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leggenda. Lo storico Tito Livio (59 a.C.-17d.C.), nella sua monumentale storia di Roma, raccoglie
molti di questi racconti tradizionali, in cui mito, rituali arcaici ed eventi storici sono spesso
intimamente legati. Uno degli episodi più celebri è costituito dal "Ratto delle sabine". Romolo,
dopo aver fondato Roma, si rivolge alle popolazioni vicine per stringere alleanze e ottenere delle
donne con cui procreare e popolare la nuova città. Al rifiuto dei vicini risponde con l'astuzia.
Organizza un grande spettacolo per attirare gli abitanti della regione e rapisce le loro donne.
La leggenda di Clelia
Roma ha appena trattato la pace con Porsenna,
re di Chiusi, il quale chiese come ostaggio nove
fanciulle. Fra queste vi era Clelia, una ragazza
dallo spirito indomito. Ella, da fiera romana,
incitò le altre a non sottomettersi al giogo
etrusco e le convinse a fuggire. Dopo un lungo
cammino durato tutta la notte, all'alba
raggiunsero il fiume Tevere e quindi Roma era
ormai vicina. L'unico ponte sul Tevere, il
Sublicio, fu distrutto quando Orazio Coclite
aveva affrontato da solo le milizie di Porsenna.
Alle ragazze non restava altro che attraversare
il Tevere a nuoto. Incoraggiate da Clelia le
ragazze si gettarono nelle acque gelide del fiume
e lo attraversarono. Una sentinella le scorse,
arrivò un ufficiale, che presa una tromba lanciò
l'allarme. La sponda romana si riempì di
soldati pronti ad accogliere il nemico con le
spade, quando tutti rimasero stupiti nel vedere
emergere dalle acque del Tevere le
fanciulle. Esse spiegarono ai soldati di essere
romane, prigioniere di Porsenna riuscite a
fuggire. Furono portate davanti ai consoli, i
quali con rammarico, diedero l'ordine di
riportarle da Porsenna, per onorare i patti
sottoscritti. Riconsegnate a Porsenna, questi
volle sapere chi le avesse aiutate a fuggire, e
Clelia con fierezza, ammise che la colpa era
tutta sua, ed alla domanda se fosse pentita,
rispose di no, anzi lo avrebbe rifatto. Porsenna,
già colpito dalla lealtà dei romani, preferì alla
fine mantenere la pace con Roma piuttosto che
ostinarsi nel dare appoggio al re spodestato
Tarquinio il Superbo. Restituì gli ostaggi e le
terre fra Roma e Veio, una pace duratura si
stabilì. Per le sue gesta vennero tributati a Clelia
molti onori e nel Foro venne innalzata una
statua equestre dell'eroina, ancora visibile nella
tarda Repubblica.
.
Manlio si precipitò alle mura della rocca, e nel sincerarsi di cosa stava
succedendo si trovò viso a viso con un Gallo. I nemici tentavano un assalto e
in quel momento un loro manipolo si accingeva a superare il parapetto per
entrare nella fortezza. Manlio afferrò il braccio teso del primo Gallo, gli
strappò le dita dal parapetto e lo lanciò giù per la rocca. Diede subito
l'allarme mentre lo starnazzio delle oche cresceva sempre di più. In pochi
minuti tutti i soldati erano svegli ed afferrate le armi, corsero alle mura
pronti alla difesa. La sorpresa dei Galli fallì. In breve, essi furono sconfitti e
cacciati. Dopo qualche giorno, tuttavia, costretti dalla fame, i coraggiosi
difensori del Campidoglio dovettero venire a patti coi Galli. Furono patti
severi: Roma doveva pagare la propria libertà con l'oro, molto oro e pesato
con le bilance truccate dei Galli, sulle quali Brenno gettò la propria spada,
gridando con ira:"Guai ai vinti! Pesate anche questa!" Comunque non tutto
era perduto. Questa estrema tenacia dei difensori del Campidoglio diede il
tempo necessario a Furio Camillo, valoroso generale romano, di radunare i
soldati dispersi dall'invasione di Brenno. A tappe forzate, Furio Camillo
riuscì a giungere come una furia sulla piazza, si arrestò di fronte a Brenno,
gridando : <<Non auro, sed ferro, recuperanda est patria>> (non con l'oro,
ma con il ferro, si riscatta la patria). Fu il segno della riscossa. Rianimati, i
Romani ripresero la lotta e i Galli furono cacciati dalla città con ingenti
perdite. Pur quasi totalmente distrutta, la città era salva. Fu ricostruita più
bella per volere di Camillo, chiamato per questo "secondo fondatore di
Roma".
Organizzazione religiosa [modifica]
La gestione dei riti religiosi era affidata ai vari collegi sacerdotali dell'antica Roma, i quali
costituivano l'ossatura della complessa organizzazione religiosa romana. Al primo posto della
gerarchia religiosa troviamo il rex sacrorum, sacerdote al quale erano affidate le funzioni religiose
compiute un tempo dai re.
1. Arvali, (Fratres Arvales), ("fratelli dei campi" o "fratelli di Romolo"), in numero di dodici,
erano sacerdoti addetti al culto della Dea Dia, una divinità arcaica romana, più tardi
identificata con Cerere. Durante il mese di maggio compivano un'antichissima cerimonia di
purificazione dei campi, gli Arvalia.
2. Luperci, presiedevano la festa di purificazione e fecondazione dei Lupercalia, che si teneva
il 15 febbraio, il mese dei morti, divisi in Quintiali e Fabiani.
3. Salii (da salire, ballare, saltare), sacerdoti guerrieri di Marte, divisi in due gruppi da dodici
detti Collini e Palatini. Nei mesi di marzo e ottobre i sacerdoti portavano in processione per
la città i 12 ancilia, dodici scudi di cui il primo donato da Marte al re Numa Pompilio, i
restanti copie fatte costruire dallo stesso Numa per evitare che il primo venisse rubato. La
processione si fermava in luoghi prestabiliti in cui i Salii intonavano il Carmen saliare e
eseguivano una danza a tre tempi (tripudium)[12].
4. Feziali (Fetiales), 20 membri addetti a trattare con il nemico. La guerra per essere Bellum
Iustum doveva essere dichiarata secondo il rito corretto, il Pater Patratus pronunciava una
formula mentre scagliava il giavellotto in territorio nemico. Dal momento che, per motivi
pratici, non era sempre possibile compiere questo rito, un peregrinus venne costretto ad
acquistare un appezzamento di terreno presso il Teatro di Marcello, qui fu costruita una
colonna, Columna Bellica, che rappresentava il territorio nemico, in questo luogo si poteva
quindi svolgere il rito