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OPERE:
CRITICA A PLATONE:
SISTEMA DELLE SCIENZE (= connessione dei diversi tipi di conoscenza, che corrispondono
ai diversi ambiti della realtà):
Aristotele chiama “filosofia prima” la scienza che si occupa dell’essere in quanto essere (on
héi on), perché la considera preliminare alle altre scienze. La “filosofia prima”, infatti, non si
occupa di un ambito particolare della realtà, ma della realtà in generale, cioè delle
caratteristiche che sono comuni a tutte le cose che esistono1. La “filosofia prima” è stata
chiamata in seguito “metafisica”, termine che sottolinea che essa si occupa delle
caratteristiche che stanno al di là del mondo fisico, nel senso che non sono direttamente
percepibili con i sensi. La “metafisica” è detta infine anche “ontologia” (studio dell’essere in
quanto essere), e culmina nella “teologia” (studio dell’ente sommo, da theos = dio).
Aristotele sostiene che “l’essere si dice in molti modi”, cioè esso ha diverse configurazioni e,
corrispondentemente, diversi significati: essi sono le categorie, di cui la più importante è la
sostanza.
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nella realtà tutto diviene, cioè cambia, muta, “si muove”. Per spiegare ciò che accade, ossia
per comprendere la realtà, bisogna dunque spiegare il movimento, cioè risalire alla sua causa.
In ogni movimento è possibile distinguere la cosa “mossa” (ciò che muta, l’effetto) dal
“motore” (ciò che provoca il mutamento, la causa). Una stessa cosa, a seconda dei punti di
vista adottati, può essere sia “motore” (causa di un certo effetto), sia “mossa” (effetto di
un’altra causa): per es. i genitori di un bambino sono “motori” perché sono la causa del loro
figlio, ma a loro volta sono “mossi” perché sono l’effetto dei propri genitori (i nonni del loro
figlio). Ora, se non si ammettesse l’esistenza di qualcosa che è solo “motore” (causa), senza
essere a sua volta “mosso” (effetto), si cadrebbe in un “regresso all’infinito” 2. Ciò che è solo
motore senza essere a sua volta mosso è un motore “immobile”, chiamato anche motore
“primo” perché è ciò da cui si origina ogni altro movimento. Aristotele identifica il motore
“primo” e “immobile” con Dio, ossia con un essere perfetto.
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Invece le altre scienze si occupano di ambiti particolari della realtà, per es. la matematica si occupa dell’essere
in quanto quantità (ossia prende in esame gli aspetti quantitativi di ciò che esiste, che possono essere espressi
attraverso le figure geometriche e i numeri), la biologia si occupa dell’essere in quanto vivente (ossia prende in
esame l’aspetto della vita, cioè esamina gli esseri viventi), ecc.
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Per i Greci il “regresso all’infinito” va assolutamente evitato perché esso comporta l’impossibilità di dare una spiegazione
definitiva a qualcosa, in quanto implica il fatto che non esiste una causa ultima, ossia una causa che non abbia a sua volta
bisogno di qualcos’altro per essere spiegata.
2
Essendo “immobile” esso è atto puro e forma pura. Infatti il movimento è il passaggio
dalla potenza all’atto, ossia il passaggio dalla materia alla forma. Il motore primo è
immobile perché in esso non c’è questo passaggio, cioè non c’è potenza che non sia già
passata all’atto, e non c’è materia che non sia già passata nella forma.
Inoltre, essendo atto puro, esso è perfetto, ed essendo forma pura esso è sostanza
immateriale, cioè pensiero.
Dato che il motore primo immobile è perfetto, il suo pensiero non può rivolgersi a cose
imperfette, ma può rivolgersi solo al motore primo immobile stesso, che è la perfezione
assoluta. Ne segue che il motore primo immobile pensa se stesso, è “pensiero di
pensiero”.
Per Aristotele esistono tanti motori immobili quante sono le sfere celesti, perché il
movimento di ciascuna sfera celeste deve essere causato da un motore immobile differente.
Tuttavia Aristotele considera il motore immobile del primo cielo come il più importante,
perché dal movimento del primo cielo dipende quello delle altre sfere celesti. Dunque
Aristotele tende a parlare di Dio soprattutto in riferimento al motore immobile del primo
cielo, e a definire questo motore immobile come “primo”. Per questo gli interpreti di
Aristotele dicono che nel suo pensiero si può individuare un politeismo tendente verso il
monoteismo, sebbene ci siano fondamentali differenze tra l’aristotelico motore primo
immobile e il Dio del monoteismo ebraico-cristiano (per es. il Dio dell’ebraismo e del
cristianesimo crea il mondo dal nulla e agisce in esso come provvidenza amorevole, mentre il
motore primo immobile si limita a ordinare il mondo che non ama, in quanto muove il mondo
solo come causa finale).
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LA FISICA:
Innanzitutto Aristotele fa una classificazione generale di tutto ciò che è in: 1. non viventi; 2.
vegetali; 3. animali. A questo punto l’oggetto di indagine della fisica è il DIVENIRE che egli
cerca di spiegare introducendo la distinzione, anzi il passaggio
potenza atto
Per capire questo passaggio bisogna vedere come Aristotele pensa il tempo 3. Egli lo definisce
come il “numero del movimento secondo il prima e il poi”, cioè misurazione del cambiamento
(per Aristotele movimento = cambiamento, mutamento, divenire). Per Aristotele il tempo ha
due condizioni:
Secondo Aristotele il mutamento è il passaggio dalla potenza all’atto, cioè il processo secondo
cui la materia di una certa cosa assume la forma propria a quella cosa (ad esempio un certo
tipo di seme si realizza pienamente nel diventare una determinata pianta, un feto si realizza
pienamente nel diventare un uomo). A differenza della materia le forme sono eterne, cioè
sono fuori dal tempo. Siccome i generi e le specie sono forme (cioè sostanze, essenze),
Aristotele non ammette un’evoluzione dei generi e delle specie (ad esempio per Aristotele la
specie “uomo” non sarebbe il risultato della evoluzione di animali più elementari come le
scimmie4).
Da quanto detto risulta che la fisica aristotelica è “qualitativa” perché spiega il divenire del
mondo naturale come una progressiva realizzazione della forma delle cose, che è detta anche
“qualità essenziale” (“forma” è uno dei nomi di ciò che Aristotele intendeva con sostanza).
Siccome la forma è il fine a cui tende il divenire, e “fine” si dice in greco “ télos”, la fisica
aristotelica dà una spiegazione “teleologica” del mondo naturale, cioè è una disciplina che
studia il divenire delle realtà naturali dalla prospettiva della finalità per la quale ogni cosa
esiste.
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La concezione aristotelica del tempo è detta comunque concezione “oggettiva” del tempo, e sta alla base del
concetto di tempo adoperato nella scienza della natura. La concezione opposta, cioè la concezione “soggettiva”
del tempo, detta anche del tempo “interiore”, è stata introdotta nel V secolo da S. Agostino. Agostino definisce
il tempo “distensio animi” (= distensione dell’anima, sviluppo della vita interiore nel ricordo delle cose passate,
nell’attenzione alle cose presenti, nell’attesa delle cose future).
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La teoria biologica secondo cui i generi e le specie non si evolvono si chiama “fissismo” (in base a essa l’uomo è
sempre stato così, non deriva da un essere simile alla scimmia e non si svilupperà nel corso dei secoli). La teoria
biologica opposta, secondo cui i generi e le specie si evolvono, si chiama “evoluzionismo”, ed è stata introdotta
nel 1800 da Charles Darwin.
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La fisica moderna, che si affermerà con Galileo nel 1600, è detta invece “quantitativa” perché
esamina solo gli aspetti quantitativi dei fenomeni naturali, cioè quegli aspetti della natura che
sono misurabili ed esprimibili attraverso leggi matematiche. La fisica moderna non dà una
spiegazione teleologica, ma offre una spiegazione “meccanicistica” della natura, cioè non si
chiede per quale fine accadono i fenomeni naturali, ma si chiede in base a quale legge
accadono, e li spiega attraverso la categoria di causa-effetto, cioè sostiene che delle quattro
cause aristoteliche l’unica che ha importanza scientifica – cioè che consente una conoscenza
certa della realtà naturale – è la causa efficiente 5.
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5
La scienza moderna è detta “riduzionistica” perché: 1. delle quattro cause aristoteliche mantiene solo quella
efficiente; 2. si concentra solo sugli aspetti quantitativi della realtà, tralasciando quelli qualitativi. La scienza
moderna offre dunque una descrizione “riduttiva” della realtà, che però le consente di conoscere attraverso
leggi matematiche e di operare sulla natura a vantaggio dell’uomo. Per questo Bacone, nel 1600, dirà: “Sapere è
potere” = la conoscenza ha sempre il fine di operare sulla natura a vantaggio dell’uomo. Invece per Aristotele e
per i Greci la conoscenza non aveva una finalità pratica immediata, e le scienze teoretiche avevano come unico
fine la conoscenza disinteressata della realtà.
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Il pensare per Aristotele significa astrarre la forma intelligibile (es. il concetto di cavallo) da
qualcosa di percepito (il cavallo concreto). Dalla percezione si creano in noi immagini che la
facoltà dell’immaginazione conserva e associa. Poi subentra l’intelletto che astrae dalle
immagini della forma sensibile una forma intelligibile.
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LA LOGICA:
“Logica” non è una parola usata da Aristotele, che chiamava quella che noi chiamiamo “logica”
con “organon”. Infatti per Aristotele la logica è lo strumento (“ organon”) della conoscenza
alla base di tutte le scienze, perché studia le leggi universali del ragionamento. Per questo la
logica, secondo Aristotele, non è una scienza, ma è preliminare a (presupposta da) tutte le
scienze.
Aristotele distingue la VERITA’ di ciò che viene espresso dalla sua VALIDITA’ (che non
dipende dal contenuto, ma dalla forma in cui è espresso). La verità consiste nella
corrispondenza di quanto è pensato e detto con la realtà; la validità consiste nella
correttezza del ragionamento e del discorso.
1. categorie
2. proposizioni
3. sillogismo e dimostrazione
Aristotele enumera 10 CATEGORIE, che sono gli aspetti secondo cui è organizzata sia la
realtà, sia il pensiero, sia il linguaggio (coincidenza di ontologia e logica). Esse sono: sostanza,
quantità, qualità, relazione, luogo, tempo, posizione, avere, agire, patire.
La “sostanza prima” è ciò che è autonomo, cioè ciò che non ha bisogno di nient’altro per
esistere e per essere pensato. Essa può essere solo soggetto logico di predicati e soggetto
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reale di proprietà, mai predicato. Invece la “sostanza seconda” non può esistere, né essere
pensata se non in riferimento alla sostanza prima, di cui rappresenta una caratteristica
permanente o un ambito in cui la sostanza prima rientra. Sostanze seconde sono i generi e le
specie (per esempio: l’individuo Marco fa parte del genere “animale” e della specie
“razionale”).
Per sintetizzare, possiamo allora dire che Aristotele dà alla parola “sostanza” i tre
seguenti significati:
Dunque per Aristotele “sostanza” in senso lato è il sinolo (forma e materia), in senso
stretto è solo la forma (che è ciò che caratterizza la materia in quanto propria di un
individuo, diverso da tutti gli altri).
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Dopo aver parlato delle categorie, Aristotele si pone il problema del LINGUAGGIO e delle
PROPOSIZIONI. Il linguaggio per Aristotele è un’invenzione dell’uomo, nel senso che le
parole (gatto, piatto, sole) non sono fin dall’inizio legate agli oggetti che attraverso di esse
noi denominiamo, però noi le inventiamo per creare un collegamento tra l’oggetto esterno di
cui facciamo esperienza (ad esempio un gatto) e il contenuto mentale che si trova nella nostra
mente (ad esempio il concetto di gatto): possiamo perciò dire che le parole sono simboli
convenzionali che collegano realtà esterne e contenuti mentali, che invece hanno tra di loro un
rapporto di corrispondenza naturale.
Le parole, se contengono sia un soggetto sia un verbo, formano una proposizione, cioè
un enunciato. La logica aristotelica si occupa solo delle proposizioni “apofantiche” o
“dichiarative”, cioè delle proposizioni che affermano o negano qualcosa, per cui possono
essere vere o false (dunque non si occupa delle proposizioni che esprimono desideri,
preghiere, comandi ecc.).
Le proposizioni apofantiche non sono tutte uguali: ci sono quelle che affermano (affermative:
“Socrate è ateniese”), quelle che negano (negative: “Socrate non è siracusano”), le universali
(“tutti gli uomini sono bipedi”), le particolari (“qualche uomo è creativo”), e le singolari (“Mario
è ateniese”).
Infine le proposizioni possono essere: contrarie (per cui se una è vera quella opposta è
falsa), contraddittorie (se una proposizione universale è vera quella particolare non può
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essere falsa: “tutti gli uomini sono bipedi”, “qualche uomo non è bipede”), subalterne (“tutti
gli uomini sono bipedi” “qualche uomo è bipede”).
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Le premesse e la conclusione sono delle proposizioni. La verità del sillogismo dipende dalle
premesse: esso è vero se le premesse sono vere. Assolutamente veri sono i principi primi.