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CAPITOLO I
Livio Andronico
Il primo autore della letteratura latina è Livio Andronico. Egli viene
scelto come precettore dei figli di Livio Salinatore e, proprio in ragione
di questo privilegio, fu affrancato, divenne liberto e conservò la sua
origine nel nome “Andronico”, acquistando il nome del suo padrone
“Livio”, appartenente alla gens Livia. In quanto schiavo bilingue, a lui
viene attribuito il compito l’incarico di comporrte un testo lirico (una
carmen) di carattere propiziatorio in prossimità di un’importante
battaglia che Roma doveva combattere (Battaglia del Metauro, 207
a.C.) combattuta da Livio Salinatore contro Asdrubale. Far ciò era
molto importante in quanto poco prima della battaglia si erano
verificati molti prodigi che sembravano indicare l’ostilità degli dei
rispetto a questa battaglia. Livio dice che il Tevere si insanguinò, si
squarciò il cielo e, pertanto, gli fu chiesto di comporre un carmen
propiziatorio, dedicato a Giunone, con formule magiche e di
invocazione e la magia risiede nella sonorità di questo. Questo canto,
infatti, prevedeva che ci fossero ventisette ragazze divise in tre cori.
Per aver composto questo carmen propiaziatorio ed espiatorio, Livio
Andronico ricevette come premio la dirigenza del Collegium scribarum
historiumque di drammaturghi, nel tempio di Minerva, sul colle
dell’Aventino.
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stesse. Di qui la scelta delle espressioni. A Livio si attribuiscono anche
tragedie ispirate al mito classico.
CAPITOLO II
NEVIO
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Dal punto di vista storico e culturale, Nevio inquadra una figura di
intellettuale diversa in quanto egli è civis e, pertanto, partecipa
attivamente alla vita politica e militare, combattendo nella I Guerra
punica, della quale si ricordano le date principali:
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frammenti e titoli di tragedie ispirate a quelle di Euripide (che sviluppa
una particolare attenzione riservata alla condizione umana, non a
quella dell’eroe), Eschilo e Sofocle.
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appartenenti al mondo italico all’interno di commedie di tradizione
greca. Questa tecnica comporta la convergenza di cose diverse rivelanti
la profondità della cultura greca e l’aderenza al tessuto autocnono. Da
questo momento gli autori di teatro cominciano ad applicare la
convergenza di modelli diversi nella stessa opera. La commedia in cui
abbiamo maggiormente tutto ciò è la Tarentilla, la cui importanza
risiede nel fatto che la ragazza protagonista volubile, ma ciò che è
realmente importante è il rendere netta la distinzione tra codice di
comportamento etico acquisito dai Greci e codice di comportamento
educato ai valori del mos. La prima forma è blanda, permissiva, mentre
la seconda è rigorosa. Tale commedia rientra tra le fabulae palliatae. La
trama è ricostruita sommariamente: due giovani lasciano la città in
compagnia di due schiavi per andare a godersi la vita a Taranto. Qui
entrambi sperperano il denaro in bagordi: sono innamorati di una
ragazza di facili costumi, la tarentilla. Arrivano, poi, i rispettivi padri,
che li ammoniscono severamente, esortandoli a tornare sulla retta via.
Il Poema Epico
Nevio decide di andare incontro alle esigenze del popolo romano, dal
momento che in questo modo veniva affidato un fondamento mitico
all’origine di Roma. La seconda ragione era quella di celebrare la
supremazia di Roma mettendo in luce un nuovo profilo eroico dei
soldati. Egli, infatti, attribuisce loro, oltre alla virtute, pietas e con la
medesima attenzione stigmatizza i comportamenti scorretti (disprezzo
e viltà), Altro valore che egli introduce è la dimensione religiosa del
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personaggio, caratterizzante, nello specifico, l’animus religiosus di
Anchise, il padre di Enea, identificato solo qui come aruspico, ossia
conoscitore attento dei presagi e dei prodigi. Una caratteristica
particolare risiede nel fatto che, in Nevio, Anchise arriva con Enea fino
alle coste del Lazio, mentre, in Virgilio, muore in Sicilia e a lui vengono
dati onori funebri. Quarto motivo è la scelta di parlare si storia
contemporanea, perché la I Guerra punica permetteva di riconoscere la
grandezza espansionistica di Roma e le permetteva di beneficiare della
cultura e delle ricchezze portate come bottino di guerra.
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Ultimo aspetto è la scelta di un tema storico recente.
CAPITOLO III
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ENNIO
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CAPITOLO VIII
Sallustio
De Catilinae coniuratione
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Sallustio nel 43 a. C. scrive una monografia che ricostruisce nella sua
interezza la congiura di Catilina, fino alla descrizione della battaglia di
Pistoia avvenuta nel gennaio 62, durante la quale trovò la morte
Catilina stesso; l’opera strutturalmente si compone di 61 capitoli,
preceduti da un Proemio e inframezzati da digressioni (excursus) e
discorsi.
Dopo aver affrontato queste riflessioni nei primi 2 capitoli, nei capitoli
3 - 4 Sallustio chiama in causa l’esperienza dell’intellettuale e nello
specifico dello storiografo, rivendicandone la dignità letteraria e
mettendo in evidenza la difficoltà soprattutto di far corrispondere
l’attendibilità delle cose scritte dallo storiografo alla verità delle cose
realmente accadute, alla verità della storia. Nel parlare di sé in prima
persona, Sallustio ripercorre l’esperienza personale, ammettendo egli
stesso di essere stato tentato, suo malgrado, dall’avidità, dalla
sfrenatezza che dilagavano nel tessuto morale di Roma. La scelta di
scrivere, di dedicarsi all’attività letteraria, piuttosto che partecipare
direttamente alla realtà storica, preferendo, quindi, l’otium al
negotium, è dettata da ragioni precise. Egli afferma di dedicarsi alla
scrittura letteraria, per poter meglio seguire gli eventi della storia
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contemporanea da una posizione di distanza, in modo da garantire
maggiore autonomia e lucidità di giudizio. Pertanto egli espone il
proprio intendimento letterario di coltivare l’otium litterarium che non
consiste nella vita inoperosa e oziosa, ma nel dedicarsi alla scrittura
letteraria che richiede, per risultare oggettiva e corretta, l’essere
lontano dal coinvolgimento ideologico della vita politica. Poi
l’attenzione diventa più analitica, perché chiama in causa la congiura e
il personaggio, indicando il proprio intendimento e le ragioni della
scelta; innanzitutto Sallustio rivendica l’esigenza di oggettività, fedeltà
storica e di concisione narrativa. Egli sostiene di aver scelto questo
argomento degno di essere ricordato per il carattere rivoluzionario
dell’azione che assunse la gravità di un crimine e per l’atmosfera di
pericolo che si diffuse. Per quanto riguarda il profilo di Catilina,
relativamente ai suoi comportamenti, ritiene necessario spiegarne solo
pochi, al fine di far parlare i fatti, evitando in tal modo di esprimere
giudizi a priori.
Il Ritratto di Catilina
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in rapinae, con cui si allude alle spoliazioni compiute proprio da
Catilina durante le proscrizioni sillane negli anni 83-81, in conflitti
interni che avevano intorpidito l’atmosfera di Roma.
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Cicerone era rimasto impressionato dalla capacità di resistenza di
Catilina e lo dichiarò apertamente nella Prima Catilinaria; inoltre
Sallustio riconosce a Catilina discreta capacità dialettica (satis
eloquentiae) e persuasiva, capacità che effettivamente Catilina
dimostra di possedere, riuscendo a convincere i suoi uomini a
pianificare l’azione sovversiva della congiura. Persino la volubilità di
Catilina presuppone intelligenza versatile nel saper modellare i
comportamenti a seconda del volgersi degli eventi e delle situazioni.
Quindi fra le pieghe del discorso, nei continui accostamenti fra vizi e
virtù, traspare la vitalità di un uomo straordinario, dominato dalle
passioni, complesso e ambiguo.
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partire dalla sua fondazione, fino alla fine delle Guerre puniche;
Sallustio evidenzia come nel corso della storia sempre all’affermazione
del potere e dell’opulenza abbiano fatto seguito invidia e maggiore
avidità, ma soprattutto nei capitoli 10-13 l’attenzione sulla storia
repubblicana porta a riflessioni ulteriori.
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all’effetto emotivo delle sue parole, per ottenere consenso dai suoi
seguaci, cui ricorda le precedenti occasioni in cui la fides ha
rappresentato elemento di forza.
Il Ritratto di Sempronia
Sallustio presenta questi aspetti del profilo di Sempronia nei primi due
paragrafi del capitolo e, ad apertura del terzo, indirettamente
sottolinea l’inadeguatezza del comportamento della donna rispetto ad
uno statuto antropologico codificato di matrona romana e
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rappresentato da precisi paradigmi morali quali la decus e la pudicitia.
Sempronia non aveva certo alcun riguardo di questi valori, né del
proprio buon nome e infatti Sallustio dice che non era facile (haud
facile) stabilire se avesse più cura del denaro o della sua buona
rinomanza. Certamente in questo caso è usata la litote con un
intendimento molto incisivo; questa figura retorica è scelta per
rimarcare la corruzione di Sempronia e, proprio a partire dal terzo
paragrafo, Sallustio stigmatizza la depravazione del personaggio in
modo perentorio e soprattutto individua come motivazione del suo
comportamento l’amore per il lusso e la condizione di ristrettezza del
suo patrimonio.
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con la rappresentazione di una donna colta che sapeva tener viva la
conversazione nei salotti dell’alta società romana con garbo e
spigliatezza e che si distingueva per raffinatezza di modi. Sallustio non
può tacere quei tratti della personalità di Sempronia che le
assicuravano consenso e favore.
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Capitoli 37-39: Sallustio introduce la seconda digressione (excursus) sui
motivi della degenerazione della vita politica a Roma e sulle condizioni
che hanno facilitato l’attività eversiva di Catilina Questo secondo
excursus, collocato nella parte centrale dell’opera, evidenzia con tono
perentorio la degenerazione progressiva della vita politica romana nel
periodo che si estende dalla dominazione di Silla alla guerra civile fra
Cesare e Pompeo. La condanna morale chiama in causa con eguale
responsabilità sia i populares, sia la nobilitas; i primi si comportano da
demagoghi e con elargizioni e varie promesse rivolte alla plebe, ne
sollecitano la partecipazione violenta, per ottenere solo sostegno, e gli
esponenti della nobilitas rivendicano a parole la dignitas del Senato e si
adoperano con ogni mezzo per consolidare i propri privilegi.
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Capitoli 53-54: Sallustio, dopo aver riportato i Discorsi di Cesare e
Catone, introduce un parallelo fra i due e a Cesare attribuisce
generosità e moderazione, rispettivamente munificentia et
mansuetudo, e a Catone riconosce fermezza nel pensiero e dignità nel
comportamento, rispettivamente integritas et dignitas.
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viene ripreso nei capitoli centrali della monografia in cui si denuncia a
Roma la venuta di uomini caduti in disgrazia e senza scrupoli.
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Catilinae si identificano il ritratto di Catilina, di Cesare e di Catone e il
ritratto di Sempronia, donna di valore che partecipò attivamente alla
congiura; nel Bellum Iugurthinum, oltre al ritratto di Giugurta, è
significativo il ritratto di Mario, come emblema di homo novus al
potere.
De Bello Iugurthino
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si dovesse ricercare nella corruzione dei comandanti romani: i
comandanti romani si erano venduti al nemico.
Nella parte finale dell’opera (82-114) entra in scena Mario, homo novus,
esponente dei populares il quale, in ragione di tutti gli scandali, si
mostra capace di prevalere sull’arroganza della nobiltà, è eletto console
e sostituisce Metello nel comando della guerra. Mario porta a termine
la guerra, ma ciò avviene grazie all’intervento di Silla: è proprio grazie
alla sua astuzia subdola che Giugurta cade in un’imboscata e viene
catturato. Giugurta muore in carcere a Roma, ma Sallustio di questo
non parla.
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incarichi, quali magistrature, comandi militari e forme di
partecipazione alla vita pubblica. Tuttavia il tessuto morale di Roma è
lacerato da degenerazione, intrighi, complotti e soprattutto da
corruzione e avidità anche fra i Senatori. Pertanto la scelta di dedicarsi
alla scrittura letteraria e alla storiografia nasce dalla consapevolezza di
giovare molto più attraverso l’attività letteraria, vivendo lontano dalla
vita politica, piuttosto che partecipandovi. Sallustio indugia nel
considerare la situazione di decadenza come processo invasivo e
progressivo che investe tutte le categorie sociali. Anche gli homines
novi che attraverso la virtù e il merito riuscivano a superare i nobili,
ora accedono a cariche militari e civili ricorrendo a intrighi e violenze
di ogni tipo.
Infatti, alla morte di Massinissa, pur essendo stato diviso il potere fra i
suoi tre figli Gulussa, Mastanabale, padre di Giugurta, e Micipsa, di
fatto divenne sovrano solo Micipsa, padre di Aderbale e Iempsale.
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Giugurta era stato escluso da ogni diritto di successione, perché nato
da una concubina.
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del popolo romano e, invece, furono uccisi; anche Aderbale si era già
arreso e confidava pertanto nell’incolumità e, invece, fu giustiziato.
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Da questo discorso emerge la configurazione della nobiltà non come
classe sociale, ma come categoria antropologica costituita da uomini
corrotti, veri e propri criminali senza scrupoli che ritengono motivo di
vanto aver assassinato i tribuni e ragione di sicurezza l’essersi
macchiati di crudeltà. Essi infangano i valori fondanti dell’eticità, quali
il sentimento della fides nella sua espressione più alta di lealtà, il
paradigma del decoro e il sentimento della pietas in tutte le screziature
di significato, cui oppongono ogni bassezza e disonestà. Questa
nobilitas considera il sistema di valori etici come materia da
mercanteggiare, in vendita, e supera ogni limite di decenza, perché
l’avidità (avaritia) è irrefrenabile. Soprattutto Memmio sottolinea un
aspetto che torna in altre riflessioni sallustiane e che riguarda la
compattezza e la coesione della nobiltà nel condividere timori,
passioni, paure. La comunanza di intenti e di sensibilità che
corrisponde al sodalizio che si instaura fra persone oneste e che si
denomina degnamente amicizia, in contesti di degenerazione morale si
identifica come complicità. Ne consegue a livello linguistico una
disposizione di coppie ossimoriche: da un lato i valori paradigmatici
dell’eticità, quali fides, decus, pietas, amicitia e dall’altra il sistema di
degenerazione morale della nobilitas che ne rappresenta il
sovvertimento: sceleratissumi, superbissumi, immanes avaritia, factio,
cruentis manibus.
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Infatti Sallustio precisa che prima della conquista di Cartagine popolo
e Senato di Roma governavano insieme e concordemente; soprattutto i
cittadini non lottavano fra loro, per ottenere gloria e potere
(dominatio), perché il metus hostilis ispirava giusta condotta. Svanito
quel timore del nemico, subentrarono dissolutezza e superbia (lascivia
atque superbia), ritenute compagne inseparabili della prosperità.
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Sallustio all’interno di questo scenario sociale, individua forze
politicamente valide in coloro che si collocano ai margini, nelle classi
moderate che si riconoscono nell’ideologia dell’homo novus. E in effetti
proprio un homo novus poté cambiare sostanzialmente le sorti della
Guerra giugurtina.
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della Numidia che implicava la guerra contro Giugurta, si schierò
contro la nobiltà.
Discorso di Mario
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macchiati. Inoltre i nobili sono invidiosi della carica consolare che
Mario ha ottenuto; allora dovrebbero essere invidiosi anche delle
fatiche (labor), dell’integrità, dei pericoli, grazie ai quali Mario ha
conseguito questa carica. Infine quando i nobili parlano in Senato,
tendono a esaltare i loro antenati, in considerazione dei meriti e degli
atti di eroismo da loro compiuti; in realtà quanto più elogiano la vita
gloriosa di quelli, tanto più risulta colpevole la loro indolenza
(socordia).
Ritratto di Silla
Sallustio nei capitoli 95-96 delinea il ritratto di Silla che rientra nei
ritratti paradossali in ragione della convergenza di aspetti che
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sembrano inconciliabili e ossimorici e che rivelano una personalità
combattuta e inquieta. Infatti coesistono in Silla, uomo di estrazione
patrizia, amore per la dissolutezza nella vita privata e contegno nel
portare a compimento tutti gli obblighi imposti dalla società nella vita
pubblica. Infatti Sallustio dice che nonostante fosse dissoluto nell’ozio
(otio luxurioso), il piacere (voluptas) non lo distolse mai dai suoi doveri.
Infatti egli concedeva favori e non si faceva restituire nulla, per fare in
modo che gli fossero tutti debitori: trattava amichevolmente i soldati,
concedeva favori a coloro che glieli chiedevano e ad altri di sua
spontanea volontà…Lui al contrario non chiedeva nulla in cambio e si
adoperava piuttosto affinché il maggior numero possibile di persone
dovesse qualcosa a lui. (96,3). Sallustio, quindi, evidenzia la
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straordinaria capacità di adattamento di Silla nell’ambientamento fra i
commilitoni, mostrandosi sempre presente e concretamente utile,
come un soldato, nei turni di guardia, nelle marce, sapendo ben
fondere il senso della disciplina, propria di un capo, e lo spirito di
affabilità nel porgere con i più umili, proprio di un soldato. Tutti questi
aspetti resero Silla caro ai soldati e a Mario. Con la cattura di Giugurta
dovuta ad una personalità come questa, la Guerra giugurtina finisce.
Historiae
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e che dà voce alla protesta dei provinciali contro il sistema di dominio
romano.
La conoscenza delle cause dirette della crisi che aveva travolto lo stato
romano era al centro delle Historiae che continuavano e sviluppavano
quanto era già stato affrontato nel De Catilinae coniuratione: la rovina
dello Stato e il suo precipitare nella guerra civile erano state la
conseguenza dell’affermarsi sulla scena politica di personaggi
ambiziosi, senza scrupoli e avidi. Forse lo stesso Silla aveva compreso
quanto fosse instabile e ristretta la base di consensi su cui si poggiava e
infatti, subito dopo la sua morte, ebbero inizio le lotte per
l’eliminazione del regime che egli aveva instaurato e per il ripristino
delle magistrature da lui abolite.
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potere, si associa la condanna di tutto il regime sillano, durante il
quale non si esitava a ricorrere a frange sociali infime e pericolose, per
ottenere basi di sostegno. Certamente Sallustio rimprovera a Lepido la
mancanza di moderazione e l’essere ricorso alla violenza armata, nel
sostenere una rivolta che fu poi repressa da Marcio Filippo.
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Nei confronti di Pompeo il giudizio di Sallustio è pesantemente
negativo: Pompeo si è formato all’ombra di Silla e ne ha assimilato i
metodi di potere. Innanzitutto la sua smisurata ambizione lo ha
portato a circondarsi anche di una milizia personale composta da
clienti che ne accentuano la pericolosità. La lettera che Pompeo invia
al senato dalla Spagna è piena di minacce e in essa egli afferma di non
esitare a ricorrere all’esercito, conformemente al costume di Silla, se
non vengono ratificate a Roma tutte le disposizioni predisposte in
Spagna.
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donne, campi. Sono infatti definiti latrones, perché a ogni loro
possesso è legata l’idea della rapina nel senso etimologico del verbo
latino rapere e con cui portano via tutto.
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