marcatura a cui viene assoggettata una parola in isolamento, a seconda
della classe di appartenenza.

La flessione contestuale è invece quella che dipende, appunto, dal contesto: in relazione al contesto in cui
la parola viene usata.

IL MECCANISMO DELLA MARCATURA DI ACCORDO E LA CONCORDANZA

Più in generale, un meccanismo che opera in molte lingue è quello della MARCATURA DI ACCORDO, che
prevede che tutti gli (o alcuni) elementi suscettibili di flessione all'interno di un certo costrutto prendano le
marche delle categorie flessionali per le quali è marcato l'elemento a cui si riferiscono.

In italiano è obbligatorio l'accordo fra verbo e soggetto (un gattO miagolA) e fra i diversi componenti di un
sintagma nominale (lE bellE melE maturE).

Può anche convenire, nella morfologia contestuale, distinguere fra accordo e CONCORDANZA, riservando
preferenzialmente il primo termine ai fenomeni d'accordo fra gli elementi del sintagma nominale, e il
secondo all'accordo delle forme verbali con elementi nominali, in particolare con il soggetto.

LEZIONE IX

TIPOLOGIA MORFOLOGICA DELLE LINGUE

Un primo modo di individuare tipi linguistici diversi e di classificare quindi tipologicamente le lingue è
basato sulla morfologia, e più precisamente sulla STRUTTURA DELLA PAROLA.

Un primo tipo morfologico è dato dalle lingue ISOLANTI. E' isolante una lingua in cui la struttura della parola
è la più semplice possibile: ogni parola è tendenzialmente costituita da un solo morfema (la radice
lessicale), e dunque il rapporto morfemi:parole (detto "INDICE DI SINTESI") è generalmente 1:1.

L'indice di sintesi, che rappresenta il numero di morfemi per parola, si ottiene dividendo in un dato testo il
numero dei morfemi per il numero delle parole. Più è basso tale indice in un qualunque testo in quella
lingua, e più quindi il numero dei morfemi tende a coincidere con quello delle parole, più la lingua è detta
ANALITICA; al contrario, più è alto l'indice, più la lingua è SINTETICA.

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Le lingue isolanti non presentato tendenzialmente morfologia flessionale, e hanno poca o nulla morfologia
derivazione. I significati e i valori di varia natura codificati nelle lingue di altro tipo dalla morfologia sono
affidati al lessico. Lingue isolanti sono, ad esempio, il vietnamita, il cinese. Si noti anche l'inglese presenta
alcuni caratteri di lingua isolante, grazie soprattutto alla morfologia flessionale assai ridotta che possiede.

Un secondo tipo morfologico è dato dalle lingue agglutinanti. E' AGGLUTINANTE una lingua in cui le parole
hanno una struttura complessa, sono formate dalla giustapposizione di più morfemi. Tali lingue presentano
quindi tendenzialmente un alto indice di sintesi, spesso attorno o superiore a 3:1. I morfemi di solito hanno
un valore univoco e una sola funzione. Sono lingue agglutinanti, per esempio: il turco, l'ungherese, il
finlandese, il giapponese, l swahili.

Un terzo tipo morfologico è dato dalle lingue flessive (o fusive). Sono FLESSIVE le lingue che presentano
parole internamente abbastanza complesse, costituite tendenzialmente da una base lessicale semplice (una
radice) o derivata e da uno o anche più affissi flessionali che spesso sono morfemi cumulativi, veicolando
ciascuno più valori grammaticali assieme e assommando diverse funzioni. Hanno un indice di sintesi minore
, di solito attorno a 2:1 o fra 2 e 3). Vi sono molti fenomeni di allomorfia e fusione. Sono lingue flessive in
genere le lingue indoeuropee.

Vi è infine il quarto tipo morfologico fondamentale, quello POLISINTETICO. Le lingue polisintetiche sono
quelle che hanno la struttura della parola più complessa. Come le lingue agglutinanti, hanno la parola
formata da più morfemi attaccati insieme. Presentano la peculiarità che in una stessa parola compaiono
due o più radici lessicali. Le parole di queste lingue tendono dunque a corrispondere spesso a ciò che nelle
altre lingue sarebbero delle frasi intere. L'indice di sintesi medio nelle lingue polisintetiche è quindi 4:1 o
superiore. Sono lingue polisintetiche molte lingue am erindiane (eschimese), australiane.

SINTASSI

La SINTASSI è un livello di analisi che si occupa della struttura delle frasi: l'oggetto di studio della sintassi è
come si combinano fra loro le parole e come sono organizzate in frasi.

La FRASE è quindi il costrutto che fa da unità di misura per la sintassi. Può essere definita come l'entità
linguistica che normalmente funziona come un'unità comunicativa. Una frase è identificata dal contenere
una predicazione, cioè, all'incirca, un'affermazione riguardo a qualcosa, l'attribuzione di una qualità o un
modo d'essere o d'agire.

Poiché normalmente il valore di predicare qualcosa è affidato ai verbi, in genere ogni verbo autonomo
coincide con una frase; vi possono però essere frasi senza verbo, dette FRASI NOMINALI.

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Con "frase" si designano anche costrutti dall'estensione più ampia e dalla composizione più complessa di
una frase semplice costituita da un'unica predicazione; questa si può allora chiamare più precisamente
PROPOSIZIONE.

SINTAGMI

L'analisi in costituenti individuano tre diversi sottolivelli di analisi sintattica: le frasi, i sintagmi e le parole.

Così come una parola è la minima combinazione di morfemi usabile come unità lessicale autonoma, un
SINTAGMA è definibile come la minima combinazione di parole che funzioni come un'unità della struttura
frasale.

I sintagmi sono costruiti attorno ad una TESTA, sulla cui base vengono classificati e da cui prendono il nome.
Testa è la classe di parole che rappresenta il minimo elemento che da solo possa costituire sintagma.

Un SINTAGMA NOMINALE è quindi un sintagma costruito attorno ad un nome: N è la testa di SN. Si noti
che i pronomi, PRO, possono sostituire in tutto un nome, e quindi possono essere loro la testa di un
sintagma nominale.

Il sintagma nominale minimo è un N (o un Pro), il sintagma nominale massimo può avere una struttura assai
complessa.

Testa di SV è V, testa di Sprep è Prep.

Tutte le categorie lessicali di parole possono essere teste di sintagma. Possiamo quindi anche avere
SINTAGMI AGGETIVALI e SINTAGMI AVVERBIALI.

LEZIONE X

ANALISI IN COSTITUENTI

Il principio generale impiegato per l'analisi delle frasi ad un livello elementare, rappresenta le
concatenazioni, e in parte le dipendenze, fra gli elementi della frase scomponendola in pezzi via via più
piccoli, che sono i "costituenti" della frase.

Il metodo di rappresentazione più diffuso è quello degli ALBERI ETICHETTATI, che meglio permette di
rendere visivamente la struttura della frase sia nel suo sviluppo lineare sia nei rapporti gerarchici che si
instaurano fra i costituenti. Un albero è un grafo costituito da nodi da cui si dipartono rami; ogni nodo
rappresenta un sottolivello di analisi della sintassi, e reca il simbolo della categoria a cui appartiene. Si
chiama INDICATORE SINTAGMATICO della frase.

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(IMMAGINE)

I DETERMINANTI sono tutti gli elementi, parole funzionali, che occorrono davanti ad un nome e svolgono la
funzione di determinare il referente da esso indicato. Gli articoli sono una sottoclasse de determinanti, e
sono i più comuni.

Un requisito fondamentale per la corretta rappresentazione della struttura delle frasi con un indicatore
sintagmatico è che, rispettando la successione lineare dei costituenti, sia dato conto degli effettivi rapporti
sintattici esistenti fra essi.

Il principio generale retrostante alle corrette rappresentazioni sintagmatiche è che, in un albero, ogni
elemento che sta sul ramo di destra di un nodo modifica ( o va messo in relazione diretta con) l'elemento
che sta alla sua sinistra sotto lo stesso nodo.

LEZIONE XI

FUNZIONI SINTATTICHE, STRUTTURAZIONE DELLE FRASI E ORDINE DEI COSTITUENTI

Il modo in cui i diversi costituenti si combinano nel dare luogo alle frasi è governato da principi piuttosto
complessi. Occorre distinguere a questo proposito tre ordini o classi diversi di principi, riconducibili a piani
diversi che intervengono nel determinare il funzionamento della sintassi.

FUNZIONI SINTATTICHE

La prima fondamentale classe di principi è interna alla sintassi stessa: si tratta delle FUNZIONI
SINTATTICHE. Le funzioni sintattiche riguardano il ruolo che i sintagmi assumono nella struttura sintattica
della frase, in cui, essenzialmente, i sintagmi nominali possono valere da soggetto o (complemento)
oggetto, i sintagmi preposizionali possono valere da oggetto indiretto o da complemento , i sintagmi verbali
possono valere da predicato.

SOGGETTO, PREDICATO VERBALE E OGGETTO sono comunque le tre funzioni sintattiche fondamentali. A
queste si aggiungono numerosi COMPLEMENTI.

SCHEMI VALENZIALI

Le funzioni sintattiche vengono in realtà assegnate a partire da SCHEMI VALENZIALI, che costituiscono
l'embrione iniziale della strutturazione delle frasi e ne configurano il quadro minimale. Quando noi
dobbiamo enunciare qualcosa sotto forma di frase, è ragionevole pensare che partiamo dalla selezione di
un verbo scelto nel nostro lessico per rappresentare l'azione o evento o stato di cose o processo che
vogliamo descrivere.

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Questo verbo è associato a delle VALENZE (o ARGOMENTI), che sono implicate, richieste, dal tipo di
significato del verbo: ogni predicato, sulla base della natura del processo che rappresenta e codifica,
configura un quadro di elementi chiamati in causa. Tali elementi sono appunto le valenze.

Ogni verbo ha quindi un certo SCHEMA VALENZIALE (o una certa STRUTTURA ARGOMENTALE).

I verbi sono nella loro grande maggioranza MONOVALENTI, BIVALENTI o TRIVALENTI.

(Camminare o piangere sono verbi monovalenti, implicano solamente qualcuno che cammini o pianga /
lodare, interrogare sono verbi bivalenti, implicano qualcuno che lodi o pianga e qualcuno che venga lodato
o interrogato / dare, spedire sono verbi trivalenti, implicano qualcuno che dia o spedisca, qualcosa che sia
dato o spedito, e qualcuno o qualcosa a cui si dia o si spedisca)

Esistono anche VERBI ZEROVALENTI: si tratta dei verbi meteorologici, come piovere e nevicare. E VERBI
TETRAVALENTI, con quattro valenze, come per esempio spostare o tradurre.

Le valenze costituiscono con il verbo gli elementi nucleari essenziali delle frasi, anche quando non vengano
tutte realizzate con materiale nella struttura sintagmatica.

Sulla base degli schemi valenziali, allora, il SOGGETTO si potrebbe definire come la prima valenza di ogni
verbo; si ricordi che tutti i verbi, tranne i verbi meteorologici, hanno almeno una valenza, appunto la prima.

La seconda valenza coincide con la funzione sintattica di (complemento) oggetto, nel caso normale dei verbi
cosiddetti transitivi (sono transitivi i verbi che ammettono la costruzione passiva).

In una frase si possono trovare anche costituenti che realizzano altri elementi, che non fanno parte dello
schema valenziale. Questi sono detti CIRCOSTANZIALI. I circostanziali non essendo direttamente implicati
dal significato del verbo, non rientrano nelle configurazioni di valenza dei predicati verbali e quindi non
fanno parte delle funzioni sintattiche fondamentali; ma svolgono comunque una funzione semantica
importante, aggiungono informazioni.

( In Luisa cuoce con pazienza la torta nel forno per tre ore, alla frase nucleare , con schema bivalente , Luisa
cuoce la torta, sono aggiunti tre circostanziali: con pazienza, nel forno e per tre ore.)

LEZIONE XII

RUOLI SEMANTICI

Un altro ordine di principi che intervengono nella costruzione ed interpretazione di una frase è dato da
principi semantici. Per individuare tali funzioni, chiamate RUOLI SEMANTICI occorre guarda la frase come
rappresentazione di una scena o un evento, in cui i diversi elementi presenti hanno una certa relazione gli
uni con gli altri in termini di che cosa succede nella scena.

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La frase si configura globalmente come una sorta di scena (che rappresenta un evento) nella quale attori o
personaggi o entità presenti intrepretano delle parti. Le parti volte sono appunto i ruoli semantici.

C'è accordo sulle categorie che vengono usate per designare i ruoli semantici principali.

 AGENTE, è il ruolo semantico dell'entità animata che, nell'evento o scena rappresentato dalla
frase, si fa intenzionalmente parte attiva che provoca ciò che accade. (GIANNI mangia una mela).

 PAZIENTE, è il ruolo semantico dell'entità che, nell'evento o scena rappresentato dalla frase, è
coinvolta senza intervento attivo, in quanto subisce o è interessata passivamente da ciò che accade.
( Gianni mangia una MELA).

 SPERIMENTATORE, o esperiente, è il ruolo semantico dell'entità toccata da, o che prova, un certo
stato o processo psicologici. ( A LUISA piacciono i gelati).

 BENEFICIARIO, è il ruolo semantico dell'entità che trae beneficio dall'azione, a vantaggio della quale
va a ricadere quanto succede nell'avvenimento. (Gianni regala un libro A LUISA).

 STRUMENTO, è il ruolo semantico dell'entità inanimata mediante la quale avviene ciò che accade, o
che interviene nell'attuarsi dell'evento, o che è fautore non intenzionale dell'azione.

 DESTINAZIONE, è il ruolo semantico dell'entità verso la quale si dirige l'attività espressa dal
predicato, o che costituisce l'obiettivo o la meta di uno spostamento.

Altre categorie chiamante in causa sono:

 LOCALITA', il ruolo semantico dell'entità in cui sono situati spazialmente l'azione, lo stato il
processo. (Gianni abita IN CAMPAGNA).

 PROVENIENZA, è il ruolo semantico dell'entità dalla quale un'entità si muove in relazione all'attività
espressa dal predicato (Luisa preleva soldi DAL CONTO).

 DIMENSIONE, il ruolo semantico dell'entità che indica una determinata estensione nel tempo, nello
spazio, nella massa. (Luisa pesa CENTO CHILI).

 COMITATIVO, il ruolo semantico dell'entità che partecipa all'attività svolta dall'agente (Luisa ha
discusso la tesi CON IL PROFESSORE).

Anche per i predicati, cioè i verbi, possono essere distinti diversi ruoli semantici, come PROCESSO
(trasformare, invecchiare), AZIONE (correre, picchiare), STATO (esistere), eccetera.

LEZIONE XIII

STRUTTURA PRAGMATICO-INFORMATIVA

Utilizzando le nozioni sinora viste: Una frase collega la rappresentazione di un evento o stato di cose del
mondo esterno, la realtà effettiva o immaginata com'è filtrata dall'intelletto umano a una catena fonica,

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costituita dai suoni del linguaggio che danno forma per cosi dire alla materia grezza del segnale. A seconda
dell'evento che vogliamo rappresentare verbalmente mediante una predicazione, scegliamo nel patrimonio
lessicale che fa parte della conoscenza che abbiamo della nostra lingua un certo predicato, un verbo, che
reca con sé uno schema valenziale.

A questo schema valenziale, il verbo con la sua costellazione di argomenti (con l'aggiunta di eventuali
circostanziali), viene fornita una interpretazione semantica attraverso l'assegnazione di ruoli semantici a
diversi elemento che esso contiene.

I ruoli semantici vengono tradotti, "proiettati", in funzioni sintattiche. Tutto questo viene realizzato in una
struttura in costituenti.

Quest'ultima è la frase così come viene pronunciata (o scritta).

Nel governare la strutturazione del prodotto finale della sintassi, le frasi, vi è però, oltre all'intervento delle
valenze, dei ruoli semantici e delle funzioni sintattiche, ancora un altro piano, quello dell'ORGANIZZAZIONE
PRAGMATICO INFORMATIVA.

Si distinguono solitamente CINQUE TIPI DI FRASI:

1. FRASI DICHIARATIVE, che fanno un affermazione generica che può avere più valori specifici (Luisa
va a Milano)

2. FRASI INTERROGATIVE, che pongono una domanda, marcate anche nell'intonazione.

3. FRASI ESCLAMATIVE, che esprimono un'esclamazione (intonazione).

4. FRASI IUSSIVE O IMPERATIVE, che esprimono un ordine, un'istruzione

Da qui, un'importante distinzione tra la parte della frase che identifica e isola il qualcosa sul quale verte
l'affermazione e la parte della frase che rappresenta l'affermazione fatta, l'informazione propriamente
fornita: cioè, fra TEMA e REMA.

Il "tema" è ciò su cui si fa un'affermazione, l'entità attorno a cui si predica qualcosa; più tecnicamente, il
tema indica e isola il dominio per cui vale la predicazione.

Il "rema" è invece la predicazione che viene fatta, l'informazione che viene fornita a proposito del tema.

Es. Luisa va a Milano ; Luisa è il tema va a Milano è il rema

Poiché rappresenta in un certo senso il punto di partenza dell'affermazione compiuta nella frase, il tema
normalmente sta in prima posizione. Ogni frase in line di principio ha una parte rematica, mentre possono
esistere anche FRASI ATEMATICHE, senza tema. ( es. prendi la valigia!).

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LA DISLOCAZIONE A SINISTRA

Le lingue possiedono però dispositivi per separare le tre funzioni e mutare o invertire l'ordine non marcato
dei costituenti; in italiano, per esempio, possono svolgere tale compito le costruzioni note come
DISLOCAZIONI A SINISTRA, che spostano davanti alla frase, cioè alla sua sinistra, uno degli elementi che la
costituiscono. Con la dislocazione a sinistra si può quindi mandare nella posizione di tema l'oggetto (che di
solito è rematico) o un altro complemento rematico, e mandare a rema il soggetto (di solito tematico).

La dislocazione a sinistra dunque anticipa all'inizio della rase un costituente (es. topo), riprendendolo con
un pronome clitico sul verbo che ne rappresenta la funzione sintattica (LO insegue).

Si noti che un effetto analogo, di far diventare tematico l'oggetto, è proprio anche della costruzione passiva
(es. il topo è inseguito da un gatto), la quale però muta anche, rispetto alla frase non marcata, la
correlazione fra ruoli semantici e funzioni sintattiche

Es. in Il topo lo insegue un gatto, "un gatto" che è agente, è sempre soggetto, mentre in Il topo è inseguito
da un gatto, il soggetto diventa "il topo" che è paziente.

LA DISLOCAZIONE A DESTRA E LA FRASE SCISSA

Due altri tipi di frase marcate per spostamento di costituenti sono la DISLOCAZIONE A DESTRA, che consiste
nell'isolare "sulla destra" ( in fondo alla frase ) un costituente, riprendendolo anche qui con un clitico sul
verbo ( es. Lo vuole un caffè?), e attuando quindi un inversione dell'ordine naturale "tema più rema" ( in
quanto l'elemento isolato a destra ha valore tematico );

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E la FRASE SCISSA, che consiste nello spezzare una frase in due parti, portando all'inizio della frase,
introdotto dal verbo "essere", un costituente, e facendolo seguire da una frase (pseudo)relativa (è il gatto
che insegue il topo). Se l'elemento mandato a focus è il soggetto, possiamo avere in alternativa nel secondo
membro di una frase scissa una frase infinitiva introdotta da "a": Es. E' Giovanni ad aver rubato la
marmellata, equivale a E' Giovanni che ha rubato la marmellata.

IL FOCUS

Un'altra funzione rilevante in termini di struttura informativa della frase è quella di FOCUS: per focus si
intende il punto di maggior salienza comunicativa della frase, l'elemento su cui si concentra maggiormente
l'interesse del parlante e che fornisce la massima quantità di informazione nuova.

Il focus è altresì l'elemento della frase che può essere contrastato. ( Carla al mattino prende il caffè, non la
cioccolata).

LE QUATTRO PROSPETTIVE DELL'ANALISI SINTATTICA

In conclusione, possiamo allora analizzare sintatticamente una frase secondo quattro diverse prospettive,
quattro punti di vista che interagiscono fra loro e ci permettono di comprendere appieno, in tutti i suoi
aspetti, la struttura della frase:

A. La prospettiva configurazionale, relativa alla struttura in costituenti;

B. La prospettiva sintattica propriamente detta, relativa alle funzioni sintattiche;

C. La prospettiva semantica, relativa ai ruoli semantici;

D. La prospettiva pragmatico-informativa, relativa all'articolazione in tema/rema.

Esemplificando nella frase elementare "Giovanni corre", avremo:

A. SN + SV

B. SOGG + PRED VERB

C. AGENTE + AZIONE

D. TEMA + REMA

TIPOLOGIA SINTATTICA DELLE LINGUE

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Un secondo fondamentale criterio o principio per classificare le lingue in tipi linguistici è basato sulla
sintassi. E rappresenta oggi il cardine della tipologia linguistica. I costituenti sintattici fondamentali presi in
considerazione come fondamento della classificazione tipologica sono quello che realizzano il SOGGETTO
(S), il VERBO o predicato verbale (V) e il COMPLEMENTO OGGETTO o complemento diretto (O).

Sono possibili sei ordini diversi:

1. SOV , è l'ordine più frequente


2. SVO, è poco meno attestato ed è comunque il secondo per frequenza
3. VSO, è il terzo ordine per frequenza (11 - 15%)
4. VOS, è il quarto ( 5 - 10 %)
5. OVS, con frequenza molto bassa ( 1 - 5%)
6. OSV, appare rarissimo

L'italiano , come tutte le altre lingue romanze, l'inglese e altre lingue germaniche è LINGUA SVO.

Es. La ragazza legge il libro ( S + V + O)

LEZIONE XIV

LE LINGUE DEL MONDO

La maniera principale per mettere ordine in questo coacervo di sistemi linguistici consiste nel raggrupparli
in FAMIGLIE, secondo criteri di PARENTELA GENEALOGICA, che si basano sulla possibilità di riportare le
lingue ad un antenato comune.

Il riconoscimento di parentela linguistica è in genere evidente comparando il cosiddetto lessico


fondamentale: un insieme di circa 200 termini designanti nozioni comuni (es. numeri, fenomeni
metereologici, … ). L'assunzione di base è che se per questi termini troviamo lo stesso o simile significante
vorrà dire che questo rimanda a una forma originaria condivisa, e che quindi le lingue che le presentano
hanno un antenato comune.

Per muoverci un pochino fra le lingue del mondo, partiamo dall'italiano. Esso ha stretti rapporti di parentela
con tutte le lingue provenienti dalla comune base del latino e costituisce assieme a queste il RAMO delle
LINGUE ROMANZE (o NEOLATINE), che comprende: italiano, francese, spagnolo (castigliano), portoghese,
romeno e altre lingue minori come gallego, catalano, provenzale o occitano, retoromanzo, ecc., nonché
svariate varietà dialettali (come i dialetti italiani) per le quali il riconoscimento di lingue a sé stanti è
oscillante.

Il ramo romanzo, assieme ad altri rami con cui le lingue romanze hanno una parentela, più remota, ma
sempre dimostrabile, come le LINGUE GERMANICHE (tedesco, inglese, neerlandese, svedese, norvegese,
danese, ecc.) , le LINGUE SLAVE (russo, polacco, serbo-croato, sloveno, ucraino, ceco, bulgaro, macedone,
ecc.), le LINGUE BALTICHE (lituano, lettone), le LINGUE CELTICHE ( bretone, gaelico, gallese), le LINGUE
INDO-ARIE (hindi, bengali, ecc.), le LINGUE IRANICHE (persiane, curdo, ecc.) e tre LINGUE ISOLATE (il
(neo)greco, l'albanese e l'armeno), forma la grande famiglia delle LINGUE INDOEUROPEE.

Il livello della FAMIGLIA rappresenta il più alto livello di parentela ricostruibile con i mezzi della linguistica
storico-comparativa.
All'interno di una famiglia di lingue, a seconda dei gradi più o meno stretti di parentela, si possono
riconoscere dei RAMI, che a loro volta si possono dividere in GRUPPI (e poi in SOTTOGRUPPI).

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L'italiano si può classificare come una lingue del sottogruppo ITALO-ROMANZO del gruppo OCCIDENTALE,
del ramo NEOLATINO, della famiglia INDOEUROPEA.

La linguistica comparativa riconosce oggi fino ad un massimo di diciotto famiglie linguistiche, più alcune
(quattro o cinque) lingue singole isolate.

Delle migliaia di lingue esistenti, soltanto alcune decine possono essere considerate GRANDI LINGUE, con
un numero sostanzioso di parlanti e appoggiate ad una tradizione culturale di ampio prestigio.

Per parlanti nativi di una lingua si intendono i parlanti di una lingua che hanno imparato quella lingua nella
socializzazione primaria e quindi la possiedono come lingua materna. Molte lingue si stanno peraltro
estinguendo.

Il dato puramente demografico è solo uno dei criteri coi quali giudicare dell'importanza delle lingue: sono
altrettanto rilevanti anche criteri come: il numero di paesi e nazioni in cui una lingua è lingua ufficiale o è
comunque parlata; l'impiego della lingua nei rapporti internazionali, nella scienza, nella tecnica, nel
commercio, ecc.; l'importanza politica e il peso economico dei paesi dove la lingua è parlata; la tradizione
letteraria e culturale e il relativo prestigio di cui gode la lingua; l'insegnamento della lingua nella scuola
come lingua straniera.

Inoltre dal punto di vista demografico ha molto peso anche il numero dei parlanti non nativi, che parlano
una certa lingua come lingua seconda o straniera: questo dato aumenterebbe assai il rango demografico
dell'inglese, portandolo verosimilmente ai livelli del cinese mandarino.

LINGUISTICA B

LEZIONE I

E' possibile analizzare una lingua in base a come si presenta dal punto di vista sociale. Analizziamo il caso
dell'Italiano secondo:

1. Uso concreto sociale (ossia in base ai modi di manifestazione)

2. La posizione che la lingua occupa nella società (rispetto i dialetti e le altre lingue)

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LE DIMENSIONI DELLA VARIAZIONE SOCIOLINGUISTICA

Analizzare i MODI DI MANIFESAZIONE DI UNA LINGUA significa vedere agli usi concreti e sociali di una
lingua e di come varia in base al contesto.

La lingua varia in base a tre dimensioni, che chiameremo DIMENSIONI DI VARIAZIONE SINCRONICA:

1. Attraverso la stratificazione sociale; in base alla collocazione e alla identità sociale, in base al
gruppo etnico, età, genere o classe sociale del parlante.

2. Attraverso lo spazio geografico; alcuni aspetti di variazione di una lingua sono collegati alla
provenienza geografica.

3. Attraverso le situazioni comunicative; si manifesta diversamente in base al carattere formale o


informale della situazione. Varia in base al settore di attività (es. se si parla di Linguistica si usano
dei termini specifici)

Queste tre considerazioni, hanno tre etichette:

1. VARIAZIONE DIASTRATICA (DIASTRATIA): Attraverso gli strati sociali

2. VARIAZIONE DIATOPICA (DIATOPIA): Attraverso il luogo

3. VARIAZIONE DIAFASICA (DIAFASIA): Attraverso i modi di parlare

VARIAZIONE DIATOPICA O DIATOPIA

La lingua varia in base allo spazio. A seconda della provenienza e distribuzione geografica della popolazione
che parla una certa lingua, si hanno insieme di varianti che sono connesse a questa o a quella localizzazione
areale e che quindi la indicano e manifestano nel comportamento linguistico del parlante.

Diffusa in tutte le lingue, e particolarmente rilevante nell'italiano, è tuttavia la differenziazione tra le diverse
regioni geografiche in cui una lingua è parlata. La differenziazione geografica è di solito specialmente
evidente nel lessico e nella fonetica.

Quando guardiamo la diversità geografica dell'italiano, non guardiamo ai dialetti! Ma solamente a come si
presta l'italiano! Infatti i dialetti sono altre lingue, diverse dall'italiano. (Ciascuna rappresenta una diversa
evoluzione del latino e sono tutte, ivi compreso l'italiano, lingue ROMANZE. Sono parlati dal Medioevo.
Ognuno ha preso una sua strada, creando la sua storia).

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Per ragioni di prestigio ed economiche. Il FIORENTINO TRECENTESCO è divenuto la lingua di riferimento,


divenendo l'Italiano che conosciamo oggi. Non a caso la distanza tra il dialetto fiorentino e l'italiano sarà
minore rispetto a quello con altri dialetti. Più in generale i dialetti dell'Italia Centrale hanno meno differente
con l'italiano rispetto a quelli di altre zone.

Ciò che distingue l'italiano dai dialetti è la MORFOLOGIA FLESSIONALE. Si ha un modo diverso di formazione
delle parole che dipende dalla morfologia flessionale, che sfrutta regole e meccanismi diversi (es.
formazione del plurale).

( [ o m ] - piemontese ; [ u o m o ] - italiano ) / ( [m a t r i] - siciliano ; [ m a d r e ] italiano )

Esemplificazione della variazione diatopica:

1) uso con valore riflessivo di pronomi non riflessivi di III e VI persona;

(1.1.) l’hanno portata con loro (“sé”) a cena, la bimba

(1.2.) lei vede solo lei (“sé”) in concorso

2) verbi pronominali;

(2.1.) tanto mi inciampo sempre ma sono le scarpe

(2.2.) io mica mi oso a chiedere a uno se è tutto offerto

(2.3) per vivere c’andrebbe (“ci vorrebbe”) un mondo più vecchio di questo

3) perifrasi verbale non stare (lì) a+infinito;

(3.1.) non stare a (“non darti/non vale la pena di”) spegnere il motore che me ne sto andando

4) perifrasi fare che+indicativo(/infinito);

(4.1.) facciamo che scriviamo stavolta subito in bella

5) perifrasi verbale essere qui/lì che+V, con valore progressivo, continuo e abituale;

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(5.1.) il momento che è arrivata la mail si vede che eran lì che tornavano

(5.2.) quand’era che c’era del lavoro era lì che si faceva fuori un cliente dietro l’altro

(5.3.) il nuoto almeno una volta su tre stai sicuro che è lì che lo salta

6) metaplasmi di classe grammaticale;

(6.1.) restiamo intesi così, differente (“differentemente”) lo chiamo io

(6.2) combinazione (“casualmente, per combinazione”) quando me l’ha chiesto lui non c’avevo moneta

7) neh indicatore di domande orientate e domande coda;

(7.1.) neh che l’han fatto fuori il senatore che ha votato contro?

(7.2.) gliel’ha portato, neh?

8) avverbi e avverbiali;

(8.1.) quello che c’hai sul conto copre solo più (“ormai soltanto”) un paio di mesi

(8.2.) dove si è fatto fare, già, la licenza?

9) verbi sintagmatici.

(9.1.) gli ha dato dentro (“l’ha urtato, investito”) in un secondo

(9.2.) il foglio, gli è montato addosso (“l’ha calpestato”)

(9.3.) dai indietro (“retrocedi”), che prendiamo l’altra strada

Un altro aspetto ove è evidente la DIATOPIA è nell'ambito fonetico/fonologico:

(a) Milano: [uˈmːeze di vaˈkanʦa ˈpasːa iɱ ˈfrɛtːa]

(b) Firenze: [uˈmːeze di vaˈxanʦa ˈpasːa iɱ ˈfretːa]

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L'italiano è poi pieno di GEOSINONIMI, cioè di parole diverse nelle diverse parti d'Italia per designare lo
stesso oggetto o lo stesso concetto, anche parole del lessico di base. (es. marinare la scuola)

Nell'italiano centro-meridionale un altro tratto morfosintattico che merita un cenno è il cosiddetto


"accusativo preposizionale", vale a dire la marcatura del complemento oggetto con la preposizione "a"
quando sia costituito da sintagmi con un referente: "Chiama a Pietro", "Senti a me".

Un aspetto interessante della dinamica degli italiani regionali consiste nel fatto che le differenze tra di essi,
e quindi la marcatezza diatopica relativa, stanno rapidamente attenuandosi presso le giovani generazioni,
specie per quel che riguarda la fonetica.

Grazie ai fenomeni di standardizzazione e omogeneizzazione della pronuncia che hanno segnato la metà del
secolo scorso, e soprattutto come conseguenza delle mescolanze etnico-culturali causate, oggi la
maggioranza dei giovani in ambiente urbano mostra una pronuncia o tendenzialmente standard, o
composita, con la compresenza di tratti da ricondurre a diversi italiani regionali.

LINGUE POLICENTRICHE

La diversificazione geografica è evidente nelle grandi lingue parlate come lingue standard e ufficiali in più
paesi. Il tedesco per esempio ha tre standard, uno di Germania, uno austriaco e uno svizzero. Tali lingue
vengono chiamate LINGUE POLICENTRICHE (O PLURICENTRICHE).

L'inglese trapiantato a partire dal Seicento nelle allora colonie dell'America Settentrionale ha assunto man
mano una propria fisionomia, differenziandosi dal British English nella pronuncia e in tutta una serie di
elementi lessicali: Nell'inglese d'America "elevator" è quello che in BE è "lift" (ascensore). Questi fatti sono
DI NORMA (per il paese che lo usa, non coesistono con l'altra forma) e non variazioni regionali (forme
regionali che coesistono con lo standard).

Una situazione simile si rileva anche nella Svizzera italiana, confrontando l'Italiano d'Italia con quello
svizzero. Alcuni termini usati in Svizzera, chiamati ELVETISMI, non si riscontrano in italiano:

annunciare Segnalare, iscrivere, notificare: obbligo di annunciare la propria attività all’Ufficio IVA

annuncio Segnalazione, iscrizione, notifica: sportello per l’annuncio dei guasti

assessore Membro di giuria popolare; Membro di commissione arbitrale

attinente Originario, con riferimento al luogo da cui proviene la famiglia

attinenza Luogo di origine dei propri avi: indicare l’attinenza e il domicilio

autopostale Autobus delle Poste Federali Svizzere

azione Offerta speciale, campagna promozionale: al supermercato c’è un’azione di surgelati

bonale Amichevole, stragiudiziale: accordo bonale

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buralista Responsabile di Ufficio postale (fr. buraliste ‘ricevitore postale’)

cancelleria Segreteria: cancelleria comunale.

carovita Indennità di carovita, indennità di contingenza

civilista Chi presta servizio civile

consiglio Il parlamento dei Cantoni svizzeri

degagna Comunità che riunisce più patriziati

dimora Permesso di dimora, permesso di soggiorno

dimorante Cittadino straniero al quale è stato concesso il permesso di soggiorno

distretto Suddivisione amministrativa dei Cantoni svizzeri

domicilio Residenza anagrafica

foglio Foglio ufficiale, Gazzetta ufficiale

fuoco Nucleo familiare

germanico proveniente dalla Repubblica di Germania: un turista germanico

iniziativa Iniziativa popolare o (elvet.) iniziativa, raccolta di firme volta a proporre leggi o referendum

ipoteca Mutuo ipotecario: richiedere, concedere un’ipoteca

lavorante Dipendente che esegue lavori manuali, spec. in attività artigianali

monitore Istruttore sportivo: monitore di sci

mutazione Mutamento, modifica, cambiamento: queste sono le mutazioni da apportare

Natel® Servizio di telefonia cellulare. Apparecchio telefonico cellulare, telefonino

nota Voto scolastico

patriziato Ente pubblico proprietario di beni (spec. di terreni) di uso comune

picchetto Turno di reperibilità

rango Posto occupato in una graduatoria

servisol Self-service: ristorante con servisol

stabilimento Lo stabilire, il determinare qlco. di stabile: lo stabilimento della pace

vignetta Contrassegno, bollo: vignetta autostradale

VARIAZIONE DIASTRATICA (DIASTRATIA)

La lingua varia attraverso la stratificazione sociale. I modi di manifestazione e realizzazione della lingua
presso i parlanti risentono della, e sono sensibili alla divisione e gerarchizzazione della società in strati, in
classi sociali, in gruppi, in reti sociali, sulla base di molteplici fattori. Nella situazione italiana il fattore in
gioco principale è il LIVELLO D'ISTRUZIONE, che diversifica parlanti colti da parlanti incolti, o semicolti.

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L’accesso al lavoro deriva dall’equilibrio tra domanda e offerta sul ‘mercato del

lavoro’, una condizione che a sua volta dipende da numerosi fattori d’ordine

economico e sociale e non certo, primariamente, giuridico. Non esiste legge, non

esiste tribunale al quale il lavoratore possa appellarsi per ottenere un ‘posto di

lavoro’. Il lavoro, nell’attuale momento storico, non è un bene che esista in

natura, sul quale possano accamparsi diritti.

(Gustavo Zagrebelsky, Fondata sul lavoro, lectio magistralis alla Repubblica

delle idee, Torino, 2 febbraio 2013)

Questo testo si differenzia per un lessico dotto (vocabolario astratto), struttura sintattica elaborata
(principale + coordinata + …), modo verbale (congiuntivo) e altro.

Cari genitori e famiglia, giorno 14 me mi trovo in questa situazione oggi stessa mi

hanno fatto il processo e mi hanno condannato a morte ormai ho dovuto farmi di questa

convinzione non ci sarebbe stato cavassela ma ormai mi sono messo il cuore verso

questa grassia ma dopo attutto ho fatto la Confessione Comunione. Cari genitori, datevi

coraggio perché che ormai mi era destinata non si scancella io vi chiedo perdono che

rimarrete dispiacenti. Cari genitori ora vi dico addio ci rivedremo in paradiso ora baci a

tutti in famiglia per fortuna mi a sistito mio Capellano. Il vostro figliolo.

Si differenzia da questo, già dall'uso del "me mi trovo" si intende che si tratta di un testo incolto.

VARIAZIONE DIAFASICA (DIAFASIA)

Un terzo assunto generale di base circa le dimensioni della variazione sociolinguistica è il seguente: "La
lingua varia attraverso le situazioni comunicative".

A seconda del tipo di situazione in cui avviene la comunicazione verbale e dei caratteri e fattori che la
contrassegnano assistiamo, presso uno stesso parlante, a realizzazioni linguistiche anche molto diverse, che
riflettono il modo in cui i fattori esterni influiscono sulla caratterizzazione della situazione comunicativa.

In ogni lingua esistono modi per designare cose e costrutti che sono tipici del parlare comune, la "lingua di
tutti i giorni", e altri che, con lo stesso valore referenziale, sono invece tipici di un linguaggio ricercato
oppure di un linguaggio tecnico.

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Si distinguono all'interno della dimensione diafasica due grandi sottocategorie, connesse in maniera
essenziale rispettivamente con 1) il carattere sociale della situazione e con il tipo di rapporto esistente o
che si istituisce fra parlare e interlocutore e con 2) la sfera contenutistica e l'argomento del discorso.

1. VARIAZIONE DI REGISTRO:

1) tirare fuori ; togliere ; estrarre

(es. devi togliere il CD dal lettore) ;

2) ficcare ; mettere ; inserire

(es. metti la spina nella presa) ;

3) muso ; faccia ; volto

(es. gli puliva la faccia con un fazzoletto) ;

4) ciucco ; ubriaco ; ebbro

(es. era già ubriaco quando suo padre entrò nella stanza) ;

5) incazzato ; arrabbiato ; adirato

(es. era arrabbiato con i collaboratori che non lo avevano aiutato) ;

6) pigliare ; prendere ; acquisire

(es. ha preso la cittadinanza e ora non sopporta più i delinquenti) ;

7) scassarsi ; rompersi ; guastarsi

(es. si sono rotte le ramvideo dopo averle usate tre mesi) ;

8) andare avanti ; continuare ; persistere

(es. continua a negarlo da dieci anni) ;

9) fancazzista ; scansafatiche ; indolente

(es. chi lavora non ha mai tempo, gli scansafatiche hanno tutto il tempo del mondo) ;

10) tirare su ; alzare ; sollevare

(es. bisogna prendere il bilanciere e alzarlo sopra la testa) ;

11) dare indietro ; ridare ; restituire

(es. me lo hanno ridato dopo averlo portato tre volte in assistenza) ;

12) palla ; bugia ; menzogna

(es. possiamo dimostrare che certe bugie hanno le gambe corte) ;

13) reggere ; sopportare ; tollerare

(es. non li sopporto proprio quelli che passano con il rosso) ;

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14) mettere su ; organizzare ; allestire (es. l’amministrazione comunale ha organizzato una

mostra di fotografie) ;

15) fegato ; coraggio ; ardire

(es. hai avuto un bel coraggio a ficcare il curriculum nella busta) ;

16) andare avanti ; continuare ; proseguire

(es. continui per un centinaio di metri e poi giri al primo semaforo)

2. VARIAZIONE DI SOTTOCODICE, sottocodici sono in linguistica le varietà connesse con questa


sottocategoria della dimensione diafasica. (fra dolore muscolare e mialgia c'è una differenza di
sottocodice).

(17) aferesi, affisso, allocuzione, allofonia, alveolari, bilabiali, biplanarità, campo semantico,

catafora, catena iponimica, clitici, complementatore, connettivi, coppia minima, deissi,

derivazione, diacronia, diatesi, diatopia, enantiosemia, ergatività, famiglia semantica,

fonema, ecc.

(18) estragga il costituente rematico e lo ponga al margine sinistro dell’enunciato

Variazione di registro e variazione di sottocodice sono separate, ma si possono mischiare e quindi tutti gli
abbinamenti sono possibili.

LEZIONE II

VARIAZIONE DIAMESICA (DIAMESIA)

Introduciamo una nuova (e discussa) dimensione di variazione della lingua, la VARIAZIONE DIAMESICA o
DIAMESIA. Si tratta della differenziazione fra uso parlato e uso scritto della lingua, dipendente per molti
aspetti dalle caratteristiche strutturali e di realizzazione che il mezzo impone alla codificazione del
messaggio linguistico (es. i deitici, come laggiù, lassù hanno senso nel parlato, non nello scritto); a rigore si
situerebbe all'interno della variazione diafasica.

P. Koch e W. Österreicher caratterizzano lo scritto (tipico) come lingua della distanza comunicativa, e il
parlato (tipico) come lingua della vicinanza, o immediatezza, comunicativa.

In questa prospettiva, scritto e parlato si oppongono fra di loro sulla base di parametri come:

a) pubblicità: alta nello scritto, bassa nel parlato;

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b) confidenza o familiarità fra i partecipanti all’interazione: bassa nello scritto, alta nel parlato;

c) partecipazione emotiva: nulla nello scritto, forte nel parlato;

d) legame con la situazione: nullo nello scritto, forte nel parlato;

e) ancoraggio all’io che emette il messaggio: nullo nello scritto, immediato nel parlato;

f) prossimità fisica tra i partecipanti: nulla nello scritto, alta nel parlato;

g) cooperazione nella produzione del messaggio: minima nello scritto, massima nel parlato;

h) dialogicità: nulla nello scritto, alta nel parlato;

i) spontaneità della comunicazione: minima nello scritto, massima nel parlato;

j) fissazione degli argomenti: alta nello scritto, nulla nel parlato.

VARIABILI, VARIANTI E VARIETA'

Possiamo intendere la variazione come modi diversi di dire la stessa cosa. Come ad esempio:

(1) es. maglia

 ['maʎ:a] pronuncia standard

 ['ma:ʎa] parlanti settentrionali colti, specie nello stile di pronuncia accurato

 ['ma:lja] parlanti settentrionali, specie incolti (soprattutto in Piemonte e in Emilia)

 ['maj:a] parlanti anche colti di aree centro-meridionali (fra le quali Roma, la

 Campania, la Puglia, la Sicilia), specie nello stile non accurato

I diversi modi di dire una stessa cosa (come ad esempio il "gli" di maglia) è chiamato VARIABILE
SOCIOLINGUISTICA. Per evidenziarlo si scrive il grafema così -> (gli).

Le VARIANTI sono invece le singole pronunce della variabile "gli".

(2) VARIABILE SOCIOLINGUISTICA (gli)

VARIANTI [ʎ:], [ʎ], [lj], [j:], ecc.

(contesto intervocalico) --- per definire meglio una variabile sociolinguistica bisogna specificare il suo
contesto, in questo caso (gli) lo è in un contesto intervocalico.

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Nelle diverse varianti, almeno una è sempre standard, le altre non lo sono. La variante non standard
comprende almeno due possibilità, una SUB-STANDARD, meno prestigiosa dello standard, una
SUPRASTANDARD, più prestigiosa (o tanto quanto) dello standard.

Vediamo, grazie all'ausilio del grafico, un esempio: l'inglese di New York:

VARIABILE: (TH)

VARIANTI:

 [0] standard

 [t]

 [t0]

CONTESTO: Iniziale o finale di parola (think o with)

Il grafico ci mostra la distribuzione di prestigio di queste varianti. A, B, C, e D (asse orizzontale) stanno a


diverse situazioni comunicative, contesti: A è il meno formale (parlato non accurato), passando per B
(parlato accurato) e C (Lettura di testi) e arrivando al più formale D (una lista di parole).

Nell'asse verticale abbiamo la percentuale di occorrenza del presentarsi delle varianti substandard.

Considerazioni: Nel contesto A, in righe O-1 abbiamo più del 90% di occorrenza del fenomeno.

Le righe indicano parlanti di classi sociali diverse. Ciascuna delle 5 righe indica le percentuali di occorrenza
in base alla classe sociale.

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0-1 : lower class ; 2-4 : Working class ; 5-8 : Lower-Middle class ; 9 : Upper-Middle class

INGLESE DI NORWICH

VARIABILE: (a)

VARIANTI:

 [a:] standard

 [A:]

 [ae:]

CONTESTO: INTERVOCALICA (father)

Non è marcata in diafasia, le percentuali di occorrenza non variano tanto in questo senso. Piuttosto variano
molto per diastratia, da classe sociale a classe sociale.

ALTRO ESEMPIO

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In questo caso è molto più marcata la differenza diafasica, piuttosto che quella diastratica, molto lieve.

Alcuni tratti linguistici tendono ad essere sub-standard in varie lingue, in comune hanno la
SEMPLIFICAZIONE.

 Psicologa ( Pisicologa)

 Film (Fim)

I due nessi consonantici, poco frequenti in italiano, vengono semplificati. Consonante+vocale è molto più
semplice da pronunciare.

Altri esempi di semplificazione sono:

varianti sub-standard:

 semplificazione di nessi consonantici; es.

Inglese: ['wɪnɪ] per windy, [wɛn] per went,

Francese: [kek'ʃoz] per quelque chose, [ot] per autre,

Italiano: [pisi'kɔloga] per psicologa, [fim] per film

 regolarizzazione di paradigmi; es.

Inglese: I knowed, I have knowed con sovraestensione di -ed (invece di I knew, I

have known),

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Francese: il mourira, vous boivez, ils croivent (formazioni analogiche di verbi di

terza coniugazione su modello dei verbi di prima o seconda; standard il mourra,

vous buvez, ils croient),

Italiano: venghino, aprito, soddisfiamo, ecc.

 preferenza per costruzioni analitiche anziché sintetiche: es.

Inglese: the man that his sister was in trouble (di contro allo standard the man

whose sister was in trouble),

Francese: c’est une petite ville que il ferait assez bon y vivre (standard c’est une

petite ville où il ferait assez bon vivre),

Italiano: il ragazzo che gli ho dato un libro.

LEZIONE III

VARIETA' DI LINGUA

Le tre dimensioni che abbiamo visto finora, definiscono la VARIETA' DI LINGUA. Una varietà di lingua è data
da un insieme di tratti linguistici che tendono a comparire insieme, in relazione a certi tratti/fattori
extralinguistici o sociali.

Es. L'italiano popolare è la varietà di italiano parlata da individui con bassa scolarizzazione (prende dai
dialetti).

Certi TRATTI LINGUISTICI dell'ITALIANO POPOLARE si presentano in relazione a certi TRATTI


EXTRALINGUISTICI (bassa istruzione, acquisizione imperfetta dell'italiano, prevalente dialettofonia).

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Una lingua è data dalla somma delle sue varietà (standard, popolare, colta). Queste varietà stanno tra di
loro in rapporto.

Il seguente è un modo per rappresentare l'ARCHITETTURA DELL'ITALIANO:

L'architettura dell'italiano è lo studio dell'articolazione di una lingua storico-naturale in varietà secondo le


dimensioni fondamentali di variazione, dei rapporti e delle reciproche delimitazioni fra queste varietà. Per
l'italiano è stato proposto questo modello di architettura che prescinde dalla variazione diatopica, dato che
questa nella situazione linguistica italiana è di fatto onnipresente e rappresenta la tela di fondo su cui si
innestano le altre dimensioni di variazione.

Per ogni situazione di italiano regionale, tale modello prevede un'articolazione dell'architettura della lingua
su tre assi, corrispondenti alle tre dimensioni: diastratica, diafasica e diamesica, ottenendo uno spazio in cui
collocare le principali varietà di lingua.

L'asse verticale, della diastratia, va dal polo più alto (le varietà di lingue dei parlanti molto colti, dei ceti
intellettuali) al polo più basso (le varietà dei parlanti incolti).

L'asse orizzontale, della diamesia, va dal polo di sinistra, tipicamente "scritto", al polo di destra, tipicamente
"parlato".

L'asse diagonale, della diafasia, va dall'estremo in alto a sinistra, dov'è c'è il massimo grado di formalità,
all'estremo in basso a destra, dove c'è il massimo grado di informalità, di spontaneità e di genericità.

Le due varietà all'estremo alto, "italiano formale aulico" dalla parte dei registri e "italiano tecnico-
scientifico" dalla parte dei sottocodici, si oppongono alle varietà all'estremo basso, "italiano informale"
dalla parte dei registri e "italiano gergale" dalla parte dei sottocodici. Ci sono ovviamente chiare

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compenetrazioni e interrelazioni fra i tre assi, e che l'estremo in alto a sinistra è quello che condensa i valori
più alti di tutti e tre gli assi.

Al centro, all'incrocio più o meno neutrale fra i tre assi (ma in realtà un po' sbilanciato, nella situazione
italiana e data la nostra storia linguistica, verso i poli colto, formale, scritto), si situa l'ITALIANO STANDARD.
La zona standard si evolve così per ragioni storiche. L'italiano si avvia dal fiorentino trecentesco che già di
partenza era colto e formale.

VARIETA' SUBSTANDARD

 GERGALE: Fa riferimento all'uso linguistico specifico di un gruppo di parlanti - e in tale proprietà ha


caratteri propriamente dei sottocodici - che abbiano elaborato l'impiego di un lessico proprio del, e
interno al, gruppo con valore allusivo, espressivo o scherzoso, ludico. Si tratta di un SOTTOCODICE
BASSO (es. gergo della malavita).

 INFORMALE TRASCURATO: E' una varietà di registro bassa (informale), è caratterizzato


normalmente anche, se non piuttosto, da una notevole semplicità sintattica (frasi principali,
sintagmi nominali non complessi, prevalenza della coordinazione sulla subordinazione).

 REGIONALE POPOLARE: Proprio dei parlanti incolti, ma non è propriamente una varietà informale.
In quanto gli incolti la usano anche in situazioni formali. L'italiano popolare è sempre decisamente
marcato in diatopia e per questo bisogna fare sempre i conti con le varietà regionali.

 PARLATO COLLOQUIALE: E' una manifestazione dell'italiano molto marcata in senso diamesico.

VARIETA' SUPRASTANDARD (Varietà di prestigio, ma non standard)

 BUROCRATICO

 TECNICO SCIENTIFICO

 FORMALE AULICO: Si ritrovano in italiano antico, usato per alzare il livello delle produzioni
artistiche (es. anteposizione dell'aggettivo).

Queste varietà non vogliono essere la norma sociale di riferimento.

Un problema rilevante della ricerca sull'architettura della lingua è dato dalla sovrapposizione delle varietà,
dovuta al fatto che molti tratti non sono esclusivi di questa o quella varietà di lingua, ma compaiono in più
di esse. Le varietà sui diversi assi, sono certamente molte di più di quelle che sono qui indicate.

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Le varietà emergono come punti particolari di ADDENSAMENTO di tratti. Tali addensamenti si costituiscono
sia in termini di presenza concomitante, sia in termini di maggiore o minore frequenza delle varianti
marcate. Il riconoscimento delle varietà deve peraltro sempre avvenire sul piano della correlazione fra tratti
linguistici e fatti sociali, e quindi ci aspettiamo che un testo linguisticamente in italiano popolare sia anche
prodotto da un parlante avente la collocazione sociale corrispondente.

RAPPORTI FRA DIMENSIONI DI VARIAZIONE

Una qualunque varietà di una lingua è prima di tutto differenziata per DIATOPIA. Poi seguono le altre.

Un parlante parla la varietà di lingua che dipende dalla regione, poi dal livello di istruzione, poi dalla
formalità del contesto.

Un parlante nativo italiano parla la variante socio-geografica dell'italiano della realtà in cui è immerso. Un
nativo non parla italiano standard. (Un esempio è che la formalità si impara crescendo).

LEZIONE IV

CUNE VARIETÀ DELL’ITALIANO

________________________ITALIANI REGIONALI________________________

1. alcuni tratti fonologici:

varietà settentrionali

 tendenza allo scempiamente delle geminate (es. gallina [ga'lina]);

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 tendenza alla pronuncia di alcune palatali ([ ʃ], [ɲ], [ ʎ]) come sequenza di dentale (rispettivamente,
[s], [n], [l]) e semivocale anteriore [j] (es. uscio ['usjo], sogno ['sonjo], aglio ['aljo]);

 pronuncia sempre sonora di s intervocalica (es. chiese “domandò” ['kjeze], chiese “edifici di culto”
['kjeze]);

 pronuncia sempre sonora di z a inizio di parola (es. zio ['dzio]);

 tendenza alla perdita dell’elemento occlusivo nelle affricate dentali [ts] e [dz] (es.speranza
[spe'ransa], zebra['zebra]);

varietà centrali

 tendenza della fricativa dentale [s] a trasformarsi in affricata dentale [ts] dopo le dentali [n], [l] e [r]
(es. penso ['pentso], polso ['poltso], orso ['ortso]);

 tendenza delle affricate palatali [tʃ] e [d ʒ] a trasformarsi nelle fricative palatali [ ʃ] e [ ʒ] in posizione
intervocalica (es. pace ['paʃe], valigia [va'liʒa]);

 gorgia toscana: realizzazione delle occlusive sorde intervocaliche come fricative velari (es. amico
[a'mixo]) e, con estensione più ridotta, come fricative dentali (es. dato ['daθo]) e bilabiali (es. tipo
['tiφo]);

 monottongazione di [wo] in [o] (es. cuore ['kore])

 pronuncia geminata dell’occlusiva bilabiale [b] e dell’affricata palatale [d ʒ] in posizione


intervocalica (es. abile ['ab:ile], agile ['ad:ʒile]);

varietà meridionali

 pronuncia sempre sorda di s intervocalica (es. chiese “domandò” ['kjese], chiese “edifici di culto”
['kjese]);

 sonorizzazione delle occlusive sorde ([t], [p], [k]) dopo una nasale (es. canto ['kando], campo
['kambo], bianco ['bjaŋgo]), ma non in tutte le regioni;

 assimilazione di [r] preconsonantica (es. carta ['kat:a]), [d] postconsonantica (es. caldo ['kad:o]),
ecc.

 tendenza alla pronuncia della laterale palatale [ ʎ] come semivocale anteriore [j] geminata (es.
aglio ['aj:o]);

 in Sicilia, Calabria e Salento: presenza di consonanti retroflesse, sia scempie sia geminate sia in
gruppo consonantico (es. rosa ['ɽosa], bella ['beɖ:a], madre ['ma ʈɽe]).

Alcuni esempi di tratti fonologici (da analizzare).

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2. alcuni tratti morfosintattici:

varietà settentrionali

 negazione solo postverbale (es. qui si dà da fare nessuno, l’ho mica visto, sai mai se viene) - (manca
il "non");

 alta frequenza di dimostrativi e articoli definiti rafforzati da locativi (es. bevi questa birra qui,
queste emozioni lì non le ho provate spesso, siamo stati nel locale lì dell’altra sera);

 uso di particolari perifrasi verbali dai valori progressivo, continuo e abituale (es. son stato dietro a
scrivere per tre ore; son lì che scrivo; di solito al pomeriggio è lì che studia con Dani)

 neh come indicatore di domande orientate e domande coda (es. neh che vi siete divertiti?, ti ha
fatto un regalone, neh?, particolarmente in alcune regioni);

varietà centrali

 in Toscana: sistema di dimostrativi a tre unità: questo, codesto, quello;possessivi indeclinati: mia,
tua, sua (es. sono fatti sua, i figli mia, soprattutto nel Lazio e nelle Marche);

 perifrasi aspettuale stare a + INF dai valori progressivo e continuo (sto a leggere, sono stato a
leggere per tutto il pomeriggio, soprattutto in Toscana e nel Lazio);

varietà meridionali

 ‘accusativo preposizionale’ (es. ho visto a mio fratello);

 uso del congiuntivo imperfetto in luogo del congiuntivo presente con valore esortativo (es. mi
chiamasse un taxi!, ma non in tutte le regioni);

 transitivizzazione di verbi intransitivi (es. esci la macchina, scendi la valigia);

 verbo in posizione finale come ordine non marcato dei costituenti (es. freddo fa!, particolarmente
in Sicilia e Sardegna).

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________________________ITALIANO POPOLARE________________________

1. scrittura:

 discordanze tra grafìa e fonìa (es. galina, rubbare, l’Itaglia, cuello, io ò, pissicologia);

 problemi di segmentazione (es. articoli: lestate, l’uridume; pronomi clitici: cimbarcammo, laveva;
anche con aferesi di sillabe: es. il dirizzo per l’indirizzo);

 assenza o uso non normativo della punteggiatura;

2. lessico e formazione delle parole:

 paretimologie e malapropismi (es. acqua di stirata per acqua distillata; comprativa per cooperativa,
autoparlante per altoparlante);

 ‘preferenza per il concreto’ (es. la carta per la patente);

 abbreviazione di parole mediante riduzione di morfemi derivazionali (es. la dichiara per la


dichiarazione; la consolo per la consolazione);

 uso improprio di morfemi derivazionali (es. arrendebile per arrendevole);

 rianalisi con aggiunta di morfemi (es. strafila, tranquillizzanti);

3. morfosintassi:

 forme verbali analogiche (es. vadi, stasse, potiamo, diedimo);

 generalizzazione di desinenze nominali (es. la mia guarigiona, il tenento);

 ci come clitico dativo di terza persona (es. portaci un bicchere a tuo fratello);

 che polivalente (es. un prato che ci sono tanti fiori);

 periodo ipotetico con doppio condizionale o doppio congiuntivo (es. se potrei avere tanti soldi
aiuterei tanta gente, se potessi lo facessi);

 interrogative e subordinate avverbiali con doppio complementatore (es. cosa che hai fatto?, non so
quando che riparto);

 in varietà settentrionali: me come pronome personale soggetto (es. me sono partito presto);

 scambi di ausiliari (es. io per questa volta ho venuta; i russi sono passato il Don; mi ho sposato);

 reduplicazioni pronominali (es. ti voglio scriverti);

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 concordanze devianti (es. il potere ci temono, veniva su cinque di noi);

 estensioni analogiche e ristrutturazioni nel paradigma dell’articolo (es. i amici, un sbaglio);

 formazioni analogiche di gradi aggettivali e avverbiali (es. il più migliore, più meglio);

 semplificazione del paradigma dei possessivi (i soldati pensano ai suoi familiari).

Ma i tratti regionali visti sopra sono in buona parte tratti di italiano regionale popolare!

LEZIONE V

Nel '500 il testo di riferimento più importante è stata "La Prosa della Volgar Lingua" di Balbo. Il modello era
il fiorentino colto trecentesco, da qui è nato lo standard che conosciamo oggi.

Gli autori presi a riferimento sono Dante, Petrarca e Boccaccio.

Se prendiamo come riferimento il 1861 (unità d'Italia) notiamo che solo il 2 o 3% della popolazione sapeva
parlare italiano. Il resto semplicemente non la usava, i dialetti erano le lingue di scambio quotidiano.

TRE FATTORI SOCIALI hanno cambiato qualcosa nel '900, promuovendo una diffusione maggiore:

1. OBBLIGO SCOLASTICO

2. SERVIZIO MILITARE OBBLIGATORIO : Prevedeva uno spostamento e per parlare ci si serviva


dell'italiano (lingua comune), non in dialetto.

3. AVVENTO DEI MEZZI DI COMUNICAZIONE DI MASSA (RADIO, TV)

L'italiano acquisisce quindi NUOVI UTENTI e NUOVI DOMINI D'USO, soprattutto nella conversazione
quotidiana, diventa quindi SEMPRE PIU' REGOLARE. In questo modo POTENZIA I TRATTI che acquisisce
nell'uso quotidiana, avviando un processo di RISTANDARDIZZAZIONE.

Ci sono cambiamenti nella struttura della lingua stessa. Diffondendosi nella conversazione quotidiana ha
ottenuto degli strumenti espressivi più consoni. Prima, quando l'italiano era usato da poche persone, usava
come modello quello letterario, diffondendosi presso la popolazione, invece, la sua varietà standard ha
ottenuto dei tratti usati nel quotidiano.

Alcuni tratti substandard diventano sempre più prestigiosi, facendo carriera e diventando standard.

Si parla in questo caso di NEO-STANDARD.

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Esempio:

1. Il libro era stato scritto da Mario (standard)

2. Il libro lo aveva scritto Mario (neo-standard)

La norma stessa ottiene più possibilità.

Chi crea lo standard?

1. TESTI DI PROFESSIONISTI (giornalisti)

2. CODICE LINGUISTICO: è più standard se è codificato in una grammatica, quindi diviene la norma.

3. AUTORITA' NORMATIVE: Si intende chi, per lavoro, corregge. (insegnanti, revisori editoriali)

4. ESPERTI DI LINGUA: Sono coloro che danno giudizi, per professione. (Accademia della Crusca).

I parlanti comuni non compaiono perché non hanno un ruolo diretto nel decidere quale sia la norma. Ma
comunque hanno un ruolo molto importante.

ITALIANO NEO-STANDARD: ALCUNI FENOMENI

1. ordini marcati dei costituenti di frase

 dislocazione a sinistra; es. il libro lo aveva scritto il suo compagno

 dislocazione a destra; es. lo spegne Elena il televisore

 frase scissa; è a quei cittadini che il governo deve delle scuse

2. tempo, modo e aspetto del verbo

 usi ‘controfattuali’ dell’imperfetto, come nel periodo ipotetico dell’irrealtà; es. se venivi prima
trovavi ancora posto

 uso del presente in luogo del futuro, e del passato prossimo in luogo del futuro anteriore; es. tra
un mese ho finito gli esami e sono a posto

 uso dell’indicativo in luogo del congiuntivo; es. mi dispiace che Maria è partita

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 uso del passato prossimo in luogo del passato remoto; es. l’antico campanile normanno è crollato
nel 1653

3. che come complementatore generico

 con valore causale; es. ammoniva ad aver pazienza, che il momento era vicino

 con valore esplicativo-consecutivo; es. vieni che ti pettino

 introduttore di completive pseudorelative; es. li vedo che scendono

- con valore enfatizzante-esclamativo; es. che tempo che fa

4. sovraestensioni e scambi di pronomi personali

 soggetto: lui, lei, loro in luogo di egli, ella, esso/a/i/e; es. lui tornerà la settimana prossima

 oggetto indiretto: gli come unica forma (maschile/femminile, singolare/plurale); es. domani vedrò i
ragazzi, gli dirò che li saluti

 uso dei pronomi personali lui, lei, loro con valore riflessivo; es. porterà con lui (“sé”) anche una
valigetta rossa

5. concordanze a senso

 es. un gruppo di ragazzi si sono affacciati, la grande pluralità delle fonti di finanziamento
garantiscono che…, ecc.

6. innovazioni sintattiche (per interferenza dall’inglese)

 interrogativa multipla, con più fuochi di interrogazione; es. chi controlla chi, dove trovo cosa, chi fa
cosa quando, chi deve cosa a chi, ecc.

 superlativo relativo ordinale; es. Diego Maradona è risultato il terzo uomo più importante
dell’Argentina

7. costruzioni relative

 es. una donna che la famiglia era sospettata

 es. il signore che gli ho aperto l’ombrellone

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 es. gli studenti che il loro nome inizia per F

LEZIONE VI

________ITALIANO FORMALE (/colto) vs. ITALIANO INFORMALE (/popolare)_______

1. morfologia:

 morfologia verbale: diatesi (passiva [+FORMALE] vs. attiva [–FORMALE]

Esempio: ( Mi è stata rubata la borsetta [passivo] / mi ha rubato la borsetta [attivo - con soggetto
generico])

; soggetto generico in luogo del passivo [–FORMALE]); persona (si impersonale o passivante [+FORMALE] vs.
tu generico [–FORMALE]

Esempio: ( Se si fanno i compiti si è premiati [formale] / se fai i compiti, sei premiato [informale])

; plurale maiestatico [+FORMALE]; allocutivo di cortesia [+FORMALE] vs. di confidenza [–FORMALE]);

Esempio: Uso del lei (formale) / uso del tu (informale)

 struttura della parola: moduli di derivazione (cumuli di morfemi derivazionali [+FORMALE]); scelte
morfologiche (varianti arcaicizzanti [+FORMALE]); radici lessicali (abbreviazioni [–FORMALE] e
riduzioni morfofonologiche [–FORMALE])

2. sintassi della frase:

 sintagma nominale: struttura interna (presenza ampia [+FORMALE] vs. scarsa [–FORMALE] di
modificatori nominali; modificatori dalla struttura interna complessa [+FORMALE] vs. semplice [–
FORMALE]);

 sintagma verbale: forma del verbo (perifrasi verbali astratte [+FORMALE]; verbi sintagmatici [–
FORMALE]);

 ordine dei costituenti: posizione reciproca testa-modificatore (anteposizione di certi aggettivi al


nome [+FORMALE], di certi avverbi al verbo [+FORMALE], di certe subordinate alla principale
[+FORMALE]), frasi con ordini marcati pragmaticamente [–FORMALE].

3. sintassi del periodo e testualità:

 rapporti tra frasi: coordinazione/subordinazione (uso ampio [+FORMALE] vs. scarso [–FORMALE]
della subordinazione frasale; presenza di subordinazione implicita [+FORMALE] e di alto grado
[+FORMALE]; sintassi frammentata [–FORMALE]);

 collegamenti discorsivi: uso ampio [+FORMALE] vs. scarso [–FORMALE] di connettivi e glosse
metatestuali;

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 coerenza testuale: anafora (catene anaforiche con materiale morfologico o lessicale [+FORMALE];
riprese semantiche con sinonimi o iperonimi [+FORMALE]; indicazioni esplicite di ripresa o
cambiamento di topic [+FORMALE]; scarsa continuità tematica [–FORMALE]) e deissi (ampi [–
FORMALE] vs. scarsi [+FORMALE] riferimenti diretti all’io parlante e al qui e ora);

 struttura testuale: sviluppo argomentativo (uso ampio [+FORMALE] vs. scarso [–FORMALE] di
strutture di argomentazione esplicita).

4. lessico e semantica lessicale:

 distribuzione lessicale: rapporto type/token (variazione lessicale ampia [+FORMALE] vs. scarsa [–
FORMALE]); rapporto nomi/verbi (prevalenza di nomi [+FORMALE], nominalizzazioni frequenti
[+FORMALE]); scelte lessicali (termini di uso raro [+FORMALE] vs. comune [–FORMALE], arcaico
[+FORMALE], aulico [+FORMALE]; termini paragergali [–FORMALE], disfemismi [–FORMALE]);

 natura dei significati: intensione/estensione (parole dal significato specifico [+FORMALE] vs.
generico [–FORMALE]); astratto/concreto (parole dal significato astratto [+FORMALE] vs. concreto
[–FORMALE]).

Analizziamo secondo questi termini il seguente testo:

L’accesso al lavoro deriva dall’equilibrio tra domanda e offerta sul ‘mercato del

lavoro’, una condizione che a sua volta dipende da numerosi fattori d’ordine

economico e sociale e non certo, primariamente, giuridico. Non esiste legge, non

esiste tribunale al quale il lavoratore possa appellarsi per ottenere un ‘posto di

lavoro’. Il lavoro, nell’attuale momento storico, non è un bene che esista in

natura, sul quale possano accamparsi diritti.

Possiamo notare:

 Variazione lessicale ampia

 Parole dal significato specifico

 Parole dal significato astratto (es. equilibrio, condizione)

 Presenza di subordinate (relativa, finale). Frasi complesse.

 Struttura complessa dei sintagmi nominali e dei modificatori

 Anticipazione degli aggettivi al nome

ALTRE VARIETA'

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LINGUAGGI SETTORIALI

I linguaggi settoriali sono microcosmi linguistici facenti parte di ogni lingua, costituiti fondamentalmente da
elementi specifici, utilizzati nei vari settori professionali o sociali: medicina, informatica, economia, sport
ecc. Spesso sono poco noti o del tutto sconosciuti al parlante medio, chi è al di fuori del mondo
professionale in cui un determinato linguaggio viene usato; ma in altri casi si è diffusa.

Vediamo un esempio:

Gli obblighi e le responsabilità dei liquidatori sono regolati dalle disposizioni stabilite

dagli amministratori, in quanto non sia diversamente disposto dalle norme seguenti o

dal contratto sociale.

(Art. 2276, Codice Civile)

La difficoltà di comprendere il significato di quanto scritto senza far riferimento a una terminologia che è
propria del linguaggio legale-amministrativo. Utilizzo di un lessico specifico, da un vocabolario, appunto
settoriale.

( "Liquidatori", "amministratori"). Ma anche, se pur in maniera minore, da particolari costrutti (" in quanto
non sia diversamente disposto dalle norme seguenti" è frase la cui struttura sintattica è tipica dell'italiano
usato in ambito giuridico, caratterizzata dalla locuzione introduttiva "in quanto").

Un altro esempio:

[…] Una tecnica limpida, un suono pulito, un’espressività intensa eppure signorile

contenuta nelle linee di un discorso luminoso e di un dialogo con l’orchestra

perfettamente intenso ed equilibrato. […]

Tratto da una recensione di un'esecuzione musicale. Il lessico usato viene impiegato in modo caratteristico
per quel contesto comunicativo. La presenza di forme retoriche quali la sinestesia (nota figura retorica che
consiste nell'associare due termini appartenenti a sfere sensoriali diverse), come in suono pulito,
espressività signorile, discorso luminoso.

La lingua comune e i linguaggi settoriali non sono scomparti isolati, ma convivono come varietà di lingua
usate da uno stesso parlante in contesti comunicativi diversi. Ci si potrebbe chiedere perché gli stessi
concetti non potrebbero essere espressi in un linguaggio comune comprensibile a tutti.

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Vediamo ad esempio:

Presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, p.zza Colonna n. 370, Roma, si terrà, il

26 febbraio p.v. alle ore 17.00, un workshop per la presentazione generale degli

obiettivi del progetto pilota di esternalizzazione della organizzazione e gestione dei

servizi generali di supporto alla Presidenza del Consiglio dei Ministri di cui al bando di

gara pubblicato in GUCE l’11 febbraio 2004 e in GURI il 16 febbraio 2004, n. 38, parte

II. La partecipazione è estesa a tutti gli operatori del settore interessati. […]

Spiccano termini astratti formati da una suffissazione multipla ( esternalizzazione ), unità polissematiche
fatte di parole giustapposte (progetto pilota), tecnicismi provenienti dall'inglese (workshop), costrutti
pesanti complessi con cumulo di sintagmi preposizionali, sigle da addetti ai lavori (GUCE, GURI).

Gli interessanti tentativi compiuti negli ultimi tempi per semplificare e migliorare il linguaggio burocratico-
amministrativo non sono riusciti a raggiungere tutti i rami dell'amministrazione dello stato e della
comunicazione pubblica. Si è riusciti solo in alcuni ambiti:

Bolletta ENEL:

– in prossimità di tale data > qualche giorno prima

– essere in mora > essere in ritardo

– quietanzare > dare ricevuta

– ...

E' evidente che i linguaggi settoriali creino delle barriere linguistiche se usati per comunicare con "non
addetti ai lavori". I linguaggi settoriali sono comunque risorse che la lingua nel suo complesso fornisce per
comunicare in modo chiaro ed efficace tra addetti ai lavori. L'uso di un lessico specifico e settoriale è uno
strumento indispensabile per un passaggio di informazioni che descriva in modo preciso, univoco e
appropriato la realtà.

LEZIONE VII

COMUNICAZIONE MEDIATA DA COMPUTER

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Un settore che ha acquisito recentemente notevole importanza e interesse anche dal punto di vista
sociolinguistico è quello dell'uso della lingua nei nuovi tipi di comunicazione verbale introdotti dalle
moderne tecnologie elettroniche, e in particolare dalla diffusione del personal computer. Questi tipi di
comunicazione stanno diventando per molti un modo di comunicare che sostituisce in parte la
comunicazione orale, con il trasferimento nello scritto di modi d'uso della lingua tipici del parlato. (es. la
posta elettronica si sposta dall'estrema formalità all'estrema informalità).

Noi faremo qui un cenno sollo alle interazioni informali.

La tradizionale divisione tra scritto e parlato viene, però, in qualche modo superata nella scrittura mediata
dal computer. Si tratta di una comunicazione scritta con una forte componente interattiva. Oltre a
fenomeni di abbreviazione e contrazione del lessico (in misura maggiore nelle chat), sono frequenti
espedienti, anche semplicemente di punteggiatura, per rendere nello scritto caratteristiche che
appartengono alla sfera emotiva dei parlanti/scriventi ( eh, punti esclamativi, puntini di sospensione,
virgolette ecc.).

Vediamo alcuni esempi:

1. - AAAAAAAHHHHHHH dimenticavo. tanto per chiudere in BELLEZZA sono stata

eletta “bibliotecaria di classe”. MA VI IMMAGINATE????????????????????


IIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOO????????????????????????

 ho sonno e la testa pesante… peeeesaaaanteeee…

 BUONGIORNISSIMOOOOOOOOOOOOOOOOOOOO :-)))

2. - adesso mi sento male x qst nn stiamo assieme nn lo siamo mai stati ma qnd usciamo

assieme stiamo bene c divertiamo

 c ved cmq prox sett CUL8R

 ma non son cattiva dai solo 3menda

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 ki ti credi d Sre?

 è 1 7mana

3. che poi tu apprezzeresti che luca fosse più volonteroso nel non farti aspettare una

coincidenza e farti arrivare prima venendoti a prendere, be’ io lo posso anche capire, ma

magari lui in quell’istante non è stato cosi reattivo da dire: arriva in ritardo / perdita

coincidenza = rottura di palle / quindi io auto alice.

(messaggio su newgroups)

4. se ne sei VERAMENTE convinta, se ci credi proprio, se ti viene come tua realizzazione di te, in
positivo (non in negativo, per 'star lontano da'; ma 'per andare a') fallo. Non perdere l'occasione di
realizzarti (tanto manterrai la posta elettronica, no? - questo è purissimo egoismo, eh...) […]

Prendendo in considerazione questo ultimo esempio, notiamo:

 L'uso del maiuscolo per segnalare l'enfasi

 Domande retoriche

 Uso di "eh" e altri tratti paralinguistici che riproducono le caratteristiche del parlato

E' da notare che questo ultimo esempio mostra un uso della lingua molto sorvegliato: incidentali,
proposizioni tra parentesi che però non spezzano la costruzione del periodo..

Appare quindi chiaro che l'email informale, se pur presenta tratti tipici del parlato, ha spesso una struttura
macrosintattica molto vicina a quella della produzione scritta.

Notiamo ancora: puntini di sospensione ad inizio frase, i molti punti interrogativi, la commutazione di
codice, formule scherzose.

La chat è, invece, come vediamo dai primi due esempi, caratterizzata dalla simultaneità della
comunicazione, gli argomenti trattati sono quasi esclusivamente di vita quotidiana, con un registro
informale o molto informale. Proprio la simultaneità dello scambio implica la rapidità nella digitazione del
testo che spiega i frequenti errori di battitura non corretti. Inoltre è più evidente l'uso di una varietà di
lingua informale con scarsa pianificazione del discorso (es. posposizione dell'aggettivo al sostantivo), l'uso
di esclamativi come "ah!", di continuativi generici come "va bè", "dai" ecc.

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La varietà linguistica della comunicazione mediata da computer costituisce infatti una sorta di spazio
varietistico tridimensionale: si tratta di messaggi grafici che riproducono alcuni caratteri strutturali e tratti
dal parlato e che sono caratterizzati da una forte intenzione di interattività, che conferisce loro uno stile
particolare.

Un aspetto interessante della lingua degli sms è anche la ricorrenza del gioco che fa ricorso a impasti
dialettali o multilingui:

– certo che mi piace molto l’ipotesi di cominciare una qualsiasi attività all together ma

non posso uscire hasta las dos de la tarde di domenica

– le fromage e le jambon, passi domani a pigliarteli? let me know

Abbiamo una simulazione di un italiano regionale, inserimenti di parole inglesi (come "then"), oltre alla
formule inglesi come "let me know", abbiamo due sintagmi nominali con termini gastronomici francesi, "le
fromage" e "le jambon".

Quanto a internet la pervasività dell'inglese è ovvia. Molto meno ovvio è invece trovare una presenza
tutt'altro che insignificante dei dialetti nei siti del web, ma c'è.

Mentre c'era da aspettarsi, dunque , che la globalizzazione informatica e la comunicazione via computer
dovessero rappresentare un ambito di per sé totalmente estraneo al dialetto, e quindi contribuire
decisamente all'emarginazione e decadenza delle parlate locali, sembra invece che i nuovi spazi di
utilizzazione all'interno delle moderne tecnologie comunicative si aprano a idiomi "vecchi", e tipicamente
locali, come sono i dialetti:

– alè pi facil capive se lesu ad auta vus lon che scrive… Al prublema alè quandi aiè

quaidun a cà, can sent lese en piemunteis tacà ‘l pc. Am pia per fol ;-) Anche a mi a ma

scapa da rie quandi e scriu, ma an divertu trop…

– Go leto adesso el mesagio nel quale te me ga domandà come xe Trieste adesso [...].

Fino a pochi ani fa la iera sempre uguale, inveze da qualche tempo la xe sai cambiada.

Più bela architetonicamente. I ga rifato tute le piaze e tante strade le xe diventade solo

pedonabili [...]. La gente inveze xe quela de sempre, no la cambierà mai, sempre più

veci e meno fioi.

LINGUA DEI GIOVANI E LINGUA DELLE DONNE

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L'età e il sesso sono due fattori sociodemografici che correlano in maniera interessante con il
comportamento linguistico dei parlanti. In fondo, giovani e vecchi, uomini e donne sono dei macro-gruppi
di una comunità sociale, caratterizzati da attitudini e tratti socialmente salienti che non possono non avere
il loro correlato sociolinguistico.

Per quel che riguarda la variabile età in situazioni a noi familiari essa risulta correlare molto
significativamente per esempio con la dialettofonia: un parlante tipicamente dialettofono, in Italia,
dovremo andare a cercarlo fra gli anziani, mentre se vogliamo trovare un parlante sicuramente non
dialettofono lo cercheremo in un giovane.

I giovani saranno più esposti e più orientati alla lingua o varietà alta.

Le ricerche hanno condotto certamente all'identificazione di un certo numero di tratti molto ricorrenti nel
comportamento linguistico giovanile (soprattutto parlato; e in quella trasposizione del parlato che per molti
aspetti è la comunicazione mediata dal computer).

Il risultato più evidente è il riconoscimento dell'esistenza di un lessico giovanile; in buona parte gli stessi
nelle varie regioni d'Italia, ma con un certo ammontare di termini tipici di questa o quell'area o città.

Tale lessico giovanile può configurare il cosiddetto linguaggio giovanile come una sorta di gergo. E' infatti
(socio)linguisticamente definibile come gergo una varietà di lingua che è marcata al tempo stesso in diafasia
(in quanto è impiegata solo in determinate situazioni) e in diastratia (in quanto si forma all'interno di un
certo gruppo sociale).

Spesso difficilmente decodificabile da no appartenenti al gruppo; che non ha strutture grammaticali sue
proprie, ma è sempre "ospitata" all'interno di un'altra lingua; e che funge da importante contrassegno
dell'identità del gruppo. Il "gergo" è una lingua parlata dai gruppi sociali marginali: vagabondi, mendicanti,
ambulanti, malviventi.

Si tratta certo di un lessico molto appariscente, ma la cui presenza effettiva nel parlato quotidiano dei
giovani non è tutto sommato così ampia.

Inoltre il linguaggio giovanile sembra essere molto transeunte.

D'altra parte oggi è ovviamente molto incrementato, nel lessico giovanile, il peso e il ruolo dei neologismi
anglicizzati connessi ad Internet e i telefoni cellulari.

La variabile "sesso del parlante" è stata oggetto di attenzione per la sociolinguistica fin dai suoi albori. Oggi
si fa riferimento alle differenze nel comportamento linguistico fra uomini e donne in termini di "variazione
di genere", intendendo il genere il correlato sociale della proprietà biologica. E' infatti evidente che i
caratteri sociolinguisticamente interessanti dell'essere uomo o donna non hanno a che fare con il sesso
naturale, ma dipendono dalla definizione sociale assegnata ai ruoli reciproci.

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I sociolinguisti hanno presto notato quello che è stato definito "schema (o stereotipo) sociolinguistico del
genere", secondo cui le donne sarebbero più sensibili allo standard, al modello di prestigio e, quando
esistono varianti socialmente favorite, "alte", e varianti sfavorite, "basse", tenderebbero più degli uomini
ad utilizzare le prime, le varianti alte.

Il fatto che le donne mostrino maggior attenzione allo standard non è sempre vero in tutte le situazioni
indagate, e che per lo più le differenze fra uomini e donne nella scelta e nell'attualizzazione delle varianti
sono piccole.

E' solo nella classe sociale più alta della stratificazione sociale che gli uomini presentano significativamente
più varianti non standard delle donne. Le donne si sono dimostrate o "più alte" o "più basse" di tutti gli
uomini (sono tutti femminili i valori estremi, verso l'alto o verso il basso). Quindi sono donne quelle che
presentano o il massimo della conservazione, o il massimo dell'innovazione.

Un altro tema su cui si è scritto molto riguarda l'esistenza di un'entità come una "lingua delle donne". In
sostanza le donne usano più diminuitivi, aggettivi valutativi e forme varie di attenuazione, e usano molto
meno termini attinenti a sfere tabuizzate, che non gli uomini. SI tratta comunque di differenze di frequenza.
E che riguardano prevalentemente scelte e sfere lessicali preferenziali.

Se è un luogo comune che le donne usino meno imprecazioni e disfemismi e rifuggano nel turpiloquio, in
una ricerca in provincia di Cagliari tuttavia si è osservato che molte espressioni tradizionali di imprecazione
ed insulto sono frequentemente usate o addirittura esclusiva delle donne.

La distribuzione attesa degli usi maschili e femminili è sempre soggetta a chiari controesempi; e che
l'appartenenza di genere è spesso in sovrapposizione con quella di classe (e di rete) sociale. Ad analoga
variabilità fra culture e situazioni particolari è esposta un'altra tendenza spesso attribuita al parlare
femminile, quella di essere linguisticamente più cortesi.

È in sostanza molto chiaro che non si può parlare di una varietà di lingua prettamente maschile o
prettamente femminile: si tratta di semplici preferenze lessicali e pragmatiche, fra l'altro molto soggette a
stereotipi e condizionamenti socioculturali e alle convenzioni di (buona) educazione.

Spie per l'altissima percentuale di attribuzioni corrette sono: fra gli elementi lessicali, i diminuitivi (carino,
bellino); fra gli aspetti pragmatici, le insistite forme di disimpegno, esitazioni ed incertezza (non lo so scusa,
boh, sembra, sì; nient'altro; non lo so, dai; basta…), le esclamazioni oddio, eh, Dio, com'è e anche la formula
di apertura e di chiusura "niente" e le ripetute pause.

Un aspetto interessante della riflessione indotta dalla sociolinguistica sui rapporti fra lingua e sesso dei
parlanti è costituito dalle ricadute che questa ha avuto in termini di analisi della discriminazione di genere.
Un fatto che disturba in quest'ottica è in effetti che in molte lingue opposizioni grammaticali e
categorizzazioni semantiche privilegiano il maschile (il lessico e la grammatica sembrano "sessisti"): il

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maschile vale per esempio come termine generale, sovraordinato per designare l'insieme di persone di
diverso sesso.

Inoltre, in lingue come l'italiano l'accordo grammaticale con elementi di ambo i generi si fa al maschile.

Tutte queste cose, e altre ancora, sono state sentite come gratuitamente discriminatrici e come
manifestazione linguistica dell'inferiorità della donna nella società. La linguistica femminista ha avanzato
varie proposte di intervento correttivo, alcune delle quali hanno avuto successo e si sono impiantate.

LEZIONE VIII

PLURILINGUISMO - COMPRESENZA DI PIU' LINGUE NELLA STESSA SOCIETA'

Il plurilinguismo è di fatto una situazione molto diffusa nel mondo, le diverse lingue all'interno di uno stesso
paese si differenziano tra di loro in base ai domini d'uso, alcune in usi bassi e altre in usi alti.

Possiamo individuare quattro tipi di lingue nel repertorio della società italiana:

 LINGUA STANDARD (una lingua che ha sviluppato uno standard e che è usata nei domini
dell'ufficialità/istituzionalità)

 DIALETTI

 LINGUE MINORITARIE

 LINGUE DI IMMIGRAZIONE

I DIALETTI

Chi parla dialetto, con chi, dove e quando, nell’Italia contemporanea?

Per rispondere a questa domanda si può partire con l’esaminare gli esiti del sondaggio nazionale più
recente sul tema, condotto dall’ISTAT nel 2006 (liberamente consultabile in rete:
http://www.istat.it/salastampa/comunicati/non_calendario/20070420_00). Confrontandoli con quelli di
inchieste precedenti, si rileva innanzitutto, a fronte di un generale consolidamento dell’uso dell’italiano (nel
2006,dichiara di parlare solo o prevalentemente italiano in famiglia il 45,5% degli intervistati, conamici il
48,9%, con estranei il 72,8%), una diminuzione dell’uso esclusivo del dialetto. Diminuisce cioè la
percentuale di coloro che dichiarano di usare solo o prevalentemente il dialetto (nel 2006, in famiglia il
26%, con amici il 13,2%, con estranei il 5,4%). Tale decremento è tuttavia parzialmente compensato
dall’incremento percentuale di chi dichiara di usare il dialetto alternato o frammisto all’italiano (nel 2006, in
famiglia il 32,5%, con amici il 32,8%, con estranei il 19%). Si nota inoltre un lieve rallentamento nella
crescita dell’uso esclusivo dell’italiano.

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L’uso del dialetto differisce poi in relazione alle principali variabili sociali: età, istruzione, sesso (che risulta
però la variabile meno influente). Si dimostrano tipicamente più propensi all’uso del dialetto gli anziani, gli
incolti, gli uomini; meno i giovani, i colti e le donne. Si riscontrano altresì differenze evidenti in relazione ai
domini d’uso.

A parità di altre condizioni, il dialetto è usato soltanto raramente con gli estranei e in situazioni pubbliche,
sostanzialmente non ricorre in situazioni molto formali, è adoperato di preferenza in famiglia (specie da
parte degli anziani) e con amici. Il dialetto, infine, può ritenersi tendenzialmente più vitale in provincia e
meno in ambiente urbano.

Se questo è il quadro generale, occorre però sottolineare l’esistenza di forti diversità da regione a regione. Il
Nord-Ovest, insieme all’Italia Centrale (andrebbero però considerate a sé le situazioni peculiari della
Toscana e di parte del Lazio, in cui la differenza fra italiano e dialetto è sensibilmente meno spiccata che
nelle altre regioni), conosce le percentuali più basse di impiego del dialetto, sia in famiglia sia con amici sia
con estranei.

Le aree più dialettofone sono invece il Sud, le Isole e il Nord-Est; il Veneto, in particolare, si rivela la regione
d’Italia in cui l’uso del dialetto è ancor oggi più diffuso. A ciò si aggiunga che l’uso alternato o frammisto di
italiano e dialetto si dimostra in costante crescita in tutte le varie realtà regionali e, rispetto all’uso esclusivo
di uno dei due codici, presenta differenze meno sensibili in relazione sia a variabili sociali sia ai diversi
domini d’uso. Rispetto a venti o trenta anni or sono, è poi profondamente cambiato l’atteggiamento della
comunità parlante nei confronti del dialetto. Anche per effetto della diffusione sociale ormai
fondamentalmente generalizzata dell’istruzione scolastica e della lingua nazionale, oggi il dialetto non è più
sentito come la varietà di lingua dei ceti bassi, simbolo di ignoranza e veicolo di svantaggio o esclusione
sociale; gli atteggiamenti nei suoi confronti, almeno in molte regioni, non sono più stigmatizzanti com’era
ancora pochi decenni or sono. Sapere usare un dialetto, oggi, è spesso valutato positivamente; rappresenta
una risorsa comunicativa in più nel repertorio individuale, a disposizione accanto all’italiano, di cui servirsi
quando occorre e specie in virtù del suo potenziale espressivo. Un arricchimento, insomma, e non più un
impedimento.

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Connesso con questo cambiamento generale di atteggiamento è il fatto che il dialetto tenda ora a
comparire in domini e ambiti d’uso diversi rispetto al passato: tra gli altri, nelle insegne di esercizi
commerciali, nella musica giovanile, e marginalmente nei fumetti, nell’enigmistica, nella pubblicità
nazionale, ma soprattutto nella comunicazione mediata dal computer. La presenza del dialetto nel web
(escludendo i veri e propri siti dialettali, per lo più opera di élites di cultori del dialetto) si manifesta
prevalentemente nell’uso alternato o frammisto all’italiano e soddisfa spesso funzioni ludico-espressive;
nondimeno, in certi casi ha funzione primariamente referenziale e in altri principalmente valore simbolico,
di espressione di un’identità locale e culturale. La comunicazione mediata dal computer, è bene
sottolinearlo, rappresenta un nuovo ambito non soltanto d’uso ma, più specificamente, di scrittura del
dialetto (con tutte le implicazioni che ne conseguono: le funzioni ludico-espressive sopra menzionate, ad
esempio, e specie per certi dialetti, sono in parte connesse proprio allo scrivere una lingua che non si è
abituati né a vedere scritta né tanto meno a scrivere).

L’uso scritto del dialetto, che non sia per scopi letterari, si riscontra altrimenti quasi esclusivamente presso
attivisti di movimenti per la promozione di dialetti locali, talvolta con rivendicazioni ideologico-politiche
antiitaliane. Ancorché sporadica, la presenza del dialetto nella comunicazione spontanea in rete è inoltre di
particolare interesse poiché coinvolge prevalentemente le giovani generazioni, quelle meno propense alla
dialettofonia e allo stesso tempo quelle che giocano il ruolo più cruciale per il futuro del dialetto, e più in
generale per le tendenze in atto nella situazione contemporanea.

L’acquisizione del dialetto da parte delle giovani generazioni, va ricordato, è avvenuta nella maggior parte
dei casi non a livello di lingua materna ma, sia pure in modo frammentario e incompleto, al di fuori del
canale generazionale diretto: una funzione importante hanno esercitato i nonni e più in generale
l’ambiente circostante, nel quale il dialetto era (ed è ancora) diffusamente presente.

Il dialetto è soggetto inoltre all’influenza della lingua di prestigio con cui è stato per secoli in contatto. Il
processo di italianizzazione, di lunga durata, ha iniziato a intaccare la fonetica e la morfosintassi dei dialetti
italiani già nel Seicento, per poi arrivare a toccare più vistosamente il lessico. Nell’ultimo cinquantennio,
l’influsso dell’italiano sul dialetto pare non avanzare più nelle strutture del sistema linguistico (specie nella
morfosintassi), ma progredire più rapidamente e cospicuamente nel lessico. L’apporto lessicale massiccio è
certamente da ricondursi al moltiplicarsi di sfere semantiche (quelle della società, tecnica ed economia
moderne) per le quali i dialetti mancavano di risorse lessicali proprie (e l’italiano stesso è spesso debitore
dell’inglese; v. ad es. per “sito (internet)” il piemontese e lombardo sit, il genovese scitu, il siciliano situ; o i

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calchi semantici con valore di “cliccare”: sgnaché, lett. “schiacciare”, in piemontese; schiscià, lett.
“premere”, in lombardo; piché, lett. “battere, picchiare”, in genovese; eccetera).

Il dialetto, in conclusione, non mostra segnali evidenti di imminente estinzione, si mantiene anzi
stabilmente, soprattutto in alcune regioni, presso certe classi di parlanti e domini d’uso; resiste all’influsso
strutturale dell’italiano; e, benché non più indispensabile per i bisogni comunicativi della contemporaneità,
risulta funzionale e vitale come varietà aggiuntiva, parallela alla lingua nazionale. Anche in virtù del mutato
atteggiamento sociale nei suoi confronti, il dialetto, specie se alternato o frammisto all’italiano, compare
anche in ambiti d’uso per i quali fino a qualche tempo fa ne era difficilmente prevedibile l’impiego. Proprio
l’uso alternato con l’italiano nello stesso evento comunicativo rappresenta una delle principali tendenze
della situazione sociolinguistica contemporanea e pare configurarsi quale la principale forma di vita futura
del dialetto.

LEZIONE IX

ANALISI DEI REPERTORI LINGUISTICI

L'insieme delle varietà di lingua presenti in una comunità parlante, nel senso che sono utilizzate da almeno
un sottogruppo all'interno della comunità, costituisce quello che viene detto il REPERTORIO LINGUISTICO
(di quella comunità).

Le diverse varietà di lingua si collocano nel repertorio non paritariamente, tutte sullo stesso piano e
intercambiabili, ma occupando ciascuna un settore, una posizione particolare, e con un raggio di impiego e
funzioni diversi. A seconda del tipo di rapporto che si instaura fra le lingue o le fondamentali varietà di
lingua e della loro distribuzione negli usi e negli atteggiamenti, della comunità, sono stati individuati alcuni
tipi significativi di repertorio linguistico.

La prima distinzione che si fa in questo campo è basata sulla nozione di DIGLOSSIA. Per diglossia si
intendeva una situazione in cui in una comunità linguistica fossero presenti due fondamentali varietà di

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lingua ben distinte strutturalmente della quali l'una, ALTA (A), fosse impiegata dai membri della comunità in
tutte le funzioni alte, scritte, formali e l'altra, detta BASSA (B), fosse usata dai membri della comunità nella
conversazione ordinaria e fosse scarsissima la sovrapposizione di ambiti. (Esemplificata tipicamente nella
Svizzera tedesca).

In seguito la nozione di diglossia è stata estesa a ricoprire tutti i casi di compresenza di due sistemi
linguistici con almeno alcune differenze funzionali nelle abitudini della comunità parlante, sino ad arrivare a
concepire in termini di diglossia la stessa contrapposizione fra un registro formale e un registro informale
della stessa lingua. Si è parlato di diglossia anche a proposito dei repertori italo-romanzi medi, vedendo
l'italiano come varietà A e il dialetto come varietà B.

E' stato proposto un abbozzo di tipologia dei repertori sociolinguistici che vede QUATTRO CATEGORIE
FONDAMENTALI: oltre al bilinguismo sociale che vede due lingue distinte pienamente sviluppate ed
elaborate con ambito di uso analoghi e differenze funzionali ridotte e marginali, abbiamo: DIGLOSSIA,
DILALIA E BIDIALETTISMO.

Nello schema seguente sono indicate alcune delle principali proprietà che caratterizzano i tre diversi
repertori diglottici o tipi di rapporti diglottici:

La proprietà (a) riguarda il grado relativo di distanza e autonomia strutturale fra i due sistemi. Il
bidialettismo implica che si tratti di varietà sociogeografiche imparentate e strutturalmente molto vicine,
come i dialetti. Diglossia e dilalia quindi possono presupporre bilinguismo, in quanto presenza nella stessa
comunità di due sistemi chiaramente diversi.

In (b) è espresso un criterio fondamentale, che si riferisce alla funzione e presenza, o meno, di entrambi i
sistemi nel parlato ordinario della vita quotidiana. Nella diglossia, la varietà A non è normalmente mai usata
nella conversazione ordinaria, e così nel bidialettismo, dove viene fondamentalmente adoperata la varietà

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locale. Invece tratto definitorio della dilalia è appunto che sia la varietà A che la varietà B vengano usate,
concomitantemente o in alternanza, nel parlato quotidiano; la dilalia sembra il caso tipico del rapporto fra
lingua nazionale e dialetto nella situazione italo-romanza media: italiano e dialetto vengono entrambi
adoperati nella conversazione ordinaria.

La proprietà © riguarda la funzione di lingua come veicolo della prima educazione. Nella diglossia, B è la
lingua della socializzazione primaria; mentre nella dilalia succede il contrario, la lingua della socializzazione
primaria è la varietà A (oggi in Italia è rarissimo il caso di genitori che si rivolgano ai bambini in dialetto); e
nel bidialettismo possono essere presenti nella socializzazione primaria sia l'una che l'altra.

Infine la proprietà (d), che a prima vista può sembra in almeno parziale contraddizione con (b). Il fatto che
italiano e dialetto siano tutt'e due impiegati nella conversazione quotidiana non toglie che ci sia fra loro una
nettissima differenza di raggio d'azione e di funzioni svolte, e svolgibili, e che certi impieghi e domini siano
esclusivi dell'italiano. L'italiano è obbligatorio in certi domini, il dialetto non lo è mai.

Quindi, mentre va da sé che c'è una spiccata differenziazione funzionale nella diglossia (è tautologico), c'è
differenziazione funzionale evidente anche nella dilalia, in cui le funzioni di A e B sono solo parzialmente in
sovrapposizione. La differenziazione invece è molto meno evidente, o dubbia, nel dialettismo, dove il
ricoprimento funzionale fra le varietà pare piuttosto alto.

1. Esempi di diglossia:

 tedesco (A) e Schwyzertütsch (B) nella Svizzera tedesca;

 italiano (A) e dialetti italo romanzi (B) in Italia fino all'Ottocento (e anche oltre);

 francese (A) e creolo (B) a Haiti (ma oggi: promozione di B);

 arabo classico (A) e varietà locali di arabo (B) nei paesi arabi (ma oggi: promozione di B).

2. Esempi di dilalia:

 la maggior parte dell’area italo-romanza (comprese la Sardegna e il Friuli, e fatta eccezione per la
Toscana, Roma e ambienti urbani dell'Italia centrale), con italiano A e dialetto B;

 tedesco (A) e dialetti tedeschi (B) nel nord della Germania (ad eccezione delle grandi città, tendenti
al monolinguismo); tra neerlandese (A) e dialetti bassotedeschi (B) in Olanda.

3. Esempi di bidialettismo:

 in Inghilterra; nei centri urbani della Francia (in particolare nell'Île-de-France);

 in Grecia (dove il greco moderno parlato, dhimotikí, occupa ora tutti i domini d'uso);

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 e, per quanto riguarda l'Italia, in Toscana, a Roma e in ambienti urbani dell'Italia centrale.

BILINGUISMO SOCIALE

Si può anche avere un tipo di repertorio che non contempla una distribuzione funzionale gerarchica delle
lingue. A un repertorio di questo tipo ci si riferisce spesso con il termine bilinguismo sociale.

Esso consiste nella compresenza di due lingue diverse, adoperate senza differenziazione funzionale sia per
gli usi 'alti', in contesti scritti e formali, sia per gli usi 'bassi', tipicamente nella conversazione informale;
quindi con sovrapposizione generale dei domini d'impiego.

Un esempio tipico è quello della comunità di Montreal (Canada francofono), con bilinguismo sociale
francese/inglese (anche se solo i francofoni sono tendenzialmente bilingui); e, in ambito italo-romanzo,
quello della Valle d'Aosta, con bilinguismo sociale italiano/francese (anche se l'italiano è usato di fatto
molto più frequentemente del francese).

In molte situazioni di plurilinguismo i repertori sono più complicati, e per trattarli sono state sviluppate
categorie più complesse, quali "triglossia", a tre gradini con una varietà A, una M "media", e una B, e varie
specie di diglossie a diverse "caselle".

LEZIONE X

EVOLUZIONI DI REPERTORIO LINGUISTICO

DIGLOSSIA -> DILALIA

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La situazione italiana è anche un bell'esempio di evoluzione storica del tipo di repertorio: nel nostro paese
c'era infatti diglossia fra lingua standard e dialetto all'incirca fino alla seconda metà dell'Ottocento, quando
la lingua quotidiana parlata dalla gran parte della popolazione era il dialetto, e il dialetto era anche
tranquillamente parlato con i figli; essendo l'italiano per lo più riservato agli impieghi scritti e ufficiali. La
progressiva diffusione dell'italiano nel secolo XX a fasce sociali e a classi di situazioni in cui era usuale il
dialetto ha rappresentato un'invasione da parte della lingua standard dell'ambito parlato quotidiano, con
una ristrutturazione dei rapporti fra le varietà che ha condotto a una situazione appunto di dilalia.

L'evoluzione da diglossia a dilalia è in effetti uno dei modelli evolutivi facilmente possibili.

BIDIALETTISMO -> DIGLOSSIA

Un'altra evoluzione plausibile è dal bidialettismo a diglossia: che sembra ciò che è avvenuto all'inizio della
formazione delle lingue romanze (da varietà locali parlate del latino si sono formati i volgari romanzi, che
hanno vissuto un lungo periodo in regime di diglossia con il latino).

Si è avuto in epoca medioevale, quando le diverse varietà di Latino, si sono tramutate nei variegati dialetti.
(volgari romanzi).

Varietà geografiche di una stessa lingua -> diverse lingue

DIGLOSSIA -> BIDIALETTISMO

Un'altra evoluzione possibile ancora è quella opposta, dalla diglossia al bidialettismo, per avvicinamento o
convergenza delle varietà e sovrapposizione delle funzioni (come sembra stia avvenendo nella Grecia
Moderna, con promozione della varietà bassa).

Due lingue diverse -> La varietà A sparisce, mentre B sviluppa una varietà standard

TIPI DI LINGUE

LINGUA STANDARD

Una lingua standard è una lingua che ha una varietà standard (dove con varietà standard si intende una
varietà che dispone di una norma esplicitamente codificata e che vale come modello di riferimento
riconosciuto per l’uso corretto della lingua). Una lingua con una varietà standard è in grado di coprire la
gamma più vasta dei domini di impiego (si pensi soltanto, ad esempio, agli usi nei domini tipici

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dell'ufficialità). La varietà standard di una lingua ha inoltre un importante valore simbolico, di


identificazione unitaria.

DIALETTO

In una prima accezione, un dialetto è un sistema linguistico subordinato a una lingua standard con la quale
è strettamente imparentato, e in confronto alla quale ha una diffusione areale (e di conseguenza
demografica) più limitata. Un dialetto ha poi una propria storia e una propria struttura, diverse da quelle
della lingua standard. I dialetti italiani (piemontese, veneto, abruzzese, campano, salentino, siciliano, ecc.)
sono subordinati all’italiano, nel senso che i primi coprono gli usi ‘bassi’, propri di situazioni socialmente
non impegnative, mentre il secondo assolve agli usi ‘alti’, tipici di situazioni formali e pubbliche;
appartengono al ramo delle lingue romanze, come l’italiano, ma sono sistemi linguistici separati e
indipendenti da questo. Può accadere che, per ragioni culturali, letterarie, storico-politiche o economiche,
un dialetto venga progressivamente ad acquisire prestigio e così ad estendere e stabilizzare le proprie
funzioni agli usi ‘alti’; fino ad essere codificato come standard. A quel punto però il dialetto diventa esso
stesso una lingua standard; o, tout court, una ‘lingua’. Le differenze tra dialetto e ‘lingua’ sono infatti di
natura eminentemente sociale, o sociolinguistica, e non linguistica; riguardano cioè la posizione sociale che
un sistema linguistico occupa in una data comunità, e non la struttura di quel sistema linguistico.

In una seconda accezione, il termine dialetto identifica una varietà che risulti dalla differenziazione
geografica e sociale di una certa lingua per effetto della diffusione di questa in un territorio. È il caso, ad
esempio, delle varietà geografiche dell’inglese britannico e dell’inglese americano (derivanti queste ultime
dalla diffusione e dal consolidamento dell'inglese nelle varie aree degli Stati Uniti).

LINGUA MINORITARIA

Una lingua minoritaria è una lingua usata da una comunità di parlanti che si trovi in situazione di minoranza
demografica all’interno di uno stato, generalmente diversa dalla lingua ufficiale e/o comune di quello stato.
Generalmente, poi, una lingua minoritaria ha valore simbolico di identità etnica o culturale per la comunità
che la usa. Una lingua minoritaria è per lo più una lingua non strettamente imparentata con la lingua
ufficiale e/o comune dello Stato; tuttavia, può essere considerata lingua minoritaria anche una lingua che
sia in relazione di parentela genealogica con la lingua ufficiale (es. sardo e friulano in Italia, per motivi di
autonomia culturale, connessi al forte senso autoidentitario delle comunità parlanti che in esse si
riconoscono). In Italia esistono varie lingue minoritarie, alcune di queste riconosciute ufficialmente da
legislazioni locali o regionali sin dalla fine del secondo conflitto mondiale (il tedesco in Alto Adige/Südtirol, il
francese in Valle d’Aosta, lo sloveno in provincia di Trieste e Gorizia) e altre che sono venute a godere di
tutela giuridica soltanto molto più di recente (legge 482/1999 sulle Lingue e culture minoritarie in Italia -
permette l'uso di queste lingue in altri campi). Alcune lingue minoritarie si definiscono in relazione a entità
politico-amministrative di altra natura, e di scala inferiore, rispetto a quella di uno stato. È il caso, ad
esempio, delle cosiddette 'eteroglossie interne' in Italia, ovvero di quei dialetti italo-romanzi parlati in aree
geografiche nelle quali il dialetto di riferimento parlato nelle aree circostanti è, storicamente, un altro: il
tabarchino (varietà di dialetto ligure) a Carloforte e Calasetta (Sardegna), i dialetti galloitalici nella Sicilia
nord-orientale e nelle provincie di Potenza e Salerno.

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Abbiamo quindi 12 LINGUE MINORITARIE + 1 ZINGARA (non tutelata dalla legge 482/1999).

Possiamo parlare di tue tipologie di BILINGUISMO:

1. DI DIRITTO: quando la coesistenza viene tutelata giuridicamente (come nel caso delle dodici
minoranze).

2. DI FATTO: quando non è tutelata, al limite non riconosciuta (come le lingue di immigrazione e i
dialetti).

Le minoranze linguistiche possono insediarsi all'interno di un territorio per tre ragioni:

1. RIDEFINIZIONE DEI CONFINI (es. Tedesco)

2. IMMIGRAZIONE NON RECENTE (XIII-XVI Sec. / es. Albanese, dal XV secolo per via dell'espansione
dei turchi ottomani.

3. LINGUE NEOLATINE (es. Sardo e Friulano)

LINGUA DI IMMIGRAZIONE

Con lingua di immigrazione si intende una lingua la cui presenza in un certo territorio non è radicata
storicamente ma è dovuta a un apporto immigratorio recente. In Italia, ad esempio, è storicamente
radicata la coesistenza di italiano, dialetti italiani e lingue minoritarie, mentre è frutto di apporti recenti la
presenza di lingue di immigrazione quali arabo, romeno, albanese, cinese, eccetera.

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LEZIONE XI

Il problema dell'estinzione delle lingue è ovviamente di rilievo mondiale.

Quando una lingua si estingue e dev'essere considerata "morta"?

Pare intuitivo dire che una lingua è morta quando non ha più parlanti. Ma questo sposta il problema su che
cosa voglia veramente dire essere parlante di una lingua.

Che genere di competenze debbono avere i parlanti della lingua? Sembrerebbe opportuno sostenere
piuttosto che la morte di una lingua si ha quando tale lingua non ha più parlanti nativi, cioè che la
apprendano e la parlino dalla prima infanzia, come lingua della socializzazione primaria.

Il processo di decadenza e morte di lingua si avrebbe quando cessa la trasmissione generazionale diretta
della lingua, vale a dire quando i genitori non usano più quella lingua coi bambini piccoli.

Ma allora l'Irlandese Gallico è una lingua morta? anche se in Irlanda non è parlata è difatti lingua ufficiale.

Le lingue, anche se non hanno più parlanti nativi fluenti, possono essere ancora possedute almeno
parzialmente e con un grado di competenza ridotto dai cosiddetti semiparlanti (semispeakers) o parlanti
imperfetti. Ne consegue comunque che la vita effettiva di una lingua deve essere connessa all'esistenza di
un parlante nativo fluente, che è il solo a fornire reali occasioni di impiego di quella lingua.

La morte di fatto di una lingua pare dunque essere definibile contemporaneamente in termini di parlanti e
di situazioni d'uso: la presenza di parlanti nativi è la premessa perché vi siano situazioni d'uso funzionali e
spontanee, e tali situazioni d'uso permettono il mantenimento di un certo numero di frammenti del sistema
nei semiparlanti.

Il processo di "morte" di una lingua, si chiama PROCESSO DI REGRESSIONE (O OBSOLESCENZA) di una


lingua, e implica due aspetti:

1. PERDITA DI PARLANTI FLUENTI

2. PERDITA DI DOMINI D'USO (UFFICIALI E NON)

Questi due aspetti confluiscono in quella che per la lingua è una PERDITA DI VITALITA'.

La vitalità di una lingua può essere intesa in due modi:

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1. VITALITA' SOCIOLINGUISTICA (O ESTERNA)

2. VITALITA' LINGUISTICA (O INTERNA)

La 1. si sofferma sugli usi di quella lingua nella società ed in particolare sulla trasmissione generazionale.

( L'italiano, ad esempio, è vitale sociolinguisticamente, mentre dialetti e lingue minoritarie hanno una
vitalità di questo tipo molto meno forte. Nel Nord-Est dell'Italia questo è sempre più evidente).

La 2. invece riguarda il mantenimento delle caratteristiche strutturali. Una lingua vita tende a mantenere
queste caratteristiche. L'italianizzazione dei dialetti è un processo di non mantenimento delle proprie
caratteristiche. Tendono a perdersi (es. clitici soggetto, …)

INDICE UNESCO è un indice di riferimento per indicare il parametro di vitalità ( o "minacciamento") e


dipende da alcuni aspetti:

1. Trasmissione intergenerazionale

2. Numero assoluto di parlanti (di tutti i tipi)

3. Proporzione di parlanti rispetto alla popolazione totale di una comunità (essere in minoranza
demografica dipende dalla percentuale)

4. Perdita di domini d'uso

5. Uso in nuovi domini e nuovi media (es. i dialetti compaiono nei nuovi media questo è segno di
vitalità)

Ad ognuno di questi parametri è associato un voto da 1 a 5 e alla fine la media tra i cinque è il giudizio finale
sulla vitalità della lingua.

LINGUE DI IMMIGRAZIONE

Con lingua di immigrazione si intende una lingua la cui presenza in un certo territorio non è

radicata storicamente ma è dovuta a un apporto immigratorio recente. In Italia, ad esempio, è

storicamente radicata la coesistenza di italiano, dialetti italiani e lingue minoritarie, mentre è

frutto di apporti recenti la presenza di lingue di immigrazione quali arabo, romeno, albanese,

cinese, eccetera.

Distinguiamo tra:

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1. BILINGUISMO ENDOGENO: dovuto alla compresenza di più lingue radicate storicamente

2. BILINGUISMO ESOGENO: dovuto al frutto di apporti immigratori recenti

È frequente che la compresenza di lingue a livello statale dia luogo a conflitti e lotte non solo culturali, ma
politici, e a volte addirittura a terrorismo e a guerre.

Due esempi diversi di conflittualità linguistica collegata al bilinguismo nell'Europa a noi vicina sono i casi
della Spagna e del Belgio.

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In Spagna, o meglio in Catalogna, il catalano, dopo esser vissuto come "lingua sommersa" nei lunghi
decenni del franchismo, è diventata finalmente lingua ufficiale, al pari del castigliano, a chiusura di una
serie di rivendicazioni e conflitti che a tutt'oggi non sono tacitati.

Il Belgio costituisce invece un esempio di stato multilingue basato sul principio di territorialità, ma con un
certo ammontare di separatismo fra le varie componenti. Il Belgio è oggi uno stato federale composto da
tre unità distinte: la Vallonia, francofona, le Fiandre, di lingua fiamminga, e la regione di Bruxelles, bilingue
francese-fiammingo; e con tre lingue ufficiali, il francese, il nederlandese e il tedesco, i cui parlanti spesso si
guardano un po' in cagnesco.

CONTATTO LINGUISTICO

Due lingue possono entrare in contatto per diverse ragioni: sono padroneggiate da uno stesso parlante,
risiedono all'interno di una stessa comunità o comunque quando si presenta una qualche sorta di
compresenza.

Cosa succede quando due lingue entrano in contatto?

1. CONTATTO NEL DISCORSO, uso di più lingue in una certa situazione comunicativa, dove vengono
mantenute le proprie caratteristiche. Si tratta di FENOMENI DI COMMUTAZIONE DI CODICE e
possono presentarsi secondo TRE SITUAZIONI.

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3.

italiano/dialetto siciliano

mi dice ca idda avi bisogno della pulizia del viso

["che lei aveva"]

2. CONTATTO NEL SISTEMA, avviene un contatto nelle strutture del sistema linguistico.

Può presentarsi:

 PRESTITO (4)

 INTERFERENZA (5) (6)

La differenza sta nl passaggio di materiale linguistico oppure no.

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LEZIONE XII

LINGUE DI CONTATTO

Contesti estremamente plurilingui e frammentati sono anche il terreno ideale di coltura per la formazione
di lingue di contatto e di lingue miste, e per la pidginizzazione e formazione di lingue pidgin. Le lingue di
contatto sono spesso varietà rudimentali, semplificate o interlingue approssimative di una delle lingue
materne dei gruppi che sono in contatto o di un'altra lingua che funge da lingua franca.

Uno di questi esempi può essere considerato il Fremdarbeiteiterilalienisch "italiano dei lavoratori stranieri",
rintracciato negli anni Ottana del Novecento nei centri urbani della Svizzera germanofona. Si tratta di un
insieme di varietà di italiano con fenomeni di semplificazione, interferenza dal tedesco e parziale
ristrutturazione, utilizzata in diversi ambienti lavorativi come lingua veicolare d'occasione fra lavoratori
stranieri immigrati di diversa provenienza e fra questi e i loro colleghi di origine italiana. Una certa
conoscenza dell'italiano era abbastanza diffusa presso i compagni di lavoro e i superiori svizzeri; e nel
periodo in cui si è formata questa varietà i lavoratori italiani rappresentavano la comunità immigrata di
maggior consistenza numerica.

Ecco un esempio:

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Si notino infatti: l'uso dell'infinito sovraesteso come forma verbale non marcata ("settanta persone
lavorare"), l'uso incerto delle marche flessionali e di accordo nel sintagma nominale ("queste Fabrik", due
jugoslavo, sei svizzero), la cancellazione di preposizioni e articoli e la presenza del prestito lessicale dal
tedesco "Fabrik". In questo brano compare anche un tratto molto caratteristico di tale varietà: l'impiego di
"de" come ARTICOLOIDE, vale a dire come un sostituto dell'articolo col valore di marca di definitezza del
sintagma nominale, che configura un fenomeno di ristrutturazione grammaticale delle forme della lingua
che fa da input; un tratto dell'insorgere dei tratti pidginizzanti.

LINGUE MISTE

In situazioni di contatto molto intenso fra due lingue, in cui vengano ad un certo punto meno le ragioni
esterne del contatto, possono crearsi delle vere e proprie lingue miste. Lingua mista è un termine tecnico
assai specifico, va riservato a quei casi in cui si sia formata una nuova lingua con la fusione grammaticale e
lessicale di due lingue preesistenti. E' il caso della MEDIA LENGUA, parlata nell'Ecuador Centrale da un
migliaio di parlanti nativi, derivata dalla fusione tra spagnolo, lingua coloniale, e quechua, lingua indigena.

(8) media lengua: unu faburta pidingabu binixuni “vengo a chiedere un favore”

(cfr. spagnolo: vengo para pedir un favor

In Media Lengua abbiamo radici lessicali dello spagnolo con morfologia e grammatica quechua. Tutte le
radici lessicali delle quattro parole della frase sono infatti prese dallo spagnolo: un-, fabur-, pidi-, bini-.

Invece la morfologia flessionale e l'ordine dei costituenti sono del quechua, lingua agglutinante con sistema
di casi: il verbo è in posizione finale di frase.

Un altro esempio è il "michif" (Canada e Nord Dakota), ove la grammatica e il lessico viene spartita in base
alla tipologia del sintagma, se verbale prende dal cree, se nominale prende dal francese.

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PIDGIN

Un pidgin nasce per adempiere alla comunicazione tra gruppi di parlanti con lingue materne diverse,
tipicamente in situazioni migratorie o coloniali; in particolare nasce per soddisfare bisogni comunicativi
essenziali, per lo più relativi a rapporti di lavoro o di commercio oppure dettati da questioni di
sopravvivenza, e in cui quindi l’input linguistico è assai ridotto. Un pidgin presenta fenomeni pervasivi di
semplificazione, ristrutturazione, rianalisi e rielaborazione strutturale con grammaticalizzazione; fenomeni
che ne rendono la grammatica autonoma e ben diversa da quella delle lingue di partenza (questo è anche il
carattere principale che distingue un pidgin da una lingua mista). Il lessico di un pidgin, invece, è
fondamentalmente di provenienza dell’esolingua; la lingua da cui proviene la maggior parte degli elementi
lessicali è detta ‘lingua lessicalizzatrice’ (lexifier language; spesso anche ‘lessificante’). Un pidgin non ha
parlanti nativi, non è per definizione lingua materna di alcun gruppo di parlanti. Col tempo, tuttavia, può
essere trasmesso come lingua materna presso una comunità di parlanti; quando ciò accade, un pidgin si
sviluppa in un creolo.

Un esempio di pidgin (oggi in via di creolizzazione) è il Tok Pisin (che è parlato in Papua

Nuova Guinea e ha l’inglese come lingua lessicalizzatrice):

1. pikinini man i kauntim buk long haus bilong mipela

“il bambino legge un libro/libri nella nostra casa”

Man, buk (book), long, haus (house),bilong (belong). Ma mentre man, buk e haus conservano i significato
che ci aspetteremmo, rispettivamente, long e bilong hanno subito un radicale stravolgimento: l'aggettivo e
avverbio long è diventato una preposizione con valore locativo, e così è diventato anch'esso una
preposizione, col valore di possesso e di relazione corrispondente a "di", il verbo belong "appartenere". E' il
fenomeno appunto noto come GRAMMATICALIZZAZIONE.

CONTATTO SELVAGGIO

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Un esempio macroscopico dei possibili esiti di un contatto selvaggio di sistemi linguistici è questo
messaggio. Si tratta del testo di un biglietto di aiuto scritto dall'alpinista Reinhool Messner (di lingua
materna tedesca) in una situazione di estrema emergenza e di drammatico coinvolgimento emotivo. Ne
risulta un inglese molto rudimentale, ai limiti della comprensibilità, mescolato con elementi provenienti dal
tedesco e dall'italiano, e francese e con neoforme occasionali.

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